Paesaggi culturali e musei. Il museo nella sua quarta età

A partire dalla nozione di paesaggio culturale, una approfondita riflessione sulle trasformazioni che si impongono ai musei del futuro

Daniele Jalla - Già Presidente ICOM Italia

Nei tre anni di preparazione della Conferenza generale di ICOM Milano 2016 si è sviluppata una riflessione che ha finito per coinvolgere entrambi gli elementi del tema della Conferenza: i paesaggi culturali quanto i musei. L'approfondimento teorico della nozione di paesaggio culturale ha infatti finito per investire anche quella di museo, portando alla conclusione che la prospettiva entro cui operare in futuro sia l'inverso di quella da cui eravamo partiti. Ed è per questo che nel titolo di questo articolo i paesaggi culturali sono posti al primo posto e i musei al secondo1.
Cosa cambia? Anziché domandarci solo - come abbiamo fatto - in che modo i musei possono aprirsi al territorio, al contesto, alla comunità e cosa possono fare per il paesaggio, possiamo ora partire dal presupposto che oggi, a tutte le latitudini e longitudini, la salvaguardia dei paesaggi culturali, nella loro molteplicità e diversità, costituisce una priorità di carattere generale e che è questo a sollecitare, se non a imporre, un ripensamento complessivo di tutti gli strumenti a disposizione a questo scopo, musei compresi2.
Nelle pagine che seguono, dopo una riflessione sulla nozione di paesaggio culturale, sulle ragioni per cui esso costituisce una priorità ineludibile e su quali suoi aspetti siano, o possano, divenire parte del patrimonio culturale, saranno esaminate le modalità di protezione e trasmissione del patrimonio culturale e, in questo quadro, le trasformazioni che si impongono ai musei se essi si propongono di svolgere, insieme ad altri soggetti e istituzioni, un ruolo attivo nella salvaguardia del paesaggio.
Cos'è il paesaggio?
In questi anni ci siamo innanzitutto sforzati di lasciarci definitivamente alle spalle quella visione di paesaggio propria del senso comune che, in accordo con le origini del termine, continua comunque ad associarlo a qualcosa di bello, specie se naturale, da ammirare e preservare così com'è: i "paesaggi da cartolina" continuano a piacerci forse più degli altri, ma dobbiamo anche essere coscienti - e contribuire a diffondere la consapevolezza - che essi costituiscono solo una minima, per quanto importante, parte degli innumerevoli paesaggi esistenti.
Prendendo spunto dalla definizione di paesaggi culturali proposta dall'UNESCO, abbiamo fatto nostro il superamento della distinzione fra paesaggio naturale e paesaggio culturale, riconoscendo che essi, nella loro varietà, rappresentano "l'opera combinata della natura e dell'uomo" e sono "espressione di una lunga e intima relazione fra l'umanità e il suo ambiente naturale"3.
Della Convenzione europea per il paesaggio del 2000 che propone di considerare il paesaggio "una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni", abbiamo accolto e condiviso l'approccio e dunque l'idea che il paesaggio non esiste indipendentemente dalla sua percezione sociale e culturale4.
Per questo abbiamo tenuto a distinguere il territorio dal paesaggio5, anche se nell'uso comune tendiamo a utilizzare i due termini come se fossero equivalenti. Il territorio è la dimensione fisica e materiale del paesaggio, con i suoi tratti peculiari di carattere naturale e/o antropico. E il paesaggio non è solo l'immagine di un territorio, anche se il termine si è a lungo riferito - e continua a riferirsi - a un dipinto, a un disegno, a un'immagine fotografica di un dato paesaggio, perché il termine paesaggio in verità "si riferisce sia al modo di vedere l'ambiente circostante sia a questo stesso ambiente" e "il fascino dell'idea stessa di paesaggio sta nel fatto che unisce i fattori all'opera nella nostra relazione con l'ambiente che ci attornia".
Questa visione del paesaggio ci ha portato a convenire che il paesaggio è il presente così come lo percepiamo e anche che i paesaggi "che siano o non siano dotati di un valore estetico, costituiscono il contesto della nostra vita quotidiana; ci sono familiari6 e la nozione di paesaggio unisce l'umanità alla natura, riconoscendone la loro interazione con l'ambiente"7.
Tutti questi elementi, presenti nella Risoluzione approvata al termine della Conferenza generale di Milano 2016, si ritrovano anche in diversi documenti e testi di preparazione della Conferenza stessa8.
Perché il paesaggio è una priorità?
Il paesaggio è la grande priorità dei nostri tempi, se non una vera e propria emergenza. Lo è da tempo, a dire la verità, e anche la storia dell'ICOM dimostra in quante occasioni i professionisti museali si sono preoccupati per le conseguenze che le grandi trasformazioni della nostra epoca avevano sul patrimonio culturale. E non solo9.
I cambiamenti del clima, la crescita della popolazione, le migrazioni, i conflitti, le nuove tecnologie stanno modificando in modo sempre più radicale e rapido il paesaggio del globo. Se ciascuno di noi pensa al continente, al paese, alla città o alla regione in cui vive, ha l'immediata misura di quanto intensamente e profondamente il paesaggio che lo circonda sia cambiato anche solo nell'ultimo mezzo secolo. Non c'è angolo del mondo che si presenti com'era per la generazione precedente e, nel solo spazio di tempo della sua vita, le generazioni nate dopo la Seconda guerra mondiale sono state protagoniste e testimoni di un'accelerazione sempre più rapida del contesto - globale e di prossimità - in cui vivevano e vivono.
Il ritmo e l'entità di queste trasformazioni rafforzano l'esigenza di confrontare le politiche del patrimonio con la dimensione presente e globale della realtà entro cui si collocano, con le contraddizioni e i conflitti che contraddistinguono - sempre e comunque - il paesaggio di cui il patrimonio culturale è parte.
Paesaggio e patrimonio culturale
Il patrimonio culturale è parte integrante del paesaggio che lo circonda. Presente di un passato più o meno lontano, memoria, materiale e immateriale, di altri tempi, il patrimonio non è altro che quella parte di un tutto che ogni tempo e ogni società stabiliscono di voler proteggere e conservare per il valore simbolico che esso ha, nel suo insieme e nelle sue singole parti, come testimonianza immateriale o materiale di una civiltà, allo scopo di trasmetterla alle generazioni future10.
Il processo di trasformazione di una 'cosa' in 'oggetto patrimoniale'11 passa inevitabilmente attraverso la sua enucleazione, separazione ed estrazione dal contesto12 di cui è parte, indipendentemente dal fatto che si tratti di un atto fisico (come avviene per gli oggetti materiali e mobili 'musealizzati') o di un atto mentale (come avviene tanto per beni immobili che per quelli immateriali). È un'operazione che i professionisti del patrimonio, gli studiosi o anche solo le persone che ne condividono la cultura, nel caso del patrimonio materiale, compiono in primo luogo attraverso lo sguardo: è quel processo che corrisponde all'individuazione e all'identificazione di un oggetto come 'bene patrimoniale' a partire dalla visione che essi hanno del patrimonio culturale in senso generale.
