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LaRa presenta cinque specifici laboratori didattici per le scuole per l'anno scolastico 2007-2008.

Valentina Strocchi, Silvia Zingaretti - Fondazione RavennAntica

La Fondazione RavennAntica ha chiuso in modo estremamente positivo la stagione estiva. Moltissimi sono stati i visitatori italiani e stranieri che sono venuti ad ammirare la Domus dei Tappeti di Pietra e la mostra Felix Ravenna o che hanno partecipato alle serate della Luna a San Nicolò, dedicate alle conversazioni archeologiche, al cinema d'essai, ai concerti, agli spettacoli per bambini ed alla ludoteca.

Felix Ravenna, incentrata sui rapporti tra la nostra città e l'alto Adriatico, ha riscosso notevole successo e permesso di approfondire la conoscenza del secolo d'oro di Ravenna. L'esposizione Mosaici d'Oriente, invece, allestita nella centralissima chiesa di San Domenico e legata all'importante lavoro di restauro effettuato sui mosaici siriani nell'ambito di un'importante strategia internazionale, già dopo il primo mese di apertura aveva superato le 22.000 presenze, terminando in maniera eccellente.

In attesa del nuovo evento espositivo, previsto per la prossima primavera, nella stagione autunnale, in concomitanza con l'apertura delle scuole, la Fondazione si rivolge ai più giovani.
"LaRa", la sezione didattica di RavennAntica, è ormai attiva da diversi anni presso il Complesso di San Nicolò di via Rondinelli: lo scorso anno è stata potenziata, attrezzando una seconda aula didattica che ha consentito, nei mesi primaverili appena trascorsi, di ospitare più di 4.000 studenti che hanno partecipato con entusiasmo alle visite guidate e alle attività didattiche. I laboratori sono poi proseguiti per tutta l'estate consentendo a quasi 400 bambini di "giocare con l'arte"" divertendosi e imparando.

"LaRa" si presenta come il contesto didattico ideale perché consente di far vivere l'esperienza artistica attraverso percorsi appositamente studiati per le diverse età dei partecipanti. Le proposte didattiche sono concepite per far sperimentare le antiche tecniche artistiche e per far conoscere il patrimonio ravennate mentre i percorsi tematici sono estremamente flessibili per meglio adattarsi alle caratteristiche delle classi e alla formazione culturale di bambini e ragazzi.

Oltre ai percorsi standard, per il periodo invernale sono state pensate inoltre una serie di proposte che affrontano temi specifici come il ritratto, gli animali simbolici e il Natale: le immagini dei soggetti proposti all'interno dei vari percorsi saranno visibili, a breve, sul sito internet www.ravennantica.it.

Durante i secoli molti sono gli animali che hanno caratterizzato le diverse culture, alcuni reali altri immaginari, ma sempre carichi di valenze simboliche e magiche. Il percorso Animali simbolici e immaginari si propone di mettere in evidenza le varie simbologie in riferimento ai mosaici ravennati e agli antichi bestiari medievali (es. fenice, drago, pecora, colomba).
In riferimento ai mosaici ravennati il percorso Ritratti, volti e figure prevede l'osservazione dei soggetti più famosi, mettendo in risalto le differenze fra le varie figure e confrontandole con ritratti realizzati con altre tecniche artistiche.

La Domus dei Tappeti di Pietra è un percorso per approfondire la conoscenza di uno dei più bei luoghi della città di Ravenna, con la realizzazione di un particolare tratto proprio dai motivi figurativi presenti nei mosaici della Domus.
La lucerna romana, oggetto spesso citato nei libri di testo e visibile in molti musei, è il titolo del percorso che, dopo una prima fase manipolativa, viene realizzato direttamente dai bambini.

"LaRa" offre la possibilità alle scuole che lo desiderano di realizzare nell'ambito del Percorso Natalizio, lavori a soggetto natalizio, alcuni liberamente ispirati alla tradizione musiva ravennate, altri invece alla classica iconografia natalizia.
Tutti i percorsi sopra specificati sono effettuati nei mesi di ottobre, novembre e dicembre previa prenotazione telefonica e si compongono di almeno 2 incontri. La durata media delle attività è di un'ora e mezza (per informazioni: tel. 0544 213371).


Esperienze di didattica museale - pag. [2007 - N.30]

Con il 14° corso "Scuola e Museo" la Provincia di Ravenna invita a usare gli studi antropologici per arricchire la qualità della pratica educativa nei musei.

Alba Trombini - Consulente scientifico 14° Corso "Scuola e Museo"

In oltre 150 anni di vita l'antropologia ha condotto studi e ricerche praticamente in ogni direzione possibile. Da alcuni anni si parla sempre più spesso di antropologia museale ma, anche per chi si muove agilmente nel campo dei beni culturali, capita di non avere del tutto chiari i contorni e i contesti nei quali si muove questa disciplina specialistica. Esattamente qual è il suo campo di indagine, quali fini si pone?

Per meglio comprendere la portata di questo particolare tipo di ricerca antropologica e le potenzialità del suo contributo all'educazione museale la Provincia di Ravenna ha chiesto ad alcuni fra i massimi esperti in materia - provenienti da diverse realtà accademiche e museali italiane - di illustrare principi, metodi e risultati raggiunti dagli studi più recenti in occasione della quattordicesima edizione del Corso "Scuola e Museo".

L'intera giornata del prossimo 30 ottobre è dedicata ad una riflessione sulle caratteristiche delle complesse relazioni che si instaurano fra uomini, città e musei e all'analisi del panorama museale demo-etno-antropologico italiano per avvicinare al punto di vista comparativo e critico della prospettiva antropologica e per porre uno sguardo anche al rapporto che si è venuto a creare fra ricerca antropologica e arte contemporanea. Siamo convinti che per quanti si occupano di educazione al patrimonio e di didattica museale sia importante esplorare i concetti di identità e cultura in relazione ai contesti museali etnografici (e non solo) e comprendere la funzione e le potenzialità educative dell'ecomuseo urbano e del museo diffuso.

Grazie al patrocinio dell'IBC e di SIMBDEA (Società Italiana per la Museografia e i Beni Demoetnoantropologici) - e grazie alla preziosa collaborazione di Mario Turci, uno fra i maggiori esperti italiani nel campo dell'antropologia museale - è stato possibile riunire intorno allo stesso tavolo di lavoro specialisti e studiosi come Clemente, Sobrero, Padiglione, Jallà, Lattanzi, Lusini e Simone.

Entriamo ora brevemente nel merito dei singoli contributi: nella sessione mattutina Daniele Jallà, Presidente ICOM Italia, introduce il tema della giornata con una relazione dal titolo Il museo della città: i modelli del passato, le esigenze del presente. Pietro Clemente, docente di Antropologia culturale all'Università di Firenze, affronta il tema specifico dei Musei della culture: patrimonio, società civile, consumi, e antropologia del mondo globale mentre Vincenzo Padiglione, docente di Antropologia museale all'Università La Sapienza, intitola il suo contributo La svolta riflessiva nella museologia: tra richiami all'ordine e sperimentazioni. Mario Turci, docente di Antropologia museale all'Università di Parma, conclude la prima parte di introduzione generale con un intervento dal titolo Raccontare gli altri: politiche dello sguardo e poetiche dell'orma nel museo.

Nella sessione pomeridiana si entrerà nel merito di casi specifici con Alberto Sobrero, docente di Antropologia Urbana all'Università La Sapienza, che attraverso Riflessioni sull'ultimo libro di Jean Loup Arselle ci accompagna verso uno sguardo particolare alle esposizioni africane; Vito Lattanti, antropologo del Museo Nazionale "Pigorini" di Roma, discute su Musei etnologici e didattica delle differenze. Continua poi il confronto sulle note di Valentina Lusini, docente di Antropologia dell'arte all'Università di Siena, che affronta il tema della relazione fra Antropologia culturale e arte contemporanea: territori, documenti e metodi condivisi per concludere con Vincenzo Simone, dirigente del Settore Educazione al patrimonio culturale della Città di Torino, con un intervento sul senso e la funzione dell'Ecomuseo urbano di Torino.

Al termine delle relazioni degli studiosi, come prezioso contributo finale, verranno intervistati alcuni degli ultimi esponenti della civiltà dei salinari e dei capannari che collaborano rispettivamente al Museo del Sale di Cervia e all'Ecomuseo della Civiltà Palustre di Villanova di Bagnacavallo.

Esperienze di didattica museale - pag. [2007 - N.30]

Pier Domenico Laghi - Dirigente Settore Cultura Provincia di Ravenna

Abbiamo celebrato, nell'anno da poco concluso, i primi dieci anni del Sistema Museale della Provincia di Ravenna e della pubblicazione di questa rivista con l'impegno di consolidare e sviluppare quanto di positivo fin qui sperimentato. Il primo numero del 2008 di "Museo-informa" tiene fede a questo impegno e presenta insieme elementi di consolidamento e di sviluppo.

Nella prospettiva del consolidamento sono assicurati, e per quanto possibile rafforzati, i contributi dei soggetti e delle istituzioni culturali che danno vigore alla rete di relazioni tra realtà che operano in ambito provinciale, regionale ed anche oltre.

Per quanto riguarda lo sviluppo presentiamo alcuni elementi di novità. In prima istanza sviluppo quantitativo: la foliazione aumenta a ventiquattro pagine, la tiratura aumenta a duemila copie, per garantire maggiore informazione e migliore diffusione. Poi sviluppo qualitativo in termini di approfondimento e di contenuti: già in questo numero troviamo un intervento di Pierluigi Sacco sul tema del rapporto tra distretti culturali evoluti e musei, che riprende e sistematizza un dibattito che si sta svolgendo sul territorio provinciale, a partire da due importanti convegni tenuti a Faenza negli anni 2006 e 2007; dal prossimo numero diventerà consuetudine ospitare le recensioni delle pubblicazioni realizzate dai musei aderenti al Sistema Provinciale, come completamento e approfondimento di "Bibliomuseo in-forma", nato in occasione del decennale, che continuerà la pubblicazione in forma elettronica, facilmente consultabile e scaricabile dal sito del Sistema.

Dalle novità ai contenuti di questo numero, due sono i temi portanti; il restauro e l'omaggio a Corrado Ricci.

Il primo, in sintonia con il consolidato appuntamento primaverile del Salone del Restauro di Ferrara, traccia le linee delle azioni messe in campo dall'IBC e per un caso, insieme didattico e di recupero, dall'Accademia di Belle Arti, fino ad incrociare il tema della conservazione del patrimonio architettonico; questo ci permette di collegare le figure di Pietro Bottoni e Gio Ponti con quella di Giulio Ulisse Arata, in memoria del quale è appena stato completato il volume Arata a Ravenna. Opere e progetti nella città di Corrado Ricci.

Il secondo tema, a cui è dedicato lo Speciale così come, con positivo coordinamento, i contributi della Sovrintendenza e dell'Università, è l'omaggio a Corrado Ricci in occasione dei 150 anni dalla nascita. Un omaggio a tutto tondo che spazia dalla biografia intellettuale ai diversi aspetti dell'attività di museologo e della vita e che aggiunge un piccolo ma significativo contributo al grande impegno che le istituzioni culturali ravennati hanno profuso per dare importanti contenuti a tale ricorrenza, e che sono illustrati nelle pagine che seguono.

Infine, attraverso l'invito di Pier Luigi Sacco, che ci propone "piuttosto che inseguire formule predefinite, occorre allora fare in modo che sia il dialogo tra il museo e il suo territorio a definire il modello di uso dello spazio e dei tempi del museo stesso", vogliamo indicare una pista di riflessione per il Sistema Museale, per produrre nuovi modelli di relazione tra museo e territorio e, quindi, di ridefinizione della propria identità. Le esperienze di didattica museale della Pinacoteca e del Plesso di scuola elementare Pirazzini di Faenza ci presentano una possibile declinazione. Alcune delle attività realizzate per la celebrazione di Ricci ce ne indicano altre. Quali ulteriori esperienze possiamo portare a modello? Al lavoro, poiché questo "dialogo presuppone un forte investimento del territorio in una crescita della proprie competenze culturali".


Editoriale - pag. [2008 - N.31]

Le molteplici iniziative presentate dall'IBC contribuiscono a rendere il Salone del Restauro di Ferrara un importante momento di confronto e discussione

Lidia Bortolotti - Istituto per i Beni Culturali

Come è ormai consuetudine fin dal 1991, anno della prima edizione, anche quest'anno, dal 2 al 5 aprile, gli spazi fieristici ferraresi ospiteranno il XV Salone del Restauro. Da sempre l'IBC vi partecipa con impegno contribuendo attivamente a rendere l'appuntamento un importante momento di confronto e discussione sulle problematiche afferenti ai beni culturali. I diversi servizi sono direttamente coinvolti nell'organizzazione delle iniziative presentate dall'Istituto, di norma convegni, presentazioni di progetti, pubblicazioni ed eventi espositivi che, nella presente edizione, sarà ospitato all'interno dello stand IBC. È prassi consolidata affidare a questo specifico spazio un delicato ruolo di rappresentanza. Al pari delle altre iniziative lo stand rappresenta la vetrina privilegiata della nostra attività, luogo di ascolto e di contatto con il folto pubblico della Fiera e punto per la presentazione dell'attività svolta.
L'evento espositivo presentato nello stand dell'IBC è il restauro, effettuato grazie ai finanziamenti erogati con il Piano museale 2005 Legge regionale 24 marzo 2000, n. 18 (Norme in materia di biblioteche, archivi storici, musei e beni culturali), a favore del Museo d'Arte della città di Ravenna. Proseguendo un percorso di restauro di opere d'età contemporanea già avviato sul Piano 2004, con gli interventi sulle opere Paesaggio in polvere di Franco Guerzoni, Così a lungo preda dell'aria di Sergio Monari e Prigione di Mirko Basaldella, in accordo con Nadia Ceroni, conservatore del Museo, è stato individuato nei depositi delle collezioni della Pinacoteca un pregevole nucleo consistente in 21 cartoni per mosaici a tema dantesco, realizzati in occasione delle celebrazioni per il VII centenario della nascita del poeta svoltesi a Ravenna nel 1965 e un ritratto in foglia d'oro su vetro di Dante. La commissione costituitasi allo scopo di organizzare l'evento, scelse un gruppo di artisti - taluni molto noti - per ideare i cartoni sui quali eseguire i mosaici celebrativi, indicando a ciascuno un certo numero di canti della Commedia cui ispirarsi per l'elaborazione del bozzetto preparatorio. La scuola ravennate di mosaico, ed altri mosaicisti locali, tradussero i bozzetti elaborati dagli artisti in opere che furono oggetto di una prima mostra nel 1965 in San Vitale (riproposta nel '95) e che tuttora si conservano a Ravenna presso la sala conferenze di Mirabilandia.
Conservati nei depositi del MAR, questi cartoni si presentavano in condizioni conservative tra loro diverse, estremamente problematiche per alcuni e meno gravi per altri in relazione alle tecniche e ai materiali usati dagli artisti per la loro realizzazione. Il restauro è stato particolarmente attento al risanamento dei supporti, al consolidamento della pellicola pittorica senza tuttavia snaturarne le caratteristiche proprie delle opere. Al laboratorio è inoltre spettato il compito di predisporre i materiali per un'idonea conservazione nei depositi.
Le altre iniziative dell'IBC comprendono la presentazione del volume La cognizione del paesaggio. Scritti di Lucio Gambi sull'Emilia Romagna e dintorni, a cura di Maria Pia Guermandi e Giuseppina Tonet, edito da Bononia University Press, che avrà luogo il 3 aprile. Lucio Gambi (1920-2006), ravennate, è ritenuto forse il maggiore geografo italiano del Novecento, più ogni altro ha contribuito a rinnovare profondamente questa disciplina aprendola al contributo metodologico della ricerca storica, letteraria, sociologica, demografica. Protagonista del dibattito culturale e politico che, a partire dagli anni '60, ha percorso le nostre Università e ha accompagnato l'attuazione delle Regioni, nel 1975 è stato nominato primo Presidente dell'IBC. Il volume raccoglie un'ampia selezione dei suoi scritti che comprende, tra gli altri, contributi sul territorio regionale in cui a lungo Gambi ha operato con ruoli diversi esercitandovi continuativamente la propria riflessione critica. Il volume è integrato da un'ampia sezione di testi on-line consultabili sul sito dell'Istituto all'indirizzo: www.ibc.regione.emilia-romagna.it/luciogambi e completato da una selezione di immagini dell'archivio fotografico IBC.
I tre convegni organizzati dall'IBC si concentrano nella giornata del 4 aprile.
Alla mattina con l'incontro organizzato dalla Soprintendenza per i Beni librari e documentari dell'IBC, in collaborazione con l'Associazione Italiana Biblioteche, l'Associazione Italiana Archivistica Italiana e l'Istituto Centrale di patologia del libro del Ministero per i Beni e le Attività culturali si prosegue la riflessione avviata otto anni fa sulla conservazione dei materiali librari e documentari del Novecento: Le carte della moda pone l'attenzione degli addetti ai lavori sugli archivi di questo particolare ambito.
Pur essendo il mondo produttivo della moda un straordinario veicolo per l'immagine dell'Italia nel mondo, non raccoglie un'adeguata attenzione per quello che concerne la conservazione della documentazione cartacea. Le "memorie della moda", costituite da fonti archivistiche e grafiche, rischiano la dispersione, particolarmente in concomitanza della chiusura di aziende. Il convegno vuole far emergere le diverse fonti (iconografiche, fotografiche, archivistiche e librarie) in gran parte inesplorate, stimolando una più attenta azione conservativa. Saranno trattate tematiche diverse: il rapporto tra soggetti produttori e soggetti conservatori degli archivi, la proliferazione delle riviste di moda, alcune buone pratiche per la gestione e la valorizzazione dei patrimoni, i problemi conservativi delle differenti categorie di materiali compresenti nei centri di documentazione.
Il vintage è un fenomeno che coinvolge estimatori di prodotti di consumo, realizzati nel secolo da poco trascorso e passati di moda. Si tratta di oggetti che possono essere riproposti come elementi d'arredo o riutilizzati recuperandone la funzionalità sia che si tratti di mezzi di trasporto o di comunicazione, possono inoltre essere indossati quando sono abiti e accessori. Su quest'ultima componente del vintage è centrato l'incontro di studio, ne è protagonista l'abito con la sua complessa evoluzione avvenuta nel corso del secolo scorso. Le problematiche sono rappresentate dal come documentare la storia delle sartorie e dei marchi che hanno reso possibile l'affermazione del made in Italy, ma soprattutto come conservare e restaurare materiali sintetici, risultato di tecnologie innovative applicate alle produzioni di materiali tessili.
Il protocollo siglato nel 2004 tra Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici e IBC, finalizzato alla conoscenza e alla conservazione del patrimonio architettonico contemporaneo di qualità, che ha già prodotto diverse iniziative editoriali ed espositive sul tema, è all'origine del convegno Architettura del secondo Novecento. Valorizzazione, tutela e metodologie di restauro.
L'incontro è incentrato sulle figure di due tra i maggiori architetti del Novecento, Piero Bottoni (Milano, 1903-1973) e Gio Ponti (Milano, 1891-1979), cui si devono importanti testimonianze della loro attività nella nostra regione. Saranno presentati quattro casi: la villa Muggia a Imola, esempio di contaminazione tra il nuovo e l'antico, in quanto ampliamento, su progetto di Bottoni del 1936, di una villa preesistente; la casa Minerbi-Dal Sale a Ferrara, intervento eseguito su progetto di Bottoni nel 1953-61, connotato dall'inserimento di spazialità moderne all'interno di un edificio di origine tre-quattrocentesca; il complesso architettonico della Fondazione Garzanti a Forlì, inaugurato nel 1957 su progetto di Gio Ponti; infine, l'Istituto di cultura italiana "Carlo Maurilio Lerici" di Stoccolma, progettato da Ponti nel 1954.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. [2008 - N.31]

A Rimini è visitabile un nuovo complesso archeologico, stratificazione di testimonianze tardo antiche, medievali e moderne

Angela Fontemaggi e Orietta Piolanti - Musei Comunali di Rimini

Dalla Rimini contemporanea esce prepotente il volto della città romana, disegnato dal reticolo stradale che ancora scandisce la trama degli isolati e dai grandiosi monumenti che ne delimitano i confini: l'Arco d'Augusto e il Ponte di Tiberio, solenni omaggi all'autorità imperiale, insieme all'Anfiteatro e a Porta Montanara.
Dal dicembre scorso, un altro importante tassello concorre a caratterizzare questo volto: è il complesso archeologico con la domus del chirurgo, nella centrale piazza Ferrari, a due passi dal Museo della Città. Il progetto espositivo, all'avanguardia per i criteri conservativi e per la visibilità del sito - una grande stanza del percorso museale - ha consegnato alla Città i risultati di scavi archeologici condotti dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia Romagna ad iniziare dal 1989. Chi visita questo spazio incontra ben 2000 anni di storia leggibili nella stratificazione delle più significative testimonianze di ogni periodo: la domus imperiale detta del chirurgo, una residenza palaziale tardoantica, sepolture e tracce di abitazioni altomedievali, strutture di epoca bassomedievale e moderna.
Ad attirare gli sguardi di un pubblico internazionale è la domus da cui proviene l'eccezionale corredo di più di 150 strumenti chirurgici, il più completo della Romanità. Altrettanto eclatante la taberna medica che occupava almeno due delle stanze al piano terra della domus: lo studio con il mosaico di Orfeo attorniato da animali e la stanza per il day hospital, tra i cui arredi è stato riconosciuto un letto. Qui il medico, originario del Mediterraneo orientale e che forse legò la sua formazione all'ambiente militare, esercitò la professione di chirurgo e farmacista nella prima metà del III secolo. Egli stesso confezionava i medicamenti servendosi dei grandi mortai in pietra rinvenuti nella taberna. Altri oggetti parlano di lui, della sua cultura e della sua devozione, rivelando l'adesione ai modelli filosofici del greco Epicuro, l'amore del bello, la nostalgia del suo mare, la fede in Giove Dolicheno, il dio degli eserciti che assicurava la salute dell'anima accanto a quella del corpo. Una casa molto vissuta la sua, ove forse uno dei tanti pazienti volle manifestare la propria riconoscenza affidando a un graffito sulla parete il ricordo del medico: un nome che ha oltrepassato le barriere del tempo per consegnarsi a noi nella probabile interpretazione di Eutyches.
Come spesso accade nella storia fu un evento drammatico a preservare nei secoli la domus e ciò che era al suo interno, dai mosaici, agli affreschi, agli arredi. Alla metà del III secolo infatti un furioso incendio, scatenato probabilmente dalle orde barbariche che scendevano a devastare l'Italia, causò il crollo dell'edificio. Non conosciamo la sorte del medico: certo è che non tornò a cercare fra le macerie il suo prezioso corredo. La domus venne dunque abbandonata e coperta da cumuli di terra, fino a quando, nel V secolo, la parte affacciata su uno dei decumani fu ricostruita nelle forme di una lussuosa residenza con immense sale dai tappeti musivi policromi. Sullo sfondo vi è una città che si rivitalizza grazie al trasferimento della capitale dell'Impero a Ravenna. L'alto tenore della residenza è sottolineato anche dal grande cortile con ninfeo da cui l'acqua scendeva lungo canali a vista, creando una piacevole scenografia. La situazione, nel volgere di pochi decenni, declinò per spegnersi intorno alla metà del VI secolo, quando la Città fu attraversata dalla guerra fra Goti e Bizantini. A questo periodo appartengono le sepolture che vanno ad intaccare i mosaici tardoantichi: un piccolo sepolcreto cresciuto in relazione a un vicino luogo di culto.
La vita tornò ad affacciarsi nel VII secolo con modeste abitazioni che poco avevano in comune con l'orizzonte classico. In piena temperie medievale, le strutture erano sostenute da pali di legno e muri d'argilla, con pavimenti in terra battuta. Utilizzava mattoni di reimpiego il focolare al centro dell'edificio posto all'angolo dell'isolato, fra due strade romane allora ancora in uso. Casupole sempre più fatiscenti continuarono a insistere in quest'area fino all'VIII secolo per poi cedere a coltivazioni ortive. Solo nel '300 la zona sarà occupata da complessi religiosi, fino all'800 quando venne destinata a piazza-giardino. E ora anche a sede di uno dei luoghi più rappresentativi della storia e della cultura di Rimini (per informazioni: tel. 0541 21482).

La pagina del Sistema Museale della Provincia di Rimini - pag. [2008 - N.31]

Gli anni bolognesi videro Ricci protagonista della vita culturale cittadina, in contatto con le maggiori personalità dell'epoca

Luca Ciancabilla - Università di Bologna - Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei beni culturali

Dopo le mostre su Roberto Longhi e Francesco Arcangeli, a partire dal 9 marzo e sino al 22 giugno prossimi il MAR dedicherà, e bisogna sottolineare finalmente, una mostra a Corrado Ricci, che come è noto operò per lungo tempo nella città di Ravenna.
Figura culturale di grandissimo rilievo nell'Italia post-unitaria e sino agli anni '30 del Novecento, a lui si deve l'istituzione del primo organo nazionale di tutela delle opere d'arte, la Soprintendenza ai monumenti di Ravenna, che diresse fino al 1906 - quando andò ad assumere la carica di Direttore Generale per le Antichità e Belle Arti per poi tornare a Ravenna in un secondo tempo - aprendo la strada alla moderne istituzioni nazionali e regionali per la salvaguardia e valorizzazione dei beni culturali.
Proprio agli anni della prima reggenza di Corrado Ricci sono da ricondurre i restauri di alcuni fra i più importanti monumenti della città. Egli per mezzo di mirati interventi scelse di dare una precisa impronta al progetto di recupero delle antichità cittadine, mosaici compresi, compiendo una forte selezione fra le stratificazioni dei monumenti che l'orientò a privilegiarne l'aspetto tardo-antico. Per questo propose di coprire gli affreschi settecenteschi della cupola di San Vitale, realizzati nelle quadrature da Serafino Barozzi e nelle parti figurate da Ubaldo Gandolfi, per restituirle il suo originale e nudo aspetto; il progetto fallì, seppur sorretto dall'opinione pubblica, a causa della cattiva reversibilità dello scialbo che doveva coprire gli affreschi. Fra coloro che sostennero pubblicamente il progetto del Ricci, il cosiddetto "Concordato Artistico", ci furono fra gli altri Gabriele D'Annunzio, Bernard Berenson, Benedetto Croce, Camillo Boito e il bolognese Alfonso Rubbiani, uno fra i più alti rappresentanti della cultura neogotica italiana, figlia delle teorie elaborate dall'architetto francese Eugene Emmanuelle Viollet Le Duc alla metà del XIX secolo.
Il Ricci aveva conosciuto il Rubbiani qualche decennio prima, durante la sua lunga permanenza a Bologna, città in cui aveva avviato la propria carriera di studioso. Fra il 1878 e il 1882 vi frequentò infatti la Facoltà di Giurisprudenza, impegnandosi, sotto l'ala protettrice di Giosuè Carducci (cui viene dedicata proprio in questi mesi un'esposizione presso l'Archiginnasio di Bologna, Carducci e i miti della bellezza), come segretario nella locale Deputazione di Storia Patria e nelle vesti di coadiutore volontario alla Biblioteca Universitaria.
Negli anni bolognesi il Ricci dimostrò fin da subito il proprio interesse per il neomedioevalismo, contribuendo in qualità di storico e archivista, nel periodo in cui frequentò il grande poeta e il Rubbiani, alla riscoperta locale e affermazione istituzionale del Medioevo. A lui si dovette un discusso scritto del 1886 in cui attribuiva arbitrariamente al 1088 la data a cui risaliva la prima struttura universitaria bolognese, creando così per primo la leggenda dell'Alma Mater e riuscendo in questo modo a rivendicare il primato cronologico su Parigi e sulle altre università europee.
Questo per ricordare i primordi bolognesi del Ricci, certamente fondamentali per le scelte successivamente compiute sui monumenti di Ravenna, città che ancora oggi custodisce, conservato nella Biblioteca Classense, il Fondo Ricci, la raccolta di documenti che egli stesso lasciò al Comune, parte della quale sarà esposto in mostra insieme ad opere dei grandi protagonisti dell'arte italiana fra Quattrocento e Seicento provenienti dai principali musei italiani dove il Nostro svolse la propria attività durante una lunghissima carriera. La sezione dedicata al paesaggio tra fine Ottocento e i primi del Novecento ricorda l'impegno e l'opera svolta dallo studioso per la difesa del patrimonio paesaggistico nazionale, poi concretizzatisi nell'importante testo legislativo di tutela del Senatore Rava del 1909.

La pagina della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. [2008 - N.31]

L'omaggio del Museo Nazionale di Ravenna al primo Soprintendente d'Italia. intellettuale poliedrico e sensibile interprete dei monumenti cittadini

Cetty Muscolino - Direttrice del Museo Nazionale di Ravenna

La grande manifestazione promossa dal MAR di Ravenna, volta ad illustrare gli aspetti più salienti della poliedrica figura di Corrado Ricci, non poteva non vedere coinvolto con intensa partecipazione il nostro Istituto, di cui Corrado Ricci è una sorta di padre fondatore e costituisce nello stesso tempo occasione speciale per riflettere sulle molteplici trasformazioni intercorse nel Paese nell'arco di un secolo.
La circostanza storica che ha visto nascere la Soprintendenza di Ravenna (Decreto del 2 dicembre 1897), prima in Italia ed esperienza pilota per il sistema di tutela pubblica del patrimonio storico artistico nazionale, ci fa divenire un osservatorio privilegiato degli attuali scenari sempre più articolati e variegati e ci induce a riconsiderare l'attuale ruolo delle Soprintendenze, presidi di tutela e centri di alta competenza tecnica, che assolvono al ruolo fondamentale di archivi e custodi delle memorie.
Pur continuando a perseguire, secondo gli stessi principi etici, nell'opera di salvaguardia, tutela conservazione e restauro, non possiamo fare a meno di registrare la delicatezza di questo momento storico e di come le perenni innovazioni e il mutare delle norme e delle disposizioni renda difficile il lavoro quotidiano e del tutto incerto quello a lungo termine. Ma nonostante la molteplicità delle problematiche, a fronte del diminuire delle risorse umane ed economiche, permane costante la determinazione di perseguire nel nostro mandato e il desiderio di rendere omaggio al Ricci, primo Soprintendente d'Italia e funzionario esemplare, le cui parole appassionate testimoniano le difficoltà, sempre attuali, dei funzionari: "... provvedere a tutto, alla salvezza ed al decoro... è impresa spaventosa, e nel suo insieme impossibile: e sarebbe impossibile se anche le nostre condizioni finanziarie fossero cento volte quelle che sono, e il nostro personale cento volte più numeroso... E che cosa fa il Ministero?... si lotta quotidianamente, disperatamente per salvare quanto si può... La nostra lotta è spesso inane e qualche volta amarissima...".
Fra i molti aspetti che avremmo potuto illustrare dell'attività di Corrado Ricci abbiamo scelto di privilegiare il segmento della documentazione dei restauri musivi, materia di cui Ricci è stato pioniere, con la sua titanica opera ricognitiva delle superfici musive, confluita poi nelle Tavole Storiche, realizzate col fondamentale contributo di Alessandro Azzaroni e Giuseppe Zampiga. Questa area di indagine, portata avanti dalla Soprintendenza con estrema coerenza, ha conseguito nel tempo esiti di grande rilievo, anche attraverso l'attività della Scuola per il Restauro del Mosaico a partire dagli anni '80.
Quindi dalle Tavole Storiche di Ricci si arriva alle successive registrazioni ed informatizzazione dei dati per documentare le molteplici trasformazioni avvenute sulle superfici musive parietali dagli anni '30 fino ai nostri giorni. Un lavoro lungo e difficile, che richiede grande rigore e che può essere intrapreso in occasione dei restauri, momento privilegiato per leggere mosaici e malte di sottofondo, per riuscire a discriminare e discernere nell'intricato labirinto delle tessere musive.
Nelle sale del Museo Nazionale sarà possibile ammirare, inoltre, un autentico capolavoro dell'arte greca, scelto quale esempio emblematico dell'immenso lavoro condotto da Ricci, Direttore Generale delle Antichità e Belle Arti dal 1906, nell'ambito del suo impegno archeologico a Roma. Si tratta di un'opera molto suggestiva, la Fanciulla di Anzio, ritrovata fortuitamente a seguito di una mareggiata che provocò il crollo di una parete, ornata da nicchie, della Villa imperiale che Nerone possedeva ad Anzio, sua città natale. La scultura, alta cm 170, rappresenta una giovinetta che indossa una tunica ed un ampio mantello, colta nell'atto di incedere. La presenza di oggetti votivi posti sul vassoio che tiene in mano, una benda di lana, un ramoscello di alloro ed una zampa di leone, hanno fatto ipotizzare agli studiosi che si tratti di una sacerdotessa o di un personaggio connesso al culto di qualche divinità.
Fu proprio grazie all'interessamento di Ricci che la raffinata scultura venne acquisita dallo Stato italiano, provocando non poche polemiche per l'ingente somma pagata e sfuggendo così al tentativo di vendita agli Stati Uniti.

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. [2008 - N.31]

Riflessioni sulla vita dello scultore e ceramista di Castel Bolognese a vent'anni dalla scomparsa

Valerio Brunetti - Responsabile del Museo Civico di Castel Bolognese

Anzulè, cosi era chiamato dagli amici e dai suoi compaesani lo scultore e ceramista Angelo Biancini, è mancato vent'anni fa all'età di settantasette anni.
Il diminutivo di Angiolino (Anzulè in dialetto) non si addiceva molto a questo artista dai modi un po' trasandati che era tutt'altro che piccolo o esile. Di origini popolari, da giovanissimo vinse una borsa di studio che gli permise di formarsi nello studio fiorentino di Libero Andreotti, dove fu notato da Ugo Ojetti come uno degli allievi più promettenti dell'amico artista. Di questo giovane di Castel Bolognese parlerà con Orio Vergani, critico d'arte, che lo avrebbe conosciuto personalmente solo vent'anni dopo. Vergani sarà uno dei principali sostenitori di Biancini, che apprezzava sia sotto il profilo artistico che per quello umano.
Biancini si era rivelato un enfant prodige della scultura: vinse il suo primo concorso a ventuno anni e a ventitre veniva invitato alla Biennale di Venezia. Negli anni '30 partecipa a importanti mostre e concorsi con grande successo. Fu direttore alla Società Ceramica Italiana di Laveno per alcuni anni: in questo periodo frequenta artisti come Annigoni, Martini e Gentilini. Rientrato in Romagna lavora nel suo studio a Castel Bolognese, posto in un ex convento.
Nel 1943 con l'appoggio di Gaetano Ballardini entra come insegnante all'Istituto per la Ceramica di Faenza dove nel dopoguerra sostituirà Domenico Rambelli alla cattedra di plastica. Biancini era giovane, aveva già vinto numerosi concorsi, tra cui anche il Premio Faenza nel 1946, aveva partecipato alla Biennale di Venezia e alla Triennale di Milano, rappresentava in quel momento per la scuola faentina l'innovazione, il nuovo. Biancini era un estroverso arguto e spiritoso. Era benvoluto dai suoi studenti. Con i colleghi non intratteneva grandi rapporti...
Portò il suo studio a scuola che divenne un'autentica fucina di giovani artisti, molti dei quali sono oggi i testimoni della cultura artistica faentina nel mondo. Coinvolgeva gli allievi più bravi nei suoi lavori e li gratificava generosamente. Ceramica, bronzo, pietra e marmo erano i materiali delle sue opere. La sua scultura piaceva: ottimo ritrattista, moderno ma non eclettico, si esprimeva artisticamente in maniera "comprensibile", capacità che piaceva particolarmente alla committenza religiosa. Nonostante non fosse praticante aveva un grande rispetto per la religione: ha realizzato opere grandiose in chiese di tutto il mondo, fino ad ottenere una sala tutta sua ai Musei Vaticani. Tenne rapporti con vescovi, cardinali e papi e con autorevoli politici che oltre alle sue capacità artistiche apprezzavano anche la sua semplicità e franchezza.
Non aveva mai avuto la patente. Si spostava abitualmente in bicicletta tra Castel Bolognese e Faenza e quando pioveva faceva l'autostop: non chiedeva a nessuno ma tutti quelli che lo conoscevano sapevano benissimo che se Anzulè era lì sulla strada era perché aveva bisogno di un passaggio. Anche per la consegna delle sue opere in giro per l'Italia si serviva degli amici castellani: amici veri, quelli dell'infanzia, che incontrava spesso la sera quando si recava al bar per fare una partita a carte. Il successo non lo aveva cambiato ed aveva conservato le sue abitudini di vita paesana.
Ha lavorato fino alla fine della sua vita. In tanti, fino al momento della sua scomparsa, non si erano resi conto della grandezza di questo artista. Non si vantava dei suoi lavori che sono sparsi in tutto il mondo, dal Canada al Brasile, dalla Spagna alla Palestina, dalla Polonia all'Algeria. Nel 1994 Castel Bolognese gli dedicò una grande mostra che diede poi origine all'attuale Museo all'aperto delle opere di Biancini. Ma oggi è l'intera Romagna una grande mostra di suoi capolavori: dalla collina al mare quasi tutte le città conservano qualcosa fatto da Anzulè.


Personaggi - pag. [2008 - N.31]

A partire dal convegno del 17 maggio, il Museo Baracca presenta una serie di eventi per ricordare la figura del famoso asso dell'aviazione italiana

Daniele Serafini - Responsabile del Museo Baracca di Lugo

Il 2008 segna il 120° anniversario della nascita ed il 90° della scomparsa di Francesco Baracca. Per ricordare la figura ormai leggendaria dell'eroe della Prima Guerra Mondiale, considerato "un patrimonio della Nazione" - per riprendere le parole del Capo di Stato Maggiore della Difesa, il Generale Vincenzo Camporini - il Comune di Lugo ed il Museo Baracca organizzano, in collaborazione con l'Aeronautica Militare e l'Aeroclub di Lugo, una serie di appuntamenti che culmineranno nella manifestazione aerea di domenica 6 luglio all'aeroporto di Villa San Martino, con l'esibizione della Pattuglia Acrobatica delle Frecce Tricolori.
L'apertura delle "celebrazioni" avverrà sabato 17 maggio, nella Residenza Municipale (Rocca estense), con un convegno organizzato dal Museo con l'apporto dell'Ufficio Storico dell'Aeronautica. La giornata di studi, dal titolo Francesco Baracca: storia, mito e tecnologia, vuole fare il punto sulle ricerche e le indagini più recenti relative alla figura di Baracca e alla fase pionieristica dell'aviazione, analizzando gli aspetti storico-culturali che rendono ancora così attuale il 'mito' dell'asso romagnolo.
La mattina sarà dedicata ai contributi di alcuni dei massimi storici militari del nostro Paese. Il sipario si aprirà sugli anni decisivi della formazione di Baracca, con particolare attenzione al periodo francese, quando il giovane pilota sperimentò l'ebbrezza del volo ed ebbe l'intuizione lungimirante e decisiva per la sua esistenza: l'aviazione avrebbe avuto un "avvenire strepitoso" e sarebbe diventata la sua scelta di vita. A seguire un'analisi sulla ricaduta tecnologica che quelle prime esperienze, soprattutto dopo l'entrata in guerra dell'Italia, ebbero sullo sviluppo e l'affermazione di un'aviazione che, uscendo dalla fase pionieristica, si consolidò fino a trovare, di lì a pochi anni, il suo naturale punto d'arrivo nella costituzione dell'Aeronautica come forza armata autonoma. La sezione mattutina ospiterà un contributo molto atteso, quello sull'epistolario di Baracca, che costituisce una fonte di primaria importanza per inquadrare il personaggio, il suo milieu familiare e sociale, ma soprattutto per studiare l'evoluzione dell'aereo da passione individuale, quasi romantica, a strumento di ricognizione e da caccia.
La sessione pomeridiana accoglierà una pluralità di voci con il preciso intento di accogliere sia nuovi punti di vista, sia alcuni studi aggiornati sulla formazione e la persistenza del mito del grande aviatore: tra questi ci sarà il contributo di uno storico austriaco che presenterà ipotesi e materiali del tutto inediti provenienti dal Kriegsarchiv (Archivio di Guerra) di Vienna. Data la popolarità di Baracca in vita, non mancherà una comunicazione sull'asso in relazione alla stampa dell'epoca, che alle sue imprese dedicò una crescente attenzione, nelle prime pagine dei principali quotidiani italiani. Pressoché inedita sarà l'analisi riservata a come l'epopea di Baracca e di altri aviatori fu rappresentata a livello artistico, dalla musica alle arti visive.
In chiusura il contributo di due storici che hanno lavorato a lungo negli archivi del Museo Baracca, del Museo del Risorgimento di Milano e in quello dell'Aeronautica militare. Il loro intervento cercherà di documentare nascita, affermazione e persistenza del "mito di Baracca", con un ritratto vivo che lo vuole sottrarre alle incrostazioni ideologiche e pedagogiche che hanno alterato la sua figura, soprattutto in epoca fascista.
Un convegno tutt'altro che celebrativo, dunque: piuttosto un'occasione di riflessione e di puntualizzazione su una fase della nostra storia che vide l'affermarsi dell'aeroplano quale simbolo della modernità e che trovò in Baracca il suo interprete forse più completo, per la capacità di riassumere al meglio lo spirito del volo e la guerra aerea, l'ideale cavalleresco e il coraggio eroico, in un contesto che vide il repentino affermarsi dello spirito di avventura più indomito unitamente al primato delle tecnologie più avanzate. Un appuntamento di rilievo che verrà trasmesso in diretta internet sul sito dell'Aeronautica Militare (www.aeronautica.difesa.it) e che conferma la volontà della Direzione del Museo (www.museobaracca.it) e del suo Comitato Scientifico di puntare al rilancio di una delle istituzioni culturali più radicate nella storia della città di Lugo.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. [2008 - N.31]

Il web rappresenta l'occasione per promuovere il patrimonio culturale provinciale e la collaborazione in rete dei musei aderenti al Sistema

Eloisa Gennaro - Responsabile Ufficio beni culturali della Provincia di Ravenna

In occasione del decennale della rete museale provinciale, è andato on line il nuovo sito del Sistema, completamente rivisto nei contenuti e nella grafica. La prima caratteristica da sottolineare, rispetto al vecchio sito, è la facilità della navigazione e al tempo stesso l'ampiezza delle informazioni alle quali il navigatore può accedere con pochi passaggi, grazie alla struttura della pagina iniziale che fa un po' da indice generale.
Ma l'aspetto più importante è di aver cercato di realizzare uno strumento che guida il navigatore alla scoperta delle ricchezze culturali presenti nel territorio provinciale; un viaggio per i singoli musei, che sono descritti e analizzati come parte di un patrimonio che ha complessivamente un valore aggiunto.
Il progetto di portale dei musei presenti sul territorio rappresenta un obiettivo qualificante: se la missione di un sistema museale è quella di mettere in rete le istituzioni, per valorizzare le loro attività e per supportare le realtà più piccole a migliorare i propri servizi, è evidente che ciò deve essere fatto utilizzando fino in fondo le nuove tecnologie e in particolare il web, che consente di allestire una vera e propria rete telematica dei musei, una guida virtuale grazie alla quale il navigatore può affacciarsi nei vari musei del territorio seguendo molteplici chiavi di lettura.
In home page, sono presenti tutte le informazioni sul Sistema e le sue attività, nonché un calendario coordinato degli eventi, che informa su mostre, convegni e altre iniziative culturali promosse dai musei del Sistema. Ma le chiavi di lettura più interessanti e trasversali sono quelle relative alle attività didattiche proposte dai musei, agli itinerari territoriali, ai percorsi in 3D e infine ai regolamenti e carte dei servizi già approvati dai musei del Sistema.
Il nuovo portale rientra nel più ampio progetto di messa in rete dei musei a cui la Provincia sta lavorando già da qualche anno in collaborazione col Servizio Reti Risorse e Informazioni, in vista dell'erogazione di servizi avanzati - attualmente in corso di definizione e in qualche caso avviati sperimentalmente già con questa edizione del portale. L'obiettivo della rete è duplice: da un lato, fornire agli operatori del Sistema servizi "interni" come la possibilità di condividere i dati sui Piani museali, i moduli da compilare, le scadenze, le leggi e le circolari di riferimento, le statistiche sui visitatori, le esperienze di interesse comune; dall'altro lato, offrire al cittadino servizi on line sempre più perfezionati come ad esempio la possibilità di scaricare la carta dei servizi del museo o di fare una visita virtuale in 3D, ma anche - in prospettiva - la possibilità di consultare cataloghi e repertori o di prenotare visite guidate e laboratori didattici.
Il nuovo portale nel corso dei prossimi mesi vedrà una costante implementazione. Si sta già progettando una sezione di giochi interattivi, per rendere più efficace l'aspetto didattico. Inoltre, tra le prossime realizzazioni, si prevede l'attivazione di una newsletter che permetterà di informare tempestivamente sulle attività del Sistema e sulle notizie provenienti dai singoli musei.
In conclusione, per corrispondere alle aspettative degli operatori e degli utenti, stiamo cercando di sviluppare gli strumenti telematici finalizzati alla promozione del nostro patrimonio, in modo da supportare gli enti proprietari dei musei, e in particolare quelli più piccoli, nel percorso di adeguamento agli standard di qualità previsti dalla legge regionale.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. [2008 - N.31]

La Pinacoteca di Faenza presenta molteplici iniziative inserite nel più ampio panorama delle proposte didattiche delle maggiori istituzioni culturali cittadine

Claudio Casadio - Direttore della Pinacoteca Comunale di Faenza

In una pubblicazione distribuita a tutte le scuole faentine, l'Assessorato alla Cultura e Istruzione ha riunito l'insieme delle proposte didattiche per le scuole. Si tratta di numerose attività di completamento formativo, attivate dal Comune e sviluppate a più livelli in relazione all'età dei partecipanti, che si articolano normalmente in visite guidate, corsi e laboratori.
L'offerta è particolarmente ricca, vi concorrono una dozzina di istituti e servizi comunali, con iniziative nel campo della musica, disegno, storia, teatro, scienze e natura. A queste numerose proposte se ne aggiungono poi altre. Basti pensare al Laboratorio Giocare con l'Arte del Museo Internazionale delle Ceramiche, attivo ormai dal 1975 con il metodo ideato da Bruno Munari, e non inserito nella pubblicazione per la gestione autonoma in Fondazione del MIC. Altre iniziative vengono poi fatte nell'ambito di varie manifestazioni del Comune di Faenza come il Piacere di Leggere, per la promozione della lettura rivolta a tutte le scuole, la Settimana della Cultura Scientifica e Tecnologica, che propone una ricca occasione di maggiore avvicinamento al mondo della scienza per le scuole d'ogni ordine e grado, e la Giornata italiana per i diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, che normalmente si svolge in una domenica di fine novembre.
Il contributo dato dalla Pinacoteca Comunale di Faenza alle iniziative didattiche del Comune è ampio e articolato. Sulla base delle esperienze fatte nel tempo ci si è infatti convinti che per una buona adesione e per una partecipazione attiva, soprattutto da parte degli alunni, la proposta fatta dalle istituzioni deve essere il più diversificata possibile.
La base della didattica è quella consolidata da tempo e consistente in vari percorsi guidati. Attualmente vi sono materiali predisposti per nove diverse possibilità che partono dalla presentazione generale della Pinacoteca e dalla lettura di due opere in particolare (il S. Girolamo di Donatello come scultura e la Pala Bertoni di autore anonimo di fine Quattrocento). Altri percorsi sono stati individuati su temi specifici come il costume, i ritratti, i paesaggi nella pittura, i santi e le loro rappresentazioni, i diversi aspetti figurativi di S. Girolamo, le figure infantili e l'approfondimento delle opere di un singolo artista quale Biagio D'Antonio. Per tutti questi percorsi è disponibile sia materiale di sussidio alla visita degli alunni delle elementari sia materiale di supporto per gli insegnanti, che viene continuamente aggiornato.
Due nuove iniziative sono state inoltre avviate in questo anno scolastico. La prima, promossa dalla Biblioteca Comunale e in accordo tra diversi istituti museali faentini - il MIC, il Museo dell'Età Neoclassica di Palazzo Milzetti e la Pinacoteca - è stata quella di un corso di preparazione per educatori ed insegnanti rivolto al tema degli animali nell'arte. Si sono svolte cinque lezioni, molto partecipate da insegnanti delle scuole materne ed elementari, di aggiornamento e di approfondimento sulle collezioni artistiche faentine e sugli animali raffigurati nelle diverse opere d'arte rappresentate, ovvero pittura, ceramica, decorazione e stampa.
La seconda iniziativa, organizzata direttamente da due insegnanti, è stata rivolta agli alunni della quinta elementare di un istituto scolastico e viene realizzata con visite guidate e con attività di lettura dell'immagine arricchita da commenti e descrizioni del percorso e di singole opere in lingua italiana e in lingua inglese. Per l'occasione sono state predisposte specifiche schede operative che aiutano la lettura degli aspetti simbolici e degli elementi del linguaggio visuale di singole opere e che possono essere usate direttamente dagli alunni per approfondimenti, ricerche e gioco. Al termine di questo progetto formativo è prevista la stampa di un fascicolo per un percorso didattico completato dalla presentazione di nove opere, di mappa orientativa e di glossario con testi in italiano e in inglese.
Per gli alunni delle scuole medie superiori la didattica proposta è più rivolta alla realizzazione di specifici laboratori sulla storia faentina e in particolare è stata attivata la collaborazione con il liceo che ha consentito la messa a punto di due moduli scolastici di dieci ore per la presentazione della città nel periodo della signoria dei Manfredi e nel Settecento con possibilità di visita alle opere del Trecento e Quattrocento per il modulo sui Manfredi e al Museo del Neoclassico di Palazzo Milzetti per il modulo del Settecento.
Un'iniziativa davvero caratterizzante è quella avviata da due anni, grazie al sostegno di Banca di Romagna, con un concorso a premi rivolto alle scuole elementari e medie di primo grado legato alla visita delle mostre temporanee. In occasione di due diverse mostre dedicate alla pittura dell'Ottocento e del Novecento, gli alunni sono stati invitati a produrre propri elaborati su una singola opera che li abbia particolarmente impressionati. Grazie alla collaborazione degli insegnanti, e anche con lo stimolo dei premi acquisto messi a disposizione dalla Banca di Romagna, la partecipazione è sicuramente di buon livello, tanto che è possibile pensare ad una mostra dove a fianco delle opere commentate siano esposti anche gli elaborati più significatici degli studenti.
Questo insieme di possibilità e di attività dovrà ora essere definita e inserita nella Carta dei servizi della Pinacoteca, che è attualmente in preparazione dopo l'approvazione del Regolamento e nel rispetto degli standard indicati dalla Regione Emilia-Romagna. L'obiettivo generale che si vuole perseguire, come missione museale per l'attività didattica, è che nel percorso scolastico di ogni alunno faentino ci sia almeno una visita alla Pinacoteca Comunale e che per gli insegnanti sia disponibile la possibilità di una formazione permanente sulle opere esposte.
Attivare sistemi di controllo su questi obiettivi e garantire con le risorse disponibili la possibilità di visite guidate sarà un grosso passo in avanti nell'attuazione degli standard di qualità museale.

Esperienze di didattica museale - pag. [2008 - N.31]

Alcune classi faentine coinvolte in un'avventura che le ha portate dal MIC al palcoscenico del Teatro Comunale Masini

Tiziana Asirelli - Insegnante del Plesso Pirazzini - Faenza

Il percorso artistico-letterario delle classi 3 e 4 B del Plesso Pirazzini nasce da un importante avvenimento: il gigantesco pannello commissionato agli inizi del '900 dall'Albergo Roma di Bologna al noto ceramista faentino Pietro Melandri era finalmente tornato a Faenza, trovando collocazione al MIC. L'opera, un universo fantastico di personaggi fiabeschi e oggetti misteriosi, si presentava come un'ottima occasione per gli insegnanti di offrire ai loro bambini un insolito libro di favole da inventare, entrandoci letteralmente dentro.
Posti davanti alla figura di un principe adagiato su un carro in compagnia di un mitico cervo, i ragazzi sono stati invitati a narrare una storia, cercando personaggi e collegamenti nelle figure del pannello. L'attività è durata tre mesi e il risultato è diventato un libro che si fregia dell'introduzione di Emanuele Gaudenzi, il maggior critico di Melandri. Il lavoro è poi stato presentato al MIC, con letture animate e una "caccia al tesoro": bambini e genitori (molti dei quali non erano mai entrati al Museo!), seguendo la storia e i disegni, cercavano di rintracciare i riferimenti sul pannello stesso. Tutto ciò ha permesso la conoscenza approfondita di un'opera fondamentale del grande ceramista faentino, consentendo un accesso gioioso al Museo e stimolando una collaborazione aperta fra insegnanti, bambini, genitori e operatori del MIC.
Ma i bambini continuavano a sognare. Così la loro fiaba si è trasformata in un copione per 39 attori. Alcuni maestri, insieme ai genitori delle due classi, tutti i venerdì sera aprivano a scuola i laboratori di sartoria e di falegnameria per preparare costumi e scenografie. I bambini, sotto la guida delle insegnanti imparavano battute, gesti, coreografie appropriandosi delle regole dello spazio scenico. Lo spettacolo è stato infine un successo, incastonato nella splendida cornice del Teatro Comunale Masini.
Così tre poli culturali fondamentali della città - Museo, Scuola, Teatro - hanno creato uno spazio artistico di respiro, sorpresa, collaborazione, un'area significativa di conoscenza e di crescita, permettendo a grandi e piccoli di potersi emozionare e, emozionandosi, di imparare qualcosa di nuovo da quella grande sorpresa che è la vita.

Esperienze di didattica museale - pag. [2008 - N.31]

Un recente restauro restituisce una scultura ottocentesca conservata all'Accademia di Belle Arti

William Lambertini - Restauratore

La scultura eseguita da Giulio Bergonzoli nel 1863 segna un riferimento importante per la sua epoca come concezione di estremo "alleggerimento" della materia, imitato spesso negli anni a seguire soprattutto nella statuaria cimiteriale. L'Amore degli Angeli, infatti, è stata realizzata in creta e di seguito in gesso con il cosiddetto calco a perdere, un procedimento attraverso cui si perde l'opera in creta e il negativo in gesso, per realizzare un unico calco dell'opera prima, calco che diventa l'originale a tutti gli effetti. Questa tecnica fu largamente usata nell'800, in modo particolare nei cimiteri, per i quali si richiedevano sculture in marmo, oltre che in bronzo.
Il Bergonzoli realizza la sua opera con lo scopo di ottenerne copie in marmo e, proprio per questo, inserisce una serie di riferimenti su tutte le sporgenze, detti "capipunto", che serviranno in seguito per sbozzare il blocco di marmo. Inoltre vi è una serie di sottopunti realizzati direttamente a matita sulla superficie finita della scultura, che si intensificano quanto più complessa è la zona. Tutto ciò creava una fedele "mappa" che avrebbe guidato senza rischi lo scultore nell'esecuzione dell'opera in marmo. Ad oggi risultano realizzate tre copie in marmo dall'originale in gesso, una delle quali utilizzata in una scena del film Eyes wide shut di Stanley Kubrick.
Giulio Bergonzoli realizza queste copie in marmo di un terzo più piccole del modello originale e ciò aggiunge unicità al gruppo scultoreo restaurato dall'Accademia di Belle Arti nel 2006-07. Lo stato di grave degrado in cui versava l'opera quando è giunta nel laboratorio di restauro dell'Accademia, era da attribuirsi anche ad un maldestro metodo di spostamento utilizzato durante i traslochi che la statua ha subito, "seguendo" i cambi di sede del Liceo Artistico che la custodiva. Una realizzazione così complessa, ricchissima di sporgenze e arti in aggetto, costituita di un materiale tanto delicato quale il gesso, deve essere spostata con mille cautele per evitare la rottura delle parti più fragili. La maggioranza delle parti rotte è stata diligentemente conservata dagli insegnanti del Liceo Artistico, mentre alcune parti sono andate perdute.
Il restauro attuato dall'Accademia ha avuto come primo obiettivo il consolidamento delle parti instabili, la pulitura da tutto lo sporco stratificatosi negli anni e il riaggancio delle parti che erano state salvate. Gli elementi mancanti si limitavano a un piede intero, la punta di un altro piede e un braccio. Considerando l'ampia documentazione fotografica esistente dell'opera prima delle mutilazioni, e tenendo conto dell'ottima preparazione scultorea dello studente restauratore Henry Rossi, si è optato per la ricostruzione delle parti mancanti. Queste zone sono state rifatte in creta poi calcate con uno stampo in gomma siliconica, quindi realizzate in gesso e riagganciate con gli opportuni rinforzi interni all'opera. Vi erano poi numerosissime incisioni, graffiti a matita e penna nonché una quantità enorme di frammenti mancanti, soprattutto nella zona bassa ornata con fiori e foglie, molto fragili e vulnerabili.
Dopo la ricostruzione delle principali parti perdute e dei frammenti meno evidenti, si è passati alle stuccature di raccordo delle parti ricollocate e di tutte le abrasioni. In questa fase si è notato che l'opera presentava inequivocabili tracce di esposizione alle intemperie, soprattutto pioggia. Ciò era rilevabile dal caratteristico aspetto spugnoso che assume il gesso se esposto per lungo tempo alla pioggia. La permanenza all'esterno della statua aveva compromesso gran parte della patina a calce con cui era trattato l'Amore degli Angeli. Nelle fasi finali del restauro, si sono reintegrate le abrasioni della patina con latte di calce applicato a pennello e tampone.
A questo punto la superficie si presentava disomogenea a causa degli inserimenti di parti rifatte e piccole ricostruzioni, pertanto l'intero modellato è stato sottoposto ad un'attenta e delicata integrazione pittorica eseguita con velature ad acquerello fino al raggiungimento di una lettura fluida e scorrevole del modellato. Tutta l'opera è stata protetta con una stesura di cera microcristallina applicata a caldo, sempre con pennello e tampone. A restauro ultimato l'Amore degli Angeli di Giulio Bergonzoli ha riacquistato quella dignità e importanza che unite alla sua caratteristica leggerezza fanno di questa opera un altro motivo di orgoglio artistico per la città di Ravenna.

La Pagina della Accademia di Belle Arti di Ravenna - pag. [2008 - N.31]

All'interno del sistema distrettuale il museo può svolgere due importanti funzioni: quelle di attrattore e di attivatore

Pier Luigi Sacco - Professore di Economia della Cultura - IUAV Venezia

La crisi del modello del distretto industriale porta con sé nuovi interrogativi e nuove sfide. In varie occasioni si è sostenuto che a fronte del declino produttivo del paese, una possibile via d'uscita andasse trovata in una riedizione del modello distrettuale, applicata questa volta al "tesoro nascosto" dell'Italia: il suo patrimonio culturale. Nasce così l'idea del distretto culturale come prolungamento della logica del distretto al settore della valorizzazione turistica dei beni culturali, rispetto ai quali l'Italia potrebbe vantare una "posizione dominante" in termini di dotazione a fronte del progressivo indebolimento dei fattori di vantaggio competitivo in altri settori.
Al di là degli ingenui quanto vaghi trionfalismi circa un supposto primato culturale di un paese che ha un livello di sviluppo umano tra i più bassi del mondo industrializzato, questa rivisitazione del modello distrettuale, purtroppo, non ha fondamento: il distretto "classico" è basato sulla produzione di beni, mentre la valorizzazione ha a che fare soprattutto con i servizi (a meno che non si voglia seriamente sostenere che il merchandising culturale e l'artigianato artistico possano creare economie analoghe a quelle del tessile o della meccanica); inoltre, i distretti industriali nascevano per auto-organizzazione delle forze imprenditoriali locali, mentre il distretto culturale nasce come operazione esterna alle logiche e spesso agli attori del territorio. Differenze non banali, che spiegano le deludenti ricadute economiche dei pure non numerosi esempi di applicazione concreta di questa impostazione "meccanicistica", il cui principale limite è quello di ritenere che la forma organizzativa distrettuale contenga in sé la capacità di generare sviluppo locale, mentre essa rappresenta invece semmai l'impronta organizzativa di una vitalità produttiva e sociale che, come ci insegna la letteratura ormai classica sull'argomento, preesiste ad essa e le dà forma e contenuto.
Se il modello di organizzazione distrettuale avesse un qualche senso nel campo della valorizzazione, quegli stessi territori che hanno dato vita ai distretti industriali, e che spesso comprendono aree ad alta densità di patrimonio culturale, avrebbero con naturalezza trasferito competenze imprenditoriali ormai consolidate ai nuovi campi di attività. Se questo non è avvenuto, è perché semmai le opportunità connesse alla valorizzazione economica della cultura, lungi dal potersi conformare meccanicamente al modello distrettuale, presentano problemi del tutto analoghi a quelli che hanno contribuito alla messa in crisi del modello stesso del distretto.
Sappiamo ormai fin troppo bene che la concorrenza dei paesi emergenti richiede alle realtà socio-economicamente più avanzate di mantenere sul proprio territorio soltanto le attività di filiera più direttamente connesse alla direzionalità, all'innovazione e alla creatività, e che anzi la priorità principale è quella di una radicale riconversione innovativa e creativa dell'intero sistema economico locale. Sappiamo anche che questo scenario, che richiede capacità di investimento e una visione strategica sofisticata e orientata ai risultati di medio-lungo termine, si scontra con la logica della piccola e media impresa familiare distrettuale orientata al breve termine e capace di concepire l'innovazione più che altro come piccoli miglioramenti incrementali di prodotti e di processi già esistenti.
È possibile rivitalizzare il modello distrettuale in modo da permettergli di fronteggiare le nuove sfide dell'innovazione radicale e non più incrementale? Se dobbiamo guardare alle esperienze internazionali più avanzate in questo senso, dobbiamo constatare che è proprio la cultura a giocare un ruolo di primo piano, e che il ruolo economico della cultura va cercato anche e soprattutto nella capacità di rendere questi processi di riconversione creativa ed innovativa socialmente sostenibili nel lungo termine: la cultura è cioè un fattore di sistema la cui funzione è quella di creare nuove modalità di interfacciamento e nuove complementarità produttive tra quelle "teste" di filiere diverse che identificano il nuovo modello di specializzazione territoriale, e che sono accomunate da una stessa tensione verso l'esplorazione del nuovo e la capacità di canalizzarlo in una cultura di processo e di prodotto.
Nasce così quella che potremmo chiamare la prospettiva del distretto culturale evoluto: un modello distrettuale del tutto nuovo, nel quale il genius loci si manifesta non nella specializzazione mono-filiera ma nell'integrazione creativa di molte filiere differenti, e in cui la cultura non ha valore in quanto crea profitti ma perché aiuta la società ad orientarsi verso nuovi modelli di uso del tempo e delle risorse e così facendo produce a sua volta economie. È il passaggio dal modello dissociato, tipico del contesto italiano, della cultura per i turisti al modello della cultura per i residenti, che non esclude il turismo culturale ma lo integra in una catena del valore più ampia e più solida che non rinnega il passato industriale ma contribuisce a ringiovanirne la visione e le prospettive strategiche.
La cultura agisce dunque nel nuovo scenario post-industriale come un vero e proprio 'agente sinergico' che inquadra i singoli interventi in una ridefinizione complessiva dell'identità del sistema territoriale e delle comunità che lo abitano. Le varie iniziative culturali diventano un linguaggio che, coinvolgendo profondamente la dimensione razionale come quella emotiva, aiuta i cittadini a capire come la trasformazione del territorio e della città implichino una potenziale trasformazione delle possibilità di vita, delle opportunità professionali, degli obiettivi esistenziali da perseguire. La cultura è sempre di più un laboratorio di idee che procede con una logica simile a quella della ricerca scientifica: apre nuove possibilità di senso, indica nuovi modelli di comportamento, di azione, di interpretazione del mondo.
Il museo è senz'altro una delle realtà su cui si concentrano più speranze quando si pensa ad un nuovo modello di distretto culturale che sappia inserire i meccanismi dell'offerta culturale all'interno di uno scenario vitale e competitivo di sviluppo economico locale. Ma se il museo non può avere all'interno del modello distrettuale il ruolo di centro di profitto, quale ruolo può svolgere in concreto? Una casistica internazionale ormai ampia mostra come il museo abbia due funzioni importanti all'interno del sistema distrettuale: quella di attrattore e quella di attivatore. Il museo si presta particolarmente a svolgere queste funzioni in quanto esso diventa il luogo in cui si esprime con la massima compiutezza ed efficacia tutto il mondo simbolico su cui si costruiscono le moderne catene del valore: in altre parole, nel museo si realizzano proprio quelle condizioni ideali da 'laboratorio di ricerca e sviluppo' in cui si elaborano e divengono accessibili, al di fuori di immediati obiettivi commerciali, tutte le declinazioni più interessanti ed innovative dell'universo simbolico della cultura, che vengono poi 'metabolizzate' all'interno della propria catena del valore dal sistema produttivo.
Da un lato, il museo agisce come attrattore nella misura in cui è in grado di aumentare la visibilità del sistema locale a cui appartiene, contribuendo all'orientamento di flussi turistici, di decisioni di investimento, di copertura mediatica ecc., tutte risorse preziose nei moderni processi di sviluppo locale. Dall'altro, il museo agisce come attivatore nella misura in cui le sue iniziative e i suoi contenuti sollecitano l'emergere di nuovi progetti imprenditoriali, la formazione e la selezione di nuove professionalità, il varo di progetti di responsabilità sociale rivolti alla comunità, la rilocalizzazione di attività produttive e residenziali all'interno del sistema urbano.
In tutti i casi di studio di successo, tanto quando emerge con particolare forza la funzione "attrattore" che quella "attivatore", si nota chiaramente che, accanto alla necessaria capacità di catalizzare energie e risorse provenienti dal di fuori del contesto locale, il museo riesce con successo a mobilitare e coinvolgere attivamente anche il pubblico e le risorse economiche del sistema locale che lo esprime. In altre parole, il museo che 'funziona', a prescindere dalla sua vocazione e dalle sue caratteristiche specifiche, è un museo che è vissuto e utilizzato come risorsa in primo luogo da coloro che, vivendo nella città o nel sistema metropolitano che lo ospita, godono di condizioni fisiche di accesso facilitate e privilegiate.
Piuttosto che inseguire formule predefinite, occorre allora fare in modo che sia il dialogo tra il museo e il suo territorio a definire il modello di uso dello spazio e dei tempi del museo stesso. Un dialogo che presuppone un forte investimento del territorio in una crescita delle proprie competenze culturali, della propria capacità progettuale, dell'apertura al nuovo e alle esperienze internazionali.

Contributi e riflessioni - pag. [2008 - N.31]

L'Istituzione Classense partecipa all'iniziativa del MAR dedicata allo studioso ravennate mettendo in mostra manoscritti, prime edizioni, appunti di lavoro e stampe fotografiche

Donatino Domini - Direttore dell'Istituzione Biblioteca Classense di Ravenna

Dopo le iniziative che negli anni passati si sono susseguite a focalizzare i contributi di Corrado Ricci alla vita culturale italiana, da quello di storico dell'arte, di museografo, di funzionario votato alla tutela dell'arte e del paesaggio a quello di pubblicista e grande divulgatore del patrimonio artistico, oggi, a 150 anni dalla nascita, sono maturi i tempi per una ricostruzione a tutto tondo della personalità più eclettica che il mondo culturale ravennate abbia visto comparire sulla sua scena in epoca moderna.
È proprio in qualità di istituto depositario delle memorie ricciane che l'Istituzione Classense, aderendo all'iniziativa del MAR di Ravenna, propone una biografia intellettuale di Corrado Ricci attraverso i manoscritti, le prime edizioni, gli appunti di lavoro e le rare e spesso inedite stampe fotografiche che documentano il lavoro di restauro della Basilica di San Vitale da Ricci voluto e diretto.
Un percorso segnato dai giovanili esercizi di amateur d'arte ravennate, rappresentati dalla sua prima Guida di Ravenna e dai disegni a matita e a china risalenti agli anni in cui frequenta l'Accademia di Belle Arti e che raffigurano per lo più i paesaggi e i monumenti di Ravenna e i luoghi visitati in occasione dei viaggi che lo portano, a partire dal 1872, nel Montefeltro e sulle colline emiliane e romagnole. Ai saggi d'arte e di archeologia seguono gli studi di ambito specificamente storico-letterario di tematiche tra loro diversissime ma indicative della vastità delle conoscenze e degli interessi ricciani: dai resoconti minuziosi di qualche scoperta archeologica ai testi delle conferenze, come quella su I colori nei proverbi dove Ricci, tra il serio e il faceto, mette insieme una documentazione rivelatrice della misoginia presente nei proverbi popolari, di derivazione colta, classica ed umanistica.
Un posto del tutto particolare è occupato dagli studi danteschi, dove Ricci è sovrano per l'originalità scientifica e l'acume storico nel ricostruire e riconoscere l'importanza del rapporto intercorso tra Dante, la sua opera e il milieu storico-culturale della città che gli fu "ultimo rifugio". Una dedizione a Dante che lo porterà nel 1891 a pubblicare quell'autentico gioiello di "biografia critica" che è l'Ultimo rifugio di Dante Alighieri, l'opera che resterà per sempre il suo capolavoro di critica storica e letteraria, in cui riversa tutto l'acume storico e l'"estro narrativo" della sua maturità di studioso, capace di conciliare come pochi altri il fascino dell'esegesi dantesca con la lezione e gli atteggiamenti di quel metodo storico che di lì a poco informerà la sua attività di studioso nella "cura" del patrimonio artistico e monumentale di Ravenna, di cui nel 1897 sarà nominato Soprintendente.
È anche l'opera che segna l'approdo definitivo ad un sistema di pensiero ormai compiutamente elaborato, che permetterà a Ricci di conseguire risultati di prim'ordine in ogni campo del sapere umanistico. E ciò avverrà nelle pagine su Ravenna (1900), chiamata ad inaugurare, non casualmente, la collana dell'Italia artistica, attraverso cui Ricci, promotore e coordinatore dell'opera, porta alla luce i caratteri artistici delle città italiane leggendoli ed interpretandoli in associazione ai valori storici, letterari e civili della Nazione. E nelle opere degli ultimi anni della sua vita: la monumentale documentazione approntata per le Tavole storiche dei monumenti ravennati (1930-34) e quel breve, ma denso saggio, L'Arte portatile (1934) che nel nome del "bizantinismo decorativo" dei monumenti di Ravenna chiude la bibliografia ricciana così come Ravenna con la sua Guida l'aveva inaugurata.
Alla sezione tutta ravennate della prima parte della mostra segue quella bolognese (1878-1893), segnata dalla partecipazione di Ricci alla vita culturale della Bologna carducciana. Sono gli anni in cui a Ricci si schiudono le porte della Zanichelli e quelle che gli aprono la collaborazione alle più importanti riviste dell'epoca come il Propugnatore, la Rassegna Settimanale, la Nuova Antologia e l'Illustrazione italiana: Ricci incarna la figura del poligrafo a tutto campo che affronta temi di pura erudizione o descrizioni di paesaggi, avvalendosi di una scrittura caratterizzata da quel "purismo bozzettistico" che farà la fortuna degli elzeviristi e dei novellieri di questo periodo e che Ricci utilizza magistralmente, intrecciando il sapere tecnico dell'erudito con lo stile e il linguaggio narrativo del novelliere, e che, per tutta la vita, sarà una costante della sua scrittura.
Accanto alle tante testimonianze del Ricci scrittore di prosa, la mostra propone anche quelle del poeta, che, avanti negli anni, egli rinnegherà, "vergognandosene", perché, come ebbe a scrivere, mentre "i pittori, gli scultori, gli architetti, i musicisti anche mediocri, possono fare qualcosa di utile e di gradevole . I poeti, no. I poeti debbono essere poeti... o nulla. Debbono ricreare, commuovere, sollevare, esaltare, o starsene cheti. E se proprio non possono fare a meno di stendere in carta o in rima le proprie debolezze , abbiano almeno il pudore di rimpiattarle o, meglio la saggezza di bruciarle".
Ma Bologna per Ricci è soprattutto la città che segna la svolta del "critico d'arte". Sono gli anni in cui assimila i tratti distintivi della critica positivista, gli anni in cui l'assistente bibliotecario "costituisce", con Olindo Guerrini, allora già Direttore dell'universitaria, "un singolare duetto di eruditi", particolarmente abili nel ritrovare manoscritti e documenti atti a ricostruire la tradizione culturale di Bologna e di Ravenna. Ritrovamenti che immediatamente producono scritti riconducibili ad un percorso che mostra grande simpatia per il tecnicismo di ambito positivista come testimoniano i lavori riguardanti le Cronache e documenti per la storia ravennate del sec. XVI (1882), la trascrizione "diplomatica" della Vita della madre donna Felice Rasponi (1883), tratta da una Miscellanea di Memorie di famiglie ravennati conservate nella Classense, o le tante altre scoperte attinenti "cronache" e "cronisti" ravennati e bolognesi divulgate in riviste di attualità culturale come il Fanfulla della Domenica.
In questo esercizio continuo di ricerca e di scavo condotto in biblioteche ed archivi allarga anche il proprio campo d'indagine mostrando sempre di più un vivo se non esclusivo interesse verso la nuova "critica d'arte" che lo porta ad imboccare definitivamente la via della "critica positiva", la stessa percorsa da "il Milanesi, il Cavalcaselle, il Morelli, il Frizzoni, il Venturi, il Toschi, il Cantalamessa" che "fecero e fanno tuttora molto bene alla storia artistica". Sono gli anni di studio propedeutico alla grande avventura che Ricci intraprenderà all'interno delle più grandi istituzioni museali, quando da Direttore delle Gallerie di Parma, di Modena e di Firenze, da Sovrintendente dei Monumenti di Ravenna, da Direttore generale delle Antichità e Belle Arti, e, infine, da curatore degli scavi dei Fori Imperiali e da Presidente del R. Istituto di Archeologia e Storia dell'Arte, assumerà il ruolo e le funzioni di grand commis della politica giolittiana nella cura e tutela delle bellezze artistiche d'Italia.

Speciale Omaggio a Corrado Ricci - pag. [2008 - N.31]

Una mostra al MAR ripercorre la carriera di Corrado Ricci, con particolare attenzione ai lavori di riordino museale

Nadia Ceroni - Conservatore del MAR di Ravenna

Il Museo d'Arte della città rende omaggio a Corrado Ricci - studioso, museografo, dantista e storico dell'arte - in occasione del 150° anniversario dalla nascita. Si tratta di un progetto espositivo, in collaborazione con il Museo Nazionale di Ravenna e la Biblioteca Classense, che si propone di documentare l'intensa attività dell'intellettuale ravennate rivolta alla tutela del patrimonio sia artistico che naturalistico del nostro Paese.
Nato a Ravenna il 18 aprile 1858 - nella via di Porta Sisi (ora via Mazzini ) al n. 39 - da Luigi Ricci e Clelia Bartoletti, iscritto dal 1872 al 1875 nella locale Accademia di Belle Arti, laureato in Giurisprudenza all'Università di Bologna nel 1882, Ricci diventò ben presto una delle personalità più complesse nel panorama della storia dell'arte italiana.
La mostra, allestita presso la Loggetta Lombardesca dal 9 marzo al 22 giugno 2008 - curata da Andrea Emiliani e Claudio Spadoni - prende avvio dalla ricostruzione di alcuni tra i più importanti interventi di acquisizione di opere d'arte e di riordino museale condotti da Ricci: dalla Galleria di Parma alla Pinacoteca di Brera, dall'Accademia Carrara di Bergamo agli Uffizi, dalle Regie Raccolte napoletane di Capodimonte alla riorganizzazione della Galleria dell'Accademia di Ravenna, di cui la mostra ripropone l'allestimento di una parete della "vasta sala, appositamente costrutta nel 1889, coi lucernari".
Ai numerosi capolavori antichi e moderni richiesti in prestito ai maggiori musei italiani - circa un centinaio di opere tra cui Barocci, Beccafumi, Bellini, Cagnacci, Carracci, Lotto, Moroni, Parmigianino, Schedoni, Tibaldi, Tura - si aggiunge una sezione dedicata al paesaggio italiano di fine Ottocento che vede in mostra dipinti di artisti coevi: Avondo, Caffi, De Nittis, Fontanesi, Lojacono, Palazzi, Signorini, Zandomeneghi.Una mostra nella mostra, un omaggio all'opera di difesa del patrimonio nazionale svolta da Ricci che, approdato a Roma, fu nominato Direttore Generale per le Antichità e Belle Arti nel 1906, Senatore nel 1923 e Presidente del Consiglio Superiore delle Antichità e Belle Arti nel 1929.
L'esposizione allestita nel Museo d'Arte della città presenta inoltre alcune sculture di proprietà della Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, fatte pervenire a Ravenna nel 1919 per volontà di Corrado Ricci con l'intenzione di creare una galleria d'arte moderna anche a Ravenna. Si trattava, in origine, di un nucleo di 39 quadri e 15 sculture consegnate all'Accademia di Belle Arti "a titolo di deposito provvisorio, coll'obbligo di curarne la perfetta conservazione e di restituirle ad ogni richiesta". Nel corso degli anni, infatti, molte opere sono state ritirate dalla Galleria Nazionale, che ne è proprietaria, e restituite a Roma in occasione di mostre temporanee ed allestimenti di nuove sale.
Il legame e l'affetto per la città natale, dove Ricci fu nominato Soprintendente ai Monumenti nel 1897, dando avvio alla storia della tutela in Italia e alla sua instancabile attività di restauratore, è testimoniato anche dalle innumerevoli pubblicazioni dedicate a Ravenna che compaiono nel corpus dei suoi scritti. "La mia bibliografia - scriveva Ricci nella Nota delle pubblicazioni - comincia nel 1877. È l'anno in cui s'inizia effettivamente il mio lavoro di studioso, sia con l'esplorazione della cripta di San Francesco di Ravenna, sia con la pubblicazione, a dispense, della Guida di quella città" (Ravenna e i suoi dintorni, n.d.r.). In occasione della celebrazione dell'anniversario della nascita, ci piace ricordare che lo stesso Ricci contribuì ad accrescere il patrimonio artistico della Galleria dell'Accademia con opere da lui donate in più occasioni: "e anche questo - come scrive Letizia Strocchi - è rivelatore dell'alta coscienza civile dell'uomo".
Personalità ricca, complessa e infaticabile, la sua opera trascende i confini cittadini e nazionali anche grazie agli scritti su Dante - altra grande passione di Corrado Ricci, non solo per l'opera poetica ma anche per la vicenda umana - al quale rivolgerà un costante interesse durante tutto l'arco della vita.
Nella circostanza della morte, avvenuta a Roma il 5 giugno 1934 nella sua casa a Piazza Venezia 11, Vittorio Guaccimanni inviava alla vedova, Signora Elisa, il seguente telegramma: "La bandiera abbrunata è esposta all'Accademia di Belle Arti che perde un suo grande benefattore - Stop - Personalmente piango un amico cui mi legavano vincoli affettuosi da oltre sessanta anni".

Speciale Omaggio a Corrado Ricci - pag. [2008 - N.31]

I rapporti professionali e umani tra Ricci e Piancastelli in quasi trenta anni di coorrispondenza

Valerio Brunetti - Responsabile del Museo Civico di Castel Bolognese

Giovanni Piancastelli, pittore di Castel Bolognese, torna a Roma nel 1871, alla fine del servizio militare. Vi era già stato dal 1862 al '66 per formarsi artisticamente grazie al mecenatismo di alcune famiglie nobili faentine e al marchese Camillo Zacchia che lo aveva accolto nella sua casa romana. Contattato dal principe Marcantonio Borghese, viene assunto per l'istruzione artistica dei figli, iniziando una collaborazione che durerà 35 anni.
È verso la fine degli anni '80 dell'Ottocento, quando Corrado Ricci lavora ancora presso la Biblioteca universitaria di Bologna, che iniziano i contatti tra questi due singolari personaggi della cultura romagnola. Fu probabilmente il conte Rossi di Faenza, uno dei mecenati di Piancastelli, che, conoscendoli entrambi, li fece incontrare. Dal 1886, dopo la morte di Marcantonio Borghese, Piancastelli era stato incaricato di ricostituire la collezione d'arte della famiglia e di trasferirla a Villa Pinciana, dove è tuttora la Galleria Borghese.
Ricci era già un affermato storico dell'arte che nel 1891 entra a far parte dell'amministrazione delle Belle Arti grazie ad Adolfo Venturi. Piancastelli a Roma è ottimamente inserito presso il patriziato romano, ha accesso alle collezioni e agli archivi nobiliari e possiede un'ottima biblioteca personale. Ricci è un attento ricercatore a cui sono stati affidati importanti incarichi per la Galleria Nazionale di Parma ed anche la direzione della Galleria estense di Modena.
Inizia tra i due una corrispondenza che data dal 1890 al 1917. L'attività museografica di Ricci, particolarmente attiva nell'ultimo decennio del secolo, fa sì che i due si scambino pareri sulle opere che stanno catalogando e sulle attribuzioni. Piancastelli per il pesante impegno di riordino deve trascurare la sua attività artistica e se ne lamenta con Ricci. Questi per distrarlo gli chiede dettagliate informazioni su alcune opere della collezione per le sue ricerche; all'amico chiede anche di illustrare un suo racconto, Il Passo della Badessa, destinato alla pubblicazione sulla rivista Emporium.
Questi accetta ponendo per condizione che tutto ciò che non è testo scritto sia di sua mano. Si impegna molto e per quasi un anno discutono insieme dei bozzetti delle illustrazioni. Ma l'uscita del lavoro, nel 1896, non soddisfa assolutamente Piancastelli che se ne lamenta con Ricci: "La mia fatica non poteva essere trattata in peggior modo".
La vicinanza con le importanti opere del Bernini della raccolta Borghese avevano stimolato in Piancastelli una profonda e quasi ossessiva attenzione per questo artista, interesse condiviso anche dal Ricci. Questi in occasione del terzo centenario della nascita del Bernini, nel 1898 promosse un comitato celebrativo per organizzare una grande esposizione di cui Piancastelli fu chiamato a far parte, anche perché in questi anni aveva raccolto un considerevole numero di importanti disegni berniniani. Su questo argomento i due iniziarono una fitta corrispondenza: Ricci aveva intenzione di scrivere una monografia su Bernini. Piancastelli gli inviò un manoscritto, oggi disperso, con le sue osservazioni sull'artista.
Venduta nel 1902 la collezione Borghese allo Stato italiano, Piancastelli è nominato primo direttore, incarico che tenne fino al 1906, quando si dimise volontariamente. In questi anni numerose furono le lettere a Ricci per lamentarsi della sua nuova condizione: paga bassa, troppa burocrazia, continui ostacoli al suo lavoro. All'amico chiedeva forse un aiuto che non arrivò mai, visto che Ricci divenne direttore generale per le Antichità e Belle Arti solo verso la fine del 1906. Piancastelli si ritirò a Bologna ma il loro rapporto non si guastò. Nel 1908 Piancastelli dedicò all'amico un ritratto che fu esposto a Faenza e sul quale Ricci si espresse così: "Sapendo che tu sai, mio Piancastelli, / convertir brutti ceffi in visi belli; / io penso già con viva compiacenza, / brutto a Roma, sarò bello a Faenza".
Per gli Uffizi di Firenze Ricci chiese all'amico un autoritratto che aveva visto incompiuto nel 1887, dapprima chiedendogli di terminarlo, poi, per sollecitarne la donazione, consigliandogli di lasciarlo così com'era, forse più adeguato ai gusti artistici del momento. L'opera arrivò solo nel 1917, anno in cui cessarono i loro rapporti epistolari.

