Erexit et hominibus

Un nuovo allestimento per la restaurata croce del Pereo e la sua reinterpretazione contemporanea al Museo Nazionale di Ravenna

Emanuela Fiori - Direttrice Museo Nazionale di Ravenna

Il monastero di Sant'Adalberto in Pereo, situato nel "desertum" che a nord di Ravenna si estendeva fino a raggiungere il fiume Po, oggi Reno, è la più nota fondazione imperiale di età ottoniana dell'area Padana orientale. Distrutto in età moderna, di esso restano solo alcuni frammenti decorativi conservati presso il Museo Nazionale di Ravenna.
Il pezzo più significativo è costituito da una croce composta da cinque formelle di laterizio decorate con racemi che si intrecciano a formare una serie di spazi circolari, entro i quali sono collocati grossi fiori stilizzati a quattro petali. All'incrocio dei bracci della croce lo spazio contiene l'immagine della dextera Domini affiancata dalla mezza luna e dal sole.
Dallo stesso contesto provengono altri frammenti in cotto conservati presso il Museo Nazionale, in particolare alcuni brani di laterizi che in origine formavano delle fasce nastriformi decorate con racemi vegetali popolati, ovvero contenenti figure di volatili e animali, una formella con sommità cuspidata raffigurante un grifone e due frammenti pertinenti verosimilmente a un'altra croce decorata con un racemo vegetale popolato includente, all'incrocio dei bracci, l'Agnus Dei.
I cotti del Museo ravennate si avvicinano in modo sorprendente a quelli della facciata dell'atrio della chiesa abbaziale di Pomposa (Fe), che formano un apparato decorativo molto complesso costituito da due croci affiancate, contenenti le immagini simboliche della Mano divina benedicente e dall'Agnello mistico, formelle raffiguranti animali fantastici e da una serie di motivi a fascia includenti racemi popolati.
I frammenti appartenevano probabilmente all'apparato decorativo realizzato al momento della fondazione, sull'isola del Pereo, del complesso dedicato al martire Adalberto, costruito su impulso dell'imperatore Ottone III nei primissimi anni dell'XI secolo.
La celebre croce in cotto è stata restaurata e restituita al suo primitivo aspetto. Motivi conservativi ne impediscono l'esposizione nel luogo in cui è stata collocata per anni accanto ai frammenti pertinenti allo stesso apparato. Pertanto si è deciso di destinarla a un luogo più protetto ma non troppo distante dal Secondo chiostro e di rispettarne l'esposizione storica occupando il vuoto sulla parete del chiostro con un richiamo alla originaria presenza, affidando l'incarico di reinterpretare la croce ottoniana in chiave moderna all'artista Luigi Berardi.
Luigi Berardi (1951) da più di venti anni lavora fondendo le arti visive a una profonda ricerca sul territorio attraverso la quale riesce a estrapolare dai luoghi l'anima del territorio. Il paesaggio, il suono vengono colti, riletti ed espressi attraverso l'opera d'arte.
Il territorio che ha prodotto la croce di S. Alberto, con le sue terre "grasse" come le definiva Corrado Ricci, è stata la fonte di ispirazione cui l'artista si è rivolto nel momento in cui il Museo ravennate ha pensato di coinvolgerlo in questo innovativo progetto: creare un alter ego della croce medievale riletta a mille anni di distanza da un artista dell'argilla.
La prima ispirazione per Berardi è stata quella di andare a ritrovare nel terreno le vecchie vene di argilla nelle campagne santalbertesi, forse quelle cui avevano attinto nell'anno Mille gli artigiani che avevano realizzato le decorazioni per il monastero ottoniano. Ma cercando la vena d'argilla, l'autore è andato oltre e ha percorso una suggestione che già nel passato lo aveva colpito, vale a dire il legno che il terreno ha "mangiato". Il nuovo allestimento sarà inaugurato al Museo Nazionale di Ravenna il 23 settembre 2017.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 26 [2017 - N.59]

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