Anno Santo 1950

Giovanni Montanari - Archivista arcivescovile

Questo Giubileo dell'Anno 2000 potrebbe passare alla storia come uno degli Anni Santi più significativi non solo per la Chiesa Cattolica e per la cristianità, ma per le vicende del mondo. In effetti, la centralità di Roma e la riconquista di una posizione prominente dell'Europa almeno dal punto di vista della storia culturale, sembrano rappresentare per il mondo intero, una fortunata stagione di civiltà. Mai come in questo Giubileo, infatti, non solo Roma ma le altre città d'arte in Italia, e le capitali europee sono state visitate da tanti milioni di pellegrini e di turisti: si tratta di uno degli aspetti della globalizzazione, ma l'Anno di questo Giubileo contiene pure altri nodi intricati della fine del secolo: la questione medio-orientale, le guerre civili africane, i mutamenti nel Sud-Est asiatico e nel mondo della Cina. La dialettica della civiltà in Europa e nel mondo, causa problemi a non finire per le Nazioni Unite e mette a dura prova anche la potenza più forte degli Stati Uniti d'America. La facilità con cui non pochi osservatori hanno visto, in questo Giubileo, una forte affermazione del Papato nella persona di Giovanni Paolo II e una tenuta ben consolidata dell'istituzione più antica dell'Occidente (la Chiesa cattolica), è controbilanciata da note critiche non solo di parte protestante, ma anche di osservatori cattolici. Ciò che pare resistere ad ogni critica è la capacità principale della cristianità. Cioè, con parola usata, il Vaticano. Chi conosce il Vaticano sa che i palazzi Apostolici, oltre il Papa stesso, ospitano quattro istituzioni di governo della cultura e di analisi mondiale della civiltà: la Segreteria di Stato, l'Archivio Vaticano, la Biblioteca Vaticana, i Musei Vaticani. Un arsenale culturale di queste dimensioni, in un certo senso erede della Curia imperiale romana, non fatica a tastare il polso del mondo. La diplomazia pontificia che, massimamente, fa capo alla Segreteria di stato, è una delle diplomazie internazionali dotate di maggiore continuità e coerenza nella analisi e "intelligenza" degli affari umani nella storia. La geografia moderna, la produzione di grammatiche delle lingue asiatiche ed africane per le Missioni cattoliche sono state imprese di officine tipografiche romane confluite, in Vaticano, nella Poliglotta vaticana. Tutto questo, e molto altro, potrebbe spiegare il fenomeno della resistenza del Papato, che indice Anni Santi da sette secoli. Ma l'Anno Santo di Pio XII, il Giubileo del 1950 (il più rimarchevole prima del presente), quali caratteristiche dimostra? Per chi scrive, già studente di teologia sotto un arcivescovo della taglia di quell'ecclesiastico conciliare che sarà il Cardinale di Bologna Giacomo Lercaro, i ricordi sono molti. Ma ai ricordi personali della prima visita a Roma, da Ravenna, in quel discrimine temporale che era ancora l'immediato dopoguerra, preferisco sostituire alcune riflessioni di aggiornamento. La guerra aveva devastato l'Europa: Roma stessa era stata bombardata, e una delle sette basiliche del Giubileo, san Lorenzo fuori le mura, giaceva ancora colpita, come cantiere di ricostruzione. Ricostruzione fu la categoria italiana, la categoria europea, soprattutto per la Germania e per l'Italia: le Nazioni traviate dalle dittature che in maniera tanto criminale, contro i diritti dell'umanità avevano scatenato il conflitto. Oggi, nonostante le emotive spinte interpretative di segni opposti, si può dire che la Chiesa dell'Anno Santo di Papa Pacelli stava protagonista di grande mediazione verso i reali ideali della giustizia e della pace. A Roma si guardava, anche da parte delle maggiori potenze europee, come alla città della civiltà, nonostante il recente passato del ventennio della dittatura complice perfino della Shoah. L'Anno Santo di questa Roma fu segnato dalle grandi speranze della democrazia, della libertà, della giustizia. Il motto papale: "la pace è opera della giustizia" (opus iustitiae pax) in tre parole latine sacrosante tornò ad avere un significato mondiale. Le giornate dei Ravennati a Roma, guidato dall'Arcivescovo Lercaro, consentirono un rinnovato ritorno di Ravenna a Roma. Alle presunte parate imperiali del regime succedettero sfilate di processioni di fede. L'unità della Nazione si consolidava nelle sue vere radici umane e cristiane.

Speciale Giubileo - pag. 11 [2000 - N.9]

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