Speciale Omaggio a Corrado Ricci - pag. [2008 - N.31]

Luigi Ricci, scenografo, fu disegnatore e fotografo dei monumenti ravennati

Franco Gabici - Capo Reparto Attività scientifiche e museali del Comune di Ravenna

Santi Muratori, che sulla sua amata città ha sempre avuto l'occhio vigile, scriveva negli anni '20 del secolo passato che i monumenti di Ravenna cominciarono ad essere valorizzati da Odoardo Gardella e da Luigi Ricci, padre di Corrado. Ricci, che Muratori definisce "valente disegnatore e scenografo", fu inoltre il primo ad applicare la fotografia allo studio dei monumenti e "da quella scuola, da quell'esperienza, da quella fede uscì, quasi un figlio d'arte, Corrado Ricci".
Luigi Ricci e Odoardo Gardella, continua Muratori, "rovistavano dappertutto, esploravano le cripte, si sporgevano fuori dai campanili per fare calchi di epigrafi e di sculture" non curanti di quei pericoli che invece il giovane Corrado intuiva, tant'è che una volta corse da sua madre tutto concitato per dirle: "Quei due vecchi un giorno o l'altro si ammazzano!". Queste testimonianze di Muratori valgono più dei diplomi e dei riconoscimenti per il lavoro di un artigiano eclettico che seppe ben presto guadagnarsi la stima soprattutto al di fuori della sua città.
Nato a Ravenna da una famiglia modesta il 9 dicembre 1823, "passò la fanciullezza meschinamente" e fin dai primi anni mostrò una particolare attitudine per la pittura. Orfano di padre, la famiglia non poteva permettersi il lusso di avviarlo agli studi ma per sua fortuna la principessa Murat, moglie di Giulio Rasponi, gli fece studiare scenografia alla scuola bolognese di Francesco Cocchi dove aveva studiato anche Giuseppe Mengoni, l'architetto che avrebbe progettato la famosa "Galleria" di Milano.
Dopo aver superato la prova fu ammesso alla Accademia di belle arti di Bologna, dove rimase per quattro anni fino al 1850. Venuti a meno gli aiuti economici che lo avrebbero costretto a interrompere gli studi, lo stesso Cocchi si augurava che il Ricci trovasse nella "Commissione comunale del proprio paese un valido mecenate che lo protegga" perché il giovane aveva sempre dimostrato una "somma attitudine per l'arte prospettica". Le parole di Cocchi però non sortirono nessun effetto ma Ricci non si scoraggiò e, tornato a Ravenna, si mise a lavorare con tenacia. Risalgono a quegli anni i primi lavori da scenografo, a cominciare dalle scene per Attila per il vecchio teatro di Ravenna. E non fu certo facile attirare l'attenzione sui suoi lavori perché in quel periodo l'arte scenica della sua città era quasi sempre appannaggio del famoso scenografo faentino Romolo Liverani.
Eppure Luigi Ricci seppe imporsi non solo in città ma anche fuori e infatti lo troviamo a lavorare in tutta la Romagna ma anche nelle Marche, nell'Umbria e nel Veneto e, come ha scritto Odoardo Gardella, "se la famiglia e un forte senso di nostalgia per la Romagna non l'avessero trattenuto, egli avrebbe avuto maggior campo d'azione". Indimenticabili, a Ravenna, le sue scenografie per la Giovanna di Guzman (1861), il Trovatore (1869), il Faust (1872).
Si racconta che due scenografi dell'Opera di Parigi, a Ravenna per studiare i nostri monumenti per alcune scene da allestire nel loro teatro, furono talmente colpiti dalla scenografia che il Ricci aveva allestito per la Marta di Flotow che vollero conoscerlo personalmente per contratularsi. La sua fama di valente scenografo lo portò anche all'estero. Nel 1857, infatti, fu chiamato ad Atene per decorarvi il massimo teatro.
Dopo aver lavorato per più di vent'anni alla scenografia, dal 1875 abbandonò il campo per completare la sua straordinaria raccolta di fotografie e disegni dei più famosi monumenti ravennati e in questo periodo inizia la collaborazione col figlio Corrado. Il lungo studio fatto nei nostri monumenti, l'amore e il gusto vivo dell'arte - scrisse ancora Odoardo Gardella - gli valsero la stima d'illustri storici italiani e stranieri che ricorsero spesso alla sua cooperazione d'artista per opere di archeologia cristiana.
Luigi Ricci ebbe una vita assai travagliata. Nel 1855 fu colpito dal colera, ma fu uno dei pochi fortunati ad uscir vivo dal Lazzaretto. Una volta, di ritorno da Sant'Agata Feltria, cadde dal suo carrettino e per alcuni giorni restò fra la vita e la morte. Morì a Ravenna il 29 luglio 1896 a settantatre anni di età dopo otto lunghi anni di malattia.

Speciale Omaggio a Corrado Ricci - pag. [2008 - N.31]

Colta, sensibile, brillante, Elisa Guastalla fu la compagna di tutta la vita di Corrado Ricci, con cui condivise l'amore per il bello e l'arte

Bianca Rosa Bellomo - Università degli Studi di Bologna

"La fortuna mi ha assistito dandomi su tutto una compagna, nella quale è perfetta armonia d'intelligenza e di cuore, tutta rivolta alla mia felicità". Così scriveva Corrado Ricci nel dicembre 1933. Si era sposato nel marzo del 1900 e gli anni di matrimonio erano stati davvero anni felici accanto ad una persona straordinaria, Elisa Guastalla.
Figlia di patrioti del Risorgimento, nata a Mantova ma vissuta a Milano dal 1860 per il lavoro del padre avvocato, Elisa aveva avuto un'educazione eccellente ed era vissuta in un ambiente vivace e culturalmente stimolante. Aveva trascorso sedici anni, come moglie del patriota veneziano Alberto Errera, economista, nella Napoli di D'Ovidio, Fiorentino, Gioacchino Toma, D'Annunzio, Colautti, Verdinois, Uda, di Scarfoglio e della Serao, della società dei nove musi, cui appartennero giovani rampanti come - per fare qualche nome - Croce, Pica, Nitti e l'orientalista Cimmino; aveva sviluppato interessi artistici coltivati con amore, sempre attenta agli eventi culturali cittadini, come quelli del circolo Salvator Rosa, del Circolo filologico, del San Carlo. Un ricordo di quegli anni si coglie nella dedica a stampa di una prima rara edizione di Di Giacomo, Ariette e sunette, 1898: A Elisa Errera, devotamente.
Quando Corrado Ricci, nominato a Brera, la incontrò a Milano dove era ritornata alla morte del marito nel 1894, Elisa non era certo diversa dalla descrizione che ne aveva fatto Verdinois: "La signora Errera [..] era una delle figure più spiccate della società napoletana del tempo. Dotata di uno spirito pronto, aperto e sensibile alle più raffinate impressioni dell'arte, di una larga e vasta cultura velata da una connaturata modestia, di una indulgenza pietosa alle altrui debolezze, di una squisita bontà, di una conversazione tanto più brillante in quanto riusciva a far emergere il lato luminoso degli interlocutori e a trarre scintille dalla conversazione altrui, ella raccoglieva intorno a sé e, per così dire, armonizzava i più eletti e disparati ingegni".
Elisa, divenuta Elisa Ricci, portò in dote queste sue virtù ben note anche nel salotto di Piazza Venezia a Roma, dove i coniugi dimorarono dal 1906 al 1934. Corrado portò qualcosa di raro e prezioso: portò la gioia e una nuova sicurezza. Senza un tale marito non credo ci sarebbe mai stata una Elisa Ricci scrittrice e il mondo del ricamo e del merletto sarebbe ora privo di studi e di testi fondamentali per impostazione scientifica e ricchezza delle fonti, come: Antiche trine italiane. Trine ad ago (1908); Trine a fuselli (1911); Old Italian Lace (1913); Ricami italiani antichi e moderni (1925).
Sguardi attenti sulla loro vita possono cogliere espressioni di un amore che rimase giovane, sempre, una condivisione di interessi e di studi rara, una stessa sensibilità, una invidiabile intesa, fin nelle più piccole cose.
Dopo un lungo periodo in cui condivisero lavoro e lotte nella difesa e nella divulgazione del bello, una ben triste fine arrivò: anni di solitudine, anni di guerra a Torino sotto i bombardamenti, anni di sofferenze per le conseguenze delle leggi razziali. Elisa Guastalla, ebrea, si spense nel 1945 nella clinica per malattie mentali dove si era rifugiata, per salvarsi la vita, nel dicembre del 1943.
Per tanto tempo la sua figura non ha avuto la meritata attenzione, pur nelle continue citazioni. L'inspiegabile cancellazione della sua memoria ha portato alla perdita della tomba ma mi piace pensare che - chi lo può sapere? - forse si è realizzato l'augurio espresso da Santi Muratori, in occasione di un anniversario di matrimonio: "Auguro ad entrambi, dal mezzo del cuore, ogni più lieta cosa, e molti molti anni ancora da stare insieme, tanti anni che gli Dei finiscano col convertirvi in alberi, come Filemone e Bauci. E sugli alberi (due pini naturalmente), canteranno i capineri di Classe, perché gli Dei non avranno nel frattempo dimenticato che le più dolci armonie sono, per Corrado Ricci e un po' anche per donna Elisa, le armonie Ravegnane".

Speciale Omaggio a Corrado Ricci - pag. [2008 - N.31]

Alcune curiosità riferite a Corrado Ricci e alla sua famiglia contribuiscono a definirne la personalità.

Franco Gabici - Capo Reparto Attività scientifiche e museali del Comune di Ravenna

Verso la fine dell'Ottocento quasi tutte le nostre piazze si trasformavano in estemporanei teatrini nei quali si esibivano girovaghi, giocolieri e altri personaggi stravaganti. La gente era di bocca buona e tutto faceva spettacolo. E fra questi aveva acquistato una certa fama Giovanni Succi, originario di Forlì, che di professione faceva il "digiunatore" e stupiva il pubblico per la sua straordinaria capacità di astenersi dal cibo. Si racconta che riuscì a star senza mangiare per trentun giorni di fila dimostrando anche una straordinaria vitalità. Al dodicesimo giorno, infatti, si esibì andando a cavallo per quasi due ore e al ventitreesimo giorno sostenne ben due assalti di sciabola! Il digiunatore Succi aveva un "segretario" che lo accompagnava ovunque. Insieme andarono perfino nelle due Americhe. Si chiamava Achille Ricci ed era il cugino di Corrado, che ebbe a definire "uomo di spirito e di cuore ma avventuroso".
Achille, che aveva un temperamento assai simpatico, era solito sintetizzare il suo sodalizio col digiunatore con questa frase: "Quando Succi digiuna, io mangio. Quando Succi mangia, digiuniamo tutti e due!". Di ritorno dalle sue avventure, la madre di Corrado lo impiegò nel loro negozio di fotografie ma lavorare non era proprio il suo forte. Ciò nonostante fu tenuto perché costituiva un richiamo per tanta gente che frequentava il negozio divertendosi alle sue facezie.
Trasferitosi a Lugo, impiantò con un amico un negozio di biciclette e di macchine da cucire che gli consentì di vivere con tranquillità. Scrive Corrado che "prese in moglie una brava donna" dalla quale ebbe un figlio che poi si laureò in ingegneria all'Università di Torino e al quale aveva dato il nome dell'illustre cugino. Quando morì, nel marzo del 1938, così scrisse il Corriere Padano: "Achille Ricci ebbe in Ravenna numerosissime amicizie e simpatie e noi siamo stati lieti di rievocarne il giocondo e piacevole ricordo in questa nostra breve cronaca. La sua è stata infatti una serena e rasserenatrice figura della vecchia Ravenna che va scomparendo".
Come curiosità riportiamo questa "istantanea" di Corrado Ricci apparsa sul Marzocco nel 1904: "Dimagrate alquanto E. Panzacchi, strappategli (per modo di dire) parecchi capelli, sopprimete la precoce canizie, aggiungetegli un paio di lenti, accentuate - se è possibile - le cadenze romagnolo-emiliane, sopra tutto romagnole, e avrete dinanzi a voi, per incanto, l'uomo, vivo, sano e vitale, anzi addirittura... San Vitale. Perché Corrado Ricci è straordinariamente ravennate: è figlio e padre di Ravenna. Venera la sua città come un figlio, la cura e se ne occupa come un padre. Nella vita e nell'arte predilige e persegue la semplicità severa: è un nemico personale del barocco e - sebbene abbia passato tanta parte della sua esistenza fra i mosaici, le transenne e i sarcofagi - aborre da ogni forma di... bizantinismo. Come direttore di galleria è una forza, un modello, senza concorrenti e, pur troppo, senza imitatori. Più che un direttore, è un igienista, un sanitario, al quale le superiori autorità ricorrono per combattere le epidemie. Dopo Parma e dopo Brera, fu chiamato, da poco, a curare le preziose collezioni fiorentine ed è diventato così il medico dei Medici... Non si potrebbe immaginare una più delicata responsabilità. Ma non ci ha perduto il buonumore. Nonostante i gravissimi pesi dell'uffizio... degli Uffizi, trova il tempo di scrivere articoli per giornali, di sopraintendere a importanti pubblicazioni, di far conferenze e di ricevere gli innumerevoli che sentono il bisogno di dare sfogo al loro amore per le Gallerie, tormentandone il direttore. La sua cordialità è inesauribile, non meno della parola, bonaria ed arguta ad un tempo. Discorrer d'arte - pur coi seccatori - è per lui una gioia. Allora la sua eloquenza s'infiamma e il gesto l'accompagna vivace: ma, anche allora, resta semplice e spontaneo, non monta in cattedra, non sale in bigoncia. Corrado Ricci è un avversario dichiarato della... 'tribuna'!".

Speciale Omaggio a Corrado Ricci - pag. [2008 - N.31]

Considerazioni in materia di strutture, sicurezza e didattica

Daniele Serafini - Responsabile Museo Francesco Baracca di Lugo

Questa riflessione su standard e obiettivi di qualità, fissati in sede regionale, non vuole essere tanto una considerazione critica sugli standard stessi come strumento normativo e “impositivo”, quanto piuttosto un’occasione per analizzare il posizionamento del nostro Museo rispetto a parametri di qualità e funzionalità. Una sorta di autovalutazione che consenta di evidenziare lo stato delle cose, delineando luci ed ombre, innovazioni e ritardi.
La chiusura del Museo Baracca al pubblico dalla primavera del 2000 all’estate del 2001 ha consentito di intervenire in due settori importanti: quello che concerne strutture e sicurezza e che fa riferimento in particolare al pubblico. L’abbattimento delle barriere architettoniche, tramite messa in opera di un ascensore in un palazzo di fine Ottocento, sede del museo, è stato un intervento che, senza violare l’identità architettonica degli spazi, ci ha permesso di garantire l’accesso ai portatori di handicap, introducendo al contempo nuove misure di sicurezza rispettose della normativa nazionale.
La nostra seconda azione si è concentrata su: a) catalogazione dei materiali e b) leggibilità del percorso espositivo, leggasi “informazioni e segnaletica esterna ed interna”. Tutti i cimeli, documenti e oggetti del museo (oltre seicento) sono stati catalogati, fotografati e trasferiti su supporto magnetico: sono consultabili su appuntamento presso i nostri uffici ed entro un anno si pensa di metterli in rete in modo che possano essere disponibili on line. Nella primavera prossima, inoltre, uscirà un catalogo cartaceo con la documentazione completa, comprese le immagini, curata dall’associazione “Agmen Quadratum”. Il museo offre al pubblico anche una serie di pannelli esplicativi che consentono ai visitatori di avere informazioni pressoché esaustive sul percorso espositivo e sulla figura e la storia di Francesco Baracca. Sul versante della custodia e della sicurezza/tutela del patrimonio stiamo provvedendo ad alcuni interventi per riqualificare il profilo del museo. Partendo dalla fine ormai prossima dell’esperienza del servizio civile presso le nostre istituzioni, che ha avuto esiti positivi per il contenimento delle spese, ma che è stata caratterizzata da risvolti spesso deleteri per l’immagine delle medesime (mi riferisco al tipo di accoglienza del pubblico, distratta e per nulla qualificata), siamo orientati ad affidare la custodia del museo a terzi, segnatamente ad un’agenzia specializzata.
La qualità dell’accoglienza ai visitatori è e deve essere uno dei momenti che qualificano un’istituzione: essa non può essere gestita con leggerezza. Chiederemo anche ad alcune associazioni di volontariato locale e agli “Amici del Museo Baracca” di collaborare maggiormente con noi per migliorare la qualità dell’accesso sia al museo che ai nostri spazi espositivi.
Al fine di garantire una più puntuale tutela del patrimonio, entro l’anno il museo sarà dotato di un sistema di videosorveglianza tramite dotazione di un impianto televisivo a circuito chiuso composto da sei telecamere collegate ad un sistema di videoregistrazione digitale. Tutte le telecamere faranno capo a un sistema di archiviazione e trattamento delle immagini collocato nell’ufficio a piano terra che ha anche funzioni di biglietteria e bookshop.
Un’ultima considerazione riguarda la didattica. Il Museo Baracca si è attivato da circa un anno per creare le condizioni affinché, accanto alla sua vocazione turistica, si delinei anche una più marcata visibilità del museo nel territorio. La scuola rappresenta l’interlocutore ideale perché prenda corpo l’idea di museo come “spazio d’apprendimento”. Stiamo proponendo alle scuole lughesi una collaborazione che abbia al suo centro la didattica. Partendo da due quaderni in corso di stampa, prodotti dal Servizio Musei della Provincia, disponibili entro l’anno, studenti ed insegnanti potranno interagire con gli operatori museali, i quali avranno il compito di fungere da ‘mediatori’ tra gli oggetti, i cimeli, il patrimonio del museo, dunque, e loro stessi. Questo dovrebbe essere il primo passo verso la realizzazione di un vero e proprio laboratorio didattico. Ma qui sorge inevitabile una domanda: ci saranno le risorse finanziarie o la volontà di trovarle per coinvolgere personale esterno, specializzato in percorsi didattici, visto che il museo ha un solo addetto privo di competenze specifiche in questo settore?

pag. 0 [1997 - N.0]

Il bio-monitoraggio dell’ambiente attraverso le api, in collaborazione con l'Istituto Nazionale di Apicoltura di Bologna

Gian Paolo Costa - Responsabile del Museo Civico di Scienze Naturali di Faenza

Poco più di una ventina di anni fa, chi scrive allenava una squadretta di pallacanestro: uno fra i bimbetti emergeva, per attitudini fisiche e “psicologiche”. Sono trascorsi gli anni e nella tarda primavera del corrente anno 2004 Davide Balbi (il succitato potenziale professionista della pallacanestro faentina nel frattempo aveva collezionato un paio di lauree…) propone a chi scrive di posizionare alcuni alveari all’interno del giardino botanico circostante il Museo Civico di Scienze Naturali di Faenza. L’interesse ‘da apicoltore’ - produttore di miele - di Balbi era attirato dallo scintillante e vario patrimonio floristico del giardino botanico del Museo ma anche dal ricco corredo/arredo verde dei viali urbani e dei vasti giardini presenti all’interno del raggio d’azione delle “sue” operaie (1,5 km circa).
All’osservazione dello scrivente che nell’area edificata cittadina da tempo gli Enti di controllo preposti (in primis l’A.R.P.A. dell’Emilia Romagna) avevano attivato centraline per monitorare l’inquinamento urbano presente (polveri sottili, metalli pesanti ecc.) l’apicoltore faceva notare che le api, alla pari di altri bioindicatori (normalmente utilizzati a questo fine) – per quanto ne era a conoscenza personalmente – possono efficacemente affiancare i sistemi tradizionali di monitoraggio in un ambito, un “sistema” di controllo integrato dell’ambiente. E che, ad ogni buon conto, egli avrebbe provveduto a sottoporre il miele prodotto alle analisi di prammatica (specificamente approfondite).
Da queste considerazioni, e dalla contestuale verifica in bibliografia dell’effettivo utilizzo delle api quali agenti di monitoraggio di inquinamento urbano, all’aver maturato la decisione di interpellare l’Istituto Nazionale di Apicoltura di Bologna per attivare anche in Faenza (a cura del locale Museo naturalistico) un bio-monitoraggio dell’ambiente attraverso l’analisi di pollini raccolti e di miele prodotto da api, il passo è stato assai breve.
Claudio Porrini, del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroambientali dell’Università di Bologna e collaboratore dell’Istituto Nazionale di Apicoltura, confermava che “con il monitoraggio tramite api è possibile mettere in evidenza i periodi e le zone più esposte ai diversi inquinanti analizzati” - in particolare metalli pesanti quali piombo, nichel e cromo, e benzo[a]pirene - e forniva ragguagli puntuali circa i protocolli di indagine, codificati a seguito di ricerche specifiche oramai ventennali.
In conclusione: in attesa di reperire i fondi occorrenti per organizzare l’indagine “di dettaglio” ed esperire le analisi necessarie si è provveduto a verificare le potenzialità dell’area installando alcune arnie, previe indicazioni e verifiche tecniche dei competenti uffici A.S.L. di zona. Al centro dell’area verde retrostante l’edificio museale si è recintata – come da normativa specifica – la porzione di giardino oramai da anni in corso di naturalizzazione spontanea ed i primi riscontri attestano un’attività delle api assai intensa e produttiva. È stato altresì possibile verificare puntualmente e de visu quali piante attirano maggiormente le api: i Cisti (molto scenografiche le immagini riprese di bottinatrici sui fiori rosa di Cistus incanus), il Biancospino (Crataegus monogyna) e l’Amorpha fruticosa, letteralmente “aggredita”.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 0 [1997 - N.0]

Pier Domenico Laghi

L’importanza delle donazioni per la nascita, lo sviluppo, la vita delle istituzioni museali è spesso data per scontata: tanto scontata che raramente ci soffermiamo sui molteplici aspetti, ed anche problemi, che il tema “donazioni” racchiude in sé.
Nello Speciale di questo numero abbiamo tentato un primo approccio al tema delle donazioni, ancora timido e prevalentemente di testimonianza. Quanto ne esce, tuttavia, già tratteggia uno scenario abbastanza ampio di problematiche: dalla psicologia alle motivazioni del donatore, dal valore storico e scientifico delle piccole donazioni, specie se motivate della correlazione forte donatore-territorio, alla forza delle donazioni quale strumento per la ricostruzione di un grande museo; dall’interazione con il diritto d’autore al rapporto tra artista e donazione, vedasi a tal proposto le riserve poste da Giovanni Piancastelli su alcune delle sue opere donate.
Il tema del valore attuale delle donazioni attraversa diversi articoli dello speciale per trovare una forte testimonianza nella recentissima donazione “Foschi”, attraverso la quale si mette a disposizione per il pubblico interesse non solo beni e documenti, ma anche il contenitore.
Nonostante questa pluralità di approccio mancano ancora all’appello e all’approfondimento altrettante declinazioni del tema “donazioni”, specie quelle più orientate alla gestione. Donazione, infatti, è un termine che racchiude in sé una molteplicità di significati: omaggio dell’artista di una propria opera, lascito ereditario, consegna in comodato per la pubblica fruizione, messa a disposizione di raccolte organiche con vincoli o senza vincoli; ognuna di queste modalità comporta responsabilità ed oneri diversi per l’istituzione museale beneficiaria ed ha diverse ricadute formali, gestionali ed amministrative che vale la pena approfondire per facilitare il lavoro e le modalità operative degli operatori museali, pubblici e privati, con le diverse modalità che questa differenza comporta in termini di obblighi e responsabilità.
Ma il termine donazione può allargarsi oltre alle opere ed alle raccolte di diverso genere e natura, per fare riferimento anche a strumenti e risorse destinati a creare finanziamenti da utilizzare per la valorizzazione e la fruizione delle opere d’arte. In un contesto caratterizzato da scarsità di risorse pubbliche da destinare alla cultura ed ai beni culturali, il potenziale che può derivare da una costante e costruttiva attenzione al tema delle donazioni, da sviluppare con nuove e più organiche modalità, è quindi fondamentale sia per l’acquisizione di nuove opere e documenti che per la conservazione, fruizione e valorizzazione di quanto già presente nei musei.
Possiamo concludere a proposito che con lo Speciale abbiamo posto un tema, ma è rimasto molto lavoro per i prossimi numeri.
Questo non è però solo il numero degli impegni per futuri approfondimenti; con soddisfazione presentiamo anche una raccolta di buoni risultati.
Due musei si affacciano al Sistema Museale Provinciale: la Domus dei Tappeti di Pietra di Ravenna e il Museo del Castello di Bagnara di Romagna; un prestigioso museo di una grande città ed un vivace progetto di un piccolo Comune rappresentano due dimensioni diverse per valorizzare la lettura della storia e dell’arte del territorio.
Una raccolta, la collezione di marionette della famiglia Monticelli, trova la sede per diventare a pieno titolo museo: “La Casa delle Marionette”; il lavoro di studio, catalogazione e restauro portato avanti in questi anni è giunto a coronamento.

Editoriale - pag. 0 [2005 - N.24]

Il progetto su Musei e lifelong learning, coordinato dall’IBC, si propone di fornire agli operatori gli elementi essenziali per orientarsi nel campo dell’educazione permanente

Margherita Sani - Istituto Beni Culturali della Regione Emilia Romagna

Il tema delle professioni museali è diventato di grande attualità nel nostro paese. Legato intimamente a quello degli standard e al processo in corso da alcuni anni per definire e applicare parametri per il miglioramento della qualità nei musei, il discorso sulle professionalità nasce dalla consapevolezza che tale miglioramento può attuarsi solo in presenza di un capitale umano numericamente sufficiente, preparato, flessibile, ma soprattutto capace di crescere professionalmente e autoformarsi nel corso di tutta una carriera.
Parlando di professionalità nei musei e non volendo limitare lo sguardo unicamente al nostro paese, un dato che colpisce è la straordinaria trasformazione verificatasi in quello che potremmo chiamare l’ambito dell’educazione al patrimonio, della didattica museale, o, alla francese, della “mediazione culturale”. Infatti, nonostante la funzione educativa sia intrinseca alla nascita del museo, ci troviamo non solo davanti ad una professione sostanzialmente giovane e riconosciuta ufficialmente solo da pochi anni negli organici, ma soprattutto ad una professione che, rispetto alle altre presenti nel museo, ha subito trasformazioni rapide e intense ed è tuttora esposta a sollecitazioni che richiedono un costante aggiornamento del personale ed un ampliamento delle competenze presenti.
Le sollecitazioni e gli stimoli traggono origine da diverse circostanze: dalla maggiore apertura del museo nei confronti del pubblico, dalle richieste avanzate da parte della società a che il museo assuma anche altri ruoli oltre a quello tradizionale – divenendo luogo di aggregazione sociale, di recupero delle marginalità, di integrazione culturale – dalle aspettative di una molteplicità di utenti: oltre ai bambini, i giovani, gli anziani, chi ha un handicap fisico o di altro genere.
Sostenute, in alcuni paesi in modo molto forte, da politiche culturali finalizzate ad accrescere l’accessibilità delle istituzioni culturali, queste pressioni nei confronti dei musei hanno fatto in modo che il ruolo di chi mette in relazione pubblico e beni culturali diventasse assolutamente cruciale.
Ovunque, e questo vale per tutti i paesi europei, l’attività educativa dei musei si rivolge tradizionalmente alle scuole. In questo l’Italia non si differenzia dal resto d’Europa. E tuttavia in diversi paesi sono stati sviluppati e vengono condotti con regolarità programmi rivolti a pubblici non scolastici, appartenenti a tipologie diverse e di età dai 16 anni in su, che è poi la grande categoria che il lifelong learning abbraccia. In Italia ciò accade spesso in modo sporadico, al di fuori di politiche pubbliche che incoraggino e sostengano queste azioni, e laddove avviene, l’esperienza rimane spesso patrimonio esclusivo di chi l’ha attuata, poiché esistono poche occasioni di scambio e condivisione. Altrettanto scarse sono le occasioni formative che sostengano gli educatori al patrimonio nell’allargare l’offerta didattica, tagliandola su pubblici diversi e non tradizionali.
Il corso Musei e lifelong learning: esperienze educative rivolte agli adulti nei musei europei organizzato da IBC in collaborazione con la Direzione Cultura della Regione Veneto il 17 e 18 ottobre 2005, è nato da queste premesse e si è proposto di fornire agli operatori gli elementi essenziali per orientarsi nel campo dell’educazione permanente e trarre spunti e indicazioni per realizzare momenti educativi mirati ai diversi segmenti di utenza. Esso si inquadra all’interno del progetto Lifelong Museum Learning, finanziato dal Programma comunitario Socrates Grundtvig 1 per gli anni 2005-2006 e coordinato dall’Istituto Beni Culturali. I contenuti del corso sono stati pensati a partire dall’analisi dei bisogni formativi condotta in una delle prime fasi del progetto, che ha evidenziato tra gli operatori innanzitutto l’esigenza di una definizione di campo. Cos’è il lifelong learning? Qual è lo stato dell’arte in Italia? Quali sono i fondamenti dell’educazione rivolta agli adulti? Come apprendono gli adulti, su quali elementi bisogna fare leva perché l’apprendimento avvenga in modo efficace ecc.
In secondo luogo è emersa la necessità di dotarsi di strumenti per progettare attività educative rivolte a pubblici diversi e dunque caratterizzate da un certo grado di innovazione, sia per quanto riguarda i contenuti che le modalità di programmazione ed erogazione. Altrettanto sentita l’esigenza di rafforzare la componente educativa presente negli allestimenti e nelle mostre temporanee, che restano il primo e fondamentale momento di comunicazione con il pubblico. Su questo ultimo tema è stata costruita una sezione specifica del corso, anche traendo spunto da esperienze estere che testimoniano un’attenzione molto puntuale a tradurre le teorie educative più avanzate in contenuti e modalità espositive.
Nella settimana successiva (27-30 ottobre 2005), il corso “si è trasferito” a Bertinoro, portando con sé – data la limitatezza dei posti – solo alcuni partecipanti, ma inserendoli in un contesto veramente europeo all’interno dell’European Museum Forum Workshop organizzato da IBC in collaborazione con European Forum e Regione Toscana, per approfondire il tema del Museum Environment, l’ambiente museale, a riprova di quanto sia importante sia la componente fisica e ambientale per favorire processi comunicativi e di apprendimento.
Infine, il 7 novembre a Rovigo un follow up di entrambi i momenti all’interno della giornata L’età matura del museo. Incontro con i mondi degli adulti, dove gli stessi temi sono stati rivisitati con una particolare attenzione alla realtà dei musei veneti. Successivi momenti formativi nell’ambito del progetto Lifelong Museum Learning, aperti anche alla partecipazione italiana, sono previsti nel 2006 in Portogallo, a cura di APOREM – Associazione Portoghese dei Musei di Impresa – e nei Paesi Bassi, a cura dell’Associazione Musei.v I materiali dei corsi ed altri contributi su questi temi saranno raccolti in un volume disponibile a conclusione del progetto, a fine 2006.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 0 [2005 - N.24]

La donazione di opere di artisti americani e italiani provenienti dalla collezione Panza di Biumo arricchisce le sale del Palazzo Ducale di Sassuolo

Antonella Tricoli - Incaricata per il Sistema Museale Provinciale di Modena

È ormai noto, non solo agli esperti di storia dell’arte, lo splendore del Palazzo Ducale di Sassuolo, “delizia” dei duchi d’Este; l’edificio, originariamente dimora castellana, acquisì nel corso del Seicento appunto l’aspetto di “delizia”: in quanto luogo di svaghi e di villeggiatura, anche l’arredo, ridotto all’essenziale, assunse la caratteristica, effimera e mutevole, di un insieme di oggetti influenzati dalla moda del periodo.
L’essenzialità degli ambienti, pur nella grande ricchezza decorativa di affreschi e stucchi candidi, si sposa perfettamente con l’essenzialità e ieraticità delle opere Minimal dei dipinti e delle sculture di artisti americani e italiani che fanno, dell’insieme, un evento pittorico-architettonico e plastico unico: i manufatti artistici, ospitati nell’Appartamento Stuccato e Dorato, sono stati commissionati appositamente da Giuseppe Panza di Biumo per gli alloggiamenti di quelle stanze, un tempo destinati alle collezioni ducali disperse. Il conte Panza di Biumo, figura assai importante e carismatica del collezionismo d’arte della seconda metà del XX secolo, già dagli anni Cinquanta ha intrattenuto rapporti con gli artisti americani più all’avanguardia, cominciandone a collezionare, nella villa rinascimentale di Varese, le opere più significative.
Monochromatic Light, il titolo dell’esposizione di Sassuolo, ben spiega la natura, appunto monocromatica, di questi lavori, prima offerti in comodato gratuito per il Palazzo poi con atto liberale definitivamente donati. Il «Progetto Contemporaneo», patrocinato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, Direzione Generale per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico e Direzione Generale per l’Architettura e le Arti Contemporanee, è stato condiviso anche dall’Accademia Militare di Modena (che ha in custodia il prestigioso complesso), dalla Regione Emilia-Romagna, dalla Provincia di Modena, dal Comune di Sassuolo, con il concorso della Fondazione Cassa di Risparmio di Modena e di Assopiastrelle. Il progetto, partito nel 2001, è stato voluto dall’allora Soprintendente per il Patrimonio Storico, Artistico ed Etnoantropologico di Modena e Reggio-Emilia, Filippo Trevisani, che, lungimirante, ha guardato attentamente il Palazzo vedendoci un possibile centro di produzione culturale e di ricerca sull’attualità, di collaborazione e scambio, obiettivo già in parte raggiunto grazie alla straordinaria commistione di antico e contemporaneo di memoria e avanguardia. Sala dopo sala si respira un’aria di internazionalità, soprattutto di perfetta simbiosi con la natura del posto: un complesso architettonico e naturalistico in cui la luce e il colore dell’immenso parco esterno fanno a gara con i lampi coloristici dell’interno, in grado – come i duchi ben sapevano – di trafiggere direttamente l’anima con il piacere dell’arte.
Anne Appleby, Lawrence Carroll, Timothy Litzman, Winston Roeth, David Simpson, Phil Sims, Ettore Spalletti – ora è stata aggiunta una scultura creata ad hoc da Maurizio Mochetti intitolata Blue Bird CN7 – hanno riempito di nuovi capolavori le stanze e quelle cornici che, un tempo, furono cruccio e delizia per l’immaginazione di Francesco I d’Este come di altri duchi di Modena: textures diverse, supporti diversi, reazioni differenti alle onde luminose, forme diverse di reinterpretazione del colore. Le sperimentazioni monocromatiche sono porte di accesso agli universi della mente.
Nella Camera degli Incanti Spalletti interpreta il monocromo come l’incanto dell’irraggiungibilità del colore, la mutevolezza dell’impressione, lo scherzo del gioco artistico; in quella della Musica Simpson ha collocato opere intitolate Rosa Mystica dai colori delicati che contengono la segreta magia del fiore proibito; nella Camera dei Sogni Litzman tratta l’oscillazione, la sfumatura della tinta, l’indeterminatezza dell’intonazione come fossero note di una musica che accompagna nel mondo onirico; Carroll nella Camera della Fama contraddice quel nome con l’umiltà della cruda materia, rivolta il guanto e mostra come l’Arte sia ricca e allo stesso tempo povera, comunque e sempre protagonista... Grazie a questa donazione si è attuata una delle tante forme possibili di compenetrazione di materia e concetto, di perpetuazione della sempre mutevole idea del Bello, dunque di opera d’arte “totale”.

La pagina del Sistema Museale dalla Provincia di Modena - pag. 0 [2005 - N.24]

Prosegue, anche per il nuovo anno scolastico, il Progetto Scuolamus ideato dalla Provincia di Rimini e dedicato alle attività didattiche museali

Luca Vannoni - Ufficio Cultura della Provincia di Rimini

Iniziano le scuole e si vivacizza l’attività didattica e laboratoriale dei musei della provincia di Rimini. Incontri con gli insegnanti, laboratori ed escursioni naturalistiche, visite guidate e animazioni drammaturgiche sono solo alcune delle iniziative che i musei del Sistema Museale Provinciale propongono ogni anno per intercettare i vari segmenti della popolazione scolastica del territorio.
L’importanza delle attività didattiche museali, ormai maturate in un percorso di crescita pluriennale, e i brillanti risultati conseguiti in termini di afflusso di utenti e di qualità delle proposte hanno spinto l’Amministrazione provinciale a proseguire il progetto Scuolamus. La Provincia di Rimini, già da alcuni anni, valorizza le iniziative di didattica museale mediante la promozione del trasporto gratuito degli studenti ai musei e la realizzazione di un’apposita Guida alla didattica nei Musei del Sistema della Provincia, di cui, di recente, è stata pubblicata la nuova edizione aggiornata all’anno scolastico 2005/06.
La Guida raccoglie le attività di didattica museale proposte dai musei del Sistema organizzandole in una presentazione in sei moduli: 1) natura, 2) etnografia – culture extraeuropee – marineria, 3) paleontologia, preistoria e protostoria, 4) età romana, 5) età medievale e moderna, 6) età contemporanea.
Sono fornite anche delle dettagliate informazioni supplementari relative alle caratteristiche tematiche dei quindici musei coinvolti, alla tipologia di attività previste (visita guidata, animazione, laboratorio, animazione presso la scuola, incontro multimediale), alla fasce di utenti a cui sono indirizzate le attività, alla loro durata ed agli eventuali costi.
In tal modo, è possibile una consultazione agile e personalizzata della Guida da parte degli insegnanti, ai quali è stata capillarmente distribuita, al fine della realizzazione di un percorso didattico, tra scuola e museo, che rispetti al massimo le differenze dei vari soggetti coinvolti. I musei si propongono di soddisfare le legittime esigenze di conoscenza e di informazione sulla cultura del territorio che provengono dalle scuole e, attraverso tali iniziative, cercano di far radicare nei giovani visitatori la consapevolezza del ruolo sociale del museo.
“Il museo infatti – afferma Marcella Bondoni, Assessore alla Cultura della Provincia di Rimini – per proporsi come istituto vivo, vitale perché vissuto dai cittadini, deve oggi svolgere la propria funzione di servizio al territorio facendosi attivo promotore di cultura verso i più differenziati segmenti di fruitori. Un museo non radicato nella consapevole passione di una comunità non ha infatti un futuro”.
Anche da una veloce scorsa ai nuovi programmi, è possibile cogliere l’elevato livello delle attività didattiche proposte e il continuo processo di rinnovamento che contraddistingue la loro progettazione da parte degli operatori museali. Si spazia dunque dalle esperienze, nella natura, presso la Riserva Naturale Orientata di Onferno-Gemmano, sulla biodiversità e la sostenibilità, alle attività sulla cultura della marineria proposti dal Museo della Regina di Cattolica, ai laboratori archeologici e storici dei Musei di Verucchio, Riccione, Rimini e Santarcangelo di Romagna. Di particolare interesse, anche i percorsi animati introdotti da alcuni musei attraverso l’utilizzo della letteratura per l’infanzia, del gioco teatrale-narrativo, della manipolazione e della musica per facilitare l’incontro con gli oggetti e le opere esposte.
La Provincia di Rimini, inoltre, per agevolare l’incontro scuola/museo, mette a disposizione un pacchetto gratuito di uscite per il trasporto gratuito degli studenti agli istituti museali collocati al di fuori del Comune di riferimento. Attraverso tale servizio, tutte le scuole, anche quelle più isolate dell’entroterra, hanno una possibilità in più per sperimentare l’avventura di un percorso cognitivo insolito e divertente.
È possibile richiedere copia della Guida al seguente indirizzo di posta elettronica: cultura@provincia.rimini.it

La pagina del Sistema Museale della Provincia di Rimini - pag. 0 [2005 - N.24]

La biblioteca di Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali vanta due fondi librari unici nella loro specificità e ricchezza scientifica

Giorgio Vespignani, Andrea Piras - Fondo Pertusi, Università degli Studi di Bologna, sede di Ravenna

Il Fondo “Agostino Pertusi” conta oltre 7000 voci di argomento bizantinistico, slavistico e venezianistico, che costituivano la parte più cospicua della biblioteca privata di Agostino Pertusi (1918-1979), insigne studioso, docente all’Università Cattolica di Milano e Direttore dell’Istituto Venezia e l’Oriente della Fondazione Cini di Venezia. Dietro l’interessamento del prof. Antonio Carile, nel 1979 fu acquisito dall’Università di Bologna e affidato alla Cattedra di Storia Bizantina: fino al 1999 costituì il nucleo principale della dotazione libraria della Sezione Civiltà Bizantino-Slava del Dipartimento di Paleografia e Medievistica dell’Università di Bologna, benché non schedata, denominata «Biblioteca Agostino Pertusi».
Dal marzo 1999, trasferito presso il Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali dell’Ateneo di Bologna, sede di Ravenna, il fondo schedato e regolarmente accessibile in rete contribuisce, unitamente alla Biblioteca «Tomaso Bertelé», altro fondo di carattere bizantinistico ed orientalistico di straordinaria ricchezza ed importanza acquisito nel 1991 dalla Biblioteca Classense di Ravenna, alla ricchezza biblioteconomica dell’Ateneo in generale e, in particolare, di Ravenna, che si propone come centro bibliografico bizantinistico e storico-veneziano di livello internazionale (la Biblioteca Classense detiene l’archivio «Agostino Pertusi», acquistato nel 1990).
Nel fondo confluiscono i generi che costituirono i campi di studio del Maestro milanese: opere di letteratura e filologia greca e neogreca, storia bizantina, storia dei paesi slavi, storia di Venezia e dei suoi rapporti con l’Oriente mediterraneo, numerose delle quali in lingua, acquisite a suo tempo presso librerie antiquarie, oggi rarissime. Quasi tutto il materiale è stato gestito con Sebina: si tratta di quasi 3000 monografie, oltre 600 tomi di periodici scientifici ed opuscoli, quasi 3000 estratti. Attorno a tale Fondo si concentrano le ricerche di studiosi affermati, come si sono formati, negli anni recenti, giovani dottorandi di ricerca e ricercatori dello stesso Ateneo.
Il patrimonio bibliotecario della Facoltà si è incrementato considerevolmente grazie alla recente acquisizione di due importanti fondi privati, relativi alle discipline orientalistiche, che completano il settore classico e bizantinistico del Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali. Questi due fondi rappresentano per Ravenna un notevole patrimonio (di circa 10.000 volumi) consono alla sua storia di antica capitale sospesa tra Occidente e Oriente.
Nel 2001 è stata acquistata la biblioteca del prof. Jes Peter Asmussen, ora in fase di catalogazione: professore emerito di filologia iranica presso l’Università di Copenhagen, studioso versato non solo nella scienza orientalistica ma anche nel settore delle scienze naturali, come l’ornitologia che egli coltivava in quanto amateur ma con ampiezza di documentazione, come è attestato dalla presenza di numerose pubblicazioni. A questo settore si affianca, poi, la più cospicua biblioteca delle sua professione ufficiale di orientalista: una vasta estensione di volumi sulle lingue (iraniche, semitiche, turche) e le culture del Vicino e Medio-Oriente e dell’Asia Centrale testimoniano un interesse non meramente settoriale ma di ampie connessioni interculturali.
Si spazia dalla storia religiosa del Cristianesimo siro-mesopotamico e centro-asiatico a quella dell’Iran zoroastriano, al Manicheismo, al Buddhismo e all’Islam, senza tralasciare le scienze bibliche (vetero e neo-testamentarie) e gli studi classici e tardo-antichi. È da segnalare anche una sezione di libri sulle fiabe e sul folklore, una raccolta di estratti, più alcuni libri rari di pregio antiquario.
Nello stesso anno è pervenuta anche la biblioteca del compianto prof. Ilya Gershevitch dell’Università di Cambridge, donata dallo studioso all’Istituto Italiano per l’Africa e l’Oriente con la precisa condizione che tale fondo fosse depositato presso la sede universitaria di Ravenna, al fine di promuovere lo sviluppo degli studi orientali. Ilya Gershevitch si è dedicato prevalentemente agli studi sull’Iran pre-islamico, compreso nella storia millenaria dei tre imperi Achemenide, Partico e Sassanide. I suoi interessi si sono estesi anche ad altre zone come il Caucaso e l’Asia Centrale, per compiere studi approfonditi sulle civiltà di popoli che hanno prodotto testimonianze di grande importanza per la storia culturale (letteraria, religiosa, filosofica) del continente eurasiatico.

La pagina della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 0 [2005 - N.24]

La Soprintendente Anna Maria Iannucci ricorda con affetto la figura e l’operato della direttrice del Museo Nazionale di Ravenna

Anna Maria Iannucci - Soprintendente

Luciana Martini nasce nel 1951 a Faenza, dove compie gli studi classici, laureandosi poi in lettere con perfezionamento in Storia dell’Arte presso l’Ateneo bolognese. Era stata allieva di Renato Barilli ed appassionata di arte contemporanea.
Entra a far parte dell’Amministrazione nel 1978 come storico d’arte della Soprintendenza ravennate (ora Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio), occupandosi di tutela, conservazione e restauro dei beni storico-artistici nel territorio della provincia di Ravenna e delle collezioni del Museo Nazionale. Dal 1991 al 2005 ha ricoperto il ruolo di Direttore del Museo svolgendo anche funzioni di Storico d’Arte Coordinatore sul territorio. Dal 1984 al 2005 ha svolto attività didattica presso la Scuola per il Restauro del Mosaico, gestita dalla Soprintendenza ravennate (riconosciuta come sezione della Scuola dell’Opificio delle Pietre Dure di Firenze dal febbraio 2004). Insegna in particolare “Storia del restauro delle opere d’arte” (le dispense sono in corso di pubblicazione per le edizioni Nardini).
Presso il Museo Nazionale, prima come ispettore e conservatore delle collezioni e poi come direttore, cura l’ordinamento scientifico ed il catalogo di collezioni permanenti. Fra i cataloghi editi ricordiamo in particolare: Piccoli bronzi e placchette del Museo Nazionale di Ravenna (Ravenna 1985); Oggetti in avorio ed osso nel Museo Nazionale di Ravenna (Ravenna 1993); 50 capolavori nel Museo Nazionale di Ravenna (Ravenna 1998). La sua intensa attività pubblicista la porta a pubblicare oltre 50 titoli, collaborando fra l’altro a riviste come “Faenza” del Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, “Romagna Arte e Storia” e lo stesso “Museo in-forma”.
A lei si deve la cura puntuale dei “Quaderni di Soprintendenza” (QdS nn.1/5), che solo grazie alla sua tenacia hanno proseguito la loro pubblicazione nonostante gli aumentati impegni e funzioni delle Soprintendenze ed i sempre più limitati finanziamenti. Fino agli ultimi mesi di vita Luciana Martini ha curato il n. 6 dei Quaderni e le dispense del Corso di restauro, oggi in corso di pubblicazione.
Fra i suoi progetti non portati a termine - ma che la Soprintendenza intende proseguire - vi è il riordino delle esposizioni delle collezioni degli avori e delle icone e delle prime sale del Museo.
Vogliamo ricordare il suo impegno quotidiano di funzionario, con un’attenzione particolare ai restauri delle decorazioni pittoriche nelle case e palazzi faentine (e qui citiamo la sua ultima pubblicazione Casa Ricciardelli, il restauro, Faenza 2005), la sua direzione esemplare dei restauri pittorici in S. Nicolò a Ravenna, da lei definito un monumento-museo della storia artistica di Ravenna in un articolo pubblicato nel 2003 proprio su “Museo Informa”, la sua razionale e continuata attività di studiosa, che ha arricchito di contenuti il Museo Nazionale ed ha saputo creare legami e confronti con studiosi internazionali.
Mentre si sta allestendo la ricomposizione delle Vele di Santa Chiara, con le pareti affrescate già collocate nel 1995 nel Museo Nazionale, pensiamo che non potrà essere con noi a seguire questo nuovo ritorno delle celebri superfici dipinte di Pietro da Rimini, che hanno subito distacchi, esili, restauri, tornando infine tutti insieme a Ravenna, nel Refettorio del Museo Nazionale.
Luciana Martini muore a Ravenna il 21 maggio 2005, lascia il marito ed il figlio Luca, tutti i colleghi della Soprintendenza ed un lavoro esemplare.

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 0 [2005 - N.24]

Cosa c’è dietro alle donazioni, dalla necessità di sapere “al sicuro” la propria collezione alla consapevolezza di mettere a disposizione del vasto pubblico opere preziose

Franco Gàbici - Capo Reparto delle Attività scientifiche e museali del Comune di Ravenna

Per fortuna non tutti la pensano come il verghiano Mazzarò, che dopo aver accumulato “roba” per tutta la vita, giunto alle soglie della vecchiaia si pone drammaticamente il problema: “Sicché – scrive Verga nella novella La Roba – quando gli dissero che era tempo di lasciare la sua roba, per pensare all’anima, uscì nel cortile come un pazzo, barcollando, e andava ammazzando a colpi di bastone le sue anitre e i suoi tacchini, e strillava: Roba mia, vientene con me!”.
Non sono pochi, invece, quelli che pensano di effettuare donazioni a enti o istituzioni per salvaguardare il loro patrimonio, spesso frutto dell’appassionato collezionismo di tutta una vita e, in molti casi, anche di notevoli sacrifici economici. Grazie a questi gesti, molti materiali possono essere non solo conservati ma messi a disposizione del pubblico.
Molto spesso una donazione sottende un atto di necessità da parte del donatore che, magari a malincuore, si vede costretto a disfarsi del proprio patrimonio per mancanza di spazio. Non necessariamente, però, le donazioni sono effettuate da eredi che si sono trovati sulle spalle un ingombrante patrimonio da gestire o forse da smaltire. Anzi nella maggior parte dei casi è lo stesso proprietario del patrimonio a gestire direttamente la donazione, spinto da un senso di mecenatismo ma anche dalla volontà di garantire alla propria collezione una nuova vita o di onorare la memoria di una persona, come è stato il caso recente della donazione della biblioteca privata di Mario Guerrini, che ora fa parte della biblioteca della Fondazione Casa Oriani, che in tal modo ha integrato le proprie raccolte risorgimentali con alcune interessanti pubblicazioni.
L’estate scorsa il prof. Lucio Gambi, docente dell’Università di Bologna e considerato il più grande geografo italiano, ha lasciato alla Istituzione Classense la sua biblioteca di oltre 15 mila volumi e soprattutto una ricchissima cartografia. Questa è l’ultima di una serie di donazioni che ha arricchito il patrimonio culturale della biblioteca ravennate, che nel secolo scorso ha acquisito numerosi fondi fra i quali ricordiamo quelli di Corrado Ricci, Luigi Rava, Manara Valgimigli e monsignor Mario Mazzotti, i quali con la donazione delle loro ricchissime biblioteche hanno inteso arricchire il patrimonio culturale della loro città.
A volte la donazione è legata a un evento culturale, come è accaduto per Remo Muratore il cui archivio, dopo essere stato in mostra, è stato donato alla Classense che in questo modo ha notevolmente incrementato le proprie raccolte grafiche.
Una delle donazioni più comuni riguarda tuttavia il patrimonio librario e pertanto succede frequentemente che, soprattutto in concomitanza di traslochi o di cambi di residenza, si pensi di disfarsi della propria biblioteca affidandola a una biblioteca pubblica. Purtroppo la qualità delle donazioni lascia spesso a desiderare e pertanto è invalsa l’usanza di verificare la consistenza e la qualità del prodotto prima di incamerarlo.
Molto spesso dietro al gesto della donazione è implicita la richiesta di una adeguata conservazione per un materiale di grande interesse. È il caso, ad esempio, dei materiali appartenuti al maestro Francesco Balilla Pratella, che la figlia Eda ha consegnato alla Biblioteca Trisi di Lugo. Il maestro Pratella, nativo di Lugo, ha firmato il primo manifesto della musica futurista e occupa un ruolo di primo piano nel panorama musicale italiano e pertanto la donazione ad una pubblica biblioteca di materiali personali costituisce indubbiamente un atto importante a beneficio degli studiosi che in questo modo hanno la possibilità di accedere a documenti altrimenti di difficile consultazione.

Speciale donazioni - pag. 0 [2005 - N.24]

Considerazioni intorno alle opere d’arte protette dalla normativa sul diritto d’autore

Diego Galizzi - Conservatore del Centro Culturale "Le Cappuccine" di Bagnacavallo

È un dato di fatto che gran parte dei musei in Italia, quale che sia la loro tipologia, condizione giuridica o ente di appartenenza, fonda oggi la propria politica di accrescimento delle collezioni soprattutto su iniziative di donazione da parte di collezionisti privati o, nei casi di musei d’arte contemporanea, da parte degli stessi autori delle opere. In modo ancor più stringente questa considerazione vale per i musei più piccoli, che soprattutto di questi tempi non sembrano in grado di riservare adeguate risorse a politiche di accrescimento che non si basino, appunto, su episodi di donazione.
Eppure spesse volte proprio questo genere di evento può nascondere potenziali elementi di conflitto fra museo e donatore (o suoi eredi) se, sia pur in buona fede, le parti non tengono adeguatamente conto delle attuali normative sul diritto d’autore. Lo spunto per trattare di questa problematica nasce dalla mostra William Hogarth e la commedia della società borghese, in corso presso il Centro Culturale “Le Cappuccine” di Bagnacavallo. Il grande Maestro inglese, infatti, dimostrando grande modernità di pensiero, fu il primo in Europa a porsi il problema della tutela dei diritti degli autori delle opere d’arte, facendosi promotore di un’apposita legge (la cosiddetta legge Hogarth) che garantiva agli artisti la proprietà esclusiva delle loro invenzioni originali per un periodo di quattordici anni. La norma, che metteva finalmente al riparo l’artista da episodi di riproduzione indebita delle sue opere, entrò in vigore il 25 giugno 1735.
Oggi in Italia la materia è regolata dalla legge sul diritto d’autore (L. 633/1941 e successive modifiche) che fra le varie tipologie di prodotti dell’ingegno tutela “le opere della scultura, della pittura, dell’arte del disegno, della incisione e delle arti figurative similari”. In base a questa normativa è stato più volte rilevato un latente conflitto fra gli interessi dell’autore, o dei suoi eredi, e quelli del museo che detiene l’opera d’arte. Il conflitto nasce dal principio di separazione e indipendenza fra i diritti di utilizzazione economica dell’opera (riconosciuti in maniera esclusiva all’autore) e i diritti connessi alla titolarità dell’opera fisicamente intesa, espresso dall’art. 109: “la cessione di uno o più esemplari dell’opera non importa, salvo patto contrario, la trasmissione dei diritti di utilizzazione economica, regolati da questa legge”.
Tali diritti di utilizzazione economica, esercitabili anche dagli eredi entro il termine di 70 anni dalla morte dell’autore, ricomprendono i diritti di riproduzione (in qualsiasi formato, anche il digitale), i diritti di pubblicazione (in cataloghi, riviste, banche dati) e i diritti di prestito e noleggio (anche a fini espositivi). Pare dunque inevitabile che, in seguito a donazioni di opere d’arte contemporanea, il museo si debba misurare coi diritti di utilizzazione altrui per molte delle normali attività istituzionali che in qualche modo presuppongono l’utilizzo dell’immagine dell’opera stessa. A meno che non diversamente pattuito, cioè, a meno che fra le clausole della donazione (la forma scritta è richiesta a probationem) non sia espressamente prevista la cessione a titolo definitivo o l’autorizzazione all’esercizio di tali diritti, cosa che deve essere fatta per ognuno di essi, singolarmente, poiché è principio fondamentale della legge che i diritti esclusivi siano fra loro indipendenti.
Può sembrare paradossale, ma la stessa facoltà del museo di esporre nelle proprie sale gli oggetti protetti dalla legge sul diritto d’autore appare piuttosto controversa. La legge non prevede esplicitamente fra i diritti di utilizzazione economica anche quello di esposizione, ma è convinzione generalizzata che lo si debba comprendere a sua volta fra le facoltà esclusive dell’autore.
Negli ultimi anni, tuttavia, la giurisprudenza si è espressa pressoché unanimemente a favore della liceità da parte del museo ad esporre al pubblico le opere senza espresso consenso dell’autore o dei suoi aventi causa. Presumendo, infatti, che le finalità istituzionali del museo siano note alle parti al momento dell’atto di donazione, non avrebbe senso procedere all’acquisizione dell’oggetto, o di una collezione di oggetti, disgiuntamente dal diritto di esposizione che, è evidente, rappresenta la precipua finalità del museo stesso.

Speciale donazioni - pag. 0 [2005 - N.24]

Le donazioni al Museo Internazionale delle ceramiche di Faenza dal dopoguerra ad oggi

Jolanda Silvestrini - Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza

Con i bombardamenti del 1944 il patrimonio che aveva fatto del Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza un centro universale di documentazione e di studio era andato quasi completamente perduto. Sotto le fiamme scomparvero 22 sale di esposizione, 22.196 opere inventariate, 10.800 volumi, 10.262 cartoni della Fototeca e molto altro: una perdita stimata in 56.433.500 lire dell’epoca. Negli anni a seguire Gaetano Ballardini bussò alle porte di collezionisti italiani e stranieri e intrecciò una fitta rete di corrispondenza attraverso tutti i continenti; a dimostrazione della stima che Ballardini aveva saputo guadagnarsi, giunsero da tutte le parti del mondo donazioni da Musei, Gallerie, Enti, collezionisti, artisti che collaborarono fattivamente alla rinascita del Museo: i primi importanti contributi delle future collezioni.
Tra le tante donazioni del dopoguerra, per quanto riguarda il settore italiano, ricordiamo: Ugolini, Bonini, Fioroni, Mereghi, Rusconi, Pedicini, Menghi, Cora, Cantagalli, Chini, Mariani. Ci furono anche donazioni di pezzi unici di estremo valore come ad esempio il piatto istoriato di Nicolò da Urbino inviato da Rackham e il piatto Colomba della Pace espressamente creato da Picasso per il Museo. Nel 1953 il Museo poteva ormai contare su ben 24 sale di esposizione, con 6045 pezzi, 9877 volumi in Biblioteca, 7851 fotografie nella Fototeca.
Giuseppe Liverani, succeduto a Ballardini, completò l’opera di rinascita arricchendo il Museo con più di ventimila opere grazie ad acquisti e doni. Troppi sarebbero i nomi dei donatori da citare, ricordiamo i legati di: Mereghi di Roma; Zauli Naldi, Regoli, Galli, Masironi di Faenza; Rusconi di Roma; Bazzocchi di Cesena; Haumont di Sèvres; Fantucci di Dovadola; Nagura di Tokyo; Orombelli di Milano; Bonini e Ugolini di Pesaro; Ginori Lisci di Firenze. Infine doni di artisti quali Picasso, Matisse, Rouault, Leger, Gambone. La Biblioteca integra i vuoti causati dalla guerra grazie anche alle donazioni di raccolte tra le quali quella di Haumont, di Cicognani e di Zauli Naldi. Dal 1953 al 1977 il Museo registra queste cifre: le collezioni passano a 24.695 opere inventariate; la Biblioteca a 30.574 volumi; la Fototeca a 15.126 fotografie.
Negli anni di direzione di Gian Carlo Bojani si ha una crescita ulteriore del patrimonio librario che, se nel 1979 contava 30.574 volumi, ora è giunta a possedere circa 58.000 unità bibliografiche. A queste si aggiungono le edizioni a stampa dei secoli XVI-XVIII, i cataloghi d’asta, i 400 periodici in corso e gli oltre 600 cessati. Tra le più recenti donazioni librarie va menzionato il fondo Fanfani costituito da 868 volumi, il fondo Gasparini Brunori di 896 volumi e quello Vallauri Galluppi di 81 volumi e 17 periodici.
Negli ultimi venticinque anni anche il patrimonio ceramico ha avuto un forte incremento, grazie anche alle donazioni che si sono susseguite a cadenza quasi annuale: da 24.695 opere del 1979 se ne contano oggi oltre 38.000. Citiamo la donazione Cora di un migliaio di pezzi, quella di Fanfani di 165 pezzi, poi via via molte altre: Rivoli Fanti, Nediani, Vallauri Galluppi, Laffi Petracchi, Gasparini Brunori, Gregorj, Parisi Zerbini, Mosca. Ricordiamo anche i lasciti dei faentini Bubani, Golfieri, Bracchini, Cova, Zucchini, Liverani. Il Museo si è andato arricchendo anche di ceramica contemporanea con doni degli stessi artisti - Bucci, Burri, Campi, Castagna, Ciarrocchi, Fabbrini, Lega, Ghinassi, Recalcati - di manifatture e di artisti partecipanti al biennale “Premio Faenza”.
Nel 1995 il Museo è divenuto Istituzione e nel 2002 si è trasformato in Fondazione autonoma: un momento decisivo della sua vita che vede, per la prima volta, l’ingresso nella gestione del Museo di altri Enti, Istituti e privati. L’art. 6 dello Statuto della Fondazione prevede che donazioni o disposizioni testamentarie pervenute alla Fondazione vadano a far parte del suo Fondo di gestione e che le rendite e le risorse che costituiscono tale Fondo siano impiegate per il suo funzionamento e la realizzazione dei suoi scopi. In base all’art. 16 dello stesso Statuto è previsto che, in caso di estinzione della Fondazione, il patrimonio residuo sia devoluto al Comune di Faenza per il perseguimento delle finalità culturali del Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza.

Speciale donazioni - pag. 0 [2005 - N.24]

La biblioteca e la casa di Umberto Foschi donate alla Fondazione «Casa di Oriani»

Fondazione Casa di Oriani

Mercoledì 29 giugno 2005, presso il notaio Giancarlo Pasi di Ravenna, la signora Alda Foschi ha ufficialmente donato la biblioteca e la casa di Umberto Foschi alla Fondazione Casa di Oriani. Per Casa Oriani erano presenti il presidente Ennio Dirani e il direttore Dante Bolognesi.
La raccolta documentaria, libraria, artistica creata, con la passione di un vita, da Umberto Foschi, rappresenta una vera e propria summa della storia e della cultura romagnola. Essa è costituita da circa 10.000 volumi, senza tener conto delle migliaia di documenti, manoscritti, appunti che la completano e la integrano, e testimonia in modo esemplare la vita di uno studioso interamente spesa, con dedizione e generosità non comuni, allo studio e alla divulgazione delle tradizioni e delle vicende storiche della Romagna.
La Fondazione Oriani, nell’esprimere il profondo riconoscimento per l’atto di liberalità e sensibilità culturale della signora Foschi a favore di una delle principali istituzioni italiane specializzate in storia e si è impegnata a conservare nella sua integrità le raccolte dello studioso scomparso. E soprattutto si è proposta immediatamente di valorizzare, nel nome dell’amico Umberto, la collezione e la casa per farne un attivo centro culturale, che diventi un punto di riferimento nelle ricerche sulle tradizioni popolari della Romagna.
A tal fine la Fondazione Oriani, grazie all’interessamento della Provincia di Ravenna, ha aderito al “Centro di documentazione e studio dei beni linguistici e demologici romagnoli”. Il Centro si pone come ambiziosi obiettivi la creazione di un archivio dialettale, di un archivio delle tradizioni popolari e della memoria contadina, di un archivio della letteratura dialettale e avrà come sua sede proprio Casa Foschi.
Sono poi già allo studio numerose altre iniziative da realizzarsi nel nome e nel ricordo di Umberto Foschi (concorsi di poesia dialettale, seminari di studio, pubblicazione dei saggi dello studioso scomparso, promozione di una borsa di studio rivolta a ricerche sulla cultura popolare romagnola, ecc.).

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Molte opere di Giovanni Piancastelli furono donate a chiese, conventi, collezioni ed enti pubblici

Valerio Brunetti - Responsabile Museo Civico di Castel Bolognese

Giovanni Piancastelli, artista nato a Castel Bolognese nel 1845 e morto a Bologna nel 1926, trascorse parte della sua vita a Roma dove, dopo aver costituito la Galleria Borghese per conto della nobile famiglia romana, ne divenne anche per alcuni anni il primo direttore, quando questa fu ceduta allo stato italiano.
Artista classico nel vero senso della parola, lontano dal farsi minimamente influenzare dalle numerose correnti culturali che negli anni della sua vita attraversarono l’Italia e l’Europa, operò nei più svariati campi dell’espressione artistica, dal disegno alla pittura, dalla scultura alla ceramica, sperimentando e riproponendo tecniche del passato. Sue opere sono sparse un po’ in tutta Italia, alcune anche all’estero, ma principalmente si trovano a Roma e nella sua Romagna, molte delle quali conservate nel Museo Civico di Castel Bolognese.
Profondamente religioso e generoso non trascurò di donare sue opere, anche importanti, ad enti pubblici e religiosi, come l’imponente quadro raffigurante San Girolamo in grotta alla Pinacoteca Comunale di Faenza. Alcuni ritratti andarono in dono al comune di Imola, tra cui quello di padre Serafino Gaddoni, noto storiografo locale, altre opere all’amico musicista Adolfo Gandino sindaco di Ozzano Emilia per il proprio comune. Un suo autoritratto, su sollecitazione di Corrado Ricci, fu donato alla Galleria degli Uffizi di Firenze, dove tuttora si trova; è forse il più moderno tra i numerosi da lui realizzati.
Molte sue opere furono generosamente destinate al suo paese natio, Castel Bolognese, e principalmente al convento dei cappuccini del luogo che lo vide affrontare i suoi primi passi in campo artistico sotto la guida di padre Federico Bandiera da Palestrina.
Nel 1912, ritornato in Romagna dopo il lungo soggiorno romano, donò al convento una grande raccolta di suoi disegni a soggetto francescano: opere realizzate con grande maestria e raffinatezza. Sono accompagnate da un suo autoritratto che reca sul fronte l’atto di donazione così esplicitato: “A grato ricordo depongo questi miei disegni alla penna / in questo convento ove mi fu insegnato l’Alfabeto dell’Arte; è qui che ancora / fanciullo, il Maestro mi addestrava nel disegno alla penna copiando vecchie stampe. / Se in caso di soppressione dovessero essere tolti vadano ai miei eredi. / Castel Bolognese. Gennaio 1912”. Forse il ricordo che nel suo paese si celavano forti ardori anticlericali ed anarchici gli suggerirono di aggiungere quella clausola in favore dei suoi famigliari che ritroviamo anche in altre sue opere.
Nel bel quadro della Santa Margherita da Cortona realizzato per il convento, sul retro è scritto per pugno dell’artista: “1886 / Sa. Margherita da Cortona / dipinta da Gio. Piancastelli e destinata ai Cappuccini / di Castel Bolognese, in memoria / della madre sua a condizione però che in / caso di soppressione resti di proprietà di casa / Piancastelli o suoi eredi.”
Stessa clausola anche sui ritratti ad olio di Padre Federico Bandiera e Padre Giovanni Amadei dello stesso convento. Anche nel grande quadro de La Pietà donato all’Amministrazione comunale per la chiesa del cimitero, insieme ad un autoritratto ed un’altra opera oggi dispersa, viene riportata una frase simile a salvaguardia della destinazione dell’opera: “Dipinto espressamente per il nuovo / cimitero di Castel Bolognese. / Qualora venisse tolto da questa destinazione / divenga proprietà dei miei eredi. / Bologna 1907 – Piancastelli”.
L’incertezza di questi messaggi doveva aver destato qualche dubbio nello stesso artista che pensò bene, con un testamento del 1922 a pochi anni dalla morte, di “regolarizzare” definitivamente queste sue donazioni.
Artista generoso ma diffidente.

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A Bagnacavallo, il Centro Le Cappuccine ha ricordato con ua articolata serie di eventi il centenario della nascita di Leo Longanesi

Giuseppe Masetti - Direttore del Centro Culturale "Le Cappuccine"

Cent’anni fa, il 30 agosto del 1905, nasceva in Romagna Leo Longanesi: giornalista, scrittore, editore, grafico e tante altre cose ancora come sceneggiatore, pittore e pubblicitario. Dopo pochi anni la sua famiglia si trasferì a Lugo, per avviare poi il giovane Leo agli studi in Bologna, dove conobbe l’editoria, la politica ed i primi successi. In seguito saranno la stagione romana prima, e milanese nel dopoguerra, a consacrarlo tra le figure più significative nel panorama culturale del suo tempo.
Dopo una vita breve ma intensa Longanesi morì a Milano il 27 settembre 1957, a soli 52 anni, al tavolo da lavoro della sua ultima redazione, quella de Il Borghese, negli anni in cui un nuovo linguaggio, quello televisivo, avrebbe radicalmente sovvertito il suo stile spregiudicato di grande comunicatore per articoli, disegni ed aforismi. Aveva cominciato a far giornali a 16 anni, tra circoli goliardici ed entusiasmi fascisti, incrociando tra Bologna e la Toscana i più bei nomi dell’arte e della letteratura. Ben presto aveva raggiunto una notorietà nazionale come giornalista d’assalto, ma con altrettanta rapidità, nel gennaio 1939, i vertici del fascismo avevano ordinato la chiusura di Omnibus, il suo settimanale più moderno, da tutti riconosciuto come il primo rotocalco italiano.
Per ricordarne la figura e l’opera il Centro Culturale “Le Cappuccine” del Comune di Bagnacavallo ha avviato un intenso programma di appuntamenti che vanno dalle mostre delle sue rare opere pittoriche, giunte per la prima volta in regione, alla ristampa di alcuni suoi testi fondamentali, riproposti ai lettori grazie ad una iniziativa congiunta con la Casa editrice milanese che porta ancora il suo nome.
Inoltre sono stati dedicati una mostra ed un catalogo alle sue invenzioni pubblicitarie, una pubblica lettura di David Riondino ai suoi racconti brevi ed infine un originale percorso alle sue fulminanti definizioni. Il Giardino degli Aforismi, realizzato insieme agli artigiani della CNA ravennate, è infatti un’installazione che si snoda attraverso dieci panchine d’autore, appositamente realizzate in un parco cittadino, ognuna delle quali riporta sullo schienale una celebre battuta longanesiana abbinata ad un suo disegno, una biografia commentata ed un servizio di consultazione gratuita per chi vuole leggere scritti o saggi del celebre giornalista.
Ma è presso la Biblioteca Comunale di Bagnacavallo che si conservano in un apposito fondo le sue prime edizioni e le raccolte dei suoi periodici più famosi, mentre la manifestazioni del centenario si sono concluse il 5 novembre con una giornata di studi, organizzata insieme alla Provincia di Ravenna ed all’Ordine dei Giornalisti dell’Emilia-Romagna, dal titolo Leo Longanesi fra avanguardia e tradizione con la partecipazione di Sergio Zavoli, Sergio Romano, Pietro Albonetti, Massimo Fini, Andrea Manzella ed altri esperti.
Durante questi ultimi mesi tutte le testate italiane, da quelle più prestigiose fino ai periodici locali, hanno sentito il dovere di rileggere Longanesi, facendo riferimento al genio ribelle, all’uomo contro, alla sua graffiante e cinica ironia, indipendente e conservatrice. Dopo aver guardato a lungo le sue opere il bilancio del centenario che si può trarre, il filo rosso che meglio rappresenta ancora questo personaggio, cui la provincia romagnola ha dato i natali, rimanendogli addosso anche in città, è proprio quella sua visione mitizzata e intransigente della borghesia italiana, quel giardino pubblico tante volte ricorrente negli scritti e nei disegni, affollato di caricature stroncate e rimpiante al tempo stesso. Longanesi è la ricerca spregiudicata di un orgoglio nazionale, di un’aristocrazia colta e raffinata che rimanda all’ultimo Ottocento, che cerca invano di affermarsi tra la demagogia del primo fascismo e che poi rimane sola nella nuova repubblica. Forse la sua aggressiva nostalgia si trasformò da ultimo in amara solitudine perché quella classe, portatrice di ordine, dignità e decoro, il nostro Paese non l’aveva proprio conosciuta.

Personaggi - pag. 0 [2005 - N.24]

A Bagnara di Romagna s’inaugura la sezione archeologica del Museo del Castello, primo passo di un ambizioso progetto per la musealizzazione globale della Rocca

Fiamma Lenzi - Istituto Beni Culturali della Regione Emilia Romagna

Agricoltori-allevatori, primi ad intrecciare un dialogo permanente con il territorio, abili artigiani dell’età dei metalli maestri nel forgiare il duttile e resistente bronzo, coloni romani intenti a modellare con paziente assiduità il paesaggio sino a conferirgli quella durevole fisionomia così familiare agli occhi di oggi, uomini dell’era di mezzo raccolti in preghiera nella silente atmosfera di una grande chiesa al centro del borgo fortificato, armigeri sugli spalti del castello in conflitto con il nemico di turno: capitoli, episodi, oppure anche solo brevi attimi o frasi incompiute di una narrazione che attendeva da tempo di essere rivisitata e fatta conoscere.
È ciò che con impegno forte e motivato si sta realizzando a Bagnara di Romagna. Il traguardo iniziale di un articolato percorso progettuale, che sancirà la nascita di un Museo del Castello, è oggi raggiunto con l’apertura della prima sezione museale, tutta dedicata appunto al passato prossimo e remoto del borgo e delle sue vicinanze.
Dar vita, all’interno della Rocca sforzesca, ad un nuovo organismo destinato a ripercorrere senza soluzione di continuità le vicende del territorio bagnarese, restituendo la straordinaria architettura difensiva alla sua funzione di luogo emblematico della locale comunità, sino a trasformarlo in un museo di se stesso, è certamente una sfida ambiziosa. Ma al contempo stimolante e tale da suscitare il coinvolgimento attivo della cittadinanza e di tutte quelle componenti di essa che riconoscono alla memoria storica e all’attenzione per il proprio vissuto culturale il valore di elemento di coesione e di opportunità sociale.
Non è dunque un caso che l’iniziativa rientri fra gli obiettivi programmatici che nelle intenzioni dell’Amministrazione comunale dovranno garantire, attraverso la riqualificazione e la valorizzazione del centro storico, lo sviluppo della città e del suo territorio in chiave turistico-culturale e costruire una rete di servizi al pubblico di respiro sovracomunale. Sono la vastità dello sforzo che il Comune si appresta a compiere e la volontà di procedere ad una pianificazione costantemente sostenuta da una logica di concertazione e di “area vasta” ad aver suggerito di assicurare all’impresa la collaborazione di diversi organismi pubblici coinvolti nella tutela e valorizzazione del territorio e delle istituzioni culturali. Riuniti in un Gruppo di progetto, i rappresentanti del Sistema Museale Provinciale, il Coordinamento delle istituzioni culturali dell’Associazione intercomunale della Bassa Romagna, l’Istituto Beni Culturali, la Soprintendenza Archeologica dell’Emilia-Romagna, insieme ai tecnici comunali, hanno gettato le basi e scandito le tappe delle scelte future. In una prospettiva di più lungo periodo sono stati indicati come esiti finali la musealizzazione globale del Castello, il recupero integrale a fini museali di tutti gli elementi architettonici della Rocca e il posizionamento di Bagnara come luogo di analisi e di studio sul fenomeno dell’incastellamento in Romagna, avente proprio qui una delle sue manifestazioni più significative.
Nel frattempo, grazie alla presentazione di una serie di reperti archeologici e al supporto di pannelli didattici introduttivi, la sezione iniziale del museo –inaugurata il 12 novembre 2005 - apre un primo squarcio sulla quotidianità e sulla storia di Bagnara a partire dall’epoca pre-protostorica. Molteplici testimonianze della colonizzazione romana e resti di vasellame e vetri, dal Medioevo in avanti, completano il quadro dell’antropizzazione del territorio bagnarese. Una novità assoluta costituiscono, poi, i materiali provenienti dal castrum medievale noto come “prato di S. Andrea”, che alla particolarità di essere stato da tempo immemorabile proprietà comunale, concesso in locazione ogni nove anni al miglior offerente, unisce il fatto di coincidere con il sito in cui è sorta – forse già in età romana - la Bagnara antica distrutta nel XIII sec. Anche su tale fronte si dispiega l’impegno dell’Amministrazione, che si è assunta l’onere finanziario ed organizzativo di uno scavo archeologico eseguito nel sito con criteri tecnico-scientifici.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 0 [2005 - N.24]

Entra nella rete museale provinciale la Domus dei Tappeti di Pietra di Ravenna, un luogo che incanta i visitatori con i suoi milleduecento metri quadri di mosaici policromi e marmi

Raffaella Branzi Maltoni - Ufficio stampa Fondazione RavennAntica

Era il 1993 quando, durante i lavori per la costruzione di un garage sotterraneo, venne scoperto l’imponente complesso archeologico di via Massimo d’Azeglio a Ravenna. La stratigrafia, inserita all’interno degli assi ortogonali che caratterizzavano la zona, copriva un periodo cronologico che dal II secolo a.C. arrivava fino ai nostri giorni. L’attenzione degli esperti si concentrò subito su un edificio di epoca bizantina, che oggi è noto col nome di Domus dei Tappeti di Pietra.
La Domus è stata restituita alla fruizione pubblica dalla Fondazione RavennAntica, che oggi la gestisce. Per visitarla è necessario entrare nella settecentesca chiesa di Santa Eufemia, in via Barbiani e, passando dalla sala dei “Cento Preti” - in cui è collocato il pozzo battesimale in cui sant’Apollinare battezzava i primi cristiani della città - scendere nel vasto ambiente ipogeo. Appena arrivati, lo spettacolo che si può ammirare toglie quasi il respiro: milleduecento metri quadri di mosaici policromi e marmi, suddivisi in 14 ambienti diversi, si presentano agli occhi del pubblico. A rendere ancora più suggestivo il percorso di visita contribuiscono senz’altro le passerelle, che consentono quasi di camminare sopra le pavimentazioni, ricollocate nella sede originaria, aiutando così il visitatore ad immedesimarsi nei panni degli antichi abitanti della Domus.
Gli ambienti dell’edificio, unico esempio a Ravenna di architettura civile dell’epoca bizantina, sono dislocati con un orientamento che va da nord a sud. Procedendo in senso orario, si incontrano per primi gli ambienti di rappresentanza, in cui è possibile ammirare i resti in opus sectile di uno dei grandi saloni e l’immagine di un Buon Pastore, raffigurato in uno stilizzato Eden ed appartenente ad uno degli edifici più antichi. Rimosso dalla sede originale ed esposto verticalmente in parete, sembra un vero e proprio quadro.
Proseguendo la visita, si giunge alla strada basolata in trachiti, che funge da spartiacque tra gli ambienti pubblici e quelli privati e costituisce l’ingresso del palazzetto stesso. Addentrandosi negli ambienti privati, oltre a pavimenti decorati con motivi ornamentali geometrici e vegetali, si incontra un altro salone di rappresentanza, imponente per dimensioni e con un magnifico emblema centrale raffigurante la Danza dei Geni delle quattro stagioni. In questo caso, nel pavimento è stata inserita una copia mentre l’emblema originale è stato disposto in verticale vicino all’uscita, per far sì che i visitatori possano apprezzare tutti i particolari e tutte le sfumature di questa rarissima iconografia che mostra i Geni danzare in cerchio al suono della siringa, sfavillante perché costituita da tessere d’oro. Un altro ambiente suggestivo, purtroppo conservato solo in parte, è rappresentato da un ninfeo, situato proprio in fondo al percorso.
Circa il committente di questo sontuoso edificio, ancora non si è giunti ad un’identificazione certa: si ipotizza possa trattarsi di un funzionario della corte bizantina o forse di un nobile, ma le ipotesi restano aperte.
Tantissimi altri sono gli elementi decorativi rinvenuti durante i lavori di scavo: sono stati infatti recuperati frammenti di statue, bassorilievi, capitelli e molti reperti ceramici, che possono fornire ulteriori indicazioni sulla ricchezza di questa zona. Per ragioni di ordine pratico, ad oggi non è possibile mettere in mostra tutto quello venuto alla luce; tuttavia la Fondazione RavennAntica si sta impegnando per ultimare il futuro Museo di Classe, al momento costituito nell’edificio dell’ex zuccherificio, in modo da rendere fruibile ai ravennati, ma non solo, tutte le bellezze ancora nascoste della città.
Per visitare la Domus, inaugurata dal Presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi nell’ottobre 2002 ed insignita del Premio Bell’Italia 2004, si può contattare il numero 054432512 o consultare il sito www.ravennantica.it.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 0 [2005 - N.24]

Nel cuore di Ravenna apre il museo che ospita la storica collezione di marionette della Famiglia Monticelli

Roberta Colombo, Andrea Monticelli, Mauro Ponticelli - Teatro del Drago

In vicolo Padenna, a pochi passi da Piazza del Popolo, sorgerà il museo “La casa delle Marionette”, che ospita la storica Collezione Monticelli: uno spaccato di 200 anni di storia del teatro di figura italiano, che si inserisce nel ricco e prezioso panorama della regione e della provincia di Ravenna.
Mai terra fu così fertile per questo genere teatrale: nel secolo scorso innumerevoli erano le famiglie che coi loro teatrini percorrevano la pianura padana in lungo e in largo lasciando, talvolta, gloriose testimonianze.
I Monticelli sono originari di Cremona: lì nacque il capostipite Ariodante Giuseppe che da giovane lasciò il luogo natio col suo “ponte” di marionette per iniziare la sua personale tournèe (erano viaggi che duravano una vita) che lo portò a vivere in Piemonte. Fu suo figlio Cesare Vittorio Aspromonte a dirigere i suoi passi in Emilia, e così alla fine dell’Ottocento il teatro dei Monticelli si insediò in provincia di Parma, dove nacquero le due generazioni successive: Otello e Vasco prima e William poi. La storia della Famiglia si intreccia con la città di Ravenna da lunga data: risalgono all’inizio del ‘900 le testimonianze delle prime tournèe in città della Compagnia Marionettistica Monticelli-Salici.
Nei primi anni ´50 i Monticelli si stabilirono definitivamente in città. Da allora, la Famiglia ha sempre prodotto spettacoli per bambini e adulti: fra gli anni ‘50 e ‘60 nella piazzetta del Borgo San Rocco veniva eretto un “padiglione” con un’ampia platea, una biglietteria ed il ponte teatrale delle marionette e lì la premiata Compagnia Marionettistica del Cavalier Otello Monticelli e Figli presentava le sue opere. Negli anni ‘60, in estate, era l’Arena Rasi ad ospitare gli spettacoli di burattini con Fagiolino e Sandrone. Nel 1979, anno in cui Otello smise la sua attività, furono il figlio William e i nipoti Andrea e Mauro a proseguire l’attività di Famiglia. La prima innovazione fu data dal nome della formazione: la Compagnia Monticelli diventò Teatro del Drago e ancor oggi porta questo nome.
Da questo se pur breve e parziale excursus storico si capisce bene perché questo museo doveva nascere a Ravenna, e mai luogo fu così appropriato come la sala di Vicolo Padenna, nel cuore della città. Un lungo percorso, quello che ha portato a questo grande evento: 25 anni di storia del Teatro del Drago, una grande passione per il teatro e per il recupero delle tradizioni e una illuminata volontà politica che nel 2001 ha portato all’approvazione da parte della Regione di un progetto di conservazione, catalogazione, restauro e promozione della Collezione, avviando una fertile collaborazione con l’IBC, che ha fatto sì che nel 2003 la Collezione Monticelli entrasse nella rete museale della Provincia di Ravenna e che nel 2005 il Comune di Ravenna trovasse una dignitosa sede museale nel centro della Città.
La collezione comprende 200 scenografie in carta, un sipario in tela, 130 burattini, 63 marionette, 120 copioni e innumerevoli materiali cartacei di tournée (locandine, lettere, bandi, permessi), nonché materiale sparso (teste di legno, mani di burattini, costumi per burattini e marionette). Una Collezione itinerante che diventa Museo, un percorso nella storia che giunge a destinazione, o meglio ad un punto di partenza, perché finalmente da oggi si potranno ammirare e studiare nel loro insieme gli attori, i copioni, le scenografie, gli attrezzi, i costumi che per due secoli sono stati i protagonisti di avventure, tragedie, commedie e farse esilaranti.
Per tanti anni si è sempre pensato ad esposizioni temporanee, ora esisterà una casa dove mostrare le proprie “arti”, in cui il visitatore possa giocare con la Storia, senza venirne schiacciato, dove rivedere pezzi del proprio passato o gioire per nuove scoperte. Per tutte queste ragioni l’idea che sta alla base dell’allestimento pensato dal Teatro del Drago – in stretta collaborazione con l’architetto Balzani – è proprio quella di un luogo delle meraviglie, un percorso da fare col naso all’insù per i più grandi, mentre parallelo un altro percorso si affaccia per i più piccini: il tutto converge in una sorta di “agorà” dove ascoltare e vedere le antiche storie fagiolinesche.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 0 [2005 - N.24]

Il Sistema Museale della Provincia di Ravenna promuove il 29 novembre una giornata di studi per riflettere su tema della dimensione psicologica nell’ambito della fruizione museale

Alba Trombini - Consulente Scientifico Corso Muse e Psiche

Al museo, per chi si occupa di educazione e di rapporti col pubblico, la necessità di approfondire la relazione con il mondo della ricerca della psicologia contemporanea è sempre più avvertita. Ormai non si può prescindere da una giusta considerazione verso aspetti riservati fino a ieri solo ad alcuni ambiti della vita quotidiana: le relazioni “intra e inter” personali, la professione, la salute... Da disciplina specialistica – non ancora del tutto immune da rappresentazioni mentali collettive limitanti – la psicologia oggi è approdata nei talk show, ha invaso le edicole con una produzione estremamente diversificata, che spazia dalle riviste di settore di antica tradizione a quelle nate di recente per soddisfare un consumo veloce.
Per quanto riguarda la relazione psicologia-musei, la considerazione verso comportamenti e motivazioni del pubblico (più o meno consci) e verso differenti modalità di fruizione, fino a qualche anno addietro è stata mossa soprattutto dall’interesse a incrementare il numero dei visitatori; e per lo più si risolveva in una generica attenzione. Ora che la qualità al museo ha assunto grande valore come risorsa, accanto al dato numerico, i risultati delle ricerche della psicologia contemporanea possono essere di grande utilità nell’elaborazione di servizi e proposte educative in grado di soddisfare esigenze di apprendimento e bisogni sociali diversificati.
Tutti coloro che operano nei musei a diverso titolo, dal direttore a chi si occupa dell’accoglienza, possono avvantaggiarsi da una migliore comprensione dei meccanismi della percezione o della fruizione e da una più stretta collaborazione con chi analizza e interpreta la struttura di tali fenomeni psichici. Per questo sono stati invitati studiosi ed esperti in materia a parlare alla dodicesima edizione del Corso di aggiornamento sulla didattica museale “Scuola e Museo”, organizzato dalla Provincia di Ravenna e intitolato Muse e Psiche. La psicologia al servizio della fruizione museale.
Alcune anticipazioni su relatori e argomenti di approfondimento. Claudio Widmann, psicoanalista e saggista, affronta il tema della complessità delle esperienze psichiche possibili all’interno dl museo, partendo da un’analisi delle figure mitologiche che hanno dato il nome stesso al Museo. Duccio Demetrio, docente di Pedagogia generale all’Università Bicocca di Milano e apprezzato come relatore nella passata edizione del corso, continuea la sua riflessione sul rapporto fra memoria e museo, soffermandosi sulle motivazioni ad apprendere che si manifestano lungo tutto l’arco della vita. Gabriella Bartoli, docente di Psicologia generale presso l’Università di Roma Tre, è una presenza importante: il Laboratorio di Pedagogia sperimentale nel quale opera è uno dei pochi centri accademici italiani che si occupa continuativamente di ricerche in ambito museale. La professoressa Bartoli si concentra in particolare sugli stili di fruizione e sui risultati di una ricerca appena compiuta sulle differenze riscontrate nella percezione dell’arte antica e dell’arte contemporanea. Esempi dalla scena internazionale sono illustrati da Laura Carlini, responsabile del Servizio Musei dell’IBC, a cui è affidata l’introduzione alla giornata di studio; mentre il responsabile del Servizio musei e attività espositive del Comune di Lugo, Daniele Serafini, porta case-studies tratti da un’esperienza europea di ricerca compiuta nell’ultimo triennio sul tema del museo come luogo di rappresentazione della differenza, sociale e culturale. Daniela Picchi, egittologo al Museo Archeologico di Bologna, conclude il corso con un tema affascinante: la percezione dell’antico Egitto nell’immaginario collettivo e l’analisi psicologica del pubblico che affolla le grandi mostre dedicate alla terra dei faraoni. Chi scrive, infine, ha il graditissimo compito di accompagnare gli esperti lungo l’intera giornata in questa, ci auguriamo fruttuosa, “ricerca di relazione”.

