Le parole del dialogo

Per una convergenza linguistica delle istituzioni della memoria

Maurizio Vivarelli - Università di Torino, Dipartimento di Studi storici

Le parole sono importanti
Nel corso del tempo le relazioni tra archivi, biblioteche, musei, radicate nel cosmopolitismo erudito europeo (historia litteraria) del Sei e Settecento, sono state interpretate a partire da punti di vista differenti ed eterogenei, che hanno messo in rilievo, di volta in volta, gli elementi di continuità e quelli invece che ne marcano più decisamente le distanze e le differenze. Il modificarsi dei modelli di organizzazione della conoscenza, la diffusione delle tecnologie dell'informazione, nelle loro varie forme, stanno da molti anni suscitando un articolato dibattito, volto a discutere le molte implicazioni di queste problematiche. La riflessione critica sulla fisionomia delle culture digitali, sotto molti aspetti, potrebbe costituire l'occasione per un ripensamento utile e produttivo delle relazioni tra le diverse prospettive teoriche, metodologiche, procedurali delle diverse tradizioni disciplinari.
Si tratta comunque, ciò premesso, di provare almeno a interpretare queste problematiche alla luce di una prospettiva d'indagine proiettata, per così dire, lungo l'asse della lunga durata, che non accolga, in modo sostanzialmente fideistico, le sollecitazioni e le opportunità, vere o presunte, che possono scaturire da una visione dei fatti di natura sostanzialmente tecnocratica, e che sia invece in grado di mettere in evidenza, anche, gli elementi comuni agli specifici campi disciplinari. Ciò può essere utile sia sotto il profilo della elaborazione teorica che sotto quello della messa a fuoco di una infrastruttura identitaria condivisa, che si qualifichi come propedeutica rispetto all'indispensabile riposizionamento documentario di archivi, biblioteche e musei, tanto più necessario in una stagione politico-culturale caratterizzata da una sensibile e generalizzata diminuzione delle risorse, umane e finanziarie, disponibili.
Ciò non implica in alcun modo, naturalmente, la messa in discussione preliminare e pregiudiziale dei modelli teorici delle diverse tradizioni; al contrario si potrebbe e forse si dovrebbe ipotizzare l'avvio di una riflessione ampia e articolata che può trovare un suo significativo punto di snodo proprio nelle parole che costituiscono il lessico delle diverse discipline. Richiamando i celebri studi di Michel Foucault, potremmo certamente affermare che archivistica, biblioteconomia, museologia individuano tratti specifici della propria identità nelle attività di ordinamento di cose, di volta in volta qualificate, nei diversi lessici, come 'documenti', 'risorse documentarie', 'oggetti culturali', 'beni' delle diverse tipologie (storico-artistici, architettonici, paesaggistici, demo-etno-antropologici etc.), e poi ancora 'documenti digitali', e infine 'dati', nella loro specifica configurazione digitale. Come nella celebre enciclopedia cinese evocata da Jorge Luis Borges le cose possono essere ordinate nei modi più diversi ed eteronomi; è per questo che gli animali possono essere divisi in "a) appartenenti all'Imperatore" e, obliquamente, "m) che fanno l'amore", o "n) che da lontano sembrano mosche". Foucault intravedeva, in questa bizzarra e inquietante classificazione, l'emersione di qualcosa di peggiore dell'affiorare dell'incongruo; nella successione bizzarra egli vedeva affiorare "i frammenti di un gran numero di ordini possibili nella dimensione, senza legge e geometria, dell'eteroclito", in cui le cose sono "coricate", "posate", "disposte" in luoghi tanto diversi che è impossibile trovare per essi uno spazio che li accolga, definire sotto gli uni e gli altri un luogo comune".1
La pensabilità del luogo comune è costituita in primo luogo dal linguaggio. La congerie di fatti disordinati che si manifesta nell'eteroclito mina all'origine la possibilità di "nominare questo e quello", e risulta dunque devastata la sintassi, che non solo governa l'ordine delle parole nelle frasi, ma soprattutto ha o dovrebbe avere la capacità di "tenere insieme" le parole e le cose.
Lavorare per un lessico comune