Quando l'oggetto fisico (cioè materiale, o tangibile nella sua definizione internazionale), per essere protetto ed esposto alla vista in quanto oggetto patrimoniale, viene fisicamente isolato dal suo contesto (attraverso una recinzione, se in situ, da un edificio o da una vetrina, se in museo) e identificato come tale (attraverso un cartello, una targa, un'iscrizione, una didascalia, ecc.) a essere coinvolti nel processo di patrimonializzazione sono anche i non specialisti: il pubblico, i visitatori e più in generale le società. Lo stesso avviene per i beni immateriali quando essi sono anche semplicemente qualificati come 'beni' e non più solo come cose: l'esempio forse più evidente è dato dal cibo e dalle culture alimentari che, da 'oggetti di affezione'13 (individuale, familiare, di gruppo, sociale o territoriale) e di trasmissione diretta e informale (come tradizione tramandata oralmente o in forma scritta), hanno iniziato a essere considerati oggetti patrimoniali a tutti gli effetti, cui applicare forme di protezione e salvaguardia di natura patrimoniale.
L'enucleazione, separazione, estrazione dei beni dal loro contesto sono associate a una cristallizzazione dello stato in cui essi si trovano (o a cui sono riportati attraverso un restauro), in nome della più che giustificata esigenza di conservarli nella loro integrità e di quel tanto di sacro connesso alla loro qualificazione di 'beni culturali'. Ma non è forse questo a privare il patrimonio di quella vitale confusione con il paesaggio culturale di cui è parte? Non finisce per confinarlo in un mondo a parte? Non contribuisce ad allontanarlo dal sentire comune, privandolo di quella familiarità che ne ha assicurato la conservazione e la trasmissione da una generazione all'altra, indipendentemente da qualsiasi forma di tutela legale14?
La domanda che tuttavia si pone è se esistono realistiche alternative a fronte a un patrimonio continuamente minacciato dallo sviluppo, dall'ignoranza dei suoi caratteri originari e dai suoi valori, dagli interessi economici, dal crescente divario fra necessità di conservazione e risorse destinate a questo scopo. Nel richiamo a dare priorità al paesaggio crediamo si possa individuare una prospettiva diversa, se essa corrisponde alla ricerca di modelli e di pratiche di protezione e conservazione del patrimonio culturale che tengano nel dovuto conto la necessità di ridurre al minimo necessario l'enucleazione, estrazione e separazione dal contesto dei beni e il loro confinamento in spazi, fisicamente o mentalmente separati dal paesaggio culturale di cui fanno, organicamente o residualmente, parte. È una prospettiva che ha come obiettivo mantenere, per quanto possibile, il patrimonio nel suo contesto di appartenenza, promiscuo quanto vitale, perché caratterizzato da quell'inestricabile intreccio di passato e presente che ne costituisce il tratto più caratteristico. Si tratta di una prospettiva concettuale prima ancora che operativa, ma che deve potersi tradurre in pratiche concrete, diffuse e coerenti con i presupposti di partenza. Vediamo in che senso, analizzando criticamente il processo di produzione (o costruzione) del patrimonio culturale.
Il processo di produzione del patrimonio
La logica 'patrimoniale' è, al di là delle intenzioni di chi ne è attore, al tempo stesso: esclusiva (perché estrapola dal loro contesto una selezione di oggetti in base a criteri di carattere 'scientifico'); autoritaria (perché è affidata a specialisti, formalmente investiti del potere di determinare il valore culturale dei beni) e frammentata (perché differenziata in base alle tipologie dei beni e ai saperi scientifici che attengono ad essi). Se tutto questo è vero, allora l'alternativa sta innanzitutto nella massima riduzione possibile dell'enucleazione (estrazione, separazione) dei beni dal loro contesto; nel rovesciamento (radicale, per non dire totale) della logica autoritaria che connota il processo di individuazione e identificazione del patrimonio; e infine nella ricomposizione del patrimonio a unità, in quanto insieme integrato di relazioni tra le cose e le persone, nel tempo e nello spazio che ne costituiscono il o i contesti di appartenenza.
Non sono affatto proposte o idee nuove né in ambito nazionale né in ambito internazionale: sono pensieri che circolano da almeno quarant'anni senza che essi siano però riusciti a imporsi, ostacolati da fattori normativi, ma soprattutto culturali e di potere, solo molto recentemente messi in discussione - ma, come vedremo, solo sul piano dei principi - sul piano internazionale.
La Convenzione sulla Protezione del Patrimonio Mondiale, culturale e naturale dell'Umanità dell'UNESCO risale al 1972 ed è espressione di una visione del patrimonio culturale non solo esclusivamente materiale, ma suddivisa in patrimonio culturale e naturale, a loro volta, ripartiti in categorie, peraltro superate anche solo nel linguaggio, di carattere formale, fondate come sono sulla forma tangibile dei beni: i monumenti, gli agglomerati, i siti in un caso, i monumenti naturali, le formazioni geologiche e fisiografiche, i siti naturali o le zone naturali nell'altro15.
Una correzione a questi evidenti limiti si è avuta nel 2003 con l'approvazione, sempre da parte dell'UNESCO, della Convenzione per la Salvaguardia del patrimonio culturale immateriale che ha sì ampliato la sfera del patrimonio culturale a un nuovo insieme di beni: quelli immateriali appunto, ma tenendoli distinti da quelli materiali16.
Ancor prima, nel 1992, l'UNESCO aveva cambiato il proprio approccio al patrimonio culturale con l'approvazione delle Linee guida per il riconoscimento e la protezione dei paesaggi culturali17 e la loro inclusione nella World Heritage List. Per quanto innovative nel merito e nel metodo, le Linee guida non hanno però prodotto una retroazione sull'impianto generale della Convenzione del 1972, limitandosi a dar vita a una nuova categoria di beni: i paesaggi culturali, appunto, che l'ICOM ha posto al centro del suo confronto nel 2016 a Milano per chiedersi quale ruolo possono e devono avere i musei nella loro protezione e valorizzazione.
Esce da questa logica un documento recente, del 2005 ed entrato in vigore solo nel 2011, approvato a Faro (in Portogallo): la Convenzione quadro del Consiglio d'Europa sul valore dell'eredità culturale per la società18.
La Convenzione di Faro (2005)
La Convenzione di Faro propone un approccio innovativo al patrimonio culturale, tanto nella sua definizione quanto rispetto alla sua individuazione. Per la Convenzione, il patrimonio culturale è costituito da "tutte le risorse ereditate dal passato che le popolazioni identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione" e "comprende tutti gli aspetti dell'ambiente che sono il risultato dell'interazione nel corso del tempo fra le popolazioni e i luoghi". La nozione di "risorse", che include tutti gli aspetti dell'ambiente, non solo non distingue il patrimonio materiale da quello immateriale, ma soprattutto affida l'identificazione del patrimonio alle popolazioni e più in specifico alle "comunità patrimoniali" e cioè a "un insieme di persone che attribuisce valore ad aspetti specifici del patrimonio culturale, e che desidera, nel quadro di un'azione pubblica, sostenerli e trasmetterli alle generazioni future".
Si riconosce esplicitamente che, prima che per legge, il patrimonio culturale è individuato sul piano sociale e in base al valore attribuito, evolutivamente nel tempo, da parte di una collettività (non necessariamente nazionale) che proprio questa condivisione di valori trasforma in comunità, patrimoniale per l'appunto19.