Esperienze di didattica museale - pag. 0 [2005 - N.24]

Gianfranco Casadio - Il direttore responsabile

Quando nasce una nuova testata ci si pone sempre questa domanda. Ebbene la risposta è quella solita ed ovvia : perché mancava un foglio di informazioni specifico in ambito in ambito museale rivolto non solo agli operatori del settore, ma anche alle scuole e, si spera, ad un più vasto pubblico.Certo il progetto può sembrare ambizioso, ci aspettiamo anche delle critiche. Quello che però possiamo assicurare è che, sia il sottoscritto che tutti i collaboratori, ci metteranno tutto l'impegno possibile perché venga centrato l'obiettivo che si sono proposti.Il giornale, che viene diffuso anche in via informatica sulla rete civica di RACINE, nasce in concomitanza con il Sistema Museale della Provincia di Ravenna che raccoglie al suo interno tutti i musei del territorio provinciale aperti al pubblico. Oltre ad essere una vetrina degli stessi, contiene una serie di rubriche fisse utili a chi opera all'interno dei musei, ma anche coloro che i musei frequentano. Prima fra tutti gli studenti delle scuole di ogni ordine e grado. E proprio alle scuole, questo Numero Zero, dedica un inserto sulla didattica museale. Pur mantenendo la propria autonomia, fin da questo primo numero si dà inizio ad una stretta collaborazione con la Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici delle province di Ravenna, Forlì, Rimini e Ferrara e con l'Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia Romagna, i quali dispongono di uno spazio proprio sulla rivista.Il periodico continuerà poi con cadenza quadrimestrale con l'augurio di incontrare il favore di tutti coloro a cui stanno a cuore i musei e i beni culturali in essi conservati. Ci dichiariamo fin d'ora disponibili ad accogliere suggerimenti e critiche costruttive che ci aiutino a migliorare sempre di più il giornale nell'interesse di tutti.

Editoriale - pag. 1 [1997 - N.0]

Gabriele Albonetti Paolo Gambi - Presidente della Provincia di Ravenna Assessore ai Beni e alle Attivita' Culturali della Provincia di Ravenna

Il ruolo che ci siamo voluti dare e che intendiamo rispettare, come Amministrazione Provinciale, nel campo della cultura non è quello di organizzatori di eventi culturali o spettacolari, nei quali saremmo semplicemente un soggetto in più, aggiuntivo.La Provincia di Ravenna, invece, intende sviluppare e consolidare il compito di promozione e valorizzazione dei beni culturali per il quale ha non solo le competenze formali ma anche la vocazione politica e la capacità di guardare oltre i singoli avvenimenti e le ottiche municipalistiche.In questa linea di movimento, su questa direttrice insieme al teatro, alle biblioteche, al cinema - uno degli elementi di fondamentale rilevanza e di significato strategico è rappresentato dalla ideazione, dalla definizione, oggi, dalla concreta attuazione del Sistema Museale Provinciale di cui, questo strumento di informazione rappresenta il punto di avvio.I punti di forza del Sistema Museale Provinciale, con il quale la Provincia si caratterizza come uno degli elementi di eccellenza e di efficienza del sistema culturale della Regione Emilia Romagna, sono rappresentati : in primo luogo, dalla stessa idea di mettere in rete, sostenendosi , valorizzandosi e, contiamo, migliorandosi l'un l'altro i diversi Musei che ne fanno parte e, in fondo, mettendo in rete le politiche di valorizzazione dei beni culturali delle Amministrazioni Comunali e degli altri soggetti che si sono convenzionati,in secondo luogo ma, certamente, non meno importante la possibilità effettiva di creare le condizioni per un raccordo stabile ed organizzato con il mondo della scuola, con gli studenti, ma anche, e in primo luogo, con gli insegnanti attraverso il Laboratorio Provinciale che si rivolge anche alla didattica con ciò avvicinando due realtà, l'istruzione e la cultura, che vivono, o dovrebbero vivere, l'uno dell'altro e viceversa.E' , dunque, facilmente constatabile come il progetto al quale oggi si dà il via rappresenti per la politica culturale di questa Provincia una tappa fondamentale perché destinata a segnarne - come abbiamo detto - le caratteristiche essenziali.Siamo sicuri che avviando questa nuova iniziativa aggiungiamo un nuovo servizio utile per la collettività - non solo per gli addetti ai lavori - e un servizio stabile, non effimero, non occasionale o secondo la moda del momento.

Editoriale - pag. 1 [1997 - N.0]

Ezio Raimondi - Presidente dell'Istituto per i Beni Culturali

Emilia Romagna terra di musei : musei della città e della chiesa, statali e privati, storico artistici e scientifici, legati alla cultura materiale o a raccolte esotiche, musei storici modernissimi, di arte antica e contemporanea, musei strani e curiosi pronti a raccogliere il frutto di un collezionismo che, dalle nostre parti, è passione e avventura intellettuale qualunque sia l'oggetto prescelto tra gli infiniti possibili. Se questa è l'inesausta ricchezza culturale da cui siamo circondati, l'operazione successiva - la definizione di un sistema e di una rete museale che valorizzi le singole istituzioni e crei percorsi significativi per i fruitori - è insieme concettualmente semplice e concretamente complessa. Delineare un sistema - non cartaceo ma reale - significa applicare a istituzioni spesso squisitamente locali una organizzazione di livello più alto e più ampio. Significa inoltre in modo altrettanto coagente creare canali di comunicazione efficace tra le singole maglie della rete in un gioco continuo di rimandi, assonanze, riferimenti, tematiche comuni. Una sorta di ipertesto radicato nelle pieghe vive del territorio che fornisca un surplus di significato (e di interesse) ai testi di cui si compone, riempiendo di senso l'apparente casualità stilistica (geografica, logistica). Condividere le informazioni e quindi la conoscenza è quindi tanto essenziale quanto, ad esempio garantire per ogni museo orari di apertura non capricciosi, moderni sistemi di allarme e servizi per il pubblico adeguati a richieste che si sono fatte più esigenti. E' dunque con soddisfazione che, come Istituto per i beni culturali della Regione Emilia Romagna, salutiamo la nascita di questo notiziario progettato per dare visibilità e respiro al nascente sistema museale ravennate. Impegnati fin dalla costituzione dell'Istituto nella tutela e nella valorizzazione del patrimonio culturale, siamo consapevoli del resto che il sistema museale regionale si delinea e si rafforza proprio a partire dalla realizzazione di sotto - sistemi omogenei in grado di interloquire e di comunicare vicendevolmente.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 2 [1997 - N.0]

Claudio Leombroni

Ravenna ha dato i natali a fotografi di fama internazionale che si sono imposti in ambiti disparati conseguendo riconoscimenti importanti: basti ricordare Alex Majoli, Ettore Malanca, Roberto Masotti, Paolo Roversi. A un altro grande fotografo, che può essere considerato ormai ravennate in virtù dei lunghi anni di insegnamento all'Accademia, Guido Guidi, Museo in•forma dedica una bella intervista di Silvia Loddo che può essere considerata una ottima introduzione alla sua mostra che fa tappa al Mar di Ravenna fino all'11 gennaio e di cui abbiamo chiesto a Davide Caroli una presentazione.
Tuttavia abbiamo pensato di dedicare il numero di questa rivista alla fotografia non per celebrare i fotografi ravennati, dal momento che meriterebbero occasioni più strutturate e meditate, nonché politiche istituzionali di valorizzazione di quella che in questo numero Annamaria Corrado chiama "inversione di tendenza", ma per evidenziare un tema che nella nostra cultura, e quindi nelle istituzioni che ne documentano e ne interpretano gli esiti, ha acquisito un profilo di tutto rispetto. Dopo e al di là degli insegnamenti e delle suggestioni di Benjamin o di Barthes, la fotografia è diventata una pratica sociale, oggi più diffusa che in passato considerando le potenzialità raggiunte dalle tecnologie mobili e social, le quali non costituiscono al momento strumenti d'artista, ma certo contribuiscono a consolidare sensibilità e pratiche d'uso, di fruizione e, perché no, di immaginazione e di condivisione di emozioni e del barthesiano spectrum.
Questo numero costituisce una piccola incursione nel mondo della fotografia: da forma d'arte della contemporaneità, magari contaminata con altre tecniche per recuperare l'aura perduta come racconta Claudia Collina, a strumento rilevante delle tecnologie digitali per studiare i manoscritti e scoprire magari ciò che è stato rescriptum, sovrascritto, come documenta in un bell'articolo Luigi Tomassini, passando per la documentazione del territorio e delle sue memorie, come si ricava dall'interessante ritratto di Luigi Ricci, padre di Corrado, scritto da Claudia Giuliani.
La fotografia è però anche un bene culturale (art. 10 del Codice) ed è quindi un ambito di interesse non secondario dei musei. A questo proposito lo 'speciale' si segnala per l'ampiezza e la ricchezza di suggestioni e per gli stimoli alla riflessione, a partire dall'esaustivo contributo introduttivo di Roberta Valtorta. Mi piace sottolineare, come riflessione personale, che anche l'oggetto 'fotografia' appartiene a quella affascinante categoria dei materiali di confine - borderland materials come li chiamava Arthur Bostwick - sui quali si intersecano i punti di vista degli archivi, delle biblioteche e dei musei. Sinora nella loro descrizione è prevalso, almeno da noi, il punto di vista delle biblioteche. L'imminente traduzione italiana delle linee guida RDA (Resource Description and Access), di cui si dà conto in questo numero, può rappresentare l'occasione buona per la costruzione condivisa di nuovi confini di senso, per un approccio veramente e finalmente MAB - Musei Archivi Biblioteche.
Buone feste a tutti!

Editoriale - pag. 2 [2014 - N.51]

Gianfranco Casadio

Con questo numero abbiamo voluto dare visibilità ad alcune realtà museali, non solo del nostro territorio, che difficilmente vengono riportate sulle guide turistiche, comprese quelle strettamente locali. I motivi sono vari. Quello principale è dovuto al fatto che alcuni di questi musei apriranno le porte al pubblico solo in un prossimo futuro, un altro dei motivi è che a volte si tratta di “curiosità” come per esempio il Museo dell’Aceto balsamico di Spilamberto o la Casa delle Farfalle di Milano Marittima, solo per citarne alcuni, un altro ancora è dovuto al fatto che si trovano in piccoli centri come il Museo del Centro di Teatro Figura di Villa Inferno a ridosso delle Saline di Cervia o il Museo Provinciale di Torcello all’interno della Laguna veneta. Un altro degli elementi di novità che abbiamo introdotto con questo numero è l’apertura di una nuova rubrica, La pagina del Conservatore, dove ospiteremo tutte le esperienze che i singoli musei del Sistema hanno fatto in materia di restauro e le tecniche adottate per farlo.

Editoriale - pag. 3 [2003 - N.16]

Nadia Ceroni - Conservatore del Museo d'Arte della città di Ravenna

Università degli Studi di Bologna Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali Tesi di: Marica Santandrea Relatore: Prof.ssa Maria Rosaria Valazzi Anno Accademico 2001-2002 La dissertazione affronta le tematiche connesse alla conservazione non solo dei manufatti artistici nei loro ambienti espositivi – che devono fare i conti con fattori di degrado quali il clima, l’illuminazione e gli uomini – ma anche alla buona conservazione degli edifici che li contengono. Come per le opere d’arte si deve distinguere tra manutenzione e restauro – cioè tra interventi periodicamente ripetibili e interventi episodici con carattere di eccezionalità – così per i “contenitori” museali si può parlare di manutenzione ordinaria e straordinaria, relativa sia all’esterno che all’interno delle strutture architettoniche. Lo scopo della ricerca è proprio quello di dimostrare l’importanza della conservazione preventiva anche per l’edificio-museo, necessaria a limitare gli interventi più invasivi e costosi del restauro e della ristrutturazione edilizia. Tra le possibili forme di manutenzione ordinaria, la tesi di laurea dedica un capitolo intero a quella delle pulizie costanti e programmate degli ambienti museali. Apparentemente banale, la rimozione all’esterno delle polveri, dei depositi da inquinanti aerodispersi e biologici, contribuisce ad eliminare gli agenti responsabili del naturale deperimento dei materiali strutturali. I detergenti e le cere usate per la pulizia interna dei musei, d’altra parte, risultano potenziali fonti di gas inquinanti per le opere d’arte. Sarebbe necessaria un’indagine sulla composizione chimica dei prodotti impiegati e sugli effetti che questi potrebbero avere, a lungo termine, sulle collezioni artistiche. Apparati fotografici, relativi alle Pinacoteche di Ravenna e Faenza, corredano la pubblicazione che comprende anche schede tecniche sui detergenti normalmente usati dalle imprese di pulizie negli ambienti museali. La tesi, che suggerisce alcuni obiettivi di miglioramento nel complesso e delicato rapporto tra edifici-musei e manufatti artistici, si conclude con un appello che indirizziamo a tutti gli operatori dei beni culturali: “Basterebbe dare più credito alla pratica della conservazione preventiva, per altro molto praticata all’estero, per non rischiare di perdere testimonianze importanti della nostra cultura solo perché il tempo, con i suoi effetti, è stato più sollecito di noi”.

Tesi e musei - pag. 3 [2003 - N.16]

Ritorna ogni cinque anni il confronto e la verifica sugli sviluppi e sulle proposte innovative messe in atto dagli operatori didattici

Gianfranco Casadio

Dieci anni fa con il seminario Progetto Scuola-Museo demmo inizio al nostro impegno nel campo della didattica museale sia attivando corsi triennali di aggiornamento per insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado, sia proponendo percorsi didattici in collaborazione con i responsabili dei musei del Sistema Provinciale. I risultati sono stati ottimi, e superiori alle nostre aspettative, tanto che le richieste di collaborazione e di aiuto provenienti dai musei e dalle scuole, hanno letteralmente sommerso il Laboratorio Provinciale per la Didattica che stenta a reggere alla pressione della domanda. «Museo Informa», dopo cinque anni dalla pubblicazione del numero zero interamente dedicato alla Didattica Museale, ritorna con questo numero speciale a fare il punto su quanto è stato fatto in questi cinque anni, non tanto in termini storiografici, quanto – e soprattutto – in termini propositivi. Si scopre così che le proposte dei musei non sono più, o solo, le visite guidate di un tempo, ma viene prospettato il modo di rendere il museo creativo, di insegnare giochi per stimolare la curiosità dei ragazzi, di creare delle guide in cui sono raccolte tutte le proposte didattiche poste in essere dai musei e che l’IBC e il Laboratorio Provinciale per la Didattica Museale organizzano dei corsi di formazione, sia di carattere regionale sia internazionale, per operatori museali che – secondo i nuovi standards – assumeranno le mansioni di Responsabile dei Servizi Educativi, al termine dei quali verranno rilasciate delle Dichiarazione di Competenze sia dalla Regione che dall’Unione Europea. Ce n’è abbastanza per essere orgogliosi ma, al tempo stesso, preoccupati per la crescita verticale che si sta sviluppando in questo ambito a cui non corrispondono le necessarie risorse economiche e di personale limitate dalle sofferenze che i bilanci degli Enti Locali stanno vivendo in questo momento.

Editoriale - pag. 3 [2002 - N.15]

La lettura e la comprensione della lingua inglese applicata alla vita dei musei e alla didattica museale

Judi Caton - Consulente museale

Questo corso viene offerto dall’Istituto dei Beni Culturali a Bologna durante i mesi di ottobre e novembre per una durata totale di otto giorni. È stato concepito nell’ambito di Euroedult, un curriculum di studi sviluppato da un’équipe europea specializzata nella formazione del personale impegnato a migliorare la qualità dei servizi museali al pubblico. Durante il corso verrà presentata e discussa l’organizzazione dei musei in Gran Bretagna e il funzionamento delle loro strutture attraverso l’illustrazione di un’ampia scelta di materiali informativi. Si passeranno anche in rassegna le diverse iniziative, che in quel paese sono ormai ben affermate, al fine di far partecipare il pubblico alla vita dei musei. Verrà inoltre visionata la ricca produzione di materiali sull’educazione permanente nei musei che è oggi disponibile in lingua inglese. Circa 25 operatori di musei dell’Emilia Romagna verranno coinvolti nella valutazione di questi prodotti, ed è previsto che lavoreranno anche in piccoli gruppi per analizzare temi vicini ai loro specifici interessi. Inoltre verso la fine del corso ciascun partecipante avrà anche la possibilità di scegliere un campo di lavoro personale, che analizzerà individualmente al fine di discutere con il resto del gruppo le conclusioni della propria indagine. Tutte questa attività saranno mirate a fornire ai partecipanti un’esperienza diretta delle attività realizzate in un paese anglofono. Infatti l’apertura dei musei al pubblico e la loro capacità di sviluppare un’efficace didattica museale sono oggi soggette in Gran Bretagna a periodiche valutazioni, che si basano su materiali disponibili in lingua inglese. Questi materiali verranno esaminati durante il corso, che sarà esso stesso oggetto di valutazione da parte dei partecipanti. Alle loro reazioni e feedback verrà assegnata la massima considerazione da parte degli organizzatori proprio in vista di migliorare questo servizio promosso in Europa dal programma Euroedult.

Editoriale - pag. 3 [2002 - N.15]

Un patrimonio culturale di grande interesse storico e umano

Gianfranco Casadio

L’attenzione che rivolgiamo in questo numero ai musei all’aperto è un omaggio al nascente Museo del sale di Cervia che, dopo anni di gestazione, di incomprensioni e, perché no, di mancanza di risorse, finalmente sembra prendere il via sostenuto anche dai fondi della L.R. 18 sui beni culturali. Un evento questo che potrà, speriamo, seppellire definitivamente le polemiche che da diversi anni si sono accese attorno a questo progetto senza che nulla di costruttivo sia stato prodotto fino ad ora. All’articolo di Mario Turci, che è anche il progettista del nuovo museo, si affiancano gli interventi di Giovanna Montevecchi sulla Stele dei Varii posta nel giardino di Palazzo Sforza a Cotignola in una originale e prestigiosa cornice predisposta e curata da La Fenice Archeologia e Restauro di Bologna di concerto con la Soprintendenza Archeologica dell’Emilia Romagna che premia gli sforzi economici del Comune di Cotignola. È poi la volta di Valerio Brunetti che illustra quello che da mostra temporanea è diventato un museo all’aperto della città di Castel Bolognese: il Museo Angelo Biancini che, con le sue forme di pietra, ci mostra un arredo urbano sui generis collocato fra edifici, piazze e giardini della città. Chiude lo “speciale” l’excursus che Gian Paolo Costa compie nelle vallate di Brisighella, Riolo e Casola Valsenio polemizzando, come è suo stile, con gli amministratori dei tre Comuni che ancora non hanno definito lo status di Eco-museo romagnolo o di Parco regionale, per quanto attiene la Vena del gesso che è patrimonio, storico, ambientale e antropologico delle vallate del Lamone, del Senio e del Santerno. Ma non è solo lo speciale che affronta il problema dei musei all’aperto, anche Fiamma Lenzi per conto dell’IBACN, Dino Scaravelli per il Sistema Museale della Provincia di Rimini e Sara Sargenti per quello di Modena intervengono sul dilemma Intra muros o open air, sul museo di natura nella natura di Onferno nel Riminese o sul caso di Fanano nell'Appennino modenese che sta vivendo un’esperienza, per certi versi, simile a quella di Castel Bolognese. Chiudono il giornale le consuete rubriche e un interessante intervento dell’avvocato Giambarba sull’inalienabilità dei beni immobili del demanio storico e artistico.

Editoriale - pag. 3 [2002 - N.13]

Gianfranco Casadio

Ed eccoci ad affrontare un altro importante aspetto - troppo spesso ignorato - dell’organizzazione museale: quello delle biblioteche. Non c’è infatti museo che non annoveri fra le proprie attività quella di raccogliere, sistemare e curare una documentazione bibliografica che ha, in genere, un duplice scopo: quello di creare strumenti di consultazione e di studio complementari ai reperti conservati e quello di arricchire il patrimonio musivo del museo. Spesso nate per ragioni esclusivamente interne in ausilio ai responsabili e agli operatori museali di ogni singolo museo, hanno preso nel tempo un ruolo autonomo. Oggi la somma delle biblioteche dei musei aderenti al Sistema Museale della Provincia offre agli studiosi centinaia di migliaia di volumi che vanno dalle cinquecentine ai giorni nostri e costituiscono la più formidabile biblioteca specializzata in beni culturali della nostra provincia. Partendo dall’articolo di Licia Ravaioli che tenta di rispondere al quesito se è possibile la convivenza fra museo e biblioteca, si passa dalla presentazione della biblioteca di Casa Guerrini di Sant’Alberto, a quelle del Centro Dantesco di Ravenna, del Museo Ornitologico di Ravenna, del Gabinetto delle Stampe delle Cappuccine di Bagnacavallo, della Pinacoteca di Faenza e via via fino ad uscire dal Sistema e a spaziare nelle biblioteche del Museo Nazionale di Ravenna, del Museo Civico di Modena, del Museo della Città di Rimini, del Museo Naturalistico di Onferno, del Museo Etnografico di Santarcangelo e del Museo della Bonifica di San Donà di Piave. Oltre alle solite rubriche e alla consueta attenzione nei confronti della didattica, il giornale si chiude con una riflessione di Michele Giambarba sugli aspetti giuridici e legislativi in materia di biblioteche.

Editoriale - pag. 3 [2002 - N.14]

In autunno nuove iniziative di didattica museale a Ravenna, Faenza e Bagnacavallo

Eloisa Gennaro - Laboratorio Provinciale per la Didattica Museale

Per l’anno 2002 il Sistema Museale Provinciale promuove due interessanti iniziative sulla didattica museale - legate in particolare al tema del gioco - ideate e organizzate dalla società milanese Clac di Claudio Cavalli e Lucietta Godi. L’idea di base è che l’opera d’arte può essere interessante e suggestiva per bambini e ragazzi se è resa accessibile attraverso esplorazioni che suscitino curiosità e stupore, grazie sia all’utilizzo di giochi manipolativi, percettivi, cromatici, di luce, di composizione e scomposizione, sia alla narrazione di storie, all’uso della telecamera, della macchina fotografica e del computer. La prima iniziativa consiste nei laboratori interattivi Cento capolavori - cento giochi, allestiti in tre diversi musei artistici appartenenti al Sistema Museale e aperti alle classi di tutte le Scuole della provincia di Ravenna. Percorrere i laboratori significa avventurarsi tra postazioni curiose e intriganti, muoversi in un sistema di racconti in cui ciascuno - individualmente e in gruppo - possa trovare domande, sintonie, arricchimento interiore. I laboratori saranno presenti al Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, dal 7 al 13 ottobre 2002; alla Loggetta Lombardesca di Ravenna, dal 17 ottobre al 2 novembre 2002; al Centro Culturale "Le Cappuccine" di Bagnacavallo, dal 9 al 18 novembre 2002. La seconda iniziativa si lega al nuovo corso di aggiornamento - annualmente proposto dal Sistema Museale agli insegnanti della provincia - intitolato Scoprire i capolavori dell’arte. Il corso si articola in sei incontri a cadenza settimanale, dall’11 ottobre all’11 novembre 2002, durante i quali gli animatori della società Clac illustreranno le potenzialità dell’esperienza ludica di apprendimento nei musei analizzando alcuni esempi concreti tratti dai laboratori Cento capolavori - cento giochi su famose opere pittoriche datate dal 14° secolo alla metà del secolo scorso. Per informazioni su entrambe le iniziative: dott.ssa Eloisa Gennaro - tel. 0544 35142.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 3 [2002 - N.14]

Dalla Pinacoteca di Ravenna una nuova proposta didattica per l'anno scolastico 2001-2002

Nadia Ceroni - Conservatore Pinacoteca Comunale di Ravenna

Come di consueto, all'inizio di ogni anno scolastico, la Pinacoteca Comunale di Ravenna riprende la propria attività didattica, proponendo alle scuole del territorio provinciale percorsi tematici e visite guidate supportate da quaderni didattici. Il rapporto tra la scuola e il museo, consolidatosi nel corso degli anni, ha raggiunto buoni livelli di partecipazione e collaborazione tra studenti, insegnanti e operatori didattici della Pinacoteca, con risultati quantificabili in 3.000 presenze nell'anno 2000-2001. L'intento del Museo d'Arte della Città, infatti, è quello di far conoscere da vicino il proprio patrimonio artistico e di promuovere sempre nuovi stimoli, spunti di interesse e di approccio al museo. Mentre proseguono i lavori di ristrutturazione della Loggetta Lombardesca - che prevedono anche la sistemazione al piano terra di uno spazio da adibire a laboratorio didattico - per l'anno scolastico 2001-2002 è stata comunicata, ai dirigenti scolastici e agli insegnanti, una nuova proposta destinata a coinvolgere direttamente il pubblico giovanile, dai bambini delle scuole materne ai ragazzi delle medie superiori. Tesserini nominali, intitolati "Amici del museo" sono stati stampati e appositamente predisposti per essere distribuiti a tutti i giovani utenti che visiteranno la Pinacoteca, suggerendo loro il senso di appartenenza ad una delle istituzioni culturali più prestigiose della Città. Si tratta di una iniziativa che rende possibile la raccolta di dati personali e il loro trasferimento in specifico indirizzario informatizzato, tramite il quale la Pinacoteca provvederà ad inviare informazioni aggiornate sulle attività istituzionali, sulle mostre e sulle varie iniziative che rientrano nella programmazione annuale del museo. La comunicazione degli eventi, puntuale e tempestiva, rappresenta infatti uno strumento prioritario per motivare soprattutto l'utenza scolastica alla frequentazione abituale del museo e creare una cassa di risonanza nei confronti delle famiglie.

Esperienze di didattica museale - pag. 3 [2001 - N.12]

Si dovrà concludere in dicembre il censimento dei musei promosso dalla Regione Emilia-Romagna e dall'Istat

Gianfranco Casadio

La L.R. 18/2000 ha messo in moto un processo di trasformazione in campo museale irreversibile. La commissione regionale istituita per definire quelli che saranno gli standards minimi necessari per ottenere il riconoscimento a museo, e quindi per poter accedere ai contributi di legge, sta ultimando i suoi lavori e, fra le informazioni che dovrà assumere per avere il quadro complessivo dell'impianto museale (o pseudo tale) di tutto il territorio regionale, dovrà conoscere la quantità, la consistenza, la tipologia, gli apparati scientifici, quelli gestionali e amministrativi di tutti i musei del territorio. Per fare ciò l'Istituto per i beni culturali, in accordo con gli uffici statistici della Regione e con l'Istat, ha promosso un censimento su tutto il territorio regionale, avvalendosi della collaborazione delle Province fornendo ad ognuna di esse una scheda di rilevazione e mettendo a loro disposizione i fondi necessari per le spese di rilevazione. Il censimento, che si concluderà il 31 dicembre, prenderà in esame, per quanto riguarda la provincia di Ravenna, 42 musei individuati in accordo con l'IBC. L'operazione però non si concluderà così. Infatti il Sistema museale provinciale ha intenzione, per completare la rilevazione, di proseguire nel 2002 autonomamente a censire anche le raccolte, le collezioni, i palazzi storici museabili, rimasti esclusi dal censimento ufficiale.

Editoriale - pag. 3 [2001 - N.12]

Completato il primo lotto del Palazzo della Cultura che ospiterà, oltre al Laboratorio per la Didattica Museale e alla relativa biblioteca specializzata, sale conferenze ed espositive e l'Archivio di Storia Contemporanea

Gianfranco casadio

Mentre questo numero della rivista viene diffuso, il Sistema Museale della Provincia di Ravenna ha trovato la sua definitiva collocazione in Palazzo Grossi, prestigioso edificio della fine del '600 costruito dall'architetto Pietro Francesco Grossi. I conti Grossi, provenienti da Mandello di Milano, si stabilirono a Ravenna all'incirca nel XIV secolo per opera di Pietro Fioroni, così detto per via dei gigli dello stemma. Capitano di ventura al servizio della Serenissima, ebbe da questa, per i suoi servizi, vaste estensioni di terra a Castiglione di Ravenna, già appartenute ai Polentani. Il figlio Battista fu anch'esso ufficiale al servizio della Repubblica Veneta e castellano della Rocca Brancaleone. Il titolo di conte per sé e per i suoi eredi, fu assegnato a Pietro, figlio di Battista, dall'imperatore Federico III. Il figlio Cesare combatté anch'esso per i veneziani e contribuì, nel 1509, alla presa di Pavia, recuperando le famose porte bronzee che i pavesi avevano anticamente sottratto a Ravenna. Fu di Cesare l'altro palazzo Grossi di via XIII Giugno dove dal 1917 ebbe sede la Tipografia Ravegnana (cessata alla fine degli anni Settanta) che fu la stampatrice del celebre quotidiano liberale "Il Ravennate". Il fratello di Cesare, Marco, combatté contro i francesi nella famosa battaglia di Ravenna nel 1512. Pietro, figlio di un altro Battista, anch'egli militare, fu capo del Magistrato de' Savi e a lui si deve la costruzione, nel 1560-65, del magnifico palazzo eretto nelle sue terre di Castiglione. Nella famiglia di Grossi non vi furono però soltanto militari, ma anche letterati, artisti e religiosi. Pietro Francesco fu l'architetto che progettò e costruì il palazzo di via di Roma dove ha ora sede l'Assessorato Beni e Attività Culturali; il fratello Andrea ricostruì gli alberi genealogici di molte famiglie nobili ravennati pubblicati in nove volumi; l'altro fratello Prospero compilò in cinquanta volumi i nomi di tutti i battezzati in Ravenna dal 1493 al 1765 e un altro fratello, Pietro, fu teologo della Cattedrale della città. L'ultimo dei Grossi a tenere il palazzo fu il conte Pietro (un nome abbastanza ricorrente in quella famiglia), consigliere comunale, che nel 1850 lo vendette al dott. Sebastiano Fusconi e si trasferì a Forlì. I Fusconi tennero il palazzo fino al 1920, quando Calliope, l'ultima dei discendenti, morendo lo lasciò all'Orfanatrofio Galletti Abbiosi. Nel 1953 l'edificio fu venduto alla Cassa di Risparmio di Ravenna che lo cedette a sua volta alla Società Fiorentina Cavi da cui la Provincia di Ravenna l'acquistò nel 1986 per adibirlo a succursale dell'istituto Tecnico Commerciale "G. Ginanni". Oggi, dopo gli opportuni e funzionali interventi di restauro alle strutture e agli affreschi sette-ottocenteschi delle stanze del piano nobile, si è compiuto il primo passo per la creazione del "Palazzo della Cultura" della Provincia di Ravenna, che assumerà questa denominazione quando, dopo il trasferimento dell'Assessorato e del Settore Beni e Attività Culturali e dell'Archivio di Storia Contemporanea (di cui parleremo in uno dei prossimi numeri della rivista), si saranno completati gli interventi successivi che prevedono la realizzazione, nell'area cortilizia, di un nuovo corpo di fabbrica che ospiterà due sale riunioni, una sala espositiva e spazi complementari, riconfigurando l'area esterna a verde e incorporando, nella scenografia generale, il tempietto settecentesco che ne chiude idealmente la prospettiva.

Editoriale - pag. 3 [2001 - N.10]

Nominata la commissione regionale che dovrà elaborare gli standard museali previsti dalla L.R. 18/2000

Gianfranco Casadio

L'art. 10 della L.R. 18/2000 prevede che l'IBACN in collaborazione con gli enti interessati elaborerà, entro un anno dall'entrata in funzione della legge, gli standard museali, standard che prevedono non solo i requisiti minimi che dovranno avere i musei per essere tali, ma anche quelli riguardanti il grado di professionalità degli addetti ai musei. Ci si avvia verso un futuro che, almeno nelle intenzioni, sgombrerà il campo da quell'improvvisazione in cui troppo spesso ci si imbatte, non solo per iniziativa di associazioni private, ma anche di alcuni Comuni che vorrebbero trasformare dei semplici depositi in musei e dei volonterosi cittadini in operatori museali. Entro sessanta giorni dal suo insediamento la commissione dovrà terminare i propri lavori e, una volta definiti gli standard, ogni museo dovrà adeguare le proprie strutture e i propri servizi al rispetto degli standard entro due anni dalla loro adozione, pena l'esclusione dalla concessione di contributi sia regionali sia provinciali. Ma in cosa consisteranno questi standard? Senza voler essere profeti, crediamo che si possano anticipare alcune proposte già avanzate a livello nazionale e che prevedono che ogni museo dovrà dotarsi di uno statuto che stabilisca: Identità del museo (natura e storia delle collezioni), prestazioni e attese (metodi e tempi di lavoro, servizio al pubblico, ecc.), vincoli normativi (assetti istituzionali), risorse assegnate (umane e finanziarie), politiche di sviluppo (mediante confronto fra direzione del museo e amministrazione competente). In parole povere: riconoscimento giuridico, personale specializzato, servizio al pubblico e investimenti ad hoc. Chi non si adeguerà e se i Comuni e i privati proprietari degli attuali musei non perseguiranno questa politica, così come già avviene (anche se ancora in maniera sofferta) per le biblioteche, saranno molti i musei che dovranno uscire dal Sistema museale provinciale e che non fruiranno più di contribuzioni provinciali e regionali.

Editoriale - pag. 3 [2000 - N.9]

Rosanna Rossi

Università degli Studi di Bologna Corso di Perfezionamento in Diritto dei Beni Culturali e Ambientali Tesi di: Rosanna Rossi Anno Accademico 1998-99 La trattazione mette in risalto come il sistema, la pluralità d'elementi coordinati e articolari, quale fattore di valorizzazione dei beni culturali, nato nelle due ultime decadi in alcune regioni, sia una novità di cui non si trova traccia a livello legislativo nazionale e sia nato grazie alle leggi regionali. La sinergia che si crea in questa rete integrata mostra il suo effetto positivo soprattutto nei confronti di piccole strutture con scarse risorse. Nell'ambito del dettato costituzionale (gli articoli che rilevano sono i nn. 3, 9, 33) e del suo Statuto, la nostra regione ha approvato la L. R. n. 20/1990 che disciplina la materia. In seguito, l'Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali, un'articolazione regionale unica in Italia, ha proposto la creazione del Sistema e la bozza di convenzione. La Provincia ha poi elaborato il progetto per l'attivazione del sistema dei musei provinciale e ha sottoposto ai Comuni aderenti la convenzione d'adesione. Così quello della nostra provincia è diventato uno dei pochi casi a livello nazionale, sulla scia di una regionalizzazione delle competenze in capo ai beni culturali almeno per quanto riguarda la loro valorizzazione. I musei aderenti al nostro sistema provinciale sono venti, contenenti beni d'interesse vario e sottoposti a diverso regime giuridico, e quattro i sistemi nella nostra regione: una realtà in fieri, con progetti in cantiere e musei da aprire al pubblico.

Tesi e musei - pag. 3 [2000 - N.9]

Parte, con qualche polemica, il primo piano museale provinciale in attuazione della L.R. 18/2000 sui musei.

Gianfranco Casadio

Per la prima volta, da quando esce questa nostra rivista, apriamo con un editoriale che si discosta, anzi, è estraneo al contenuto dei suoi articoli, ma la grossolanità di quanto è successo in questi ultimi giorni ci ha portato a rompere il silenzio e ad esporre ai nostri lettori il nostro punto di vista. La prima applicazione della L.R. 18/2000 che introduce i Piani provinciali annuali anche per i musei, ci aveva fatto ben sperare, soprattutto laddove all'art. 4, viene annunciato che le Province "concorrono alla valorizzazione dei beni e degli istituti culturali, programmando e coordinando lo sviluppo dei servizi … attraverso la cooperazione e l'attivazione di sistemi tra gli istituti culturali", particolarità che, con circolare del 12 giugno, l'IBC ha ribadito indicando che il 30% del budget per l'anno in corso viene destinato ai progetti delle Province privilegiando i progetti di "attività di sistema. Ebbene come sempre (o molto spesso) accade, tra il dire e il fare … Infatti i 600 milioni destinati ai progetti provinciali sono stati suddivisi, non si sa bene con quale logica assegnando le quote più alte a Province che non hanno mai attivato sistemi, mentre alle Province di Ravenna, Modena e Rimini, le uniche che in tutta la Regione hanno attivato Sistemi museali, sono andate le briciole (es: dai 145 milioni di Bologna, i 125 di Parma e Ferrara e gli 80 di Reggio, ai 45 di Modena e Ravenna e i 30 di Rimini. Peggio delle tre suddette Province sono andate solo Forlì e Piacenza a cui sono andati 25 milioni). Le giustificazioni dell'IBC, che ha stabilito la ripartizione, sono state che le Province di Bologna, Parma, Reggio e Ferrara, hanno avuto di più perché, anche se è vero che non hanno Sistemi Museali, hanno però, sia in questo piano che negli anni passati, investito sui musei molte risorse (da notare che Ravenna ne ha investite, in questo piano, per 138 milioni e tutti a vantaggio dei venti musei ad essa associati). Ma allora vale di più la contribuzione a pioggia tipo anni Settanta, o il lavoro capillare di coordinamento, la messa in rete di servizi comuni e l'abbattimento delle spese per attivare un'economia di scala?

Editoriale - pag. 3 [2000 - N.8]

Le scuole materne, elementari, medie e l'Università coinvolte dalle attività didattiche proposte dalla Pinacoteca ravennate in un incontro pubblico

Nadia Ceroni - Conservatore della Pinacoteca Comunale di Ravenna

Sabato 13 maggio, nella platea del Teatro Alighieri, si è svolto un incontro pubblico che ha visto protagonisti numerosi alunni di scuola materna, scolari delle elementari e studenti delle medie con i rispettivi insegnanti. La manifestazione, promossa dalla Pinacoteca Comunale di Ravenna, ha inteso valorizzare il ruolo della didattica museale all'interno dei percorsi formativi che accompagnano l'individuo durante l'arco della propria vita, a cominciare dal primo incontro con le istituzioni scolastiche e culturali. Il museo ravennate, come ormai la maggior parte dei musei italiani, non è un luogo d'arte frequentato soltanto da visitatori adulti e turisti seriosi. Lo dimostrano le numerose visite guidate richieste ogni anno da scolaresche provenienti dai comuni della provincia e anche la folta presenza di studenti italiani in gita turistica nella nostra città. Nell'anno scolastico 1999-2000, infatti, sono state eseguite 64 visite guidate, alle quali si sono aggiunte 34 "gite scolastiche" per un totale di 2289 presenze scolastiche. Tra le attività istituzionali della Pinacoteca, quella didattica - rivolgendosi in particolare a un pubblico giovanile - propone approcci differenziati con le opere d'arte con l'intento di semplificare la visita guidata e rendere il museo uno spazio più vivo e facilmente accessibile, dove si concretizza la possibilità di camminare dialogando e di imparare giocando. Sonno nate così esperienze significative non solo con classi elementari e medie, ma anche con scuole materne e con l'università, estendendo l'offerta didattica a tutto il sistema della formazione scolastica. Esperienze che hanno fatto riflettere i responsabili della Pinacoteca sull'opportunità di allestire un laboratorio didattico permanente all'interno degli ambienti museali e di predisporre uno spazio attrezzato per avvicinare i giovani visitatori al mondo dell'arte in modo attivo, divertente e formativo. Il Quaderno didattico n. 6 - L'arte un gioco da ragazzi, distribuito in occasione della suddetta manifestazione - documenta infatti alcune attività di interpretazione e di rilettura di opere precedentemente viste in Pinacoteca. I lavori prodotti - disegni, elaborati, creazioni artistiche - sono degli indicatori delle potenzialità creative di bambini e ragazzi adeguatamente coinvolti e stimolati e rappresentano il punto di partenza per la creazione del laboratorio didattico, già inserito nei lavori di ristrutturazione della Loggetta Lombardesca per il costituendo Museo d'Arte della Città.

Appunti dai convegni - pag. 3 [2000 - N.8]

Gli inserti sul Giubileo da staccare e conservare

Gianfranco Casadio

Nel licenziare il numero scorso scrivevamo che con il 2000 la rivista sarebbe stata completamente rinnovata. Ebbene, eccoci al consueto appuntamento con il look completamente rifatto, e non solo quello. La novità principale sta nell'aver aumentato le pagine, le collaborazioni e l'aver introdotto l'inserto Speciale Giubileo, inserto che, nei primi tre numeri di quest'anno, darà vita ad una raccolta di saggi sui Giubilei vissuti dai ravennati attraverso i secoli. L'aver concesso spazio ai due Sistemi Museali delle Province di Modena e Rimini allarga l'orizzonte della nostra rivista e permette a tutti gli interessati di conoscere le esperienze altrui. Ci è parso anche utile far conoscere ai nostri lettori lo stato degli studi in materia museale, pubblicando le sintesi delle tesi di laurea, di perfezionamento, di specializzazione e di dottorato che abbiano specifico riferimento alla realtà del nostro territorio, introducendo la rubrica Tesi e musei. Abbiamo poi inserito la rubrica Esperienze di didattica museale, riprendendo un discorso iniziato con il n. 0 di questa rivista e che avrà appuntamento fisso in ogni numero. L'ultima delle novità di questo numero è un'altra rubrica che vorremmo mantenere viva e cioè quella dei personaggi ravennati che hanno dato lustro ai beni culturali del nostro territorio dedicando questo numero al faentino Antonio Corbara. Siamo fiduciosi che le nuove importanti collaborazioni, la quadricromia che dà risalto alle immagini, il tipo di carta e la nostra buona volontà riusciranno a colpire nel segno facendo sì che questa nuova serie sia all'altezza delle aspettative di tutti.

Editoriale - pag. 3 [2000 - N.7]

Il Centro Etnografico della Civiltà Palustre di Villanova di Bagnacavallo ha partecipato al MAV8, rassegna di produzioni multimediali di musei demoetnoantropologici e artistici

Maria Rosa Bagnari - Responsabile del Centro Etnografico della Civiltà Palustre di Villanova di Bagnacavallo

Questa rassegna biennale, che offre un'interessante opportunità di confronto fra le varie realtà museali nazionali sul tema della produzione di materiali di antropologia visiva, vede la sua prima edizione nel 1985. Col tempo è diventata un importante appuntamento per la verifica e lo scambio di esperienze fra i vari ricercatori impegnati ad esprimere, col linguaggio videofilmico, il ricavato delle proprie ricerche. La convinzione che gli ausili audiovisivi, nella ricerca, in materia di cultura materiale ed in particolare per lo studio e la documentazione dei vari cicli produttivi, possano essere validi strumenti didattico-divulgativi, si rafforza sempre più col succedersi delle varie edizioni. Nella scorsa edizione, infatti, ci si è confrontati valutando lavori di grande interesse, che presentavano esperienze diversissime, espresse in formato video. Questo sistema, che a parere nostro non può essere sostituito dagli attuali sistemi informatici, ha comunque ceduto il passo alle nuove tecnologie. L'argomento di discussione e di confronto dell'attuale convegno di fine millennio, era tutto imperniato sull'uso delle moderne tecnologie informatiche legate ad internet ed alla multimedialità. Il Centro Etnografico della Civiltà Palustre in occasione del MAV 8 (Materiali di Antropologia Visiva 8 - Roma, 14/12/1999) ha presentato il proprio sito internet, attualmente in rete all'indirizzo www.racine.ra.it/erbepalustri. La finalità primaria è quella di fornire un documento di ampia fruizione, con l'intenzione di esprimere oltre alla specificità anche la dinamicità di una realtà museale emergente, particolare e sicuramente poco conosciuta. A differenza di altri siti internet presentati in questa occasione, la nostra intenzione, comune a molti partecipanti, non è quella di fornire uno strumento ampio, che dia la panoramica completa della realtà museale, utilizzabile anche a scopo di ricerca, ma semplicemente di fornire una immagine realistica e gradevole allo scopo di stimolare la curiosità del visitatore.

Appunti dai convegni - pag. 3 [2000 - N.7]

Si conclude con questo numero la serie dedicata agli "Speciali"

Gianfranco Casadio

Sono passati due anni da quando abbiamo intrapreso l'impegno di dedicare ogni numero della rivista ad una specifica tipologia museale del nostro Sistema. I tre numeri del 1998 sono stati dedicati alle Case Museo, ai nuovi musei che sono venuti a far parte del Sistema, ai Musei Etnografici, mentre quelli del 1999 ai Musei Naturalistici, ai Musei Artistici e questo numero ai Siti e ai Musei Archeologici e a Musei Storici. Il 2000 vedrà la rivista completamente rinnovata nella veste tipografica, arricchita di più pagine in carta patinata e con le fotografie in quadricromia, insomma una rivista a tutti gli effetti. Naturalmente le novità non saranno date solo dall'aspetto estetico, ma anche i contenuti punteranno più in alto. Infatti la rivista si arricchirà di altre collaborazioni dedicando spazio agli altri Sistemi Museali della nostra Regione e cioè a quelli delle Province di Modena e di Rimini che, assieme al nostro, costituiscono i primi nuclei di un Sistema Museale Regionale che, di fatto, sta nascendo. Il Giubileo, evento dell'anno, sarà argomento di "Speciali" che saranno inseriti nei tre numeri del 2000 e che ricercheranno le tracce dei Giubilei dei secoli passati lasciate nei reperti e nelle testimonianze artistiche presenti nel territorio ravennate.

Editoriale - pag. 3 [1999 - N.6]

Un nuovo strumento di studio della storia e dell'archeologia creato per la scuola

Chiara Guarnieri - Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia Romagna

L'Aula Didattica è stata inaugurata il 22 maggio 1999 ed è ospitata in via Foschi. La sua realizzazione, nata da un accordo tra la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia Romagna e l'Amministrazione di Solarolo, prende avvio da una ricognizione effettuata lo scorso anno sul nucleo di materiali archeologici custodito presso il Comune di Solarolo, frutto sostanzialmente - ad eccezione del sito di via Ordiere che fu oggetto di scavo - di recuperi di superficie. Sulla base quindi dei materiali effettivamente a disposizione si è ricostruita l'evoluzione del territorio comunale, inquadrandolo nella più vasta problematica storica. L'Aula Didattica di Solarolo, che vuole essere un strumento semplice a disposizione degli insegnanti, è stata concepita come una base da cui partire per introdurre i ragazzi, attraverso diversi percorsi, nell'affascinante mondo della storia e dell'archeologia: per questo motivo non esistono direzioni preordinate se non la sequenza dei pannelli e delle vetrine, che segue la scansione cronologica. Nell'ambito di ciascun periodo, con i materiali archeologici a disposizione, si è cercato di creare una serie di spunti che tocchino temi diversi come l'economia, l'alimentazione, la vita quotidiana. L'intento didattico continua anche all'interno delle singole vetrine che ospitano brevi approfondimenti tematici con spiegazioni degli oggetti meno conosciuti e di più difficile interpretazione. I pannelli, corredati da grandi disegni ricostruttivi, si contraddistinguono anche attraverso il colore assegnato ai diversi periodi storici. Il Quaderno, che vede la pubblicazione dell'apparato didattico dell'Aula, è il primo risultato concreto di una serie di iniziative che accompagneranno nel tempo la crescita di questa struttura. La struttura è visitabile su prenotazione ( 0546/ 25217; 51111).

Speciale siti e musei archeologici - pag. 3 [1999 - N.6]

I musei artistici romagnoli palestra di aggiornamento sull'arte figurativa del Novecento per gli insegnanti delle scuole di ogni ordine e grado

Gianfranco Casadio

Ancora un numero monografico - caratteristica che è ormai una peculiarità della nostra rivista - dedicato, questa volta, alle arti figurative. Ci è sembrato opportuno aprire questo numero dando ai nostri lettori notizia del corso di aggiornamento, organizzato come ogni anno dalla Provincia, rivolto ai docenti delle scuole di ogni ordine e grado (ma aperto anche a chi ne ha interesse), proposto per l'anno scolastico 1999-2000, che affronterà il tema dell'arte figurativa del Novecento, partendo dallo studio delle collezioni e analizzando in particolare alcune forme artistiche quali l'incisione, la fotografia, il mosaico e il design, per giungere all'elaborazione di percorsi didattici legati ai musei artistici del territorio romagnolo. Il corso sarà suddiviso in lezioni formative e in due incontri con un artista, il mosaicista Marco Bravura e la fotografa Daniela Tartaglia, che si svolgeranno presso la sede dell'Assessorato, nonché in visite guidate a musei artistici. Le Istituzioni coinvolte nell'iniziativa sono: Museo "G. Ugonia" di Brisighella, Casa-Museo Varoli di Cotignola, Fondazione "Tito Balestra" di Longiano, Centro Culturale "Le Cappuccine" di Bagnacavallo, Museo dell'Arredo Contemporaneo di Russi. I musei scelti sono caratterizzati, alcuni dalla presenza di fondi dedicati a importanti figure artistiche della cultura romagnola quali Giuseppe Ugonia e Luigi Varoli, altri dalla presenza di sezioni altamente rappresentative dell'arte italiana moderna e contemporanea come il Centro "Le cappuccine" e la Fondazione "Balestra". Presso alcune di queste sedi museali sarà possibile visitare laboratori operativi, allestiti appositamente per illustrare le varie tecniche d'incisione moderna.

Editoriale - pag. 3 [1999 - N.5]

Un progetto di ricerca proposto agli studenti del corso di Diploma universitario per Operatori di Beni Culturali di Ravenna

Alba Trombini - Responsabile del Progetto di Ricerca

Trenta studenti universitari del Corso di Diritto e Legislazione dei Beni Culturali condotto dalla prof.ssa Licia Casadei (Diploma per Operatori B.C. di Ravenna) alle prese con un Progetto di ricerca sul tema dell'informazione al Museo. Come spiegare loro i problemi della comunicazione al museo, i meccanismi e le diverse strategie in modo concreto e costruttivo, senza rimanere impigliati nelle reti di facili teorie o nelle insidie di un inevitabile confronto con i musei d'oltreconfine? Abbiamo provato a farlo in due modi: mettendo in campo la professionalità e disponibilità degli operatori dei Musei di Ravenna che ci hanno ospitato e accompagnato in questa avventura di ricerca e poi lasciando ai ragazzi stessi la possibilità di immaginare nuove soluzioni, di creare un loro modo di comunicare e vivere il museo con progetti concreti. Come primo passo abbiamo analizzato alcune realtà museali della città, esplorandole fin nei minimi dettagli per sviscerare il tema della comunicazione: abbiamo studiato le strutture e i criteri espositivi, le scelte didattiche, le strategie di promozione e accoglienza. In Pinacoteca sono stati intervistati i responsabili delle attività espositive, conservatori, curatori... Ci hanno mostrato, con dati precisi e documenti alla mano, problemi e mancanze, potenzialità e successi raggiunti: quanto tempo occorre per realizzare una mostra, quali competenze mettere in campo... quali atti amministrativi... e poi gli strumenti e i tempi della promozione, i rapporti con la stampa, le assicurazioni, i trasporti.... Mille curiosità, dubbi, sorprese... nulla è rimasto in sospeso. Magari le risposte avranno disorientato un po' i futuri Operatori, o forse scoraggiato, chissà... Qualcun'altro sarà invece stato stimolato ad orientarsi verso scelte formative più definite. Comunque tutti hanno potuto toccare con mano la complessità dell'organizzazione della macchina-museo e di conseguenza farsi un'idea molto precisa dei limiti e delle possibilità, anche professionali, in questo specifico settore culturale. Finita questa fase di ricerca, i ragazzi hanno messo in campo tutta la freschezza creativa di cui sono naturalmente dotati per elaborare progetti individuali di valorizzazione museale. Gli esiti sono sorprendenti, non solo per la fantasia dimostrata nel cercare soluzioni ai vari problemi concernenti la comunicazione al museo ma per la qualità e la pertinenza degli interventi proposti: atelier e laboratori creativi in Pinacoteca per un maggiore coinvolgimento dei giovani, rivisitazione degli spazi espositivi al Museo Dantesco con l'utilizzo di strutture scenografiche per rendere più comprensibile e attuale il linguaggio e il messaggio del Sommo Poeta, proposte didattiche assolutamente innovative per il Museo del Risorgimento, riallestimento della Sala della Cattedra di Massimiano al Museo Arcivescovile con criteri espositivi d'avanguardia. Insomma che dire in conclusione se non: - "Spazio ai giovani e al loro spontaneo impulso creativo" - Questa nuova linfa non potrebbe in qualche modo essere da stimolo ai nostri musei nel loro processo di crescita?

Speciale musei artistici - pag. 3 [1999 - N.5]

Gianfranco Casadio

Il 1999 si apre con una novità per i nostri lettori: un giornale più ricco di pagine e di illustrazioni. Infatti con questo numero la rivista passa da dodici a sedici pagine permettendoci di rendere più ricco il suo contenuto ampliando gli interventi sugli argomenti che, di volta in volta, vi proponiamo e così anche le illustrazioni troveranno la possibilità di espandersi uscendo dal formato "francobollo" in cui ci costringeva lo spazio a nostra disposizione. Questo numero monografico è dedicato ai musei naturalistici e a quelli della scienza e della tecnica che sorgono nella nostra provincia. Abbiamo voluto aggiungere a questi anche i parchi in quanto zone di alto interesse scientifico perché molto spesso legati ai musei oggetto della nostra ricerca. Infatti musei come il Museo Civico di Scienze Naturali di Faenza, il Museo Ornitologico e di Scienze Naturali di Ravenna, il Museo Naturalistico del Centro Culturale Le Cappuccine di Bagnacavallo, non possono essere disgiunti dal Parco Carné di Brisighella, da Punte Alberete di Ravenna, dal parco della Vena del Gesso di Brisighella. Ed è attraverso questi percorsi che si snoda il nostro viaggio fra i musei ravennati per scoprire preziose raccolte e suggestivi scorci di natura incontaminata ancora presenti nel nostro territorio. Con uno sguardo al passato Luciana Martini ci ricorda che al Museo Nazionale si conservano tracce di una collezione di strumenti chirurgici del 18° secolo andata irrimediabilmente perduta e con uno al futuro, di cui in neonato Museo Nazionale delle civiltà Subacquee è una testimonianza reale e concreta, la Rivista cerca, ancora una volta, di trasmettere quante più informazioni possibili su un'affascinante materia ancora troppo spesso ignorata.

Editoriale - pag. 3 [1999 - N.4]

Franco Gabici - Capo Reparto delle Attività scientifiche e museali del Comune di Ravenna

Le origini del biotopo Punte Alberete sono da collegare alla rotta del Lamone del 1839 quando si formò una vasta zona paludosa che si estendeva fino all'entroterra di Sant'Alberto, Savarna e Mandriole. L'attuale assetto è la conseguenza di successive bonifiche che dallo Stato Pontificio in poi sono state attuate nella zona. Il biotopo si presenta con un alternarsi di "staggi" e di "basse" e nel suo insieme costituisce un ambiente naturale unico nel suo genere. Essendo un rarissimo esempio di "foresta impaludata", la zona è stata sottoposta a vincolo paesaggistico fin dal 1969. Salici, saliconi, frassini, olmi e pioppi bianchi costituiscono, insieme a ontani neri e farnie, la parte preponderante della flora. Interessante anche il sottobosco. Nell'area, che conta moltissimi nidi di garzette, nitticore, sgarze ciuffetto, nidificano anatre, folaghe e tuffetti.

Speciale musei naturalistici della scienza e della tecnica - pag. 3 [1999 - N.4]

Gianfranco Casadio

È passato un anno da quando ci siamo dedicati a questa impresa e confesso che avevamo un certo timore. Non è facile fare un giornale, men che meno un giornale di tipo scientifico, col rischio oggettivo di scadere nella banalità e nel già visto, ma il lusinghiero successo e le lettere di plauso, di sostegno e di critica che ci sono giunte da tutta Italia ci hanno dato quella sicurezza e quella spinta necessarie per proseguire. Oggi, licenziando questo quarto numero, siamo soddisfatti del lavoro fin qui svolto e stimolati a proseguire con rinnovato entusiasmo.Questo mese, proseguendo con i numeri monografici, lo speciale è dedicato ai musei etnografici, della cosiddetta "cultura materiale". Il panorama nella nostra provincia è abbastanza vasto e va dal Museo del lavoro contadino di Brisighella al Museo della Frutticultura di Massalombarda, dal Museo della vita contadina in Romagna di San Pancrazio di Russi, al Centro etnografico della civiltà palustre di Villanova di Bagnacavallo, dalle collezioni di macchine agricole della Società MATER di Russi alla raccolta analoga della Collezione Martinelli di Brisighella, dal podere Pantaleone di Bagnacavallo al Mulino dello Scodellino di Castel Bolognese. La ricchezza di queste presenze sul territorio testimonia dell'amore che i ravennati hanno delle loro radici.

Editoriale - pag. 3 [1998 - N.3]

Massimo Tozzi Fontana - Istituto per i Beni Culturali

A metà degli anni Settanta, sotto la guida di maestri quali Lucio Gambi, Carlo Poni e Andrea Emiliani, iniziammo a conoscere l'allora nuovo fenomeno rappresentato dalle raccolte di oggetti e testimonianze di un'epoca bruscamente superata dalla "grande trasformazione" a cavaliere tra gli anni Cinquanta e Sessanta. I contadini inurbati avevano abbandonato nelle case coloniche e nelle campagne utensili, macchine, suppellettili, così come consuetudini, conoscenze tecniche e modi di vita praticati pressoché senza mutamenti per secoli. Queste testimonianze avevano suscitato l'interesse di collezionisti privati, talvolta mossi da intenti mercantili, di gruppi persone legate al mondo contadino e, ancora, di studiosi "impegnati", sostenuti da amministrazioni locali rese sensibili alla storia sociale dal clima culturale del dopo Sessantotto. Le raccolte, spesso disposte all'interno di castelli, rocche, ville, edifici di rilievo architettonico e urbanistico per cui non si erano trovate soluzioni più adeguate, pur risultanti da percorsi diversi e spesso singolari, avevano in comune il superamento della tradizione museale che voleva un manufatto appartenente alla sfera culturale solo in quanto prodotto di abilità artistica. In esse, per essendo talvolta presenti materiali di quel tipo, si trovano principalmente strumenti di lavoro, suppellettili domestiche e mezzi di trasporto.Ben presto si convenne che per trasformare raccolte siffatte in musei occorreva un lavoro interpretativo sugli oggetti, tradotto in sussidi didattici, ciò che è sempre mancato nei musei tradizionali. Un museo vivo, si argomentava, deve riporre il proprio interesse non soltanto nei materiali raccolti ed esposti intra muros, ma anche sulle vestigia del lavoro ancora presenti sul territorio: edifici e paesaggi trasformati.Di fronte a queste prospettive la risposta musei non è stata pronta, anzi, dalla metà degli anni Ottanta queste istituzioni sono state pressoché dimenticate: i materiali, anche per le cattive condizioni di conservazione, hanno subito un vistoso degrado; le esposizioni risultano scarsamente meditate, evidente è l'assenza di una strategia della raccolta; solo molto raramente l'acquisizione è motivata dal desiderio di completare un tema: ciò che dovrebbe essere regola principe è invece fortunata eccezione.Da questo stato di cose deriva l'impressione del visitatore di trovarsi di fronte a un'immagine fissa dell'agricoltura pre-industriale, riferibile più o meno al periodo a cui la maggior parte degli oggetti appartengono, cioè dalla fine del secolo scorso alla metà del nostro. Sarebbe invece decisivo insistere sulla periodizzazione degli oggetti esposti, nella cui storia prevale certamente la "lunga durata", ma non l'immobilità. Si può affermare che questi anni di applicazione della legge regionale, nella provincia di Ravenna così come nel resto della regione, hanno prodotto materiale catalografico di buona qualità. Un valido punto di partenza per riprendere il lavoro interrotto a metà degli anni Ottanta, teso a conoscere in profondità il patrimonio che i centri di raccolta hanno costituito, a indicarne l'ordinamento concettuale e materiale, a diffondere nel modo più efficace le conoscenze acquisite e le fonti intermedie prodotte. Funzioni queste che, tra le istituzioni dedicate alla cultura materiale, solo pochissime possono esplicare in modo autonomo.

Speciale musei etnografici - pag. 3 [1998 - N.3]

Gianfranco Casadio

Ci presentiamo ai lettori con un nuovo numero monografico. Dopo quello dedicato alla didattica un nuovo affascinante argomento ci viene suggerito dalla presenza nel nostro territorio di quei siti museali che vengono definiti "casa-museo". Siti che assommano due esigenze distinte: la salvaguardia e il recupero di una dimora storica e al tempo stesso l'allestimento museale di un patrimonio storico che testimonia il percorso culturale di un personaggio nell'arco della sua intera esistenza. Vari e diversi sono gli impieghi e gli utitilizzi delle case-museo: da quelli legati alla vita culturale dei personaggi che le hanno abitate, (casa-museo, casa-biblioteca, casa-archivio) a seconda degli interessi dei loro originari abitatori a quelli consecutivi di ambienti e arredi originari, oppure, perché privi di tali arredi, destinati ad uso espositivo o ad accogliere raccolte di altri personaggi. Attraverso un florilegio di interventi, vengono così portate all'attenzione dei lettori Casa Moretti di Cesenatico, Casa Romei di Ferrara, Casa Monti di Alfonsine, Casa Guerrini di Sant'Alberto, il Cardello di Casola Valsenio, Casa Bendandi e Palazzo Milzetti di Faenza, Casa Rossini e Casa Baracca di Lugo e, infine, Casa Varoli di Cotignola. Chiude il giornale l'opinione del legale sulle donazioni e i lasciti testamentari che sono di particolare interesse proprio in relazione all'argomento trattato.

Editoriale - pag. 3 [1998 - N.2]

Farida Simonetti - Direttore della Galleria Nazionale di Palazzo Spinola di Genova

Il recente convegno 'internazionale Abitare la Storia, organizzato a Genova dalle due Soprintendenze per i Beni Artistici e per i Beni Architettonici, ha offerto l'occasione per evidenziare la specificità delle dimore divenute museo nel più ampio panorama delle tipologie museografiche. Ma pur nella specificità sono comunque risultate necessarie ulteriori distinzioni che derivano dalla vastità del fenomeno e ne documentano la complessità. Può Definirsi dimora-museo ogni realtà museale contraddistinta dall'indissolubile legame tra il contenitore (il palazzo, la casa, l'appartamento) e il suo contenuto (la collezione, gli arredi, i decori), siano essi palazzi reali, dimore di famiglia, case di collezionisti, unite dal diverso ma unitario carattere abitativo (in un caso più pubblico e di rappresentanza, nell'altro più familiare e personale). Differente dunque l'origine delle case dedicate ad un uomo illustre celebrato, a posteriori, attraverso la presentazione della raccolta di cimeli, oggetti, testimonianze della sua opera ai fini di comunicarne la fama e rafforzare, attraverso la localizzazione, anche la storia del luogo in cui nacque o operò. Ancora diversa la categoria delle case arredate, dagli stessi artisti durante la propria vita per promuovere e creare una memoria della propria attività o ancora la tipologia dei musei progettati per ricostruire, attraverso una ambientazione che utilizza arredi, suppellettili, opere di provenienze diverse, un momento storico o uno stile di cui, come insieme, non sono una testimonianza originale, ma un'interpretazione museografica. Il procedere in queste particolari distinzioni, se inteso non come un 'esercizio fine a se stesso, ma come mezzo per individuare con chiarezza la natura del museo, permette di impostare di conseguenza corretti metodi di conservazione, comunicazione e didattica. Ciò può tutelare dall'adozione per analogia di provvedimenti che, pur corretti in altre realtà, potrebbero snaturare il carattere proprio delle dimore museo. Inoltre, la chiara definizione dell'ambito dell'intervento può essere utile difesa della ricchezza documentaria, unica e irripetibile, che è propria delle dimore museo e può permettere di esaltare con più efficacia lo specifico di ogni singola realtà museale.

Speciale casa museo - pag. 3 [1998 - N.2]

Gianfranco Casadio

La lusinghiera accoglienza che il numero "zero" della rivista ha avuto presso le istituzioni museali e gli enti culturali, non solo della nostra regione, ci hanno stimolato a proseguire con rinnovata energia in questo nostro lavoro. Le adesioni al Sistema Museale della Provincia sono aumentate e diversi Comuni ci hanno chiesto di valutare le loro raccolte per capire se possono essere elevate al rango di Museo e quindi fare parte del Sistema.Ed è al nuovo che avanza, e al vecchio che si adegua e si rinnova, che abbiamo voluto dedicare questo numero.Ne sono un esempio il costituendo Museo della Cultura Gastronomica di Riolo Terme, l'inaugurazione del Centro di documentazione della Vena del Gesso, il completamento del Museo Civico Agonia di Brisighella, il rilancio della Pinacoteca Comunale di Faenza e la fervente attività di tutti i Musei del Sistema che propongono mostre temporanee di elevato interesse. Anche in questo numero l'Istituto per i Beni Culturali e la Soprintendenza propongono interessanti eventi che caratterizzano l'attività dell'Istituto Regionale e del Museo Nazionale di Ravenna che, oltre alla mostra sul Gruzzolo di via Luca Longhi, ospita, da marzo,un'importante mostra sull'antico Egitto.L'unico rammarico ci viene dallo spazio che ci sta stretto e che ci ha costretti a rinviare al prossimo numero la rubrica L'opinione del legale; ce ne scusiamo pertanto con i lettori.

Editoriale - pag. 3 [1998 - N.1]

Giorgio Cicognani - Conservatore del Museo Ugonia di Brisighella

E' stato recentemente ampliato e riaperto al pubblico il Museo Civico Giuseppe Ugonia nell'edificio dell'ex pretura in piazza Marconi a Brisighella. Al primo piano si possono ammirare le splendide litografie, incisioni ed acquerelli di Ugonia e la ricostruzione del suo studiolo, dove sono conservati i colori, le pietre e il grande torchio dell'artista. Data la delicatezza del materiale, non sono state esposte tutte le sue opere, che sono comunque visibili su richiesta in una saletta attigua. Al secondo piano, frutto della collaborazione di diverse Istituzioni, sono raccolti i "Tesori nascosti", opere, quasi tutte di manifattura locale, provenienti in gran parte da chiese del territorio a testimoniare la fiorente produzione artistica dei secoli passati, riferibile ad un arco temporale dal XIV al XX secolo. Si possono così ammirare la grande pala d'altare di Giovan Battista Bertucci, il Giovane, raffigurante : L'Orazione nell'orto, un prezioso presepe in terracotta policroma di produzione faentina della fine del XV secolo, una rara tela di Nicolò Paganelli, che rappresenta una Crocifissione e la grande tela di Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino, commissionata dalla famiglia Naldi di Brisighella, e datata 1618, raffigurante San Francesco e San Luigi in adorazione di un'immagine, sacra. Si possono inoltre vedere sculture:lignee di Nicola e Ottaviano Toselli e pitture sei-settecentesche di autori vari, tra i quali vanno menzionati Tommaso Missiroli, detto il Villano, Francesco Bosi e Antonio Fanzaresi. Completano l'allestimento di questa prima sala apparati religiosi ed, una rara campana con l'effigie di San Lorenzo, datata 1380, di artigianato locale. Nelle salette attigue sono esposte preziose opere in ceramica, cartapesta e manufatti di oreficeria per arredi sacri. Il Museo è un'occasione per approfondire e valorizzare un patrimonio culturale non sempre conosciuto e l'esposizione, per l'aspetto religioso che riveste, si ricollega alle iniziative avviate nella ricorrenza dell'Anno Giubilare.

La vetrina dei musei - pag. 3 [1998 - N.1]

Arch. Anna Maria Iannucci - Soprintendente per i Beni Ambientali e Archittetonici di Ravenna

La Soprintendenza di Ravenna nasce, prima in Italia, con il R.D.N.496 del 2.12.1897. Il suo primo soprintendente fu Corrado ricci(che poi diventerà Direttore generale alle Antichità e Belle Arti), egli dette inizio ai restauri storici dei monumenti tardo antichi e bizantini della città. Nel 1910 l'Ufficio si trasformerà poi nella Soprintendenza della Romagna di cui saranno direttori Giuseppe Gerola e Ambrogio Annoni, e dopo una serie di vicende istituzionali, acquista dal 1939 l'autonomia con competenza territoriale anche sulla provincia di Ferrara.La Soprintendenza svolge un'azione di conservazione complessa e articolata. Uno dei principali impegni consiste nell'azione di tutela sia ambientale che architettonica sul territorio di competenza, caratterizzato da centri storici e singoli monumenti di altissimo valore storico - artistico e da ambienti naturalistici di eccezionale interesse. Inoltre cura anche la gestione diretta di importanti Musei e Monumenti, l'allestimento di mostre ed esposizioni permanenti e l'attività della Scuola del Restauro del Mosaico.Per quanto riguarda la provincia di Ravenna, fanno capo alla Soprintendenza una serie di monumenti "musealizzati" quali il mausoleo di Teodorico, il Battistero degli Ariani, il Cosiddetto Palazzo di Teodorico(con vasta esposizione di mosaici), la Basilica di S. Apollinare in Classe , ma soprattutto il Museo Nazionale di Ravenna, il maggiore degli istituti dipendenti, la cui nascita (1885) precede la Soprintendenza stessa e con il quale l'Ufficio di Ravenna stabilì fin dall'inizio un legame istituzionale. Il Museo ha la sua prima origine nei materiali raccolti dai monaci camaldolesi presso il monastero di Classe in Ravenna durante il secolo XVIII. La sua sede attuale è il vasto complesso architettonico dell'ex convento benedettino di S. Vitale. Attualmente si presenta come insieme di raccolte di vario tipo, sostanzialmente divisibili in tre settori : il lapidario, i reparti provenienti da scavi, le collezioni, di arte cosiddetta "minore". Nel lapidario, distribuito per la maggior parte nel percorso dei due chiostri rinascimentali, si distinguono in particolar modo le epigrafi e i monumenti funerari d'epoca romana e i marmi bizantini. Fra i reperti di scavo si ricordano soprattutto i materiali provenienti dalla zona del porto di Classe.Le collezioni di arti "minori" comprendono avori, bronzetti e placchette, ceramiche, tessuti, armi e armature, e più di 200 icone principalmente di scuola detta "cretese veneziana". Di rielievo è pure la collezione numismatica, con esempi di monetazione romana e bizantina.IL Museo di Ravenna è quindi una realtà complessa e diversificata, luogo di sperimentazione per attività qualificate restauro, di conoscenza scientifica, di allestimenti ed esperienze di comunicazione didattica.

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 3 [1997 - N.0]

Gianfranco Casadio

Con questo numero di luglio offriamo ai lettori un particolare aspetto delle tante proposte che i musei della nostra regione possono offrire: quello delle case-museo dei letterati che sono nati in Romagna. Quindi non solo gli Oriani, i Guerrini, i Monti - onore e merito della nostra provincia - ma anche i Pascoli, i Moretti, i Guerra, solo per citare i più famosi, la cui opera travalica i confini politico-amministrativi, per raccogliersi in un'unica casa, quella della grande famiglia romagnola. Partendo dall'articolo di Rita Giannini sul neo-costituito Archivio di Documentazione della Poesia Dialettale Romagnola di Sant'Arcangelo, che raccoglie opere di Raffaello Baldini, Tonino Guerra, Nino Pedretti, ecc., si entra nel vivo leggendo lo scritto di Dante Bolognesi che ci informa sulle prospettive di creare un sistema o circuito delle case-museo dei letterati al fine di promuovere, studi, seminari e convegni sugli autori romagnoli che permettano, non solo di approfondire la loro opera, ma anche di creare un percorso culturale collegando le varie case fra loro. Seguono poi le prospettive culturali di Casa Monti che sono illustrate da Giovanni Barberini, quelle di Casa Guerrini da Franco Gabici, quelle del Cardello da Ennio Dirani. Vi è poi un interessante intervento di Cetty Muscolino su Casa Pascoli che è monumento nazionale dal 1924. Non mancano poi le consuete rubriche e alcune interessanti proposte che potranno - specie in queste calde serate estive - divertire istruendo: quella del Planetario che Franco Gabici illustra sotto il titolo Planetario by Night, un invito esplicito ad esplorare la notte del 29 agosto il Pianeta Marte e quella del Museo delle Cappuccine di Bagnacavallo che invita, a sua volta, a Una sera nel bosco: una visita guidata notturna nell'antico Podere Pantaleone ad ascoltare i rumori e i suoni delle notti estive nelle nostre campagne, ormai dimenticati.

Editoriale - pag. 3 [2003 - N.17]

Il nuovo corso di aggiornamento per insegnanti esplorerà l'universo dei simboli, di cui il museo è interprete privilegiato

Eloisa Gennaro ed Alba Trombini - Responsabile U.O. Beni culturali della Provincia di Ravenna Consulente museale

Il 10° Corso di aggiornamento Scuola e Museo, organizzato dal Laboratorio Provinciale per la didattica museale per l'anno scolastico 2003/04, si propone di esplorare l'universo dei simboli, per sperimentarne le potenzialità didattiche ed educative: la cultura, e l'arte in particolare, si esprime da sempre attraverso il simbolo e il museo ne è divenuto nel tempo interprete privilegiato. Essendo manifestazione di un modo di pensare immediato e concreto, e quindi molto vicino alla sensibilità dei ragazzi, il simbolo può divenire un ottimo pretesto per attività museali creative e uno strumento didattico efficace per comprendere l'arte anche nelle sue manifestazioni più "difficili". Il corso è rivolto ai docenti delle scuole di ogni ordine e grado (ma è aperto anche a operatori museali e studenti della facoltà di Conservazione dei Beni Culturali) e si articola in sei incontri a cadenza settimanale, a partire dal 20 ottobre 2003. A Marco Dallari - pedagogista e docente di didattica dell'arte - è affidato il compito di introdurre l'argomento di ricerca; a Piera Nobili - presidente del CERPA Italia - spetta la conclusione, con un intervento sul significato simbolico delle differenti forme architettoniche dall'antichità a oggi. Gli altri relatori, esperti nel campo della didattica museale, condurranno lezioni pratiche ed esemplificative di possibili laboratori sul simbolo, soffermandosi in particolare su esperienze didattiche da loro ideate e svolte con i ragazzi. Rispetto alle precedenti edizioni di Scuola e Museo, per venire incontro anche alle esigenze espresse da docenti e operatori didattici che svolgono la propria attività con i bambini più piccoli o con gli adolescenti, si è pensato di dedicare ogni singolo incontro - introduzione e conclusione a parte - ad una precisa fascia scolastica, dalla scuola materna alla scuola media superiore. Tutti gli iscritti potranno partecipare naturalmente all'intero percorso (per informazioni contattare la dott.ssa Eloisa Gennaro - tel. 0544 35142).

Esperienze di didattica museale - pag. 3 [2003 - N.17]

Cresce il numero dei progetti inseriti nel Piano e finanziati dalla Regione con fondi destinati alla Provincia

Gianfranco Casadio

Esattamente un anno fa, nel n. 8 di luglio di Museo In-forma, scrivevamo - in maniera volutamente polemica - del trattamento ingeneroso che questa Provincia aveva subìto in occasione della ripartizione dei fondi della l.r. 18/2000 per i piani museali provinciali. Si trattava più che altro dello sfogo di chi si era dedicato con passione per fare ottenere ai musei del Sistema provinciale il giusto riconoscimento per lo sforzo di rinnovamento che, con grande sacrificio i responsabili dei musei (date le poche risorse loro assegnate dalle rispettive amministrazioni proprietarie), avevano cercato di apportare alle loro istituzioni. È con grande sollievo che abbiamo potuto constatare che nessuno si è avvilito o ha gettato la spugna; infatti sono stati dieci (esattamente il doppio dell'anno scorso) i progetti presentati e finanziati dalla Regione e dalla Provincia, oltre che dai diretti interessati; e questo solo per parlare di quelli che attingono ai fondi regionali destinati alla Provincia. Ma se a questi dieci progetti (che riguardano il Museo Centro Culturale "Le Cappuccine" di Bagnacavallo, il Museo Civico "Ugonia" di Brisighella, il Cardello di Casola Valsenio, Il Museo all'aperto di Palazzo Sforza di Cotignola, la Pinacoteca di Faenza, il Museo Ornitologico di Ravenna, il Centro Dantesco dei Frati Minori Conventuali di Ravenna, il Museo Archeologico della Villa Romana di Russi, il Museo dell'Arredo Contemporaneo di Russi e il Museo della Vita Contadina in Romagna di San Pancrazio) si aggiungono i sette di intervento di catalogazione e schedatura, i sei di restauro e quello di acquisizione di nuove opere, tutti e quattordici finanziati direttamente con fondi dell'IBACN, ci si rende conto che sono ben 24 i progetti presentati dai nostri musei, accolti e finanziati nel Piano Museale Provinciale per il corrente anno. Una vitalità insperata che è di buon auspicio per il futuro.

Editoriale - pag. 3 [2001 - N.11]

Un convegno per presentare il progetto per la costituzione di un polo museale universitario a Ferrara e per discutere sulle problematiche gestionali dei musei territoriali

Valerio Brunetti - Ispettore onorario ai Beni Ambientali e Architettonici

Nell'ambito della XI Settimana della cultura scientifica e tecnologica si è tenuto, l'11 maggio scorso, presso l'Aula magna dell'Università di Ferrara, il convegno Museografia scientifica, Didattica, Comunicazione. La prima parte del convegno è stata dedicata alla realtà e alle prospettive dei musei scientifici universitari. L'esposizione della situazione in alcune università italiane è stata propedeutica alla presentazione del progetto per la costituzione di un Polo Museale Universitario a Ferrara, le cui linee operative sono state raccolte nel volume Verso il Museo delle Scienze. Nella seconda parte sono stati invece affrontati i problemi che si incontrano nella gestione dei musei territoriali, illustrando la situazione ed i progetti di alcune realtà di Ferrara, del Veneto e dell'Alto Adige. Gli interventi più interessanti hanno analizzato il rapporto col territorio, con particolare attenzione alla funzione didattica del museo come strumento educativo in grado di creare curiosità ed apprendimento. Sono state inoltre rilevate le difficoltà che incontrano i musei che non sempre possono essere autosufficienti nella erogazione dei servizi necessari per cui è indispensabile sviluppare sinergie per creare intorno al museo competenze e professionalità, coinvolgendo anche le scuole e, dove possibile, l'università. I lavori sono stati conclusi da un intervento di Piero Angela sulla qualità della comunicazione culturale che coinvolge direttamente i musei, che devono suscitare nel visitatore quell'emotività necessaria per farsi "amare" e comprendere.

Appunti dai convegni - pag. 3 [2001 - N.11]

Gianfranco Casadio

Con questo numero lascio la direzione di Museo Inoforma poiché da dicembre cessa il mio rapporto di lavoro con la Provincia di Ravenna che ne è l'editore. Museo Inoforma ha compiuto sei anni proprio in questo mese (il numero zero uscì nel novembre del 1997), è perciò ormai adulta e posso lasciarla con la certezza che chi prenderà il mio posto saprà rispettare quella obiettività e quella serenità che ho cercato di mantenere in ogni pagina dei diciannove fascicoli usciti sotto la mia direzione. Chi ci ha seguito fin dall'inizio sa che ogni numero, pur mantenendo fisse alcune rubriche, contiene un dossier monografico: quello di questo numero è dedicato ai nuovi musei che entreranno a far parte del Sistema Museale Provinciale che, secondo le domande pervenute finora, sono quattordici, portando a trentaquattro il numero di quelli convenzionati. Un buon numero considerando che in tutta la provincia, comprese le raccolte con caratteristiche museali, sono cinquantotto. In un momento di grande trasformazione come appunto è quello che stanno vivendo i musei della regione a seguito alle norme introdotte della legge regionale n. 18 del 2000, non vorrei che la mia uscita - non solo dalla direzione della rivista, ma anche dalla guida del Sistema Museale Provinciale - possa sembrare una fuga o una diserzione. Niente di tutto questo. La verità è che all'anagrafe non si può mentire. Sono fiducioso che chi prenderà il mio posto alla guida del Settore Beni e Attività Culturali riuscirà a traghettare, con la collaborazione dei colleghi che mi hanno aiutato fin qui e con quella degli operatori museali, tutti i musei della provincia di Ravenna all'interno del "nostro" Sistema, superando tutte le difficoltà introdotte dai nuovi standard previsti dalla legge. Così come sono altrettanto sicuro che il nuovo direttore della rivista riuscirà a mantenerla libera e autonoma da qualsiasi influenza estranea agli argomenti di cui si deve occupare. Infatti Museo Inoforma, pur essendo una rivista istituzionale, è una rivista scientifica e quindi libera da ogni influenza e pressione politica e per mantenerla tale mi sono battuto tutti questi anni. Museo Inoforma è figlia del Sistema Museale della Provincia di Ravenna e tale deve rimanere se si vuole mantenere quel consenso e quel prestigio che in così pochi anni si è conquistata a livello nazionale. Fatte queste considerazioni che mi sembravano doverose, mi preme soprattutto, in questo momento, ringraziare i miei collaboratori e i lettori della rivista - l'entusiasmo degli uni e il sostegno degli altri - e voglio esprimere la mia gratitudine alla Provincia di Ravenna per avere in ogni momento assecondato la mia modesta fatica senza condizionamenti e sostenendo economicamente il giornale. I redattori e tutti quelli che hanno lavorato con me sanno quanto sia stato difficile costruire ogni numero della rivista e come io spesso abbia rifiutato dei facili compromessi per mantenerne alto il livello culturale. Questo ho cercato di fare. Spero, anzi ne sono certo, che la nuova direzione continui su questa strada, magari facendo ancora di più e pertanto invito tutti i miei collaboratori ad adoprarsi in questo senso chiedendo, per me, solo il favore di aggiungere un nome alla lista degli abbonati: il mio.

Editoriale - pag. 3 [2003 - N.18]

Pier Domenico Laghi

Con questo numero, che inizia il settimo anno dell'attività della rivista, intendiamo dare continuità ad uno strumento affermato e consolidato, grazie all'intuizione e all'impegno di tutti coloro che alla sua realizzazione fino ad oggi si sono dedicati.
Come è ormai tradizione il tema dello speciale caratterizza l'impianto della rivista: l'argomento di questo numero è il restauro. Già è anticipato, nell'accezione di restauro preventivo, nella Pagina dell'Istituto per i Beni culturali e nell'illustrazione del progetto I colori degli antichi splendori della Provincia di Rimini. È poi approfondito, assumendo diverse e complementari prospettive, in maniera da dare conto di un quadro ricco ed articolato sul territorio della Provincia di Ravenna: esperienze formative, ricerca, laboratori e applicazioni sviluppano reti di relazioni nella dimensione locale, che si confrontano su scala nazionale ed internazionale, per raggiungere anche studiosi della Cina e del Nepal.
Il restauro del mosaico e della ceramica fanno la parte del leone, e non poteva essere diversamente muovendosi tra Ravenna e Faenza. In questo ambito tematico è particolarmente significativo l'intreccio tra formazione, ricerca e aspetti applicativi: gli interventi di Università, CNR, Istituzioni culturali statali e locali presentano esempi di quella amplissima gamma di questioni che sottendono al restauro, dagli aspetti storici e artistici a quelli chimici e tecnologici. Non a caso, in questo contesto, Cetty Muscolino pone il tema e la testimonianza della complessità, della ricchezza e del potenziale della figura professionale del restauratore; questi elementi sono richiamati anche, per altre dimensioni, dall'esperienza, intensa e per taluni aspetti originale, degli stage formativi presso il Museo Civico di Castel Bolognese. Di altre complessità ed intrecci danno conto gli interventi di Nadia Ceroni e Giorgio Cicognani: il tema del restauro, anche qui declinato in termini multidisciplinari, è centrato sul restauro-ripristino degli aspetti originali dell'opera d'arte e porta a riflettere sugli apporti del restauro per la migliore conoscenza storico-artistica del bene restaurato. Auspichiamo di aver tracciato un quadro sufficientemente esaustivo della complessità istituzionale, scientifica e metodologica del restauro, considerando le numerose realtà operanti sul territorio; ci interessa soprattutto aver accennato alle reti ed agli intrecci di relazioni, locali e internazionali, per suscitare curiosità ed attenzione, per rendere maggiormente visibile il potenziale espresso, per contribuire ad ulteriori sviluppi.
Accanto allo Speciale restauro la rivista mantiene le consuete rubriche tra le quali, per ragioni diverse, corre l'obbligo di richiamare Personaggi ed Esperienze di didattica museale. La prima perché dedicata a Luigi Malkowski, prematuramente scomparso nel mese di dicembre 2003, intellettuale colto e discreto che nello scorso numero della rivista ci aveva presentato Le "memorie" di Dante, raccolta voluta da Corrado Ricci per testimoniare il culto tributato nei secoli alla memoria del poeta. La seconda in quanto propone, in anteprima rispetto all'avvio delle celebrazioni per il 60° anniversario della liberazione e della resistenza, percorsi per l'approfondimento della storia e la conservazione della memoria degli eventi del territorio attraverso una didattica viva e documentata che si fonda sui musei e le risorse del sistema provinciale.

