Da intuizione felice a metodo riconosciuto

La didattica museale è materia di studio per le scienze dell'educazione o è materia multidisciplinare che deve vedere coinvolti pedagogisti, storici dell'arte, archeologi e conservatori?

Alba Trombini - Consulente di promozione e didattica museale

Occuparsi oggi professionalmente di didattica museale significa navigare a vista nel mare magnum delle buone intenzioni, prendendo come esempio le intuizioni felici di esperienze isolate e cercando di evitare gli scogli delle improvvisazioni dovute alla mancanza di modelli culturali ufficialmente riconosciuti e condivisi. Questa assenza di precisi punti di riferimento, in qualche modo istituzionalizzati, contribuisce a mantenere in vita quell'impronta di episodicità e frammentarietà che caratterizza da sempre la didattica museale in Italia. E' singolare che nel nostro paese gli unici corsi universitari che si occupano in modo più o meno sistematico di didattica museale facciano tutti parte di Dipartimenti di Scienze dell'Educazione (Università degli Studi di Roma Tre, Università di Padova, di Bologna… tanto per citarne alcuni). Come se il problema della comunicazione, della fruizione e funzione didattica del museo fosse di competenza esclusiva del mondo della ricerca pedagogica. Perché questo confino? Perchè le Facoltà deputate alla conservazione del patrimonio culturale non avvertono la stessa necessità di un maggior coinvolgimento nella questione della trasmissione e valorizzazione attiva di tale patrimonio? Alcuni anni fa in un interessante Convegno organizzato a Roma dal Centro di Didattica museale del Laboratorio di Pedagogia sperimentale (Università degli Studi di Roma Tre), si parlava appunto della didattica museale come di una competenza di intersezione e si poneva l'attenzione sulla necessità di far confluire in essa apporti disciplinari diversi, senza nulla togliere ai rispettivi settori di ricerca. Pedagogisti e storici dell'arte, archeologi e conservatori, direttori ed esperti di comunicazione… soltanto insieme queste figure professionali possono contribuire a formulare proposte didattiche veramente innovative e degne di tale definizione. Alcuni pensano che fare didattica museale sia semplicemente fare al museo qualcosa di accattivante e grazioso per i bambini, altri ancora si perdono nell'ambivalenza della parola: didattica uguale ad educazione, ad acquisizione di conoscenza, a sviluppo della cultura personale… Istruzione formale o educazione permanente? Chi la considera unicamente una disciplina pedagogica, chi solo un mezzo per aumentare il pubblico dei musei. Tutto ciò genera inevitabilmente confusione sulla definizione di metodi e obiettivi della didattica museale. Il museo, dal canto suo, può informare il pubblico sulle proprie attività o divulgare i suoi contenuti usando ogni specie di strategia comunicativa (multimediale e non), ma questo non significa che stia facendo della didattica. Ciò che distingue la didattica dal resto (divulgazione e informazione) è la circolarità del processo formativo, è l'interazione fra discente e docente. Ogni volta che trasformiamo l'esperienza museale indifferenziata - pensiamo alla visita di tipo tradizionale - in attività individuale utile e creativa, allora stiamo facendo della vera e propria didattica museale innovativa. L'innovazione è data dalla flessibilità e dalla continua evoluzione delle proposte, dall'impostazione problematica di tali proposte, dall'attenzione alle necessità individuali unita al controllo dell'intero processo formativo. E per concludere, dalla cura dedicata alla incentivazione emotiva e al consolidamento dell'esperienza. Va da sé che tutte queste strategie - in qualche modo "codificate" dalla ricerca pedagogica - per essere concretamente adottate al museo, hanno bisogno di essere prima studiate, sperimentate e poi sottoposte a verifiche sul campo. Alla fine viene da chiedersi… nella realtà culturale ravennate chi, meglio dell'Università, può assumersi questo impegno?

Esperienze di didattica museale - pag. 13 [2000 - N.7]

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