Ma si prevede anche che le comunità patrimoniali operino 'nel quadro di un'azione legale', l'unica a poter dare legittimità e continuità a un'opera che richiede norme, mezzi, apparati per essere efficace e duratura nel tempo: da questo punto di vista non vi è nulla di utopico in una logica rovesciata rispetto ai modelli tradizionali, ma saldamente fondata su un principio ovvio, quanto sottovalutato: la tutela più efficace del patrimonio non è mai stata assicurata prioritariamente dall'esistenza di norme, mezzi e apparati, pure essenziali, ma dal consenso sociale, più o meno diffuso, sul suo valore, l'unico in grado di garantirne la conservazione e ancor più la trasmissione. L'interesse pubblico del patrimonio culturale o corrisponde a una sua pubblica appartenenza o resta una nozione astratta e in fin dei conti inutile.
Dalla Carta di Siena alla Carta di Siena 2.0
Questo approccio che costituisce un lascito indiscusso della "nuova museologia" assai prima che venisse approvata la Convenzione di Faro, ha orientato, in preparazione della Conferenza, la stesura della Carta di Siena su musei e paesaggi culturali. La Carta propone un'apertura dei musei al contesto e alla comunità, un'estensione delle responsabilità dei musei al paesaggio culturale, un'attenzione per il presente oltre che per il passato, una logica partecipata nella gestione del patrimonio culturale20.
Nel redigerla si è fatto tesoro del confronto che intorno a questi temi si era sviluppato all'interno dell'ICOM, puntando l'attenzione sul dibattito museologico e museografico attorno al problema del rapporto fra musei e contesto.
Ne è emersa una rilettura della storia dei musei che ha portato a individuare tre età del museo, riflettendo sul fatto che gli orizzonti della museologia, nel determinarne l'ambito teorico e pratico, hanno via a via definito veri e propri 'paesaggi museali', diversi nel tempo e nello spazio: dei 'territori', fisicamente e idealmente delimitati, popolati e animati dalle figure che hanno contribuito a crearli, a modificarli, a viverli.
Assumendo il rapporto tra musei e contesto come criterio per identificare questi paesaggi, si arriva alla conclusione che questi sono stati fondamentalmente tre: un primo è quello limitato al museo e alle sue collezioni, un secondo è esteso al patrimonio culturale e infine un terzo, focalizzato su una prospettiva 'visitor oriented' e su un rinnovamento della comunicazione museale.
Ognuno di essi corrisponde anche a un'età del museo: un'età ideale, perché ognuna si sedimenta in luoghi e in istituti che durano ben più del suo tempo, cosicché in ogni epoca convivono più paesaggi museali: alcuni già 'fossili', altri tuttora 'viventi', mentre altri paesaggi, nuovi e diversi, si presentano, come realtà o come tendenza, all'orizzonte.
Le tre età del museo21
a) La prima età del museo o il paesaggio del museo e delle collezioni
Per lungo tempo e sino a oltre la metà del Ventesimo secolo, l'orizzonte della museologia è rimasto circoscritto nello spazio delimitato delle collezioni e dell'edificio destinato ad accoglierle.
È stato un tempo molto lungo, che lo si faccia iniziare dalle Inscriptiones di Samuel Quiccheberg del 1565 o dalla Museographia di Caspar Friedrich Neickel del 1727, o ancora dalla non molto successiva nascita del museo moderno, nella seconda metà del XVIII secolo22.
Questo orizzonte, contestato solamente da poche voci, come quella di Antoine-Chrysostome Quatrèmere de Quincy nel 1796 e da poche altre tra la fine del XIX e la prima metà del XX, ha definito il paesaggio della museologia per tutta la prima età del museo moderno23.
Si è trattato di un paesaggio inscritto, ma anche racchiuso nello spazio - fisico e ideale - del museo e delle sue collezioni, popolato da addetti sempre più specializzati e distinti dagli altri attori del patrimonio - archivisti e bibliotecari, addetti alla tutela dei monumenti e degli altri beni conservati in situ, studiosi accademici - e anche, ma quasi marginalmente, dai visitatori.
Questo paesaggio ha coinciso con il solo contesto museale e con un confronto, teorico e pratico, incentrato sulle finalità e funzioni dei musei, sulla loro organizzazione interna, sulla conservazione, cura e presentazione delle collezioni. Pur distinguendosi e allontanandosi sempre più dalle logiche del collezionismo, la museologia e la museografia non hanno però mai preso sino in fondo le distanze dai suoi orizzonti, nel momento stesso in cui hanno fatto propria la scelta di separare i beni museali dal loro contesto di origine, creando consapevolmente il museo come un mondo a parte e dando vita a un nuovo contesto: il contesto museale24.
Se consideriamo l'ambito museale come un paesaggio culturale a tutti gli effetti, viene spontaneo paragonare il suo rapporto con il contesto con quello che ha il giardino con l'ambiente naturale: come il museo, il giardino è uno spazio artificiale, riservato principalmente (anche se non esclusivamente) alla vista, in cui sono raccolte specie estratte dai loro habitat, disposte secondo un ordine, determinato dal proprietario o dal giardiniere, per soddisfare un bisogno spirituale. La forma di giardino più prossima al museo è certamente quella dell'orto botanico, che ha finalità di studio ed educazione oltre che di diletto, e che infatti fa parte a tutti gli effetti del campo museale.
Il carattere mobile dei beni museali, la possibilità di disporli secondo criteri e con modalità molto diverse tra loro, suggerisce anche un altro confronto: quello con un mazzo di fiori recisi, simile al museo nella relazione tra contesto di provenienza, contesto di conservazione e modalità di presentazione dei suoi elementi.
Il fascino del prodotto dell'opera di decontestualizzazione, delocalizzazione e di costruzione di nuovi insiemi che corrisponde al museo come al giardino o al bouquet di fiori, è indiscutibile. Come non è in discussione la sua legittimità, assunta senza riserve a fondamento del collezionismo che accoglie ed esalta sino in fondo il carattere fittizio del suo prodotto: la collezione. Al contrario la museologia e la museografia si sono poste con un'attenzione crescente nel tempo, la questione della necessità di risarcire la rottura perpetrata attraverso la de-contestualizzazione propria del suo modo di patrimonializzare i beni, attraverso diverse forme di ri-contestualizzazione.
La cattiva coscienza dei museologi ha per questo prodotto una riflessione ricorrente sul rapporto fra museo e contesto e lo studio e la messa in atto di molteplici dispositivi per ricreare, almeno virtualmente, un legame tra beni museali e contesti di origine. Nella maggior parte dei casi questi sono rimasti e permangono come espressione di un modo di agire tutto interno al museo e alle sue logiche, in una prospettiva esclusivamente 'museum oriented' che caratterizza quasi per intero il paesaggio culturale del museo nella sua prima età25.
b) La seconda età del museo o il paesaggio del patrimonio culturale
Solo nel momento in cui la critica al 'museo-collezione' è divenuta così radicale da porne in discussione l'esistenza stessa e quando essa ha assunto il carattere di movimento esteso su scala internazionale, si è entrati - agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso - nella seconda età del museo, caratterizzata da un nuovo tipo di paesaggio museale: un paesaggio programmaticamente esteso oltre la soglia del museo per comprendere l'intero patrimonio, culturale e naturale, presente al suo esterno. Sono così nate nuove figure, come gli ecomusei, i musei 'diffusi', i musei 'territoriali', accomunati tra loro dalla volontà di raccordare il museo al suo contesto patrimoniale, territoriale, comunitario.