Editoriale - pag. 3 [2004 - N.19]

Pier Domenico Laghi - Pier Domenico Laghi

In questi anni la Provincia di Ravenna ha intensificato gli sforzi per soddisfare sempre meglio le esigenze espresse dal proprio territorio; tale azione si è espressa nel coordinamento delle politiche di valorizzazione del patrimonio culturale e nella promozione di condizioni ottimali per un’offerta differenziata di servizi di qualità ai cittadini, alle scuole, ai turisti. Gli ultimi anni si sono caratterizzati per il consolidamento e lo sviluppo dei servizi offerti nell’ambito del Sistema Museale Provinciale, con particolare riferimento agli strumenti di promozione dei musei e alle attività del Laboratorio Provinciale per la didattica museale.
Nel corso dell’anno 2004 l’impegno della Provincia si è ulteriormente rafforzato in questa direzione: le risorse messe a disposizione per le spese di investimento a favore del Sistema Museale passano, infatti, da € 51.646,00 a € 220.000,00; questo sia per supportare l’ingresso dei nuovi musei nel sistema, sia per incentivare complessivamente la crescita dell’offerta di servizi museali di qualità. Auspichiamo che al rafforzato impegno della Provincia corrisponda anche un incremento dei trasferimenti regionali: sarebbe un segnale particolarmente significativo in un periodo non facile per la finanza degli enti locali.
Coincidendo l’uscita di questo numero con la scadenza per la presentazione del Piano Museale 2004 lo speciale che caratterizza la rivista non poteva che essere dedicato al Piano elaborato ai sensi della L.R. 18/2000. Non potendo dar conto della totalità degli interventi proposti si è operata la scelta di fornire esempi della molteplicità dei progetti presentati: dai percorsi didattici al rinnovamento degli percorsi espositivi; dagli interventi strutturali alla “conservazione attiva” del patrimonio museale, dedicando una particolare attenzione al progetto dei servizi di accoglienza del rinnovato, appena inaugurato, Museo del Sale di Cervia.
La scelta ha tenuto conto anche dell’opportunità di fornire un panorama che comprendesse realtà grandi e piccole. Denominatore comune di tutti i progetti è la piena valorizzazione del patrimonio culturale provinciale; nelle pieghe delle attività proposte si legge anche l’impegno rinnovato per il raggiungimento degli standard fissati in sede regionale, ma questo sarà oggetto di futuri approfondimenti.
Tra le consolidate rubriche della rivista preme sottolineare in questo numero Personaggi e Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna.
La prima perché è dedicata alla figura di Ennio Golfieri, architetto e studioso faentino, che ha dedicato tutta la sua attività allo studio ed alla valorizzazione della cultura e dei beni culturali, modernamente intesi, della città di Faenza.
La seconda in quanto presenta uno strumento originale di valorizzazione del Sistema Museale: una storia a fumetti, costruita, peraltro, con il fondamentale contributo creativo e l’impegno degli operatori del Servizio musei della Provincia. E all’albo a fumetti sono dedicati la copertina e l’apparato iconografico dello speciale. Un appuntamento prima di chiudere e rimandare al prossimo numero: l’undicesimo corso di aggiornamento “Scuola e Museo” che, per il 2004, è organizzato in forma di convegno, con il titolo “Crescere al Museo”, per dare maggiori opportunità di approfondimento e confronto.

Editoriale - pag. 3 [2004 - N.20]

Pier Domenico Laghi

Nel numero precedente avevamo fatto riferimento all’opportunità di approfondimenti sul rinnovato impegno per il raggiungimento degli standard fissati in sede regionale: con questo numero cogliamo subito l’occasione per tracciare sull’argomento piste di riflessione e lavoro.
L’intervento di Laura Carlini, dell’IBC, ci introduce al tema tratteggiando il primo scenario regionale uscito dal questionario di autovalutazione dei musei rispetto ai requisiti richiesti dagli standard: un quadro interessante e utile per tradurre in dati ed obiettivi misurabili le progettualità dei futuri piani di intervento.
Lo speciale, quindi, affronta alcune delle diverse dimensioni praticabili sul tema dei requisiti di qualità da conseguire dai musei del territorio. In primo luogo il ruolo e le azioni possibili di sostegno che il Sistema Museale Provinciale può mettere in campo: percorsi di lavoro da condividere tra Provincia e musei del Sistema con particolare riguardo agli interventi che richiedono attività di tipo tecnico-scientifico. Gli aspetti relativi agli interventi per l’adeguamento strutturale dei musei sono esemplificati dall’esperienza realizzata dal Museo Baracca di Lugo; l’interdipendenza tra standard strutturali e gestionali è comunque forte; non a caso al termine di questo intervento è posta, con forza, la domanda: “dopo lo sforzo per adeguare le strutture possiamo contare su volontà e risorse sufficienti per la gestione?”. L’introduzione degli standard pone, rispetto alle piccole realtà, anche la questione di come considerare le “collezioni aperte al pubblico”; esse sono importanti tracce di civiltà e memoria del territorio, la cui gestione merita una riflessione attenta in un quadro di risorse sempre più modeste. Anche la catalogazione ed i modelli gestionali sono ambiti importanti di riflessione sugli standard: in questo numero se ne occupano i contributi offerti da due tra i maggiori musei della provincia, il M.A.R. di Ravenna ed il M.I.C. di Faenza.
A fine ottobre ci siamo confrontanti, tra diverse realtà regionali, a Tolmezzo nel corso del convengo organizzato da Carnia Musei sul tema Reti museali e territorio. In quella sede abbiamo condiviso, tra l’altro, due affermazioni: “le reti di musei sono un processo in evoluzione” e “occorre distinguere tra norma e standard per assumere gli standard come strumento di lavoro”. Con i contributi contenuti in questo numero abbiamo cercato di correlare le due affermazioni e proporre materia per il lavoro futuro: da fare insieme attraverso il Sistema Museale, in maniera coordinata, con impegno più incisivo, da parte di ciascun museo della rete. La prima occasione di lavoro è alle porte: entro l’anno si avvia il percorso di costruzione del Piano Museale 2005 ai sensi della L.R. 18/2000, con l’obiettivo di proporre progetti efficaci e di qualità alla scadenza di marzo.
Ricche come al solito le rubriche consolidate della rivista; in questo numero il tema della didattica museale e del rapporto scuola e museo è particolarmente vivace. In attesa di pubblicare i materiali è proposta anche una sintesi dell’undicesimo corso-seminario di aggiornamento “Scuola e Museo”, che ha visto la presenza attenta e partecipata di oltre centoquaranta iscritti.
Questo numero chiude l’ottavo anno di vita della rivista Museo in•forma, a tale risultato si è giunti per l’impegno ed il contributo di tutti i collaboratori ai quali va un sentito ringraziamento; considerate le prospettive di lavoro che sono sparse anche tra queste pagine al ringraziamento si collega subito un augurio di buon lavoro per il prossimo anno.

Editoriale - pag. 3 [2004 - N.21]

Pier Domenico Laghi

Prosegue nello speciale di questo numero la riflessione sui requisiti di qualità dei musei; il tema viene affrontando dalla prospettiva che considera le professionalità degli operatori museali.
Senza alcuna pretesa di esaustività, ancora una volta si è compiuto lo sforzo di affrontare l’argomento da prospettive diverse; questo approccio ci permette di tracciare piste di riflessione utili sia per le grandi che per le piccole realtà; ci consente di considerare aree professionali diverse ma anche interazioni di competenze all’interno di un’unica figura; permette di fare riferimento a strutture organizzative ampie ed articolate senza escludere le interazioni tra professionalità pubbliche e soggetti del volontariato culturale.
Il tema delle professionalità è strettamente legato agli standard, che prevedono il presidio adeguato e non occasionale delle quattro funzioni essenziali per un museo: direzione, conservazione, servizi educativi e didattici, sorveglianza. Ma il panorama che osserviamo all’interno dei sistemi museali è molto ricco ed articolato; le possibilità di intreccio tra profili professionali e soluzioni organizzative sono numerose e possono essere moltiplicate anche attraverso collaborazioni tra i diversi musei.
In un contesto caratterizzato dal contenimento delle risorse pubbliche disponibili e da una costante contrazione delle possibilità di acquisire nuove risorse professionali, diventa sempre più necessario valorizzare il patrimonio di professionalità presenti all’interno delle istituzioni culturali, individuare nuove modalità organizzative che permettano di ottimizzare l’uso delle poche risorse disponibili.
L’obiettivo è chiaro: “migliorare l’offerta verso un pubblico sempre più curioso, più attento, più esigente”. Se lo sforzo che è stato fatto, in collaborazione con il mondo della scuola, è stato quello di preparare un pubblico con tali caratteristiche, oggi dobbiamo fornire risposte adeguate, anche pensando a soluzioni nuove che ci permettano di valorizzare al meglio il patrimonio professionale degli operatori museali, senza ignorare la preparazione dei giovani laureati che si affacciano con un buon bagaglio culturale ed un potenziale di entusiasmo alle porte delle nostre istituzioni culturali.
I grandi e i medi musei possono permettersi una propria articolazione organizzativa in grado di gestire una sufficiente complessità di professionalità per dare risposte adeguate al pubblico; per questi i problemi connessi al personale si pongono in termini prevalentemente di integrazione del turn over e di valorizzazione ed aggiornamento professionale.
I piccoli musei, che sono la maggioranza sul nostro territorio, si trovano a dover affrontare problematiche molto più complesse che possono essere risolte forse solamente in termini di sistema, attraverso la valorizzazione delle relazioni e di forme, anche innovative, di cooperazione e condivisione; materia questa che richiede ulteriori riflessioni, approfondimenti, elaborazioni.
Ricche con al solito le rubriche consolidate della rivista; tra i diversi argomenti affrontati preme richiamare da un lato l’intervento dell’IBACN che illustra le iniziative promosse dall’Istituto nell’ambito del XII Salone del Restauro di Ferrara a documentazione della collaborazione con gli Enti locali della Regione; dall’altro la rubrica personaggi, dedicata a Gregorio Ricci Curbastro, matematico, che ha contribuito in maniera determinate alla teoria della relatività generale formulata da Einstein nel 1916.

Editoriale - pag. 3 [2005 - N.22]

Pier Domenico Laghi

L’occasione di celebrare il centenario della legge del 16 luglio 1905, frutto dell’impegno politico di Luigi Rava, insigne studioso ravennate, ci sollecita, attraverso lo speciale di questo numero, a percorrere diversi sentieri culturali e di riflessione ispirati alla Pineta di Ravenna.
La considerazione della figura di Rava ci permette, innanzi tutto, di evidenziare come le leggi che egli ha promosso nel 1905 e nel 1908 costituiscano il primo nucleo della legislazione italiana per la tutela e valorizzazione dei beni ambientali e culturali; è motivo di orgoglio sapere che prendono spunto dal patrimonio ambientale della nostra provincia.
Un secondo sentiero di riflessione è definito dalla considerazione del “bene culturale paesaggio” come ispiratore di uno specifico genere pittorico; il rapporto con la pittura definisce un legame creativo forte tra arte e territorio, come testimoniato dalle raccolte del Museo d’Arte della Città di Ravenna; ma possiamo pensare alla Pineta anche come musa ispiratrice di poeti, letterati e musicisti, guidati dalle citazioni che ci propone Franco Gabici.
La Pineta è monumento vivo, testimonianza della storia di un luogo e del trasformarsi della natura, a questo ci introduce Massimiliano Costa, con un taglio scientifico-naturalistico ed un richiamo ai tesori botanici della pineta storica.
Al di là delle suggestioni create da questo intreccio fecondo tra bene ambientale e opere pittoriche, letterarie e musicali da esso ispirate, ci interessa porre l’accento sulle potenzialità di ricerca e creazione culturale che sono realizzabili attraverso l’intreccio tra beni ambientali e culturali che insieme sedimentano la storia e la creazione artistica di un territorio; queste potenzialità non riguardano solamente possibili nuovi percorsi per una didattica integrata dei beni ambientali e dei correlati aspetti culturali, ma anche nuove modalità di fruizione della natura e della cultura.
Tra le consolidate e ricche rubriche della rivista in questo numero preme evidenziare Personaggi e Esperienze di didattica museale.
La prima ci propone per la prima volta una figura femminile: Emma Calderini, disegnatrice di moda ed esperta di storia dell’abbigliamento; è il passo iniziale per un doveroso riequilibrio tra i generi, un impegno della redazione per proporre altri personaggi al femminile nei prossimi numeri.
Per quanto riguarda le esperienze di didattica museale, apriamo una riflessione sulla didattica della cultura scientifica e tecnologica: un invito forte ai musei scientifici, ma non solo, a mettersi in gioco, per coinvolgere in modo nuovo ragazzi e genitori.
Infine l’invito a riflettere, guidati dalle considerazioni di Eloisa Gennaro, sull’esperienza fatta dell’apertura gratuita e festiva dei musei del Sistema: visti i risultati e le idee messe in campo c’è materia per avvicinare molti più visitatori ai musei ed alle raccolte del nostro territorio nella prossima edizione di questo evento.

Editoriale - pag. 3 [2005 - N.23]

Pier Domenico Laghi - Dirigente Settore Cultura della Provincia di Ravenna

Da quando Nicolas Pioch, studente americano con frequentazioni parigine, a metà degli anni novanta del secolo scorso (attenzione sono trascorsi poco più di dieci anni) creò il primo network di diffusione artistica del mondo, il “WebMuseum”, fatto inizialmente per diletto personale (“I made this private exhibit for my own pleasure”) ma che oggi conta filiali sparse nelle università di una ventina di Paesi e registra più di 200.000 visite a settimana, di strada ne è stata fatta. Solamente per l’Italia l’Università di Bologna ha censito tra strumenti guida, musei virtuali e siti relativi ai musei oltre 40 realtà e ne ha segnalato oltre 50, ma sicuramente i dati sono per difetto e la realtà è più articolata e complessa.
Il primo problema da porsi è cosa si debba intendere per “museo virtuale”: una delle forme con cui i musei cercano di promuoversi, il sito del museo materiale, un sito che propone opere sganciate da un museo reale, una visita virtuale al museo reale, la memoria di esposizioni tematiche temporanee; il museo dell’invisibile o il museo dell’invisitabile, ed altro ancora.
Ognuna di queste possibili dimensioni meriterebbe una considerazione a sé ed un approfondimento; con lo Speciale di questo numero ci siamo proposti di guardare - a partire da una situazione locale e nell’ambito di un contesto di collaborazioni regionali - al tema dei musei virtuali partendo da dentro ai musei, dalle esperienze fatte e dai progetti in corso, per misurare problemi e potenzialità di questo strumento rispetto ad una più incisiva valorizzazione e ad una migliore fruizione del patrimonio culturale locale.
Qui e per ora abbiamo assunto il termine museo virtuale nel significato di “strumento per una più incisiva valorizzazione ed una migliore fruizione del patrimonio culturale locale”, con tutti i limiti di questa definizione, ma anche con tutto il potenziale di lavoro che può contenere.
Come è tradizione di questa rivista, ancora una volta l’analisi è pluridirezionale; tra i temi affrontati troviamo: il nesso tra catalogazione e restituzione grafica sul WEB dei beni culturali; le possibilità di cooperazione tra i musei attraverso l’automazione (progetto CAMUS), progetto che esprime anche un potenziale per costruire nuove relazioni tra i musei e il territorio di riferimento; le sperimentazioni fatte alle Pinacoteche di Ravenna e di Bagnavallo.
Opportunamente, per non scivolare nello strumentalismo, lo Speciale contiene nell’articolo di Diego Galizzi una provocazione da tener sempre presente: pur partendo da punti diversi e considerando le diverse potenzialità degli strumenti informatici disponibili, “dal punto di vista teorico la questione tocca da vicino il nocciolo della finalità stessa del museo”.
Non tanto per contrapposizione, quanto per sottolineare il legame da mantenere tra strumenti e territorio, è importante richiamare, nel contesto di quanto sopra considerato, gli articoli “Rivive Villanova della capanne” e “Nella vecchia fattoria” che propongono una lettura che può coniugare la cultura materiale con le potenzialità della virtualizzazione.
Come per lo Speciale sul tema delle donazioni, anche in questo caso possiamo concludere che abbiamo posto un argomento, ma è rimasto molto lavoro da fare per i prossimi numeri e per altri approfondimenti.
Una risorsa per nuovi approfondimenti è, tra le altre opportunità, la biblioteca del Settore Cultura della Provincia di Ravenna; in questo numero Massimo Marcucci dà conto dei primi cinque anni di vita di questa biblioteca: uno strumento piccolo ma specialistico e – come molti prodotti e servizi di nicchia - qualitativamente connotato.

Editoriale - pag. 3 [2006 - N.26]

Pier Domenico Laghi - Dirigente Settore Cultura della Provincia di Ravenna

A distanza di due anni torniamo sul tema del restauro. Il precedente approfondimento affrontava la molteplicità delle prospettive del restauro in provincia di Ravenna e spaziava dalle esperienze formative alla ricerca, dai laboratori alle applicazioni; in questo numero, a partire da una riflessione sull’importanza del restauro, ci occupiamo di fornire esempi dei molteplici interventi svolti sui beni culturali del nostro territorio.
Riprendiamo l’argomento restauro con l’intento di raggiungere due obiettivi in particolare: il primo è consolidare, rendere diffuso l’attuale concetto di restauro “cioè di un intervento finalizzato non a rifare, ricostruire, sostituire ma soprattutto a prevenire dal degrado - sia attraverso interventi straordinari di recupero sia con più semplici operazioni di conservazione - mantenendo per quanto possibile i caratteri originali di un bene culturale” (Giuliana Algeri); ci piace richiamare che la prevenzione del degrado nella nostra regione ha trovato un importante strumento applicativo, di sostegno ai musei, nel progetto “MUSA – Rete regionale intermuseale per la gestione a distanza della conservazione dei beni artistici”. Il secondo obiettivo è dare conto della molteplicità delle collaborazioni e delle tipologie di intervento sulle quali sono impegnati l’IBACN della Regione Emilia-Romagna ed i musei del Sistema Museale Provinciale.
In questo quadro condividiamo pienamente l’affermazione che “ogni intervento di restauro - pur nel rispetto delle caratteristiche dell’oggetto restaurato - può esplicitare tutte le sue potenzialità, che vanno appunto dal recupero critico del passato alla possibilità di divenire risorsa economica per il futuro, rimanendo in ogni caso testimonianza vitale dell’identità culturale di una comunità, di una città, di un’intera nazione” (Giuliana Algeri). Nelle attività di restauro, specie se di sistema, c’è tutto il potenziale per attivare, anche a livello locale, un circuito virtuoso che metta in sinergia aspetti artistici e culturali, scientifici e di ricerca applicata, economici e di valorizzazione: in una contingenza, o almeno speriamo che sia tale, di risorse pubbliche limitate per il settore dei beni e delle attività culturali è sicuramente una leva per guardare con minori preoccupazioni il futuro.
L’inizio dell’anno è anche tempo di Piani museali; la Provincia di Ravenna ha appena proposto alla Regione Emilia-Romagna ed all’IBACN il programma degli interventi per il 2006, anno che chiude il ciclo triennale 2004-2006. È tempo di programmi, quindi, ma anche di riflessioni: a questo è dedicato l’intervento di Eloisa Gennaro che traccia le linee di azione del triennio che si chiude; da queste troviamo conferma che il Piano museale provinciale può effettivamente essere strumento di programmazione e di crescita, specie quando occorre fare tesoro delle limitate risorse disponibili. Per non appesantire l’intervento sono riportati solo alcuni dati che tracciano le linee di intervento per gli anni 2000-2006: chi voglia approfondire l’argomento, con dati alla mano, può fare riferimento al portale della Provincia di Ravenna, nella sezione “Cultura” (http://portale.provincia.ra.it/provincia/).
Per quanto riguarda il programma 2006 il taglio delle risorse e i vincoli di finanza pubblica ci hanno costretto a tenere una linea difensiva: al consolidamento delle risorse rese disponibili dalla Provincia negli anni precedenti non è stato possibile accompagnare un analogo intervento regionale. Speriamo di aver solamente rallentato il cammino e di aver mantenuto la rotta.

Editoriale - pag. 3 [2006 - N.25]

Pier Domenico Laghi - Dirigente Settore Cultura della Provincia di Ravenna

La domanda “perché cataloghiamo” posta dall’intervento del Direttore dell’IBACN sul numero scorso trova diversi ed articolati approfondimenti - teorici ed applicativi - in questo numero nel quale al tema della catalogazione è dedicato uno spazio che va oltre allo “Speciale”.
La riflessione che sviluppiamo spazia dalle esperienze locali alle riflessioni e sperimentazioni di livello regionale e nazionale, offrendoci un quadro d’insieme che si presenta, una volta tanto, organico, coerente e positivamente integrato.
I contributi dei responsabili e collaboratori dell’Osservatorio sulla catalogazione dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione e del Progetto Ecumene dell’Ufficio nazionale dei beni culturali della CEI ci offrono elementi per apprezzare l’evoluzione della situazione a livello nazionale; i contributi dell’IBC della Regione Emilia Romagna e della Soprintendenza per i Beni Architettonici e il Paesaggio di Ravenna ci presentano importanti approfondimenti metodologici ed applicativi; le esperienze locali sono sintetizzate nell’esperienza sviluppata la Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza.
L’insieme degli interventi, anche se ciascuno parte da esigenze diverse e si pone con diverse modalità di approccio, presenta il potenziale delle tecnologie informatiche, che sottendono alla catalogazione scientifica, per lo studio, la documentazione, la gestione, la tutela, la fruizione e la valorizzazione dei beni culturali, siano questi opere d’arte, testimonianze della civiltà del lavoro, vestigia della storia sul territorio ed altro ancora. Le esperienze condotte anche nelle diverse realtà del nostro territorio dimostrano che è maturo, condiviso e praticato l’uso delle tecnologie di catalogazione informatica come strumento al sevizio dei beni culturali; sono poste le condizioni per generalizzare il passaggio, già positivamente sperimentato, delle tecnologie al più diretto servizio dei fruitori dei beni culturali, affinché divengano molti, a partire dai nuovi e potenziali che oggi frequentano le scuole.
In questa prospettiva non è, pertanto, un caso che la rivista si chiuda con la presentazione della tredicesima edizione del corso “Scuola e Museo”, organizzato dalla Provincia di Ravenna sul tema del Museo che sorprende. Ove sorpresa non è legata agli effetti speciali, ma al mescolamento delle “competenze e pratiche diverse, dando vita a un nuovo pensiero, a un modo diverso di fare o vedere le stesse cose che si facevano o vedevano prima”, mescolamento che può trovare supporto strumentale anche dalle possibilità offerte dalle nuove tecnologie, preliminarmente per la messa a punto delle attività didattiche e quindi per una più attiva e partecipata fruizione.
Tra le notizie dal Sistema Museale Provinciale sottolineiamo due eventi. Il Museo nel Museo dà conto dell’appena inaugurato Museo del Paesaggio dell’Appennino Faentino all’interno della trecentesca Rocca di Riolo Terme, che si pone - grazie ad un allestimento accurato e a percorsi articolati - sia come museo del territorio sia come museo del tempo, a testimonianza in particolare del Medioevo.
Fumetti, letteratura disegnata, invece, presenta la nuova storia a fumetti pubblicata nell’ambito della collana “I misteri dei musei”, un originale ed efficace strumento di valorizzazione dei musei del Sistema Provinciale e del patrimonio culturale del territorio in generale.

Editoriale - pag. 3 [2006 - N.27]

Pier Domenico Laghi

Col primo numero del 2007 entriamo decisamente nel merito della celebrazione del bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi. Molteplici sono le ragioni per le quali dedichiamo all’epopea garibaldina non solo lo speciale ma anche diversi articoli della rivista. In primo luogo perché la Romagna, e la Provincia di Ravenna in particolare, sono terra di radicate tradizioni repubblicane, nella quale furono prontamente recepiti gli ideali mazziniani e largamente condivisa l’azione garibaldina. Poi perché in questo territorio ha avuto luogo la Trafila garibaldina, che ha lasciato tracce nella memoria popolare collettiva.
La rapida successione di quegli eventi, le tracce materiali ed immateriali, sono ben sintetizzate in una epigrafe, una delle tante in memoria di Garibaldi, quasi con valore di metadocumento, posta a Villa “La Badia”, Dovadola, dettata nel 1893 da Federico Tosi: “Giuseppe Garibaldi / compiuta la meravigliosa ritirata da Roma a S. Marin / disciolta la legione in terra libera / con duecento valorosi eludendo il nemico / nella notte del 31 luglio 1849 / rapidamente scese dal Titano all’Adriatico / Catturate in Cesenatico 13 barche / fece vela verso Venezia cinta d’assedio / Avviluppato dai fuochi della squadra austriaca / trovò scampo presso Comacchio / poi subito nelle spiagge di Ravenna / ove cercato ha morte, perseguitato come belva / dalle truppe croate fruganti nelle valli, nei campi, nei boschi, nelle case / vide morirsi accanto nè pote seppellirla / l’eroica compagna Anita / Lui profugo insieme col tenente Battista Leggero / difesero, nascosero, guidarono/dalla pineta a Castrocaro generosi romagnoli / Lui accolse e dal 17 al 21 Agosto protesse / da Pieve Salutare a Monte Acuto e Monte di Trebbo / Anastasio Tassinari con altri dovadolesi / consegnandolo salvo / al sacerdote Don Giovanni Verità / vero angelo custode del proscritto”.
Soprattutto ci occupiamo dell’epopea garibaldina per offrire uno spaccato della ricca articolazione sul territorio di musei, luoghi e memorie che costituiscono un vero e proprio museo diffuso garibaldino, come argomenta Giuseppe Masetti in apertura dello speciale. Il nostro obiettivo, oltre che dar conto dei cimeli raccolti nei musei e delle memorie diffuse sul territorio, è anche quello di suscitare nuove curiosità e il desiderio di visitare il “museo diffuso” con rinnovato spirito di conoscenza, aggiungendo, così, una ulteriore modalità di celebrazione del bicentenario.
Sempre nella logica del sistema territoriale, ma questa volta in campo artistico, è doveroso sottolineare come la collaborazione tra il Museo d’Arte per la Città di Ravenna, il Museo Internazionale delle Ceramiche e la Pinacoteca di Faenza ha dato origine a tre mostre coordinate che insieme realizzano uno straordinario evento espositivo dedicato a Domenico Baccarini, morto giovanissimo ed “in odore di icona inimitabile di artista di talento” cento anni orsono a Faenza.
Per concludere traiamo una nota di ottimismo ed insieme un auspicio per il futuro da due articoli dedicati al rapporto delle giovani generazioni con i musei: “Il museo dei ragazzi” e “Musei giovani: una vera sorpresa”. Dopo la celebrazione di un bicentenario e di un centenario, che dimostrano una vivacità culturale e propositiva dei nostri musei, il tema della memorie e dell’identità è coniugato anche al futuro: una scommessa importante per i musei e gli operatori museali, una chiamata a rispondere al “perché gli adolescenti non sentono una particolare motivazione a frequentare i musei”. La logica conseguenza è l’invito a continuare nell’impegno a metter in campo le cose di cui i giovani hanno bisogno per frequentare, con personale adesione, i musei.

Editoriale - pag. 3 [2007 - N.28]

Pier Domenico Laghi

Tema portante di questo numero è il collezionismo. Torniamo periodicamente ad approfondire questo argomento, anche se con approcci diversi, perché esiste un nesso forte tra collezionismo e museo: sono state collezioni private a dar origine a grandi musei pubblici, sono collezioni private che alimentano sezioni di musei, sono collezioni private che possono fare un salto di paradigma e trasformarsi in musei. Di ognuna di queste modalità possiamo trovare almeno un'esperienza vissuta all'interno della rete dei musei della provincia di Ravenna, di alcune abbiamo dato testimonianza anche in queste pagine.

Quando un interesse personale e privato è coltivato con continuità ed intelligenza spesso determina un approfondimento culturale che sedimenta materialmente tale interesse: avremo allora collezioni che assumono un significato che supera i bisogni e l'interesse privato e personale.

Il collezionismo è spesso passione, a tratti vissuta con spirito di ricerca culturale, ed è anche un modo per dare risposta ai propri bisogni profondi; il desiderio in questo caso diventa una forza, come ci dice Alba Trombini nell'approfondimento che apre lo Speciale; guardando i frutti possiamo affermare che è una forza che produce per sé ma anche per la collettività.

Questa duplice valenza, che si gioca tra possesso privato ed interesse pubblico dei beni collezionati, pone ulteriori questioni ed apre esigenze di altri approfondimenti sul piano legislativo - come appena accennato in questo numero - e sul piano operativo, specie in una situazione caratterizzata da contenute capacità di spesa del pubblico e dai vincoli posti alle stesse modalità di spesa.

Questo numero tratta anche di iniziative che sono esempio della vitalità dei musei del nostro territorio. Alcuni infatti si sono impegnati tenendo conto della stagione estiva e con uno sguardo attento al turismo ed al contatto con pubblici nuovi. In primo luogo la mostra delle opere di Mino Maccari organizzata congiuntamente da Bagnacavallo e Cervia, alle Cappuccine e ai Magazzini del Sale, rivolta anche ai turisti nell'ambito de progetto "non solo mare", quindi "la Duna degli Orsetti", iniziativa attraverso la quale l'attività dei laboratori di quattro musei si è proposta di far incontrare ai giovanissimi contemporaneamente il divertimento e la cultura.

A Massa Lombarda è giunto a compimento il progetto del Centro culturale che propone l'integrazione tra servizi bibliotecari e museali, entrambi nati, ci verrebbe da dire non a caso visto lo Speciale di questo numero, dalle raccolte private di Carlo Venturini.

Prima di chiudere non può mancare un richiamo al Piano museale in fase di approvazione, che sarà rinnovato alla luce delle nuove direttive regionali per il triennio 2007 - 2009, di cui ci parla in apertura Laura Carlini dell'IBACN. Le nuove linee guida sono fortemente volte al raggiungimento degli standard di qualità. L'attività del nostro Sistema Museale sono da tempo orientate a tale obiettivo e auspichiamo che i progetti presentati dai musei confermino con determinazione questa direzione.

Tra l'uscita di questo numero ed il prossimo ci sono di mezzo le ferie estive, una buona occasione per riposarsi e ritemprare lo spirito visitando qualche museo; al rientro ci attende una scadenza importante: il 10° compleanno di questa rivista e del Sistema Museale della Provincia di Ravenna.

Editoriale - pag. 3 [2007 - N.29]

Pier Domenico Laghi

"Museo in-forma" e il Sistema Museale della Provincia di Ravenna compiono dieci anni di vita: nati insieme nel 1997, insieme si sono sviluppati con una forte reciprocità e con spirito di servizio alla comunità provinciale, ma non solo. Entrambi strumenti, certamente tra molti altri ma con una propria specificità, per dar contenuti all'articolo 22 della

Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo: "Ogni individuo ha diritto di prendere parte liberamente alla vita culturale della comunità, di godere delle arti e di partecipare al progresso scientifico e ai suoi benedici".

In questi dieci anni, Sistema Museale e rivista, sono stati sostenuti da un impegno costante per incrementarne la qualità, prestare attenzione alla realtà locale e valorizzarla, avendo uno sguardo sempre attento a quanto avveniva in Regione e in Italia, come testimoniato anche in questo numero dagli interventi del Presidente dell'IBC e del Presidente di ICOM Italia: il primo riprende approfondimenti già sviluppati a livello regionale e affronta il tema della relazione tra reti, territorio e paesaggio; il secondo tratta dei regolamenti e delle carte dei servizi del museo, che sono stati un impegno prioritario del Sistema nell'anno in corso.

Un impegno che ha dato frutti: nel 2007 il Sistema ha messo a disposizione di tutti i musei gli schemi di regolamento e di carta dei servizi conformi alla normativa, necessari per il pieno raggiungimento degli standard museali.
Abbiamo voluto celebrare questo decennale senza enfasi o esercitazioni retoriche, preferendo concentrarci sul rendiconto del cammino fatto e sulla riflessione tesa a vagliare l'esperienza; riteniamo che questi siano passaggi obbligati per creare le condizioni per migliorare ancora; la fogliazione maggiore di questo numero della rivista è strumentale a questo obiettivo.

Il Sistema Museale in questi anni è cresciuto in molte direzioni: per numero di musei aderenti, per servizi erogati, per pubblicazioni prodotte, per attività svolte; ci piace sottolineare che anche il numero dei visitatori è aumentato, come pure l'attività rivolta alle scuole ed ai ragazzi. È serio e corretto porci in questa occasione la questione di come mantenere alta la tensione e raggiungere altri traguardi nei prossimi anni, specie in una situazione di risorse professionali, per difficoltà di assunzione, ed economiche che tendono a diminuire. Fino ad oggi ha pagato la strategia dei piccoli passi e delle sinergie di rete: questa deve continuare ad essere la nostra forza. Allora sarà possibile far crescere il sito del Sistema, progressivamente, fino a fargli fare il salto di qualità e trasformarlo in un portale di servizi per tutti i musei, compresi quelli diffusi sul territorio; sistematizzare le visite virtuali e farne occasione di promozione e sinergie; sostenere i servizi che garantiscono il perseguimento degli standard; migliorare l'immagine e la comunicazione; consolidare il lavoro scientifico e i prodotti editoriali; dare ulteriore forza alla didattica museale; curare la formazione degli operatori, offrendo loro occasioni di confronto reale e strumenti per dare migliori risposte al pubblico, che auspichiamo sempre più qualificato.

Nell'anno del decennale abbiamo dedicato il tradizione appuntamento autunnale di "Scuola e Museo" al tema dell'antropologia, chiamando ad un confronto i migliori esperti italiani in materia, proprio per confermare l'attenzione al territorio con uno sguardo attento verso un orizzonte più ampio.

Dieci anni di attività significano anche dieci anni di lavoro, di impegno, di collaborazioni, di disponibilità, di attenzione; è quindi doveroso un ringraziamento a tutti coloro che in questo decennio hanno dato il loro contributo e la loro disponibilità, amministratori, direttori ed operatori dei musei, funzionari dell'IBC, colleghi dei Comuni e della Provincia, consulenti, lettori. Un ringraziamento particolare meritano Eloisa Gennaro e Massimo Marcucci, dell'Ufficio Beni Culturali della Provincia di Ravenna: senza la loro competenza e la loro dedizione non saremmo arrivati fin qui.

Editoriale - pag. 3 [2007 - N.30]

Pier Domenico Laghi - Dirigente Settore Cultura Provincia di Ravenna

Celebriamo in questo numero l'Anno Europeo del Dialogo Interculturale. Lo facciamo con la sintesi delle iniziative promosse o partecipate dall'Istituto per i Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna e con la presentazione del convegno organizzato dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna. Nel prossimo mese di ottobre il corso "Scuola e Museo" si occuperà, infatti, di educazione al museo e al patrimonio in chiave interculturale.
L'incontro con una pluralità di culture è divenuta esperienza quotidiana delle nostre città, piccole o grandi che siano. Purtroppo nell'attuale mondo urbano globalizzato il sogno di una stabilità e prosperità universale non si è dimostrato vero: la pluralità delle culture che ci ruota attorno non ci arricchisce, piuttosto provoca disagio, suscita in noi una paura che per la sua "liquidità" ci penetra. Di conseguenza più che relazioni di curiosità, confronto, scambio si scatenano processi reattivi; sono le reazione xenofobe, piccole o grandi, che prendono il sopravvento.
In questa situazione corriamo il pericolo di tornare indietro; più indietro di quando le "vecchie" collezioni etnografiche delle culture africane, asiatiche o amerinde almeno ci suscitavano desiderio di conoscere e "meraviglia". In questo contesto la riflessione del mondo della cultura, quello dei musei in primo luogo, non può sottrarsi al dialogo, al confronto, al porre al centro il tema dell'inclusione sociale. Le esperienze che ci sono state presentate dimostrano che la strada è percorribile e con positivi risultati; con Patrimoni plurali vogliamo dare il nostro contributo - in chiave educativa e didattica - per costruire altri strumenti a sostegno del dialogo interculturale.
Lo Speciale è dedicato alle celebrazioni torricelliane faentine, che intendono declinare il tema attraverso la cultura, la scienza e l'innovazione. Occupandoci di locale passiamo al polo opposto rispetto al dialogo tra culture, ma la contraddizione è solo apparente: identità locale e dialogo interculturale non si escludono. Una forte identità locale nell'incontro con altre identità produce innovazione e virtuose reti di relazioni. Le manifestazioni torricelliane sono un evento importante per la città di Faenza in quanto celebrative - nel quarto centenario della nascita di Evangelista Torricelli, personaggio di grande caratura scientifica - dell'Esposizione Internazionale del 1908, che proiettò Faenza per almeno un decennio in un circuito culturale nazionale e internazionale, e del primo centenario di fondazione del Museo Internazionale delle Ceramiche, che in materia di dialogo tra diverse culture per la produzione di ceramiche ha molto da dire.
L'esperienza delle Torricelliane è anche occasione per apprezzare lo sforzo di collaborazione tra le diverse istituzioni culturali di Faenza, non limitato agli eventi celebrativi, ma proiettato, sia pure con qualche difficoltà, a tracciare linee di azione coordinate e sinergiche per lo sviluppo futuro della città.
Ci guida in questa prospettiva di proiezione al futuro, da assumere come strategia comune di lavoro, la riflessione di Michele Trimarchi che analizza il rapporto tra competizione e cooperazione tra istituzioni, reti e diversi sistemi culturali. Con l'utilizzo di un brutto neologismo possiamo sintetizzare che la carta vincente è la coopetizione, dove alla cooperazione si aggiunge quel pizzico di competitività che contribuisce a migliorare la qualità dell'offerta culturale, sapendo, comunque, che la nostra azione contribuisce, deve contribuire, ad aumentare la qualità della vita della comunità locale, comprensiva delle componenti che sono portatrici di altre culture.

Editoriale - pag. 3 [2008 - N.32]

Pier Domenico Laghi - Dirigente Settore Cultura della Provincia di Ravenna

Continuiamo con questo numero a dar testimonianza del lavoro, impegnativo e concreto, che ogni giorno viene svolto sui e per i beni culturali, come continuiamo nello sforzo di collegare questo lavoro di "provincia" con reti e realtà più ampie per dare maggiore respiro, confronto di qualità e senso al lavoro quotidiano degli operatori museali.
E' stagione difficile per chi lavora nel settore della cultura e dei beni culturali. Il dibattito estivo sui tagli alla cultura ha dato testimonianza del disagio e delle difficoltà. "Siamo in un'epoca buia" afferma il Direttore del Consiglio superiore dei Beni culturali. Il numero di settembre de "Il giornale dell'arte" dedica molte pagine alla questione fino ad affermare "Fondazioni e sponsor: ormai siamo solo nelle loro mani". Purtroppo se Roma piange la periferia non ride; anche gli Enti Locali risentono pesantemente dei tagli della finanza pubblica e in molti settori di attività, in quello della cultura in particolare, ormai può considerarsi un buon risultato tenere le posizioni e non arretrare.
In questo quadro è il lavoro quotidiano, l'impegno di ciascuno all'interno di relazioni di rete che permette di tenere le posizioni, di sostenere la motivazione, di continuare a macinare cultura, con la piena consapevolezza che "la pluralità fa la ricchezza e l'unione fa la forza".
Lo speciale di questo numero è dedicato all'associazionismo museale e offre un quadro sintetico del panorama nazionale. Era da tempo che in comitato di redazione si pensava a questo tema; si è concretizzato ora, dopo l'adesione del Sistema Museale all'ICOM, in un momento particolarmente opportuno perché l'associazionismo, se coordinato e rappresentativo, può essere strumento importante per far fronte alla crisi.
Infatti le associazioni museali, per l'impegno congiunto che si sono assunte recentemente a Torino, "intendono riportare l'attenzione nei confronti del museo inteso come elemento cardine sia nella tutela e nella valorizzazione del nostro patrimonio culturale sia nella comunicazione sociale. Perché questo ruolo venga riconosciuto e sostenuto sono necessarie alcune fondamentali garanzie: innanzitutto il riconoscimento formale delle professioni museali, che devono essere definite nei profili di competenza; quindi l'autonomia scientifica, culturale e gestionale dei musei; infine il rafforzamento del ruolo dell'associazionismo museale perché forte si senta la sua voce quale espressione di professionisti."
La copertina della Rivista è tutta dedicata al fumetto: un modo per celebrare il centenario del fumetto italiano e sottolineare il lavoro di divulgazione dei Musei del Sistema fatto in questi anni attraverso il linguaggio del fumetto, che molto consenso ha trovato tra le giovani generazioni.
Con l'imbarazzo, che è sintomo del disagio di chi abbandona la nave in un momento non facile, comunico che termina con questo numero la mia collaborazione come coordinatore editoriale della Rivista; a dicembre, infatti, cesserà, per pensionamento, il mio rapporto di lavoro con la Provincia di Ravenna. Colgo qui l'occasione per salutare i lettori e per ringraziare pubblicamente tutti i collaboratori della Rivista: senza il loro contributo ed impegno, non sarebbe stato possibile arrivare fin; sono certo, per la serietà e professionalità che li contraddistingue, il loro lavoro continuerà coerente e spedito. Un ringraziamento particolare a Eloisa Gennaro, che ha di molto facilitato il mio compito e lo ha reso possibile e compatibile con i tanti altri impegni istituzionali.


Editoriale - pag. 3 [2008 - N.33]

Gabriele Gardini - Dirigente Settore Cultura della Provincia di Ravenna

Come è tradizione, il tema dello Speciale caratterizza l'impianto della rivista: il Futurismo, di cui corre il centenario. Movimento che pone l'attenzione a un nuovo modo di sentire e di vivere, sintonizzandosi con le espressioni della vita moderna nelle sue variabili più vistose: la tecnica, l'industria, la macchina, la velocità, le masse, la città, la pubblicità. Una carica dirompente e una furia iconoclasta verso il passato e il tradizionale, con un atteggiamento polemico e provocatorio, faranno del Futurismo il protagonista assoluto del dibattito culturale tra il 1909 e il 1913, coinvolgendo la totalità degli aspetti della cultura e dell'arte: dalla letteratura, alla pittura, alla musica, allo spettacolo.
Il lughese Francesco Balilla Pratella, teorico e figura fondamentale del Futurismo, fu guida intellettuale e riferimento del movimento nel nostro territorio. Nella sua ricerca l'associazione di elementi teorici e culturali, dati da una parte all'avanguardia e dall'altra all'interesse per le tradizioni popolari, si fondono in una sperimentazione non rivoluzionaria, ma ancorata alla cultura regionale e ai modelli della tradizione rurale. Significativo fu il suo ruolo nell'interpretare e veicolare gli entusiasmi dei giovani artisti romagnoli, che si rivolsero a lui per partecipare allo spirito di ribellione e di rinnovamento, soprattutto nel clima provinciale che qui si respirava.
I fratelli ravennati Arnaldo e Bruno Ginanni Corradini, Ginna e Corra, si inserirono nella fase iniziale del Movimento, in antitesi al silenzio della loro città trasformandola per un breve periodo, assieme al poeta Attilio Franchi, in un centro vitale dell'attività artistica e teorica del Futurismo nazionale. Fu in particolare Ginna che studiando i mosaici di Ravenna fu colto dall'idea della musica cromatica per collegare fra loro i vari livelli sensoriali e per superare gli steccati che dividono musica e pittura in una nuova espressione unitaria dell'arte di forma, colore e musica, teorizzando una pittura non figurativa, traduzione di sentimenti e stati d'animo in suoni e colori, e sviluppando una propensione a una pittura di puro colore, con forti inflessioni spiritualistiche. Importante fu inoltre il loro sperimentalismo nell'arte cinematografica utilizzando il colore direttamente sulla pellicola non trattata, creando cinepitture.
Nel corso di quello che è stato definito secondo Futurismo a Ravenna, fu attivo un nucleo di giovani coordinato da Mario Hyerace che, nel 1919, dirige la rivista "Movimento. Rivista d'arte della Romagna", palestra di velleità avanguardiste con echi carducciani. Nel 1921 firma, con Vittoria Cervantes (pseudonimo di Vittoria Gervasi), Tito Testoni e Renzo Valli, il volantino-manifesto futurista Ai giovani VIVI di Romagna!, lanciato nel Teatro Alighieri durante una conferenza di Marinetti. Alla fine di quell'anno fu organizzata una grande mostra d'arte che da Ravenna verrà trasferita prima a Bologna poi a Torino, evento che suscitò l'interesse di Gramsci e dell'"Ordine Nuovo", che colse inizialmente nei riferimenti all'industria una consonanza con le istanze della classe operaia.
A Faenza emergono al principio, specificamente in poesia e in pittura, le figure di Armando Cavalli e di Giannetto Malmerendi. La ceramica invece ebbe un ruolo fondamentale durante il secondo Futurismo con l'attività della bottega Gatti: il primo piatto futurista, pezzo unico con decoro di Marinetti, esce a Faenza con la scritta "A Fabbri, Marinetti".
Con questo numero - che avvia il dodicesimo anno della rivista - si ribadisce l'intento di dare continuità a uno strumento affermato e consolidato, che nel 2008 ha ottenuto il premio nazionale "Cento" per la stampa locale grazie all'intuizione e all'impegno di tutti coloro che si sono finora dedicati alla sua realizzazione, e che continuano a farlo.

Editoriale - pag. 3 [2009 - N.34]

Gabriele Gardini

Editoriale - pag. 3 [2009 - N.35]

Gabriele Gardini

Le Corbusier nel suo Voyage d'Italie del 1907, sosta a Ravenna un'intera settimana scoprendo nella manualità dell'arte musiva le stesse finalità verso le quali aveva indirizzato le sue iniziali ricerche all'Ècole de La Chaux-de-Fonds. Di fronte ai mosaici ravennati, derivanti da un intreccio di cultura latina, barbarica e bizantina Le Corbusier è sorpreso di doversi misurare con una realtà complessa il cui segreto lo mette in imbarazzo e gli sfugge nella sostanza. Proprio a Ravenna, dove il giovane Jeanneret è stordito da un'arte per lui completamente nuova e dove la tecnica del mosaico è stata tramandata da una tradizione millenaria, si svolge quest'autunno il I Festival Internazionale del Mosaico Contemporaneo. Un'iniziativa che coinvolge tutta la città in un programma dedicato alla produzione artistica contemporanea legata ai mosaici che continua a vivere nei laboratori, nei centri di restauro e nelle scuole. È anche per questo che lo Speciale è dedicato al mosaico e al suo stretto legame con la città di Ravenna.
Collegandoci all'editoriale dell'ultimo numero della rivista in cui si poneva la problematica della ricerca dell'identità culturale delle nostre città, che avviene coltivando la conoscenza della nostra storia e delle nostre radici, si può sicuramente affermare che il simbolo consolidato nel tempo dell'identità di Ravenna è il mosaico. Oggi si ripropone una ricerca di nuova espressività della tecnica musiva così da poterla applicare alle espressioni e applicazioni più avanzate, in cui la continuità non diviene un'operazione nostalgica, ma una trasformazione che mantiene valori profondi con l'identità della città. Risale a Gino Severini la teorizzazione dell'autonomia artistica del mosaico, conforme al proprio linguaggio dove "l'identità tra la forma e il contenuto è assolutamente necessaria perchè l'opera dell'artista sia intrinseca ed autentica". Attualmente il lavoro degli artisti contemporanei ha rivelato le straordinarie possibilità applicative del mosaico, dal design all'intervento artistico negli spazi pubblici. L'auspicio è che si continui nella strada intrapresa con opere pensate e realizzate per specifici spazi pubblici della vita quotidiana. L'agire in una dimensione fuori dalle convenzioni dei luoghi deputati all'arte pone altre questioni, come la dialettica tra le necessità degli artisti e la promozione da parte delle pubbliche amministrazioni per definire una progettazione integrata dello spazio pubblico tra architettura e arte. Occorre lavorare su un'idea di museo diffuso e permanente al di fuori dal museo per far meglio emergere i caratteri originali e che delinei una rete rappresentativa di un'identità culturale comune, pianificando percorsi collegati sia a luoghi della produzione che quelli della conservazione delle opere.
Tra le notizie dal Sistema ne sottolineamo due in particolare. L'apertura, nell'ambito della valorizzazione del patrimonio artistico culturale provinciale, dei giardini e della cripta Rasponi del Palazzo della Provincia, in cui tra l'altro sono presenti mosaici pavimentali del VI secolo probabilmente provenienti da Classe, in virtù del completamento di un complesso intervento di restauro che ha avuto la precisa finalità di ridestinarli alla fruizione pubblica, e con la presenza di una importante vetrina sui musei del Sistema Museale Provinciale. Inoltre, la conclusione del Progetto Guidarello elaborato dal Museo d'Arte della Città di Ravenna con il restauro, un volume e una Giornata di studi che in novembre proporrà riflessioni sui Lombardo a Ravenna, sulla celebre scultura e sulla sua fortuna leggendaria.
Preme infine segnalare la presenza della nuova "Pagina di ICOM Italia", la nota associazione museale di cui il nostro Sistema Museale è socio istituzionale, che con questo numero ha iniziato la propria preziosa collaborazione con la nostra rivista.

Editoriale - pag. 3 [2009 - N.36]

Gabriele Gardini

In questi anni la Provincia di Ravenna ha incrementato le azioni per la valorizzazione del patrimonio culturale attraverso il consolidamento e lo sviluppo del coordinamento e delle attività nell'ambito del Sistema Museale Provinciale, con particolare riferimento agli strumenti propri necessari per corrispondere a una serie articolata di standard e requisiti.
Sono 10 i musei del nostro territorio - tutti aderenti alla rete ravennate e di cui si dà conto nella pagina successiva - che possono fregiarsi per il triennio 2010-2012 del riconoscimento di "Musei di Qualità" rilasciato a 109 musei regionali dall'Istituto per i Beni Culturali. Questi musei hanno dimostrato di essere in possesso degli standard legati alla qualità dei servizi al pubblico, alla cura e valorizzazione delle raccolte, alla corretta gestione finanziaria, alla razionale organizzazione interna in grado di tradursi in risposte di alto profilo qualitativo rispetto alle sollecitazioni e alle aspettative del pubblico. Un marchio, il profilo di una testa antica segnata da nove fori che compongono una Q, li contraddistinguerà per tre anni durante i quali la Regione, nel ripartire gli investimenti triennali previsti dalla L.R. 18/2000, terrà prioritariamente conto di tali eccellenze. È un risultato importante che premia lo sforzo dei musei e delle relative amministrazioni nel miglioramento qualitativo dell'offerta museale e che ha visto la Provincia supportare attivamente, dal punto di vista finanziario e della valorizzazione, il raggiungimento di tale fondamentale traguardo.
In coincidenza con lo Speciale che illustra il notevole patrimonio grafico antico e contemporaneo custodito negli istituti culturali della nostra provincia, dedichiamo la copertina a un'opera di Giuseppe Maestri, per ricordarne la figura di fine incisore e artista che ha dato un pregevole e significativo contributo alla cultura di Ravenna. Egli è stato soprattutto un pioniere, aiutando la città ad aprirsi al panorama artistico nazionale attraverso la sua "Bottega". Oltre a essere un organizzatore di eventi, era un grande artista: fantastica l'esecuzione delle incisioni con la tecnica della ceramolle acquatinta, per una Ravenna sognata, in cui gli elementi onirici e simbolici vengono collegati in modo mirabile agli elementi architettonici delle basiliche bizantine e dei palazzi degli antichi imperatori barbarici. D'altra parte come non ricordarlo per la sua umanità e quale grande affabulatore col suo inconfondibile sorriso, mentre continuando a lavorare al torchio discorreva sulle tante vicende degli artisti della Bottega e sui segreti delle tecniche incisorie.
Continua l'attività di ricerca del Mar di Ravenna, che in collaborazione con l'Ashmolean Museum di Oxford ha organizzato, per la prima volta in Italia, una grande mostra sui Preraffaelliti, il movimento artistico innovatore che a metà dell'Ottocento si schierò contro l'accademismo a favore di un'arte che essi dichiaravano di trarre dai pittori italiani precedenti a Raffaello. Come non rilevare la continuità di questa mostra con quella precedente su L'artista viaggiatore, nel quale il tema del viaggio era collegato alla ricerca delle fonti della cultura e dell'arte: l'Antico e i monumenti e i paesaggi d'Italia, immaginati e considerati come un'unità spirituale cui guardare, come traguardo da raggiungere e conoscere, come fonte da cui attingere. Il viaggio in Italia era desiderio di conoscenza di un'avanguardia che scopriva e disseppelliva le rovine per poterle studiare ponendo più interrogativi che risposte: inizio di una modernità che conciliava la diversità nell'unità, non per un ritorno immobile all'antichità, ma per una innovativa rielaborazione.

Editoriale - pag. 3 [2010 - N.37]

Gabriele Gardini

Prosegue il percorso di crescita del Sistema Museale a cui la Provincia di Ravenna ha dato vita ormai quasi 13 anni fa, e che vede oggi - grazie alla sottoscrizione di una nuova convenzione di durata quinquennale - l'adesione di 40 musei. Nella nuova convenzione, due sono le sostanziali novità: l'introduzione di requisiti minimi e l'ingresso dei musei statali. I requisiti di base appaiono opportuni a seguito della politica di valorizzazione provinciale e regionale incentrata a premiare i musei che per gradi si sono adeguati agli standard indicati dalla Regione Emilia-Romagna e che nel nostro territorio ha individuato come Musei di qualità finora 10 musei.
Il Sistema Museale è sorto con l'intento di valorizzare il patrimonio culturale territoriale: la dimensione provinciale, infatti ha consentito da una parte di razionalizzare le attività promozionali e dall'altra di programmare su larga scala l'attivazione degli standard di qualità, con la necessaria gradualità, per dare un'omogeneità alla qualità dei servizi offerti al pubblico, nonché come strumento di promozione e di comunicazione del patrimonio museale e nell'ambito di una valorizzazione complessiva del territorio. Quindi uno strumento per il coordinamento della rete museale che si pone l'obiettivo di sviluppare la rete stessa, aumentare i servizi, far crescere l'offerta culturale.
Rispetto alla passata convenzione, sei sono i nuovi musei entrati in rete: il Museo Nazionale dell'Età Neoclassica in Romagna - Palazzo Milzetti di Faenza, il Museo Nazionale di Ravenna, il Piccolo Museo delle Bambole e altri Balocchi di Ravenna, il Museo Didattico del Territorio di S. Pietro in Campiano, il Museo della civiltà rurale della Bassa Romagna "Sgurì" di Savarna e il Museo della "Vita nelle acque" dell'Oasi di Aquae Mundi di Russi. Si rileva la novità dell'ingresso in rete dei due musei nazionali, in modo che le istituzioni, locali e nazionali, potranno avvalersi vicendevolmente delle sinergie ottenibili grazie alla collaborazione tra soggetti, competenze, regole ed esperienze differenti. È una prospettiva di lavoro in comune quella che consentirà di mettere a punto questi nuovi strumenti di comunicazione e di approfondite proposte culturali, affrontando anche eventuali problemi di gestione, ma non perdendo mai di vista la missione educativa delle nostre istituzioni.
Nello Speciale in particolare si presentano quattro dei nuovi musei entrati in rete e il Complesso Classense di Ravenna, che aderirà al Sistema entro l'anno, un luogo ricco di storia che conserva sin dalla sua nascita beni di carattere sia librario che artistico. Proprio a questo 'futuro' museo abbiamo dedicato l'apparato iconografico dello Speciale, a dimostrazione dello straordinario valore del patrimonio posseduto, da valorizzare integralmente grazie alla sua musealizzazione, per la piena fruibilità da parte del pubblico. A questo proposito la Provincia sta collaborando con altri Enti pubblici e privati affinché nei prossimi mesi possano entrare in rete ulteriori musei del territorio, in questo momento non in pieno possesso dei requisiti minimi richiesti.
Concludiamo mettendo in risalto come siano tante le notizie che riguardano gli eventi dei musei del Sistema e poiché sul notiziario trova spazio soltanto una minima parte di queste, rimandiamo dunque al calendario sempre aggiornato degli eventi e delle attività didattiche proposte dai nostri musei, entrambi consultabili sul portale del Sistema Museale (www.sistemamusei.ra.it), che proprio in occasione del rinnovo della convenzione si è ulteriormente arricchito di informazioni e di sezioni di approfondimento.

Editoriale - pag. 3 [2010 - N.38]

Gabriele Gardini - Dirigente del Settore Cultura della Provincia di Ravenna

È un momento difficile per chi lavora nel settore della cultura e dei beni culturali e la manifestazione contro i tagli alla cultura ha dato testimonianza del disagio e delle difficoltà in corso anche per gli Enti Locali che risentono pesantemente dei tagli della finanza pubblica. In particolare norme della legge 122/2010 prospettano uno scenario insostenibile nel quale è messa a repentaglio la stessa sopravvivenza di enti e di organismi culturali. Una forma di protesta clamorosa mai sperimentata prima ha coinvolto il 12 novembre musei, biblioteche, teatri, che hanno fermato le loro attività per richiamare l'attenzione sugli effetti dirompenti che la manovra finanziaria avrà sul settore e per riaffermare il diritto alla cultura. Oggi i Paesi più avanzati investono in cultura per reagire alla crisi, per preparare una stagione più favorevole giocando d'anticipo, puntando sulla cultura perché crea innovazione, favorisce lo sviluppo, promuove democrazia e responsabilità. Le attività artistiche, la ricerca scientifica, i progetti museografici, la scuola hanno una funzione alta e insostituibile nella società, promovendo valori civici e identitari. Occorre affermare che la cultura è necessaria affinché una società mantenga un livello minimo di coesione sociale e permane solo se si costituisce come comunità con regole e idee condivise che costituiscono il cemento della società.

Di conseguenza si pongono alcuni interrogativi. Qual è la missione dei musei in un periodo di crisi globale? Che contributo possono dare per una gestione partecipata del patrimonio culturale e per uno sviluppo sostenibile? Non possiamo nasconderci il fatto che in tempi di crisi alcuni considerano la cultura, gli istituti e il patrimonio culturale un lusso a cui rinunciare: al contrario, proprio in tempi di crisi essi sono risorse preziose, fattori competitivi e patrimonio radicato nel territorio. È questa l"occasione per quanti lavorano nei musei per ripensare il loro ruolo al servizio della società e del suo sviluppo. Dati questi tempi difficili, concordiamo con le proposte per non cedere alla crisi del Presidente di Icom, che dichiara che occorre un coraggioso patto tra gli amministratori pubblici e privati per una gestione efficace, trasparente e competente, a cui corrisponda un impegno condiviso per la difesa del capitale umano dei nostri musei, concentrando le scarse risorse sugli istituti culturali permanenti, aumentando la capacità di agire in rete, favorendo la sussidiarietà, la partecipazione volontaria e la sinergia tra azione pubblica e privata.

Continuando nello sforzo di collegare questa attività con reti e realtà più ampie - il Sistema Museale Provinciale continua a valorizzare il patrimonio territoriale consentendo di programmare l'attivazione degli standard di qualità, nonché di razionalizzare le risorse - si svolgerà a Ravenna il nostro annuale convegno dal titolo Biblioteche, Musei, Archivi: quali sinergie? per rispondere alla necessità di conseguire economie relative a servizi e personale: sfida che i professionisti degli istituti culturali vogliono raccogliere. Si rileva come dimostrazione di sinergia virtuosa la mostra A nera. Una lezione di tenebra, a cui è dedicata la copertina e l"apparato iconografico dello Speciale: un progetto di arte che coinvolge quattro diversi musei, proponendo una creativa aggregazione tra raccolte museali, identità e opere contemporanee, all'insegna dunque della collaborazione tra enti.

Concludiamo sottolineando come nel quadro di consistenti riduzioni negli stanziamenti per la cultura, sono stati moltiplicati gli sforzi per gli investimenti del Piano museale 2010 che il Consiglio Provinciale ha deliberato prevedendo investimenti per 734.000 euro. Il che di questi tempi non è poco.


Editoriale - pag. 3 [2010 - N.39]

Gabriele Gardini

Sono trascorsi 150 anni dall'unificazione dell'Italia: un secolo e mezzo durante il quale il Paese è cambiato profondamente, ha modificato i propri modelli di riferimento, ha avuto momenti di sviluppo e affrontato momenti di crisi. Le difficoltà, infatti, rappresentano spesso per la società un'occasione di riflessione. Così l'anniversario dell'unità nazionale può essere un'opportunità per una riflessione collettiva che porti a riflettere sul passato e sul suo presente per guardare consapevolmente al futuro. Giorni di eventi che nel corso del 2011 permetteranno di costruire un quadro dell'identità nazionale condiviso e fonte di orgoglio per tutti gli italiani, nel ricordo del contributo che Ravenna ha dato per questa grande causa fin dal primo Risorgimento, partecipando in modo decisivo ai moti da cui sarebbe nato il processo unitario nazionale. Basti pensare alla Trafila, che consentì a Garibaldi di porsi in salvo nel 1849 e di consolidare un rapporto speciale con i luoghi dove Anita era spirata, segnando per sempre l'immaginario collettivo. Le vicende del periodo risorgimentale del 1848-49 e quelle del 1859-60 in Romagna precedettero con i plebisciti l'unificazione nazionale, coinvolgendo vasti strati popolari e vivono ancora oggi nel ricordo di momenti divenuti simbolici e che ci hanno trasmesso il senso della partecipazione politica e della speranza. L'Unità d'Italia fu perseguita e conseguita - ha detto il Presidente Napolitano nel suo intervento al Teatro Alighieri - attraverso la confluenza di diverse visioni, una combinazione prodigiosa, che risultò vincente perché più forte delle tensioni anche aspre che l'attraversarono: "Ieri volemmo farla una e indivisibile, come recita la nostra Costituzione, oggi vogliamo far rivivere nella memoria e nella coscienza del paese le ragioni di quell'unità come fonte di coesione sociale. Così, anche nel celebrare il 150°, guardiamo avanti, traendo dalle nostre radici fresca linfa per la società e lo Stato".

Nello Speciale ci occupiamo del periodo risorgimentale proprio per offrire uno spaccato della ricca articolazione sul territorio di musei, luoghi e memorie che costituiscono un vero e proprio museo diffuso. Il nostro obiettivo è sempre la ricerca dell'identità: oltre che dar conto dei reperti raccolti nei musei e delle memorie presenti sul territorio, è quello di lavorare sulla memoria e sul senso di appartenenza, in modo da suscitare il desiderio di visitare il museo diffuso con rinnovato spirito di conoscenza. Tantissime iniziative sono in programma nel 2011 in tutta la provincia, dai musei più grandi ai più piccoli, ma anche in biblioteche e altri istituti culturali. Occorre segnalare la Giornata FAI di Primavera 2011 dedicata all'Unità d'Italia durante la quale volontari della delegazione ravennate guidano i visitatori sulle tracce del museo diffuso tricolore; l'apertura del Museo del Risorgimento di Ravenna; a Faenza l'inaugurazione di una nuova sezione permanente del Museo del Risorgimento dedicata a bandiere e uniformi, seguita da un Ciclo di incontri con approfondimenti a tema patriottico-risorgimentale che il Museo ospiterà fino ad aprile; la Notte Tricolore che vede al MIC di Faenza due visite notturne interattive tra storia e musica e al MUSA di Cervia l'apertura straordinaria.

Finiamo segnalando la mostra dal titolo emblematico L'Italia s'è desta 1945-1953. Arte italiana nel secondo dopoguerra, che ha preso il via il 13 febbraio scorso e che fino al 26 giugno sarà visitabile presso le sale del Mar di Ravenna.


Editoriale - pag. 3 [2011 - N.40]

Gabriele Gardini

Stendhal nel diario di viaggio Rome, Naples et Florence narra la visita nella basilica di Santa Croce dove viene colto da uno improvviso stordimento che lo obbliga a uscire nella piazza per risollevarsi dal vertiginoso fascino delle memorie lì presenti. Un immenso carico di storia preme sul visitatore di ogni museo e la questione della comunicazione culturale della collezione è uno dei problemi fondamentali da affrontare, in quanto separata dal contesto l'opera diviene solo un documento. Per il museo la questione dell'allestimento connesso al significato del messaggio che i curatori del museo vogliono trasmettere evidenzia che si devono operare selezioni, definitive o temporanee, del materiale da mostrare. L'allestimento è la traduzione spaziale dell'ordinamento, che riguarda la disposizione sia orizzontale che verticale, la luce, il colore, gli elementi di protezione, la grafica delle didascalie e degli apparati didattici. È un problema di progettazione, con l'esposizione di temi che selezionati in base a certe ipotesi critiche implicano operazioni, con intersezioni di specifiche professionalità, analoghe a quelle scenografiche. Oggi nei musei contemporanei prevale sempre più la narrazione: l'aspetto architettonico si misura con l'impiego delle nuove tecnologie, collegate alle immagini, accentuando così la componente didattica. In ogni caso la qualità del risultato dipende dalla capacità di cogliere e interpretare i tratti identitari del museo, garantendo la specificità della singola istituzione. Una chiave per spiegare questa esigenza sembra essere proprio il ruolo che si attribuisce all'allestimento, in quanto non è una attività neutrale. Ogni museo esistente è anzitutto un documento della cultura che lo ha espresso: a quali condizioni dal punto di vista storico e culturale è possibile adeguarlo al tempo presente?
Nello Speciale di questo numero sono illustrati i più recenti allestimenti o integrazioni di alcuni dei musei aderenti al nostro Sistema: MUSA, Museo Civico delle Cappuccine, Museo Dantesco, Museo Nazionale dell'Età Neoclassica in Romagna, Museo del Risorgimento di Faenza. Inoltre viene presentato il nuovo museo TAMO, che ha appena aderito quale 40° museo del Sistema provinciale, il cui progetto definitivo di allestimento, fondato sui principi dell'assialità, dell'integrazione, del coinvolgimento, ha una forte connotazione tecnologica, in cui il patrimonio musivo antico è esposto in modo innovativo e la cui fruizione viene accompagnata da apparati multimediali d'avanguardia pensati proprio per coinvolgere i visitatori più giovani.
Si pone la necessità di una riflessione critica pensando all'importanza qualitativa che l'allestimento ha assunto nella produzione culturale contemporanea. Proprio per affrontare le tematiche poste dall'allestimento museale, a tale tema sarà dedicato il 18° seminario "Scuola e Museo", organizzato quest'autunno dal Settore Cultura.
Da sottolineare il riconoscimento UNESCO ottenuto dal MIC di Faenza come Monumento testimone di una cultura di pace con il titolo di "Espressione dell'arte ceramica nel Mondo". Questo sia per la presenza delle preziose opere ceramiche in esso contenute sia per la eccezionale documentazione custodita nella sua biblioteca, luogo privilegiato legato alle proprie radici che offre supporti didattici alle giovani generazioni e alla società del futuro, frutti di pace e tolleranza.
Infine segnaliamo che le opere che illustrano lo Speciale sono di Carlo Zauli, esposte in una doppia mostra estiva che il Museo Zauli di Faenza ha organizzato a Bagnacavallo e a Cervia, mettendo così in connessione tre musei del Sistema.

Editoriale - pag. 3 [2011 - N.41]

Gabriele Gardini

Si parla molto oggi del destino dei musei nel tempo della comunicazione, della globalizzazione, dei processi gestionali, ma occorre non dimenticare che le collezioni museali si sono costitute inizialmente con le soppressione degli ordini religiosi, e poi nel tempo con acquisizioni come i lasciti ereditari e soprattutto le donazioni di privati cittadini. Il percorso che le ha condotte nelle collezioni museali spesso è stato mediato dal passaggio attraverso una o più raccolte private: proprio il collezionismo privato è stato la principale risorsa per la costituzione del patrimonio dei nostri musei e attraverso cittadini generosi e munifici hanno consolidato l'identità del territorio e della memoria. L'importanza delle donazioni per la nascita, lo sviluppo, la vita delle istituzioni museali è perciò fondamentale. Quali sono le motivazioni che spingono i cittadini a donare per il patrimonio museale e culturale? In un paese come l'Italia, nel quale le risorse economiche per sostenere il patrimonio artistico e culturale sono insufficienti, ciò è di fondamentale importanza. Quali sono, soprattutto, le motivazioni che potrebbero aumentare le donazioni artistiche? In una condizione contrassegnata da limitate risorse pubbliche per la cultura, il potenziale che può scaturire da una continua e fattiva attenzione al tema delle donazioni, da sviluppare con nuove modalità e normative è quindi indispensabile sia per l'acquisizione di nuove opere e documenti che per valorizzazione di quanto già presente nei musei.

Nel nostro territorio sono molti i musei che sono stati destinatari di significative donazioni e lasciti da parte di privati, da collezioni d'arte contemporanea a nuclei di opere e a singoli cimeli che testimoniano il forte legame della comunità con l'istituzione museale locale. E così ad esempio la città di Faenza si arrichisce di quaranta capolavori di arte italiana del XX secolo, esposti in maniera permanente nelle sale della Pinacoteca Comunale, ma anche del pregevole e raro dipinto su carta dell'inizio dell'Ottocento di Felice Giani donato a Palazzo Milzetti. Alcuni di questi lasciti sono descritti all'interno dello Speciale, ma in realtà sono tante altre le donazioni ricevute in questi ultimi anni dai nostri musei, tra cui - per citarne una - la collezione di 266 stampe di Giulio Ruffini al Mar di Ravenna.

Nonostrante i tempi di crisi, i nostri musei si dimostrano particolarmente dinamici, come si deduce dagli articoli su mostre e iniziative riportate su questo numero; ricordiamo la nuova sezione permanente appena inaugurata al MIC di Faenza dedicata all'Estremo Oriente, che si aggiunge alla sezione permanente dedicata alle ceramiche a soggetto sacro aperta solo pochi mesi fa, un nuovo percorso che si colloca a integrazione dello spazio espositivo dedicato alle ceramiche popolari italiane e alle targhe devozionali di ambito emiliano-romagnolo.

Quest'anno un altro dei musei aderenti al Sistema, il Piccolo Museo delle Bambole e altri Balocchi di Ravenna, è stato insignito dell'ambito riconoscimento di museo di Qualità, andandosi ad aggiungere agli altri 10 musei accreditati dalla Regione lo scorso anno. Si tratta in questo caso del primo museo privato di qualità che ha dimostrato di avere una chiara visione della propria vocazione 'pubblica'.

Si invita a non mancare l'importante appuntamento con il nostro convegno "Scuola e Museo" che si terrà il 6 dicembre al teatro Alighieri sul tema Musei: narrare, allestire, comunicare e che presenterà una selezione di interventi che meglio esprimono l'idea di allestimento come luogo interattivo, di coinvolgimento emotivo, sensoriale e di sperimentazione e comunicazione multimediale, defininendo una nuova idea di museo: da semplice collezione di oggetti a premessa di eventi e luogo di origine di molteplici narrazioni.


Editoriale - pag. 3 [2011 - N.42]

Gabriele Gardini

Predrag Matvejevic, nella sua seconda a visita a Ravenna descrive l'incontro inaspettato con il poeta russo Josif Brodskij; a cui "interessava questa continuazione di Bisanzio fuori dalla stessa Bisanzio [...] Andammo verso il canale e il porto, raggiungendo la Pineta che era venuta su proprio sul terreno depositato dal fiume, giungendo finalmente alla riva del mare. Le alghe richiamarono a Josif il suo 'cantuccio di Baltico'. Alghe pronunciava compiaciuto il termine russo vodorosli. Gli venne in mente una poesia di Umberto Saba che aveva tentato una volta di tradurre in russo: 'In fondo all'Adriatico selvaggio'. Cosa c'è di 'selvaggio' sull'Adriatico? La domanda mi sorprese. Forse, in primo luogo, il suo entroterra. Non riesce ad adattarsi al mare, non gli si accosta, gli volta le spalle".
Richiamo al Baltico e all'Adriatico che è un mare difficile - sulle sue coste non vi è un'unica cultura ma una successione di culture compenetrate, non vi è un paesaggio, ma innumerevoli - e la cui identità è problematica, nel dissolversi in una pluralità di frammenti e di specificità. Ma con una profonda domanda di integrazione. Tale domanda richiede la realizzazione e il rafforzamento di corridoi infrastrutturali come il Corridoio Adriatico-Baltico, che collegherà Helsinki a Ravenna, attraversando tutto il Centro Europa e che potrà rafforzare la nostra posizione strategica promuovendo lo sviluppo dei traffici economici, della cultura e del turismo. In particolare occorre fare del Corridoio non solo un sistema integrato di infrastrutture di collegamento tra l'Europa del Centro-Nord e il Mediterraneo, tra il versante europeo occidentale e quello orientale, ma l'asse di una strategia per l'incontro e la valorizzazione culturale dei territori attraversati. Esso ha rilanciato, tuttavia, una nozione di Adriatico come regione transfrontaliera, come grande bacino di cultura e di mercato, che riassume il suo ruolo di comunicazione che scorre e mette in relazione le parti di un vasto sistema geopolitico. La costa adriatica è in parte un'entità geografica unica: Italia, Slovenia, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Albania e Grecia condividono parti di un unico contesto con un patrimonio culturale congiunto. Si tratta di un patrimonio con formazione in parte comune, per il quale i paesi che si affacciano sull'Adriatico, nel quadro di progetti europei multilaterali, collaborano da anni al fine di rafforzare la cooperazione nella gestione sostenibile del patrimonio culturale e storico. Tuttavia, c'è ancora un grande potenziale per la cooperazione e per le azioni in rete di valorizzazione del patrimonio culturale e storico di questi paesi. Come organizzare da diverse prospettive il trasferimento di idee, conoscenze ed esperienze per la gestione del patrimonio culturale? Occorre continuare nella strada intrapresa con i progetti europei ParSJad - Parco Archeologico dell'Alto Adriatico e il progetto Openmuseum in corso di realizzazione. Lo Speciale di questo numero è una testimonianza del lavoro svolto da alcuni dei musei del Sistema in merito alla valorizzazione del rapporto tra territorio e acque, salate e dolci.
Continua con un notevole successo di pubblico e di critica l'attività di ricerca del Mar di Ravenna con l'importante mostra Miseria e splendore della carne che rimarrà aperta fino al 17 giugno 2012: il curatore della mostra Claudio Spadoni prosegue la restituzione divulgativa della critica d'arte dopo le mostre degli anni passati dedicate a Roberto Longhi, Francesco Arcangeli e Corrado Ricci. Vorrei inoltre ricordare l'inaugurazione il 10 aprile di una nuova sezione del Museo Varoli di Cotignola, intitolata Giusto tra le Nazioni, che ruota intorno alla narrazione di quella rete dell'ospitalità e della solidarietà che durante il periodo bellico e il protrarsi del fronte sul Senio, ha permesso di salvare 41 ebrei dallo sterminio.

Editoriale - pag. 3 [2012 - N.43]

Claudio Leombroni

In una pubblicazione del 2009 (Volunteers in Museums and Cultural Heritage: A European Handbook) veniva tratteggiato un panorama variegato, ma tutto sommato circoscritto, del possibile impiego di personale volontario nelle istituzioni museali. Quel panorama mutava significativamente, quanto a contenuti e a confini, soltanto un anno dopo, allorché il nuovo governo inglese lanciava l'idea di big society a supporto di una nuova gestione dei servizi pubblici e in particolare delle istituzioni culturali. L'idea era in sé molto semplice: una devoluzione alla società di servizi non più sostenibili pienamente con il finanziamento pubblico. La politica del governo conservatore inglese suscitò ampie discussioni, peraltro tuttora in corso, perché tale devoluzione non appariva ai più come una assunzione di responsabilità da parte della società civile o una forma di doverosa partecipazione del terzo settore alla gestione di biblioteche e musei attraverso l'impegno volontario, ma la copertura di duri tagli o impietose politiche di revisione della spesa.
Nel nostro paese il ricorso al volontariato per la gestione delle istituzioni è un fenomeno antico, ma negli ultimi tempi ha conosciuto una forte espansione, diretta conseguenza dei tagli ai bilanci pubblici e in particolare alla cultura. Le associazioni professionali hanno più volte richiamato la necessità di definire precisi ambiti di utilizzo del volontariato, non sostituivi delle professionalità di settore. La questione sarà dibattuta anche in occasione degli Stati generali dei professionisti del patrimonio culturale organizzata da MAB Italia e in programma a Milano il 22-23 novembre prossimi.
Questo numero di Museo Informa dedica ampio spazio alla questione e ha chiamato a discuterne anche autorevoli esponenti di ICOM Italia, ANAI e AIB, le tre organizzazioni professionali rappresentative a livello nazionale degli operatori di musei, archivi e biblioteche, che hanno dato vita a MAB Italia. Lo scopo che ci siamo prefissi è quello di inquadrare in modo equilibrato la problematica del volontariato nei nostri istituti, cercando di evitare, come scrive Stefano Parise, presidente dell'AIB, quel "sovrappiù di cattiva coscienza" che spesso appare nel modo di affrontare la questione nel nostro paese.
Abbiamo detto di MAB Italia. MAB, ossia il coordinamento delle tre associazioni professionali dei musei, degli archivi e delle biblioteche, si è costituito formalmente il 12 giugno scorso. Ampia documentazione sulle finalità e sulle iniziative del neonato coordinamento sono disponibili sul web all'indirizzo http://www.mab-italia.org. Anche per dar seguito a questo importante evento, a partire da questo numero la nostra rivista dedicherà uno spazio fisso alla Rete bibliotecaria di Romagna e San Marino. La Rete ha avviato un progetto di riorganizzazione che pensiamo caratterizzerà il dibattito culturale romagnolo nei prossimi mesi e che include la convergenza di archivi, biblioteche, musei come orizzonte operativo. Museo Informa seguirà con attenzione il dispiegarsi di questo progetto e altrettanta attenzione dedicherà alle trasformazioni del contesto istituzionale. Intanto in questo numero potete leggere le novità relative al nuovo sistema di accesso ai servizi ('Scoprirete') e la prima parte di una bella intervista a Gian Arturo Ferrari, presidente del Centro per il libro e la lettura.

Editoriale - pag. 3 [2012 - N.44]

Claudio Leombroni - Responsabile Servizio Reti Risorse Sistemi - Provincia di Ravenna

Questo numero esce dopo gli "Stati generali dei professionisti del patrimonio culturale"
organizzato da MAB Italia a Milano il 22 e 23 novembre 2012. Museo in-forma non poteva
non tener conto di tale evento e dedicare ad esso lo "Speciale", che infatti affronta il
tema di una delle sessioni dell'evento milanese: i sistemi culturali. Si è scelto questo tema
sia per la sua crucialità, sia perché rappresenta un ambito concettuale in grado di fornire
strumenti adeguati per interpretare con la precisione necessaria le dinamiche cooperative
dei territori intersecandole con la convergenza degli istituti culturali.
Cosa s'intende con sistema culturale? Non certo la mera somma di rete bibliotecaria, sistema
museale e polo archivistico. Tuttavia questa constatazione non è certo definitoria, né sottrae
problematicità a una nozione non particolarmente diffusa nel nostro paese (ma non solo). In
ambito MAB il sistema culturale è definito come "l'offerta integrata di istituti della cultura in un dato
territorio e/o in un ambito specifico". Il sistema ha lo scopo di migliorare l'accessibilità al patrimonio,
materiale e immateriale, la qualità e la quantità della fruizione. La sua forma organizzativa
tipica è la rete, all'interno della quale una o più organizzazioni scambiano o condividono risorse di
ogni genere per raggiungere obiettivi non conseguibili da ciascuna separatamente. La costruzione
di un sistema di relazioni capace di integrare all'interno di uno specifico territorio sistemi e reti culturali
con i beni monumentali, ambientali, il patrimonio immateriale, le infrastrutture e gli altri settori
produttivi del territorio dà invece vita a un "distretto culturale". Queste definizioni consentono
di apprezzare lo Speciale, che affronta la questione sistemica da diverse prospettive: si segnalano
gli interventi di Stefano Vitali, Soprintendente archivistico per l'Emilia-Romagna, di Roberto Balzani,
storico e sindaco di Forlì e di Fabio Donato, co-direttore del MuSeC dell'Università di Ferrara,
che, da punti di vista diversi e in riferimento ad ambiti diversi, affrontano la questione della governance
del policentrismo istituzionale, della collaborazione e della cooperazione fra istituzioni.
Per inciso, una significativa applicazione della collaborazione istituzionale è costituita dalla mostra
E bianca, che interessa sei musei del sistema provinciale e di cui si dà conto in questo numero.
Un'ottima premessa per leggere questi interventi è la ricognizione dello stato di salute dei musei
pubblici del sistema museale che la Provincia di Ravenna ha promosso e che Emanuela Guarnieri,
che ne ha curato la realizzazione nell'ambito di un master, illustra nei suoi dati salienti. Si
tratta di una fotografia che non potrà rimanere isolata, ma dovrà essere accompagnata da analoghe
ricognizioni per le province di Forlì-Cesena e di Rimini, non solo in vista della Provincia
Romagna, ma anche in previsione della costruzione di un sistema museale romagnolo integrato,
come sistema culturale e come rete, con la rete bibliotecaria e il polo archivistico (da creare).
Le rubriche e le pagine dedicate agli istituti arricchiscono come di consueto Museo in-forma. Il
numero ospita anche la pagina della Rete bibliotecaria di Romagna e San Marino che, come preannunciato,
diventerà un appuntamento ricorrente. In questa pagina si segnala la seconda parte
dell'intervista a Gian Arturo Ferrari, presidente del Centro per il libro e la lettura, quanto mai
attuale stante il decollo a livello nazionale del progetto "in vitro", dedicato alla promozione della
lettura, che avrà come territorio di sperimentazione anche la provincia di Ravenna.
Con questo numero si chiude il 2012; un anno certo difficile. Il 2013 sarà ancora più difficile
per gli effetti della spending review sui bilanci pubblici (e di riflesso su quelli di molte istituzioni
private) e per l'incertezza istituzionale. L'impegno, non solo della rivista, è però quello di continuare
a lavorare e ad accompagnare il processo di crescita del "sistema culturale" romagnolo:
l'unico obiettivo per dare speranza ai nostri istituti e un senso al nostro lavoro.

Editoriale - pag. 3 [2012 - N.45]

Claudio Leombroni

Museo Informa è giunto al suo quindicesimo anno di vita. E’ un traguardo importante, che tuttavia cade in un anno molto difficile per gli istituti culturali del nostro territorio. La dura crisi economica che stiamo vivendo, le riforme istituzionali in tema di Province e le politiche di revisione della spesa hanno sconvolto l’ecosistema in cui i servizi museali, e i servizi culturali più in generale, erano abituati ad operare. I dubbi sul futuro, la progettata riduzione delle loro competenze e i tagli abnormi, hanno delegittimato le Province e provocato la loro ritirata istituzionale dal settore culturale. Si tratta di un danno economico molto grave per il nostro territorio, quantificabile in almeno un milione di euro, che rappresenta l’unico esito certo dell’incerta riforma istituzionale avviata. A ciò dobbiamo aggiungere l’azzeramento del finanziamento regionale del piano museale, così come dell’intera legge 18/2000, e la conferma dell’espunzione della cultura dalle funzioni fondamentali dei comuni operata dal decreto ‘spending review’. In questo momento difficile, forse il più difficile degli ultimi trenta anni, dobbiamo dare il meglio di noi stessi; dobbiamo continuare a lavorare, dobbiamo fare appello a tutto il nostro cuore e a tutta la nostra intelligenza per cogliere ogni opportunità di cambiamento e per reimpostare su basi nuove quanto abbiamo costruito in questi anni; dobbiamo tutti insieme lavorare per non privarci del futuro. Il futuro coincide ragionevolmente con l’estensione della cooperazione alla base del nostro sistema e con la costruzione di un vero e proprio sistema culturale romagnolo, come definito in ambito MAB. Da questo punto di vista saranno cruciali le reti, come argomenta Michele Rosco in questo numero. Noi non partiamo da zero. In questi anni abbiamo costruito esperienze di rete che costituiranno l’ambiente naturale per il sistema futuro, a cominciare dalla trentennale esperienza della Rete bibliotecaria di Romagna e San Marino. Museo Informa non rinuncia al futuro, né a immaginare il futuro e accompagnerà questo percorso senza cedere alla rassegnazione. ‘Ripartire dalla cultura’ è l’obiettivo dei promotori e firmatari dell’appello di cui si dà conto in questo numero, ma è anche il convincimento profondo della nostra rivista. A questo spirito si appella il seminario dell’8 aprile prossimo dedicato alla costruzione del sistema culturale romagnolo che vedrà operatori dei musei, bibliotecari e archivisti condividere un progetto, ma anche idee, ideali e passioni. Continuare a lavorare per la cultura nonostante la crisi, significa credere nel nostro lavoro e nel nostro futuro. E’ ciò che i nostri musei fanno: l’inaugurazione di Musa a Cervia, la riapertura del Museo dantesco a Ravenna, il documentario RAI “Cotignola il paese dei giusti” che ha tra i protagonisti il Museo Varoli, la riorganizzazione del Museo ‘Giuseppe Ugonia’ e così via. Si tratta di testimonianze di una presenza viva sul territorio, che non rinuncia a immaginare il futuro, che non rinuncia tout court al futuro. Per finire, vorrei ricordare, proprio in questo annus horribilis, che questi interventi di allestimento e di riorganizzazione devono molto al Piano museale. Credo di interpretare il comune sentire nel chiedere alla Regione di rifinanziare la legge 18/2000 e di rinunciare a politiche di revisione della spesa che penalizzino archivi, biblioteche e musei nella consapevolezza, come ha scritto David Carr, che queste sono le uniche istituzioni della nostra cultura capaci di tenere continuamente aperte le porte chiuse della memoria e dell’indifferenza.