Questo numero di Museo informa si propone di pubblicare i primi esiti di una riflessione comune interna al campo dei beni culturali, affidata a Marco Carassi e Daniele Jalla, che si radica su di un termine denso, stratificato, complesso: patrimonio.
Nel Vocabolario Treccani, "patrimonio", nel suo significato più vicino alle caratteristiche della trattazione ospitata in questa sede, è "Il complesso dei beni, mobili o immobili, che una persona (fisica o giuridica possiede" (http://www.treccani.it/vocabolario/patrimonio/). Questo 'complesso' è costituito in primo luogo da 'cose', rispetto a cui si rivolgono i diritti giuridici esercitati. Le 'cose', oggetto del diritto, corrispondono sul piano economico al concetto di 'bene', che poi si differenzia a seconda che la titolarità del possesso sia attribuita alle persone giuridiche pubbliche o a quelle private. Queste 'cose', che sono 'beni', divengono infine 'beni culturali' quando, come recita il Codice dei beni culturali e del paesaggio, "presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico". E questi 'beni culturali', infine, diventano i termini utilizzati nei lessici tecnici della museologia, dell'archivistica, della biblioteconomia: collezione, complesso documentale, risorse documentarie, nelle loro molteplici varianti.
Il patrimonio è quanto archivi, musei, biblioteche, hanno, sul piano giuridico e culturale, ricevuto in eredità; ed è nelle 'cose' che lo compongono, in cui è impressa la nostra memoria culturale, che si situano i molteplici ordini del discorso che si sono andati definendo nel divenire delle diverse tradizioni disciplinari, che tuttavia, a livello mitico e archetipico, continuano tutte a risiedere nel 'μουσεῖον', il tempio fondativo e originario dedicato alle Muse, figlie di Zeus e di Mnemosyne.
Archivi, biblioteche, musei, sono i 'luoghi' in cui vengono conservati, ordinati, gestiti, comunicati le 'cose' e i 'beni' in cui la conoscenza diviene memoria, che per la sua natura intima e costitutiva deve essere condivisa e resa accessibile a tutti. In questo senso, dunque, le 'cose' e i 'beni' in cui si sostanzia il patrimonio non possono che essere 'beni comuni', cioè appartenenti alla comunità nel suo insieme, almeno sotto il profilo della appropriazione sociale e cognitiva.
Questo ragionamento condiviso sul concetto di patrimonio, declinato nelle diverse tradizioni disciplinari, a me pare dunque orientato, prospetticamente, alla individuazione della fisionomia e dei tratti di quei luoghi comuni la cui problematica esistenza è richiamata nel testo di Foucault. Personalmente sono dell'avviso che da questa interessante ricognizione, che è nello stesso tempo storica, culturale, e linguistica, dovranno necessariamente emergere da un lato gli elementi di consapevolezza della unitarietà sostanziale delle 'cose' del patrimonio inteso nel loro insieme, e nello stesso tempo la presa d'atto degli esiti dei processi di definizione delle tradizioni delle discipline che di queste 'cose' si occupano, all'interno di discorsi che si sono progressivamente differenziati, a partire da quelle radici comuni, ben presenti nelle culture della prima età moderna.
Uno sguardo olistico su questi fenomeni e su questi processi è quanto serve per cercare poi di individuare, nella concretezza delle diverse dinamiche progettuali e organizzative, ciò che può essere utile per tenere insieme i discorsi su quelle 'cose', e per dare origine a servizi che, quando è necessario, si sforzino di ricostruire quei quadri d'assieme e quei contesti - storici e documentari - spesso difficili da cogliere nelle dinamiche frammentate e scheggiate di questa tarda e stanca modernità.

1 M. Foucault, Le parole e le cose. Un'archeologia delle scienze umane, con un saggio di Georges Canguilhem, BUR, Milano 2009 (Les mots et les choses, 1966), p. 5 e ss. La citazione di Borges dell'Emporio celeste di conoscimenti benevoli è tratta da L'idioma analitico di John Wilkins, in Altre inquisizioni, Feltrinelli, Milano 1963 (Otras inquisiciones, 1952)


Speciale lessico condiviso: il concetto di patrimonio - pag. 11 [2017 - N.58]

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