Alla decontestualizzazione e delocalizzazione dei beni propria della teoria e pratica museale del passato si è cercato di sostituire, per quanto possibile, la conservazione 'in situ' e al museo è stato assegnato il compito di pensare e operare in una prospettiva sempre più 'context oriented', assumendo una diretta responsabilità su siti, monumenti, porzioni di territorio, urbano e rurale, naturale e antropizzato, caratterizzati da un valore 'patrimoniale'. Quando non ha assunto la forma di un 'context museum', di una porzione di spazio dichiaratamente musealizzata, il museo non si è più limitato a valorizzare le proprie collezioni, ma ha esteso la sua responsabilità al patrimonio diffuso, assumendo la forma di 'centro d'interpretazione' del suo contesto storico, culturale e naturale.
È mutata anche la composizione della popolazione attiva in questo nuovo paesaggio, perché il museo della seconda età è stato anche un museo fondato sulla partecipazione della comunità, non più vista solo come destinataria delle attività del museo, locale in primo luogo, ma come protagonista del processo di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale. In campo museale è cioè avvenuto quanto stava accadendo in un ambito più vasto: alla 'democratizzazione della cultura' che aveva ispirato l'attività educativa del museo della prima età, si è sostituita una prospettiva fondata sulla 'democrazia della cultura' che nel museo ha coinciso con il coinvolgimento attivo della comunità nella sua gestione26.
Alla tradizione degli 'amici del museo' si è abbinata l'opera di volontari che, all'interno come al di fuori dei musei, hanno iniziato ad affiancare sempre più numerosi i professionisti nel loro lavoro o hanno dato vita ad attività e musei assumendone la gestione e contribuendo a creare su scala mondiale un nuovo panorama museale.
Il rapporto di questo nuovo paesaggio museale con il contesto non è più paragonabile a quello del museo della prima età: alla similitudine fra museo e 'giardino' o 'mazzo di fiori recisi' va sostituita quella con le specie protette o i parchi naturali, con porzioni di territorio più o meno estese sottoposte a uno speciale regime di protezione, giuridica e materiale, che le trasforma in 'isole patrimoniali' da proteggere, conservare, rendere accessibili al pubblico, distinte dal resto del territorio.
Negli anni Settanta si è anche affermata una nuova visione del patrimonio, estesa a beni considerati sino ad allora minori o comunque non degni di particolare protezione: questo allargamento di prospettiva ha portato sempre più spesso a parlare di museo e territorio, identificandolo, al di là dei fatti e delle idee, con il patrimonio, continuando però a rivolgere l'attenzione più al passato che al presente, più alla comunità di una volta che a quella attuale in una dimensione prevalentemente locale27.
Ma soprattutto questo nuovo paesaggio museale è restato nei fatti un paesaggio marginale e minoritario: ha interessato una parte soltanto dei musei, senza investire le grandi istituzioni, scalfendo solo in minima parte i 'musei collezione' esistenti, ancorati a una visione prevalentemente se non totalmente non solo 'museum oriented', ma anche 'collection oriented'28. Non per questo le idee e le pratiche della nuova museologia, possono dirsi sconfitte e anzi in Italia hanno trovato un terreno fertile di crescita a partire dal momento in cui altrove sopravvivevano attraverso esperienze sempre più isolate29.
c) La terza età del museo o il paesaggio del nuovo museo
Si è entrati così, nell'arco di un decennio o poco più, in una terza età del museo che, rispetto alla prospettiva patrimoniale e territoriale della seconda età, si caratterizza per l'attenzione nuovamente rivolta al museo in quanto tale e per una visione, per quanto innovativa rispetto al passato, 'museum oriented'.
Non è stato affatto un ritorno al passato. Gli anni Settanta non hanno solo messo in discussione il rapporto tra musei e contesto, ma anche il loro ergersi a tempio, lo scarso peso attribuito al pubblico, la natura 'collection-oriented' e non 'visitor-oriented' di molti di essi, la loro fissità, la carenza della loro comunicazione rispetto a pubblici diversi da quelli del passato.
La critica al museo degli anni Settanta ha spinto i musei a riflettere sul loro ruolo sociale, a rinnovarsi, a riorganizzarsi sulla base di standard di qualità, ad aggiornare la presentazione delle collezioni, a sviluppare la comunicazione, a dare nuovo impulso all'offerta educativa e didattica. I risultati, positivi in termini di credito, di attenzione e anche di successo di pubblico sono di fronte agli occhi di tutti e possiamo affermare che, dagli anni Ottanta in poi, il diffuso pregiudizio negativo nei confronti del museo come luogo polveroso e noioso, è andato sempre più regredendo.
Dell'aggiornamento del museo ha fatto certamente parte la nuova attenzione al suo rapporto con il contesto tanto rispetto alla presentazione e interpretazione delle collezioni quanto del suo rapporto con i visitatori, gli utenti, e quelli che con brutta espressione sono definiti 'non pubblici'.
Pur in una dimensione 'museum oriented', questa terza età del museo è stata ed è ricca di spunti critici nei confronti del passato e di proposte innovative per il futuro e sarebbe un errore considerarla come una fase involutiva rispetto alle tendenze degli anni Settanta, nonostante le degenerazioni mediatiche e commerciali che pure la connotano.
A queste ultime tendenze, acuite da uno stato di crisi economica che riduce il sostegno pubblico e pone al primo posto il successo economico dell'attività dei musei, si oppone la realtà e la prospettiva di una quarta età del museo caratterizzata da un paesaggio museale sempre più integrato con il paesaggio culturale nel suo insieme.
La quarta età del museo o il paesaggio del territorio e della comunità
La natura stessa del paesaggio culturale impone che il suo governo sia oggetto di politiche complessive orientate al suo sviluppo (sostenibile) che comprendano per questo la salvaguardia dei suoi caratteri originali, nella loro molteplicità e diversità.
In un pianeta sempre più globalizzato e sempre più alle prese con fenomeni che, su scala mondiale, si presentano anche come minacce al futuro della stessa umanità, i paesaggi culturali, intesi nella loro più ampia accezione, vanno assunti come risorsa fondamentale per costruire un futuro sostenibile. Quest'affermazione coinvolge tutti i paesaggi culturali, compresi quelli da modificare radicalmente in quanto minaccia e non risorsa per il futuro: paesaggi da restaurare, riparando per quanto possibile i danni prodotti dallo sviluppo, quelli da salvaguardare o quelli da proteggere nella loro integrità.
Rispetto a questa prospettiva globale i musei possono offrire molti e diversi contributi.
1.