Editoriale - pag. 3 [2013 - N.46]

Claudio Leombroni

Museo Informa è giunto al suo diciassettesimo anno di vita. È un traguardo importante, che tuttavia cade in un anno molto difficile per gli istituti culturali del nostro territorio. La dura crisi economica che stiamo vivendo, le riforme istituzionali in tema di Province e le politiche di revisione della spesa hanno sconvolto l'ecosistema in cui i servizi museali, e i servizi culturali più in generale, erano abituati ad operare. I dubbi sul futuro, la progettata riduzione delle loro competenze e i tagli abnormi, hanno delegittimato le Province e provocato la loro ritirata istituzionale dal settore culturale. Si tratta di un danno economico molto grave per il nostro territorio, quantificabile in almeno un milione di euro, che rappresenta l'unico esito certo dell'incerta riforma istituzionale avviata. A ciò dobbiamo aggiungere l'azzeramento del finanziamento regionale del piano museale, così come dell'intera legge 18/2000, e la conferma dell'espunzione della cultura dalle funzioni fondamentali dei comuni operata dal decreto "spending review".
In questo momento difficile, forse il più difficile degli ultimi trenta anni, dobbiamo dare il meglio di noi stessi; dobbiamo continuare a lavorare, dobbiamo fare appello a tutto il nostro cuore e a tutta la nostra intelligenza per cogliere ogni opportunità di cambiamento e per reimpostare su basi nuove quanto abbiamo costruito in questi anni; dobbiamo tutti insieme lavorare per non privarci del futuro. Il futuro coincide ragionevolmente con l'estensione della cooperazione alla base del nostro sistema e con la costruzione di un vero e proprio sistema culturale romagnolo, come definito in ambito MAB. Da questo punto di vista saranno cruciali le reti, come argomenta Michele Rosco in questo numero. Noi non partiamo da zero. In questi anni abbiamo costruito esperienze di rete che costituiranno l'ambiente naturale per il sistema futuro, a cominciare dalla trentennale esperienza della Rete bibliotecaria di Romagna e San Marino.
Museo Informa non rinuncia al futuro, né a immaginare il futuro e accompagnerà questo percorso senza cedere alla rassegnazione. "Ripartire dalla cultura" è l'obiettivo dei promotori e firmatari dell'appello di cui si dà conto in questo numero, ma è anche il convincimento profondo della nostra rivista. A questo spirito si appella il seminario "Immaginare il cambiamento" dell'8 aprile prossimo dedicato alla costruzione del sistema culturale romagnolo, che vedrà operatori dei musei, bibliotecari e archivisti condividere un progetto, ma anche idee, ideali e passioni. Continuare a lavorare per la cultura nonostante la crisi, significa credere nel nostro lavoro e nel nostro futuro. È ciò che i nostri musei fanno: la nuova sede dell'Ecomuseo di Villanova, la riapertura del Museo Dantesco a Ravenna, l'inaugurazione di una nuova sezione al Musa di Cervia, il documentario RAI "Cotignola il paese dei giusti" che ha tra i protagonisti il Museo Civico Varoli, la riorganizzazione del Museo "Ugonia" e così via. Si tratta di testimonianze di una presenza viva sul territorio, che non rinuncia a immaginare il futuro, che non rinuncia tout court al futuro.
Per finire, vorrei ricordare, proprio in questo annus horribilis, che questi interventi di riorganizzazione, di allestimento e di riorganizzazione devono molto al Piano museale. Credo di interpretare il comune sentire nel chiedere alla Regione di rifinanziare la legge 18/2000 e di rinunciare a politiche di revisione della spesa che penalizzino archivi, biblioteche e musei nella consapevolezza, come ha scritto David Carr, che queste sono le uniche istituzioni della nostra cultura capaci di tenere continuamente aperte le porte chiuse della memoria e dell'indifferenza.


Editoriale - pag. 3 [2013 - N.46]

Claudio Leombroni

Questo numero di Museo in•forma è il primo che non potrà leggere Gianfranco Casadio, per molti anni Dirigente del Settore Cultura della Provincia e fondatore di questa rivista, scomparso il 30 maggio scorso. In questo numero Rosella Cantarelli, che ha condiviso con lui tanti anni di lavoro, riepiloga i tratti salienti della sua attività. Al suo ricordo posso solo aggiungere che questo numero della nostra rivista è a lui dedicato.
Lo speciale affronta il tema dei depositi museali, un tema importante, cui pensavamo da tempo di dedicare una riflessione. D'altra parte soltanto un anno fa a Milano è stato presentato un dossier dell'Istituto Bruno Leoni dedicato ai depositi (Un patrimonio invisibile e inaccessibile: idee per dare valore ai depositi dei musei statali di Maurizio Carmignani, Filippo Cavazzoni e Nina Però, che si può leggere all'indirizzo web http://www.brunoleoni.it/nextpage.aspx?codice=11413), dal quale il lettore ricava l'impressione dell'esistenza di un vero e proprio universo parallelo, ossia di una parte cospicua del patrimonio, di valore inestimabile, nascosta agli occhi del pubblico.
Per i musei statali il tema è cruciale. Anche per i musei degli enti locali, tuttavia, la questione dei depositi non è secondaria. Come scrive Anna Maria Visser Travagli nell'articolo introduttivo allo speciale, i depositi sono il cuore del museo, anche se il nostro Paese tarda a realizzare o ad adeguare gli spazi di cui necessitano. Per molti musei rappresentano la parte prevalente del patrimonio: basti pensare che per il Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza − come ci ricorda Antonietta Epifani − i depositi ospitano la parte prevalente (circa l'80%) delle collezioni e rappresentano in buona sostanza una estensione degli spazi espositivi. Il focus sul tema riguarda altri tre musei del Sistema Provinciale: il Museo NatuRa di Sant'Alberto, la Pinacoteca Comunale di Faenza e il Museo della Battaglia del Senio di Alfonsine.
Fra le notizie contenute nelle consuete rubriche segnalo l'annuncio, da parte del Direttore del Dipartimento Beni Culturali della sede universitaria ravennate, dell'avvio di un nuovo corso di studi per la formazione di restauratori con due percorsi specifici relativi a due diverse tipologie di materiali. Il dato positivo da segnalare in questo caso, oltre al corso in sé, è anche la fattiva collaborazione fra Università e Soprintendenze. L'auspicio è che questi corsi possano avere un futuro e che, magari, possano occuparsi anche della conservazione degli oggetti digitali che cominciano a popolare le collezioni di biblioteche e archivi, ma che investiranno anche i musei. A questo proposito Klaus Kempf, direttore del dipartimento Digital Library della Bayerische Staatsbibliothek di Monaco, ci ha rilasciato un'ampia intervista, di cui pubblichiamo la prima parte.
Infine segnalo che con questo numero inizia una rubrica dedicata a Ravenna 2019, sperando che porti fortuna al progetto di candidatura a capitale europea della cultura.
Buona estate.

Editoriale - pag. 3 [2013 - N.47]

Claudio Leombroni

Questo numero di Museo in-forma include uno speciale sui musei romagnoli. Non è un caso. Sulla fattibilità di un sistema museale romagnolo torneremo agli inizi del prossimo anno nel seminario dedicato ai musei divenuto ormai un appuntamento tradizionale. Parlare di sistema museale romagnolo significa a un tempo rappresentare un sogno e una necessità. La necessità è bene rappresentata da alcune parole del nostro lessico familiare: economie di scala, sostenibilità, cooperazione, integrazione, autonomia scientifica e culturale, convergenza. Sono parole che gli istituti culturali hanno imparato a usare da molti anni nei loro discorsi sul mondo - non solo il loro mondo - su se stessi e sul futuro. L'avvio del progetto "ScopriRete", ossia della nuova Rete bibliotecaria di Romagna, rappresenta da questo punto di vista l'ecosistema di riferimento. Su questo progetto, sulle sue dimensione romagnole (meglio che dire di "area vasta") e sul suo radicamento territoriale, dovrà essere fondato ogni discorso possibile riguardante la fattibilità di un sistema museale romagnolo.
Le ragioni sono state già illustrate nel convegno organizzato ad aprile di quest'anno e sono rappresentate da alcuni concetti chiave. Il primo è quello di 'sistema culturale', elaborato in ambito MAB. Il sistema culturale può essere definito come il complesso dell'offerta culturale di un territorio. Da questo punto di vista il territorio romagnolo è connotato anche dall'offerta culturale proposta da musei, archivi storici e biblioteche. Tutto ciò può rappresentare un framework cooperativo utile anche per abilitare la creatività locale, oltre che la già consolidata linea di azione del turismo culturale. Il secondo concetto chiave è 'integrazione' e riguarda forme di cooperazione avanzata fra musei, archivi e biblioteche, capaci di produrre significative economie di scala, non solo verticali, ossia all'interno del singolo dominio, ma anche orizzontali. Il terzo concetto chiave è 'convergenza' , che aggiunge al precedente una declinazione più profonda, collegata non tanto alla dimensione economica, quanto piuttosto al profilo culturale e al suo rilievo per la valorizzazione del territorio in un mondo che sta rapidamente cambiando e in cui, soprattutto, sta cambiando il sistema di delivery della conoscenza, ormai reso convergente dalle nuove tecnologie.
Come ben scrive in questo numero Patrick Leech, assessore alla cultura del Comune di Forlì, "i sogni utopici si basano sulla radicale ridefinizione di uno spazio, di uno spazio che non esiste ora, ma che potrebbe esistere. Nel caso concreto, il sogno consiste nell'immaginare un unico spazio romagnolo, uno spazio inteso come unità ambientale, umana e patrimoniale". La Rete bibliotecaria di Romagna è nata trenta anni fa dal basso, dalle biblioteche e dai bibliotecari, proprio da un sogno collettivo. È diventata realtà per la forza delle idee e per la intelligente convivenza fra cooperazione e singolarità della biblioteca. Questo stesso percorso deve essere costruito per i musei e perché conduca alla meta non dovrà essere imposto, ma dovrà essere supportato, abilitato, argomentato. E Leech esprime molto bene le ragioni del cooperare e dell'immaginare nuove forme di cooperazione.
Un altro sogno di cui questo numero dà conto è Ravenna 2019, ora più vicino alla realtà. Alberto Cassani, coordinatore del progetto, riassume ciò che è stato fatto, ma soprattutto ciò che ci attende, perché "il meglio deve ancora venire". E giunti alla fine dell'anno questo potrebbe essere lo spirito di questo numero. Il meglio deve ancora venire appunto: per la nuova Rete di Romagna che inizierà nel 2014 una nuova vita e che la vedrà gradualmente integrata con archivi e musei; per musei archivi e biblioteche, i cui destini saranno sempre più uniti, come ha dimostrato quest'anno la Provincia redigendo il primo Piano MAB integrato; per il nostro sistema museale destinato ad aprirsi alla Romagna; per i colleghi che operano nelle biblioteche, nei musei e negli archivi romagnoli che - ne siamo certi - trasformeranno in realtà un sogno collettivo sapendo cogliere in una stagione non felice per il nostro paese le opportunità per cambiare, per costruire insieme servizi migliori e forse un migliore 'mondo della vita'; e... per la nostra rivista che cambierà essa stessa per diventare, col contributo di tutti, migliore di prima.
Buon Natale a tutti e tanti auguri per un 2014 pieno di idee, di passioni, di vita!

Editoriale - pag. 3 [2013 - N.48]

Claudio Leombroni

Con questo numero inizia un nuovo anno di Museo in•forma, un anno per certi aspetti
difficile anche per la formula editoriale della rivista - online e residualmente su carta -
ma non per questo privo di idee e di entusiasmo. L'entusiasmo è dato dalle sfide che ci
attendono, che attendono il Sistema museale, chiamato ad una riorganizzazione, ad una
riconfigurazione dei propri obiettivi nell'ambito della costruzione, insieme a bibliotecari e
archivisti, di quel sistema culturale integrato per la Romagna di cui stiamo discutendo e
vagliando la fattibilità da un paio di anni.
Intanto nello Speciale diamo conto di un significativo ampliamento del sistema museale.
Sono entrati in rete in particolare la Fondazione Guerrino Tramonti di Faenza e il Museo
San Francesco dei Frati conventuali di Faenza e stiamo per sottoscrivere in questi giorni
col Comune di Faenza la convenzione per l'adesione dell'istituendo Museo all'aperto
della città di Faenza. Tre musei completamente diversi tra loro, di diversa appartenenza
amministrativa, privata, ecclesiastica e comunale, ma che insieme restituiscono ed esaltano
la ricchezza e la complessità del patrimonio locale e la volontà di valorizzarsi grazie ai
servizi cooperativi della rete museale.
Per le prospettive del Sistema non si possono non rimarcare due articoli contenuti in
questo numero. Il primo, di Angelo Pompilio, che annuncia l'offerta da parte della
sede universitaria ravennate di una nuova laurea magistrale in "Scienze del libro e del
documento"; una offerta importante, che spero possa dare un contributo significativo al
progetto di sistema culturale integrato e al territorio, perché l'uno e l'altro hanno bisogno
di competenze e risorse umane qualificate. Istituti culturali romagnoli e offerta universitaria
nell'ambito dei beni e delle attività culturali devono incontrarsi e stimolarsi a vicenda più
di quanto è accaduto sinora. La collaborazione degli istituti non può esaurirsi in tirocini e
in qualche lavoro precario al limite della decenza. Dobbiamo costruire con questa nuova
laurea un rapporto organico perché il nostro settore, proprio in questo momento di crisi,
ha bisogno di giovani competenti e curiosi del futuro.
Il secondo articolo dà invece conto della conclusione del progetto europeo PArSJad. Il
progetto ha reso possibile a due musei del Sistema, il Museo del Castello di Bagnara
di Romagna e il Museo Civico di Russi, di implementare la conoscenza del patrimonio
storico-archeologico attraverso postazioni multimediali e di realtà aumentata. L'esauriente
contributo di Fiamma Lenzi ci offre il destro di proporre per i prossimi numeri della
rivista due temi da approfondire. Un primo tema è costituito dai progetti europei e dalla
necessità di attrezzarci alla nuova progettazione europea. Un tema quanto mai rilevante in
un momento di scarsità di risorse e per un Paese come il nostro che non riesce ad attrarre
risorse europee in modo almeno proporzionale alla condizione di essere fra i primi quattro
Stati contribuenti dell'UE. Un secondo tema è quello delle tecnologie per i beni culturali,
dove non sono rari improvvisazione, luoghi comuni sul trend tecnologico di turno,
mancata ingegnerizzazione e soprattutto mancanza, paradossalmente, di innovazione.
L'uso delle tecnologie senza produrre innovazione va forse ricondotto al fenomeno più
generale rilevato dagli autori di Kulturinfarkt secondo il quale porre le istituzioni culturali
pubbliche "al riparo dalla domanda" (von der Nachfrage abzuschirmen) riduce la capacità
di produrre innovazione?

Editoriale - pag. 3 [2014 - N.49]

Claudio Leombroni

Questo numero estivo è il cinquantesimo di Museo in•forma: un compleanno importante, che segna la maturità di una rivista e la solidità di una esperienza avviata col n. 0 del 1997. Cinquanta numeri vogliono dire anche diciassette anni: tanti, sicuramente intensi, come intense sono state le stagioni della vita culturale e istituzionale del nostro Paese, anche osservate e vissute dal nostro territorio.
Nell'editoriale del n. 0 Gianfranco Casadio osservava che un nuovo periodico induce sempre a chiedersi a che cosa serve e che nel caso di Museo in•forma la risposta era che "mancava un foglio di informazioni specifico in ambito museale rivolto non solo agli operatori del settore, ma anche alle scuole e, si spera, ad un più vasto pubblico". Possiamo dire che l'auspicio di Casadio si è realizzato perché la nostra rivista rappresenta oggi una voce affermata e autorevole nel settore. Al tempo stesso possiamo dire che la promessa del massimo impegno possibile per raggiungere l'obiettivo contenuta nel primo editoriale è stata mantenuta. Posso aggiungere, a distanza di diciassette anni, che faremo il possibile per proseguire la vita della rivista, per arricchirne la traiettoria intellettuale trasformandola anche in uno strumento di confronto e contaminazione di culture e saperi professionali museali, archivistici e bibliotecari. Confido che il lettore saprà interpretare la direzione di quella traiettoria e che possa riconoscersi in essa o che possa collaborare con noi a definirne l'orientamento. Ai non pochi lettori della rivista oggi posso dire, parafrasando Montale, ciò che non siamo e ciò che non vogliamo essere: una rivista espressione di apparati burocratici, una rivista subalterna a questo o quel pensiero (o potere) forte, debole o breve che sia.
Volgendo l'attenzione ai contenuti di questo numero segnalo lo speciale dedicato ai progetti europei, quanto mai opportuno considerando i nuovi programmi dell'Unione. La scarsità di risorse nostrane impone al Sistema Museale, così come alla Rete Bibliotecaria, di dedicarsi con impegno e serietà alla progettazione europea. Tuttavia tale necessità non deriva tanto o soltanto da una questione di risorse finanziarie; è anche una questione di prospettive, di scelte e, da un certo punto di vista, di costruzione della nostra identità. Mi pare che questa idea si ricavi con nettezza dalla panoramica sui nuovi programmi europei e dalla riflessione sulle opportunità di cambiamento che essi offrono contenute nella bella intervista di Romina Pirraglia al prof. Fabio Donato, recentemente nominato dal ministro Franceschini nel Comitato tecnico-scientifico per l'economia della cultura. Come afferma Donato "noi continuiamo a pensare al museo come a un luogo di mera esposizione e di mera conservazione, mentre i musei dovrebbero essere innanzitutto luoghi di produzione di conoscenza e di produzione culturale". I nuovi programmi europei costituiscono quindi una sfida che travalica la pur importante dimensione economica.
Buona lettura e buona estate a tutti.

Editoriale - pag. 3 [2014 - N.50]

Claudio Leombroni

Questo numero di Museo in•forma dedica ampio spazio alla recente riforma del MiBACT. D'altra parte la riforma del Ministero, per quanto possa sembrare lontana o estranea all'ambito locale, ha invece un valore paradigmatico e ci è sembrato opportuno dedicare a essa lo speciale di questo numero. Il commento, ampio, profondo e intelligentemente prospettico è di Daniele Jalla. Si tratta di uno scritto importante e per questo lo abbiamo pubblicato nella sua interezza. Segnalo in proposito, nella pagina curata dall'IBC, anche l'articolo di Maria Pia Guermandi, che ha partecipato alla Commissione D'Alberti voluta dal ministro Bray.
Alla riforma vorrei dedicare anch'io qualche riga di commento e per farlo adotterò un punto di vista particolare e forse inusitato nel nostro ambiente: quello dell'analisi delle politiche pubbliche o del policy-making. Come evidenziano Jalla e Guermandi è indubbio che la riforma contenga degli apprezzabili elementi di novità e dei tratti positivi; soprattutto, mi pare che, al di là del nuovo assetto ministeriale, si percepisca nel settore dei musei una visione, che non è dato di scorgere invece nelle sezioni dedicate al comparto biblioteche o al comparto archivi. Tuttavia la riforma Franceschini non si discosta dalle linee di fondo e dai profili sostanziali delle precedenti, troppe, riforme (quattro a partire dal 1998, di cui ben tre in sei anni, prima di quella voluta dal ministro Franceschini). In particolare la riforma sembra consentanea a quel paradigma egemonico che ha caratterizzato secondo Giliberto Capano le riforme amministrative italiane e che ha, ad esempio, provocato il sostanziale fallimento o la sostanziale sterilizzazione delle riforme improntate al managerialismo degli anni Novanta: l'istituzionalizzazione del diritto amministrativo come modo di essere e di agire della pubblica amministrazione, come paradigma condiviso da policy-makers in tutte le arene dove vengono disegnate e implementate le riforme. Entro questo ambito, caratterizzato da relazioni gerarchiche e di causa-effetto fra regole e azione amministrativa, dall'adempimento alle regole formali, dalla prevalenza della struttura organizzativa sulla policy, ogni altro apporto (business administration, economia aziendale, teorie dell'organizzazione ecc.) e relativo linguaggio viene depotenziato, reinterpretato e piegato alla logica e alle procedure del paradigma egemonico, anche con evidenti ossimori. Così anche il D.P.C.M. n. 171/2014 riesce a conciliare con un autentico salto mortale della ragione l'autonomia del museo con il suo status di "organo periferico del Ministero". È stato così anche per le biblioteche sin dalla istituzione del Ministero dei Beni culturali. Luigi Crocetti, uno dei più grandi bibliotecari italiani del Novecento, scrisse in proposito che dopo la creazione, durante il fascismo, della burocrazia bibliotecaria "molto peggio ancora si sarebbe fatto in età democratica, e da parte di un altro intellettuale, Giovanni Spadolini. Nel testo del decreto del Presidente della Repubblica sull'organizzazione del Ministero per i beni culturali e ambientali (del 1975), non s'infieriva più sui bibliotecari, ormai sistemati, ma sulle biblioteche, non vergognandosi di definirle 'organi periferici del Ministero', ciò che non era stato immaginato neppure nei tempi della dittatura. Se ne ribadiva così la burocratizzazione".
Anche i poli museali regionali sono concepiti come "organi periferici del Ministero". C'è da chiedersi come questo status possa conciliarsi con l'attribuzione ad essi del delicato compito di coordinare il sistema museale nazionale in ambito regionale e, ancor di più, come possa dar vita al sistema museale regionale integrato, aperto ai musei e sistemi museali non statali. Qui si tocca un altro aspetto del paradigma egemonico del nostro tempo: il neo-centralismo. Se SBN nacque da un accordo fra Stato e Regioni, il sistema museale nazionale viene ora promosso dal MiBACT e la sua articolazione territoriale, a differenza degli attuali poli SBN, viene ridotta a "organo periferico del Ministero", col silenzio delle Regioni e delle autonomie locali. Si tratta di una delle migliori testimonianze della stagione che sta vivendo il nostro paese e che potremmo rappresentare con la formula "Stato senza autonomie e Regioni senza regionalismo". Una condizione pericolosa anche per la nostra cultura se conveniamo, come scrisse ancora una volta Crocetti, che il policentrismo ne è un canone precipuo. Servizio Bibliotecario Nazionale (SBN), Sistema Archivistico Nazionale (SAN) e neonato Sistema Museale Nazionale non possono essere infrastrutture burocratiche statali. In esse l'aggettivo "nazionale", come acquisito nelle migliori stagioni di SBN, non può essere sinonimo di "statale", ma di comunità nazionale, di progetto condiviso da tutti i livelli istituzionali.

Editoriale - pag. 3 [2015 - N.52]

Claudio Leombroni

Il 2015 è un anno importante per i musei italiani e per i professionisti del patrimonio museale e culturale, che prepara la General Conference di ICOM del prossimo anno a Milano. È l'anno di Expo, che non ci aiuta a oltrepassare il luogo comune, perché, come scrive Michele Trimarchi in apertura dello Speciale, "replica un format un po' obsoleto, più fiera dell'est che reticolo di intuizioni progettuali", ma rappresenta comunque una vetrina per gli istituti e un'occasione per interrogarsi sul rapporto con la società contemporanea. Lo Speciale di questo numero di Museo in•forma offre un contributo in entrambe le direzioni: Laura Carlini Fanfogna e Giulia Pretto ci illustrano un'iniziativa dell'IBC concepita per Expo, SEMI, mentre Valeria Arrabito ci racconta del progetto ExpoinMuseo promosso da ICOM Italia; Michele Trimarchi coglie l'occasione dell'evento per riflettere sulla definizione di museo al tempo dell'Expo ed è - la sua - una riflessione acutissima e condivisibile. Come non convenire sulla inopportunità (o addirittura la sconvenienza) di misurare i musei unicamente sulla base di criteri quantitativi o sul fatto che "il confronto dimensionale non dovrebbe avere alcuna cittadinanza nel sistema dell'arte"? E come non convenire sul fatto che pensando di avere come interlocutore un pubblico omogeneo continuiamo "a mantenere criteri espositivi ottocenteschi e a inzeppare le ultime sale di effetti speciali"? Insomma, al di là della "deriva delle grandi mostre", forse ci conviene riconfigurare i musei curando la sostanza dialogica dell'offerta culturale, la capacità di rendere intelligibili le proprie narrazioni. Lo Speciale, tuttavia, si sofferma anche sulla grande mostra Il Tesoro d'Italia, criticatissima, organizzata per l'occasione dell'Expo e lo fa con un contributo di Claudio Casadio, a colloquio con il curatore Vittorio Sgarbi.
Il 2015 è stato anche l'anno della riforma del MiBACT, l'anno della legge di stabilità che ha tremendamente complicato il riordino delle funzioni delle Province e delle Città metropolitane e l'anno della legge della Regione Emilia-Romagna di riforma del sistema di governo regionale e locale approvata il 30 luglio, proprio mentre Museo in•forma sta andando in stampa. Abbiamo già dedicato attenzione a questi temi e lo faremo ancora, considerata la crucialità per i nostri istituti e per il sistema museale. In questo numero Giuliano Volpe, presidente del Consiglio superiore dei beni culturali del MiBACT, commenta la riforma richiamando la necessità di un sistema museale nazionale fondato sulla autonomia amministrativa e gestionale dei singoli istituti, orientato alla valorizzazione, e quindi al rapporto con i cittadini senza elitismi o snobismi, e a un "approccio olistico al patrimonio culturale e paesaggistico, superando una concezione settoriale e disciplinare e considerando il paesaggio quale elemento comune". Si tratta di temi affrontati anche al congresso di ICOM Italia che si è svolto a Roma il 22 giugno scorso e di cui Adele Maresca Compagna traccia un'efficace resoconto. La professione dovrà continuare a discutere sugli interrogativi che ci siamo posti al congresso, in particolare se un processo di costruzione di un sistema museale nazionale a guida statale sarà in grado di coinvolgere, anche a livello di governance, Regioni ed Enti locali e, aggiungo, se nel contempo creerà le condizioni per l'autonomia degli istituti fino a eliminarne l'esecrabile status di organi periferici del Ministero. La discussione riguarderà inevitabilmente le politiche pubbliche del settore; anzi dovrà riguardare l'istituzionalizzazione di politiche pubbliche del settore, sinora in un certo senso inesistenti. Ciò significa che dovremo contribuire a ritrovare forma e sostanza della cooperazione istituzionale in una stagione di "riforma della riforma" del Titolo V della nostra Carta fondamentale e con ciò verificare se sia possibile nel nostro paese una relazione tra politica e cultura che superi quelle resistenze e quelle diffidenze che David Alcaud ha evidenziato nella storia italiana e di cui ci ha spiegato le ragioni. In gioco, insomma, è anche il ruolo che lo Stato può giocare per la cultura e la 'rappresentazione' di quel ruolo alla società.

Editoriale - pag. 3 [2015 - N.53]

Claudio Leomboni

Lo speciale di questo numero di Museo in-forma è dedicato alla figura del direttore, il cui ruolo unitamente all'autonomia dell'istituto è stato fortemente valorizzato dalla recente riforma del MiBACT voluta dal Ministro Franceschini e formalmente conclusa per i musei con l'emanazione del decreto sull'organizzazione e il funzionamento dei musei statali (DM del 23 dicembre 2014). Come è noto successivamente sono stati selezionati con un bando internazionale i direttori dei venti principali musei e la riforma è stata completata in novembre con la presa di servizio dei 114 direttori dei musei statali non dirigenziali, che dovranno dotarsi di un proprio statuto e di una contabilità trasparente. In quest'ultimo caso, considerando i titoli, sono stati selezionati 48 storici dell'arte (42% del totale degli incaricati), 36 archeologi (31,5%) e 30 architetti (26,5%). La gestione dei musei statali privi di posizioni dirigenziali sarà suddivisa in aree funzionali, con un responsabile per le collezioni, lo studio, la ricerca e la didattica, il marketing, il fundraising, l'amministrazione e la sicurezza.

L'attuazione della riforma merita qualche ulteriore riflessione rispetto alle considerazioni che ho svolto nell'editoriale del numero 52 della nostra rivista. In particolare mi paiono inevitabili due domande: il direttore dei musei statali, che nei paesi più avanzati può contare ad esempio sul pieno governo del personale, potrà veramente dirigere un istituto autonomo o siamo in presenza di un ossimoro? La valorizzazione del ruolo di direttore di museo aprirà la strada al riconoscimento della professione del 'museante' - come acutamente è solito dire Daniele Jallà - e della sua associazione professionale?

Quanto alla prima questione, nell'editoriale sopra richiamato ho già interpretato la riforma nel senso dell'ossimoro sottolineando quanto sia difficile conciliare uno statuto di autonomia con la natura, confermata dalla recente riforma, di organo periferico del Ministero attribuita agli istituti e al Polo museale regionale. Su questo ossimoro pesa indubbiamente il prevalere di quello che gli analisti delle politiche pubbliche hanno chiamato paradigma amministrativo, tipico delle riforme italiane. Pesa però anche il contenitore, la 'forma organizzativa Ministero', scelta nel 1975, in luogo dell'amministrazione autonoma proposta ben cinquanta anni fa dalla Commissione Franceschini, per l'imposizione del Presidente del Consiglio di allora, più decisiva, come raccontò Massimo Severo Giannini, delle resistenze dei "tardigradi" e dei "velocisti incompetenti". Una ventina di anni dopo Marco Cammelli individuò perfettamente due aspetti controversi del nuovo Ministero nato dalle riforme Bassanini, che manteneva, appunto, la 'forma Ministero': anzitutto l'essere stato spesso metafora di una politica per la cultura, sicché si era auspicato il primo per avere la seconda; in secondo luogo l'essere una sorta di ossimoro istituzionale, in cui la legittima pretesa di autonomia degli istituti e della dimensione tecnico-scientifica si scontrava con il contesto ministeriale necessariamente gerarchico e disciplinato dal diritto amministrativo con annessi controlli amministrativi, contabili e finanziari. Di questo ossimoro sono state vittime proprio gli istituti culturali statali (archivi, biblioteche e musei), divenuti nei vari regolamenti di organizzazione "organi periferici del Ministero". Si tratta ora di capire se la tensione fra autonomia e gerarchia, fra autonomia gestionale e cultura amministrativa o dell'adempimento, acuita dall'enfasi del decisore politico sull'autonomia degli istituti e dei direttori non generi anche il ripensamento, poco probabile, della 'forma Ministero' o la ricerca, più probabile, di nuovi strumenti organizzativi (ad es. agenzie) all'interno del Ministero stesso. E noi naturalmente seguiremo con attenzione l'evolversi della situazione.

Per quanto riguarda il riconoscimento della professione mi pare che la recente riforma - si veda in particolare l'art. 4 del decreto di organizzazione - ripari, ma solo in parte in considerazione della fonte normativa, la lacuna dell'art. 9 bis del Codice dei Beni culturali che come è noto non nomina i 'museanti' fra i professionisti dei beni culturali. Da questo punto di vista ancor più lungo è il percorso che ICOM Italia dovrà compiere per diventare associazione rappresentativa a livello nazionale di una professione non regolamentata come la nostra. Un percorso scandito dal D.Lgs 206/2007 e dalla L. 4/2013, che richiede un forte impegno e un profondo cambiamento, anche della struttura associativa. D'altra parte non si danno 'museanti', a partire dai direttori, riconosciuti nella loro autorevolezza e autonomia senza una dimensione autenticamente professionale dei singoli e dell'associazione. Senza naturalmente rinunciare alla difesa degli istituti e dei valori che incarnano.

Buon Natale!


Editoriale - pag. 3 [2015 - N.54]

Claudio Leombroni

Questo primo numero dell'anno esce purtroppo a pochi giorni di distanza dalla morte di Nazzareno Pisauri, avvenuta il 23 marzo scorso, e l'editoriale, un po' più lungo del solito, è a lui dedicato. Ai colleghi più giovani questo nome forse dice poco o nulla in un tempo in cui nella nostra professione abbondano i professori e gli aspiranti accademici, i predicatori o i futurologi e sono quasi scomparsi i maestri.
Eppure a lui gli istituti della cultura emiliano-romagnoli devono molto. A lui, Soprintendente ai Beni librari negli anni Ottanta e direttore dell'IBC negli anni Novanta, devono molto sia la Rete bibliotecaria romagnola, sia il Sistema museale, perché fu grazie a Nazzareno che trovarono posto nell'organizzazione bibliotecaria e museale della Regione. A lui in particolare si deve la dimensione romagnola della Rete bibliotecaria e a lui deve molto SBN stesso, perché fu grazie all'alleanza di ferro con Angela Vinay che il Servizio Bibliotecario Nazionale costruì la propria architettura policentrica fondata sull'intesa fra Stato e Regioni. A lui devono molto anche bibliotecari, archivisti e 'museanti' della nostra Regione; deve molto anche chi scrive, che, oltre a molti debiti culturali e professionali, nel dicembre 1995 fu nominato nel Comitato nazionale di gestione del SBN su sua indicazione.
L'eredità culturale o 'politico-culturale' di Nazzareno Pisauri è ancora più cospicua, anche nei suoi profili di inattualità e ancorché oggi sostanzialmente dimenticata da una biblioteconomia nostrana (o da una archivistica o da una museologia) impregnata di technicalities apparentemente neutrali e povera di valori e di visione, povera di memoria o, come diceva Crocetti, di tradizione. Consiglio in proposito ai più giovani di leggere e rileggere "Leggere è uguale per tutti", un intervento che Pisauri fece al convegno "Leggi in biblioteca" del 1997 e che condensa in poche pagine il suo pensiero critico, insofferente dei luoghi comuni, di bibliotecario consapevolmente militante; perché tale era Nazzareno al di là del suo ruolo di direttore dell'IBC o forse in ragione di tale ruolo, interpretato nel solco di quella altissima dimensione culturale e professionale inaugurata da Giuseppe Guglielmi. In quelle pagine, oltre alla sua straordinaria passione civile, alla sua lucida capacità di interpretare i fenomeni sociali e culturali sottostanti e circostanti i nostri istituti, ma anche di policy making - che non raramente lo pose in contrasto con la politica - emerge con nettezza anche la sua intelligenza visionaria, capace di immaginare molto prima di Lankes o dei nostrani convegni delle Stelline, i tratti fondamentali della biblioteca nel nuovo mondo delle reti: il dover diventare il luogo della comunicazione, il luogo "in cui chi ha qualcosa da dire lo dice", "il megafono di chi non ha altro diritto di parola, di chi ha qualcosa da dire e ha bisogno di un luogo in cui dirlo insieme ad altri".
Quella lucidissima capacità di policy making unita al suo spessore culturale e professionale - dote quest'ultima che gli dovrà essere riconosciuta in sede di interpretazione storica della sua figura e del suo operato - gli consentì di disegnare una organizzazione regionale dei servizi culturali inclusiva dei soggetti privati, coinvolti sulla base dei servizi effettivamente resi alla comunità e non delle logiche burocratiche del contributo, di utilizzare l'automazione per facilitare l'accesso ai servizi culturali pubblici e per rendere possibili nessi e collegamenti fra i diversi domini. Una concezione alta, orgogliosa del servizio pubblico era alla base non solo della sua concezione degli istituti, ma anche della tutela e della fruizione del patrimonio inteso nella sua interezza, nella grande varietà novecentesca di registri, di stili, di supporti, di contaminazioni. Questa concezione del servizio e della pianificazione del servizio, fortemente embricata con la straordinaria elaborazione culturale dell'IBC di Emiliani, di Gambi e di Guglielmi, gli farà immaginare e realizzare progetti MAB prima di altri in Italia, gli farà ricercare i collegamenti culturali fra biblioteche, archivi e musei nella consapevolezza che la complessità del nostro patrimonio culturale, e in particolare del nostro Novecento e dei suoi fondi compositi, può essere autenticamente interpretata, goduta e fruita solo attraverso tale complessità di nessi e di complicità disciplinari e attraverso sistemi informativi che ne agevolino l'istituzione o l'esplorazione. Da questo punto di vista è ancora fondamentale la lettura di "Lussuria e devozione", forse il suo scritto più bello, o del suo intervento al convegno "Archivi e voci d'autorità" in cui il superamento delle distinzioni disciplinari viene concepito come l'esito più profondo del Novecento, che ha modificato radicalmente valore e significato primario dei beni culturali su cui esercitiamo i nostri rispettivi mestieri, quello del bibliotecario, dell'archivista o del 'museante'.
Nella traduzione di questi profili culturali - complessivamente ascrivibili alla nozione eticamente impegnativa di 'democratizzazione della cultura', condivisa con gli esponenti migliori della sua generazione - come pure del ruolo degli istituti culturali in politiche pubbliche, Nazzareno si avvalse della cooperazione e del regionalismo; un regionalismo autentico il suo, forse un regionalismo, coincidente con l'idea di un nuovo modo di governare, che Giorgio Pastori vedeva in crisi già dieci anni dopo l'istituzione delle Regioni. Per Pisauri cooperazione, regionalismo, autonomie locali e territorio, erano parte di un lessico fortemente anticentralista, di una cultura delle autonomie che si era affermata soprattutto fra i bibliotecari nelle battaglie culturali degli anni Sessanta e Settanta. Oggi, di fronte al neo-centralismo statale e alla crisi della cultura regionalista delle Regioni, queste sue posizioni sembrano inattuali. Ma è da qui che dobbiamo ripartire, perché il nostro Paese è storicamente caratterizzato dal policentrismo culturale. Questa è la nostra ricchezza ed è una ricchezza che può essere valorizzata solo dall'intero Paese, non da un Ministero che è stato utilizzato spesso come metafora di una politica culturale senza che quest'ultima ci fosse o fosse condivisa.
Negli ultimi tempi mi è capitato di evocare Nazzareno in diverse occasioni: l'ho fatto all'assemblea dei poli SBN, alla conferenza romana dell'ICOM del mese di giugno dello scorso e al secondo congresso nazionale MAB di qualche mese fa. In queste occasioni ho ricordato che l'assetto neocentralista del sistema museale nazionale - che tale è anche a volerne apprezzare il carattere di rivoluzione dall'alto - e la sottrazione alla Regioni della tutela dei beni librari avrebbero suscitato la sua indignazione pubblica. Nazzareno avrebbe parlato di revanchismo centralista o di centralismo d'accatto perché la sua generazione aveva bene in mente il fallimento delle politiche statali prima delle istituzioni delle Regioni. Si dirà che oggi sono altri tempi, anche se sono passati pochi anni da quando tutti si professavano federalisti. Io credo invece che dobbiamo ripartire dal magistero professionale e culturale di Nazzareno. Solo così potremmo dire - con Goethe - di esserci riguadagnati ciò che avevamo ereditato dai nostri padri.


Editoriale - pag. 3 [2016 - N.55]

Claudio Leombroni

Questo numero di Museo in-forma esce a metà estate, ma ciononostante a ridosso o in concomitanza di due eventi significativi.
Anzitutto esce all'indomani della 24a Conferenza generale di ICOM, che ha avuto grandi numeri e che ha ospitato un ricco e produttivo dibattito sul tema dei paesaggi culturali. Un tema pregnante, come argomenta molto bene Daniele Jalla in questo numero, che per i musei comporta una triplice apertura. In primo luogo alla comunità e ciò significa uscire fuori di sé e sperimentare punti di vista esterni, magari inusitati, certamente non autoreferenziali. In secondo luogo al presente, ossia alla sua percezione, e quindi alla contemporaneità, o, in un certo senso, alla convergenza agostiniana delle dimensioni del passato e del futuro sulla dimensione del presente. Infine l'apertura al patrimonio e il contestuale scolorimento della distinzione fra beni mobili e immobili: la forma di apertura più semplice e al tempo stesso più complessa, soprattutto se analizzata in prospettiva MAB, dove ancora resta da chiarire il lessico e il vocabolario comune delle professioni, a cominciare dalla nozione stessa di patrimonio e di quella collegata di bene culturale.
L'esperienza di MuseoMix - documentata nello 'speciale' di questo numero - va letta anche nel segno dell'apertura; soprattutto può essere valutata da questo punto di vista analizzandone la capacità di rispondere al presente e alla sua incombenza sui nostri istituti.
È anche il momento del concorso MiBACT per 500 posti di funzionario tecnico-scientifico, con varie figure professionali (5 posti per antropologo, 90 per archeologo, 130 per architetto, 95 per archivista, 25 per bibliotecario, 5 per demoantropologo, 30 per promozione e comunicazione, 80 per restauratore, 40 per storico dell'arte). Si tratta di un concorso importante, esito di una riforma discutibile, ma meritevole di discussione, di una riforma di ampia portata, molto incisiva sul versante dei musei, assai meno, anche in termini di visione, sul versante degli archivi e delle biblioteche. Il concorso, nella sua attribuzione di posti fra i vari comparti del Ministero, ha provocato le dimissioni dei rappresentanti dell'area biblioteche in seno al Consiglio superiore per i Beni culturali e paesaggistici, a testimonianza di quanto sia insensato bandire prove selettive per un numero di posti non significativo a distanza di circa trenta anni dal precedente, e a testimonianza di quanto la riforma non abbia ancora riguardato in profondità un settore - quello delle biblioteche statali - che per numero continua ad essere abnorme in confronto agli altri Paesi. Le prove selettive con quiz, in sé ampiamente discutibili, hanno già suscitato polemiche (si veda in proposito l'articolo di Tomaso Montanari su La Repubblica del 18 luglio scorso). Tali prove, come ha scritto Giuliano Volpe, non costituiscono il modo migliore di guardare al futuro, perché sarebbe stata necessaria una maggiore attenzione alla qualità di questa prova, anche per garantire il buon risultato delle successive prove di valutazione delle competenze tecnico-scientifiche dei candidati. Non è il modo migliore anche con riguardo a quella prospettiva olistica del patrimonio culturale che Volpe con buone ragioni propugna.
A questo proposito non possiamo non ribadire la necessità di discutere e di riflettere sulla nozione di 'patrimonio', sia dal punto di vista dei diversi istituti culturali, magari con l'obiettivo di definire una sorta di ontological commitment, sia dal punto di vista della suo significato sociale o se si vuole del suo significato nella dimensione del presente, perché il termine è stato oggetto di un'autentica "inflazione" come documenta un bel libro di Nathalie Einich apparso in Francia qualche anno fa (La fabrique du patrimoine, Paris, Éditions de la Maison des science de l'homme, 2009, purtroppo non posseduto, stando al catalogo, da nessuna biblioteca SBN). Quell'inflazione è poi diventata una "esplosione", descritta da Pierre Nora nei termini di un passaggio "d'un patrimoine étatique et national à un patrimoine de type social et communautaire", dove si decifra la nostra identità di gruppo o individuale, e di un passaggio "d'un patrimoine hérité à un patrimoine revendiqué".
E proprio la dialettica fra "patrimonio ereditato" e "patrimonio rivendicato" è forse la cifra del presente o dei suoi tre tempi: il passato del presente, il presente del presente, il futuro del presente.


Editoriale - pag. 3 [2016 - N.56]

Claudio Leombroni

Questo numero di Museo in-forma esce dopo il risultato referendario e l'editoriale non può esimersi dall'affrontare il tema.
Il Sistema museale della Provincia di Ravenna è nato nel 1997 e si appresta quindi a festeggiare il suo ventesimo anno di vita. Il Sistema, come molte altre esperienze cooperative italiane nel settore degli istituti culturali, deve la sua esistenza a quella stagione straordinaria per le autonomie locali inaugurata con la L. 142/1990 e terminata per molti aspetti con la recente "legislazione della crisi". Durante quella stagione il Polo SBN, sfidando il politicamente corretto, è diventato la Rete bibliotecaria di Romagna e il Sistema museale una best practice a livello nazionale come riconosciuto da due studi intervallati fra di loro da un decennio: quello di Silvia Bagdadli (Le reti di musei, 2001) e quello dell'Aspen Institute (I sistemi museali in Italia, 2013). In quella stagione, insomma, diverse Province hanno costruito il senso della proprie politiche nel settore facendole coincidere con la cooperazione e con l'esercizio di funzioni strumentali o di supporto agli istituti culturali.
Con l'avvio del riordino delle Province inaugurato dal Governo Monti tutta questa complessa organizzazione territoriale di servizi è stata ignorata e abbandonata di fatto alla più generale deriva demagogica e populista. Non è questa la sede per analizzare nel dettaglio questa vicenda, per molti aspetti grottesca e imbarazzante, e tanto meno per ipotizzare cosa accadrà dopo il 4 dicembre. Certo è che dopo la bocciatura da parte della Consulta della riforma Monti, i tentativi successivi di riordinare e svuotare le Province con legge ordinaria nelle more di una riforma costituzionale hanno dimostrato una certa sérendipité de l'invention, per dirla con Michel Serres, un revanchismo neo-centralista - come avrebbe detto Nazzareno Pisauri - e una notevole insipienza procedurale. Ostinarsi a non riformare il complesso delle autonomie, a far credere, sia pure in un'epoca di "democrazia del pubblico", di aver soppresso le Province senza aver completato l'iter di revisione costituzionale, a scambiare le istituzioni con i comportamenti di coloro che momentaneamente le rappresentano, a ignorare le vere ragioni che dovrebbero essere alla base di questa riforma, note da tempo e brillantemente argomentate più recentemente da Gianfranco Rebora, hanno prodotto conseguenze paradossali anche nel nostro settore: circolari di solerti funzionari statali che invitavano "le soppresse Province" a elencare i propri beni culturali in vista del successivo incameramento da parte dello Stato in barba all'art. 119 della Costituzione, l'esaltazione di esperienze cooperative di rango territoriale più ridotto - operazione di politique politicienne e priva di sostanza gestionale avendo ormai appurato che anche l'ambito provinciale è troppo piccolo per conseguire adeguate economie di scala - lo svuotamento delle professionalità delle Province per rafforzare questo o quell'ente in cerca di una più
ambiziosa legittimazione ancorché non sostenuta da adeguate risorse finanziarie, la Legge Delrio demolita dalla legge di stabilità 2015, e così via. Taccio invece dell'atteggiamento, non sempre elegante, di non pochi colleghi.
In tutto questo non breve lasso di tempo (2012-2015) la Provincia di Ravenna ha continuato nonostante tutto a gestire e finanziare la Rete bibliotecaria e il Sistema museale e lo ha fatto, per due anni, senza risorse regionali, perché ha ritenuto che le esperienze di rete e di cooperazione territoriale fossero incluse nella funzione fondamentale di assistenza tecnica e amministrativa ai Comuni. Dopo la L.R. 13/2015, IBACN e Provincia di Ravenna hanno lavorato per salvaguardare e sviluppare le esperienze cooperative del territorio nell'ambito di un più ampio ridisegno della cooperazione regionale cui l'Istituto sta lavorando. L'esito di questo lungo lavoro è stata una convenzione fra IBACN e Provincia di Ravenna che il Consiglio provinciale ha approvato il 29 novembre scorso. Con questa convenzione l'Istituto affida e finanzia alla Provincia le attività di coordinamento tecnico e gestione della Rete (svolte da una struttura tecnica di fatto assimilabile a una struttura regionale territoriale), nonché lo svolgimento di alcune attività a favore delle altre reti bibliotecarie emiliano-romagnole. Si noti la data: ancora una volta politicamente scorretti e professionalmente corretti, potremmo dire. A questa convenzione ne seguirà una seconda con i Comuni, che riguarderà anche il Sistema museale. Ma di questo Museo in-forma darà conto.
Buon Natale e felice anno nuovo a tutti.

Editoriale - pag. 3 [2016 - N.57]

In chiusura all'editoriale del numero 56 di Museo in-forma, Claudio Leombroni sottolineava la necessità di avviare una discussione sulla nozione di patrimonio, non solo dal punto di vista dei diversi istituti culturali, e delle diverse discipline, ma anche da quello del suo significato sociale o, per meglio dire, "del suo significato nella dimensione del presente". Questa uscita del notiziario si pone quindi su quella scia e, inaugurando un nuovo Speciale dedicato al lessico condiviso, si pone l'obiettivo non tanto di dare una prima risposta, quanto piuttosto di avviare un dibattito sulla individuazione e la definizione di una terminologia comune, di una "convergenza linguistica" che, come spiega Maurizio Vivarelli (da cui abbiamo preso in prestito il titolo per questo editoriale), è necessità oramai imprescindibile per chi si occupa di istituzioni della memoria e di beni culturali intesi quali 'beni comuni'.
Il 2018 è stato nominato Anno europeo del patrimonio culturale. Partiamo quindi proprio dal concetto di 'patrimonio', spesso controverso e inflazionato, che in queste pagine viene indagato da Marco Carassi attraverso il punto di vista di una delle discipline che compongono l'eterogeneo universo dei beni culturali, quello dell'archivistica, e da Daniele Jalla, che propone invece una riflessione più ampia sulla nozione, con un affondo particolare sul suo uso in ambito normativo, italiano e non solo.
Parlando di patrimonio culturale, con riferimento specifico al settore dei musei, fondamentale è l'azione svolta da ICOM Italia, che quest'anno giunge al suo settantesimo anno di vita, e la cui storia è raccontata da Adele Maresca Compagna; esempio di una recente iniziativa messa in campo dal Comitato Nazionale Italiano di ICOM, realizzata in collaborazione con la Direzione generale Musei del MiBACT, è lo schema di monitoraggio sulla web strategy, uno strumento concreto per realizzare un sondaggio presso i musei italiani.
Altri progetti presentati sono E-R Design, censimento sul design negli istituti culturali dell'Emilia Romagna realizzato dall'IBC, e SUCCESS, progetto di ricerca che indaga i processi bio-culturali che hanno favorito il successo dell'Homo sapiens che è stato vinto dal Dipartimento di Beni Culturali dell'Università di Bologna.
Continuando a parlare di patrimonio culturale, e della sua eterogeneità, fondamentale risulta l'azione svolta dalle Soprintendenze, la cui attività di tutela in vari settori viene illustrata attraverso un esempio di tutela di beni demoetnoantropologici.
Vi sono infine i musei del nostro Sistema museale provinciale, anch'essi chiamati, con le loro iniziative, a dar voce a vario titolo al patrimonio culturale locale: dalle mostre in atto al Museo Nazionale di Ravenna, al MIC di Faenza e alle Cappuccine di Bagnacavallo, a quella recentemente conclusa sulla Romagna Monumentale, progetto espositivo svoltosi in più sedi che ha visto un'innovativa e proficua collaborazione tra i Comuni di Brisighella, Faenza e Lugo nella celebrazione della figura di Domenico Rambelli; dal nuovo fumetto di Martoz, presentato a Cotignola durante il festival Saluti da Cotignyork, all'installazione didattica realizzata a Tamo dagli studenti dell'Accademia di Belle Arti di Ravenna.


Editoriale - pag. 3 [2017 - N.58]

Claudio Leombroni

Questo numero estivo di Museo in-forma, dà conto, come di consueto, di interessanti iniziative: consolidate come Giovani per il territorio, di cui illustra le finalità e i risultati Valentina Galloni; o esito di incursioni in altri territori come il quarto convegno annuale della International Federation for Public History (IFPH-FIHP) e il primo convegno della AIPH, l'Associazione Italiana di Public History, che si sono svolti entrambi a Ravenna nel giugno scorso, raccontati da Alessandro Iannucci.
Oltre alle consuete rubriche, la nostra rivista continua a ospitare interventi direttamente o indirettamente collegati al tema lanciato nel numero scorso e anticipato in numeri passati, anche in qualche editoriale: la possibilità/necessità di definire un vocabolario comune o, in termini più tecnici, ontologie condivise fra istituti culturali appartenenti a domini diversi e anche in virtù di questa diversità connotanti un ecosistema culturale.
Si tratta invero di una riflessione sulla quale il Sistema museale ravennate si è impegnato ormai da qualche anno, prima esplorando in un convegno l'universo MAB, poi facendo proprio il concetto di "sistema culturale integrato" come punto di arrivo del lungo e accidentato percorso di realizzazione della nuova rete romagnola. Questo percorso è accidentato perché non è connotato soltanto da profili istituzionali o amministrativi, certamente complessi, ma anche da profili culturali, assai più impegnativi e insidiosi, che anche a livello nazionale le comunità professionali coinvolte non hanno affrontato o hanno affrontato solo superficialmente o con insufficiente profondità teoretica. Dopo gli Stati generali MAB celebrati a Milano nel 2012, densi di aspettative, non è accaduto molto nella prospettiva del sistema integrato e la ricerca di un linguaggio e di ontologie sufficientemente condivise ha segnato il passo. Né il congresso MAB in programma quest'anno a Roma sembra invertire questa tendenza. Anzi tra il primo convegno milanese e quello in programma a Roma nel prossimo novembre l'esplorazione di ciò che è comune o potrebbe esserlo sembra essere stata definitivamente accantonata e sacrificata a temi più rituali declinati fra le tre associazioni secondo una sorta di manuale Cencelli inter-associativo piuttosto che sulla base di una riflessione autentica. Eppure di sistema culturale come ambito in cui si "dialettizza" il rapporto fra individuo e cultura parlava Edgar Morin sin dagli anni Sessanta. Oggi è a mio avviso più appropriato parlare di ecosistema culturale, ma rimane il fatto che anche la costruzione delle nostre identità attinge alle risorse di quel sistema (o di quell'ecosistema) nel suo complesso e che quella trama concettuale, più complessa ed euristicamente più efficace delle prospettive parziali, consente di interpretare meglio le trame del territorio e le aspettative dei cittadini/utenti/fruitori nei confronti degli istituti culturali, peraltro investiti pienamente dal cambiamento (si veda in questo numero l'eccellente intervento di Daniele Jalla sulla traiettoria evolutiva dei musei).
Museo in-forma continuerà a esplorare questi temi, continuerà ad analizzare da più punti di vista i singoli lemmi di un linguaggio possibile (patrimonio, bene culturale, catalogo, contesto ecc.). Continuerà a interrogarsi se nel nostro Paese è possibile condividere l'idea di patrimonio culturale nazionale, se è possibile realizzarla in cataloghi di nuova concezione, in policies condivise, in modelli formativi non raccogliticci e approssimativi, se la nozione di 'bene patrimoniale' possa essere qualcosa di più pregnante di un concetto ragionieristico; se quella nozione, come ha scritto Michel Melot - bibliotecario fortemente coinvolto nell'Inventaire del patrimonio francese che ha sapientemente illustrato e interpretato in Mirabilia. Essai sur l'Inventaire général du patrimoine culturel edito da Gallimard nel 2012 - possa fondare l'esistenza stessa di una comunità, se possa essere riconosciuta collettivamente nella consapevolezza che una comunità si dota di beni patrimoniali: testi orali o scritti, oggetti, monumenti, gesti, riti, monumenti... Ma forse per noi il problema è proprio questo: la difficoltà di interpretare il Paese nella sua interezza, come comunità nazionale.

Editoriale - pag. 3 [2017 - N.59]

Claudio Leombroni

Siamo giunti all'ultimo numero del 2017 di Museo in-forma. Per me significa entrare nel quinto anno di direzione della rivista e forse cominciare a riflettere sul bilancio di questa esperienza. Non vorrei però parlare di questo, riservandomi magari di darne conto nel prossimo editoriale. Vorrei invece parlare del Sistema Museale della Provincia di Ravenna, di una esperienza straordinaria duramente colpita dalle scellerate riforme istituzionali avviate e incompiute dal futurismo politico che ha caratterizzato gli ultimi anni della nostra vita pubblica, che quest'anno ha compiuto vent'anni.
Un compleanno importante passato però sotto silenzio, non solo da parte delle istituzioni che ne fanno parte, dai Comuni coinvolti, ma anche dai colleghi. Eppure il nostro Sistema è stato in questi venti anni una esperienza esemplare, citata come best practice non solo da Silvia Bagdadli nel suo fortunato saggio sulle reti museali del 2001, ma anche nel più recente studio finanziato dall'Aspen Institute, a testimonianza di una solida continuità d'azione e di pensiero. Certo, potremmo appellarci alla caducità delle "cose degli uomini" come le chiamava Marc Bloch, ma per le costruzioni dell'uomo, per le organizzazioni, venti anni hanno un significato diverso. Per gli uomini venti anni rappresentano il pieno della giovinezza, ma possono essere anche molto problematici. Forse nessuno meglio di Paul Nizan ha saputo interpretare il malessere dei vent'anni in relazione alla società e alle istituzioni. Nizan era un giovane parigino, laureato all'École normale e compagno di studi di Jean-Paul Sartre e Raymond Aron, che non riusciva a sopportare il mondo che lo circondava, quello della Francia fra anni gli Venti e Trenta del XX secolo. Cercò di fuggire quel mondo convenzionale e distante rifugiandosi ad Aden, ma anche qui però non trovò una umanità̀ autentica o non trovò ciò che cercava. Raccontò tutto questo in un libro e le prime righe sono rimaste nella storia letteraria: "J'avais vingt ans. Je ne laisserai personne dire que c'est le plus bel âge de la vie".
Per una organizzazione è diverso e per il nostro Sistema in venti anni è cambiato il mondo che aveva cercato di interpretare. Nato sulla spinta riformistica degli anni Novanta, supportato dal protagonismo degli enti locali, da idee di decentramento e policentrismo, si è ritrovato a operare negli ultimi anni in una stagione di neocentralismo che ha avuto diverse declinazioni e che nei nostri settori ha generato, ad esempio, la sottrazione - non limpidissima sotto il profilo costituzionale - della tutela dei beni librari alle Regioni e la nascita del Sistema Museale Nazionale, un sogno per tutti i 'museanti' italiani, ma irritualmente istituito nell'ambito di una riforma del Ministero.
Quali sono ora le prospettive del Sistema Museale ravennate? Io credo che le idee alla base del sistema debbano continuare a vivere e che l'esperienza in cui si sono concretate non possa essere abbandonata. Il futuro del sistema, parafrasando Calvino, deve essere, come per un ventenne, oltre il ponte. L'esperienza sistemica ravennate dovrà essere innestata nello spazio istituzionale disegnato dalle ultime riforme e dovrà diventare una risorsa per l'intera organizzazione museale regionale. Le colleghe e i colleghi dovranno essere fieri di questa esperienza che li ha visti protagonisti in tante occasioni o con la quale hanno collaborato. Io ne sono fiero, così come sono fiero di aver lavorato con colleghe che hanno investito nel lavoro della rete il cuore oltre che l'intelligenza: Eloisa Gennaro, Romina Pirraglia, Gioia Boattini, per citare coloro che hanno intersecato la mia vita professionale. Per i colleghi che hanno avuto a che fare con questa ventennale esperienza, per tutti noi, il Sistema Museale Provinciale ci insegna che non dobbiamo smettere di sognare. Come scrisse Jean-Paul Sartre, presentando proprio Aden Arabie di Nizan "non vergognatevi di volere la luna: ne abbiamo bisogno!".


Editoriale - pag. 3 [2017 - N.60]

Al centro degli incontri di lavoro l’IBC presenterà i primi risultati del progetto MUSA, relativo alla creazione di una rete intermuseale per la gestione a distanza delle condizioni ambientali dei musei

Luisa Bitelli - Istituto Beni Culturali

Quest’anno il Salone del Restauro di Ferrara giunge alla sua decima edizione. È un traguardo significativo per chi - Istituto per i beni culturali compreso - si era posto l’obiettivo di rendere l’appuntamento ferrarese una scadenza importante per la presentazione e la discussione delle numerose problematiche attinenti i beni culturali. L’interesse sempre più accentuato nei confronti di una materia in continua evoluzione, la ricorrente approvazione di disposizioni legislative, da un lato in ordine alla formazione professionale per il restauro e, dall’altro, in riferimento alla normativa sui Lavori Pubblici, Legge Merloni, hanno creato l’esigenza di momenti collettivi di informazione e dibattito. In tal senso Ferrara ha soddisfatto e soddisfa al meglio tali richieste. Gli spazi grandi e ben disegnati dall’architetto Vittorio Gregotti hanno permesso di articolare le diverse sezioni del Salone con allestimenti gradevoli e facilmente visitabili. Negli ultimi anni si è assistito ad un notevole aumento di visitatori: un pubblico attento, curioso, partecipativo, spesso costituito da giovani provenienti da diverse regioni italiane, in particolare studenti universitari, ma anche allievi di scuole medie superiori. Una caratteristica interessante del salone ferrarese è rappresentata dagli "incontri tecnici", che si susseguono nelle giornate di apertura ed hanno lo scopo di presentare al pubblico gli esiti di studi e ricerche, particolari interventi di restauro, nuovi prodotti e loro applicazioni specifiche, pubblicazioni, leggi e decreti, ecc.. Da alcuni anni l’Istituto per il Commercio con l’Estero (ICE) ha inviato delegazioni provenienti da vari Paesi europei ed extraeuropei. La manifestazione assume così un carattere di internazionalità in ulteriore sviluppo. Proseguendo nell’impegno di collaborazione scientifica che risale al 1991 ed ha consentito di porre l’iniziativa fieristica ferrarese ad un livello decisamente alto nel panorama degli appuntamenti dedicati al settore, l’Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna offre anche in occasione di questa edizione un programma diversificato: giornate di studio, convegni, incontri tecnici a cui si aggiungono due mostre e la presentazione della propria attività e dei progetti più importanti messi a punto negli ultimi anni. Le sculture all’aperto in parchi e contesti urbani e periferici, accanto alle problematiche poste dalla loro conservazione, costituiranno il tema di una mostra che presenterà al pubblico bozzetti ed esemplari originali di autori noti quali Giò Pomodoro, Benetton, Cascella, Ghermandi, ecc.. Gli argomenti saranno trattati anche nell’incontro di studio al quale parteciperanno docenti universitari e di Accademia, responsabili di servizi regionali, restauratori e artisti. I giganti protetti, altra esposizione organizzata dall’IBC, presenta immagini di alberi monumentali tutelati dalla Regione, pervenute a seguito di un concorso fotografico promosso dall’Istituto e dall’Assessorato regionale Agricoltura, Ambiente e Sviluppo Sostenibile. L’intento della mostra è quello di sottolineare l’importanza della salvaguardia di tale patrimonio. Un’esposizione di pannelli con testo e immagini riferiti a progetti realizzati dai vari settori dell’IBC negli ultimi anni riempirà gli spazi dello stand, punto di incontro particolarmente apprezzato dai visitatori del Salone. Gli interventi regionali riferiti all’ambiente e al suo "restauro" costituiranno il tema di una giornata di convegno che ha lo scopo fondamentale di presentare le attività intraprese (anche con finanziamenti europei) e gli obiettivi concreti raggiunti. A continuazione di un tema già affrontato nella precedente edizione di Restauro - riguardante la conservazione dei cimiteri ebraici - in collaborazione con il Museo ebraico di Bologna l’IBC organizza un incontro internazionale di studio sulla conservazione delle sinagoghe in Europa, affrontando anche la situazione dell’Emilia-Romagna dove ne esistono alcune tuttora funzionanti e altre che, pur essendo chiuse, rappresentano ugualmente una testimonianza culturale importante per il patrimonio artistico conservato al loro interno. La fotografia, affrontata sotto l’aspetto catalografico e conservativo, rappresenterà un altro momento di confronto al convegno organizzato dalla Soprintendenza per i beni librari e documentari dell’IBC - quarto appuntamento di Conservare il 900 - in collaborazione con l’Associazione Italiana Biblioteche, l’Istituto Centrale di Patologia del libro e il Centro di Fotoriproduzione Legatoria e Restauro degli Archivi di Stato. L’incontro di lavoro avente per tema Il progetto MUSA. Creazione di una rete intermuseale per la gestione a distanza della conservazione dei beni artistici è finalizzato alla presentazione dei primi risultati del programma ideato e messo a punto dall’IBC e dal CNR-ISAC (Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima) di Bologna. La necessità di analizzare le condizioni ambientali all’interno dei musei per provvedere alle esigenze conservative delle opere esposte, rientra nel percorso intrapreso negli ultimi anni dall’Istituto per i beni culturali nel settore della conservazione e del restauro, focalizzando l’interesse su di un aspetto fondamentale e preliminare, vale a dire quello della conservazione preventiva. L’attenzione, appunto, alla conservazione preventiva si è espressa in vari momenti, fra i quali i più significativi hanno riguardato l’organizzazione di incontri pubblici sull’argomento e, più di recente, la predisposizione degli Standard e obiettivi di qualità per biblioteche, archivi storici e musei, secondo le direttive della legge regionale per i musei. Il progetto MUSA continua il cammino iniziato negli anni scorsi con l’installazione di strumentazioni elettroniche presso alcuni musei della regione per la misurazione di parametri ambientali: temperatura e umidità relativa. Per poter offrire una collaborazione a chi gestisce le collezioni e deve operare nel rispetto delle necessità conservative, l’Istituto e il CNR-ISAC hanno avviato un programma, in questa prima fase riferito a tre realtà museali delle regione (Casa Moretti di Cesenatico; Pinacoteca comunale di Ravenna; Collezioni comunali d’arte di Bologna), che consente di far pervenire ad un centro (individuato ora presso il CNR) tutti i valori trasmessi dalle strumentazioni presenti nei musei, raccolti e rielaborati in un archivio di monitoraggio operativo. Presso lo stand dell’IBC, durante le giornate di apertura del Salone, sarà possibile consultare la postazione predisposta al fine di far conoscere concretamente le caratteristiche del progetto. Progetto MIDA (Memoria Informatica: Data base Artistici). Una banca dati per gli interventi di restauro sarà l’argomento di un incontro promosso dall’Istituto beni culturali nel corso del quale si tratterà il tema della documentazione dei restauri e verrà presentata la banca dati utilizzata per l’archiviazione del materiale documentario relativo ai lavori di restauro finanziati dall’IBC. ENEA-Progetto Giano, che ha messo a disposizione il software e l’Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Conservazione dei beni culturali di Ravenna sono i partners di questa iniziativa che rappresenta un traguardo importante per l’Istituto. Quest’ultimo, infatti, già negli anni Ottanta aveva avviato sperimentazioni volte alla predisposizione di archivi informatizzati realizzando un database che consentì un primo riordino della grande mole di documentazione fornita dai laboratori incaricati dei lavori di restauro. Le attuali e più avanzate risorse informatiche ci consentono ora di utilizzare sistemi molto più razionali che permettono, da un lato, di inserire più velocemente le informazioni rappresentate da immagini, grafici e relazioni sui lavori eseguiti e, dall’altro, di consultarle con una notevole rapidità. Il risultato di una prima fase di lavoro riguarda l’acquisizione di oltre duemila immagini e l’informatizzazione dei restauri finanziati dall’IBC in due annualità della legge regionale per i musei (1993-1994) e potrà essere visibile al pubblico nei quattro giorni di apertura del Salone presso lo stand dell’IBC.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2003 - N.16]

Fin dalle origini il museo ha fondato la sua unica esistenza in ambienti chiusi e fortemente protettivi; è solo degli anni ottanta l’idea di ecomuseo, della musealizzazione attiva di un territorio

Fiamma Lenzi - Istituto Beni Culturali

Accostare al termine museo la specificazione all’aperto può apparire un autentico paradosso non solo perché nel sentire dei più il museo è per definizione un luogo confinato, ma soprattutto in ragione del fatto che sin dai suoi lontani esordi e nelle diverse fisionomie che ha assunto col tempo il museo ha sempre palesato connotati fortemente protettivi che, nella chiusura degli ambienti e nella reclusione degli oggetti, rimarcavano la selezione dei beni in chiave di eccellenza e di unicità testimoniale e manifestavano la volontà inequivocabile di sottrazione dal degrado e dalle criticità dei fattori esterni. La rivisitazione, anche per sommi capi, del cammino lungo e talora accidentato che la museografia ha percorso dal Cinquecento ad oggi, passando dall’esclusività del collezionismo pur sempre principio fondativo del museo stesso sino alle forme massivamente e sempre più sociali che questa istituzione ha assunto negli ultimi tempi, mostra che sino a circa venti o trenta anni fa, salvo rare eccezioni che qui non mette conto esaminare, il museo è sempre rimasto sostanzialmente intra muros. Quando e come si è determinato un radicale mutamento di atteggiamento? Cosa ha portato il museo fuori del museo? La comparsa nel 1974 del ben noto saggio di Andrea Emiliani Dal museo al territorio contrassegna con il valore di un vero manifesto programmatico il sostanziarsi di un processo che certamente non cominciava lì e in quel momento se non altro perché il volume raccoglie riflessioni e scritti di una intensa e continuativa esperienza sul campo ma che stava divenendo percezione condivisa e imprescindibile riferimento operativo. Se fosse quindi possibile fissare con la precisione dell’istante la smaterializzazione fisica e concettuale del museo non potremmo che porla in quegli anni, nei quali entro il medesimo flusso di pensiero maturava tra l’altro la nascita dell’Istituto e prendevano corpo nuovi modelli di tutela e di gestione dei beni culturali come visione unitaria e politica, ma non politicizzata, del patrimonio. La proiezione del museo al di là di se stesso ne ha automaticamente spostato l’attenzione conservativa e la funzione educativa dall’oggetto al contesto che lo ha espresso. Il museo ha preso a saggiare e a recuperare lo spazio fisico e geografico entro cui la vicenda umana è venuta dipanandosi, ha imparato a ricostruire la fitta trama di rimandi fra le forme antropiche e le forme naturali come testimonianza pregnante dell’intenso rapporto intrecciato dall’uomo con l’ambiente, attraverso i secoli e nelle loro reciproche influenze. La consapevolezza che l’inscindibilità del legame fra le espressioni dell’uomo e quelle dell’ambiente esige un giudizio storico unitario e richiede quindi omogeneità di intenti nelle attività di conoscenza e di interpretazione, indispensabili a qualsiasi dimensione progettuale ed operativa, è perciò alla radice stessa di una concezione della storia del territorio come risorsa alla quale attingere per valorizzare la realtà presente e fondare le trasformazioni future. Da allora, questa presa di coscienza continua a rappresentare l’elemento-guida di una complessa lettura del processo evolutivo territoriale, al cui punto terminale si pongono come collettori di testimonianze e come mediatori proprio i musei. Sempre più spesso, la progettazione museale si occupa e si preoccupa di far sì che le aree, sottoposte senza tregua a processi incalzanti di urbanizzazione e di sviluppo, mantengano i caratteri originari e conservino la propria memoria per contrastare i fenomeni inarrestabili di omologazione, di abbandono, di scadimento qualitativo. In altri termini, si potrebbe sostenere che il museo tout court non importa in quale veste esteriore fornisce elementi di conoscenza perché si utilizzino i caratteri propri del territorio per garantire una migliore vivibilità a chi vi abita. Vi si mettono in evidenza gli elementi di specificità storica e di pregio ambientale che daranno vita a nuove opportunità di frequentazione, di occupazione, di uso e di manutenzione dei contesti territoriali. L’idea di una preservazione e valorizzazione complessiva ed integrata delle testimonianze di cultura e natura intorno alla metà degli anni ottanta si intreccia strettamente e inevitabilmente con le politiche di protezione delle risorse e delle componenti naturali del territorio, trovando forse una delle espressioni più compiute e come tale autentico enunciato di una musealizzazione oltre il museo nei piani paesistici affidati dalla normativa alle regioni. Si consolida così una tutela integrale del paesaggio che attraverso un’analisi multidisciplinare del territorio, prende in esame simultaneamente non solo le caratteristiche paesistiche e ambientali ma anche le tracce della presenza dell’uomo, inserendo il patrimonio archeologico, architettonico, storico-artistico, demo-antropologico in un’unica e coerente linea interpretativa. E sebbene la legge-quadro nazionale sulle aree protette di poco successiva riveli almeno agli occhi di quanti operano nel campo dei beni culturali una impostazione prettamente naturalistica e un’attenzione decisamente più sfumata verso il tema dell’interazione storica uomo/ambiente, è pur vero che nel sistema regionale dei parchi e delle aree protette il riconoscimento di questi aspetti ha un peso significativo e che i parchi stessi sono tali in quanto considerati sistemi territoriali in cui anche le componenti storico-culturali concorrono alla scelta di una gestione e di una organizzazione unitaria. L’esternalizzazione del museo e i principi di una conservazione globale sono dunque le naturali premesse della nascita di una museografia all’aperto, scevra da vincoli strutturali, che nelle prime realizzazioni si è declinata secondo sfumature diverse, ma comunque tendenti a coagularsi intorno ad una sorta di bipolarismo fisionomico, con non pochi ibridi e forme intermedie. Il primo il modello dell’ecomuseo per dirla con Giovanni Pinna è l’espressione di una comunità attraverso la musealizzazione attiva delle componenti storico-antropiche e naturali del territorio in cui essa è insediata. Questo modello privilegia come campo di osservazione principale la matrice ambientale, analizzata attraverso i suoi connotati originali e soprattutto nelle sue molteplici connessioni antropiche che derivano dal diuturno interagire delle comunità umane sulla natura e dalle modificazioni introdotte dall’uomo su di essa, specialmente nel corso delle attività produttive e di sussistenza. All’altro capo, ma non in contrapposizione, sta l’idea del museo diffuso che sembra rispondere piuttosto alla logica di collegare fra loro in prospettiva storica o paesaggistica una serie di testimonianze eterogenee della cultura materiale ed artistica dell’uomo, di specificità territoriali, di elementi ed emergenze naturalistiche disseminate all’interno di un territorio dato, esaltandone i legami di senso e restituendo loro unità di spazio e di tempo. Oggi, nelle fasi che possiamo considerare conclusive del processo che ci ha portato a conquistare uno spazio museografico più ampio e complesso, facendo sedimentare nell’opinione comune il concetto di una musealizzazione allargata ove il passato e il presente si saldano con il futuro in un continuum spazio-temporale, si affaccia ineludibile il problema di come costruire una comunicazione efficace ed adeguata per queste nuove forme di museo. Chi opera nell’ambito della didattica e della comunicazione museale sa infatti quanto sia difficoltoso parlare al proprio pubblico perfino nel museo più tradizionale, in un museo-opera chiusa come lo definirebbe Emiliani. Perché il museo intra muros o open air serba sempre intatto, né dovrà mai accettare che gli sia sottratto, il compito fondamentale di essere costruttore, interprete e trasmissore di identità.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2002 - N.13]

Una meta che l’IBC si è posta e che il percorso formativo di Ravenna su "la qualità nella pratica educativa al museo" tenta di raggiungere

Margherita Sani - Istituto Beni Culturali

Parlare di standard con riferimento ai musei è diventato in Italia uno dei temi più frequentemente dibattuti in contesti pubblici, quali convegni, seminari o corsi di formazione e aggiornamento per operatori. Di standard per i musei tuttavia, non solo si parla, ma molto si è già cominciato a fare nel senso di una loro reale definizione e applicazione, in particolare ad opera delle amministrazioni regionali e più recentemente anche degli organi statali. Non è questa la sede per ripercorrere la vicenda che a partire dal Dlgs. 112/98 ha visto l’introduzione del concetto di standard relativamente ai beni culturali nel contesto italiano. Da quel testo di legge, come è noto, è nato il gruppo di lavoro coordinato dalle Regioni il cui documento conclusivo rilasciato nel settembre 1999 ha costituito la base per gli ulteriori approfondimenti messi a punto dalla commissione di prevalente composizione ministeriale, cui si deve la produzione nel maggio 2001 dell’Atto di indirizzo Criteri tecnico-scientifici e standard per i musei, divenuto per tutti il riferimento ineludibile in materia. Al momento diversi sono i soggetti istituzionali che stanno indirizzando i loro sforzi a dare concretezza agli standard, traducendoli da mere dichiarazioni di principio in riferimenti concreti all’interno di sistemi di riconoscimento o accreditamento sviluppati per lo più a livello regionale. Partendo dal documento ministeriale, i requisiti che i musei devono dimostrare di possedere per poter godere dello status di accreditato o riconosciuto afferiscono a otto ambiti: status giuridico, assetto finanziario, strutture, personale, sicurezza, gestione delle collezioni, rapporti con il pubblico e relativi servizi, rapporti con il territorio. Da oltre un anno, tramite il lavoro di sottocommissioni, l’Istituto Beni Culturali ha avviato, secondo quanto disposto dalla L.R. 18/2000, il lavoro di definizione di standard e obiettivi di qualità per musei, biblioteche e archivi, che dovrebbe tradursi ben presto in un atto di indirizzo approvato dalla Giunta Regionale. Particolare attenzione, nel caso dei musei, è stata rivolta ai servizi educativi e alla didattica, nella consapevolezza che il compito di mediazione culturale che un museo può svolgere nei confronti dei suoi diversi pubblici è assolutamente centrale e che forse ancora troppo poco si fa per valorizzare il potenziale educativo e comunicativo di molti istituti. Gli standard sono da intendersi in primo luogo come strumento per innalzare il livello qualitativo dei servizi museali nel nostro territorio e questo richiede sia da parte dell’ente regionale che delle altre amministrazioni un impegno a sostenere i musei nel percorso di adeguamento, anche tramite il ricorso a misure di accompagnamento, prima fra tutte la formazione degli operatori. In quest’ottica, e proprio per cogliere l’opportunità del momento e anticipare quanto dagli standard verrà richiesto ai musei in termini di prestazioni e al personale in termini di professionalità, è stato avviato dal settembre scorso il percorso formativo La qualità nella pratica educativa al museo, che si rivolge a circa 50 operatori della didattica museale in ambito regionale. Il corso, organizzato dalla Provincia di Ravenna-Settore Beni e Attività Culturali in collaborazione con l’Istituto Beni Culturali della Regione Emilia Romagna, ha una durata di 70 ore, di cui 54 in aula e 16 da impiegarsi in attività di studio individuale. Obiettivo prioritario del corso è sviluppare alcune delle competenze che confluiranno nel profilo di Responsabile dei Servizi Educativi, tra cui la progettazione e la valutazione delle attività educative, anche in relazione alle diverse necessità delle varie fasce di utenza (scuola, infanzia, adolescenza, adulti e anziani, disabili, ecc.), la costruzione e l’impiego di strumenti per conoscere i visitatori e valutarne la soddisfazione, la conoscenza e il corretto utilizzo delle strategie di comunicazione. Al termine del corso e dopo il superamento di una prova finale verrà rilasciata ai partecipanti una Dichiarazione di Competenze. Questo documento costituisce uno degli strumenti messi a punto dall’Ente Regionale – in linea con le direttive comunitarie – per certificare le capacità acquisite da un soggetto, sia in contesti formativi che all’interno di situazioni lavorative e che rappresenterà in un futuro molto prossimo la moneta di scambio per muoversi con maggiore flessibilità nel mercato del lavoro non solo in ambito locale, ma anche a livello europeo.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2002 - N.15]

Il fondo storico, la biblioteca del Museo Archeologico e il patrimonio moderno del Museo d’Arte costituiscono un formidabile patrimonio librario e di documentazione

Isabella Giacometti e Beatrice Orsini - Istituto Beni Culturali

Il 21 maggio si è svolto a Bologna, su iniziativa dell’Istituto, il workshop Sistemi museali esperienze a confronto, che ha visto la partecipazione di operatori del settore e di funzionari dell’amministrazione pubblica riuniti dal comune interesse di conoscere ed approfondire questo tipo di organizzazione, di cui oggi si parla molto. I relatori sono stati chiamati a presentare le loro realtà secondo un ordine che permettesse di fornire agli uditori un quadro chiaro ed esaustivo dei processi che hanno portato a pensare e a realizzare questi progetti, sviluppando nei loro interventi alcuni punti focali fra cui: gli obiettivi del sistema museale, la forma giuridica scelta, la composizione della struttura organizzativa, i criteri di gestione delle risorse umane, finanziarie e patrimoniali, le attività realizzate, per concludere con la valutazione dei risultati raggiunti e con una riflessione sulle opportunità e minacce future. Seguendo questa traccia, i relatori si sono succeduti per "raccontare" la loro esperienza e per mettere a confronto i diversi modelli di sistemi museali esistenti. Dopo una breve introduzione sulle ragioni dell’incontro analizzate da Laura Carlini del Servizio Musei IBC, i lavori si sono aperti con l’intervento di Francesca Bruni del Comune di Bologna, che ha riferito i risultati raggiunti negli ultimi anni da Bologna dei Musei, evidenziando l’importante contributo che il progetto Bologna 2000, città Europea della Cultura ha offerto per lo sviluppo del sistema museale cittadino. Un altro esempio, sempre legato all’ambito cittadino è stato presentato da Luca Zan dell’Università di Bologna, che ha esposto l’ipotesi progettuale relativa ai musei di Milano, da riunirsi in una grande fondazione di partecipazione. Per l’area toscana Silvia Guideri ha illustrato il modello gestionale innovativo della Parchi Val di Cornia S.p.A., volto a promuovere la conoscenza e la valorizzazione di aree archeologiche e di ambienti naturali fino ad oggi trascurati, che con una struttura mista pubblico-privata si è data lo scopo di gestire in forma integrata il sistema dei parchi. Diverso è apparso invece il caso del sistema museale Agno-Chiampo, esposto da Roberto Ghiotto del Museo Civico "G. Zannato" di Montecchio Maggiore nel vicentino. La sua peculiarità consiste nella realizzazione di un unico museo per il territorio occidentale della provincia, che ha risolto il problema della dispersione delle risorse in tante piccole realtà difficili da gestire. A conclusione della sessione antimeridiana Andrea Zifferero, dell’Università di Siena, ha puntato l’attenzione sulle potenzialità offerte dalla realizzazione di sistemi museali di parchi e musei archeologici, minerari e naturalistici, sottolineando la mancanza di un loro riconoscimento giuridico. Nell’opinione dello studioso la realizzazione di un parco va considerata un modo per valorizzare un territorio dal punto di vista archeologico riconoscendone il valore di risorsa non solo culturale, ma anche e soprattutto economica. In questa linea di pensiero si inserisce ad esempio il progetto Strada del Vino "Colli di Maremma", che si prefigge di ridurre la frattura tra il paesaggio odierno della Maremma e la sua storia, evitando di proporre l’archeologia esclusivamente come "paesaggio di rovine". Preceduto da un breve saluto agli intervenuti della Vicepresidente della Regione, Vera Negri Zamagni, il pomeriggio è stato dedicato all’analisi dei sistemi museali attivi in Emilia-Romagna. Con la legge 20 la Regione ha infatti prefigurato la creazione di sistemi museali sin dai primi anni Novanta, favorendo in tal modo la costituzione a livello provinciale dei primi sistemi a Rimini (1993), Ravenna (1995 - 96) e Modena (1998). L’esperienza riminese, presentata da Rita Giannini, rimane significativa poiché la nascita del sistema museale ha preceduto quella della Provincia, dimostrando il desiderio di valorizzare il patrimonio culturale tramite un’integrazione fra saperi, competenze ed esperienze per la creazione di un modello organizzativo territoriale unitario. La stessa idea sta alla base del sistema della Provincia di Ravenna illustrato da Gianfranco Casadio, che prende le mosse dal progetto STIMMA, un’indagine conoscitiva finalizzata alla creazione di una banca dati del patrimonio culturale presente sul territorio. Questa attività ha costituito il punto di partenza e, in un certo senso, gettate le basi per un sistema museale provinciale, il cui scopo è quello di promuovere la rete dei musei locali al fine di permettere alle piccole realtà di poter usufruire di servizi che non avrebbero potuto attuare in modo autonomo. Il più "giovane" fra i sistemi provinciali, descritto da Lauretta Longagnani, è sicuramente quello di Modena a cui aderisce una diversificata articolazione di musei. La sua nascita ha permesso alla realtà museale provinciale di compiere un salto di qualità, aumentando la capacità di attrazione del proprio patrimonio culturale. Un’esperienza a se stante è infine rappresentata dall’Associazione Intercomunale della Bassa Romagna illustrata da Mario Mazzotti, primo cittadino di Bagnacavallo, il quale ha riferito le motivazioni di questa scelta, nata dall’accorpamento di dieci comuni allo scopo di coordinare le istituzioni e le attività culturali, favorendo una maggiore rapidità nella realizzazione dei progetti. I testi degli interventi e gli statuti dei vari sistemi museali sono disponibili sul sito Internet dell’Istituto all’indirizzo: www.ibc.regione.emilia-romagna.it.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2002 - N.14]

L'IBC ha attivato fin dal 1980 una capillare ricerca nel settore dei patrimoni artistici e architettonici delle Opere Pie e delle ASL della regione che ha portato alle mostre di Piacenza e Bologna e, nel 1998-99 nella provincia di Ravenna, a Lugo, Bagnacavallo e Faenza

