Il labirinto dell'anima

Completati i lavori di recupero architettonico e degli affreschi della chiesa di Croce Coperta, grazie ai finanziamenti della Fondazione Banca del Monte e Cassa di Risparmio di Lugo

Gianni Morelli - Studioso d'arte e pubblicista

Mi piacerebbe definire Croce Coperta un labirinto dell'anima: per la storia, per l'arte, per le forme spirituali che le hanno dato impulso e variamente accompagnata lungo un percorso che dura da quasi mille anni. Un labirinto ancora in gran parte inesplorato, almeno fino al momento in cui padre Girolamo Bonoli nel 1732 ne portò in superficie una porzione di storia a partire dall'anno 1492, a proposito della annessione di Croce Coperta al convento dei religiosi carmelitani. Come i veri labirinti Croce Coperta non ha inizio: nel senso di una origine documentata o comunque interpolata in una qualche fonte storica; e forse neppure in senso stretto, dato il suo originario valore di "sito ambientale", modellato dalla natura nel corso dell'alto medioevo. Prossimo alla via Salaria, a ridosso del fiume Senio, bagnato dalle acque dell'Arginello che scorreva parallelo al Senio e che proprio lì, ostacolato da un'ansa del fiume, frenava il proprio corso in una larga pozza di acqua corrente, di facile accesso per abbeverare gli animali e la lavatura dei panni. Nel basso medioevo diventa "stazione" di partenza dell'antica strada centuriata che congiungeva Lugo a Budrio, portandosi verso il poderoso triangolo dei castelli di Cotignola, Cunio e Barbiano, fino alla via Emilia e di lì a Faenza e a Imola. Per questa sua origine di asse centuriale fu luogo di persistente valenza giuridica pubblica, ma soprattutto finì con l'imporsi come sede di liturgie itineranti, per la somministrazione dei Sacramenti e la preghiera comune e, successivamente, centro di accoglienza e distribuzione delle elemosine. Una semplice "Croce Scoperta" fu presto eretta proprio già nell'XI secolo a gloria della Croce e a protezione di una piccola folla stradale, che qui convergeva dai fondi agricoli sottoposti alla giurisdizione parrocchiale della Pieve di Santo Stefano in Barbiano. Tra il XIII e il XIV secolo Croce Coperta venne investita dal ciclone della nuova e inconfondibile spiritualità mendicante che mosse dai due conventi francescani di Cunio e Lugo ed è probabile che entro la fine del Duecento seguisse la costruzione di un vero e proprio oratorio, con funzioni di prima accoglienza assicurate - sotto l'impulso dei minori conventuali - dai confratelli della Madonna del Limite che ritroveremo ancora un secolo dopo, in veste di affidatari della chiesuola. Essi, secondo il precetto evangelico, fornivano riposo per la notte: acqua e un giaciglio che variava da un po' di paglia per terra, fino ad un letto da dividere con altri. A ciò si aggiungeva l'opera di elemosina, costituita da un po' di vitto. Questa intensa presenza francescana non verrà mai più dimenticata e il piccolo oratorio, esaurito il suo compito primario essendo sorto ai primi del Trecento l'ospedale di S. Antonio e nel Quattrocento quello del Corpo di Cristo, ne conserverà limpida memoria nei vari cicli di affreschi, ancora una volta indirizzati da inconfondibile sensibilità e magistero francescani. Come leggere altrimenti, al centro della piccola abside, il S.Francesco a ridosso della Croce - vero Alter Cristus - mentre viene trasfuso dallo stesso Gesù col mistero delle stigmate? E nelle pareti accanto le belle e reiterate presenze di Antonio da Padova e Bernardino da Siena? E poi la nutrita schiera di tutte le Sante e le Martiri menzionate nel canone romano e quell'insistenza così mirabilmente replicata negli anni, delle immagini della Madonna col Bambino, tanto cara alla spiritualità francescana? All'interno di una tale memoria "genetica" francescana, sarei persino tentato di collocare il grande affresco dell'"Ultima Cena", testimonianza visiva dei nuovi esercizi spirituali sollecitati dal vescovo Ondodei e condotti dal Superiore francescano all'interno dell'ospedale della Madonna, per i confratelli della Compagni del Limite, a partire dall'anno 1414. Lo studio critico delle opere d'arte cominciò sul finire dell'Ottocento con la ricognizione da parte di un buon connaisseur, quale fu Luigi Manzoni. La sua lettura è stata presa a piattaforma dagli studiosi delle successive generazioni che ne hanno riproposto pregi ed errori, come l'inaccettabile intitolazione a S. Bartolomeo di una delle due figure centrali, poste sotto la scena della crocifissione. Delle vicende storiche ed artistiche e dei lavori di restauro verrà dato conto in un volume di prossima pubblicazione, a cura di Gianni Morelli, Crispino Tabanelli e Anna Tambini. Per il momento conviene concludere ricordando che le ricerche di Anna Tambini presentate nel 1997, approdano a conclusioni le più aggiornate e convincenti, circa gli autori di questo primo nucleo di opere. Si tratta di équipe di pittori attivi a Ferrara dal 1430 al 1450 circa, ampiamente documentati con nomi e date, anche se è tuttora problematica la distinzione delle singole personalità artistiche. Riconosciuti coralmente sotto il titolo "Maestri di Casa Pendaglia", le individualità più spiccate appaiono Jacopo Sagramoro da Soncino, Nicolò Panizzato, Simone D'Argentina e Andrea Costa da Vicenza. Dice di loro la storica dell'arte "essi ebbero una parte non trascurabile nel diffondere a Ferrara un linguaggio tardo gotico caratterizzato da cadenze venete ispirate a Gentile da Fabriano e all'ambiente veronese, combinate ad una espressività immediata e piacevole, tipica della cultura padana.

La pagina del conservatore - pag. 13 [2000 - N.9]

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