Nel mantenere e sviluppare la loro funzione storica di istituto e di luogo di conservazione, ricerca e comunicazione delle testimonianze materiali e immateriali dell'umanità e del suo ambiente, possono in primo luogo sviluppare, assai più di quanto abbiano fatto e facciano, la loro capacità di porre in stretta relazione gli oggetti museali (principalmente tangibili, mobili, esponibili) con i loro contesti di provenienza (e cioè con i paesaggi culturali di cui essi sono prodotto ed espressione) rivolgendo la loro attenzione su questi ultimi anziché sugli oggetti stessi, come molti di essi del resto fanno, e non da ora.
In questo senso un indirizzo museografico innovativo (ma anche attuato da molti musei nel mondo) consiste nel passare da un ordinamento fondato sull'esposizione di oggetti contestualizzati a modelli espositivi centrati sull'esposizione di contesti, ricorrendo agli oggetti come testimonianze materiali dei paesaggi culturali posti al centro della riflessione scientifica e della scena espositiva.
Pur restando nel solco di una concezione tradizionale del museo, i musei hanno anche il dovere di confrontarsi, assai più che in passato, con il paesaggio culturale che li circonda almeno in due direzioni: da un lato contribuendo, attraverso la loro attività di incremento e presentazione delle collezioni, con oggetti che testimonino la contemporaneità, individuandoli nel contesto in cui agiscono e non ripiegandosi su stessi e sul passato, dall'altro confrontandosi con le visioni patrimoniali del pubblico, delle collettività cui appartengono, della società del proprio tempo.
Forse non tutti i musei, per la loro natura di 'opera chiusa' storicizzata, possono partecipare attivamente alla costruzione di un patrimonio culturale in continua evoluzione, ma va anche segnalata la scarsa propensione di quei musei che pure potrebbero farlo, nell'acquisire testimonianze recenti, che sono spesso preda di un collezionismo invece assai attento alle molte e svariate espressioni della cultura materiale del secolo scorso.
A tutti, invece, tocca il compito di sviluppare un costante confronto con le visioni patrimoniali delle comunità di cui sono espressione, all'insegna di un diritto alla differenza e al pluralismo culturale che considera patrimonio non solo quanto gli esperti, ma la società individua come tale, nei modi che ha a disposizione, non sempre i migliori, ma non per questo da non osservare, capire, interpretare.
Confrontarsi con le visioni patrimoniali della società e dei pubblici cui si rivolgono per i musei significa esprimere la propria funzione educativa in forme radicalmente diverse dal passato: non ponendosi più, cioè, nella posizione di chi, dall'alto delle sue competenze scientifiche, insegna, ma cercando anche di imparare, dai visitatori in primo luogo, ascoltando, confrontando la propria visione con quelle, diverse, confuse, ma radicate di chi si reca al museo30 e quelle, assai ancora più difficili da cogliere, di chi nei musei non va.
In questi anni abbiamo più volte utilizzato il termine 'interpretazione' per indicare l'attività di comunicazione del museo nel senso datogli da Freeman Tilden nella seconda metà degli anni Cinquanta: "L'interpretazione è un'attività educativa che vuole svelare il significato delle cose e le loro relazioni attraverso l'uso di oggetti originali, l'esperienza personale e degli esempi piuttosto che attraverso la sola comunicazione di informazioni concrete"31.
"L'interprete - scrive George Steiner - è un traduttore di lingue, culture e convenzioni di rappresentazione. Per sua natura è un esecutore, qualcuno che 'mette in atto' il materiale che ha davanti a sé per dargli una vita intelligibile. [...] L'interpretazione è comprensione attraverso l'azione, immediatezza della traduzione"32.
Al museo tocca, se vogliamo essere coerenti con l'approccio proposto dalla Convenzione di Faro, non solo di interpretare le collezioni, compiendo un'opera di mediazione più che di educazione, ma anche di confrontarsi sempre di più con le visioni patrimoniali della società contemporanea33.
2.
Anche solo limitandosi ad applicare il Codice etico per i musei dell'ICOM secondo cui i musei "assicurano la conservazione, l'interpretazione e la valorizzazione del patrimonio naturale e culturale dell'umanità", essi possono - in base alla loro natura e capacità - estendere la propria responsabilità ai beni che li circondano, parte di un contesto più o meno vasto, del paesaggio culturale cui le loro collezioni pertengono.
Anche in questo caso non si tratta di una novità, perché esistono da tempo, come si è visto, musei che hanno iscritto questa responsabilità nella propria missione, come gli ecomusei e i musei diffusi (ma non necessariamente solo essi), integrando la prospettiva 'museum oriented' e quella 'context oriented', non più vissute in opposizione, ma sentite come dimensioni complementari dell'agire museale. Un agire esteso al territorio e che coinvolge la comunità non solo nella sua conoscenza, conservazione, valorizzazione, ma anche nell'individuazione di quanto è o può essere definito patrimonio, e ne raccoglie e interpreta i bisogni, le aspettative, gli stimoli, le proposte.
Gli ecomusei, i musei diffusi e gli altri musei che, al di là delle loro differenze, hanno dato vita a nuova e diversa forma di museo, per il fatto stesso di non essere più racchiusi all'interno di un edificio, ma di abbracciare un intero territorio, diventano un diverso tipo di istituto quando il loro oggetto non è più limitato al patrimonio a cielo aperto, ma lo considera in quanto parte del paesaggio culturale inteso come "il paese che abitiamo e che ci circonda con le immagini e le rappresentazioni che lo identificano e lo connotano".
Rispetto a un paesaggio in cui passato e presente convivono in quell'inestricabile insieme che corrisponde al "quadro della nostra vita quotidiana", in cui tutto è paesaggio indipendentemente dal fatto che sia o non sia dotato di un valore estetico, con le contraddizioni e i conflitti che lo caratterizzano, i musei che scelgono di percorrere, con maggiore o minore determinazione ed apertura, non sono chiamati soltanto a gestire oltre alle proprie collezioni, alcuni beni immobili selezionati, ma anche a individuare quanto merita di essere salvato, quanto va e può essere cambiato, quanto va e può essere innovato.
3.
Spingendoci sino in fondo in questa prospettiva, possiamo pensare infine che i musei possono anche mutare radicalmente forma. Assumere l'identità di 'centri di responsabilità patrimoniale' mantenendo la loro identità di istituto, ma cessando di essere un luogo e coincidendo innanzitutto con l'équipe che ne anima l'attività.
Un centro di responsabilità patrimoniale infatti continua a svolgere tutte le funzioni tradizionali del museo: di acquisizione, di conservazione, di documentazione e ricerca, di esposizione e comunicazione del patrimonio, in modo diretto o in collaborazione con gli istituti e i luoghi della cultura del proprio territorio, partecipando, sulla base della conoscenza del patrimonio raccolta e prodotta, alle scelte che investono il governo del territorio, configurandosi anche come luoghi di ascolto e interpretazione dei bisogni e delle volontà delle comunità patrimoniali di riferimento.