Micaela Guarino e Gabriella Lippi - Istituto Beni Culturali

Censire e analizzare l'architettura ospedaliera rapportata agli aspetti funzionali e di destinazione d'uso nel tempo, siano essi mantenuti o mutati, era l'obiettivo del progetto europeo annuale Paphe che si concluderà con un colloquio internazionale in programma a Parigi per il prossimo dicembre. Presupposto del progetto era la consapevolezza che tale patrimonio, spesso di notevole interesse artistico, è al tempo stesso strettamente legato alla storia culturale e sociale dell'Europa e fortemente soggetto al rischio di manomissione o scomparsa, anche per via delle trasformazioni in atto negli assetti sociali e sanitari. Al progetto Paphe, acronimo di Présent et Avenir du Patrimoine Hospitalier Européen, partecipano istituzioni regionali di sette paesi europei, ciò che rimarca le possibilità di collaborazione non solo tra gli Stati ma anche tra le istituzioni che appaiono maggiormente radicate ai territori di riferimento. Così, ad esempio, la Francia partecipa considerando principalmente l'Ile de France, mentre la Spagna presenta la situazione relativa alla Catalogna. Per l'Italia, dove oggetto di studio sono le architetture ospedaliere dell'Emilia-Romagna, il partner del progetto è l'Istituto per i beni culturali. Il colloquio di fine anno segnerà un punto di arrivo e insieme di partenza. Rappresenterà infatti la conclusione di una serie di attività che nel breve arco di un anno hanno prodotto risultati tangibili come la realizzazione di una guida a stampa dei luoghi ospedalieri europei (una cinquantina, scelti tra i più significativi in rapporto alle accennate finalità del progetto) e l'approntamento e l'implementazione di un sito web, aperto a futuri aggiornamenti e integrazioni, che presenta un primo censimento delle architetture. Contemporaneamente costituirà un possibile punto di partenza per auspicabili futuri progetti di livello europeo e, in ogni caso, per una nuova fase di studi. Per quanto riguarda la nostra regione, questo ulteriore passo può far leva su una rilevante esperienza istituzionale sul fronte della conoscenza e valorizzazione di quei patrimoni culturali che testimoniano e scandiscono le vicende assistenziali e sanitarie; dei patrimoni costituiti oltre che dai beni architettonici, anche da quelli artistici, storici, documentari e librari, nella restituzione di un contesto storico utile a orientare progetti di valorizzazione e d'uso. A questo proposito è appena il caso di ricordare che l'Ibc vanta al suo attivo una pionieristica ricerca che nel 1980 diede vita a pubblicazioni ed eventi espositivi di rilievo. Le mostre di Piacenza e Bologna, che presentavano i patrimoni delle opere pie in un particolare momento di ridefinizione degli assetti proprietari, si imponevano per l'approccio metodologico finalizzato a evidenziare il collegamento delle singole opere con i contesti di origine e con le funzioni che quei luoghi e quelle istituzioni avevano svolto. Più di recente, a partire dalla costituzione nella nostra regione delle Aziende Usl, e quindi in occasione di un altro passaggio proprietario per un considerevole numero di patrimoni culturali, tale orientamento è stato ripreso dall'Istituto per i beni culturali. Nella provincia di Ravenna, in particolare, la collaborazione con l'Azienda sanitaria e il successivo supporto della Soprintendenza per i beni artistici e culturali di Bologna, competente anche per il territorio ravennate, ha reso possibile la presentazione dei risultati di attività di conoscenza, conservazione e valorizzazione di opere d'arte attraverso la realizzazione di due mostre che hanno avuto luogo rispettivamente a Lugo e Bagnacavallo, nel 1997, e a Faenza, nel 1999-2000. Nella stessa provincia si procede attualmente sulla strada della valorizzazione intrapresa, ricercando e attuando soluzioni espositive permanenti delle opere che evidenzino il loro pregnante collegamento con il contesto ambientale e architettonico di riferimento. È il caso dell'Ospedale di Faenza dove già è esposta e visitabile gran parte delle collezioni di pertinenza e dove è in atto il recupero architettonico della chiesa annessa, parte integrante della struttura sanitaria. Da segnalare è un altro esempio di collaborazione dell'Istituto con le Aziende sanitarie, concretizzatosi nel censimento dei beni artistici del territorio ferrarese, punto di partenza per future attività di studio e valorizzazione. Accanto a queste attività perseguite dall'Ibc, assume particolare rilievo l'azione, condotta con maggiore autonomia dall'Azienda sanitaria Città di Bologna, che ha attivato molteplici collaborazioni scientifiche e finanziarie per il pieno recupero del complesso monumentale di Santa Maria della Vita e per la costituzione a Bologna del Museo della Sanità e dell'Assistenza in un luogo da decenni abbandonato al degrado e assegnato a usi impropri. Nonostante questi esempi (e alcuni altri dei quali non si può qui per brevità dar conto), il quadro delle condizioni dei patrimoni culturali delle Aziende sanitarie non può dirsi confortante. È evidente che le loro prioritarie finalità assistenziali raramente consentono la dovuta attenzione agli aspetti di salvaguardia dei beni. Quest'ultima tuttavia si impone anche per orientare i processi innovativi, che non possono prescindere da una puntuale conoscenza della propria storia istituzionale, testimoniata in modo pregnante dalle opere. Per far fronte a un impegno particolare e straordinario, in grado di promuovere e coordinare le iniziative locali, è dunque apparso necessario un sostegno e insieme uno stimolo alle Aziende da parte delle istituzioni regionali. Con il seminario tenutosi a Bologna nel marzo 2000, nell'Oratorio di Santa Maria della Vita, promosso dagli Assessorati alla Sanità e alla Cultura della Regione Emilia-Romagna e dall'Istituto per i beni culturali, si è voluto quindi organizzare un momento di riflessione e una prima rassegna delle diverse realtà, per poi proseguire con la costituzione di un gruppo di lavoro tecnico regionale. Una prima fase di attività del gruppo ha portato alla ricognizione della consistenza patrimoniale e ha fatto emergere le esigenze d'intervento su scala regionale e locale. Il progetto elaborato potrà trovare attuazione nei prossimi anni, con tappe caratterizzate dalle priorità che la Regione vorrà indicare, esprimibili con diverse modalità d'azione: sul piano degli approfondimenti conoscitivi con censimenti e catalogazioni, sul piano della conservazione e restauro per le situazioni più a rischio o degradate, e infine su quello della valorizzazione con manifestazioni espositive e costituzione di luoghi di conservazione permanenti. Una complessiva attività che si rivolgerà a tutte le tipologie di beni che compongono il patrimonio per restituirci, per quanto possibile, insiemi, contesti, luoghi significativi. E in quest'opera grande rilevanza non potranno non avere lo studio e la conservazione delle architetture, sia in quanto testimonianza delle attività lì esercitate e mutate nel tempo, sia per la funzione di "contenitori" di opere d'arte e di storia che svolgono o potranno svolgere.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2001 - N.12]

Presentato il 24 novembre scorso, in una giornata di studi, la complessa operazione di catalogazione informatizzata condotta presso il MIC dal 1993 al 1997

Micaela Guarino - Funzionario IBC, coordinatrice intervento catalogazione informatizzata presso il MIC di Faenza

Un'operazione complessa, così si può definire la catalogazione informatizzata condotta su opere del Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza nel quinquennio '93-'97 con i contributi della legge regionale 20/90 sui musei di ente locale o di interesse locale. L'intervento, coordinato dall'Istituto per i Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna e realizzato grazie alla collaborazione con i funzionari e gli operatori del MIC e alla gestione operativa del Centro regionale di catalogazione e documentazione CRC, è stato presentato il 24 novembre scorso nella giornata di studi Per una nuova gestione dei beni museali in ceramica svoltasi presso la sede del museo faentino alla presenza, tra gli altri, del direttore dell'Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, arch. Polichetti. Obiettivo della giornata era illustrare l'intera operazione agli addetti ai lavori - musei, università, enti locali, studiosi, ecc. - e proporre all'adozione dell'Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione del Ministero per i Beni e le Attività gli strumenti catalografici prodotti come contributo dell'attività regionale di catalogazione. Fin dalla fase di progettazione si era pensato di costruire sperimentalmente una scheda specifica di approfondimento per la catalogazione della ceramica, ancora assente dai modelli ministeriali, e di cogliere tutte le ulteriori potenzialità insite in tale operazione. Il lavoro ha visto la partecipazione di soggetti, ruoli e competenze diverse che hanno contribuito a definire in modo integrato le diverse componenti dell'intervento catalografico informatizzato, le cui metodologie ed aspetti gestionali sono stati illustrati dalla sottoscritta nella relazione introduttiva. La tipologia ceramica, rientrando negli ambiti disciplinari storico-artistico e archeologico, ha posto prima di tutto un problema di individuazione della scheda generale cartacea e informatizzata cui far riferimento, facendo optare per l'adozione della scheda ministeriale OA "opere d'arte" integrata con campi della RA "reperti archeologici" e con altri di nuova formulazione o adattati alle esigenze proprie dei materiali ceramici. Si è proceduto all'individuazione di strumenti di riferimento per una resa omogenea della catalogazione a partire dal modello di classificazione cronologico-stilistica identificandolo nelle terminologie derivabili dalla storiografia faentina fra XIX e XX secolo, entrate nel linguaggio corrente di ceramologi e ceramisti e illustrate dal direttore del MIC Gian Carlo Bojani. Il lavoro più innovativo e cospicuo cresciuto sul campo è consistito nella ricerca e nell'adozione della terminologia più corretta ed esauriente per definire gli aspetti relativi ai campi "materia e tecnica" e "conservazione e restauro", anche alla luce di quanto era stato fatto in questo campo dalla Commissione UNI-Normal "ceramiche e vetri". Oltre che su questi aspetti, la consulente del MIC Anna Maria Lega ha relazionato sul glossario e sul vocabolario di controllo realizzati durante la catalogazione. A quegli strumenti va aggiunto il "manuale di compilazione" che integra quello ministeriale relativo alle schede OA con le indicazioni riguardanti le modifiche e le innovazioni apportate nel corso dell'intervento faentino. Cresciuto e verificato in corso d'opera, il manuale ha garantito al lavoro un buon livello di omogeneità e potrà in questo senso risultare utile anche nelle successive fasi di approfondimento. Aspetti di "investimento" ha comportato anche la parte relativa alla documentazione fotografica fatta precedere da un intervento formativo specifico sulla ripresa fotografica dei manufatti ceramici, rivolto agli schedatori e condotto da Riccardo Vlahov dell'IBC che ne ha relazionato; tale scelta teneva conto dell'esistenza di un laboratorio fotografico e delle relative attrezzature tra le strutture del MIC. Riguardo al formato, si è optato per diapositive a colori 24x36, kodak photo cd e stampe cyba in considerazione della documentazione già esistente in museo e del buon rapporto costi-benefici. Per l'informatizzazione delle schede cartacee si è fatto ricorso al programma Odysseus dell'IBC per la gestione informatizzata della normativa catalografica dell'ICCD, strumento caratterizzato da un alto grado di flessibilità e dalla possibilità di abbinamento testo-immagini della cui adozione ha parlato il responsabile del centro di documentazione Alessandro Zucchini. Raffaella Gattiani di CRC ha illustrato le fasi operative del progetto che hanno consentito la verifica della uniformità dei dati catalografici in relazione alla normativa ministeriale e della correttezza dell'operazione data entry, la digitalizzazione delle immagini, il collegamento schede/immagini, fino alla consegna al Museo del prodotto finito. Due approfondimenti al progetto generale hanno riguardato la catalogazione dei frammenti di maiolica italo-moresca, argomento trattato dal conservatore del MIC Carmen Ravanelli Guidotti, e i lessici storici della ceramica. Su quest'ultimo punto l'IBC ha avviato una ricerca sulla terminologia faentina, condotta su fonti bibliografiche e documentarie locali secondo una metodologia illustrata dalla ricercatrice Raffaella Cattinari. Alcune dimostrazioni sul lavoro svolto sono state effettuate da Elisabetta Alpi del MIC. Uno degli aspetti conclusivi più interessanti di un tipo di lavoro come questo, e quindi un punto da considerare fin dall'impostazione del progetto, è quello della destinazione finale di dati e immagini. Possono esistere diversi livelli di fruizione a seconda degli utenti - lo studioso, lo studente, il turista, il bambino, il collezionista, l'artigiano, ecc. - e anche diversi strumenti di divulgazione di tali informazioni. Il consulente MIC Claudio Casadio si è soffermato su alcune delle possibilità di utilizzo rivolto all'esterno, come prodotti editoriali o visite virtuali accessibili via internet, o all'interno, come quelli con finalità gestionali utilizzabili via intranet. L'intervento quinquennale ha prodotto a livello di precatalogo e in parte di catalogo 2798 schede riguardanti le maioliche faentine dal Medioevo al Novecento, con la relativa documentazione fotografica ammontante a 7241 diapositive e relativi kodak photo-cd; a livello inventariale, l'informatizzazione di tutte le schede cartacee inventariali del Museo, escluse le schede già sottoposte a precatalogazione. Le potenzialità di un intervento catalografico informatizzato sono molteplici. A Faenza l'operazione ha reso possibile la riunificazione dei diversi inventari in un'unica sede consentendo al tempo stesso una lettura più immediata della situazione patrimoniale. Sul fronte gestionale mette a disposizione una topografia informatizzata con possibilità di localizzazione immediata delle opere, comprese quelle in prestito per ragioni espositive. Rende possibile la realizzazione di diversi livelli di stampa e di fruizione delle informazioni in grado di rispondere sia a necessità gestionali (attività espositive, di manutenzione e restauro) sia a esigenze di studio espresse direttamente o per via telematica (una mole di dati omogenei informatizzati consente allo studioso ricerche incrociate e confronti molto agevoli e veloci). Vanno quindi considerati gli effetti più ampi del modello metodologico prescelto. Un intervento come quello descritto costringe il museo titolare delle opere a una riflessione sulle proprie esigenze e sulle eventuali problematicità, impegnandolo in un lavoro di progettazione e programmazione che può implicare anche dei cambiamenti nell'organizzazione generale del lavoro. Un'esperienza come questa può quindi contribuire anche alla diffusione di una cultura organizzativa più efficace ed efficiente, di un modello lavorativo più innovativo, in sintonia con le attuali tendenze nella pubblica amministrazione. Micaela Guarino Funzionario IBC, coordinatrice intervento catalogazione informatizzata presso il MIC di Faenza

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2001 - N.10]

Pubblicato dall'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna un volume che censisce i musei della regione e da cui risulta che i musei romagnoli sono il 34,2% del totale

Orlando Piraccini - Soprintendenza Beni librari e documentari dell'IBC

E chiamiamola Romagna dei Musei. I numeri, in effetti, parlano da soli. Dei 363 istituti museali censiti e pubblicati dall'Istituto per i Beni Culturali nel suo più recente repertorio (cfr. Musei in Emilia-Romagna, Compositori, Bologna 2000), ben 97 hanno sede nei territori provinciali di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini. Con Imola ed il suo territorio si giunge a quota 106. Sul totale regionale la Romagna è dunque accreditata di una percentuale nell'ordine del 34,2 per cento. Ma vediamole nel dettaglio queste quote. Cominciando dalla distribuzione: dove sono, per cominciare, i Musei di Romagna? Ebbene, nella mappa museale sono indicati 46 Comuni. Qui, per i beni culturali, vi sono una o più case. In testa a tutti Ravenna e territorio (9), seguono Forlì (8), quindi Cesena, Faenza, Imola, Rimini (6), la piccola Longiano (4). Cesenatico, Riccione, Santarcangelo di Romagna, Verucchio, Brisighella e Russi contano tre punti musei; 2 per Borghi, Modigliana, Sarsina, Cattolica, Montefiore Conca, Alfonsine, Bagnacavallo, Cervia, Lugo, Massa Lombarda, Dozza Imolese. Ma nel sistema territoriale entrano anche Bagno di Romagna, Bertinoro, Castrocaro, Forlimpopoli, Galeata, Premilcuore, San Mauro Pascoli, Santa Sofia, Savignano sul Rubicone, Bellaria, Gemmano, Mondaino, Montescudo, San Giovanni in Marignano, Poggio Berni, Bagnara, Casola Valsenio, Castel Bolognese, Cotignola e, per l'imolese, Castel del Rio. Sono dunque 45 i territori comunali della rete museale romagnola. Una rete a maglie fitte, ma anche a trama variegata se si guarda ai campi tipologici. Più numerosi di tutti, naturalmente, sono i musei d'arte: ben 32. Seguono quelli di antichità (18), quelli d'interesse demo-antropologico (17), quelli storici (15) con una preminenza di raccolte risorgimentali e belliche; seguono i musei naturalistici (11), quelli della tecnica e della scienza (8) e, infine, le cosiddette case-musei (5). Ancora numeri, per dire delle pertinenze, ovvero dei gestori degli istituti museali di Romagna. Numeri che parlano a favore degli Enti locali, titolari di 73 tra pinacoteche, gallerie e musei; 15 i privati e le associazioni a vocazione pubblica, 2 le fondazioni, 12, infine, i nuclei - tutti d'arte sacra - in giurisdizione ecclesiastica. Ma passiamo ora a quella che potrebbe essere chiamata la "carta dei servizi". Proviamo a vedere come vengono fruiti dal pubblico i musei romagnoli del duemila. Cominciamo (salvo un caso per il quale non si hanno dati di riferimento) dalle modalità d'apertura: 64 sono i musei ad orario fisso (anche se in molti casi le visite sono limitate ai soli giorni festivi o a ristrette fasce giornaliere), 32 quelli agibili su richiesta o mediante prenotazione; 10 sedi museali sono attualmente chiuse per ristrutturazioni, riordini delle raccolte, nuovi assetti espositivi. In 38 musei si entra a pagamento (previste in molti casi le riduzioni di rito), in altri 58 l'ingresso è libero; 55 istituti garantiscono (non sempre, però, con regolarità) servizi di visite guidate; 35 offrono book e/o gift shop (più o meno forniti). In 27 musei il visitatore ha a disposizione spazi attrezzati per lo studio e la consultazione di apparati librari e documentari, ma solo in uno si può anche bere (se si vuole) un caffè. Numeri bassi anche per gli accessi facilitati, realizzati a rigore di legge in solo 7 casi. Una risposta si dovrebbe ora al lettore che certo si aspetta una qualche segnaletica che lo indirizzi verso quelli che possono essere ritenuti - quantomeno per le ricchezze patrimoniali, più ampiezze adeguate di spazi espositivi, più qualità degli ordinamenti e più dotazione di servizi - i maggiori tra i musei indicati nella mappa romagnola. Ma per questo, si sa che mancano appositi standard di valutazione. E allora? Può dire qualcosa una "top ten" stilata da chi di recente è stato utente museale in funzione del "Repertorio IBC"? Comunque sia, ma con beneficio di inventario, ecco l'indice dei graditi (all'estate 2000): primo, Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza; secondo, Museo della Città di Rimini; terzo, Museo degli Usi e Costumi della Gente di Romagna di Santarcangelo di R.; quarto, Museo Civico Archeologico di Verucchio; quinta, Fondazione Tito Balestra di Longiano; sesto, Museo Naturalistico della Riserva Naturale di Inferno; settima, Pinacoteca della Cassa di Risparmio di Cesena; ottava, Pinacoteca Comunale di Imola; nono, Museo Nazionale di Ravenna; infine pari merito per due case museo: Il Cardello di Casola Valsenio e Casa Moretti di Cesenatico. Ma onore ad alcuni piccoli musei che hanno saputo rinnovarsi in quest'ultimo periodo; onore, per esempio, a Modigliana, con la Pinacoteca Comunale "Silvestro Lega", onore a Brisighella che ha dedicato al suo talentuoso disegnatore Giuseppe Ugonia il suo Museo Civico, onore a Castel Bolognese che, tra archeologia e buona pittura di secondo Ottocento (quella, per intenderci del "locale" Giovanni Piancastelli) ha fatto nascere un nuovo Museo Civico, onore a Cattolica con il Museo della Regina che comprende archeologia e marineria, onore a Forlimpopoli che nella rocca comunale ha rigenerato il proprio Museo Archeologico, onore a Imola ed al lavoro svolto in Palazzo Tozzoni, onore alla premiata Ditta Neri che a Longiano ha costituito il Museo della Ghisa. E le 'maglie nere'? Una (Pinacoteca Comunale di Faenza) per tutti quei casi di 'temporaneamente chiuso al pubblico'. Per i progetti, lode (se i tempi di realizzazione saranno rispettati) alla Pinacoteca Comunale di Ravenna in espansione, al Museo della Marineria di Cesenatico che avrà una 'sezione a terra', al Museo delle Miniere di Zolfo di Formignano, con suggestione, ma per ora sulla fiducia, alla quasi nata Galleria Comunale d'Arte Moderna nella 'liberty house' di villa Franceschi a Riccione, a Lugo che vedrà prossimamente costituita (nell'antica rocca) la Pinacoteca Comunale. Alcune tra le urgenze più appariscenti? Sono quelle di Forlì con i Civici Musei che aspettano il San Domenico risanato; sono quelle di Cesena, con una Pinacoteca Comunale miracolosamente risorta vent'anni fa, ma già diventata troppo stretta per una città che si considera medio-grande; sono quelle di Sarsina con il suo Museo Archeologico Nazionale, un museo d'eccezione, ma che per difetto di promozione troppo pochi (a cominciare dai Sarsinati) ancora oggi conoscono. La Romagna dei Musei è grande. Ma la Romagna, per essere sana e bella, di terapie adeguate e di plastiche facciali ha ancora bisogno.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2000 - N.9]

Un repertorio per l'Emilia-Romagna pubblicato dall'IBC e nato dall'esperienza maturata nello spirito della legge regionale 20/90

Marina Foschi - Istituto Beni Culturali

Il repertorio dei musei regionali appena pubblicato dall'IBC, concludendo da un lato un decennio di vigenza della legge regionale 20/90, fissa anche l'esito di forti cambiamenti in tutto il settore, riscontrabili in ogni paese e in ulteriore evoluzione. Trasformazioni significative sono avvenute e sono in corso nelle maggiori istituzioni regionali già consolidate: nella domanda e nell'offerta di servizi, negli obiettivi, nei rapporti fra proprietà e gestione, nella direzione e nel personale, nei cambiamenti di sede e di allestimenti. Maggiore considerazione, rispetto al passato, è rivolta alle realtà minori, divenute orgoglio delle comunità, ma difficilmente garantite per una gestione duratura. La guida Electa curata da Ranieri Varese nel 1984 aveva rappresentato il primo atto divulgativo di ricognizioni e ricerche promosse dall'Istituto a dieci anni dalla sua nascita. L'anno successivo uscì la prima indagine statistica comprensiva di musei e raccolte, che utilizzava i dati sistematici del questionario compilato negli anni precedenti per fornire indirizzi alla legge prevista, che sarebbe entrata in vigore nel 1990. È significativo il divario fra il numero di musei descritti nella guida di Varese (122) e quello dell'indagine, che aveva individuato 204 musei e 307 raccolte. Conoscenza e visibilità, riordino e programmazione conservativa furono le principali attività dell'Istituto nel primo periodo. L'obiettivo - per citare la presentazione scritta da Giuseppe Gherpelli per la guida - era allora quello di "determinare uno sviluppo omogeneo e coordinato delle istituzioni museali emiliano-romagnole". Nel 1991 uscì l'indagine nazionale di Daniela Primicerio per il Ministero del bilancio e della programmazione, che sottolineava l'aspetto dei musei come "patrimonio sommerso" e indicava, attraverso comparazioni statistiche per regione e per provincia, alcuni indirizzi programmatici riferiti a quantità, a tipologie e alla funzionalità degli istituti, individuando la chiave di lettura nei rapporti con la città. Negli anni Novanta, insieme con la maggiore attenzione al valore patrimoniale dei beni, si è assistito ad una sorta di inversione nella loro considerazione presso l'opinione pubblica, al loro proliferare (con un incremento medio superiore al trenta per cento in Europa), ma, al tempo stesso, ad una minore attenzione verso i problemi conservativi rispetto a quelli gestionali e allo sviluppo di alcuni settori più innovativi. A questo periodo corrisponde in Emilia-Romagna la gestione della legge 20/90. Nonostante le difficoltà crescenti nei meccanismi di spesa e la differenza fra esigenze e finanziamenti disponibili, che hanno finito col prevalere sulle finalità programmatiche, questa legge ha sostenuto l'azione di conoscenza, adeguamento e conservazione precedentemente individuata come obiettivo; ha indotto atteggiamenti più consapevoli nei detentori e nei fruitori ed ha promosso, ove le forze locali apparivano più ricettive, un'organizzazione per sistemi tendenti a supportare le realtà più deboli e a promuovere l'immagine complessiva. Se l'organizzazione della spesa degli enti locali non premia generalmente gli investimenti a lungo termine sui beni culturali, è pur vero che la presenza dell'Istituto ha incrementato il valore e l'efficacia dei finanziamenti con un'azione capillare di supporto tecnico e scientifico. Il nuovo repertorio, che raccoglie i risultati della seconda ricognizione sistematica compiuta dall'Istituto nel 1995, testimonia anche, per certi versi, l'effetto di generale consolidamento delle strutture sparse nel territorio e la riorganizzazione dei principali poli, nell'esercizio della legge. I dati del 1995 furono raccolti in indici e in sintesi statistiche e su quella base i singoli musei furono affidati ai funzionari dell'IBC competenti per settore, con il compito di produrre schede descrittive aggiornate e idonee alla pubblicazione divulgativa. Tuttavia l'evidenza del quadro in evoluzione fece subito riflettere sulla necessità di completare e rivedere le informazioni. Inoltre, sembrò opportuno uniformare le schede tenendo conto anche dello stretto rapporto fra museo e contesto: fra edificio e sito e fra collezioni e contenitore architettonico. Lo scopo non è stato quello di realizzare una guida, come testimonia la stessa veste editoriale scelta, anche se la consultazione sollecita percorsi di visita e suggerisce relazioni e confronti fra istituzioni diverse. Il repertorio si può considerare piuttosto una base di studio. Il campo descritto fotografa il momento di passaggio fra le leggi regionali di settore e registra un quadro in rapida evoluzione. Su questa hanno inciso la professionalità del personale nei musei maggiori, un nuovo ruolo di supporto provinciale per quelli minori, l'accresciuta responsabilità degli enti titolari. Le schede corrispondono alle istituzioni attualmente riconosciute da questi ultimi, anche in corso di realizzazione e di riordino, nonché a realtà private convenzionate o particolarmente significative. Ai due estremi ci sono da un lato i sistemi urbani complessi, ove risultano diversamente aggregate forme di proprietà, di gestione, di localizzazione, che portano anche a disparità fra la designazione di "museo" e le responsabilità di "istituto"; dall'altro ci sono le espressioni di realtà minori, anche formalmente istituite, la cui sopravvivenza è spesso affidata a forze precarie. L'inventario registra la proprietà dei musei e ne organizza la gerarchia su questa base nell'ambito comunale (base ragionata per il riordino e la verifica di requisiti essenziali). Le epoche di formazione, la segnalazione di raccolte e di opere orientano sulla qualità e favoriscono connessioni fra realtà diverse. I collegamenti possibili sono di tipo territoriale e tematico. L'ordine geografico dato alla successione delle province privilegia l'adesione ad ambiti storici territoriali con identità riconoscibili, mentre l'ordine alfabetico dei comuni facilita la ricerca. Sistemi museali urbani e provinciali sono, così, individuabili e suggeriti se non ancora organizzati. Le schede compilate in tutta la regione sono 344, corrispondenti ad altrettanti istituti, ma i musei individuati sono 364, alcuni dei quali raccolti in singole istituzioni. Di questi, 76 sono nella sola provincia di Bologna (di cui la metà nel capoluogo), mentre Piacenza e Rimini, con 24 e 26 musei rispettivamente sono quelle con minore dotazione. L'incremento in quindici anni si avvicina al cento per cento . Il lavoro dell'IBC consente di mettere a disposizione lo "stato dell'arte" in un momento da tutti avvertito come transizione. Il senso del passaggio è sottolineato anche dalla parte "anagrafica" delle schede, riportata in appendice per poterla aggiornare più facilmente, non solo per indirizzi ed orari. In relazione con il censimento ISTAT del 2001 si offre l'opportunità di concordare criteri omogenei con le altre Regioni e con le organizzazioni professionali per raccogliere dati finalizzati alla verifica, dapprima dei requisiti essenziali per definire l'identità museale, quindi della qualità delle prestazioni nei diversi ambiti funzionali. Il conclamato adeguamento agli "standard museali", come condizione per ogni trasferimento di denaro, di gestione, di responsabilità ed infine per la sussistenza stessa dei musei, rende essenziali aggiornamenti e verifiche (ed il supporto conseguente per raggiungere livelli adeguati). I responsabili dei musei, che hanno collaborato alla formazione e alla revisione delle schede nelle principali e più complesse realtà, sono chiamati dalla nuova legge regionale di settore appena approvata a contribuire alla definizione degli "obiettivi di qualità" nell'ambito di una apposita Commissione consultiva dell'Istituto. Come la prima ricognizione sui musei è stata alla base degli indirizzi della legge regionale 20/90 recentemente abrogata, questo rapporto, insieme con gli aggiornamenti che seguiranno, diviene supporto all'organizzazione museale prevista dalla nuova legge 18/2000.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2000 - N.8]

Dalle fotografie che Paul Scheuermeier scattò e raccolse fra il 1919 e il 1935 su tutto il territorio romagnolo, emerge una ricca documentazione sui mestieri e il lavoro contadino

Anna Maria Baratelli - Istituto Beni Culturali

Segnano i confini della Romagna etnografica, da Ravenna a Sant'Agata Feltria a Tavoleto, le 167 fotografie di Paul Scheuermeier, 119 delle quali inedite, recuperate dal Museo degli Usi e Costumi della Gente di Romagna presso il Romanisches Seminar di Berna. Un corpus scelto fra migliaia di immagini che avrebbero dovuto corredare una pubblicazione a carattere "illustrativo" da accompagnarsi al volume intitolato Atlante Linguistico-Etnografico dell'Italia e della Svizzera, di K. Jaberg e J. Jud. Durante il lungo soggiorno trascorso in Italia dal 1919 al 1925, come ricercatore dell'Ateneo di Zurigo, e poi durante i cinque brevi soggiorni supplementari degli anni 1930-1935, Scheurmeier avviò un'accuratissima indagine sul campo, svolta con l'ausilio di una scheda scientifica di rilevamento, redatta dai suoi maestri Jaberg e Jud, e della tecnica fotografica. Scheuermeier accompagnò il rilevamento da fonte orale, effettuato su un campione scelto, con una serie di appunti annotati sul "Diario" o trasmessi a Jud in forma di corrispondenza. Nel periodo trascorso in Romagna, Scheuermeir compilò anche un Supplemento di indagine di quattordici cartelle, datato ottobre 1931, contenente indicazioni di "etnografia tecnica" e di fonetica e lessico dialettale rilasciate da un informatore fusignanese di nome Stefano Melandri. L'enorme mole del materiale raccolto, caratterizzato dall'approfondimento delle informazioni sugli usi domestici, le tecniche di lavorazione agricola ed artigianale, i cicli produttivi, le tipologie abitative, delle zone rurali italiane venne poi a costituire la materia per i due volumi de Il lavoro dei contadini, pubblicati rispettivamente a Zurigo nel 1943 e a Berna nel 1956, thesauri di quel prezioso sapere etnografico che, altrimenti, non avrebbe potuto trovare spazio in un'opera principalmente di carattere linguistico e cartografico quale doveva essere l'AIS. L'organizzazione strutturale dei due volumi, che prevede l'accostamento di una antologia di immagini ai disegni e alla descrizione testuale relativa ad ambiti specifici di attività lavorative ed occupazioni domestiche, arriva a delineare in maniera quanto mai esaustiva il quadro della cultura tecnologica del mondo rurale italiano e, di conseguenza, della struttura sociale ed esso connessa. L'adozione di un metodo di ricerca innovativo che dall'occasione e dalla singola esperienza focalizza l'attenzione sulla struttura e sull'insieme, consente, tra l'altro, allo Scheuermeier un'analisi comparativa tra le varie aree geografiche italiane e l'individuazione delle prime manifestazioni della radicale trasformazione impressa all'agricoltura dal progresso tecnologico e dalla politica del regime fascista. La documentazione fotografica della pianura ravennate percorsa da fondi canali o scavata dai bacini dei maceri della canapa, garantisce dell'aspetto idrogeologico di un territorio che la bonifica avviata dal governo italiano negli anni '30 ha parzialmente mutato, con un impatto notevole anche sul piano economico dovuto alla progressiva scomparsa di terreno da adibirsi a pascolo e la conseguente diminuzione della produzione casearia e dei filati sia di fibre animali che di fibre vegetali. La filatura tradizionale con rocca e fuso, aspo, incannatoio a mano, dipanatoio e la tessitura con la preparazione del filo dell'ordito sull'orditoio a muro ed il grande telaio, documentata come nel caso della cardatura della lana a Fusignano per l'intero ciclo, costituiscono una voce dell'economia domestica, prettamente femminile, destinata ad essere soppiantata dalla concorrenza del nascente settore tessile industriale capace di reimpiegare anche la donna come forza lavoro. La sequenza documentativa dei vari tipi di utensili (falcetti, falci da erba, falci messorie, badili, zappe, zappette da vigna, vanghe semplici o con predellino) appoggiati alla porta della rimessa di una casa colonica di Saludecio o Meldola e delle diverse tipologie di aratro in uso a Brisighella o a San Benedetto in Alpe, legge di un livello tecnologico artigianale, che se pur basso, rappresenta la massima espressione di prodotto per un'autorganizzazione produttiva, quale è quella contadina, in grado di garantire un'ampia gamma di strumenti ed utensili con una specifica funzione e di riconvertire ad altro uso gli attrezzi dismessi. Il rilievo dell'architettura rurale, con l'evidenza delle sostanziali differenze fra le tipologie abitative delle zone dell'entroterra ravennate e del primo appennino marchigiano, ricostruisce, invece, la topografia di alcune zone abitative che, dopo la spopolamento degli anni '50, cominciano ad essere oggi valorizzate all'interno di un progetto di sviluppo economico legato al turismo rurale piuttosto che all'agricoltura. Una traccia di continuità che le fotografie di Paul Scheuermeier insegnano a rintracciare negli oggetti, nei costumi, nei prodotti di una cultura materiale che ci appartiene come futuro del nostro presente.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2000 - N.7]

Le antichità del Museo Venturini di Massa Lombarda sono un esempio emblematico del collezionismo tardo-ottocentesco di marca borghese

Fiamma Lenzi - Istituto Beni Culturali

Nel 1881, appena pochi anni prima della morte, Carlo Venturini acquista in Massa Lombarda una piccola dimora con l'idea di collocarvi - come lui stesso scrive nel testamento - "pochi libri, oltre tremila circa... ed alcuni oggetti appartenenti alla Storia Naturale, all'Archeologia, alla Numismatica, alla Pittura e diversi lavori d'arte". Giunto il tempo del riposo e del ritorno alla terra natìa, dominante è dunque il pensiero di dare vita ad una biblioteca e ad un museo ove collocare gli oggetti, i cimeli, le memorie riunite nel corso di un'intera esistenza votata all'esercizio della professione e contrassegnata da numerosi spostamenti da una città all'altra. Esemplare spaccato delle vicende, dei criteri, delle motivazioni culturali che hanno costituito la linfa vitale del collezionismo tardo-ottocentesco di marca borghese ed erudita, le raccolte artistiche del Venturini sono profondamente intrise di quell'imperante eclettismo del gusto che domina mode e costumi dell'ultimo scampolo di secolo e rifluisce prepotentemente nei diversi filoni in cui la collezione si articola. Vi spicca per consistenza ed interesse antiquariale un nucleo di antichità riferibili a svariati centri della penisola italiana, ma anche ad alcuni siti del vicino Oriente. Intensi contatti sociali e culturali con esponenti della classe dirigente dell'epoca, con studiosi e viaggiatori, favoriti anche dalla professione medica e dagli incarichi diplomatici per conto della Tunisia e del Venezuela consentono infatti al collezionista di partecipare alla vita di alcuni organismi associativi di grande prestigio (Accademia Etrusca di Cortona, Istituto Bartolomeo Borghesi, Società Italiana di Archeologia e Storia, Istituto numismatico e antiquario di Buenos Aires). E' grazie a queste relazioni, allo scambio di doni e di cortesie con conoscenti ed amici che egli riunisce presso di sé documenti e testimonianze del passato, intensificandone la raccolta soprattutto nei due decenni centrali del secondo Ottocento. Contrassegnato da una spiccata predilezione più per gli oggetti della quotidianità che non per le manifestazioni dell'arte antica, questo segmento di collezione si compone soprattutto di vasi dipinti, piccoli bronzi, reperti fittili, elementi architettonici e frammenti marmorei, rare iscrizioni. Ben rappresentate sono le ceramiche greche, magnogreche e italiote, la cui presenza si spiega con la riscoperta archeologica della Magna Grecia avviata già a partire dalla prima metà del XIX secolo e il cui principale bacino di alimentazione è per il Venturini la città di Rudiae. Attraverso i buoni uffici di conoscenti di Lecce e di Taranto giungono parecchi materiali, fra i quali alcuni prodotti delle officine di Gnathia. Altri reperti provengono dalla Lucania occidentale per il tramite di Monsignor Macchiaroli, ottimo conoscitore dell'archeologia del Vallo di Diano e iniziatore di una raccolta a fondamento dell'attuale museo civico di Teggiano. Nella hydria a figure rosse dell'atelier di Assteas e Python, attivo a Paestum nel terzo venticinquennio del IV sec. a.C. si riconosce il pezzo di maggior interesse. A ricordare la siciliana Selinunte, con i suoi celebri templi, sono tre piccole lekythoi della bottega del Pittore della Megera databili al secondo quarto del V sec. a.C. Troviamo poi buccheri etruschi, ceramiche a vernice nera di varia produzione, insieme a raccolte più organiche come quella delle lucerne - in gran parte romane - o dei balsamari di età ellenistica. Dal canto suo, la piccola bronzistica offre un'ampia esemplificazione degli impieghi della lega metallica più usata nell'antichità sia per gli oggetti di ornamento personale e di uso domestico (fibule, campanelli, chiavi, appliques, fibbie) sia per la plastica votiva destinata ai santuari e agli altari casalinghi. Uno sguardo ancora all'origine degli oggetti ci dà conto dello spaziare nei secoli e nella geografia del mondo antico di questa archeologia che, con parole della museografia ottocentesca, potremmo definire "extraregionale". Ancona, Alessandria, Acqui, Aquileia, Chiusi, Campobasso, Fano, e poi Roma. Un'importante occasione per arricchire la collezione si presenta infatti al Venturini quando si aprono nella capitale gli scavi per la costruzione del Ministero delle Finanze. Conservata sotto cornice, secondo una "artistica" disposizione a mo' di quadro, una serie di manufatti silicei riassume simbolicamente la preistoria degli Abruzzi, perpetuando il ricordo di Concezio Rosa, pioniere della ricerca paletnologica e delle esplorazioni nella Valle della Vibrata. Poi, al di là del mare, Costantinopoli ove risiede l'amico conte Grati e l'Egitto, dal quale il bolognese commendator Muzzi direttore delle regie poste egiziane si premura di inviare esotici cimeli di una civiltà plurimillenaria. E, per finire, le testimonianze archeologiche dell'Africa settentrionale che la carica di console onorario della Tunisia rendeva più agevole avvicinare. Arriva dalla lontana Tunisi una messe di materiali che abbracciano l'intero arco di vita della gloriosa Cartagine, prima fiorente metropoli punica, poi illustre colonia romana. Un posto di assoluto rilievo, anche per il rarissimo numero di presenze simili in collezioni pubbliche italiane, spetta al piccolo gruppo di stele votive del tofet cartaginese, che ben si prestavano con le loro raffigurazioni cariche di significati e con le iscrizioni dall'arcana grafìa a svelare usi, costumi e riti di quell'antico popolo dominatore del Mediterraneo.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [1999 - N.6]

Reperti marmorei, oggetti in terracotta, ceramiche, avori, icone, bronzetti, placchette ed altro offrono una testimonianza pressoché completa di "arte minore" di notevole valore

Luciana Martini - Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Ravenna

Non v'è dubbio che il Museo Nazionale di Ravenna sia uno dei maggiori musei di raccolte artistiche della Provincia; di fatto, è uno dei pochi che offrano una testimonianza pressoché completa delle tipologie di oggetti generalmente classificate sotto il nome di "arti minori". Le raccolte del monastero di Classe in Ravenna, dalle quali proviene il primo nucleo del museo, vennero smembrate dopo la soppressione degli enti religiosi fra le maggiori istituzioni cittadine: i materiali d'arte diciamo così "maggiore" (tavole e tele), andarono alla Pinacoteca, quelli di "arte minore" e archeologia confluirono nel Museo municipale, antecedente del Museo Nazionale. Qui vennero trasferiti dunque tutti i reperti marmorei, le ceramiche, gli oggetti in terracotta, in avorio, in vetro, ferro, legno, ecc. ai quali venne poi in seguito aggiunta la collezione di icone e, con diversa provenienza, quelle delle armi e armature. Le cosiddette "arti minori" hanno raggiunto, nel dibattito critico recente, il posto e l'attenzione che gli spetta, e che all'estero avevano già da tempo conquistato; quella di espressioni artistiche all'interno delle quali, come nella pittura, sono presenti capolavori e lavori di buon artigianato, ma tutti necessari all'interpretazione della storia, che si deve avvalere dello studio della complessità di un contesto, e non solo delle sue emergenze. Forse la collezione più conosciuta del Museo Nazionale è quella degli avori, materiale che ha sempre goduto nei secoli di grande prestigio: vi sono compresi gli esemplari tardoantichi elaborati nel complesso ambito culturale dell'Egitto ellenistico (il famoso Dittico di Murano e la tavoletta con Apollo e Dafne), le testimonianze sontuose dell'arte carolingia di Carlo Magno, le creazioni originali e fiorite del gotico francese. La collezione delle icone, formata da oltre duecento dipinti su tavola, documenta largamente la scuola cosiddetta "cretese-veneziana" e la pittura popolare dei Madonneri, ma comprende anche tavolette di arte italiana del Trecento. La raccolta di ceramiche esemplifica varie tipologie di produzione, quali la maiolica istoriata, di provenienza classense, la ceramica da farmacia, il graffito, la maiolica settecentesca. Negli ultimi decenni si è cercato di valorizzare anche le collezioni un tempo meno note, come la raccolta rinascimentale dei bronzetti e delle placchette, fra i quali troviamo ben rappresentata l'attività dell'operosa bottega di Severo da Ravenna e un'opera attribuita al Riccio, il più famoso scultore in bronzo dell'Italia settentrionale. Non è stato possibile offrire al pubblico continuativamente, per ragioni di conservazione, i preziosi e fragili reperti della collezione tessile, relativamente ai quali però è stata organizzata recentemente una mostra dedicata alla sezione copta. Alla raccolta di armi e armature, con pezzi di eccellente qualità tra i quali una rara brigantina della fine del Quattrocento e un elmetto da incastro di scuola tedesca, attribuito a Desiderius Helschmid, è stata data invece un'esposizione definitiva al pubblico in una mostra permanente. Il Museo raccoglie anche alcuni dipinti e affreschi staccati, pervenuti al Museo per via di recuperi da lavori effettuati sui monumenti cittadini nei primi decenni del secolo. Ad essi si è recentemente aggiunta una delle più importanti testimonianze artistiche della scuola riminese del Trecento, il ciclo di affreschi staccati provenienti dalla chiesa di Santa Chiara a Ravenna, opera di Pietro da Rimini. L'identità del Museo quale luogo di raccolta di opere d'arte di notevole valore artistico, e nello stesso tempo di grande e piacevole varietà di tipologie, è stata proprio recentemente focalizzata da una pubblicazione riccamente illustrata: Cinquanta capolavori dal Museo Nazionale di Ravenna, edita a Ravenna nel 1998.

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 4 [1999 - N.5]

Anna Marina Foschi e Giovanni Battista Pesce - Servizio Musei e Beni Culturali Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna

Dalla ricognizione nazionale compiuta dieci anni fa da Daniela Primicerio sulle istituzioni museali, emerge una presenza di musei scientifici in Emilia-Romagna superiore alla media italiana. Non si tratta solo di raccolte didattiche di notevole prestigio, esposte al pubblico fin dal secolo scorso, ma del risultato di una tradizione peculiare, che risale al Rinascimento, scientifica, analitica, topografica e idraulica. Si realizza, infatti, a Bologna il modello originario di museo scientifico e naturalistico con la donazione, nel 1603, di Ulisse Aldrovandi alla città e all'istituzione universitaria e con la collezione cospiana, precedendo la fondazione nel 1683 del Museo Ashmoliano di Oxford. Qui invece viene elaborata la filosofia del "museo come forma organizzata dell'esperienza" ed è previsto il pagamento per la visita delle esposizioni. L'Accademia bolognese delle Scienze, voluta da Luigi Ferdinando Marsigli nel 1711, la collezione settecentesca dello scienziato Lazzaro Spallanzani a Reggio Emilia, come quella di Giuseppe Scarabelli ad Imola consolidano le radici dei musei naturalistici emiliano-romagnoli. Sul versante della museologia tecnica e degli strumenti scientifici, la prima attuazione concreta può essere individuata nella collezione costituita a Dresda, fra il 1560 ed il 1586, da Augusto, Elettore di Sassonia, per mostrare processi e innovazioni tecniche destinate a perfezionare i mestieri.La formula, filtrata dall'Illuminismo, diviene non solo la base per i musei di arti industriali fine Ottocento, ma anche degli osservatori e dei gabinetti scientifici direttamente collegati all'istruzione. Ne sono esempi tanto le raccolte didattiche bolognesi dell'Istituto Aldini Valeriani e del Museo dell'Innovazione Industriale, quanto quelle dei Gabinetti e Musei universitari. Pure la consistente tradizione scientifica faentina, da Evangelista Torricelli in poi, trova applicazione sia nella formazione didattica (dei Gesuiti prima, del Liceo classico poi), sia nella stessa nascita del Museo delle ceramiche ed infine di quello naturalistico. L'altro aspetto specifico, congeniale alla cultura pratica emiliano-romagnola, è la declinazione collezionistica informata e di ampio respiro, che si è comunque manifestata -anche quando non ha trovato competenze, spazi e risorse accademiche- con l'apporto di studiosi locali: punto di riferimento e promotori di gruppi di volontari hanno creato e incrementano una rete diffusa di musei e di raccolte di storia e scienze naturali, facendo maturare la coscienza ecologica, sfociata nell'istituzione di ambiti naturali protetti e nell'individuazione delle zone degne di tutela. In particolare la Romagna ha prodotto, in questo secolo, sorprendenti esempi, quale il museo naturalistico, migrato poi a Verona, di Piero Zangheri. L'approccio progettuale di questa raccolta, nata con la volontà di "fare scuola", ha prodotto criteri di catalogazione ed una vera e propria manualistica per l'allestimento musealePer rispondere alla duplice natura di ricerca/conservazione e di conoscenza/divulgazione, che questi musei naturalistici sono chiamati a svolgere, e per vivacizzarne la funzione pubblica, debbono essere rispettate una serie di condizioni. Occorre incrementare uno sviluppo delle peculiarità delle singole istituzioni, nel rispetto delle vocazioni originarie e in un rinnovato legame con il territorio; organizzare un tessuto di fulcri museali di scienza e storia naturale, dotati di finanziamenti e di contenitori idonei, nonché di chiavi di lettura -di interesse dilatato e su cui investire nei percorsi museali- relative alla genesi dell'ambiente regionale, all'evoluzione e alle caratteristiche culturali della comunità; creare, a maggior ragione per i luoghi di conservazione settoriali e specifici, il collegamento ad una rete informativa di più vasto respiro,concordata scientificamente, che consenta l'arricchimento costante del sapere con precisi recapiti e linguaggi di classificazione omogenei, in un contesto di filoni tematici e in un processo di inventariazione su base quantomeno regionale. Ciò inserito in un'organizzazione provinciale di poli museali e centri di documentazione connessi agli ambiti territoriali protetti. Quanto alla prevalente vocazione didattica, può essere soddisfatta inserendo percorsi di lettura, di studio e di attrazione, diversificati per classi di utenti, e destinando spazi a laboratori interni, che forniscano una gamma di offerte alle scuole, progetti di ricerca scientifica sia per i settori produttivi che per la pianificazione degli enti locali e, al tempo stesso, programmi educativi per gli adulti, volti alla promozione dello sviluppo sostenibile. Nell'ottobre prossimo il Forum Internazionale dei Musei, che si terrà a Cortona e che seguirà l'edizione del 1998 a Bertinoro (in cui è stato presentato il sistema museale ravennate) verterà proprio su questi aspetti (educazione e didattica), per i quali la nostra regione potrà essere un riferimento significativo. I.B.C. e Province potranno dare un nuovo impulso, scientifico e promozionale incentivando, il primo, coordinamenti tematici tra reti di musei e, le seconde, i sistemi museali collegati alle istituzioni e ai beni culturali sul territorio. In questo senso il rapporto tra parchi e musei naturalistici è immediato e necessario per realizzare un percorso educativo efficace.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [1999 - N.4]

Franca di Valerio - Istituto per i Beni Culturali

Nella prospettata e, pare, imminente riforma dei beni culturali in Italia, più millantata che realmente perseguita, ancora una volta la vasta tipologia di patrimonio indicata con la comune denominazione di beni demoetnoantropologici è stata ignorata dai legislatori come se si trattasse di una realtà marginale e, tautologicamente, folkloristica dell'identità culturale del nostro paese.E così, ancora una volta, anche il convegno Contesto e identità. Gli oggetti fuori e dentro i musei, organizzato a Parma il 16 e 17 aprile di quest'anno dall'Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia Romagna, dalla Provincia di Parma, dalla Soprintendenza ai Beni Storici e Artistici di Parma e Piacenza, dai Comuni di Collecchio e di Fornovo Taro e dal Parco Ragionale del Taro, ha prestato la scena alla presentazione di una serie di cahiers de doléances sulla condizione di questo settore, mentre le esperienze illustrate dalle istituzioni straniere invitate, il British Museum con il Museum of Mankind, la Smithsonian Institution con il Nationale Museum of the American Indian, il Nordiska Museet di Stoccolma, il Musée des Arts et Traditions Populaires di Parigi, hanno inevitabilmente sottolineato, di nuovo, la distanza siderale che separa il nostro sistema delle politiche culturali e non solo quelle relative al patrimonio, da quello in cui queste istituzioni sono inserite e agiscono. I musei e le collezioni demoetnoantropologiche nel nostro paese si collocano in un quadro istituzionale che vede da un lato due uniche istituzioni statali, il Museo preistorico Etnografico Nazionale "L. Pigorini" di Roma, che è appunto preistorico ed etnogtrafico secondo una concezione che risale ad inizio secolo e che forse sarà aggiornata con a riapertura delle varie sezioni riallestite proprio in questi ultimi anni, ed il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni. Popolari alla cui direzione è stato posto, nel rinnovare di recente la carica, uno storico dell'arte, a ribadire la gerarchia delle competenze disciplinari di cui si ha convinzione in questo Paese. Dall'altro lato troviamo una museografia e un collezionismo diffuso che fanno capo o riferimento agli enti locali, o spesso a privati cittadini. La riflessione museografica sugli oggetti e sulle collezioni di oggetti, soprattutto sui modi e sulle possibilità di farne oggetti esemplari ai fini della trasmissione e comunicazione culturale, in sostanza documenti delle relazioni tra essi e gli uomini e tra gli uomini ed uno specifico contesto, quasi una sorta di traduttori per coloro che visitano la raccolta o il museo, ha fatto emergere due diverse modalità di approccio teorico che possiamo riassumere molto sinteticamente, e facendo torto alla complessità della questione, in una che identifica il museo come il luogo dell'apprendimento razionale e scientifico, ed in un'altra per cui il museo diventa uno scenario dove il visitatore viene "attivato" anche attraverso la propria componente emozionale. Paradossalmente, a rivelare molti elementi di contatto, inconsci naturalmente, con le museografie straniere presenti è stata una collezione considerata fino a qualche tempo fa un outsider dall'ambito ufficiale dei musei demoetnoantropologici italiani: quella di Ettore Guatelli, il collezionista che ad Ozzano Taro, in provincia di Parma, ha creato un'eccezionale impresa museografica, testimoniale e scritturale, raccogliendo oggetti di ogni tipo, testimonianze della gente, schede, idee, discorsi, una sorta di monumento alla intelligenza pratica della gente comune, dei modi di consumare, usare, operare, pensare l'ambiente e le risorse. E questa è la stessa logica che sottende, ad esempio, all'attività di acquisizione del Nordiska Museet, il quale nella propria attività di documentazione sull'età contemporanea include perfino l'acquisizione di mobili Ikea, senza che nessun curatore o museologo svedese abbia mai protestato invocando la profanazione della sacralità attribuita al luogo museale e agli oggetti che videvono essere collocati. E questo non certo a causa della tiepida reattività scandinava.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [1998 - N.3]

Vittorio Ferorelli - Istituto per i Beni Culturali

Nella strategia a lungo termine dell'Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna la scelta della forma "casa-museo", "casa-biblioteca", "casa-archivio" risponde ad un criterio che in senso lato ,si può definire "economico", dove l'attributo in questione mantiene appieno il suo valore etimologico di "legge che amministra la vita di una dimora". Scegliere di trasformare in percorso della memoria un luogo in cui si è vissuto e abitato realmente può essere infatti il modo più efficace per ottenere nello stesso tempo due importanti vantaggi. Innanzitutto è evidente il risparmio che deriva in termini monetari dall'opportunità di concentrare in una sola operazione di recupero la salvaguardia di una dimora storica e il perfezionamento di un giacimento culturale, risparmio mai come oggi provvidenziale. Ma insieme si offre la possibilità di trasmettere al museo, alla ,biblioteca, all'archivio nascenti la vitalità che solo una casa possiede, con la prerogativa di mantenere intatta e conservare nel tempo la rete di relazioni che legano gli oggetti e le testimonianze biblio-iconografiche di una esistenza intera. La frequenza e la riuscita di queste occasioni di crescita culturale dipendono naturalmente dal grado di credibilità delle istituzioni centrali, dal rapporto fiduciario che lega in misura maggiore o minore chi è pronto a donare memoria e chi dovrebbe essere pronto a riceverla e a valorizzarla. L'esperienza degli archivi letterari emiliano-romagnoli è in questo senso confortante. Da anni oramai l'organo regionale ,preposto alla loro salvaguardia, la Soprintendenza per i Beni Librari e Documentari, lavora alla creazione di un sistema della memoria cartacea che possa collegare luoghi e storie diversi, mantenendo tuttavia ciascuna voce radicata il più possibile al proprio contesto. Piuttosto che ,optare, come è stato fatto altrove, per una soluzione centralizzata con la fondazione di un apposito e unico centro di documentazione, si è scelto appunto di .favorire la destinazione delle raccolte documentarie alle strutture bibliotecarie pertinenti o addirittura ove le circostanze lo permettevano - alle "case d'autore" da cui provenivano o in cui erano ancora conservate. A quest'ultimo caso, per fare un esempio particolarmente significativo, è riconducibile la vicenda di Casa Moretti a Cesenatico. Fu lo stesso poeta Marino Moretti, nel 1978, a stabilire le basi dell'istituzione con il testamento in cui donava alla Biblioteca Comunale della cittadina romagnola i suoi libri e le sue carte: un'ingente documentazione di quasi 6.000 volumi, 2.000 periodici, 600 opuscoli, 4.000 ritagli e 14.000 lettere. Nel 1980 la sorella Ines, portando idealmente a compimento .la volontà del poeta, donava al Comune la casa sul canale, permettendo di mantenere integro il legame che unisce tuttora la biblioteca e l'archivio con i tanti significativi frammenti di una esistenza domestica, da quelli più concreti a quelli più incorporei: gli oggetti cari, i dischi, le cartoline, le stampe incorniciate, le foto-ricordo, le finestre sul giardino, e l'aria stessa, quel profumo che rende unica ogni casa. "E in queste vecchie stanze, è nei mattoni corrosi, è nei segni di umidità alle pareti, è nel cortile negletto, nel cigolìo delle porte (a ognuna il suo cigolìo), nella vecchiaia della cucina, nella sedia zoppa e nel quadro storto, nell'invalidità dei mobili ovunque spaiati, in ognuna di queste piccole povere cose ch'io potrò ritrovare la verità di me stesso e dell'arte": sono le parole del poeta. La migliore testimonianza del valore di questa scelta sta nella crescita continua dell'Istituto da 18 anni a questa parte, come è attestato dall'incremento delle acquisizioni attraverso lo scambio con altri archivi, dalla costante attività di promozione culturale (indirizzata in particolar modo alla scuola) e dal successo del premio biennale per la filologia, la storia e la critica letterarie delI'Otto e Novecento. Recentemente si sono avute anche le donazioni di altri fondi privati: la biblioteca del professore Virginio Minzolini e le carte del professore Federico Ravagli, a riprova di come soltanto una casa che rimane viva possa continuare ad essere ospitale.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [1998 - N.2]

Vittorio Ferorelli - Istituto per i Beni Culturali

Il 3 e 4 aprile 1998 nell'ambito di "Restauro 98. Salone internazionale dell'arte del restauro e della conservazione dei beni culturali e ambientali" a Ferrara, l'Istituto per i beni artistici, culturali ,e naturali della Regione Emilia-Romagna, presente con un proprio stand, organizza il convegno internazionale "Archeologia e ambiente". Oggetto dell'indagine è il "legame indissolubile fra le espressioni dell'uomo e quelle dell'ambiente che - come sosteneva oltre venti anni or sono Andrea Emiliani, dando lucidità interpretativa al metodo destinato a divenire modello al nostro sentire e lavorare - richiede omogeneità di intenti nell'azione conoscitiva ed esige quindi un giudizio storico unitario" (E. Raimondi). Il programma è diviso in due sessioni. La prima, dal titolo "Archeologia come storia del territorio e delI'ambiente", è dedicata al ruolo fondamentale della conoscenza storica nella conservazione e valorizzazione degli ecosistemi antropizzati, dai paesaggi agricoli ai tracciati fluviali. Nella seconda, dedicata alla "musealizzazione del paesaggio antropico", gli interventi si concentreranno sulla correlazione sempre più auspicabile tra parchi e musei, sulle strategie economiche in grado di favorirne lo sviluppo, sulle funzioni degli enti locali nella loro progettazione e gestione. Due tavole rotonde concludono ciascuna giornata, approfondendo da un lato la questione delle linee di intervento sui beni culturali, con la presentazione in particolare di due progetti ("Archivio Biologico", promosso dal Comitato 15 Beni Culturali del CNR e "PARNASO. Patrimonio Artistico Nuove tecnologie Applicate per lo Sviluppo e l'Occupazione" promosso dal Ministero dell'Università e della ricerca scientifica e tecnologica) e dall'altro l'analisi delle esperienze di parchi archeologici e parchi tematici progettati e costituiti in ambito sia europeo che ex-traeuropeo, di cui sono illustrati gli aspetti gestionali, manageriali ed economici, analizzandone gli effetti sul territorio e approfondendo in particolare la questione del coinvolgimento delle comunità locali. Per informazioni: ufficio stampa IBC. "Restauro 98" è anche l'occasione per fare il punto sulle altre importanti iniziative legate ai settori di intervento dell'IBC. Il 4 aprile si svolge una giornata di studio sul restauro dei dipinti su tavola, in collaborazione con I'Opificio delle Pietre Dure di Firenze. L'incontro è rivolto a tutti i professionisti della conservazione, con particolare riguardo per quelli che si confrontano quotidianamente con i problemi legati ai supporti lignei. Nella giornata successiva saranno presentati in anteprima gli appuntamenti dei prossimi mesi: - il colloquio internazionale di museologia che si terrà ad Argenta dal 2 al 6 giugno 1998, promosso insieme al Museo delle Valli d'Argenta e all'European Museum Forum; - la mostra che durante la prossima estate farà rivivere, dopo il recente restauro, l'opificio idraulico della Grada a Bologna (nell'occasione saranno presentate le attività di animazione già organizzate dall'IBC sul tema delle acque: il Museo del Po e della navigazione interna di Boretto e la mostra fotografica sulle saline di Cervia); - il convegno internazionale "Contesto e identità. Gli oggetti fuori e dentro i musei", organizzato a Parma il 16 e 17 aprile insieme all'Assessorato alla cultura della Provincia di Parma per dibattere sui paradigmi museografici da applicare alle numerose collezioni di oggetti e strumenti di valore etno-antropologico presenti nel nostro Paese; -il convegno e la mostra sul naturalista forlivese Pietro Zangheri promossi in collaborazione con il Parco nazionale delle foreste casentinesi, monte Falterona e Campigna, previsti per la metà del mese di maggio.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [1998 - N.1]

Gianfranco Casadio - Dirigente del Servizio Beni e Attività Culturali della Provincia di Ravenna

L'idea di attivare un Sistema Museale nella nostra provincia nasce dalla constatazione che, l'insieme dei musei presenti sul territorio provinciale, si pone al secondo posto, dopo la provincia di Bologna, nell'ambito della regione. Cio' costituisce un patrimonio ricco e differenziato, di forte valore culturale, che esprime vivaci potenzialità di sviluppo e che da un sistema territoriale integrato potrebbe trarre notevoli vantaggi.Ciò è vero in particolare per quelle realtà medio - piccole che, per carenze oggettive, non sono in condizione di fare crescere in modo autonomo i propri musei. Con questa premessa la Provincia ha invitato gli Enti Locali e i privati titolari di musei, ad aderire ad un Sistema che sia aperto a tutti, purché regolarmente funzionanti e aperti al pubblico anche in modo discontinuo. Sarà coordinato dalla Provincia che nell'arco di un triennio si farà carico di consolidare il sistema e di individuare ulteriori collaborazioni: oltre a quella dell'Istituto per i Beni Culturali della Regione, quella dell'Università, e in particolare la Facoltà di Conservazione Beni Culturali di Ravenna e la Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici della provincia di Ravenna, Ferrara, Forlì e Rimini e la Diocesi di Ravenna.Il Sistema Museale opererà su diversi livelli di intervento (dal coordinamento, alla promozione e valorizzazione dei musei, alla schedatura e catalogazione dei reperti museali, alla conservazione, al restauro, all'impiantistica di sicurezza e di conservazione e alla didattica e formazione del personale) e si avvarrà della consulenza di un Comitato Scientifico.I progetti approvati dal Sistema Museale Provinciale saranno finanziati, salvo diverse indicazioni, oltre che con i fondi degli Enti proprietari, con i fondi a carico della Provincia e con i contributi di altri enti (Regione, sponsor, ecc.). I Comuni e gli Enti collaboreranno, oltre che con la quota a loro carico, mettendo a disposizione spazi e attrezzature dei rispettivi musei e soprattutto la partecipazione attiva dei propri collaboratori alla progettazione ed elaborazione dei progetti del Sistema che è regolamentato da apposite convenzioni tra Provincia e Comuni e tra Provincia e Enti. Ogni Comune convenzionato, così come gli altri Enti, sono rappresentati nel Sistema con propri esperti che fanno parte del Comitato Scientifico.Il Sistema così definito resta comunque aperto alle adesioni di altri Comuni e di altri Enti che successivamente arrivino a possedere i suindicati "requisiti minimi" previsti per farne parte.Il Sistema Museale, oltre a quanto finora indicato, si avvarrà dei servizi messi a disposizione dal Laboratorio provinciale per la didattica, realizzato dalla Provincia con la collaborazione finanziaria della Regione sui fondi della L.R. 20/90.Il Laboratorio ha sede a Ravenna e sarà gestito dalla Provincia che mette a disposizione spazi, strutture, attrezzature informatiche e personale e prevede l'avvio di un progetto di banca dati museale informatizzata (realizzata in collaborazione con l'IBACN), nell'ottica di un futuro sviluppo che possa coinvolgere altre istituzioni, fra cui i Provveditorati agli Studi.Parallelamente all'avvio del Laboratorio provinciale, la Provincia ha previsto per il 1997 la realizzazione di alcuni progetti che coinvolgono il Sistema Museale Provinciale e che sono: la realizzazione di un Logo che identifica il Sistema Museale Provinciale e il Laboratorio che lo rappresenta, l'ideazione progettuale e grafica di una Collana sulla didattica e la produzione di una prima pubblicazione, la progettazione di un Notiziario periodico che è quello su cui vi stiamo scrivendo.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 4 [1997 - N.0]

La loro applicazione è elemento fondamentale per favorire una qualificazione complessiva più omogenea del settore culturale

Margherita Sani - Istituto Beni Culturali

Il 3 marzo 2003 la Giunta Regionale dell'Emilia Romagna ha approvato la Direttiva Standard e obiettivi di qualità per biblioteche, archivi storici e musei ai sensi dell'art. 10 della L.R. 18/2000 - Norme in materia di biblioteche, archivi, musei e beni culturali (l'atto è stato pubblicato sul Bollettino Ufficiale della Regione Emilia-Romagna del 17-4-03, ed è disponibile anche sul sito dell'IBC, www.ibc.regione.emilia-romagna.it). Il documento è frutto del lavoro di una Commissione consultiva, prevista dalla stessa legge all'art 6, composta da rappresentanti delle associazioni di categoria AIB, ANMLI, ANAI, funzionari delle Amministrazioni provinciali, delle Soprintendenze e degli istituti culturali regionali con il coordinamento dell'IBACN. Partendo dal dettato della L.R. 18/2000, che vede nell'individuazione e nella applicazione di standard e obiettivi di qualità un elemento fondamentale per favorire una qualificazione complessiva e più omogenea del settore culturale nel suo complesso, è stato elaborato un documento che esplicita, ora in forma di requisiti ora in forma di raccomandazioni, gli elementi che dovranno concorrere nei prossimi anni ad innalzare il livello qualitativo delle prestazioni e dei servizi degli istituti culturali nella nostra regione. La legge regionale fa infatti riferimento a musei, biblioteche e archivi storici, ricomprendendoli nella dizione comune di "istituti culturali", a voler sottolineare la loro natura sostanzialmente analoga di servizi che perseguono fini di "informazione, documentazione e formazione permanente dei cittadini in raccordo con le finalità educative generali". L'obiettivo di fondo della legge è dunque quello di ridisegnare in modo innovativo il sistema dei servizi e delle attività di biblioteche, archivi e musei, pervenendo gradualmente alla costruzione di un modello organizzativo territoriale unitario per i tre settori. Partendo dalla consapevolezza di una situazione di sostanziale disomogeneità all'interno dei settori di riferimento, con punte qualitative molto alte accanto a situazioni di palese arretratezza, ci si è riproposti con l'elaborazione degli standard di qualità di operare su un doppio livello, da un lato favorendo una crescita omogenea a livello regionale, dall'altro consentendo una possibilità di recupero delle situazioni più svantaggiate. Si sono così individuati "standard obiettivo", finalizzati a promuovere e a mantenere livelli qualitativi ottimali e a sollecitare un processo di continua crescita dell'offerta di servizi all'utenza, indicando nel contempo soglie minime al di sotto delle quali il servizio non può essere qualificato come tale. Questi standard, definiti, come recita la legge, "secondo la natura, la dimensione, la localizzazione e l'eventuale organizzazione in sistema degli istituti considerati… vengono elaborati dall'Istituto per i beni artistici, culturali e naturali coi soggetti interessati e con le organizzazioni professionali… e si applicano anche in caso di affidamento all'esterno di funzioni e servizi" (L.R. 18/2000, art. 10). La sottocommissione che ha elaborato gli standard relativi al settore musei si è insediata nel maggio 2001. In questo modo, prima di iniziare i propri lavori, ha potuto prendere visione dell'Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei emanato con decreto del Ministro per i Beni e le Attività Culturali il 10 maggio 2001, che costituisce un punto di riferimento ineludibile per chi - a livello regionale o locale - intende cimentarsi in questo campo. Il lavoro di definizione degli standard per i musei ha dunque fatto riferimento al documento ministeriale, di cui ha adottato la struttura nella suddivisione degli ambiti al cui interno sono stati dettagliati gli standard. In sintesi i requisiti con cui i musei dell'Emilia Romagna dovranno confrontarsi e ai quali dovranno cercare di adeguarsi nei prossimi due anni sono i seguenti: · ai musei sarà richiesto di dotarsi in primo luogo di uno statuto o di un regolamento a seconda del loro status giuridico. Statuto e regolamento costituiscono la carta di identità del museo nella quale, in linea con la definizione di museo data dall'Icom, sono esplicitati finalità e funzioni, compiti e attività, risorse umane, finanziarie e patrimoniali disponibili, modalità e criteri della loro gestione; · per quanto riguarda l'assetto finanziario, verificata l'impossibilità di chiedere ai musei una ricostruzione a posteriori del proprio bilancio, ci si è orientati a indicare come standard la predisposizione di un documento programmatico annuale che dichiari le risorse finanziarie disponibili, le attività previste, gli obiettivi da raggiungere. A questo documento si accompagna una relazione a consuntivo per verificare lo scostamento del reale dal programmato. Nel caso di progetti di sviluppo che comportino l'assunzione di oneri di gestione a tempo indeterminato - come potrebbe essere il restauro e l'apertura al pubblico di nuove sale, o la stessa apertura di un nuovo museo - viene richiesta la predisposizione di un documento di previsione dei costi e ricavi di esercizio, una sorta di business plan su base triennale; · strutture e sicurezza fanno riferimento alla normativa vigente, evidenziando, per i requisiti obbligatori previsti, la loro effettiva presenza o l'intenzione di dotarsene facendo riferimento all'atto (delibera o altro) che ne determina la futura acquisizione; · le questioni relative al personale sono state affrontate più dal punto di vista delle funzioni da garantire, che non dei profili professionali da richiedere in organico. Lo standard richiesto al museo è perciò quello di garantire in modo adeguato e con continuità le funzioni di direzione, conservazione e cura delle collezioni, servizi educativi e didattici, sorveglianza e vigilanza, siano essi interni o esterni al museo, facenti capo a una stessa persona o a più individui, a un museo singolo o a una rete di musei. Queste funzioni vanno comunque assicurate, così come va sempre garantita una responsabilità di direzione. Si raccomanda inoltre al museo di sostenere e incoraggiare l'aggiornamento e la formazione continua del proprio personale; · la gestione delle collezioni è l'ambito più ricco e articolato tra quelli contenuti nell'Atto di indirizzo, poiché spazia dalle politiche di ricerca e studio - assolutamente essenziali alla vita di un museo, ma difficilmente "standardizzabili" - alle norme per la conservazione e il restauro, alla registrazione e documentazione, alle politiche di acquisizione (incremento e inalienabilità delle collezioni). Gli standard per la conservazione e il restauro richiedono il rispetto di condizioni e parametri precisi relativi all'ambiente, al microclima, alla prevenzione e messa in sicurezza delle opere, alla manutenzione e al restauro, alla documentazione (scheda conservativa, documentazione degli interventi di restauro, ecc.); · per quanto riguarda la documentazione e la catalogazione del patrimonio si richiede la presenza almeno di un inventario e di un registro di carico, di un catalogo e della documentazione fotografica delle opere (con l'informatizzazione dei relativi dati) in percentuali diverse a seconda del punto in cui il museo si colloca nel percorso intrapreso per il raggiungimento dello standard; · altri requisiti riguardano l'accessibilità delle collezioni e dei depositi, le politiche di incremento del patrimonio, quelle di ricerca e studio; · infine i rapporti con il pubblico e il territorio, terreno cruciale sul quale si gioca il rinnovamento del museo e il ripensamento delle sue funzioni in atto ormai in tutti i paesi europei. Anche per questi ambiti ci si è voluti concentrare su alcuni requisiti di base (orari di apertura, presenza di un catalogo, conoscenza del pubblico e del bacino di utenza, presenza di un progetto educativo-didattico), senza tuttavia trascurare tutte le altre misure (segnaletica, sussidi alla visita, carta dei servizi) che possono contribuire a migliorare l'accessibilità e le potenzialità informative ed educative del museo. Per consentire ai musei di comprendere più agevolmente come si posizionano rispetto ai requisiti contenuti nell'Atto di indirizzo, l'IBACN predisporrà una scheda per rilevare lo stato dei musei rispetto agli standard, così anche da poter valutare sulla scorta di riscontri oggettivi più puntuali come orientare i finanziamenti all'interno dei prossimi piani e quali azioni intraprendere per sostenere i musei nel processo di miglioramento e di adeguamento agli standard. Dall'autunno prossimo saranno inoltre organizzati a livello provinciale momenti informativi rivolti a operatori e amministratori, per promuovere la conoscenza dell'Atto di indirizzo e favorire in tutti gli attori coinvolti una maggiore consapevolezza delle sue implicazioni.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2003 - N.17]

Si è costituito a Ravenna il Centro Studi per l'Archeologia dell'Adriatico. Fra le prime iniziative, un convegno internazionale sulla storia adriatica dalle origini all'età medievale

Fiamma Lenzi - Istituto Beni Culturali

Come in una fotografia divenuta pietra, la consueta maestria continua a guidare per l'eternità la mano di Longidienvs mentre manovra l'ascia con la quale ha dato forma, durante i suoi giorni di uomo, a molti dei natanti alla rada nel porto di Classe. Accompagnato dal ceppo di un'ancora, che tanti attracchi fidati gli aveva forse garantito, Klutikuna di Spina dorme il suo sonno millenario. Fra i flutti guizzano festosi delfini ed altri pesci nella composita trama musiva di Palazzo Diotallevi in un bianco/nero optical ante litteram, salutando l'arrivo delle navi appresso al faro di Rimini. Naufragata con l'intero suo carico, Stella Maris sino ad ieri celava gelosamente il proprio segreto nella sabbia di Valle Ponti. Anche Vel Kaikna, felsineo metropolitano di terra, compì la scelta di consegnarsi al domani attraverso la visione di un vascello da guerra, emblema di ciò che egli seppe essere - un navarca - su un mare saldamente controllato dalla sua gente. Sparsi frammenti di storie, tutte ruotanti nell'orbita di una narrazione più vasta, al cui centro sta l'Adriatico, con le sue rotte, con i suoi approdi, con l'essere "spontaneo" mediatore culturale per le civiltà insediate lungo le sue coste o per i popoli dell'interno, sospinti sul litorale dalla ricerca di un affaccio, dall'ansia di un contatto con l'Altrove. Il sistema dei "segni" incessantemente tessuti dall'uomo solcando l'Adriatico in infinite intersecazioni delle linee cardinali o immaginandolo come una soglia verso mondi alieni, trova nelle testimonianze del passato il punto obbligato di partenza e di transito per ripercorrere, sul filo della diacronia, i processi storici di lunga durata. Ma anche per rileggere e "interpretare" uno degli elementi naturali che maggiormente hanno modellato e conferito fisionomia all'antico volto di questa estrema propaggine d'Europa. Ecco, allora, che la relazione fra l'uomo e l'Adriatico si colora di sfumature cangianti, si flette in una molteplicità di declinazioni, guardando ora all'archeologia delle comunicazioni marittime, ora alla mappa delle emergenze storiche sommerse, ora alle direttrici di smistamento di merci e materie prime, ora ai progetti museografici o ai parchi tematici che hanno in questo mare il principale perno generatore. È naturale, dunque, che a tale importante entità geofisiografica, coincidente con uno dei grandi "luoghi della storia" del mondo antico, intorno al cui bacino è cresciuto un inestricabile intreccio di rapporti storici, sociali, economici, culturali, sia stato appena dedicato un convegno internazionale, il primo nel suo genere, in una città emblematica come Ravenna. Si tratta di uno dei passi iniziali - ma già capace di dare contorno alla dimensione futura degli intenti - mossi dal Centro di Studi per l'Archeologia dell'Adriatico, che è recentemente sorto per iniziativa dell'Università di Bologna con lo scopo di incentivare la ricerca scientifica e promuovere le conoscenze storiche e archeologiche legate a tale distesa d'acqua. Lo sviluppo di indagini specifiche o ad ampio raggio concernenti le tematiche adriatiche, l'approntamento di materiali informativi, il sostegno ad iniziative di tutela e valorizzazione territoriale, la stampa di studi e monografie, l'organizzazione di consessi come quello appena conclusosi rappresentano solo alcuni dei traguardi da raggiungere. La vastità di orizzonti e la misura degli impegni programmatici sono del resto chiaramente rimarcati dal numero di adesioni pervenute. Fra i soci fondatori figurano Università, Soprintendenze, Istituti di ricerca, Enti locali e importanti realtà regionali come il Comune e la Provincia di Ravenna, l'Istituto Beni Culturali, la Fondazione Flaminia. Secondo auspici da più parti espressi, ad una fase organizzativa per ora tutta "italiana" farà seguito assai presto un ampliamento del quadro partecipativo alla sponda orientale dell'Adriatico, rendendo possibile arricchire e completare la rete di collaborazioni e realizzare autentiche e permanenti sinergie fra gli ambiti e i paesi che in questo scenario condiviso si riconoscono. L'articolazione che l'organismo è destinato ad assumere consentirà di utilizzare appieno e far emergere la varietà di risorse scientifiche e tecniche degli enti presenti, che saranno così in grado di modulare al meglio il loro apporto operativo, pur rimanendo sempre in sintonia con gli obiettivi istituzionali propri.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2001 - N.11]

Una ricerca svolta con l'intento di strappare dall'isolamento gli oggetti musealizzati per porli in rapporto con il loro contesto storico-ambientale

Antonella Tricoli - Incaricata per il Sistema Museale Provinciale di Modena

Dal 1998 la Provincia di Modena si occupa dell'organizzazione delle attività del Sistema Museale Modenese, che mette "in rete" gli oltre cinquanta musei del territorio; nel 2001 l'Amministrazione ha commissionato alla Scrivente un'indagine conoscitiva, al fine di progettare interventi mirati ad un miglioramento gestionale, strutturale e ad una giusta valorizzazione dei musei, tale censimento è stato coordinato dall'Istituto per i beni artistici, culturali e naturali dell'Emilia-Romagna. Si è inoltre ritenuto opportuno affidare al "rilevatore" la redazione di una sintesi della realtà museale provinciale nel suo complesso e della situazione interna alle singole istituzioni, confrontata con la più ampia situazione nazionale, per quanto attiene ai principi generali sulla gestione museale. Lo scritto si struttura in due parti: nella prima brevi notizie di carattere storico sulle collezioni e sulle loro sedi introducono alle principali argomentazioni, riguardanti la gestione del museo e del territorio, le attività delle istituzioni culturali, i finanziamenti pubblici e privati, gli spazi fisici e la fruibilità; nella seconda parte sono presentati schemi riassuntivi e schede sui musei, che costituiscono esempi significativi ai fini del discorso. È obiettivo della ricerca, oltre che definire le principali caratteristiche delle istituzioni museali in quanto tali, rapportate alle realtà locali, soprattutto favorire un potenziamento della "conservazione globale" che contrasti la pratica dell'isolamento degli oggetti musealizzati dal loro contesto storico-ambientale; il Museo, infatti, deve essere considerato parte integrante della realtà territoriale che l'ha espresso e viceversa, poiché sono assai strette le interrelazioni tra i contenuti dell'uno e dell'altra. La museologia e la museografia escono sempre di più dal limite ristretto del museo tradizionale per estendere il loro campo di applicazione a quel ben più ampio "Museo" che è la città storica e al contesto naturalistico in cui la stessa città si colloca.