Possiamo continuare a chiamarli musei, se vogliamo, consapevoli però che si tratta di un nuovo tipo di istituto del patrimonio che non solo integra le funzioni del museo con quelle dell'archivio e della biblioteca di conservazione, ma soprattutto raccoglie, sviluppa e comunica la conoscenza del paesaggio culturale nella sua interezza. E che, in questa sua azione, è un istituto che si propone di preservare il valore di promiscuità del patrimonio, la vitale coesistenza tra patrimonio e paesaggio, comprese le sue dissonanze e contraddizioni. Che cerca di ridurre l'isolamento dei beni, che evita la loro sacralizzazione (per quanto laica) in monumenti, che limita le barriere e gli steccati (fisici e mentali) che separano il patrimonio da quanto non è considerato tale. Nella sua opera di patrimonializzazione, è un istituto che si sforza di preservare la familiarità dei beni, materiali e immateriali che elegge, in nome e per conto della comunità patrimoniale di riferimento, come risorsa da conservare e trasmettere.
Assunto come 'collezione', il paesaggio culturale è a pieno titolo una collezione vivente, da gestire e conservare nella sua vitalità non solo perché è per sua natura in costante mutamento ed evoluzione, ma perché del paesaggio fanno parte anche le persone che lo abitano e vivono e la sua stessa esistenza è determinata dalla percezione che ne hanno e dalla loro partecipazione a tutte le fasi del processo di patrimonializzazione.
Agendo sul e nel paesaggio, i compiti di un centro di responsabilità patrimoniale vanno oltre l'individuazione, la protezione e la gestione del patrimonio culturale e abbracciano tutti gli aspetti del contesto in cui operano: le sue contraddizioni, i suoi conflitti, le scelte di sviluppo. Insieme e in collaborazione con tutti gli attori del governo tecnico del patrimonio, cui offrono la visione e il sapere specialistico di chi conosce in particolare il patrimonio culturale nella sua globalità e complessità.
Questi 'centri di responsabilità patrimoniale', cui - come si è detto - si può continuare ad assegnare, con qualche forzatura, ma anche in linea con il significato mutevole nel tempo del termine, il nome di musei, possono essere immaginati sia come frutto di un'azione spontanea di gruppi o associazioni presenti nel territorio, liberi da vincoli, ma anche resi fragili dal carattere volontario della partecipazione, sia come veri e propri uffici pubblici, costituiti dalle amministrazioni responsabili di un territorio, nel quadro di una logica normativa di cui al momento non esistono segni34.
Da un centro di responsabilità patrimoniale ci si può attendere soprattutto la capacità di invertire la tradizione - diffusa in tutto il mondo al di là delle differenze degli ordinamenti statali - di logiche 'patrimoniali' esclusive, autoritarie, frammentate per affermare un approccio al patrimonio e ai suoi oggetti inclusivo, partecipato, unitario.

Questi tre scenari non sono antitetici o contraddittori tra loro e comunque coesistono nella quarta età del museo in cui sono presenti musei della prima, seconda e terza età dei musei.
Ognuno di questi scenari, anche se in modi diversi propone una forma di relazione con il paesaggio culturale. Ad accomunarli è una visione evolutiva del museo, aperta al cambiamento, al presente, al contesto. Una visione consapevole dei limiti strutturali di un'istituzione che, per quanto mutata dalle sue origini moderne, fatica a liberarsi del tutto dall'originaria vocazione di spazio e istituto separato dal contesto, distinto da altri istituti analoghi (come gli archivi e le biblioteche). Un istituto che si trova al centro di un campo museale ed espografico sempre più ampio quantitativamente e sempre più diversificato al suo interno, ancora dominato dalle partizioni disciplinari che lo suddividono in ambiti e tipologie e soprattutto centrato sulla collezione intesa come insieme di oggetti materiali, mobili ed esponibili. E dunque una visione che cerca di superare il limite originario del museo e che - nel proporre che esso si confronti con il contesto in cui si colloca - si apre all'innovazione, alla sperimentazione, alla ricerca di nuove forme di esistenza e di un nuovo ruolo nelle società contemporanee.
Questa visione del museo, partendo dalla riflessione sui paesaggi culturali e da una profonda rivisitazione della nozione di patrimonio culturale, si propone di ridefinire l'identità stessa del museo centrandola - anziché sulla collezione - sul patrimonio, materiale e immateriale, nella sua globalità e interezza, estendendo così il suo campo d'azione a tutti gli 'oggetti patrimoniali', materiali e immateriali che ne fanno parte evolutivamente nel tempo.
Ne deriva uno sconfinamento del museo in altri ambiti: quello dei monumenti e dei siti, dei documenti e dei testi a stampa, dei beni intangibili e la speranza che da questa confusione di competenze possa emergere un nuovo tipo di istituto del patrimonio a un tempo archivio, biblioteca e museo, centro di ricerca e di studio, ma anche di ascolto e di interpretazione delle comunità patrimoniali, custode dell'eredità del passato, ma anche attore nel presente perché vigile al futuro35.
È una speranza, ma è anche una proposta che si può tradurre in azioni e in fatti, a legislazione immutata, al momento, ma anche nella prospettiva che essa muti e si adegui ai bisogni e alle necessità di una società ben diversa da quella che l'ha prodotta36.

Note

1 La 24a Conferenza Generale di ICOM si è tenuta a Milano dal 3 al 9 luglio 2016. Su proposta del Comitato nazionale italiano il tema della Conferenza è stato Cultural landscapes and museums. "Una questione centrale per l'Italia - abbiamo scritto nel promuoverla - ma anche una prospettiva strategica per i musei del Terzo Millennio in tutto il mondo. Un'occasione e una sfida per il rilancio e il rinnovamento della loro missione e per il rafforzamento del loro ruolo culturale e sociale". Alla Conferenza hanno partecipato oltre 3.400 professionisti provenienti da 129 paesi di tutti i continenti. È stata certamente la Conferenza generale meglio riuscita degli ultimi decenni e al suo termine è stata approvata un'importante Risoluzione finale che, senza timore di eccedere nella valutazione, ha restituito alla migliore museologia italiana il ruolo che meritava.
2 La "salvaguardia" è cosa diversa dalla "protezione" che si applica ai soli beni materiali attraverso divieti (di distruzione, modificazione, commercio, esportazione, ecc.) e obblighi (di autorizzazione da parte degli enti competenti). La nozione è stato introdotta dalla Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale (Parigi, 17 ottobre 2003) dell'UNESCO dove per salvaguardia "s'intendono le misure volte a garantire la vitalità del patrimonio culturale immateriale, ivi compresa l'identificazione, la documentazione, la ricerca, la preservazione, la protezione, la promozione, la valorizzazione, la trasmissione, in particolare attraverso un'educazione formale e  informale, come pure il ravvivamento dei vari aspetti di tale patrimonio culturale.
3 http://whc.unesco.org/en/culturallandscape/. Questo URL e gli altri riportati di seguito sono stati verificati il 22/08/2017.
4 Convenzione europea del Paesaggio (Firenze 20 Ottobre 2000), http://www.coe.int/en/web/landscape/home.
5 D. Jalla, Common Ground. Grappling with the key terms of Milano 2016, in "ICOM News" / "Nouvelles de l'ICOM" / "Noticias del ICOM", 68, 3-4, december 2015, https://issuu.com/internationalcouncilofmuseums/docs/icomnews68-3-4-ang.
6 Considerare 'familiari' i paesaggi culturali in cui viviamo e di cui siamo parte, rinvia a quell'idea di patrimonio culturale su cui, nell'ormai lontano 1974, Andrea Emiliani scriveva, affermando che "il patrimonio, almeno come lo intendiamo oggi, è sempre vissuto con noi e fra noi, entità concreta del luogo e del paesaggio, della sopravvivenza e del lavoro; ed ha finito per confondersi vitalmente con le nostre giornate, le nostre occupazioni, i nostri progetti." (A. Emiliani, Una politica per i beni culturali, Einaudi, Torino 1974, p. 27).
7 N. Mitchell, M. Rössler, P.-M. Tricaud, World Heritage Cultural Landscapes. A Handbook for Conservation and Management, World Heritage Centre UNESCO, Paris 2009, p. 17, http://whc.unesco.org/documents/publi_wh_papers_26_en.pdf.
8 31st General Assembly of ICOM Milan, Italy, 2016, Resolution No. 1: The Responsibility of Museums Towards Landscape, http://icom.museum/the-governance/general-assembly/resolutions-adopted-by-icoms-general-assemblies-1946-to-date/milan-2016/.
9 D. Jalla, Musei e "contesto" nella storia dell'ICOM (1946-2014): una prospettiva di analisi in preparazione della 24a Conferenza generale del 2016, https://www.academia.edu/16082823/Musei_e_contesto_nella_storia_dell_ICOM_1946-2014_una_prospettiva_di_analisi_in_preparazione_della_24a_Conferenza_generale_del_2016._2016_ .
10 "Il processo di sviluppo storico è un'unità nel tempo, per cui il presente contiene tutto il passato e del passato si realizza nel presente ciò che è essenziale, senza residuo di un inconoscibile che sarebbe la vera essenza" (A. Gramsci, Lettere dal carcere, Einaudi, Torino, 1947, p. 169).
11 Per 'oggetto patrimoniale' propongo di intendere ogni elemento minimo del patrimonio culturale, dotato di una riconoscibile e riconosciuta identità propria, ogni sua unità, indipendentemente dalla sua natura materiale o immateriale. Non "una realtà in sé, ma un prodotto, un risultato o un correlato ... ciò che è posto o gettato in faccia (ob-jectum, Gegen-stand) da un soggetto che lo tratta come differente da sé, anche quando considera sé stesso come oggetto", se ci richiamiamo - estendendola - alla definizione di oggetto museale proposta dai Concetti chiave di Museologia che lo distingue dalla cosa, "che intrattiene al contrario con il soggetto un rapporto di contiguità o strumentale" e aggiungiamo noi, affettiva. Se "un oggetto museale è una cosa musealizzata, una cosa che, in generale, può essere definita come qualsiasi tipo di realtà", un oggetto patrimoniale è una cosa patrimonializzata, investita cioè di un valore patrimoniale (culturale) preminente rispetto ad altri suoi valori, passati e presenti e per questo sottoposta a una speciale protezione (materiale o immateriale, e anche giuridica) e conservata in vista di una sua trasmissione.
12 Contesto mi sembra essere il termine più appropriato per definire l'insieme di elementi e circostanze che circondano un fatto o una situazione. Nel suo uso primario (linguistico), il termine definisce anche la relazione tra una parte del testo e la sua interezza. Se consideriamo il museo come testo, la pienezza del suo significato può essere colta solo individuando le sue molteplici relazioni con il contesto, non solo tangibile, in cui si trova, e che determinano il significato e il ruolo non solo delle sue collezioni, ma anche del museo come istituzione. I contesti di cui i musei fanno parte e all'interno del quale si trovano sono molteplici e interdipendenti: spaziali, temporali, economici, ideologici, politici, sociali e di pertinenza del patrimonio. La relazione tra il museo e il suo contesto è quindi espressione di una complessa dialettica che, nella sua forma più semplice, ha un orientamento bidirezionale che va dal contesto al museo e al museo al contesto. Poiché il museo riceve e dà, prende e ritorna, assorbe e rilascia, provoca uno scambio complesso di beni e valori che definiscono il suo ruolo e la sua funzione, che si differenziano nel tempo e nello spazio.
13 "Oggetti d'affezione", non tanto nel senso dato all'espressione proposta da Man Ray per indicare i suoi ready made, ma quelle cose e memorie che un individuo conserva in primo luogo per il loro valore simbolico. È una prima forma di patrimonializzazione, privata come quella che investe i 'beni di famiglia', diversa, nelle origini e negli scopi quella che origina una collezione. Devo lo stimolo a riflettere sugli oggetti di affezione a Pietro Clemente, "Un fiore di pirite". Introduzione ai nostri "oggetti di affezione", in P. Clemente e E. Rossi, Il terzo principio della museografia, Carocci, Roma 1999, pp. 151-158.
14 J.-P. Babelon, A, Chastel, La notion de patrimoine, Liana Levi, Paris 1994, p. 108.
15 Convention Concerning the Protection of the World Cultural and Natural Heritage, http://whc.unesco.org/en/conventiontext/.
16 Convention for the Safeguarding of the Intangible Cultural Heritage, http://www.unesco.org/culture/ich/en/convention.
17 UNESCO World Heritage Centre, Background document ON UNESCO World Heritage Cultural Landscapes, prepared by Dr M. Rössler, 2001, www.fao.org/.../WorldHeritage_CulturalLandscapes_MechtildRoessler.pdf.
18 Convention on the Value of Cultural Heritage for Society,  2005, http://www.coe.int/en/web/culture-and-heritage/faro-convention.
19 "Si l'on veut distinguer la collectivité, comme collection d'individus ayant des intérêts et des caractères communs, de la communauté, qui en désignerait l'ensemble, sous une forme plus globale, dotée d'une personnalité unique, on pourrait dire que le patrimoine fait d'une collectivité une véritable communauté. Il transforme les populations en Peuples et les territoires en Nations" (Se si vuole distinguere la collettività, come  collezione di individui che hanno interessi e caratteri comuni, dalla comunità che ne designerebbe l'insieme, in una forma più globale, dotata di una personalità unica si potrebbe dire che il patrimonio culturale fa di una collettività una vera comunità. Trasforma le popolazioni in Popoli e i territori in Nazioni). M. Melot, Qu'est-ce qu'un objet patrimonial?, in "Bulletin des bibliothèques de France (BBF)", 5, 2004, pp. 5-10 (http://bbf.enssib.fr/consulter/bbf-2004-05-0005-001).
20 Disponibile online in inglese, francese, spagnolo, e naturalmente in italiano, sul sito di ICOM e su quello di ICOM Italia (http://www.icom-italia.org/) nella sezione 'Documenti'. Nello stesso sito si trova anche (solo in italiano) la Carta di Siena 2.0 approvata dalla Conferenza permanente delle Associazioni museali italiane a Cagliari il 20 ottobre 2016.
21 Questa parte del testo riprende, con alcune variazioni, l'intervento svolto a Brescia nell'incontro preparatorio alla Conferenza generale di Milano 2016 Museums, territorial systems and urban landscapes del 27-28 novembre 2015.
22 S. Quiccheberg, Inscriptiones ... (tradotto in inglese in The first treatise of museums. Samuel Quiccherberg's Inscriptiones, 1565, The Getty Research Institute, Los Angeles 2013) e C. F. Neickel, Museographia, Michael Hubert, Liepzig 1727 (tradotto in italiano: C.F. Neickel, Museographia. Guida per una giusta idea ed un utile allestimento dei Musei, CLUEB, Bologna 2005).