La pagina del Sistema Museale dalla Provincia di Modena - pag. 4 [2003 - N.18]

In autunno una giornata di studio per riflettere sulle potenzialità educative del museo verso gli utenti di tutte le età

Alba Trombini - Consulente museale

A tre anni dal Convegno nazionale sul ruolo sociale del museo - e come sua naturale prosecuzione - la Provincia di Modena organizza per il prossimo autunno una giornata di studio e dibattito sulle potenzialità educative e creative del museo, intendendo con tale definizione tutte le attività che rendono il museo strumento e luogo di crescita sia personale che collettiva, senza alcuna distinzione per quanto riguarda età, identità culturale, abilità, status sociale o provenienza. Il tema di un nuovo possibile rapporto fra pubblico e museo verrà analizzato da diverse prospettive: dalla dimensione fisica, indagata da architetti e museologi, alla sfera emotiva di pertinenza della ricerca psicoanalitica; dalla riflessione maturata in seno alla critica d'arte alla testimonianza di chi direttamente sul campo cerca nuove vie educative al museo, nuove modalità di interazione con pubblici diversi . Accesso, dialogo e creatività: sembrano questi i punti chiave attorno ai quali ruoterà l'attenzione dei musei in futuro. Parlare di accesso o inclusione, di dialogo o creatività - in modo concreto e diverso - significa allargare la prospettiva ad un raggio di azione e pensiero più ampio, ad una visione che sappia coniugare le esigenze di persone diverse con le potenzialità educative del museo, non sempre o non ancora del tutto esplorate. Ci sono alcuni temi come l'educazione permanente degli adulti, o l'integrazione di modelli e approcci culturali differenti, con i quali il museo prossimo venturo dovrà necessariamente confrontarsi data l'evoluzione della società contemporanea. Altri aspetti, invece, come il coinvolgimento di fasce sociali cosiddette deboli - anziani, disabili, adolescenti a rischio, emarginati - rientrano più nel campo della possibilità che in quello della necessità. Occuparsi di disagio, in qualsiasi forma o intensità esso si manifesti, potrebbe sembrare ad alcuni un compito estraneo alla cultura museale: in realtà dallo studio di esperienze compiute sia in Italia che all'estero, risulta che chi offre spazi e servizi in tal senso anche al museo ottiene grandi risultati in termini di crescita e arricchimento culturale reciproco

La pagina del Sistema Museale dalla Provincia di Modena - pag. 4 [2003 - N.18]

Il progetto MUSA permette di verificare i parametri ambientali necessari per una buona conservazione museale

Paola De Nuntiis, Chiara Guaraldi, Paolo Mandrioli, Alessandro Monco - ISAC-CNR, Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima del Consiglio Nazionale delle Ricerche di Bologna

Per conservare la sua integrità, un oggetto deve essere costantemente controllato e sottoposto a procedure che ne impediscano il rapido deterioramento, per evitare il ricorso a operazioni di restauro a scadenze eccessivamente ravvicinate, che non gioverebbero all'integrità dei manufatti artistici. Il controllo della qualità dell'atmosfera che "avvolge" l'opera d'arte o il manufatto storico collocato nelle sale espositive, nelle sale di consultazione, nei magazzini, o durante il trasporto per destinazioni differenti, costituisce la base su cui si è sviluppato il progetto MUSA, nato dalla collaborazione tra l'Istituto per i beni culturali (IBC) della Regione Emilia-Romagna e il Consiglio nazionale delle ricerche - Istituto di scienze dell'atmosfera e del clima (CNR-ISAC) di Bologna.
La filosofia principale del progetto è la verifica della compatibilità dell'ambiente con le caratteristiche dei materiali conservati. Il progetto MUSA propone procedure e metodi per caratterizzare ambienti e materiali allo scopo di definire limiti e criteri "quantitativi", che permettano un monitoraggio efficace dello stato di conservazione degli ambienti e dei materiali, oltre che la valutazione del rischio di degrado dei medesimi. Uno degli scopi del progetto è l'individuazione di strumenti disponibili e idonei per la valutazione qualitativa e quantitativa dei parametri fisici, chimici e biologici dell'aria, oltre che la caratterizzazione dell'ambiente e dei materiali conservati, al fine di definire l'effettiva situazione di rischio e fornire indicazioni, indispensabili, per gli opportuni interventi di prevenzione, conservazione e restauro. Il progetto è dedicato ai musei, alle gallerie, alle biblioteche, alle chiese, ai siti archeologici ipogei destinati alla esposizione permanente o temporanea e alla conservazione delle opere d'arte. Il progetto è inoltre finalizzato alla realizzazione di una rete basata sulla comunicazione internet e sulla comunicazione diretta via modem: la rete utilizza tecnologie di comunicazione internet e wireless e offre ai curatori e al personale tecnico un concreto aiuto in risposta ai quesiti inerenti la conservazione del patrimonio artistico.
La gestione avviene attraverso scambio di informazioni e procedure tra il centro e i siti periferici (i musei). Il sistema si basa sulla rete di misura dei parametri fisici del microclima interno, con particolare riferimento a umidità e temperatura, attivi nei siti periferici. Altri parametri come l'intensità luminosa e la concentrazione di inquinanti chimici e biologici, estremamente utili per una miglior caratterizzazione dell'ambiente, verranno considerati in un secondo tempo. Tutte queste misure e i relativi dati sono trasmessi dai siti periferici verso un punto centrale che costituisce un archivio indispensabile per monitorare le differenti situazioni locali e per generare analisi e previsioni sull'andamento delle condizioni ambientali. Il trasferimento dei dati nelle due direzioni (periferia-centro e centro-periferia) avviene in tempo reale. Presso ogni sito è possibile consultare i propri dati poiché il centro ha funzione anche di banca dati con accesso riservato, in questo modo saranno immediatamente evidenziati quei valori che non rientrano negli intervalli stabiliti per la conservazione ottimale dei beni architettonici. Inoltre verranno evidenziati tramite opportuni grafici gli andamenti dei valori riscontrati in funzione del tempo.
Un aspetto non marginale della rete intermuseale è costituito dalla possibilità di utilizzo come forum per la discussione allargata a tutti gli utenti della rete dei problemi di gestione. Il sistema estremamente interessante per i siti che non sono provvisti di personale tecnico esperto nella climatizzazione o nella conservazione. In questi casi il sistema è di aiuto per segnalare situazioni di rischio che potrebbero verificarsi o che sono già in atto. La rete sviluppata nell'ambito del progetto è costituita da un centro di acquisizione ed elaborazione delle informazioni, situato presso il CNR-ISAC, che riceve dati dai siti museali aderenti al progetto e restituisce l'analisi agli stessi.
I siti coinvolti allo stato attuale nel progetto appartengono alle strutture che erano già dotate di sistemi per il monitoraggio automatico del microclima. Questi siti, prescelti in base alla tipologia climatica, alla destinazione d'uso e ai materiali conservati, sono: le Collezioni comunali d'arte di Palazzo d'Accursio a Bologna, il Museo d'arte della città - Loggetta Lombardesca di Ravenna, la Casa Museo "Marino Moretti" di Cesenatico (Forlì-Cesena). Ogni sito è dotato sia di sistema automatico per l'acquisizione di alcuni parametri, sia di apposito software installato su computer locale, per mezzo del quale vengono acquisiti tutti i dati da introdurre manualmente: le misure non automatiche, le informazioni in chiaro derivate da altre sorgenti (numero di visitatori, schede relative ai materiali conservati, ecc.) e qualsiasi altra informazione necessaria a caratterizzare l'ambiente e il patrimonio conservato. Le categorie di parametri sotto elencati vanno intese come riferimento attuale, da implementare in fasi successive: § tipologia e caratteristiche dell'ambiente designato (museo, galleria, altro); § tipologia e caratteristiche dei materiali conservati; § stato di conservazione dei manufatti; § parametri ambientali interni: umidità relativa (minima, massima, media), temperatura (minima, massima, media), illuminamento, velocità aria, carica microbica, polveri, inquinanti gassosi; § flusso di visitatori. Ogni sito è connesso tramite PC al Centro CNR-ISAC. Il collegamento di rete viene utilizzato sia per la trasmissione dei dati che per la ricezione di messaggi, elaborazioni e allarmi. È stato ideato inoltre un canale di scambio degli input e output tra musei e centro di acquisizione ed elaborazione (CNR), che utilizza la tecnologia internet, creando un sito specifico: www.isac.cnr.it/musa/, utile strumento di lavoro per gli aderenti al progetto e anche punto di riferimento per gli esperti del settore.
Il progetto, sviluppato nell'arco di soli 18 mesi, ha dato risultati ottimali sia dal punto di vista scientifico che tecnico, offrendo la possibilità di realizzare un servizio concreto anche alla luce delle recenti normative che vincoleranno i musei ad adeguarsi in tempi brevi a standard nazionali di riferimento. Il progetto non esaurisce la problematica, ma richiede una partecipazione attiva del personale museale e va incontro a un grande problema delle realtà museali italiane: la carenza di figure professionali competenti e in grado di gestire le tematiche legate alla conservazione; il sistema si rivolge proprio al personale addetto ai musei, esperto d'arte ma non di materie tecnico-scientifiche, chiamandolo a gestire attivamente gli ambienti microclimatici delle proprie strutture.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2004 - N.19]

Un dossier, pubblicato a cura dell’IBC, approfondisce le tematiche legate al sessantesimo anniversario della Liberazione, attraverso lo studio dei musei storici della regione

Patrizia Tamassia - Patrizia Tamassia

Nel territorio dell’Emilia-Romagna sono presenti molti e significativi musei e luoghi di memoria della Resistenza e della Seconda guerra mondiale: questa concentrazione, che risalta particolarmente nel panorama italiano, è dovuta a ragioni legate sia allo svolgersi degli eventi storici che allo sviluppo della società regionale nel dopoguerra. Sono frutto di quel particolare legame tra la storia appena trascorsa e la sua rappresentazione che si crea quando i protagonisti e i testimoni sono molto spesso determinanti nel farsi museo degli eventi e dei valori che si vogliono ricordare e dunque trasmettere.
Proprio all’approfondimento di questo rapporto è dedicato il dossier monografico della rivista IBC (n.2 – giugno 2004) appena uscita, che intende in questo modo offrire un contributo di riflessione per le celebrazioni del Sessantesimo anniversario della lotta di Liberazione.
L’analisi si apre con la rappresentazione del Risorgimento che nei musei trova uno degli strumenti di quel processo di costruzione dell’identità nazionale che era il chiaro obiettivo della classe dirigente nell’Italia postunitaria. Scrive Massimo Baioni: “Il Risorgimento – la storia contemporanea dell’epoca – entrava dunque nelle sale dei musei sull’onda di una pressante esigenza di educazione nazionale, che conferiva loro quella fisionomia di templi laici del patriottismo destinata a segnare per lungo tempo le strategie espositive.”
Seguendo lo sviluppo dei musei del Risorgimento dall’epoca della loro fondazione fino ad oggi, si possono cogliere elementi per una riflessione su quanto gli avvenimenti successivi abbiano prodotto adattamenti e modificazioni sia come contenuto che come allestimento: ovvero su quanto la storia contemporanea che si fa museo, sia soggetta ad interagire con il mondo esterno, in modo molto più marcato ed evidente di quanto questo si verifichi per altre tipologie di musei .
Sono proprio queste considerazioni a rappresentare il collegamento che si intende sottolineare tra i musei del Risorgimento e quelli della Resistenza, esempi più vicini a noi di storia contemporanea rappresentata nei musei.
La Resistenza, in Italia, entra nei musei in modo tutt’altro che lineare intrecciando il suo percorso con le vicende politiche del nostro paese: Ersilia Alessandrona Perona individua quattro momenti: “lo sforzo dei Comitati di Liberazione nazionale (CLN) di creare un discorso pubblico a livello non solo di simboli ma anche di rappresentazione esemplare (1945-1947), frustrato dall’avvento dei governi di centro destra e congelato dalla guerra fredda; la ripresa di un discorso propositivo tra la metà degli anni Cinquanta e la fine degli anni Sessanta ad opera soprattutto dei testimoni; la svolta negli anni Settanta con l’apporto di nuove risorse umane, culturali, politiche; la ricerca, dagli anni Novanta, di un nuovo modo di rappresentare, comunicare, trasmettere la storia nei musei”.
Nella nostra regione è proprio durante gli anni Settanta che si realizzano la maggior parte dei musei della Resistenza anche se già Casa Cervi era un luogo di memoria e identità molto forte, fin dagli anni dell’immediato dopoguerra. La vicenda della nascita di questo museo è unica perché ruota attorno alla figura carismatica di papà Alcide e alla sua volontà ferma e decisa di continuare a tramandare il ricordo dei figli e del loro sacrificio; la realizzazione della casa museo rappresenta, in modo esemplare, proprio quel legame particolare tra storia contemporanea e musei in quella fase cruciale determinata da una forte esigenza di memoria.
Infatti il delicato passaggio dal racconto dei protagonisti all’allestimento dei musei storici che è stato compiuto – e si sta continuando a compiere – in questi sessant’anni che ci separano dagli eventi è un tema da approfondire; sono le modalità attraverso le quali i musei della Resistenza comunicano i loro contenuti ad essere già diventate esse stesse elementi storicizzati della rappresentazione che in questi anni si è proposta di quel periodo storico decisivo e sofferto. Dunque un punto di vista particolare dal quale osservare l’insieme dei musei e dei luoghi per la memoria che permette di evidenziare letture e stratificazioni legate alle interpretazioni e alle volontà di memoria degli ultimi decenni e che risalta maggiormente proprio nel quadro d’insieme regionale.
Le realtà museali emiliano-romagnole compongono un mosaico che restituisce la storia del periodo della Seconda guerra mondiale, così complessa e difficile da dipanare, attraverso l’approfondimento di singoli aspetti degli avvenimenti di una regione che ha avuto un ruolo determinante nel quadro nazionale.
Proprio dal collegamento e dalla ricomposizione delle singole esperienze museali può realizzarsi quel processo di crescita, indispensabile per poter continuare a comunicare in modo efficace ed incisivo. Per dare un segnale che vada nella direzione di un sistema regionale dei musei e dei luoghi per la memoria l’Istituto Beni culturali, insieme agli Istituti storici e ai musei della regione, ha proposto, per le celebrazioni del Sessantesimo una carta tematica dal titolo provvisorio Una regione di storia. Musei e luoghi per la memoria della Seconda guerra mondiale in Emilia-Romagna da distribuire con un quotidiano a ampia diffusione regionale.
Memoria come percorso continuo di costruzione di memoria: come ha scritto Ezio Raimondi nella prefazione alla mostra permanente su Silvio Corbari a Ca’ Cornio di Modigliana “Ricordare significa anche rimettere in discussione una esperienza codificata nel tempo, interrogare di nuovo certezze e convinzioni alla luce implacabile del dopo, con nuove prospettive e nuovi problemi: il passato non è qualcosa di immobile, ma è sempre investito dalle esigenze, dai desideri, dai ripensamenti del nostro presente”.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2004 - N.20]

Il questionario di auto-valutazione proposto dall’IBC consente ai musei di verificare punti di forza e di debolezza e di posizionarsi rispetto al sistema museale a livello provinciale e regionale

Laura Carlini - - Responsabile Servizio Musei Istituto Beni Culturali

Con l’approvazione della Deliberazione della Giunta Regionale 3 marzo 2003, n. 309 Approvazione standard ed obiettivi di qualità per biblioteche, archivi storici e musei ai sensi dell’art. 10 della L.R. 18/00 “Norme in materia di biblioteche, archivi storici, musei e beni culturali”, la Regione si è dotata di uno strumento operativo, attraverso il quale favorire la crescita della qualità dei servizi di studio e ricerca, documentazione, conservazione, gestione e valorizzazione del patrimonio culturale e incrementare la fruizione dei beni e degli istituti culturali.
La filosofia che sottende alla messa in atto degli standard è di garantire l’operatività presente e futura dei musei, dotandoli dei requisiti di funzionamento essenziali ed incentivando il progressivo e permanente miglioramento delle prestazioni. La piattaforma di requisiti uniformi per musei di ogni tipologia e dimensione vuole garantire l’omogeneità della qualità dei servizi offerti, nel rispetto della singolarità e della vocazione peculiare di ciascuno.
La Direttiva è uno dei punti qualificanti del nuovo Programma regionale degli interventi in materia di biblioteche, archivi storici, musei e beni culturali. Obiettivi, Linee d’indirizzo e procedure per il triennio 2004-2006 (L.R. 24/3/2000, n. 18), approvato dal Consiglio Regionale con delibera n. 569 del 19 maggio 2004.
Il lavoro svolto nel primo anno dall’emanazione della Direttiva ha raggiunto i risultati seguenti:
• definire ed attivare un sistema di rilevazione e monitoraggio delle prestazioni dei musei, da utilizzare con continuità quale strumento di auto-valutazione da parte degli istituti e di valutazione e programmazione da parte delle Amministrazioni Provinciali e dell’IBC;
• coinvolgere le Amministrazioni Provinciali ed i musei nel progetto, istituendo una modalità operativa e di comunicazione permanente e coordinata tra IBC, Province e musei;
• realizzare una prima rilevazione sullo stato attuale di rispondenza agli standard e riferire alla Giunta Regionale i risultati di tale verifica;
• creare un archivio informatizzato aggiornabile sugli standard museali;
• individuare, predisporre e realizzare le azioni d’assistenza tecnico-scientifica e formativa a favore dei musei, finalizzate al raggiungimento degli standard.
Il questionario di auto-valutazione sviluppato dall’IBC, che traduce la direttiva regionale in una check-list a domande chiuse (si/no), compilabile in linea all’indirizzo www.ibc.regione.emilia-romagna.it/stamus/indexie.htm, consente ai musei di verificare in modo autonomo i propri punti di forza e di debolezza e, attraverso il raffronto con le elaborazioni statistiche su base regionale e provinciale, di posizionarsi rispetto all’andamento complessivo del sistema museale a livello provinciale e regionale. La modalità “autoanalisi” è stata pensata altresì per permettere alle istituzioni di programmare, con il massimo grado di puntualità, i propri interventi di adeguamento agli standard di qualità, da finanziare anche attraverso la L.R. 18/00.
La prima rilevazione realizzata tra febbraio e aprile 2004, rispecchia la situazione di 172 realtà museali ed assimilate. I risultati statistici sono visibili sul sito www.ibc.regione.emilia-romagna.it/Questionario/risultati.htm.
Nell’implementazione dell’indagine è stato fondamentale il ruolo di front-office svolto in collaborazione con gli uffici cultura delle Province, ai quali si esprime un sentito ringraziamento per il fattivo contributo, consistito nell’informare e sollecitare i musei, dare chiarimenti sui contenuti, le modalità e le finalità della rilevazione.
La modalità operativa concertata ha consentito di mettere a punto uno strumento duraturo e aggiornabile, che garantisce la più ampia circolazione dell’informazione pur nel rispetto della privacy. Ogni museo può accedere al proprio dossier in linea e riscontrare i progressi ottenuti nel corso del tempo. Le Amministrazioni Provinciali, che hanno accesso con una password riservata a tutti i file dei musei del loro territorio, hanno l’opportunità di monitorare in ogni momento il loro sistema museale; l’IBC può raffrontare le prestazioni di tutti i musei della regione e verificare i miglioramenti e le criticità tanto dei singoli istituti quanto di comparti specifici (musei in comuni minori, in aree di montagna, appartenenti a tipologie specifiche: archeologia, storia, specializzati ecc.) per appurare le soluzioni preferibili da consigliare a ciascuno.
Hanno completato il questionario in ogni sua parte 157 organizzazioni; invece 15 realtà hanno comunicato di non considerarsi musei o di non essere in grado di rispondere per ragioni varie (chiusura a tempo indeterminato per cambio di sede o restauro). Il tasso di risposta a livello regionale è pari al 34% (157 risposte su 460 contatti), da valutarsi molto positivamente, tenuto conto della complessità del questionario e dei tempi ristretti concessi per la sua compilazione, che è stata inoltre realizzata impiegando una modalità innovativa: diffusione e compilazione on-line, che ha consentito un notevole risparmio di tempo e denaro sia da parte dei compilatori, sia per gli aspetti di diffusione, raccolta, validazione, elaborazione, e commento dei dati.
È inoltre apprezzabile l’elevato riscontro registrato in tutte le province, con la partecipazione di musei d’ogni tipologia e dimensione, dislocati sia nei comuni capoluogo, sia in centri minori, che rispecchia in modo eloquente la realtà museale regionale, ove nel 45% dei Comuni esiste almeno un museo, sebbene di dimensione contenuta: circa un terzo occupa spazi inferiori ai 200 mq e quasi la metà è dotata di superfici espositive minori di 400 mq. Si ritiene estremamente significativo che ottimi risultati siano stati ottenuti sia da musei di grandi dimensioni ubicati in comuni capoluogo, sia da piccole entità collocate in comuni minori. Tale esito dimostra che gli standard sono alla portata di tutti i musei regionali, quando vi siano attenzione ed impegno da parte degli enti titolari e professionalità adeguate per gestire la struttura.
I musei rispondenti hanno, in media, il 55,21% di tutti i requisiti richiesti, con lacune complessivamente più evidenti nell’ambito 1 – Status giuridico, ambito 5/01 – Conservazione, ed ambito 7 – Rapporti con il territorio, nei quali meno della metà degli istituti è attualmente in grado di ottemperare ai requisiti. I punti di forza sono riscontrabili negli ambiti 4 – Personale, 5/02 – Manutenzione e restauro, e 6 – Rapporti con il pubblico e servizi, ove i musei già oggi possiedono, in media, i due terzi degli standard obbligatori.
Nell’ottica di programmare azioni mirate al raggiungimento degli standard, si deve considerare che i requisiti possono essere classificati in due grandi famiglie.
1. Requisiti per raggiungere i quali non occorrono investimenti finanziari, ma sono sufficienti azioni di formazione del personale e di supporto tecnico-scientifico. Esempi di questa tipologia sono: “avere il regolamento”, (ambito 1 – Status giuridico) non posseduto dal 60% degli istituti, oppure “avere un mansionario per la movimentazione interna delle opere”, assente nel 90% dei musei. Per ovviare a tale tipo di carenza IBC ha già provveduto ad organizzare attività formative ad hoc. Il primo workshop, attualmente in corso, è infatti dedicato al tema del regolamento. Ulteriori iniziative su altri punti qualificanti saranno presentate nei mesi futuri.
2. Requisiti a carattere strutturale, che comportano investimenti finanziari. Tra questi i più significativi riguardano l’ambito conservativo: impianti e strumentazione adeguata per la conservazione degli oggetti, sia negli spazi espositivi, sia nei depositi e per il controllo dei parametri microclimatici, non posseduti da più del 70% dei rispondenti. Per colmare questo tipo d’insufficienze sarà necessario che i musei possano fruire di risorse finanziarie da reperirsi anche mediante la pianificazione museale annuale della L.R. 18/00. Anche in questo caso l’IBC ha attivato un progetto di assistenza tecnico-scientifica per il monitoraggio a distanza del microclima al quale i musei possono far richiesta di adesione.
I musei hanno già tratto vantaggio da questa prima auto-valutazione ai fini della redazione di progetti d’intervento mirati a superare le carenze riscontrate. Nel novero delle richieste di finanziamento avanzate per il piano museale 2004, gli istituti hanno fatto puntuale citazione dell’ambito e del requisito/obiettivo di qualità che intendevano raggiungere grazie alla proposta avanzata.
Per rendere la futura attività di pianificazione più efficace ed incisiva, la compilazione completa del questionario per tutti i musei che presentano progetti da finanziare attraverso i piani museali annuali ai sensi della L.R. 18/00 sarà obbligatoria. Si prospetta infine di procedere alla predisposizione, in forma sperimentale, di un processo d’accreditamento per i musei, che miri alla formulazione di un modello e di procedure certe di valutazione e di riconoscimento.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2004 - N.21]

Le iniziative promosse dall’IBC nell’ambito del XII Salone del Restauro di Ferrara mettono in rilievo la collaborazione tra l’Istituto e gli Enti locali della Regione per la valorizzazione dell’attività di musei e biblioteche

Lidia Bortolotti - Servizio Musei e Beni Culturali Istituto Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna

Dal 7 al 10 aprile, negli spazi fieristici di Ferrara, si svolgerà anche quest’anno il Salone dell’Arte del Restauro e della Conservazione dei Beni Culturali e Ambientali, giunto alla XII edizione. L’Istituto per i Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna – che ne è tra l’altro uno degli enti promotori – partecipa attivamente all’iniziativa fin dalla prima manifestazione e non mancherà di apportarvi un cospicuo contributo organizzando tre convegni specialistici, una mostra e uno stand.
Biblioteche, archivi e musei della regione sono i protagonisti dell’evento espositivo IBACN Cantieri culturali, suddiviso significativamente in due sezioni, il sottotitolo Allestimenti, didattica, catalogazione e restauro nei musei dell’Emilia-Romagna esplicita il contenuto della sezione museale, mentre Nuovi spazi per le biblioteche e gli archivi indica il tema della sezione dedicata per l’appunto alle biblioteche e agli archivi regionali.
L’intento è quello di offrire al numeroso pubblico che affluisce alla manifestazione ferrarese, una panoramica dell’attività svolta dall’Istituto di concerto con gli Enti Locali per la valorizzazione, il rinnovamento e il continuo miglioramento della qualità dei servizi, messa in opera dalle centinaia di biblioteche, archivi e musei della nostra regione.
In particolare la sezione che riguarda le biblioteche e gli archivi storici di enti locali, intende segnalare le nuove realizzazioni e le ristrutturazioni più significative che hanno interessato queste strutture negli ultimi cinque anni, con particolare attenzione agli interventi che si sono caratterizzati per l’estensione e la qualificazione dei servizi per gli utenti. Da cui emerge un panorama di indubbio interesse sia sotto il profilo quantitativo che qualitativo delle innovazioni introdotte, attestando una costante sensibilità delle Amministrazioni locali su questo fronte.
La sezione che riguarda i musei intende illustrare, attraverso una scelta rilevante benché non esaustiva, gli esiti conseguiti in questo ambito grazie all’impegno della Regione Emilia-Romagna che, attraverso l’IBACN, si attiva per l’applicazione della legge regionale 18/2000 “Norme in materia di biblioteche, archivi storici, musei e beni culturali”. Al fine di proporre una rassegna significativa l’esposizione si sviluppa seguendo quattro principali indirizzi: nuovi allestimenti, didattica, restauro, catalogazione, che pienamente richiamano quella definizione di museo contenuta nella stessa legge citata e dettata dagli indirizzi ICOM, secondo la quale esso è “un’istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo. È aperto al pubblico e compie ricerche che riguardano le testimonianze materiali e immateriali dell’umanità e del suo ambiente; le acquisisce, le conserva, le comunica e, soprattutto, le espone a fini di studio, educazione e diletto”. Provincia per provincia sono state pertanto individuate quelle situazioni che meglio caratterizzano il tema della mostra ponendo l’accento sulla varietà tipologica dei beni presenti nei musei. Inoltre grazie alla presenza di alcuni oggetti, prestati per l’occasione, è possibile offrire al pubblico uno spaccato significativo della multiforme realtà museale della regione.
Il convegno organizzato dal Servizio Musei e Beni Culturali dell’IBACN, Virgo gloriosa: percorsi di conoscenza, restauro e tutela delle madonne vestite è stato inizialmente stimolato da un intervento di restauro che l’IBACN si accinge a finanziare, relativo al recupero di un manufatto conservato presso il Museo d’Arte Sacra Beato Amato di Saludecio (Rimini). L’obiettivo è quello di richiamare l’attenzione degli operatori del settore su oggetti, polimaterici per eccellenza, con specifiche problematiche conservative, di notevole interesse sia sotto il profilo storico che artistico e antropologico e, mettendo a confronto sia gli aspetti della conoscenza e valorizzazione che quelli della conservazione e tutela, stimolarne un recupero sia intellettuale che materiale. La definizione “Madonna vestita” indica una particolare rappresentazione della Vergine Maria sola o con il Bambino, costituita da una struttura in legno, in gesso o in cartapesta, accuratamente modellata nelle sole parti visibili costituite dal volto, dalle mani e dai piedi, risulta appena abbozzata nel resto del corpo che di fatto ne costituisce l’armatura, destinata ad essere totalmente ricoperta di sontuosi abiti dai colori sgargianti e dai pregevoli tessuti, cui talvolta non mancano preziosi ornamenti quali veri e propri gioielli. A lungo questi simulacri sono stati (e in molti casi lo sono tuttora) oggetto di una coinvolgente devozione popolare dalla profonda matrice arcaica, che vede i devoti, o più spesso le devote, in uno stretto rapporto di comunicazione con il simulacro che si esprime attraverso la preparazione e/o la donazione delle vesti, ma soprattutto nel rito della vestizione. Rituali che diventano espressione di pregnanti valori devozionali e taumaturgici in cui le stoffe, le vesti, il corpo, gli occhi, le mani e il sacro diventano veicolo di esperienze emotive.
Con lo specifico intento di illustrare finalità e modalità operative sperimentate in occasione del primo bando collegato alla L.R. 16/2002, l’Assessorato alla Programmazione Territoriale della Regione Emilia-Romagna e il Servizio Beni Architettonici e Ambientali dell’IBACN, in collaborazione con OIKOS Centro Studi, organizzano il convegno Legge Sedici: note a margine. Paesaggio, arte pubblica, nuova architettura. Nel corso dell’incontro saranno presentate le esperienze più rilevanti relative ai molteplici temi che caratterizzano la legge (concorsi, studi e ricerche, progetti urbani, arte, restauro, architettura contemporanea, demolizione delle opere incongrue con il paesaggio) ma anche le riflessioni effettuate da un Comitato di esperti, coordinato da OIKOS Centro Studi e incaricato del monitoraggio dello stato di attuazione dei progetti.
Il convegno Conservare il Novecento. I colori del libro, prosegue la riflessione avviata sei anni fa sulla conservazione dei materiali librari e documentari del secolo appena trascorso ed è articolato in due sessioni. La prima, di carattere generale, è dedicata a L’editoria di genere, coordinata da Luigi Crocetti prevede interventi di scrittori e docenti universitari sui libri per ragazzi, sui classici, sui libri gialli e sulla letteratura rosa, ponendo l’accento sulle principali collane relative a tali generi che hanno goduto di una particolare fortuna nel ’900. La sessione pomeridiana è dedicata ai Principi di conservazione e tutela e comprende l’illustrazione non solo dei principi di conservazione dell’IFLA, ma anche una riflessione sulla tematica della tutela alla luce del nuovo Codice e l’esposizione di progetti relativi alla prevenzione e conservazione dei beni librari. L’organizzazione si deve alla Soprintendenza per i beni librari e documentari dell’IBACN, in collaborazione con l’Associazione Italiana Biblioteche e l’Istituto centrale di patologia del libro del Ministero per i beni e le attività culturali.
È prassi ormai consolidata che l’Istituto, nell’ambito del salone ferrarese, affidi ad un proprio stand, di volta in volta opportunamente progettato, un delicato ruolo di rappresentanza. Non meno rilevante delle iniziative espositive e dei convegni lo stand ne è la “vetrina”, il punto d’ascolto e di contatto con il numeroso pubblico che affolla gli spazi fieristici, è il polo da cui diffondere informazioni sull’attività svolta, le iniziative realizzate od anche in fase di progettazione.
È prassi ormai consolidata che l’Istituto, nell’ambito del salone ferrarese, affidi ad un proprio stand, di volta in volta opportunamente progettato, un delicato ruolo di rappresentanza. Non meno rilevante delle iniziative espositive e dei convegni lo stand ne è la “vetrina”, il punto d’ascolto e di contatto con il numeroso pubblico che affolla gli spazi fieristici, è il polo da cui diffondere informazioni sull’attività svolta, le iniziative realizzate od anche in fase di progettazione.
Quello allestito a RESTAURO 2005 è dedicato alle attività del Servizio Beni Architettonici e Ambitali(uno dei tre settori dell'IBACN), in quest'occasione punta a presentare una propria immagine adeguata ai bisogni odierni che consistono principalmente nello svolgere una funzione di sostegno e consulenza agli assessorati nella gestione di alcune leggi di settore, e nel porsi nei confronti degli enti locali come punto di informazioni, cartografia e documentazione storica. Affiancare Enti Locali e Regione nelle loro attività di progettazione e programmazione, in una rinnovata funzione, più paritetica e collaborativa, costituirà l’immagine più attiva dell’IBACN in questo settore di particolare importanza per le politiche regionali.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2005 - N.22]

I Parchi di Cultura dei Luoghi dell’Anima e del Medioevo valorizzano le risorse culturali e turistiche dell’Appennino modenese

Francesco Scaringella - Responsabile Ricerche e Sviluppo - IAL Emilia Romagna Area di Modena e Reggio Emilia

Il progetto Parchi di Cultura (www.parchidicultura.it) intende tutelare il patrimonio storico ed ambientale dell’Appennino modenese e valorizzarne turisticamente le risorse e le attività di animazione culturale; è coordinato da IAL ER Area di Modena e Reggio Emilia e Provincia di Modena, supportato dalle tre Comunità montane, dai 18 Comuni dell’Appennino, dalla Diocesi di Modena, dal GAL Antico Frignano ed Appennino Reggiano, dal Parco del Frignano, dalle società di promozione turistica e da oltre 50 operatori culturali e turistici privati della montagna, ed è finanziato dalla Provincia di Modena e del Fondo Sociale Europeo. La rete territoriale attivata ha creato due parchi tematici legati alla più autentica identità e vocazione del territorio: il Parco di Cultura del Medioevo e il Parco di Cultura dei Luoghi dell’Anima. Essi collegano, in un itinerario ideale che va da maggio 2005 a febbraio 2006, proposte turistiche e culturali già presenti nella montagna modenese e nuove attività create ad hoc.
Il Parco dei Luoghi dell’Anima (www.parcoluoghidellanima.it), grazie anche alla presenza di un patrimonio storico naturalistico di pregio, rappresenta il contenitore virtuale di luoghi, eventi e momenti finalizzati allo stacco, alla riflessione, alla riscoperta dello spirito ed alla ricerca di un maggiore benessere psicofisico. L’offerta del Parco si articola in oltre 60 proposte legate a 4 diversi filoni: Natura e benessere (iniziative rivolte, tra l’altro, alla sensibilizzazione nei confronti della sostenibilità energetica, della valorizzazione e del rispetto delle risorse ambientali e della riscoperta di prodotti e di tecniche di produzione tipiche del territorio); Spiritualità e tradizione (occasioni per approfondire temi legati alla spiritualità cristiana); Spazi e Silenzi (momenti di riflessione e percorsi per fermarsi e purificarsi dallo stress quotidiano); Pace e Dialogo (eventi culturali e di scambio per riconciliarsi con se stessi, con gli altri e con la natura).
Tra gli eventi del Parco, possiamo ricordare: Tramonto al parco, la suggestiva escursione guidata al tramonto lungo il panoramico sentiero, per vedere e conoscere le abitudini degli animali che popolano il Parco faunistico di Festà a Marano sul Panaro, il 19 giugno; due giorni (2-3 luglio a Gombola di Polinago) ricchi di eventi, tra concerti, danze e gastronomia, legati alle tradizioni e alla cultura popolare nel Frignano Folk Festival. Inoltre, il 7 agosto a Sassoguidano di Pavullo, la Festa della Madonna delle nevi offrirà l’occasione per passeggiate guidate dalle emozioni e dai racconti, in percorsi ricchi di storia tra castelli, pievi e paesaggi che sanno trasmettere serenità d’animo e che fanno affiorare antiche memorie… Oppure, tra il 3 e l’11 settembre, il Parco S. Giulia di Monchio sarà scenario di La spada del guerriero, rievocazione legata al ritrovamento di una spada dell’età del bronzo, con particolare attenzione agli aspetti storici ed archeologici e ai rituali legati all’uso delle spade.
Anche il Parco di Cultura del Medioevo (www.parcomedioevo.it) presenta interessanti appuntamenti, come Lungo le antiche vie medioevali – Trekking a cavallo e con gli asini lungo la via Romea-Nonantolana, un “sorprendente” viaggio nel tempo, che si terrà dal 15 al 17 luglio; mentre il 10 agosto, a Piandelagotti di Frassinoro, viene offerta l’opportunità di una passeggiata in notturna, percorrendo antichi sentieri in Tra miti e leggende lungo la via Bibulca. Il Parco del Medioevo intende, attraverso 40 diverse proposte, fare conoscere e valorizzare in modo sistemico castelli, rocche e torri, pievi ed abbazie, borghi e centri rurali, antiche vie, ma anche cerimonie, manifestazioni, feste e rievocazioni che trovano le loro origini e radici in questo periodo storico. Le iniziative si dividono in 4 aree tematiche: Leggende e Miti dal Medioevo, Gusti e Sapori del Medioevo, Il Medioevo storico, Il Medioevo quotidiano, per rivivere le avventure di dame e cavalieri, di signori e contadini, di mercanti e uomini di fede.
Per approfondire il calendario dei due Parchi di Cultura, oltre ai citati siti Internet, è possibile consultare le mappe disponibili presso l’Assessorato al turismo e cultura della Provincia di Modena e presso numerosi IAT dell’Appennino.

La pagina del Sistema Museale dalla Provincia di Modena - pag. 4 [2005 - N.23]

L’attività dell’Istituto nella provincia di Ravenna ha permesso interventi di svariate tipologie nel settore del restauro

Beatrice Orsini - Istituto Beni Artistici Culturali e Naturali della Regione Emilia Romagna

L’impegno dell’IBC per il restauro è stato caratterizzato nel corso degli anni dalla varietà degli interventi dovuta alla ricchezza tipologica delle collezioni museali e, in generale, dei beni storico artistici presenti in regione. La sua attività ha cercato di contribuire a una migliore conservazione e valorizzazione dei beni di pertinenza degli enti locali, privilegiando la presenza sul territorio, ritenuta utile per individuare le diverse esigenze e priorità di intervento, in una costante collaborazione con le direzioni dei musei, gli amministratori locali e le competenti Soprintendenze per il patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico.
Le leggi regionali per i musei (L.R. 20/1990 e L.R. 18/2000) hanno contribuito a proseguire, negli ultimi dieci anni, questa linea di lavoro, dando vita ad una operatività intensa, che ha portato alla creazione di progetti importanti riferiti a diverse sezioni di intervento: nuovi allestimenti, interventi collegati a restauri architettonici, progetti di conservazione preventiva, collaborazioni con Istituti ed Accademie per la creazione di cantieri scuola.
Per Ravenna e la sua provincia le iniziative hanno seguito quasi tutte queste direzioni di lavoro: è stata messa in atto una programmazione molto ricca e articolata che ha tenuto conto delle diverse realtà e dell’impegno continuo e costante delle Amministrazioni locali e della Provincia, per la valorizzazione del patrimonio culturale dei musei.
Al fine di garantire una nuova e adeguata esposizione degli abiti di scena del Museo del Teatro di Faenza, ad esempio, è stata avviata un’accurata serie di interventi, non solo di restauro, ma anche di messa in forma dei manufatti, accanto ad operazioni conservative per i pezzi custoditi temporaneamente nei depositi.
Il contributo dell’Istituto ha inoltre facilitato la recente apertura della Casa delle Marionette di Ravenna, grazie alla catalogazione dei burattini e dei materiali di scena e al restauro di copioni manoscritti appartenenti alla Collezione Monticelli.
La collaborazione tra Istituto, Comune di Bagnacavallo e Soprintendenze competenti ha consentito la realizzazione di un progetto di restauro di opere pittoriche provenienti dall’ex convento di San Francesco, in parte restaurato ed esempio interessante di recupero di un edificio a fini culturali. È stata inoltre organizzata una mostra, Ritorno al San Francesco, corredata da una pubblicazione che riporta le diverse fasi di un progetto di particolare complessità.
I materiali della civiltà contadina e le loro esigenze conservative sono stati i protagonisti di un esperimento presso il piccolo Museo della vita contadina in Romagna di San Pancrazio di Russi, in seguito ripetuto anche per altre realtà museali della regione, che ha visto la partecipazione di operatori volontari ad una sorta di piccolo cantiere scuola. Nel corso di incontri programmati, essi hanno appreso, sotto la guida di un restauratore incaricato dall’IBC, i necessari procedimenti tecnici per eseguire, nel tempo, interventi o manutenzioni degli oggetti della collezione (in legno, metallo, paglia ecc.).
Al Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza sono stati messi in opera due importanti recuperi che hanno riguardato diverse tipologie di manufatti: scenografie dipinte su carta eseguite da Romolo Liverani per fare da sfondo ad un presepio della famiglia dei conti Zucchini (attualmente esposto in museo), e materiali tessili eterogenei di epoca precolombiana, provenienti da una donazione, che faranno parte del percorso museale nella sezione dedicata a questo tema. Nel caso del presepio, tra l’altro, si è voluto dare risalto ad un intervento abbastanza complesso proponendo le varie fasi in un filmato a carattere conoscitivo e didattico.
Al Museo d’Arte della città di Ravenna gli impegni negli anni hanno riguardato il restauro di dipinti (su tela e tavola), di cornici, di piccole opere su rame, di disegni, accanto allo studio delle condizioni conservative degli ambienti grazie all’inserimento del Museo nel progetto MUSA – Rete regionale intermuseale per la gestione a distanza della conservazione dei beni artistici, promosso dall’Istituto in collaborazione con il CNR-ISAC di Bologna.
Uno degli interventi più recenti al Museo d’Arte è riferito in particolare al restauro di tre opere su tavola di Nicolò Rondinelli, parti di un trittico raffigurante la Madonna col Bambino, Sant’Alberto Carmelitano e San Sebastiano. La storia del dipinto e i problemi emersi in laboratorio sono stati evidenziati in un breve studio predisposto in occasione del Salone del Restauro di Ferrara nel 2005, all’interno della mostra Cantieri culturali.
Già programmati e di prossimo avvio saranno altri lavori per il Museo d’Arte e inoltre per la quadreria della Biblioteca Classense di Ravenna. Della Madonna con Bambino – detta Madonna del Popolo dagli abitanti di Brisighella – e del suo laborioso restauro si parla in questo numero di Museo informa. È un esempio significativo della varietà e delle situazioni conservative con cui ci si rapporta nel lavoro quotidiano per la salvaguardia e la valorizzazione dei beni culturali.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2006 - N.25]

L’attività dell’IBC in materia di catalogazione dei beni culturali, efficace strumento per la loro valorizzazione

Alessandro Zucchini - Direttore dell'Istituto Beni Culturali

“Perché dobbiamo sostenere la catalogazione dei beni culturali?”.
Questa domanda mi è stata fatta nel 2001 da un componente della Giunta Regionale.
Ricordo di avere balbettato un imbarazzato “… Ma è ovvio…”. Non ritenevo però sufficiente citare l’articolo 2 della nostra legge istitutiva che indica fra le attribuzioni specificatamente “attività conoscitiva ed operativa, di indagine e di ricerca …”, “provvede alla costituzione dell’inventario regionale dei beni artistici, culturali e naturali…”. Ripresomi dalla sorpresa, mi ritrovai a ragionare velocemente più sul perché della domanda che sulla risposta.
È evidente e giusto che un amministratore pubblico che risponde in prima persona soprattutto ai fabbisogni dei cittadini - fabbisogni culturali nel nostro caso - si aspetti un ritorno più visibile delle risorse impiegate. La catalogazione dei beni culturali rappresenta un’attività definibile, secondo il nuovo gergo “informatico-amministrativo”, di “back-office”: è necessaria ed essenziale ai fini di una razionalizzazione sapiente e diafana di un simile patrimonio, tuttavia, inevitabilmente, sussiste uno scarto tra questa azione ordinatrice e l’integrazione dei suoi risultati con le occasioni di fruizione da parte dell’utenza.
Caso diverso è costituito dalla catalogazione di una tipologia particolare di beni, quelli librari e documentari. Chiaramente, su questo altro versante, lo scarto sopra ricordato viene ad attenuarsi notevolmente, perché la biblioteca e, in misura minore, l’archivio sono luoghi di frequentazione diffusa, nei quali l’utente interviene attivamente nella selezione dei beni catalogati. Come la catalogazione dei beni culturali, anche il servizio protocollare che registra i flussi documentali in entrata e in uscita presso un ente privato/pubblico riveste una mansione fondamentale, però questa rimane oscura di fronte al pubblico. Di certo, non occorre che l’utente esterno conosca le dinamiche intrinseche al fatto protocollare, discorso ben diverso va fatto in relazione al bene culturale, che deve essere l’oggetto di una cura lungimirante che ne decreti la totale condivisione.
Dalla sua istituzione, e con continuità, l’Istituto Beni Culturali ha sempre attuato interventi di catalogazione, riconoscendo la primaria necessità di alimentare la conoscenza del patrimonio culturale, in modo tale da fornire elementi utili alla programmazione regionale in materia. Sulla base di un’esperienza catalografica complessa sviluppata con la collaborazione delle Soprintendenze statali (Progetto SIRIS), l’Istituto negli anni ’90 creò, in collaborazione con altri partner pubblici e privati, la società “Centro Regionale per il catalogo e la documentazione” (CRC srl), come struttura operativa dedicata alla catalogazione dei beni culturali. In questo modo, le esperienze maturate dai collaboratori del progetto SIRIS nella gestione delle complesse normative catalografiche dell’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione del Ministero per i Beni e le Attività Culturali non andavano disperse.
Già da tempo stiamo studiando con altri enti territoriali come valorizzare al meglio il patrimonio culturale regionale e una sicura modalità di valorizzazione passa attraverso la fruizione da parte dei cittadini del patrimonio catalografico. In questo quadro si inseriscono le azioni previste al punto D.6 Un dominio cooperativo della cultura del Piano Telematico Regionale (PTR Programma operativo 2004). Voglio qui ricordare e ringraziare Claudio Leombroni della Provincia di Ravenna, perché è anche grazie al suo supporto ed alla sua tenacia che la “nostra” idea dell’utilizzo degli strumenti informatici per valorizzare e promuovere la cultura è stata inserita nel PTR, ponendo l’accento sul modello “cooperativo”.
Una delle attività previste nel piano vede coinvolto Daniele Panebarco e la sua équipe, perché la sua “creatività” ci ha messo a disposizione uno strumento unico nel suo genere per semplicità di utilizzo e resa grafica su WEB: Exhibits 3D. Attraverso il PTR sono state sviluppate altre funzionalità dedicate, ad esempio, all’interfaccia diretta con la catalogazione informatizzata.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2006 - N.26]

Gli interventi catalografici promossi in Emilia Romagna e, in particolare, nella provincia ravennate portano alla costituzione di cataloghi virtuali disponibili per una più completa fruizione

Isabella Giacometti - Istituto Beni Culturali

L’impegno di salvaguardare il patrimonio artistico, culturale e naturale richiede l’attuazione di operazioni di tutela quale risultato di una programmazione concertata tra gli organi tecnico-scientifici competenti. In tale contesto il censimento e la catalogazione, assieme all’attività di restauro, rappresentano un’esigenza indispensabile per la conoscenza e la valorizzazione dei beni culturali. I dati catalografici infatti costituiscono una sorta di documento identificativo, di un bene materiale o immateriale, che permette di comprenderne con maggior precisione le caratteristiche e il valore testimoniale, base imprescindibile per ogni attività di tutela consapevole e di valorizzazione pubblica.
L’Istituto per i Beni Culturali svolge questa attività mettendo a disposizione la sua competenza e le sue risorse a favore del patrimonio regionale. L’attività di catalogazione infatti si impone quale azione prioritaria nella programmazione annuale dell’IBC; questa prevede la definizione di piani di intervento formulati in seguito alle segnalazioni dei soggetti titolari dei beni e dai fabbisogni emersi a seguito dell’azione di consulenza svolta capillarmente sul territorio regionale dall’IBC. Con la L.R. 20/1990 prima, e con l’attuale L.R. 18/2000 poi, l’IBC ha rafforzato il suo impegno in questa direzione.
La consapevolezza del valore di tali interventi ha fatto emergere di conseguenza la considerazione che la conoscenza necessita di strumenti. E la disponibilità dei mezzi informatici costituisce un valido, anzi indispensabile, strumento per diffondere tale conoscenza. Per questo motivo tutta l’attività di catalogazione viene digitalizzata in modo da costituire una sorta di catalogo informatico rapido ed efficace non solo per chi opera nella catalogazione ma anche per quegli utenti interessati alla conoscenza e alla comprensione dell’ampio e sfaccettato complesso dei beni culturali regionali.
Per evitare che i diversi interventi restino scoordinati l’IBC ha realizzato, all’interno del più ampio repertorio digitale dei musei dell’Emilia Romagna, un collegamento da cui si può accedere direttamente ai beni catalogati a partire dalla scheda di quella realtà in cui sono conservati e in cui è stata compiuta l’attività di catalogazione. Questo strumento ha reso possibile la riunificazione dei diversi inventari in un’unica sede consentendo al tempo stesso una lettura più immediata della situazione patrimoniale. Da un punto di vista gestionale mette a disposizione una topografia informatizzata che permette di localizzare le opere e rende possibile la fruizione delle informazioni.
In Emilia Romagna l’attività di catalogazione si è sviluppata in modo pienamente autonomo, seppur in stretta correlazione con l’ICCD, Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, che predispone a livello nazionale appositi modelli catalografici corredati da una dettagliata normativa, che garantisce la realizzazione di schede corrette ed uniformi. Per lo svolgimento delle sue attività l’IBC ha messo a punto uno specifico software, in grado di dialogare con la più ampia rete nazionale del Sistema Informativo Generale del Catalogo (SIGEC), e si avvale del supporto tecnico del Centro Regionale per il Catalogo (CRC), società appositamente costituita dalla Regione.
Nel cospicuo assortimento di schede utilizzate, che rispondono alle esigenze derivanti dal carattere diffuso e stratificato del patrimonio e dalla compresenza nel territorio di tipologie diverse di beni (dai naturalistici a quelli artistici, dai demo-etnoantropologici a quelli archeologici), i modelli maggiormente impiegati si rivelano la scheda OA per i beni storico-artistici, e la scheda RA per i beni archeologici.
Altre schede sono state invece predisposte o adattate alla tipologia delle collezioni; tra queste alcune sono il frutto della collaborazione dell’IBC con altre istituzioni, mirata alla progettazione di tracciati catalografici per categorie particolari di manufatti, come nel caso della scheda di approfondimento dedicata alla ceramica, assente tra i modelli ministeriali, ma realizzata di concerto con il Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza e dotata di una sintassi omogenea a quella predisposta a livello nazionale dall’ICCD.
Sono molteplici le realtà museali del territorio ravennate interessate dalle campagne catalografiche. Si tratta per la maggior parte di realtà di piccole e medie dimensioni che si caratterizzano per l’eterogeneità delle raccolte a testimonianza della varietà culturale del territorio di appartenenza. Dalle tracce archeologiche ai cimeli della storia risorgimentale e della Grande guerra, dalle opere pittoriche alle ceramiche e alle targhe devozionali, dagli strumenti musicali alle marionette, dagli strumenti del lavoro contadino a quelli della civiltà palustre e di quella salinara. L’analisi dei primi sei anni di programmazione, attuata attraverso la legge regionale n. 18 del 2000, delinea un quadro di sicuro interesse relativo agli interventi conoscitivi sul patrimonio storico-artistico della provincia di Ravenna.
Sono undici i Comuni del territorio coinvolti, per un totale di ventidue realtà museali, in favore delle quali sono state avviate attività di inventariazione e catalogazione. Dalla pianura di Alfonsine dove l'attenzione è caduta sui fondi fotografici storici, alle colline di Brisighella, che custodisce nel Museo Civico “Giuseppe Ugonia” le più importanti e rappresentative opere di questo Maestro; dal mare di Cervia con i tipici strumenti salinari del Museo del Sale, a Faenza che alla più blasonata realtà del MIC affianca ragguardevoli patrimoni museali: i cimeli del Museo del Risorgimento, la collezione degli strumenti musicali del Museo del Teatro, la Pinacoteca Comunale con le opere esposte in occasione del nuovo ordinamento.
Nel delizioso centro di Bagnacavallo, presso il Museo “Le Cappuccine” sono state invece catalogate ex novo le opere dal ’700 al ’900, comprese le tele e alcune carte di Enzo Morelli. Non si possono poi dimenticare i materiali conservati nella singolare realtà dell’Ecomuseo della civiltà palustre di Villanova di Bagnacavallo e il nucleo storico-artistico nonché la raccolta di disegni del fondo Piancastelli del Museo Civico di Castel Bolognese.
Altri interventi ancora hanno toccato le piccole realtà di Fusignano, dove si è lavorato sulle opere esposte nel Museo Civico San Rocco, di San Pancrazio di Russi con il suo Museo della vita contadina, di Bagnara di Romagna in occasione dell’apertura al pubblico della sezione archeologica del costituendo Museo del Castello. In una pregevole realtà artistica come quella della città di Ravenna si è infine spaziato dalle opere del Museo d’Arte della Città, ai materiali del Museo Nazionale delle Attività Subacquee, dai materiali di scena della Casa delle Marionette, alle medaglie e ceramiche del Centro Dantesco dei Frati Minori Conventuali.
La conoscenza che deriva da queste azioni rende sì piacevolmente consapevoli dell’eterogeneità del patrimonio culturale di un territorio, ma allo stesso tempo richiama alla responsabilità di una continua e adeguata conservazione.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2006 - N.27]

Gli interventi in materia di schedatura e di restauro delle opere e dei cimeli nei musei del Risorgimento della Regione

Marta Cuoghi Costantini - Istituto per i Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna - Servizio Musei e Beni Culturali

Era ancora vivo nella memoria di molti italiani il ricordo delle cospirazioni carbonare e delle guerre che avevano segnato il tribolato cammino verso lo Stato unitario, quando presero forma e consistenza le prime raccolte di cimeli risorgimentali grazie alle generose donazioni di chi aveva vissuto in prima persona le lotte per l'indipendenza o dei familiari che avevano conservato ricordi, effetti personali, testimonianze.

Nacquero negli ultimi decenni dell'800 o nei primissimi anni del '900, soprattutto nelle città del Nord Italia, crescendo a fianco dei più rinomati e considerati Musei Civici, di cui spesso costituirono un'appendice secondaria, legata ai protagonisti della locale storia cittadina. Tutte comunque svolsero l'importante funzione di riunire, raggruppare, ordinare e soprattutto conservare una mole cospicua di testimonianze, di tramandarle e farle conoscere alle nuove generazioni, fornendo ancora oggi spunti di riflessione e preziosi riscontri non solo per la ricostruzione delle vicende locali ma in generale per una rilettura storica del Risorgimento italiano.

Terra di radicate tradizioni repubblicane, nella quale furono prontamente recepiti gli ideali mazziniani e largamente condivisa l'azione garibaldina, il territorio dell'Emilia-Romagna diede un contributo significativo al filone dei musei del Risorgimento ospitando le rilevanti raccolte di Bologna, Modena, Reggio Emilia oltre a quelle di Ferrara, Ravenna, Faenza, Modigliana, per citare solo le principali.

Dopo il fervore iniziale che aveva accompagnato la formazione dei primi nuclei documentari, la maggior parte dei quali venne presentata alla grande Esposizione Italiana di Torino del 1884 e, negli anni immediatamente successivi a questo evento, reso possibile la loro sistemazione nelle rispettive sedi cittadine, le collezioni vennero ben presto relegate a un ruolo di secondo piano se non completamente dimenticate. Per molti di noi il ricordo di questi musei, visitati principalmente per obbligo scolastico, è quello di luoghi poco frequentati, di teche e vetrine antiquate e polverose, di documenti e oggetti accostati in sequenze ripetitive, con fini conservativi più che per trasmettere messaggi al visitatore.

In realtà gli eterogenei materiali che essi custodiscono, comprensivi di libri, bandi, lettere, di bandiere, fazzoletti e uniformi, di copricapi, medaglie e targhe commemorative e ancora di fucili, daghe, spadini, fotografie, dipinti e molti altri oggetti ancora, si presterebbero, per il loro forte potere evocativo, ad assolvere una funzione comunicativa efficace qualora fossero accostati ed esibiti secondo concezioni museografiche moderne. Chi ne volesse una riprova può visitare il Museo del Tricolore di Reggio Emilia dove sono parzialmente confluiti i materiali delle vecchia raccolta del Risorgimento, cui aveva dato vita Naborre Campanili. Di facile e piacevole lettura, il nuovo progetto espositivo è specificamente incentrato sulla storia della nostra bandiera il cui uso fu per l'appunto sancito nel 1796, proprio in questa città, allorché venne proclamata la Repubblica Cispadana.

Concezioni di moderna museografia hanno ispirato anche il recente allestimento del Museo del Risorgimento di Ravenna ospitato negli spazi seicenteschi della ex-chiesa di San Romualdo. Attraverso una sequenza ragionata di documenti ed oggetti, disposti entro moderne e funzionali vetrine, il nuovo percorso espositivo traccia una sintesi dei momenti salienti della storia italiana, oltre che ravennate, dal periodo giacobino sino alla Grande Guerra.

In questo anno di celebrazioni dedicate alla memoria di Giuseppe Garibaldi, ad uno dei personaggi più rappresentativi ed emblematici del nostro Risorgimento, certamente l'eroe più popolare ed amato, ci fa dunque piacere poter sottolineare ancora una volta l'attenzione che con lungimiranza l'IBC ha dedicato nel corso della sua ormai trentennale esperienza al patrimonio dei Musei del Risorgimento. Secondo una prassi avviata già nei primissimi anni di attività e via via consolidata nel corso dei tempo, pur limitatamente ad alcuni fondi (Bologna, Modena, Ravenna, Ferrara, Faenza) sono state condotte schedature sistematiche, i cui risultati sono poi confluiti in una banca dati attualmente consultabile anche on line.

Sul fronte della manutenzione e del restauro gli interventi, spesso motivati da urgenti problemi conservativi, hanno interessato una svariata gamma di materiali che vanno dai documenti cartacei ai dipinti, dai reperti tessili ai metalli. Realizzati da ditte o artigiani specializzati con metodologie rigorosamente conservative, nel rispetto delle tecniche storiche peculiari di ciascun reperto, i restauri hanno consentito di migliorare le condizioni di conservazione e in alcuni casi di salvare oggetti a rischio riscoprendone le importanti valenze documentarie.

Fra le realizzazioni più significative vi è certamente il recupero di un nucleo di bandiere del Museo del Risorgimento di Ferrara composto prevalentemente da tricolori di seta, alcuni con stemma sabaudo e scritte che testimoniano la loro appartenenza alla Guardia Nazionale Italiana, quel particolare corpo dell'esercito sorto subito dopo l'Unità d'Italia per fronteggiare il problema del banditismo meridionale. Debitamente pulite, ricomposte nella loro forma originaria e consolidate a cucito o con tecniche termoplastiche, tutti i vessilli hanno riacquistato una buona leggibilità. Anche una bandiera in leggero taffetas di seta beige con scritta in velluto rosso, pervenuta in condizioni frammentarie, è stata ricomposta nella sua interezza ed ora si può leggere con chiarezza il nome di Pio IX, il papa che ha gestito la non facile trasformazione del nostro paese in un moderno stato nazionale.

Diversi e scaglionati nel corso del tempo sono stati i restauri di opere conservate nel Museo del Risorgimento di Bologna, che si segnala in regione come una delle realtà meglio strutturate e dinamiche del settore. Gli interventi hanno riguardato il recupero di uniformi e casacche garibaldine, un pregevole nucleo di fazzoletti patriottici, alcune significative testimonianze iconografiche fra le quali si segnalano i ritratti del patriota bolognese Livio Zambeccari, quello di Giuseppe Garibaldi in tenuta dell'esercito italiano entrambi di autore anonimo e la morte di Anita Garibaldi ad opera di F. Fabbi.

Vorrei concludere ricordando la vera e propria campagna di restauri promossa dall'IBC in occasione dell'allestimento del Museo di Ravenna. Grazie ai finanziamenti regionali sono state manutenzionati e restaurati il gruppo delle armi (fucili, spade, daghe, spadini), i busti e i ritratti dedicati a protagonisti della storia locale, e l'interessante nucleo di indumenti. Oltre alle casacche garibaldine che col loro acceso colore rosso ci riportano alla memoria le mitiche imprese dei Mille, si segnala una rara quanto bella uniforme da ufficiale medico databile poco oltre la metà dell'800 composta da giacca in panno di lana nera e cappello a feluca con pennacchio piumato. Fiore all'occhiello del Museo sono tuttavia gli indumenti appartenuti a Garibaldi e alla moglie Anita: un mantello in panno nero con fodera in damasco di lana bianca e colletto di velluto marrone, un cappello di feltro nero, un paio di alti stivali femminili in cuoio, anch'essi neri. Si tratta di capi molto semplici, confezionati con materiali comuni, privi di qualsiasi ornamento, ma capaci di rievocare le mitiche figure del generale e della moglie che presumibilmente li indossavano durante la loro avventurosa fuga dopo la Repubblica Romana. Provvedendo alla loro manutenzione e al loro restauro, effettuato con rigorose metodologie conservative, l'Istituto ha contribuito a migliorarne lo stato di salute rafforzando in questo modo, attraverso oggetti tangibili, la memoria storica della leggendaria e tragica permanenza dell'eroe dei due mondi in terra di Romagna.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2007 - N.28]

Le linee guida per il triennio 2007-2009 presentano tre fondamentali novità.

Laura Carlini - Responsabile Servizio Musei dell'IBACN

Rispetto al triennio precedente, le nuove linee guide approvate in maggio dall'Assemblea Legislativa Regionale ai sensi della L.R. 18/2000, si caratterizzano per la graduale introduzione degli standard di qualità, per l'introduzione della programmazione triennale degli interventi, per i nuovi vincoli/opportunità di carattere amministrativo.

La rispondenza agli standard viene valutata attraverso un questionario appositamente predisposto, la cui compilazione è obbligatoria per ogni annualità. I risultati del questionario serviranno a valutare sia lo stato di aderenza del museo agli standard, sia la coerenza delle domande di finanziamento con il perseguimento di precisi obiettivi di miglioramento dei servizi. La semplice compilazione del questionario è vincolante ai fini dell'ammissibilità della domanda per il 2007; nelle due annualità successive i musei dovranno invece dimostrare di possedere anche requisiti specifici: per il 2008 possedere il regolamento e il bilancio/documento programmatico/piano di gestione, oltre ad aver identificato la figura del responsabile di direzione; per il 2009 garantire le funzioni di direzione, conservazione delle collezioni, didattica e sorveglianza, oltre all'apertura al pubblico per almeno 24 ore settimanali.

Il percorso è stato scandito per dare agli Enti titolari tempo e modo di adeguarsi alle richieste. Se nel 2007 si richiede la sola autovalutazione, al fine di verificare le proprie eventuali lacune, nel 2008 è necessario raggiungere standard che non comportano oneri finanziari, mentre nel 2009 è indispensabile essere in grado di garantire una serie di funzioni strettamente legate agli aspetti organizzativo-gestionali. Tali requisiti sono stati posti solo nell'ultima annualità per consentire agli Enti di trovare soluzioni adeguate, anche e soprattutto mediante l'adesione a sistemi e a forme di gestione associata.

La programmazione triennale è la seconda novità. Come per altre leggi regionali, anche per la L.R. 18/2000 è offerta la possibilità di programmare gli interventi con il massimo grado di flessibilità e di organicità. In altre parole gli Enti possono proporre già nel 2007 domanda di contributo per interventi che si mandano a effetto su più annualità, o anche avanzare proposte su una sola annualità (2007 o successive). Ciò consente agli Enti proponenti, alle Province e all'IBC, di avere un quadro più completo e puntuale della progettualità in atto e di quella in previsione per l'intero triennio.

Infine le novità a carattere amministrativo. Tra queste le principali sono il vincolo del costo complessivo minimo di Euro 10.000 per ciascun intervento rientrante nei Piani provinciali e l'obbligo di copertura finanziaria della spesa, inserita (a partire dal 2008) negli atti di programmazione finanziaria dei soggetti attuatori nell'anno per il quale si richiede il contributo regionale.

Per concludere, le linee guida affermano che la valutazione dei progetti verrà effettuata tenendo conto della qualità progettuale, della qualità delle strutture e dei servizi erogati, della tempestività nell'esecuzione degli interventi e, conseguentemente, della celerità nella spesa. Oltre ad essere coerenti con gli obiettivi, le azioni prioritarie e i criteri di spesa indicati nel Programma, gli interventi cui sarà data priorità sono quelli che meglio risponderanno ai seguenti criteri:
  • la realizzazione, oltre a quelli di competenza diretta delle Province, di progetti presentati dalle Unioni di Comuni, dalle Comunità montane e dalle Associazioni intercomunali, stante quanto stabilito dall'art. 14 della L.R. 6/2004;
  • l'esecutività dei progetti, ovvero il grado di progettazione raggiunto, al fine di garantire la realizzazione immediata degli interventi;
  • la copertura finanziaria della spesa, in una logica di efficienza nell'utilizzo delle risorse finanziarie disponibili;
  • il completamento di lavori già avviati, anche con il contributo regionale su diversi stralci, per favorire l'esecuzione definitiva di opere in corso di realizzazione;
  • la strategicità degli interventi all'interno dei rispettivi territori provinciali, valutando sia la loro incidenza sulle possibilità di sviluppo del territorio sia il conseguimento di un maggiore equilibrio tra le varie realtà locali;
  • la rispondenza delle strutture e dei servizi agli standard indicati nella Direttiva sugli standard e gli obiettivi di qualità, tenendo conto del numero complessivo di requisiti già posseduti.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2007 - N.29]

Le riflessioni del Presidente dell'IBC su reti, territorio e paesaggio, in occasione dell'incontro "Governo e riqualificazione solidale del territorio", tenutosi presso l'Assemblea legislativa della Regione Emilia Romagna.

Ezio Raimondi - Italianista e Presidente Istituto per i Beni Culturali

L'Istituto per i beni culturali nacque in un momento di fervore e si affermò come un progetto d'avanguardia per una Regione che aveva fatto dell'indagine sulla propria realtà e sulla propria cultura una parte della propria scoperta della modernità.

Molto lavoro venne fatto su un'ipotesi di sistema, di insieme, dove le singole realtà - che in quel caso erano soprattutto il mondo dei musei e dell'arte, il mondo naturale e il mondo dei libri e delle biblioteche - non venissero più considerate come parti di un insieme irrelato ma diventassero un discorso comune, con una varietà che nello stesso tempo non negasse la presenza di uno stile comune, di una logica, di un orizzonte in cui, di là dalle differenze, ci si riconduceva anche a un'unità e a un'ispirazione profonde.

Il principio era che non si può parlare di beni culturali se non si rapportano a un insieme, e il primo grande insieme lo chiamiamo "Regione": nasceva quasi dal basso, perché erano le realtà museali, le realtà delle biblioteche, e tutte le altre cose che vi si aggiungevano, a chiedere di essere interpretate e di giungere finalmente a una considerazione comune che diventava tutt'uno con quello che sembrava essere uno sviluppo senza ostacoli.

Anche se poi le cose cambiarono radicalmente, fin dall'origine l'Istituto anticipava che ciò che chiamiamo il mondo dei beni culturali va legato a un'entità più ampia che può chiamarsi paesaggio, se al termine paesaggio diamo delle ragioni nuove rispetto a una vecchia interpretazione che non vedeva la storia legata allo spazio, ma la separava in una sorta di dimensione ideale.
Il paesaggio di cui si parlava nasceva dalle idee della nuova geografia di cui Gambi era un interprete di livello internazionale; e paesaggio - questo è importante - voleva dire un'entità storica, in primo luogo.
Quando un grande storico dell'arte come Henri Focillon in tempi lontani parlava di nazione, diceva che la nazione è una lunga esperienza. La stessa cosa possiamo dirla per una regione: è una lunga esperienza, ed è una lunga esperienza il paesaggio in cui si realizza un'immagine visibile, insieme con altre immagini invisibili della regione.

L'Istituto quindi si portava dietro questa sorta di dialettica, questo bisogno di interpretare le singolarità dentro un insieme, cui dava quel nome non avendone un altro, ma con una logica che non era quella della cultura tradizionale italiana, poco attenta alla dimensione materiale della cultura. Qui invece c'era qualche cosa che veniva dagli anni successivi al 1945: era una cultura internazionale che trovava posto anche nell'orgoglio di un gruppo che tentava di portare avanti convinzioni nuove nel salto delle generazioni e nello scontro che sempre si dà nelle idee. E all'Istituto lentamente venne dato un compito, quello di amministrare in questa logica, per conto della Regione insieme con le Province, quella che oggi è divenuta la legge 18, relativa alle biblioteche da una parte e ai musei dall'altra.
Da quasi dieci anni questa logica si è venuta realizzando di anno in anno in quella che è stata di fatto una concertazione o una negoziazione, dove il punto di vista delle province veniva ripreso da un punto più ampio, che per intenderci chiamiamo "Regione". Si verificavano le differenze e le incongruenze, si discuteva insieme e si arrivava alla fine all'approvazione di una logica comune, che regolava anche quella che diventava poi la distribuzione del budget assegnato dalla Regione; era un'idea di sistema, si diceva così ancora, ma sotto sotto ciò che contava era l'idea del paesaggio, e questo significa che nel momento in cui ci si riduceva a parlare soprattutto di libri, biblioteche, opere d'arte o magari musei scientifici, si trovava di continuo il bisogno di entrare in uno spazio più ampio: erano siti che andavano collocati in un insieme.

E paesaggio a questo punto diventa qualche cosa di molto preciso, di molto definito: non riuscivamo, nel fondo, ad amministrare il "bene culturale-libro" o il "bene culturale-immagine" senza ricondurli a una realtà di cui facevano parte. Ci sembrava di poter affermare che quando parliamo di paesaggio di una regione, in quel paesaggio ci sono sempre anche i libri e le immagini codificate da una tradizione che chiamiamo quella pittorica; e quindi nel momento in cui l'Istituto divideva le sue parti in un momento di ricerca e in un momento di applicazione e realizzazione, si trovava che insieme alle analisi da fare su quello che riguardava il mondo dei libri e il mondo delle immagini bisognava per forza parlare anche di edifici.
Non erano grandi edifici, grandi monumenti le biblioteche? Potevamo ignorarle a questo punto e fermarci soltanto ai libri?

Cominciarono le prime operazioni di catalogazione del territorio, i primi atti di conoscenza della ricchezza che avevamo intorno, che diventava parte essenziale di una nuova logica, per un futuro e per uno sviluppo possibili.
La legge regionale 20 del 2000 indica chiaramente questo: l'assunzione del paesaggio non come un capitolo in più dei beni culturali, ma come il contesto necessario per intendere davvero i beni culturali nella loro concretezza e nella loro varietà.
Il testo della nuova legge 20 si apre proprio parlando del paesaggio come riferimento per le politiche che abbiano un'incidenza territoriale: esso viene posto quindi come una categoria molto più ampia, in una logica in cui si situano anche quelli che chiamiamo normalmente i beni culturali. È un'idea di cultura che viene in questo modo discussa ed è un'idea di cultura che dovrebbe risultare partecipata; in ogni caso è una nozione nuova, che viene proposta ma a cui bisogna dare dei precisi contenuti: che cosa vuol dire esattamente "valore di paesaggio", e "paesaggistico", come aggettivo, che cosa significa?
Probabilmente - e provo a ragionare un poco per qualche congettura di lettore - probabilmente la nozione di paesaggio non è una nozione iniziale, è una nozione finale, che poi usiamo per interpretare.
Ma è un insieme: se non abbiamo un sistema di relazioni che mettono insieme elementi diversi, naturali e culturali, come facciamo a parlare di paesaggio?
Non possiamo parlare di paesaggio se non introduciamo un'idea non di percezione, ma di interpretazione: che cosa interpretiamo come significante di una certa realtà, e perché ci interessa per discorrere del nostro presente? Occorre misurarsi in qualche modo con essa.

Ma mi fermo semplicemente a questo punto. Nel dispositivo della nuova legge 20 è probabile che debba diventare ancora più nitida quest'idea di complessità e di composizione del paesaggio che è l'entità necessaria, l'insieme senza di cui non interpreto ciò che chiamo beni culturali. E per beni culturali non parlo qui di edifici, soltanto di monumenti; dico anche tutti gli altri. D'altro canto come si fa a dire che una grande biblioteca non fa parte di un paesaggio mentale? È un problema che va tenuto presente nel riscrivere la legge, con il criterio che non occorre soltanto avere delle regole chiare ma anche dei concetti chiari, sapere dove ci portano, sapere come governano la nostra intenzione, per diventare uno strumento vero.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2007 - N.30]

L'opera dell'IBC per valorizzare il patrimonio in chiave interculturale a partire dal Progetto Etno

Antonella Salvi Margherita Sani - IBC della Regione Emilia-Romagna

Da anni l'Istituto per i Beni Culturali rivolge particolare attenzione ai temi dell'interculturalità realizzando progetti speciali sia a livello regionale che europeo.
Con il Progetto ETNO. Indagine di rilevamento del patrimonio culturale extraeuropeo in Emilia-Romagna, l'Istituto ha avviato nel 2004, con la direzione di un Comitato Scientifico e la messa in campo di un gruppo di lavoro multidisciplinare, una sistematica azione conoscitiva presso i musei di tutto il territorio regionale, tesa ad individuare la presenza, consistenza e provenienza dei materiali etno esposti o custoditi nei depositi museali. Questa azione conoscitiva, nelle finalità del Progetto Etno, è preliminare ad una serie di azioni di valorizzazione ad ampio raggio tese ad esplorare il potenziale culturale ed interculturale di questo patrimonio. Si è deciso di nominarlo Progetto Etno proprio perché la parola-logo "Etno", che compendia in sé interi mondi di idee e suggestioni, è apparsa particolarmente adatta ad identificare le collezioni etnografiche e ad esprimere quella dimensione di alterità culturale che occorre oggi avvicinare e conoscere, sfruttando le inesauribili possibilità di dialogo interculturale che questo patrimonio consente.
Le operazioni di rilevamento, che si sono protratte fino al 2006, sono servite a far emergere un ricco ed eterogeneo patrimonio etno pressoché sconosciuto, fatto di collezioni, raccolte e oggetti d'arte che sono espressione di culture, gruppi etnici e comunità provenienti da altri continenti (America, Asia, Africa, Oceania) e giunto fino a noi grazie all'opera e alla passione di viaggiatori, di entusiasti e talvolta bizzarri collezionisti o di missionari in terre lontane.
In aderenza con le finalità del Progetto Etno, a conclusione dell'indagine - tuttora in atto come ricerca in progress - ha fatto seguito l'attivazione di azioni di valorizzazione del patrimonio emerso allo scopo di stimolare l'attenzione dei pubblici verso un patrimonio fatto di linguaggi ed espressioni diverse. Solo per darne un'esemplificazione: sono in corso interventi di catalogazione e di restauro delle collezioni etno nell'ambito dei Piano Museali (LR18/2000); si promuovono attività formative a favore degli operatori museali che si occupano di mediazione culturali anche attraverso la partecipazione ad esperienze di partenariato europeo; si è realizzata la prima mostra su questa tipologia di beni culturali Lo Sguardo altrove. Il Progetto Etno e il Patrimonio extraeuropeo in Emilia-Romagna e un catalogo che segue l'evento.
Presentata nel marzo 2007 al Salone Internazionale dell'arte del Restauro di Ferrara e da allora divenuta evento itinerante e riallestita presso le istituzioni culturali che ne fanno richiesta, la mostra Lo Sguardo Altrove... racconta i sorprendenti risultati dell'indagine che ha portato alla luce le tante sedi museali che custodiscono collezioni etnografiche (oltre 25 musei) e le innumerevoli collezioni etno (oltre un centinaio), illustrando l'estrema varietà che caratterizza questo settore di beni culturali: varietà di epoca e provenienza (manufatti cinesi, giapponesi, africani, precolombiani, oceanini, etc.); varietà tipologia dei manufatti (ceramiche, dipinti su seta, su carta, tessuti, terrecotte, arredi, maschere, materiali lignei e in metallo, fondi fotografici ecc ). E ancora la varietà di motivazioni che hanno spinto i primi collezionisti a costruire le raccolte etnografiche, come pure il differente rilievo e la diversa attenzione che le collezioni hanno avuto nel corso tempo e hanno nell'attualità.
Ma la mostra è assieme l'occasione di una riflessione attorno all'attuale dibattito internazionale: il ruolo del museo etnografico e delle sue collezioni, quale riflesso coerente della crescente dimensione multietnica, nel creare le condizioni di una reciproca comprensione e scambio culturale. Oggi conoscere e valorizzare questo importante e multiforme patrimonio conservato nei musei è importante non solo perché è portatore di forti contenuti artistici, antropologici ed etnologici, ma anche perché rappresenta il polo attorno cui creare potenti occasioni di percezione e comprensione della diversità culturale e quindi di integrazione culturale in una società che si affaccia sempre più ad una dimensione multietnica.
Dalla consapevolezza dell'importanza del museo che dispone di "preziose" raccolte etnografiche, testimoni della cultura di altri luoghi e di altri popoli, e quindi dell'importanza del ruolo di chi opera in questi musei, che si è estesa l'attività dell'IBC promuovendo la partecipazione degli operatori museali ad esperienze di confronto e di apprendimento europeo. Il progetto europeo Museums Tell Many Stories ha proprio riguardato la formazione del personale che si occupa di mediazione culturale sui temi di interculturalità mediante l'utilizzo delle collezioni etnografiche e delle "storie" che quegli oggetti raccontano. Coordinato dall'Istituto, il progetto biennale MTMS che si è appena concluso ha dato la possibilità ad un gruppo di partecipanti per l'Emilia-Romagna selezionati fra i Musei etno di confrontarsi con le esperienze di altre istituzioni europee nell'elaborazione di idee e metodologie di interpretazione per rendere accessibili al pubblico collezioni appartenenti a diverse culture. Gli esiti di questa significativa esperienza sono ora disponibili in una pubblicazione in italiano e in inglese.
Ed eccoci nel 2008, l'Anno Europeo dedicato al Dialogo Interculturale, che intende sottolineare ulteriormente l'importanza e la necessità di insistere in questa direzione. L'Istituto Beni Culturali celebra il 2008 con la presentazione di un altro progetto europeo MAP for ID - Museums as Places for Intercultural Dialogue. Ideato come proseguimento e approfondimento del precedente progetto Museums Tell Many Stories e finanziato dal Programma Comunitario Lifelong Learning Grundtvig per il biennio 2008-2009, MAP for ID è finalizzato allo sviluppo del potenziale dei musei come luoghi di educazione alla multiculturalità, promuovendo un coinvolgimento più attivo e diretto delle diverse comunità presenti sul territorio e favorendone il dialogo e la reciproca conoscenza. Sulla base dei risultati del progetto Museums Tell Many Stories, MAP for ID intende svilupparne ulteriormente tematiche, insistendo sulla necessità di attivare azioni e pratiche che consentano di guardare alle culture - attraverso le loro produzioni e collezioni museali - da diversi punti di vista e diverse prospettive per esplorarne la complessità e la dinamicità, facendo dei musei luoghi di incontro e confronto, di dialogo, scoperta e approfondimento delle diverse identità culturali.
Il progetto, coordinato dall'Istituto Beni Culturali, vede la partecipazione del British Museum (Londra), del Museo de America (Madrid, Spagna), della Fondazione Musei e Visitatori (Budapest, Ungheria), della Chester Beatty Library (Dublino, Irlanda), del Settore Educazione al Patrimonio della Città di Torino, di Amitié (Bologna), del Museo degli Sguardi di Rimini, di Imagine Identity and Culture (Amsterdam, Paesi Bassi).
Ai partner spetta di sviluppare la prima fase di ricerca che consiste nella individuazione delle buone pratiche a livello europeo e nella redazione di linee guida per orientare i 25 progetti pilota da realizzarsi nei paesi partner tra il luglio 2008 e il luglio 2009.
Per favorire la partecipazione dei musei emiliano romagnoli al progetto, è stato pubblicato un bando sul sito dell'IBC contenente le caratteristiche delle attività da ammettere al co-finanziamento e tutte le modalità per prendere parte all'iniziativa. Il primo momento pubblico di disseminazione del progetto è stato il convegno Musei e Dialogo Interculturale", che si è tenuto a Bologna il 10 giugno 2008 presso l'Auditorium della Regione Emilia-Romagna, nel quale sono intervenute tutte le istituzioni coinvolte.
Successivamente prenderanno il via i progetti pilota che si svolgeranno nei diversi paesi europei con il sostegno dei partner di MAP for ID e i cui protagonisti avranno modo di incontrarsi per approfondire ulteriormente le tematiche affrontate nella conferenza finale che si terrà a Madrid presso il Museo de America dal 14 al 16 ottobre 2009.
Attenderemo la conclusione anche di questo impegnativo e stimolante progetto, alla fine del 2009, per realizzare una pubblicazione in italiano e inglese e documentare così lavoro e esiti prodotti nel corso di questa ultima esperienza sul dialogo interculturale. Per ulteriori informazioni: www.ibc.regione.emilia-romagna.it.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2008 - N.32]

Un progetto per conoscere a fondo il volontariato nel settore dei beni culturali in ambito europeo

Valentina Galloni e Margherita Sani - Istituto Beni Culturali

Chiunque operi in una istituzione culturale è consapevole del ruolo fondamentale che il volontariato occupa in questo settore. Oltre alla rilevanza sociale del fenomeno, considerato importante strumento per la crescita professionale e personale dell'individuo, mezzo fondamentale di inclusione e integrazione sociale e potente stimolo per una cittadinanza attiva e responsabile, appare infatti essenziale il contributo dei volontari alla gestione vera e propria delle istituzioni culturali, considerando che essi di frequente operano a più livelli, da quello strettamente esecutivo (apertura, guardiania, ecc.) a quello più propositivo (progettuale e di programmazione).
I dati sulle organizzazioni di volontariato in Italia, seppure incompleti perché non tengono conto dei volontari che si rapportano alle istituzioni a livello individuale, mostrano una situazione in costante sviluppo, con una crescita sostanziale sia dal punto di vista quantitativo sia qualitativo. Ma a fianco degli innumerevoli vantaggi che il volontariato può apportare al settore culturale, vi sono anche una serie di difficoltà che richiedono di essere indagate e affrontate, affinché il rapporto tra il volontario e l'istituzione possa essere il più possibile proficuo.
Alcune importanti iniziative dell'ultimo anno - dal Workshop dell'European Museum Forum di Bertinoro, alla III Conferenza Nazionale dei Musei organizzata da ICOM Italia, al convegno sul volontariato di Prato - hanno posto questo tema al centro di un interessante dibattito, che ha visto come protagonisti le associazioni di volontariato attive in questo campo e le istituzioni culturali, in particolar modo i musei, in cui i volontari operano.
Al fine di comprendere e analizzare la situazione del volontariato nel settore culturale a livello europeo, tenendo conto delle specificità nazionali, è nato anche il progetto VoCH - Volunteers for Cultural Heritage, finanziato dal Programma Europeo Lifelong Learning Grundtvig per il biennio 2008-2009. Il progetto vede alcune istituzioni europee - tra cui, in ambito italiano, l'Istituto per i Beni Culturali, l'ECCOM e il Museo del Tessuto di Prato - impegnate in uno studio del volontariato nei beni culturali in ambito europeo e nell'identificazione delle strategie più efficaci per gestirlo.
A livello italiano si sta conducendo una indagine più specifica, mirante a individuare le diverse tipologie di volontari per studiarne le adeguate modalità di reclutamento, motivazione, gestione e riconoscimento/accreditamento. Per quanto riguarda l'Emilia-Romagna, è stato inviato un questionario ai musei della Regione volto a rilevare quali funzioni vengono presidiate dai volontari, a quali categorie essi appartengono, da quali motivazioni sono spinti, quali sono i vantaggi e gli svantaggi ottenuti dal museo nel collaborare con essi, e quali sono i principali bisogni formativi sia dei volontari sia dei loro coordinatori.
I nodi cruciali emersi sono in primo luogo legati alla complessità del rapporto fra il mondo dei volontari e quello dei professionisti, alla necessità di una chiarezza istituzionale nel definire i ruoli e le competenze richieste e alla variabilità e al forte ricambio dei volontari, che ne rende difficile un'attività di formazione continua. Dall'elaborazione dell'indagine e dal confronto con la situazione europea, sebbene la specificità italiana richieda particolare cautela, scaturiranno nuovi stimoli per le iniziative formative che verranno sostenute prossimamente nell'ambito del progetto. Per quanto riguarda l'Italia, nel 2009 verranno organizzati dall'IBC un seminario a Bologna rivolto ai coordinatori dei volontari nei musei, e dal Museo del Tessuto di Prato la conferenza conclusiva del progetto.
Informazioni più dettagliate saranno disponibili sul sito del progetto (www.amitie.it/voch) o sul sito dell'IBC nella sezione dedicata ai progetti internazionali (www.ibc.regione.emilia-romagna.it/artistici.htm).


La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2008 - N.33]

Al via il riconoscimento dei musei regionali, per il progressivo adeguamento agli standard internazionali di buona gestione

Laura Carlini - Istituto Beni Culturali

La politica della Regione Emilia-Romagna in materia di qualificazione dell'offerta culturale favorisce il progressivo e stabile miglioramento delle prestazioni degli istituti culturali in tutti gli ambiti di attività: studio e ricerca, documentazione, conservazione, gestione e valorizzazione del patrimonio, in conformità agli standard ed obiettivi individuati nel 2003 con la Deliberazione della Giunta Regionale n. 309 "Approvazione standard ed obiettivi di qualità per biblioteche, archivi storici e musei".
Ispirato a tale deliberazione, il programma triennale 2007-2009 degli interventi della L.R. 18/00 è stato prioritariamente orientato - nella selezione dei progetti da finanziare - al miglioramento dell'organizzazione museale mediante l'applicazione, di anno in anno più stringente, della deliberazione sugli standard e gli obiettivi di qualità. Il riconoscimento regionale, punto culminante di questo percorso triennale, conclude pertanto un ciclo di programmazione e rappresenta altresì la base di partenza per la pianificazione del triennio successivo.
Per dare opportuno compimento a quanto deliberato nel 2003, la Giunta Regionale ha definito (DGR n. 1888/08) "Criteri e linee guida per il riconoscimento dei musei regionali in base agli standard e obiettivi di qualità", precisando le modalità e i termini del processo di riconoscimento dei musei regionali che si svolgerà nel 2009. Il riconoscimento è, in effetti, una procedura che verifica il rispetto dei requisiti obbligatori di qualità stabiliti dalla Regione, con l'obiettivo di stimolare i musei ad adeguarsi a standard nazionali e internazionali di buona gestione.
Il riconoscimento si configura sia come una garanzia sulla qualità dei servizi offerti agli utenti, sia come un premio per la capacità operativa dimostrata dai musei. Ha, inoltre, l'ambizione di coinvolgere tutta la realtà dei musei regionali, essendo concepito come uno strumento per verificare i risultati ottenuti e gli obiettivi da perseguire in materia di valorizzazione del patrimonio e servizi al pubblico. Il processo di riconoscimento costituisce un invito per la comunità museale alla riflessione e al confronto sui temi della propria identità e sui valori fondanti del settore.
Nelle intenzioni della Regione il riconoscimento non andrebbe interpretato come un atto di selezione mediante il quale premiare alcune realtà ed escluderne altre, quanto piuttosto come un mezzo per definire un percorso di crescita per tutti i musei dell'Emilia-Romagna, un'opportunità rivolta all'insieme dei musei pubblici e privati, che vi possono prendere parte su base del tutto volontaria. La piattaforma di requisiti uniformi per musei di ogni tipologia e dimensione è stata pensata per garantire l'omogeneità della qualità dei servizi offerti in tutto il territorio regionale, nel rispetto della singolarità e della vocazione peculiare di ciascun istituto culturale.
L'iter si è avviato a gennaio 2009 con una serie d'incontri informativi tenuti nelle nove province dal Servizio Musei dell'IBC, che cura le fasi d'istruttoria e di valutazione dei musei canditati al riconoscimento (coadiuvato da un gruppo di lavoro costituito da esperti designati da Amministrazioni Provinciali, Comuni capoluogo, ANCI, UPPI, CRUI) per illustrare i contenuti, le modalità ed i tempi di svolgimento della procedura che porterà i musei a ottenere l'ambito riconoscimento. Il percorso si concluderà a dicembre con una deliberazione della Giunta Regionale che identificherà i musei che potranno fregiarsi per un triennio dello status di museo riconosciuto.
Tra i benefici attesi per gli istituti riconosciuti si possono ravvisare: la possibilità di accedere a finanziamenti regionali, il riconoscimento dell'identità del museo come istituto autonomo operante sul territorio, la certificazione e la valorizzazione della qualità, che sarà individuata anche attraverso un apposito logo/marchio creato ad hoc, l'inclusione in specifiche campagne di comunicazione promosse dalla Regione e dall'IBC, la potenzialità di attrarre sponsor e donazioni, la crescita della reputazione e la maggiore visibilità nei confronti degli amministratori locali e delle comunità di riferimento.
Nell'intento di assistere e accompagnare i musei nel percorso di riconoscimento, l'IBC ha creato un'area di lavoro dedicata all'interno del proprio sito, strutturata come un manuale on line per gli operatori museali: www.ibc.regione.emilia-romagna.it/wcm/ibc/menu/attivita/11std/approf/musei.htm.
Per ottenere il riconoscimento i musei dovranno garantire il possesso dei requisiti rispondendo al questionario di autovalutazione. La compilazione sarà effettuata on line dall'area di lavoro riservata. I musei dovranno anche inoltrare una lettera di domanda formale di riconoscimento (fac-simile scaricabile dal sito IBC) entro il 30 giugno 2009 allegando i documenti necessari alla verifica degli standard: una copia cartacea del questionario di autovalutazione compilato in ogni sua parte, lo statuto e/o regolamento, lo stralcio di bilancio o documento programmatico per l'anno in corso e la relazione a consuntivo per l'anno precedente che attestino le risorse finanziarie disponibili, l'autocertificazione di adempimento alla normativa vigente in materia di sicurezza, il piano delle attività educative. Inoltre, se necessari, dovranno essere allegati: il piano finanziario triennale, nel caso i progetti di sviluppo che comportino oneri di gestione aggiuntivi a tempo indeterminato, e i piani di adeguamento per il raggiungimento di eventuali requisiti obbligatori mancanti.
L'IBC procederà successivamente, con il supporto degli esperti del gruppo di lavoro, all'analisi e alla valutazione delle richieste di riconoscimento, momento che comprenderà anche incontri di approfondimento e verifica con i responsabili presso le sedi museali. Tale fase si concluderà entro il 15 ottobre con una Deliberazione del Consiglio Direttivo dell'IBC, che conterrà l'elenco dei musei aventi i requisiti per essere riconosciuti, che sarà proposto alla Giunta Regionale per il recepimento da deliberarsi entro il 31 dicembre 2009.
È prevista, infine, una forma di riconoscimento provvisorio per i musei che non siano ancora in possesso di tutti i requisiti obbligatori, ma che abbiano già predisposto idonei piani di adeguamento per ovviare alle carenze riscontrate. Si dovrà trattare esclusivamente di lacune marginali, che dovranno essere già in corso di risoluzione o che potranno essere sanate con risorse già stanziate a proposito e in tempi precisamente definiti e che saranno attentamente vagliate dal gruppo di lavoro. Spetterà all'IBC, d'intesa con gli esperti del gruppo di lavoro per il riconoscimento, valutare l'entità delle carenze e la reale sostenibilità dei piani di adeguamento e, conseguentemente, decidere l'eventuale concessione del riconoscimento provvisorio.
Con la finalità di dare il massimo rilievo allo status di museo riconosciuto, IBC ha previsto l'espletamento di un concorso per la creazione del logo/marchio di qualità e della relativa immagine coordinata, riservato ai giovani artisti e grafici attivi in regione. Il concorso, che prenderà il via nei prossimi mesi, sarà organizzato e gestito dall'IBC in collaborazione con il GAER - Ufficio Giovani d'Arte del Comune di Modena e con il Design Center dell'Accademia di Belle Arti di Bologna.
Il riconoscimento consentirà dunque di favorire la creatività giovanile, come nel dettato della recente L.R. 14/08 Norme in materia di politiche per le giovani generazioni che all'articolo sugli interventi di promozione culturale (art. 40), enuncia che la Regione sostiene e valorizza la creatività giovanile e il pluralismo di espressione, e promuove la crescita, la consapevolezza critica, la conoscenza e la competenza dei giovani in ambito culturale (comma 1) e inoltre che la Regione favorisce l'incontro tra produzione artistico-creativa dei giovani e mercato (comma 4) anche attraverso iniziative realizzate per mezzo della L.R. 18/00 (comma 5).