23 A. Quatremère de Quincy, Lettres sur le préjudice qu'occasionneroient aux arts et à la science, le déplacement des monumens de l'Italie, le demembrement de ses écoles, et la spoliation de ses collections, galeries, musées, etc. (1796), disponibile anche in italiano: Lo studio delle arti e il genio dell'Europa, Nuova Alpha Editoriale, Bologna 1989.
24 Si veda la voce Contexte nel Dictionnaire encyclopédique de muséologie, sous la direction de André Desvallées et de François Mairesse, Armand Colin, Paris 2011, pp. 582-583.
25 Sulla nozione di 'museum oriented' e sulle seguenti ('context oriented' e 'context museum') si veda D. Jalla, Musei e contesti nella storia dell'ICOM, cit.
26 "La democratizzazione della cultura, dominante nell'Europa e nel Canada dell'Europa postbellica fino agli anni Sessanta, si concentra sul" valore civilizzatore delle arti "e privilegia l'accesso del grande pubblico alle più alte forme della cultura europea. Attraverso questa lente, il ruolo del governo è estendere l'accesso alle opere culturali a un pubblico di massa che non ha accesso immediato a loro per carenza di reddito o di istruzione (Evrard, 1997). [...] La democrazia culturale, nel frattempo, è emersa nel dibattito politico culturale europeo negli anni settanta, in gran parte come una critica di democratizzazione della cultura, vista come un approccio omogeneizzante di elitismo "top-down" alla cultura che ignorava espressioni e pratiche culturali al di fuori del canone principale (Matarosso e Landry, 1999; Baeker, 2002). Si va così oltre l'accento all'accesso alle opere culturali per incorporare l'accesso ai mezzi di produzione e distribuzione culturale" (M. Gattinger, Democratization of Culture, Cultural Democracy and Governance, School of Political Studies, University of Ottawa, 2011, http://www.cpaf-opsac.org/en/themes/documents/CPAF_2011_AGM_Democratization_of_Culture_Cultural_Democracy_Governance_Mar082012_000.pdf).
27 Nathalie Heinich, definisce questo fenomeno 'une inflation patrimoniale', un'inflazione patrimoniale. N. Heinich, La Fabrique du Patrimoine, Édition de la Maison des Sciences de l'Homme, Paris 2009, pp. 15-34.
28 F. Mairesse, La belle histoire aux origines de la nouvelle muséologie, in "Publics et musées", 17-18, 2000, pp. 42-43.
29 Si veda la proposito il recentissimo libro di Hugues de Varine, L'écomusée au singulier et pluriel. Un Tèmoignage sur cinquante ans de muséologie communautaire dans le monde, l'Harmattan, Paris 2017 (di imminente traduzione in italiano).
30 È quanto Michael Baxandall definisce "il bagaglio culturale di idee non sistematiche, di valori, e ... di obiettivi" del visitatore, ammonendo che "il curatore non può rappresentare una cultura" ma - che nella posizione mediana tra il produrre degli oggetti e l'osservatore, il suo compito è di creare "condizioni stimolanti e non fuorvianti nello spazio che si situa tra l'attività che gli compete [...] e quella di ha prodotto gli oggetti. Il resto pertiene all'osservatore". M. Baxandall, Intento espositivo, in I. Karp e S. D. Lavine, Culture in mostra. Poetiche e politiche dell'allestimento museale, CLUEB, Bologna 1995, pp. 15-26.
31 Nei suoi celebri "sei principi dell'interpretazione" di Freeman Tilden, afferma: "1) "Ogni interpretazione di un paesaggio, di un'esposizione, d'un racconto che non faccia appello, in un modo o nell'altro a un tratto della personalità o dell'esperienza del visitatore è sterile. 2) La sola informazione non è interpretazione. Questa una rivelazione fondata sull'informazione. Le due cose sono totalmente differenti anche se ogni interpretazione presenta delle informazioni. 3) L'interpretazione è un'arte che ne combina molte altre, che la materia prima sia scientifica o architettonica. Ogni arte può essere più o meno insegnata in qualche misura. 4) L'interpretazione cerca di provocare più che di istruire. 5) L'interpretazione deve tentare di presentare un tutto piuttosto che una parte e rivolgersi alla persona nella sua interezza piuttosto che a una delle sue caratteristiche. 6) L'interpretazione per i bambini (cioè fino all'età dei dodici anni) non deve essere un'edulcorazione di quella che si propone agli adulti. Deve seguire una via del tutto diversa. Darà i suoi migliori risultati obbedendo a un programma distinto". F. Tilden, L'interprétation de notre patrimoine (1957), in Vagues. Une anthologie de la nouvelle muséologie, vol. 1, W-M.N.E.S., Mâcon-Savigny-le-Temple 1992, pp. 250-1.
32 G. Steiner, Vere presenze, Garzanti, Milano 1998, p. 21.
33 Da questo punto di vista, la conoscenza che abbiamo dei pubblici dei musei è insufficiente se, oltre a misurarne la soddisfazione, non è in grado di ragguagliarci sull'impatto cognitivo della visita di un museo o di una mostra, o di fornirci informazioni sulla visione patrimoniale dei visitatori e sui cambiamenti che la visita ha o non ha prodotto.
34 Può venire spontaneo chiedersi, in Italia, se questo istituto non esista già e non sia costituito dalle Soprintendenze territoriali. No, purtroppo. Non solo perché non sono enti condivisi con le amministrazioni locali, perché agiscono su ambiti territoriali di scala (regionale o subregionale) troppo vasti per consentire quella vicinanza alle comunità che ne consentirebbe la partecipazione, ma soprattutto perché la loro competenza si limita alla protezione e non include anche la valorizzazione e gestione - diretta o indiretta - del patrimonio culturale. Per questo, da ben più di un decennio, ICOM Italia ha puntato piuttosto su una prospettiva 'museocentrica' assegnando ai musei il ruolo di 'presidi territoriali di una tutela attiva' che, nella proposta di considerarli 'centri di responsabilità patrimoniale, a mio parere, si rafforza e trova un coerente sviluppo. Possibile, per quanto lontano, nel quadro di un nuovo modello di tutela che si ispiri a valori e modi di operare che in questo saggio ho cercato di individuare.
35 Nella stesura di questo testo, al di là delle citazioni riportate in nota ho potuto avvalermi della moltitudine di contributi, di stimoli di idee ricevuti nei convegni, nei seminari, negli incontri con professionisti museali e studiosi di molte parti del mondo, ma vorrei esprimere soprattutto la mia gratitudine nei confronti delle colleghe e dei colleghi di ICOM Italia con cui ho condiviso la preparazione e organizzazione, faticosa ma anche esaltante della Conferenza generale di ICOM Milano 2016.
36 Questo testo riprende, con modifiche e aggiunte, quello in corso di pubblicazione in lingua inglese nel numero di Museum International dedicato al tema della 24a Conferenza internazionale di ICOM Museums and cultural landscapes.


Speciale Paesaggi culturali e musei - pag. 9 [2017 - N.59]

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