La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2009 - N.34]

I fondi cartografici e iconografici dell'IBC

Stefano Pezzoli - Istituto Beni Culturali

Il titolo che pongo a questo intervento richiama volutamente un noto testo di Lucio Gambi che fu il primo presidente dell'Istituto Beni Culturali, ma molto più significativamente e per molti anni, per noi funzionari e al tempo stesso ricercatori, fondamentale ed impareggiabile suggeritore, fervido e disponibile consigliere, e pure critico severo e pungente, ma sempre generoso.
Fu appunto Gambi al momento della prima operatività dell'Istituto (nel 1977), in occasione della formazione del «primo inventario dei centri e nuclei storici» della regione (dal dettato della legge n. 2 del 1974, art. 2), che pose il tema di una configurazione storica dell'ambiente regionale emiliano romagnolo suggerendoci la lettura della cartografia topografica ottocentesca e preunitaria, precisamente la cosiddetta "carta austriaca" realizzata fra il 1821 e il 1851 dall'impero asburgico come ripresa di un precedente progetto napoleonico e costituente la prima rappresentazione omogenea per scala (1:86400) e disegno del terreno dei territori che ora costituiscono l'ambito regionale.
Questo documento che rappresenta (essendo redatto con l'ausilio dei primi rilievi catastali degli stati preunitari) con grande attendibilità la rete viaria e idrografica, la distribuzione degli abitati, le principali classi dell'uso coltivo del suolo, nonché i terreni boscati, sabbiosi e incolti, le zone umide e il rilievo orografico, costituisce un'insostituibile fonte di notizie per conoscere l'assetto insediativo e colturale del nostro territorio come era percepibile allo scadere dell'età moderna, in un'immagine di metà Ottocento, ma certamente in gran parte rappresentativa dei due secoli precedenti.
Va detto che questa fondamentale cartografia (estesa dalle Alpi lombardo-venete all'allineamento dei fiumi Tronto, Liri e Garigliano) è stata oggetto da parte dell'IBC, in collaborazione col Servizio Sviluppo dell'Amministrazione Digitale e Sistemi Informativi Geografici della Regione, di un'operazione comparativa rispetto alla odierna cartografia tecnica regionale mediante una ristampa georeferenziata e disposta secondo i moderni quadranti in scala 1:50000; operazione che ha reso del tutto evidenti i grandi mutamenti intercorsi, in modo particolare lungo le fasce della via Emilia e della costa, nel basso ferrarese, nella bassa pianura bolognese e nel ravennate, dove l'azione della bonifica idraulica ha cancellato un'estesissima copertura di paludi, acquitrini e boschi idromorfi.
Nel 2007 questo lavoro è stato trasferito in un DVD intitolato Uso storico del suolo distribuito dal predetto servizio regionale, uno strumento che consente di apprezzare il paesaggio regionale alla metà dell'Ottocento: con una gamma di colori sono selezionate le aree urbane, i seminativi semplici, risaie, campi alberati a vigna, campi con altre alberature, prati stabili, aree boscate, ambienti con vegetazione arbustiva o erbacea, zone montane prive di vegetazione, sabbie e spiagge, paludi, valli salmastre, saline, alvei fluviali e bacini d'acqua. Da questa elaborazione e con confronti al 1976 e al 2003 si è potuto constatare come il territorio urbano che occupava l'1,04% intorno al 1850 sia giunto all'8,49%, mentre una trentina d'anni or sono stava al 4,81%, evidenziando la crescita esponenziale degli ultimi decenni.
Restando nel campo cartografico ricordo altri documenti storici raccolti dall'IBC e poi diffusi al pubblico mediante operazioni editoriali, ritenute assai importanti in relazione al significato storico testimoniale dei sopraddetti. Mi riferisco, procedendo in ordine cronologico, alla topografia di epoca napoleonica (1812-1814) del territorio ferrarese a valle della confluenza del Panaro nel Po, mappa in 38 fogli in scala 1:15000, di altissimo livello tecnico ed estetico, tale da evocare di fatto il paesaggio del tempo. Pubblicata alla scala ridotta di 1:32500 consente una minuziosissima lettura (ben 20 classi d'uso del suolo) di terreni che all'epoca per il 43,4% erano ricoperti d'acqua. A seguire menziono la mirabile Carta della Pianura Bolognese di Andrea Chiesa, risalente al 1742, in 18 tavole, ad una scala corrispondente all'incirca all'1:34000, un documento costruito con affidabile strumentazione geodetica per un progetto di assetto territoriale, per risolvere il secolare problema dell'inalveazione del Reno. Carta a finalità idraulica, con la completa rete naturale e artificiale comprendente anche le risorgive e pure con una precisa registrazione della trama viaria e dell'insediamento sparso. Pertanto uno strumento utilissimo per censire le abitazioni rurali (delle quali con sicurezza si individuano i nuclei a corpi separati e a corpi giustapposti) e le residenze signorili, queste ritratte mediante vignette con i caratteri tipologici a volte riconoscibili; inoltre si trovano rappresentati anche i filari alberati inquadranti le ville principali; e ancora i grandi spazi vallivi e paludosi che permeavano gran parte della bassa pianura. Ricordo ancora le pubblicazioni di due notevoli documenti riferiti al ducato modenese, la topografia del territorio risalente agli anni 1821-1828 (in originale alla scala di 1:28800 e ridotta all'1:50000), in 45 tavole comprendenti i territori delle attuali province di Modena e Reggio Emilia, più Massa Carrara e parte di Parma e La Spezia; e la mappa della città di Modena in scala di 1:2000 del 1825 conservata in unico esemplare alla Biblioteca Nazionale di Vienna. Accomunano queste cartografie l'essere prodotte dal genio militare modenese, di essere state progettate dal suo comandante Giuseppe Carandini e di rappresentare ognuna la più antica documentazione affidabile e comparabile con la situazione moderna. Rimanendo nel campo topografico vediamo il fondo costituito dalle tavolette IGM in scala 1:25000 e 1:50000 (per l'area montana) rilevate fra il 1875 e il 1895 e poi aggiornate fra la seconda metà degli anni Trenta e la fine degli anni Quaranta. Il loro contenuto informativo riprende i tematismi delle precedenti topografie austriache ma introduce l'uso delle curve di livello, di punti quotati e i confini comunali; e ancora l'indicazione di ulteriori elementi quali oratori, pilastrini devozionali, opifici e riporta una maggiore diffusione di toponimi.
Risalendo ad una scala più grande (1:2000), indispensabile per la perimetrazione e l'analisi evolutiva dei centri urbani di qualsiasi dimensione, vediamo come l'IBC fin dai suoi primi passi si sia dotato di una ripresa fotografica selezionata (1500 immagini) dai catasti degli Stati preunitari risalenti ai primi due decenni del XIX secolo e relativi ai territori del ducato di Parma, del granducato di Toscana e dello Stato pontificio, mentre per l'ex ducato di Modena risalenti agli ultimi due decenni dello stesso secolo. Per l'area delle ex legazioni pontificie è stata resa disponibile una selezione delle cosiddette "mappette", assemblaggi a scala più piccola (1:4000 o 1:8000), risalenti al periodo napoleonico e riguardanti i centri più importanti. Sono presenti anche altri campioni catastali settecenteschi, come quello detto "Boncompagni" per il bolognese, il cosiddetto "Calindri" per il riminese, il "Teresiano" per l'ex provincia di Bobbio, ed altri stralci minori.
Per concludere questa sintetica rassegna vediamo come le fotografie aeree costituiscano un altro fondo assai rilevante, assimilabile in un certo senso alla cartografia, ma con ulteriori e più affinate capacità analitiche, uno specchio reale e scevro di mediazioni tematiche. Sono presenti tutte (circa 3000 scatti) quelle commissionate dall'Istituto Geografico Militare fra il 1931 e il 1937 per l'aggiornamento topografico, un significativo campione (poco più di 500) di quelle realizzate nelle ricognizioni della Royal Air Force durante la seconda guerra mondiale (1943-1945) e le fotografie del Gruppo Aereo Italiano (1954-1955), riprese in scala 1:30000 per la pianura e 1:58000 per i territori collinari e montani (1300 in tutto). Questi documenti illustrano un territorio non ancora segnato dal pervasivo sviluppo dell'erosione antropica, con le grandi bonifiche del ferrarese in gran parte da compiersi e un paesaggio agrario ancora dominato dal sistema della piantata.


La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2009 - N.35]

Le indagini dell'IBC testimoniano un'articolata presenza di opere e decorazioni musive in regione

Micaela Guarino - Istituto Beni Culturali

L'Istituto Beni Culturali si è spesso occupato di mosaico, attraverso ricerche, interventi di catalogazione e restauro, progetti europei, collaborando con i musei e le istituzioni culturali ravennati e le soprintendenze.
Grazie anche alle conoscenze e all'esperienza maturate in questi contesti è stato possibile alcuni anni fa realizzare il volume L'immagine e il frammento. Il mosaico in Emilia-Romagna, uno strumento di valorizzazione di quanto sul territorio regionale riguarda questa particolare tecnica artistica con riferimento alla sua storia, alle opere realizzate, ai musei e agli altri luoghi che le conservano, ai suoi artefici, ai restauratori, agli istituti che si occupano di istruzione e formazione in questo ambito.
Ravenna vi svolge naturalmente il ruolo di protagonista nel documentare la complessità del mondo musivo, lungo un arco cronologico molto esteso che dall'antico giunge al contemporaneo e consente di cogliere le capacità espressive e l'impiego, la potenzialità e l'estrema versatilità di questo medium che riguarda una serie di prodotti anche molto diversi tra loro.
Alla luce di tutto ciò, uno degli aspetti più interessanti della ricerca finalizzata al volume è l'aver potuto riscontrare quanto ricca, articolata e diffusa sia nella nostra regione la presenza di opere e decorazioni musive, alcune delle quali non particolarmente note e a volte neanche immediatamente percepibili come tali.
Il fenomeno della decorazione musiva delle grotte è per esempio documentato dalla Grotta musiva della fine del XVI secolo situata all'interno della bolognese Villa Guastavillani. Il Ritratto di Benedetto XIV di P.P. Cristofari e allievi su cartone di G. Zoboli, conservato nel Museo di Palazzo Poggi a Bologna ma realizzato nel 1744 a Roma, testimonia invece una delle stagioni significative del rapporto tra mosaico e pittura, sviluppatasi tra Sei e Settecento all'interno della imponente impresa decorativa della Basilica di San Pietro. Per ragioni conservative si iniziò allora a sostituire grandi pale d'altare dipinte su tela con riproduzioni musive, meno soggette al degrado, per giungere poi alla commissione diretta di pale musive i cui effetti pittorici vennero esaltati da un particolare tipo di lavorazione.
Sempre nell'ambito della fabbrica vaticana nasce e si sviluppa tra la fine del XVIII e il XIX secolo un'altra interessante produzione, quella dei micromosaici che i pontefici donavano alle eminenti personalità in visita. Tali opere di dimensioni contenute si ottenevano con elementi la cui superficie si era estremamente ridotta. I micromosaici trovarono una felice applicazione, dettata anche dall'esigenza di ampliare il mercato, nella decorazione di oggetti ed elementi di arredo, come anche nella realizzazione di ornamenti quali le spille, ricordate in un brano significativamente attuale di Henry James: "Quando gli Americani si recavano all'estero nel 1820, compivano un'impresa romantica, quasi eroica, se la si confronta col perpetuo traghettare dei giorni nostri, di quest'epoca in cui la fotografia e altre invenzioni hanno annullato ogni sorpresa. Miss Borderau s'era imbarcata con la famiglia su un traballante brigantino nei giorni in cui i viaggi erano lunghi e i contrasti acuti [...] e, raggiunta la Città Eterna, era sta colpita dalla bellezza delle perle romane, degli scialli, delle spille a mosaico". Con le loro riproduzioni di soggetti quali il repertorio figurativo Neoclassico, i monumenti antichi, le vedute di Roma e dei dintorni, i micromosaici diventarono anche veicolo di diffusione e di promozione dell'immagine della città.
Oltre all'interesse storico-artistico che rivestono, questi esempi rimandano ad applicazioni e tappe significative nella storia del mosaico e testimoniano una grande capacità di rinnovamento in grado di non disperdere quanto costruito nei secoli. È questa grande capacità che consente ancora oggi al mosaico di mantenere la sua attualità e il suo fascino.

La pagina della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 4 [2009 - N.36]

Centonove musei emiliano-romagnoli al traguardo del riconoscimento

Laura Carlini - Istituto Beni Culturali

Si è concluso nel 2009 l'iter per il riconoscimento dei musei in conformità agli standard e obiettivi di qualità individuati nel 2003 con la Delibera della Giunta Regionale n. 309; per dare compimento a tale direttiva, la Regione aveva definito (DGR n. 1888/08) i "Criteri e linee guida per il riconoscimento dei musei regionali in base agli standard e obiettivi di qualità", precisando modalità e termini del processo di riconoscimento dei musei.
Innanzitutto i dati attestano il notevole interesse suscitato: circa 200 musei hanno contattato IBC per informazioni, 170 di questi hanno chiesto la password per accedere all'area riservata alla compilazione on line del questionario di autovalutazione e, infine, 149 istituzioni hanno partecipato inviando la domanda ufficiale, corredata dal questionario e dalla documentazione da allegare.
Il primo nucleo di 109 musei che hanno superato la prova è costituito da 78 musei che garantiscono tutti gli standard (riconoscimento definitivo) e da 31 istituti ai quali è stato assegnato il riconoscimento provvisorio, non essendo ancora in possesso di tutti i requisiti, ma avendo già predisposto idonei piani di adeguamento per ovviare alle carenze riscontrate. Il riconoscimento avrà durata triennale 2010-2012; vi sarà comunque per i musei non ancora riconosciuti la possibilità di candidarsi nelle istruttorie successive (anni 2010 e 2011), che si svolgeranno con la stessa tempistica della prima. La scadenza del riconoscimento rimarrà in ogni caso fissata al 31 dicembre 2012.
Tra i risultati più significativi raggiunti dal sistema museale di qualità nel suo insieme annoveriamo prima di tutto lo sviluppo del senso di appartenenza a un gruppo che parla lo stesso linguaggio e condivide obiettivi comuni, come pure una serie di miglioramenti che gli Enti hanno ottenuto grazie alla profusione di un cospicuo impegno per la conquista del traguardo.
Si menzionano l'approvazione dello statuto e/o regolamento; la presenza di un documento di bilancio; l'ordinata raccolta presso il museo e l'aggiornamento della documentazione in materia di sicurezza. Inoltre è da considerare un successo il fatto che molte Amministrazioni abbiano identificato con atto formale la figura di direzione. Ciò è stato attuato con due modalità: la prima dando il giusto riconoscimento al lavoro di funzionari già in organico, che pur svolgendo da tempo compiti di responsabilità nel museo, non avevano ancora ottenuto un'attestazione specifica; la seconda, valida nel caso di esternalizzazioni, è ravvisabile nella selezione di professionisti e/o ditte in grado di garantire il servizio richiesto con personale che risponde ai profili professionali predisposti da IBC. Da ultimo, un apprezzamento per l'impegno finanziario e organizzativo è dovuto alle Amministrazioni che garantiscono l'apertura del museo per almeno 24 ore settimanali.
IBC, nell'intento di valorizzare tutti gli istituti riconosciuti, ha ideato un marchio "Museo di Qualità" per contraddistinguerli e dare loro la massima visibilità, evidenziandone l'inclusione nel gruppo di eccellenza. Il marchio è stato selezionato mediante un concorso riservato ai giovani creativi under 36 attivi nel territorio regionale, che ha visto la partecipazione di 70 studi grafici. Il progetto vincitore è reso disponibile ai musei, per consentire a tutti di applicare il marchio di qualità in ogni occasione sui propri materiali divulgativi e promozionali, concorrendo così a consolidare l'immagine del sistema dei musei di qualità. IBC inoltre pubblica il primo repertorio a schede sui 109 musei riconosciuti, che, pensato per avere la massima diffusione, può essere ristampato anche dai musei stessi. I musei riconosciuti potranno giovarsi anche di altri strumenti realizzati da IBC: una targa in bronzo da esporre all'ingresso e una versione tridimensionale del marchio da esporre al banco della reception, oltre a un timbro e degli adesivi per apporre il sigillo di qualità su materiali già in possesso del museo. Il marchio verrà inoltre apposto sulle schede della banca dati musei del catalogo regionale del patrimonio, la cui traduzione in inglese è in corso, per promuovere i musei di qualità ad un pubblico internazionale.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2010 - N.37]

Sono centinaia di migliaia i dati consultabili nel Catalogo digitale del patrimonio culturale dell'Emilia-Romagna

Fiamma Lenzi - Istituto per i Beni Culturali

Qualche numero per cominciare: più di 900 fra musei e raccolte, teatri storici, luoghi dedicati all'arte contemporanea, siti culturali di vario genere, da indagare in una pluralità di direzioni e nei reciproci legami insieme alle opere d'arte e d'artigianato, ai manufatti, alle testimonianze materiali contenuti. Circa 100.000 schede descrittive che illustrano peculiarità e caratteristiche del patrimonio, realizzate secondo gli standard catalografici nazionali. Un ricchissimo corredo iconografico con oltre 60.000 immagini raffiguranti singoli beni, ma anche contesti museali ed evidenze architettoniche di pregio. Migliaia di nominativi e cronologie di artisti e autori che popolano l'eloquente lista degli artefici del nostro universo artistico, storico, culturale. Una cospicua serie di riferimenti e citazioni bibliografiche, materiali e documenti sugli interventi conservativi attuati, con fotografie delle opere prima, durante e dopo il restauro e descrizioni delle metodologie adottate di caso in caso.
Poco più di un'istantanea questa, utile però a fotografare e a consegnare con immediatezza l'immagine del Catalogo del patrimonio culturale della Regione Emilia-Romagna, che da un anno a questa parte ogni cittadino, studioso, operatore del settore o semplice curioso può scoprire e visitare a piacimento grazie ad un facile accesso attraverso il web, a partire dal portale dell'IBC, oppure formulando un quesito sui principali motori di ricerca abitualmente utilizzati da tutti gli internauti.
In termini strettamente tecnici, possiamo definire il Catalogo come un sistema informativo, in continuo divenire, realizzato grazie al software web based Samira ®. Unendo e integrando fra loro le risorse informative costituite dall'IBC su supporto tradizionale o native digitali in quasi quattro decenni di attività di valorizzazione, catalogazione, conservazione e sviluppo dei musei e delle raccolte culturali, si restituiscono e rendono esplorabili le innumerevoli connessioni inscritte nell'eredità culturale emiliano-romagnola, in costante rapporto con il territorio che l'ha espressa. La logica sistemica sottesa all'architettura e alla presentazione dei dati aderisce alle esigenze di autonomia e personalizzazione della ricerca considerate oggi il requisito indispensabile di ogni risorsa digitale o di insiemi correlati di risorse di nuova generazione.
Nelle intenzioni dell'IBC sin dalle prime fasi progettuali, il Catalogo voleva anche essere e si propone quindi come uno strumento a sostegno delle politiche e delle iniziative di promozione e gestione attuate da Regione, Province, Comuni, musei, organismi pubblici e privati nel campo della salvaguardia, della conoscenza e della fruizione del patrimonio. Si tratta inoltre di un'occasione per dare visibilità alle fruttuose forme di collaborazione stabilitesi fra questi attori. È doveroso infatti qui ricordare l'apporto di numerosi interlocutori dell'IBC - in primo luogo i musei - alla maturazione del percorso operativo che da "precoci" sperimentazioni catalografiche informatizzate ha portato alla creazione del Catalogo e sta evolvendo verso forme di catalogazione partecipata.
Ne passiamo brevemente in rassegna le componenti principali, che fanno di questo prodotto uno degli esempi più avanzati e compiuti, fra quelli promossi dalle regioni italiane nel contesto delle politiche pubbliche rivolte al patrimonio culturale. La stringente relazione fra contenente, sia esso una sede consueta qual'è un museo oppure una qualsivoglia forma aggregativa del patrimonio, e contenuto, inteso quest'ultimo come singolo elemento culturale, materiale o immateriale, o come nucleo storicizzato di beni, rappresenta il principio ordinatore della struttura organizzativa delle conoscenze.
Nella prima compagine, ampia rappresentanza hanno i musei: un vasto repertorio, imprescindibile riferimento per conoscerne distribuzione, singolarità patrimoniali, attività e servizi al pubblico, in cui trovano posto musei di tradizione e nuove fondazioni, grandi collezioni d'arte e dimore storiche, ecomusei e castelli, musei all'aperto e musei d'impresa. Vi si affianca il prezioso manipolo delle sedi storiche dello spettacolo: una novantina di teatri edificati prima del 1925 - rilevati con cura dall'IBC in lunghi anni di lavoro - che per lo più conservano sostanzialmente intatta l'originaria funzione e lo splendido apparato tecnico e artistico.
È poi la volta dell'arte contemporanea, che per la connaturata vitalità e per il persistente attraversare e interfacciarsi con la realtà odierna non è ancora giunta a registrare un maturo processo di sedimentazione conservativa. Di qui la scelta di mettere a disposizione, senza riserve, un accesso integrato a tutte le informazioni sull'arte contemporanea fruibili nell'area regionale, con risorse e servizi raggiungibili sul web, localmente e in rete: musei, gallerie, collezioni, fondazioni, parchi artistici, siti urbani, sedi espositive, mostre, premi, saloni fieristici, accademie e archivi di giovani artisti.
Asseconda la stessa visione dell'arte contemporanea come bene culturale, unita alla necessità di circoscrivere e conferire consistenza all'insospettabile patrimonio presente sul territorio, l'insieme dei "Luoghi del percento per l'arte" che dà conto della ricognizione sulle opere realizzate in edifici pubblici in applicazione della legge 717/1949 e successive modificazioni. Non manca una mappa delle numerose sedi sparse in cui si concentrano, in virtù della loro vicenda storica o del radicamento territoriale, insiemi - anche non strutturati - di beni culturali. Sono oggetto di attenzione raccolte d'arte di proprietà di Comuni e Province, patrimoni degli enti di beneficenza e assistenza pervenuti alle Aziende sanitarie locali, complessi chiesastici e cimiteriali, centri-visita e di documentazione, edifici termali e altri luoghi ancora.
La ricchezza e la molteplicità di sfaccettature del patrimonio culturale regionale emergono compiutamente dalla consultazione delle categorie del Catalogo. Quasi 70.000 beni storico-artistici, fra cui opere pittoriche, sculture, mobilia e suppellettili, medaglie e placchette, ceramiche e targhe devozionali, arredi liturgici, tessuti. Diverse migliaia di reperti archeologici fra iscrizioni, materiali lapidei, instrumentum domesticum, manufatti metallici e fittili, mosaici, ornamenti, monete. Una nutrita documentazione di beni demoetnoantropologici che, con oltre 16.000 unità, include attrezzi agricoli, utensili delle attività artigianali e manufatturiere, suppellettili della civiltà rurale, testimonianze delle tradizioni economico-produttive locali. E ancora, opere d'arte contemporanea "lette" analiticamente attraverso la specifica scheda OAC, beni tecnico-scientifici comprendenti strumentazione di varia tipologia (bilance, apparecchiature, attrezzature ecc.), ampi segmenti di patrimonio naturalistico (mineralogia, petrologia, paleontologia, botanica, zoologia, planetologia) descritti attraverso le sottospecie del tracciato BN, messo a punto dall'ICCD in concertazione con varie istituzioni, fra cui l'IBC.
Il Catalogo è disponibile parzialmente anche in english version e rappresenta nel suo insieme una nuova opportunità di conoscenza e di studio offerta a chi desideri avere una visione complessiva della memoria storica e culturale della regione. O, per meglio dire, una guida essenziale con cui avvicinarsi alle realtà disseminate nell'area regionale, una modalità di approfondimento del mosaico di relazioni che intrecciano e collegano fra loro l'infinita varietà del manifestarsi del patrimonio culturale, espandendosi nello spazio e nel tempo sino alla più stringente attualità: multiformi espressioni d'arte e oggetti della nostra perduta - ma non dimenticata - quotidianità, memorie documentali e trasmissione orale, spazi della conservazione e dell'esposizione e luoghi della contemporaneità. Un mezzo, insomma, per facilitare il dialogo fra le istituzioni culturali e il pubblico, per porre nel giusto risalto la vitalità e la civiltà culturale dell'Emilia-Romagna.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2010 - N.38]

Nove "Kit - Piccoli Laboratori portatili" nati dalla collaborazione tra 11 musei e 23 scuole regionali nell'ambito del progetto Scienze e Tecnologia

Valentina Galloni e Giovanni Battista Pesce - Istituto per i Beni Culturali

Acqua, strumenti per pesare, suolo e sottosuolo, biodiversità, evoluzione, sostenibilità e orogenesi sono gli argomenti sviluppati dai nove "Kit - piccoli laboratori portatili" realizzati nell'ambito di una delle azioni del progetto regionale Scienze e Tecnologia, l'iniziativa avviata nel 2008 dalla Regione Emilia Romagna, assieme all'Ufficio Scolastico Regionale e all'Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell'Autonomia Scolastica. Ricordiamo che il progetto si inquadra nelle finalità elaborate dal Gruppo di lavoro interministeriale per lo sviluppo della Cultura Scientifica e Tecnologica.

Il gruppo di lavoro che a vario titolo ha collaborato a questa azione è costituito da alcuni funzionari dell'Isituto Beni Culturali, del Servizio Istruzione e integrazione fra i sistemi formativi della Regione Emilia-Romagna e dell'Agenzia Nazionale per lo Sviluppo dell'Autonomia Scolastica, con la consulenza di Silvia Mascheroni, esperta in pedagogia del patrimonio culturale e didattica museale.

Il Progetto, coordinato dall'IBC, ha coinvolto 11 musei, 23 istituti scolastici e diverse realtà territoriali che, attraverso una sinergica collaborazione, hanno realizzato i KIT, nove scatole in legno, facili da trasportare e custodire, che racchiudono gli strumenti per sperimentare e comprendere alcune delle domande che ci pone la scienza.

Inizialmente è stato organizzato un corso di formazione rivolto agli insegnanti di materie scientifiche delle scuole superiori di I e II grado e agli operatori dei servizi educativi di alcuni musei scientifici che ha posto le basi del lavoro in partenariato. Grande attenzione è stata posta alla completa documentazione dell'esperienza: la compilazione di una scheda articolata in diverse voci ha avuto lo scopo di portare i vari soggetti a riflettere sulle dinamiche, le azioni, le strategie messe in atto dalle scuole e dai musei, ma anche di fornire materiale per reiterare e diffondere queste esperienze. A corredo della scheda, fotografie, presentazioni e prodotti multimediali illustrano i momenti salienti di ognuno dei nove progetti. Il dvd "La scienza in viaggio: dal museo alla scuola al territorio" è disponibile sul sito www.didatticaer.it/progetti_regionali/progetto_scienze_tecnologia.aspx.

Complessivamente, 50 classi e circa 1200 studenti hanno partecipato alla realizzazione o alla sperimentazione dei Kit. Oltre al dato quantitativo, ciò che ha dato particolare soddisfazione ai promotori del progetto è stato l'entusiasmo dei docenti, degli operatori museali e soprattutto degli allievi. Questi ultimi sono stati i veri protagonisti delle esperienze perché spesso hanno partecipato alla scelta degli argomenti, hanno in gran parte realizzato i materiali all'interno dei Kit, si sono cimentati in ricerche, hanno creato blog e siti internet, hanno scritto articoli scientifici e in alcuni progetti hanno guidato i ragazzi più giovani nella sperimentazione dei materiali.

Attraverso queste esperienze hanno acquisito conoscenze specifiche sulle discipline scientifiche e nello stesso tempo hanno sviluppato le loro competenze personali e civiche interrogandosi sui temi ambientali di grande attualità. Gli insegnanti di materie scientifiche hanno coinvolto i colleghi di materie umanistiche per realizzare materiali con un forte carattere multidisciplinare. Il confronto continuo tra operatori museali e docenti ha favorito un'integrazione di punti di vista complementari. Non solo il museo, ma anche il territorio, i fiumi, le rocce, il sottosuolo e gli animali sono diventati, al pari dei libri di testo, strumenti formativi su cui cimentarsi.

L'auspicio è che nel prossimo futuro, attraverso questi kit, che rimangono in dotazione alle scuole e ai musei, le esperienze possano essere reiterate e che il progetto nel suo complesso costituisca una buona prassi da diffondere e migliorare.


La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2010 - N.39]

L'IBC celebra il 150° dell'unità nazionale attraverso molteplici interventi di valorizzazione, passati e futuri, delle raccolte risorgimentali

Isabella Giacometti - Istituto Beni Culturali

I festeggiamenti per l'anniversario dell'Unità d'Italia sono iniziati ufficialmente e si assiste a un fiorire e moltiplicarsi di iniziative e manifestazioni culturali. Queste celebrazioni sono infatti una preziosa occasione per ripercorrere il travagliato cammino che ha portato alla formazione dello Stato unitario, ma anche uno spunto interessante per rileggere gli eventi e per ricordare i personaggi che hanno partecipato alle vicende risorgimentali. In realtà sarebbe sufficiente prestare maggiore attenzione a ciò che ci circonda per comprendere che i monumenti delle nostre città, la toponomastica delle nostre strade, le targhe commemorative sui nostri muri ci parlano quotidianamente di quel periodo storico, secondo una studiata strategia celebrativa ed educativa.

In quest'ottica un ruolo di primo piano spetta però alle istituzioni museali in quanto divennero i principali depositari della memoria del Risorgimento. La tappa fondante per la formazione delle prime raccolte permanenti si attribuisce all'Esposizione generale italiana di Torino del 1884, a cui gli enti locali parteciparono con la raccolta di cimeli e materiali documentari. A questa seguirono l'Esposizione emiliana di Bologna del 1888 e quella romagnola del 1904, che furono in ambito regionale il propulsore per la formazione, in tempi più o meno ravvicinati, dei primi allestimenti museali in un territorio che si era caratterizzato per essere stato teatro di numerosi fatti ed episodi significativi, un esempio fra tutti la Trafila garibaldina.

Ai musei di Bologna, Modena e Ferrara seguirono quelli di Forlì, Faenza, Reggio Emilia, Modigliana, sull'onda di una spinta propulsiva che è giunta fino ai giorni nostri con l'allestimento delle collezioni di Fidenza e Ravenna, solo per citare alcuni esempi di un mosaico museale molto più complesso e variegato. Si tratta infatti non solo di musei a prevalente vocazione risorgimentale, ma anche di sezioni all'interno di realtà conservative più ampie e composite e di piccole ma non meno significative raccolte locali.

A partire dagli anni Novanta queste istituzioni sono state oggetto di grande interesse da parte dell'IBC. Il censimento dei Musei del Risorgimento e delle raccolte storiche di interesse risorgimentale, avviato in occasione dei festeggiamenti per il bicentenario del Tricolore, ha fatto emergere alcuni dati che hanno permesso di effettuare considerazioni in merito allo stato di conservazione dei materiali in particolare dal punto di vista della catalogazione e documentazione fotografica.

Queste valutazioni alla luce della legge regionale n. 20 del 1990 "Norme in materia di musei di enti locali e di interesse locale" hanno consentito all'Istituto di avviare, in collaborazione con le amministrazioni comunali, una diffusa attività di catalogazione informatizzata e di manutenzione e restauro dei materiali che componevano le prime raccolte risorgimentali, limitata però ad alcuni fondi (Bologna, Modena, Ravenna, Ferrara, Faenza e Forlì). Le nuove tecnologie informatiche hanno favorito l'attività di catalogazione, che è alla base di ogni attività di valorizzazione e promozione dell'Istituto, migliorandone la gestione dei dati e della documentazione fotografica.

Il Catalogo informatizzato del patrimonio culturale della Regione Emilia-Romagna è diventato, così, un efficace veicolo per la diffusione della conoscenza del patrimonio culturale regionale e il facile accesso on-line (bbcc.ibc.regione.emilia-romagna.it/samira/v2fe/index.do) rende possibile a chiunque un percorso virtuale per curiosare tra queste collezioni, formatesi allo scopo di mantenere vivo il coinvolgimento del visitatore attraverso un apparato iconografico e documentario che intendeva elevare le vicende risorgimentali a una dimensione mitica. Si tratta di un patrimonio comprensivo di libri, manifesti, stampe, dipinti, fotografie, uniformi, copricapi, bandiere, fazzoletti, medaglie, targhe commemorative, armi (fucili, daghe, spadini), e ancora cimeli di vario genere appartenuti ai patrioti che hanno vissuto in prima persona le lotte per l'indipendenza.

Primo fra tutti Giuseppe Garibaldi, l'eroe più popolare ed amato, di cui si conservano un poncho a righe presso il Museo Civico del Risorgimento di Modena, un cappello di feltro, indossato durante la fuga in terra di Romagna, al Museo del Risorgimento di Ravenna, senza dimenticare le numerosissime stampe, le fotografie e i dipinti che lo ritraggono, come nel quadro, opera dell'artista Silvestro Lega, conservato al Museo Don Giovanni Verità di Modigliana. Questo museo, ospitato nella casa del sacerdote e patriota che nel 1849 salvò Garibaldi durante la fuga dagli austriaci, conserva tra le altre cose gli indumenti e una ciocca di capelli dell'eroico salvatore, esempio di una consuetudine secondo la quale gli oggetti appartenuti ai patrioti hanno assunto, nel tempo, il valore di vere e proprie reliquie. Una regola che si è estesa anche ai familiari di Garibaldi: il Museo conserva infatti uno scialle a righe tradizionalmente appartenuto alla moglie Anita, mentre il Museo di Ravenna ne custodisce gli stivali. Lo stesso vale per quegli oggetti il cui unico valore è quello di evocare il ricordo di luoghi ed eventi emblematici, come la pagnotta da 5 centesimi che la tradizione vuole che sia stata in vendita durante l'assedio di Venezia nel 1849, il proiettile raccolto durante l'assedio della casa di Ciro Menotti, o come il quadretto in cui sono stati essiccati e sistemati i fiori raccolti sulla tomba di Garibaldi a Caprera.

Il ricordo dei "Padri della Patria" e dei patrioti locali che hanno preso parte alle vicende risorgimentali è ampiamente illustrato da dipinti, stampe, rilievi, fotografie, busti, fazzoletti patriottici e medaglieri. Ecco allora un pregevole busto di Giuseppe Mazzini eseguito da Domenico Baccarini e conservato presso il Museo del Risorgimento e dell'Età contemporanea di Faenza, dove si trova anche una bella formella dipinta da Angelo Marabini che ritrae il forlivese Aurelio Saffi, patriota e politico italiano. Ritratti del carpigiano Ciro Menotti, protagonista di una rivolta patriottica nel 1831 soffocata nel sangue, sono custoditi presso i Musei di Palazzo Pio a Carpi e al Museo Civico del Risorgimento di Modena dove si conserva anche la tunica del patriota, mentre al Museo Civico del Risorgimento di Bologna sono esposti gli abiti sacerdotali di Ugo Bassi. Sono migliaia gli oggetti e le testimonianze schedati in questi anni, ma nonostante questo non può ancora dirsi conclusa la catalogazione del patrimonio risorgimentale, che al contrario prosegue supportata dall'attuale legge regionale di settore (n.18 del 2000). A questo proposito, sono state di recente avviate le schedature della collezione del Museo del Risorgimento "Faustino Tanara" di Langhirano e il completamento delle schede del Museo del Risorgimento "Aurelio Saffi" di Forlì, mentre sarà di prossima attuazione l'intervento di catalogazione nel Museo del Risorgimenro "Luigi Musini" di Fidenza.

Il 150° anniversario dell'Unificazione nazionale rappresenta dunque per l'IBC un'occasione davvero propizia non solo per tracciare il bilancio dell'attività fin qui svolta, ma anche e soprattutto per delineare il programma dei progetti futuri.


La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2011 - N.40]

L'IBC partecipa al progetto europeo Aqueduct pensato per insegnanti e operatori museali

Valentina Galloni - Istituto Beni Culturali

L'educazione al patrimonio culturale, oltre a essere una risorsa educativa funzionale all'apprendimento delle varie discipline, è anche uno strumento importante e complesso in grado di sviluppare competenze personali, sociali e civiche. Su questo presupposto si basa "Aqueduct-Acquiring Key Competences through heritage education", il progetto europeo multilaterale Comenius, coordinato dal Landcommanderij Alden Biesen (Belgio), che in Italia vede coinvolto l'IBC.
Il Quadro di Riferimento Europeo adottato dal Parlamento europeo e dal Consiglio nel 2006 (http://ec.europa.eu/dgs/education_culture/publ/pdf/ll-learning/keycomp_it.pdf) stabilisce le otto competenze chiave che i cittadini devono possedere per la propria realizzazione personale, per l'inclusione sociale, per la cittadinanza attiva e per l'occupazione nella nostra società basata sulla conoscenza: comunicazione nella propria lingua; comunicazione in lingue straniere; competenza matematica e competenze di base in campo scientifico e tecnologico; competenza digitale; imparare a imparare; competenze sociali e civiche; spirito di iniziativa e di imprenditorialità; consapevolezza ed espressione culturali. Il progetto "Aqueduct" si focalizza sulle ultime quattro, vale a dire quelle trasversali, proponendo a insegnanti e operatori museali di utilizzare l'educazione al patrimonio come strumento strategico per acquisirle.
Gli enti che costituiscono il partenariato, quattro tra Università ed enti di formazione degli insegnanti e cinque istituzioni culturali, dopo una prima fase di ricerca nei vari paesi, hanno delineato una cornice di riferimento comune; hanno, quindi, raccolto e descritto una serie di buone pratiche alla luce di quanto stabilito e hanno, infine, formato alcuni operatori culturali e insegnanti affinché sviluppassero assieme nove progetti pilota.
Elementi chiave di tali progetti sono stati i seguenti: l'utilizzo di un autentico e significativo bene culturale come contesto/contenuto; un approccio orientato alle competenze con una particolare focalizzazione sulle quattro competenze chiave trasversali; lo sviluppo del processo mediante quattro fasi: motivazione-esperienza-dimostrazione-riflessione. L'integrazione dei contenuti e delle discipline, il lavoro di gruppo, l'apprendimento/ricerca e l'esperienza come veicolo di apprendimento sono le modalità di approccio ritenute indispensabili.
Per quanto riguarda il progetto pilota italiano, il Museo della Preistoria "L. Donini" di San Lazzaro e la Scuola Primaria "G. Carducci" di Bologna, avvalendosi della collaborazione del Parco Archeologico della Terramara di Montale, hanno scelto di condurre gli alunni attraverso un vero e proprio viaggio nel tempo alla scoperta delle origini dell'uomo e delle prime fasi storico-culturali della nostra civiltà. Tale scelta e la metodologia impiegata hanno permesso agli alunni di migliorare, in primo luogo, le competenze chiave relative a consapevolezza ed espressione culturali e al concetto di "imparare ad imparare"; allo stesso tempo anche competenze più generali, quali quelle civiche, sociali e interpersonali, hanno avuto un loro considerevole sviluppo, così come l'imprenditorialità e lo spirito di iniziativa. Avvalendosi del ricco patrimonio archeologico locale e tenendo ben presenti le esigenze e le capacità del gruppo di bambini coinvolti (con un'età media di 8 anni), è stato elaborato un percorso che promuovesse la conoscenza e l'uso di contesti storico-culturali di rilievo per un apprendimento attivo ed efficace. I bambini, al termine del progetto, si sono cimentati nella progettazione e nella realizzazione di uno spettacolo che raccontasse la loro esperienza e di una piccola brochure dedicata, e poi distribuita, ai bambini più piccoli, per consentire loro di replicare questo emozionante viaggio.
I materiali e le riflessioni scaturite dai vari progetti pilota realizzati, assieme agli esempi di buone pratiche e alla cornice teorica di riferimento, costituiscono la base per un manuale e per i corsi di formazione previsti nei paesi partner. La presentazione dei risultati di "Aqueduct" e del manuale si terrà a Bologna il prossimo 27 ottobre nella prima giornata della conferenza internazionale conclusiva del progetto. La giornata sarà aperta a tutti gli insegnanti e agli operatori culturali italiani. Per maggiori informazioni: www.ibc.regione.emilia-romagna.it; www.the-aqueduct.eu.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2011 - N.41]

La doppia progettualità dell'IBC per una rete educativa sul patrimonio archeologico tangibile e intangibile

Fiamma Lenzi e Simona Parisini - Istituto Beni Culturali

Antico tempo presente: un ossimoro che forse meglio di ogni altro racchiude l'essenza di quel sottile, talora invisibile, ma tenacissimo filo che attraversa la nostra contemporaneità.

Il presente non potrebbe, infatti, dirsi tale se non volgessimo costantemente lo sguardo oltre le nostre spalle e non sapessimo scrutare il passato con gli occhi curiosi della modernità, rischiarando della sua luce il percorso che ciascuno di noi deve compiere per comprendere e interpretare l'oggi. Al passato, alla sua eredità culturale, alle tracce e materiali e intangibili disseminate dai nostri predecessori lungo la "strada del tempo", l'IBC ha dedicato negli anni molto lavoro e molta progettualità per riscoprirne le orme, le voci, i significati, e insieme valorizzare l'azione delle istituzioni che ne presidiano la conservazione e il godimento, cercando di restituire un'immagine complessiva, non frammentaria, dell'antichità della regione e della sua fisionomia sociale e culturale.

Di questo impegno crediamo siano testimonianza effettiva le iniziative e i progetti brevemente passati in rassegna nelle righe a seguire. Incentivare la conoscenza delle nostre importanti realtà museali e dare ai cittadini l'opportunità di apprezzarne le collezioni e le attività, permettendo così a ciascuno di entrare in contatto con il ricco patrimonio archeologico regionale, costituiscono certamente uno degli obiettivi maggiormente perseguiti dall'Istituto durante il suo concreto operare. Dalla scorsa annualità, in coincidenza con importanti appuntamenti relativi all'archeologia emiliano-romagnola, si è deciso di impostare programmi di "sistema" in grado di coinvolgere intorno ad alcuni tematismi le realtà operanti nel settore. Si è cominciato con "La Settimana della Preistoria", in occasione della XLV Riunione dell'Istituto Italiano di Preistoria e Protostoria tenutasi a Modena.

Quest'anno è la volta di "Sotto il segno di Roma", un programma di iniziative autunnali, incentrate sulla civiltà romana, che prende spunto dalla ricorrenza dei 2200 anni dalla fondazione di Bononia e dalle collegate manifestazioni di "Archeopolis", e dilata le sollecitazioni scaturite da questo evento proiettandole in una dimensione regionale (http://www.ibc.regione.emilia-romagna.it/wcm/ibc/menu/dx/07parliamo/storico/musei/par/SOTTOILSEGNODIROMA/par04_scelta/opuscolo_archeopolis_def.pdf).

Da Piacenza a Rimini, grazie all'imprescindibile apporto di una sessantina di musei e anche alla cooperazione delle Soprintendenze e di altri organismi pubblici, si propongono al pubblico oltre cento iniziative, più di cinquanta visite guidate su argomenti che vanno dalla tavola ai costumi funerari, dalla quotidianità delle comunità locali alla gestione delle aree cittadine e rurali, dalla casa all'epigrafia. E poi laboratori e momenti ludici per i bambini e le loro famiglie, dove la creatività e il gioco costituiscono il mezzo per entrare "nel vivo della storia". Una ventina di conferenze spaziano dall'urbanistica alla monetazione, dalle singole realtà archeologiche alle nuove scoperte. Non vanno dimenticate le presentazioni di volumi e di pubblicazioni didattiche illustranti questo momento cruciale della storia regionale e le inaugurazioni di nuovi allestimenti museali.

In particolare il territorio ravennate vede la partecipazione del Museo del Castello di Bagnara, con la collezione romana e una conferenza sulla centuriazione, e quella del Comune di Russi con il suo museo e una visita alla grande villa urbano-rustica. Il Museo del Paesaggio di Riolo Terme presenta a sua volta la raccolta di materiali d'epoca romana, mentre un'interessante serie di incontri e di attività didattiche promossi dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Ravenna entra nel vivo dell'epoca teodericiana attraverso i grandi monumenti cittadini e i reperti del Museo Nazionale.

Ma c'è ancora molto altro, a partire dal cibo. Ecco, allora, la visita che si chiude con un banchetto romano oppure l'apertura di un'anfora olearia o le degustazioni di vini doc. Si può continuare con uno spettacolo teatrale e poi assistere ad un convegno in cui si parla di volontariato archeologico. Rivisitare il passato può anche voler dire essere in prima persona sulla scena della storia e costatare con i propri occhi com'erano, cosa facevano, come si comportavano i nostri predecessori: lo si può fare assistendo all'ultima battaglia fra i Galli Boi e le truppe romane o penetrando in un accampamento militare trapiantato nella modernità di una piazza urbana.

Neppure il momento della formazione e dell'aggiornamento è trascurato. Due cantieri-scuola di restauro, ideati e coordinati direttamente dall'IBC, avvicinano studenti e specializzandi in archeologia alle tematiche e alle metodologie della conservazione del patrimonio, mentre progetti didattici dedicati alle radici archeologiche dell'Unità e all'idea dello stato tra federalismo e unità, offrono, in forma di corso di aggiornamento per gli insegnanti, l'opportunità di riflettere sul cammino che ci ha portati all'Italia di oggi.

Valorizzare il patrimonio archeologico dell'area costiera dell'Alto Adriatico, dal litorale emiliano a quello sloveno, un'area storicamente caratterizzata da un'intensa comunicazione commerciale e culturale, costituisce invece la finalità principale del progetto di cooperazione transfrontaliera Italia-Slovenia (2007-2013) PArSJAd, che impegna l'IBC e altri otto partner, con capofila la Regione Veneto. Sei enti italiani, fra cui i Comuni di Russi, di Bagnara di Romagna e di Voghiera, e tre sloveni concorrono all'ideazione e all'impostazione dell'idea di Parco Archeologico dell'Alto Adriatico inteso come vasto e composito areale accomunato da significativi elementi fisio-geografici, al cui interno coesistono diverse evidenze di interesse archeologico, culturale e paesaggistico e assume rilievo la compenetrazione di valori storici e ambientali. Lo studio di fattibilità del Parco non può prescindere da un'approfondita conoscenza del territorio stesso e da un complesso di azioni integrate e coerenti riguardanti la formazione di idonee figure professionali, l'elaborazione di metodologie didattiche e lo studio di un'efficace comunicazione tradizionale e innovativa.

In regione il progetto coinvolge appieno il Ravennate e il Ferrarese: qui stiamo predisponendo la dettagliata catalogazione dei principali insediamenti storici, con particolare attenzione al tema dell'abitare in villa nella romanità. Tale attività fornisce simultaneamente occasione di ulteriore arricchimento del portale del Patrimonio Culturale dell'Emilia Romagna (http://bbcc.ibc.regione.emilia-romagna.it/samira/v2fe/index.do), ove è già possibile navigare tra i luoghi culturali e le testimonianze materiali del patrimonio regionale, ma non erano ancora annoverati i siti archeologici. A questi ultimi si affiancheranno schede di approfondimento culturale su eventi, personaggi, strade e fonti storiche, così da sviluppare un dettagliato quadro informativo sulla dinamica di evoluzione storica di questo quadrante del distretto adriatico.

Grazie al forte rapporto di collaborazione col Dipartimento di Archeologia dell'Università di Bologna, è in via di progettazione un modello plurilingue di portal technology per facilitare l'accesso ad archivi digitali e basi di dati multimediali mediante la visualizzazione scientifica in 3D dei dati in ambiente immersivo. Pur rappresentando una sperimentazione prototipale, lo sviluppo di simili tecnologie contiene però già in sé l'idoneità a un'applicazione su scala più ampia rispetto all'area di competenza di PArSJAd. Con azioni condivise si vuole anche costruire un contesto di riferimento coerente nella pianificazione urbanistica e ambientale e nello scambio di buone pratiche e modelli operativi per la valorizzazione delle aree archeologiche. Legato a quest'ultimo aspetto è pure l'impegno nell'impostazione di progetti didattici e di formazione al fine di realizzare una comune rete educativa sul patrimonio archeologico tangibile e intangibile, attraverso l'elaborazione di linee-guida e strumenti online.

Al termine del progetto, una guida del Parco, coordinata dall'IBC, elaborerà e presenterà le conoscenze, i dati, le informazioni complessivamente acquisiti, rimanendo a disposizione di tutti come strumento permanente di conoscenza e di divulgazione di questa realtà che ha rappresentato nel mondo antico uno snodo cruciale per le relazioni economiche, sociali e culturali tra Occidente e Oriente.


La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2011 - N.42]

Fin dalla sua nascita l'IBC ha dedicato grande attenzione al tema delle acque e del loro corso naturale e artificiale

Massimo Tozzi Fontana - Istituto Beni Culturali

È del 1984 la mostra, il volume (I mulini ad acqua della valle dell'Enza, a cura di W. Baricchi, F. Foresti, M. Tozzi Fontana, Dossier IBC n. 20, Grafis) e il cortometraggio dedicati ai mulini della valle dell'Enza che, in discreto numero, erano ancora attivi a quei tempi. Il bacino idrografico compreso tra i territori parmense e reggiano fa da cornice a uno studio approfondito su vari piani: la geografia antropica, la storia dell'economia e della tecnica, l'osservazione tecnologica, la linguistica e la dialettologia; la rappresentazione grafica e fotografica. Sotto quest'ultimo aspetto si è tentato di proporre un metodo di trascrizione fotografica del ciclo produttivo dei mulini alimentari a palmenti, seguendo il percorso dell'acqua dall'ingresso nell'opificio all'uscita. La ricerca prende le mosse da una ricognizione, a scala regionale, sulla cartografia IGM, degli impianti idraulici corrispondenti alle varie industrie. Dal confronto è emersa una sostanziale analogia, come numero di impianti censiti, tra la valle dell'Enza e quelle degli altri affluenti di destra del Po, a dimostrazione di una intensa, secolare attività molitoria che ha iniziato a declinare solo nel secondo dopoguerra.
Il fiume Po è stato al centro di due approfondimenti: il primo, nel 1999, dedicato alla cantieristica tradizionale (Imbarcazioni e navigazione del Po, a cura di F. Foresti, M. Tozzi Fontana, CLUEB), ha preso in esame, in particolare, il cantiere navale della famiglia Chezzi, costruttori di imbarcazioni da tre generazioni, a Boretto, presso Reggio Emilia. Proprio a Boretto si trova a tutt'oggi il principale centro operativo per il controllo del fiume. Dall'indagine, centrata sul racconto dei fratelli Chezzi, è emerso che la progettazione non aveva una base grafica né l'esecuzione era preceduta da una qualche riflessione che non fosse puramente verbale o gestuale. La meticolosità degli artefici, impegnati nel produrre "a regola d'arte", si fondava su un'empiria quotidiana, sui gesti e sulle parole tradotti in leggi rigide, anche se non scritte né rappresentate graficamente.
Il secondo approfondimento sul Po ha preso le mosse nel 2008 da un progetto europeo dedicato alla valorizzazione del patrimonio culturale delle regioni solcate dai grandi fiumi europei. Tra i temi trattati nel volume (Indagini sul Po, a cura di P. Orlandi, M. Tozzi Fontana, CLUEB) si ricorda innanzitutto il cibo, nei suoi molteplici aspetti economici (dalla produzione al consumo), antropologici (i legami con la religione, le tradizioni culturali e climatiche), sociali (il convivio nelle sue diverse valenze), dal passato remoto a oggi; le abitazioni e i modi di edificare del Po, da una parte per conservare la memoria di un mondo che non esiste più, ma dall'altra con l'intento di incoraggiare una politica di recupero mirata su poche e selezionate testimonianze; infine, ancora la cantieristica tradizionale, con un contributo, questa volta, di taglio storico. La ricerca ha affrontato inoltre il tema dello sfruttamento indiscriminato, dei colpi mortali inferti all'ambiente negli ultimi cinquanta anni, e delle occasioni mancate sul fronte dell'utilizzo del fiume come via di comunicazione. Questo tema è attraversato dalle dinamiche sociali e antropologiche contemporanee, determinate dai flussi migratori, dai fenomeni di inurbamento e dalle radicali trasformazioni della struttura produttiva e delle modalità costruttive e abitative. Arricchisce il quadro una raccolta di testi letterari e immagini sottolineata e rafforzata dalle fotografie di Giovanni Zaffagnini e Claudio Sabatino.
Sempre a proposito delle iniziative legate alle acque meritano un cenno i tre dépliants dedicati ai luoghi dell'acqua Bologna, dell'intero territorio regionale e al mare Adriatico, distribuiti in grande numero dall'IBC con il quotidiano La Repubblica nel 2000.
Per concludere si ricorda una delle iniziative più importanti: la mostra, i filmati e il volume (Bologna e l'invenzione delle acque. Saperi, arti e produzione tra '500 e '800, a cura di M. Tozzi Fontana, Editrice Compositori, 2001) realizzati in occasione dell'evento Bologna 2000 capitale culturale europea, e, parallelamente, il coordinamento dei lavori del comitato scientifico per il costituendo centro di documentazione delle acque bolognesi presso l'antica Pellacaneria della Grada, dal 2003 a oggi. Il compito di questa nuova istituzione sarà di fare conoscere nel modo più completo possibile la storia idraulica bolognese e la possibilità concreta di una sua riscoperta.


La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2012 - N.43]

LEM - The Learning Museum è un progetto europeo di rete che vede coinvolti numerosi ed eterogenei partner coordinati dall'IBC

Margherita Sani - Istituto Beni Culturali

In un momento di profondi cambiamenti nella società, quali scelte deve intraprendere il museo per evitare uno sterile arroccamento in uno scenario, anche culturale, divenuto oramai globale? Quale sistema di sinergie deve porre in atto per realizzare un più ampio scambio e arricchimento professionale, a livello oramai necessariamente internazionale, fra quanti lavorano, a vario titolo, nei musei?
Una risposta è rappresentata da LEM - Learning Museum (www.lemproject.eu), un progetto europeo di rete aperta che intende creare uno spazio permanente di scambio e confronto per gli educatori museali e gli educatori degli adulti che vede coinvolto, fra i partner italiani, l'Istituto per i Beni Culturali. Alla rete, che oggi conta 38 istituzioni presenti in 20 Paesi Ue e statunitensi, possono aderire sia singoli musei che reti di musei, o organizzazioni culturali interessate all'educazione degli adulti, alle politiche culturali, all'audience development.
Dall'avvio del progetto, nel novembre 2010, LEM ha acquisito 29 nuovi partner tra musei, istituzioni culturali, università, centri di ricerca, fondazioni, che non appartenendo alla rete al momento della sua istituzione, sono state qualificate come Partner Associati. Tale qualifica non ha comportato per essi, nè per eventuali nuovi partner, alcun costo e permette di godere sul sito LEM della stessa visibilità dei Partner a pieno titolo, di partecipare ai Gruppi di lavoro, di accedere alle esperienze di mobilità. Inoltre è permesso l'accesso all'area riservata del sito, dove vengono caricati i materiali di lavoro prodotti dai diversi Gruppi di lavoro e dove si concentrano le discussioni più interessanti a livello professionale.
È proprio lo scambio di esperienze tra istituzioni internazionali, realizzato per mezzo di una rete aperta fra organizzazioni - non solamente museali - attive in vari paesi, il nucleo portante di questo progetto che permette esperienze di soggiorno (che vanno da due settimane a tre mesi) in forma di visite di studio, periodi di stage o di job shadowing presso realtà museali partner del progetto al fine di poterne toccare concretamente con mano l'organizzazione, seguendo i colleghi stranieri nel loro lavoro e collaborando con essi, ponendosi nella reciproca prospettiva dello scambio, del confronto delle esperienze e non in quello dell'insegnamento/apprendimento passivo.
Non a caso il peer learning rappresenta una risorsa fondamentale per i professionisti del settore museale che LEM propone per mezzo di visite di studio presso i partner di progetto, che si rendono disponibili ad ospitare i colleghi, e grazie ai gruppi di lavoro tematici (www.lemproject.eu/WORKING-GROUPS ) su cinque temi specifici: "Nuove tendenze per i musei del XXI secolo", "Musei e popolazione che invecchia", "Ricerca sul pubblico, stili di apprendimento e visitor relation management", "Musei come luoghi di apprendimento", e "Dialogo interculturale".
Vista l'estensione geografica della rete e l'eterogeneità dei suoi Partner, il lavoro di ricerca e approfondimento dei cinque gruppi, ciascuno coordinato da un Partner e da un tutor IBC, è organizzato su un modello decentralizzato, suddiviso per gruppi di interesse, ai quali i partecipanti alla rete aderiscono liberamente sulla base delle tematiche che sentono più vicine ai propri interessi. I cinque gruppi godono di completa libertà per quanto riguarda l'organizzazione del programma di lavoro e hanno un budget per le visite di studio, di cui dispongono in autonomia. Fra le azioni messe in atto vi è l'organizzazione di incontri, lo scambio di materiali, lo studio di casi, l'approfondimento delle migliori pratiche educative, producendo poi report delle proprie attività nel corso dello svolgersi del progetto.
Parte integrante e non secondaria del progetto è il sito, ricco di informazioni, ma che conta anche sull'apporto di chiunque proponga contributi e materiali purchè in linea con le tematiche di cui si occupa LEM.
Il progetto LEM, che si concluderà nell'ottobre 2013, è finanziato dal Programma Lifelong Learning Grundtvig e dall'Unione Europea. I musei dell'Emilia Romagna possono diventare Partner Associati del progetto LEM seguendo le istruzioni disponibili su http://www.lemproject.eu/the-project/associate-partners/become-an-associate-partner

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2012 - N.44]

Un progetto, un network e un convegno per un'archeologia di respiro europeo

Romina Pirraglia - Collaboratrice IBC - Progetto ACE

ACE è un progetto europeo finanziato all'interno del programma Culture 2007-2012. L'IBC, subentrato al MiBAC nel 2011, è l'unica istituzione italiana ad aver preso parte al progetto insieme ad una dozzina di altri partner provenienti da 10 paesi della UE (Francia, Germania, Inghilterra, Spagna, Grecia, Ungheria, Belgio, Olanda e Polonia).
ACE ha inseguito il duplice obiettivo di promuovere l'archeologia a livello europeo nelle sue attuali dimensioni culturali, scientifiche, economiche e comunicative, e allo stesso tempo di realizzare un network tra le diverse istituzioni (universitarie, pubbliche e private) impegnate nei vari ambiti dell'archeologia contemporanea.
Non a caso infatti il titolo (quasi ossimorico) del progetto richiama la necessità di ripensare al ruolo e alla collocazione nell'archeologia nella realtà odierna, caratterizzata sì da una fase storica recessiva che vede le poche risorse finanziarie disponibili spesso privilegiare ambiti altri rispetto a quello culturale, ma che fornisce anche l'opportunità di ripensare a una gestione più sostenibile del nostro patrimonio, che magari possa coinvolgere − perché no? − tutti i cittadini europei.
Non può essere ignorato come negli ultimi decenni il rilancio di grandi operazioni di infrastrutturazione, generalizzato in tutto il continente, abbia avuto un forte impatto sul patrimonio archeologico, amplificando latenti problemi di lunga data, inerenti sia l'efficacia dei diversi sistemi di tutela che lo stesso ruolo professionale dell'archeologo.
Nel cercare proposte e soluzioni concrete a tali problemi i partner della rete ACE hanno condotto ricerche, attività di documentazione e di diffusione lungo quattro assi tematici, ciascuno sviluppato nel proprio contesto internazionale: la ricerca del significato del passato; le pratiche comparative nell'archeologia; la professione dell'archeologo; il contatto con il pubblico e la diffusione dell'archeologia.
Per approfondire e connettere tra loro gli ultimi due aspetti, in particolare, è stata realizzata la mostra Working in archaeology / Mestiere di archeologo, con le immagini del fotografo Pierre Buch scattate nei paesi aderenti ad ACE, tese a illustrare le varie realtà e i molteplici aspetti di una professione tanto complessa per gli addetti ai lavori e per chi aspiri a diventarvi, quanto stereotipata nell'immaginario comune.
L'esposizione di 40 immagini selezionate, strutturata in più sezioni (scavare - registrare - analizzare - conservare - raccontare), ha restituito un'istantanea di come gli archeologi si trovino ad operare quotidianamente. Inaugurata a Parigi nel novembre 2011, nel corso del 2012 la mostra era visitabile in altri nove paesi europei; in Italia, a cura di IBC, è stata ospitata al Salone del Restauro di Ferrara, al Festival del Mondo Antico di Rimini, presso il Museo La Regina di Cattolica e i Musei di San Domenico a Forlì.
La fase finale del progetto ha invece visto l'organizzazione del convegno internazionale Vent'anni dopo Malta. L'archeologia preventiva in Europa e in Italia, sotto la direzione scientifica di Maria Pia Guermandi (responsabile ACE per IBC) e del capofila del progetto INRAP (Institut National de Recherches Archèologiques Préventives) tenutosi il 19 ottobre scorso, presso la sede dell'École française de Rome.
I vent'anni dalla promulgazione della Convenzione de La Valletta per la tutela del patrimonio archeologico - tuttora non ratificata dall'Italia - e i quaranta trascorsi dalla Convenzione UNESCO sulla protezione del patrimonio culturale e naturale mondiale hanno costituito l'occasione per un bilancio e una riflessione sullo sviluppo metodologico e sull'evoluzione normativa che ha interessato l'archeologia preventiva europea in questo lungo arco di tempo. Il coinvolgimento di rappresentanti dell'UNESCO, del MiBAC, delle Università italiane, dell'Associazione Nazionale Archeologi, nonché del Landesamtfür Archäologie Sachsen, della Leiden University e dell'English Heritage ha permesso un proficuo confronto tra le diverse esperienze europee, verificando come − pur nella diversità dei contesti istituzionali e sociali − la ricerca di strumenti comuni per affrontare le nuove sfide di chi oggi si occupa della tutela e dello studio del patrimonio archeologico sia tutt'altro che vana.
Nel corso del convegno, infine, è stato presentato in anteprima il video Archeologi: una professione in trincea realizzato a cura dell'IBC a partire dalle interviste effettuate in Emilia-Romagna ai diversi attori del settore (collaboratori a progetto, titolari di ditte private, soci di cooperative, liberi professionisti, operatori museali, operatori didattici, sindacalisti, studenti e docenti universitari di Archeologia, funzionari della Soprintendenza), presto disponibili e scaricabili dal sito IBC. Le interviste non hanno tralasciato le spinose questioni relative alle tipologie contrattuali, alle retribuzioni medie orarie, alle recenti mobilitazioni dei professionisti precari: perchè l'apatia e la rassegnazione possono essere di tutti, ma non degli archeologi contemporanei.
www.ace-archaeology.eu

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2012 - N.45]

Prosegue l'impegno dell'IBC al Museo del Risorgimento e dell'Età Contemporanea di Faenza

Lidia Bortolotti - Istituto Beni Culturali

Nelle sale neoclassiche del palazzo voluto dal conte Ludovico Laderchi, sede del Museo faentino, si espongono nuovi cimeli che fino a qualche tempo fa uno stato conservativo precario li rendeva inadatti alla fruibilità del pubblico. Si tratta di quattro giubbe militari d'età risorgimentale e di una sontuosa poltrona appartenuta al primo sindaco faentino post unitario. Il restauro recentemente concluso è stato realizzato con un finanziamento regionale erogato ai sensi della L.R. 18/2000 e conclude l'impegno che l'IBC ha portato avanti per il museo nell'arco dell'intero piano triennale 2008-10 della citata legge.
Nel corso delle prime due annualità sono stati restaurati i ritratti d'illustri personaggi quali Francesco e Achille Laderchi, di autore ignoto e l'Autoritratto di Michele Chiarini, oltre a un primo nucleo di incisioni, bandi e disegni. Successivamente ancora opere pittoriche, sette in tutto sia ritratti che raffigurazioni di eventi risorgimentali, per la maggior parte oli su tela o altri supporti: tra cui il Ritratto dell'Ingegner Rubaldini di ignoto; la Veduta della Piazza di Faenza durante i festeggiamenti per la proclamazione della Repubblica Romana di F. Rav (1887-88), e si è intervenuti su un secondo lotto di documenti cartacei: proclami, provvedimenti, notifiche, disposizioni, stampe e bandi ecc. (XVIII-XIX sec.).
Il restauro delle quattro giubbe militari - da ussaro, della Guardia Nazionale, della Cavalleria garibaldina e una in panno azzurro - ha permesso il recupero di oggetti di notevole interesse e fortemente evocativi, tra queste significativa, e impegnativa sotto il profilo del restauro, è risultata quella da ussaro. Quella degli ussari era una specialità della cavalleria, propria di numerosi eserciti europei, il cui nome deriva dall'ungherese huszar, ventesimo, traendo origine dalla consuetudine di arruolare un cittadino su venti praticata in Ungheria nel XV secolo, nel corso delle frequenti mobilitazioni contro i turchi. Tale corpo militare venne poi definendosi alla fine del Seicento in Francia, Napoleone lo sviluppò ulteriormente per un impiego veloce e spregiudicato di ricerca e attacco dell'avversario.
Quella conservata a Faenza è una giubba da 'Ussaro di Piacenza' appartenuta a Luigi Baldi, in panno di lana nero è decorata con un cordone rosso sul petto, sulle maniche, sulle spalle e sui fianchi. Corta, arriva fino alla vita, presenta sul fronte il cordone disposto a doppio in diciassette file parallele che si uniscono all'estremità vicino alle maniche con un intreccio a piccoli "cerchi". Sul lato sinistro i cordoni formano delle asole per permettere la chiusura della giacca con bottoni di metallo di forma quasi sferica. Quindi le file di cordone sono decorate con una doppia serie di bottoni, simili a quelli della chiusura: una cucita a metà dei cordoni e una all'estremità dove si forma l'intreccio decorativo. La stessa passamaneria della chiusura profila il bordo inferiore e il colletto alla coreana della giubba, inoltre crea un intreccio alla fine della manica. L'intreccio è quindi sovrastato da un nastro in lana color ocra disposto a creare una V rovesciata che probabilmente determina il grado militare. Anche sulle spalle e sul retro della giubba, in prossimità dei fianchi è presente un altro intreccio decorativo a girali. Sulla spalla sinistra si trova una spallina di cordone fermata con un bottone, mentre sulla destra vi è una decorazione realizzata con cordoncino e due nappe in filato metallico argentato e seta rossa.
La situazione conservativa della giubba era, tra le quattro, di certo quella più problematica, molto sporca e impolverata, con gore dovute all'umidità e macchie di ruggine, il panno presentava piccoli fori dovuti all'attacco di tarme e un ampio taglio mal rammendato su una manica. La passamaneria era in pessimo stato, il filato di rivestimento era andato perduto in molte zone lasciando a vista l'anima in fibra vegetale, anche il nastro risultava abraso. Le restauratrici hanno provveduto in primo luogo a un'accurata pulizia e alla rimozione dei vecchi rammendi. Si è proceduto al consolidamento e alla chiusura dei fori presenti (intervenendo in modo differenziato a seconda delle dimensioni) e delle cuciture aperte. Il cordone della passamaneria è stato opportunamente consolidato e integrato con materiali adeguati riproponendone l'aspetto esterno evitando l'invasività che sarebbe derivata da una riproposta dell'originale peraltro impossibile da eseguire.
Notevole infine il recupero dell'imponente poltrona in legno intagliato con parti imbottite e tappezzate della seconda metà dell'Ottocento.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2013 - N.46]

Tessuti, abiti, dipinti in due mostre a Modena e Bologna promosse dall'IBC

Iolanda Silvestrini, Marta Cuoghi Costantini - Istituto Bni Culturali

L'IBC ha promosso di recente due eventi dedicati al tema del tessile e della moda, aperti in due contesti differenti, il Museo Civico d'Arte di Modena e il Museo Civico di Bologna.
L'evento modenese Museum in Fashion/MIF è stato inaugurato a maggio con una sfilata di moda e una mostra aperta fino al 14 luglio 2013. Sfilata e mostra espongono gli esiti finali del progetto europeo Comenius che ha visto lavorare in partnership per due anni consecutivi di formazione sul campo giovani provenienti da quattro istituti professionali superiori d'arte italiani, finlandesi, turchi e rumeni con i Musei del Costume delle quattro diverse

nazionalità: il Museo Civico d'Arte di Modena (Italia), il KH Renlund Museum di Kokkola (Finlandia), il Kent Müzesi di Bursa (Turchia) e il Museum Casa Muresenilor di Brasov (Romania). Gli studenti hanno studiato e copiato i materiali e le tecniche sartoriali di capi storici dei rispettivi musei di appartenenza, e hanno poi creato nuovi outfit ispirati ai modelli antichi e alle tendenze della moda contemporanea. I loro lavori costituiscono la prima sezione della mostra Per un Diagolo Europeo tra Giovani e Moda. Un nucleo di abiti e accessori dei secoli XVIII-XX dei Musei Civici restaurati con i finanziamenti dell'IBC dal laboratorio RT Restauro Tessile di Albinea (RE), compone, invece, la seconda sezione della mostra C'è Moda e Moda... dall'abito aristocratico all'abito "uniforme". Abiti restaurati dei secc. XVIII, XIX, XX delle collezioni museali. Lo studio e il restauro dei materiali individuati per questa seconda sezione su un fondo di ben 250 pezzi sono confluiti in una piccola guida a stampa curata da Lorenzo Lorenzini e Iolanda Silvestri. L'iniziativa modenese tenta di dare sostanza a una proposta innovativa radicata nella contemporaneità, partendo dal passato per poi puntare al futuro e avere come protagonisti, i giovani e la moda, da un lato, l'interculturalità e lo scambio dei saperi, dall'altro. Un modello vincente poiché cerca di dare risposte consone e aggiornate alle istanze della globalizzazione, puntando a due obiettivi di sviluppo: i giovani con le loro aspettative di crescita culturale, economica, sociale e la ricerca applicata all'arte, all'industria e all'artigianato. Una sfida quella modenese che punta a rafforzare la propria riconosciuta leadership nazionale in materia di programmi d'inclusione sociale e di attenzione ai temi interculturali, anche in un ambito specifico d'intervento come quello del fashion. Un obiettivo ambizioso e lungimirante da parte di un'istituzione locale che persegue la migliore offerta culturale e gestionale possibile, per garantire gli standard di qualità museali regionali approvati nel 2003.

Complementare all'evento modenese è la piccola mostra Sete fruscianti, sete dipinte interamente dedicata al tema poco frequentato dei tessuti antichi che i visitatori del Museo Civico Medievale di Bologna potranno visitare fino al prossimo 29 settembre negli spazi del lapidario. La rassegna, curata da Silvia Battistini, Massimo Medica e Marta Cuoghi Costantini, si sviluppa in un breve ma denso percorso di visita dove trovano spazio una selezione di manufatti tessili esemplificativi dell'importante fondo conservato nel museo bolognese, alcuni importanti dipinti di raffronto e una recente acquisizione, un completo maschile da gala della fine del sec. XVIII appartenuto a una nota famiglia bolognese. Un sintetico ed essenziale corredo esplicativo, puntualmente ripreso in una piccola guida a stampa, presenta le opere esposte oltre ai primi importanti risultati di un articolato programma di valorizzazione avviato già da qualche anno proprio sull'inedito fondo tessile. Fasi salienti del progetto di lavoro sono state la catalogazione informatizzata dei tessuti che andrà a implementare il Catalogo del Patrimonio Culturale della Regione Emilia-Romagna e un intervento di manutenzione straordinaria che ha consentito di affrontare la pulitura e la messa in sicurezza della totalità dei manufatti pur salvaguardando il loro ordinamento storico. Il progetto approderà all'allestimento di una nuova sezione espositiva, la Sala Tessuti. Promotore dell'iniziativa oltre al Museo è l'IBC, che ha partecipato sin dall'inizio al progetto di valorizzazione del fondo tessile bolognese con un ragguardevole impegno finanziario e la fattiva collaborazione di diversi funzionari. Quest'ultimo aspetto attribuisce un "valore aggiunto" al lavoro realizzato poiché in tempi di pesanti ristrettezze economiche come l'attuale la fattiva collaborazione fra enti e istituzioni rappresenta forse l'unica via praticabile per condurre in porto iniziative complesse come la valorizzazione e il recupero dei beni museali. La piccola mostra bolognese documenta dunque un'operazione di carattere museografico e un modello di gestione virtuoso.


La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2013 - N.47]

Con questo slogan è partita nel settembre scorso l'avventura dell'IBC sul noto social media 

Beatrice Orsini - Istituto Beni Culturali

Informare e promuovere in modo efficace le varie iniziative organizzate dall'Istituto sul territorio regionale sono i principali obiettivi della pagina Facebook, integrata e supportata dal sito istituzionale www.ibc.regione.emilia-romagna.it.
La principali notizie che escono nella home page del sito e nelle nostra newsletter, si trovano postate nella pagina, con informazioni flash relative all'evento e sempre corredate da un'immagine. Per ulteriori approfondimenti si inserisce il link che rimanda alla pagina istituzionale dell'evento (nel caso di seminari o convegni, sul sito vengono riportate le informazioni necessarie per procedere con le iscrizioni).
Grazie al nostro ampio patrimonio fotografico, implementato in modo costante attraverso la professionalità dei fotografi IBC e la preziosa collaborazione delle istituzioni museali che mettono a nostra disposizione le loro risorse, siamo riusciti a pubblicare sulla nostra pagina molti interessanti album: dalle foto di restauro (il piccolo Crocefisso anatomico del Museo di San Martino in Rio (Re), gli abiti delle mummie di Roccapelago (Mo), le decorazioni e i soffitti lignei della Rocca di San Martino in Rio e ancora il restauro delle decorazioni della loggia della Rocca di Dozza (Bo), a quelle dei musei di qualità (Museo dell'agricoltura e del mondo rurale di San Martino in Rio, le Case degli artisti), al "diario di cantiere" allestito presso la Galleria Ricci Oddi di Piacenza, alle foto scattate nella Bologna sotterranea dei rifugi antiaerei.
Molto ricca è inoltre la sezione dedicata alle foto dei nostri numerosi eventi come le inaugurazioni di mostre o le presentazioni di volumi o ancora i convegni. In questi ultimi giorni il fulcro delle nostre informazioni è il progetto "Io amo i beni culturali", che ha coinvolto ben 270 enti presenti sul territorio regionale con la creazione di 67 progetti di cui 39 per la sezione musei e 28 per la sezione archivi.
Non potevamo inoltre mancare alla Festa degli alberi 2013, manifestazione promossa dal Comune di Bologna, Fondazione Villa Ghigi e Urban Center Bologna. Direttamente dagli scatti di uno dei nostri fotografi si possono apprezzare i particolari della stanza "boschereccia" realizzata da R. Fantuzzi nel 1810 al pianterreno di Palazzo Hercolani a Bologna, in Strada Maggiore n 45 (Facoltà di Scienze Politiche). Una sala dalla pareti curve, interamente dipinta con platani, querce e pini, un immenso giardino le cui fronde si incontrano al centro del soffitto e fanno da sfondo alla copertina del volume di prossima uscita "Verde Maestà. L'albero tra simboli, miti e storie". A questa occasione è legato anche il piccolo concorso no profit dal titolo "L'albero del cuore" per coinvolgere e sensibilizzare il nostro pubblico sull'importante tema della salvaguardia degli alberi: in palio ci sono 5 copie del volume sugli alberi!
Siamo inoltre partiti con rubriche relative ad alcuni progetti come il diario di cantiere relativo al lavoro di monitoraggio presso la Galleria Ricci Oddi di Piacenza, che procede a stretto contatto con il personale della Galleria e la restauratrice, la quale si occupa di monitorare le condizioni di salute dei dipinti presenti in alcune delle sale e riversare i dati nelle schede create appositamente all'interno del Catalogo del Patrimonio IBC.
All'interno della pagina trovano inoltre spazio le numerose iniziative promosse dalla Biblioteca G. Guglielmi. Nel salone d'onore, in una meravigliosa cornice affrescata con scene tratte dall'Eneide, vengono organizzate conferenze su vari temi come "I mestieri della cultura", il racconto del censimento fotografico dei centri storici e delle architetture rurali degli Appennini realizzata da Paolo Monti (1908-1982) fino ad arrivare ai racconti di quando, quelle stesse sale, ospitavano casa Gazzoni immortalate nelle foto del fotografo Massimo Listri.
Recentemente la pagina facebook è stata supportata, per il caricamento dei video, dall'apertura di un canale istituzionale su Youtube, che si prevede di ampliare nel corso del tempo, per rendere maggiormente fruibili i numerosi video prodotti dall'IBC.
Inutile dirlo: seguiteci su Facebook, perché le sorprese non mancheranno!

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2013 - N.48]

Un bilancio positivo del progetto PArSJAd coordinato dall'IBC

Fiamma Lenzi - Istituto Beni Culturali

Giunge in questi giorni alla sua naturale conclusione il progetto di cooperazione transfrontaliera Italia-Slovenia PArSJAd che, attraverso una serie di azioni e iniziative convergenti sulla pianificazione, promozione e valorizzazione condivise della risorsa archeologica presente nell'arco territoriale fra la costa emiliano-romagnola e l'Istria slovena, intendeva porre le basi per la costituzione di un Parco Archeologico dell'Alto Adriatico, uno spazio geografico caratterizzato da una diffusa molteplicità di elementi culturali e ambientali comuni, ma mai sinora oggetto di un'analisi congiunta.
È dunque tempo per un primo bilancio, filtrato - in considerazione della sede che ci ospita - in prospettiva tutta ravennate, a cominciare da quanto è stato realizzato da due partner: il Comune di Bagnara e quello di Russi. L'impegno del primo si è indirizzato all'implementazione di una piattaforma web multimediale (http://www.bagnaraturismoalcastello.it/), di supporto alle postazioni informatiche attive presso il Museo del Castello e ai totem touch screen distribuiti sul territorio, che mette a disposizione un ricco corredo informativo sulla storia e le locali evidenze culturali, integrato con una visita virtuale della Rocca Sforzesca e del museo stesso. A Russi l'attenzione operativa si è concentrata sulla cosiddetta "realtà aumentata", con l'approntamento di un'app per dispositivi mobili che accompagna i visitatori lungo un itinerario di congiunzione fra le principali realtà culturali del luogo: la villa romana, il Museo civico e il Palazzo S. Giacomo.
A corollario della consolidata attività di catalogazione del patrimonio archeologico nelle sue varie declinazione, l'IBC ha invece messo in programma diversi altri output. La conservazione e la trasformazione delle risorse alimentari, dalla preistoria alla modernità, è il soggetto di un DVD multimediale (http://online.ibc.regione.emilia-romagna.it/static/amphora/index.html), che collega fra loro, musei, aree archeologiche, centri urbani e complessi storici ove si custodiscono reperti e testimonianze di ogni epoca attinenti a questo tema. L'offerta di approcci tematici diversi (i luoghi, le tecniche, l'acqua, le ricette, i giochi e le curiosità) e le proposte di approfondimento consentono all'utente di personalizzare il proprio percorso e di scoprire le singole realtà grazie a brevi testi esplicativi, foto, piante, sezioni e, in alcuni casi, filmati e piccole rielaborazioni 3D.
Grazie alle opportunità offerte dall'ICT e dalla realtà virtuale alla ricerca e alla valorizzazione del patrimonio archeologico l'IBC e il team congiunto del DiSCi - Dipartimento di Storie, Culture, Civiltà, Sezione di Archeologia dell'Ateneo bolognese e del CINECA hanno poi predisposto una specifica applicazione per accedere in modo semplice e attrattivo a informazioni georeferenziate "navigando" un territorio definito e visualizzando i dati nella loro distribuzione e correlazione spaziale e geofisica. Si è cercato inoltre di sviluppare la possibilità di una navigazione e di una consultazione dei dati con accesso attraverso modelli tridimensionali standardizzati o costruiti ad hoc come il modello virtuale navigabile della villa romana di Russi (http://3d-test.cineca.it/files/PARSJAD/public/applications/PARSJAD/).
Chiude la rassegna "Per antiche vie. Guida al Parco Archeologico dell'Alto Adriatico", baedeker bilingue ove, mirando al superamento delle moderne barriere geo-politiche, si svela e divulga senza artificiose frammentazioni la ricchezza complessiva della risorsa archeologica racchiusa nel quadrante areale del progetto. Vi si ripropongono in chiave itineraria undici antichi tracciati, consolidatisi in età romana, che possono considerarsi una testimonianza fra le più eloquenti dei rapporti allacciati nei secoli dalle due sponde dell'Adriatico (http://online.ibc.regione.emilia-romagna.it/I/libri/pdf/Per_antiche_vie.pdf). Lungo le direttrici disegnate ora dalla via Popilia, dalla tappa di Cervia sino al caput viae di Adria, ora dal tragitto per Padum alla volta di Ravenna e, infine, dalla via Faentina attraverso la valle del Lamone sfilano luoghi archeologici, musei, siti puntiformi, monumenti e aree di elevato interesse paesaggistico e ambientale, quali pregnanti capisaldi dell'avvicendarsi di epoche e civiltà entro lo spazio fisico e geografico che ne è stato il fondamentale scenario.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2014 - N.49]

Dal 4 ottobre a Ravenna una mostra sulle radici culturali dell'Europa

Maria Pia Guermandi - Istituto Beni Culturali

Anno cruciale questo 2014 per l'Europa: oltre alla scadenza elettorale dagli esiti problematici e che ha formato gli organismi politici dell'Unione su basi completamente nuove, sul piano, apparentemente più tranquillo, della ricerca storica, questo è anche l'anno di un anniversario di particolare rilievo: il 28 gennaio 814 moriva Carlo Magno.
Da molti considerato come uno degli antesignani dell'unità europea, perché artefice di quel Sacro Romano Impero che si poneva in ideale continuità con l'impero romano, in realtà la sua costruzione politica fu da subito incrinata da divisioni che si prolungarono nei secoli, sul piano politico e religioso.
Milleduecento anni dopo, un progetto europeo - CEC, Cradles of european culture, finanziato dalla comunità europea nell'ambito del programma Culture - e una serie di eventi cercano di raccontare la storia dell'eredità di quell'impero, a partire dall'epoca immediatamente successiva, quella degli imperatori Ottoni fino al secondo dopoguerra e al crollo del Muro di Berlino.
L'IBC, come unico partner italiano del progetto, è fra i curatori della mostra internazionale che ha coinvolto 10 partners europei, ed è stata inaugurata l'8 maggio scorso a Ename, alla presenza del presidente del Consiglio d'Europa, Herman van Rompuy.
Dopo secoli di lotte sanguinosissime, derivate anche da abusi nefasti della storia, dalle ceneri della tragedia bellica rinasce il sogno di un'Europa unita, ispirato al motto unity in diversity. In realtà, fra le molte radici vere e presunte dell'unità europea, l'unica che abbia una reale continuità storica è quella culturale.
È il patrimonio culturale che costituisce il fil rouge che lega le vicende della storia europea. Ed è su quel patrimonio che si concentra sia la ricerca del team IBC a Ename, che l'edizione italiana della mostra, che avrà carattere didattico e sarà ospitata a Ravenna dal 4 ottobre prossimo. Imperiituro - allestita in collaborazione con il Comune di Ravenna e la Fondazione RavennAntica - avrà per tema la Renovatio Imperii, cioè la trasmissione dell'idea imperiale che dall'antichità si prolunga fino all'Europa di Carlo Magno e degli Ottoni e arriva ai giorni nostri, attraverso il patrimonio culturale di Ravenna che è una vera cerniera nel tempo (dall'Antichità al Medioevo) e nello spazio (da Roma e Bisanzio verso l'Europa continentale).
Ospitata nelle due sedi del museo TAMO e della Biblioteca Classense, la mostra si articola in diverse sezioni: Carlo Magno e l'Italia, Gli Ottoni, Ravenna e l'Italia, Il ruolo della tradizione classica e la circolazione dei modelli in epoca ottoniana a TAMO, dove sarà illustrato il ruolo di Ravenna come punto di riferimento culturale per Carlo Magno nella sua impresa di trasformare Aquisgrana nella Roma secunda e poi per gli Ottoni, come dimostra il sito archeologico di San Severo a Classe. Grazie a Carlo Magno e agli imperatori della dinastia ottoniana, Roma riacquistò un ruolo centrale nella politica e nell'immaginario europei, anche attraverso la mediazione di Ravenna.
Alla Biblioteca Classense, invece, attorniati dalle immagini dei rappresentanti imperiali di età ottoniana, arrivate a noi attraverso grandi esempi di miniatura provenienti dalle Biblioteche d'Europa, si espongono nell'Aula Magna dell'antico monastero camaldolese importanti e vetusti documenti della politica degli Ottoni a Ravenna, in collaborazione con i ravennati Archivio di Stato, Archivio storico comunale e Archivio arcivescovile. E assieme, esemplari classensi delle prime testimonianze della storiografia ravennate e le immagini della città e dei suoi monumenti nell'opera di Vincenzo Coronelli, testimoniano di un'idea dell'antica Ravenna, sopravvissuta nella memoria collettiva fino ad oggi.
Per avvicinare i giovani ai temi del progetto, è stata organizzata una sezione della mostra, Disegnare il Medioevo che, lungo il Corridoio Grande della Classense, esporrà i lavori di alcuni illustratori realizzati per l'occasione e ispirati al periodo storico di cui si occupa Imperiituro. Inoltre l'IBC, attraverso una sezione speciale del proprio concorso "Io amo i beni culturali", ha finanziato due progetti elaborati da scuole medie assieme ad istituzioni culturali del territorio ravennate i cui risultati saranno illustrati in mostra, a TAMO.
Imperiituro, che chiuderà il 6 gennaio 2015, sarà accompagnata da una serie di eventi, fra cui un ciclo di conferenze, mirato a esplorare l'importanza del patrimonio culturale nella costruzione dell'idea europea, non solo dal punto di vista storico, ma da quello civile: un'Europa dei popoli e non delle nazioni.
Info: www.imperiituro.eu


La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2014 - N.50]

Le artiste Silvia Camporesi e Valentina D'accardi sono le protagoniste del progetto "Vie di dialogo/4"

Claudia Collina - Istituto Beni Culturali

Una collaborazione tra istituzioni pubbliche per la conoscenza, la valorizzazione e la fruizione del patrimonio artistico della contemporaneità presente sul territorio regionale, al fine di sostenere sempre più l'integrazione nella società della pluralità di espressioni artistiche odierne, con un'offerta culturale scientificamente qualificata e un incremento delle collezioni d'arte contemporanea sul territorio regionale, ma soprattutto "un singolare osservatorio, che non intende sancire graduatorie di valore, semmai analizzare alcuni casi emblematici del panorama artistico, per acquisire e affinare gli strumenti della conoscenza per comprendere gli orizzonti della cultura in continua trasformazione" (A. Varni, 2014).
A cadenza biennale il progetto "Vie di dialogo" prevede il confronto espositivo, ma non solo, di due artisti che sappiano dialogare insieme attraverso il loro lavoro, parallelo e tangente, durante il processo di creazione della mostra e del catalogo, liberando nuove energie scaturite dalla reciproca collaborazione artistica; affinché "il dialogo dell'arte può così divenire anche il dialogo delle istituzioni, la 'via' di un'operosa ed intelligente collaborazione" (E. Raimondi, 2006).
La scelta degli artisti chiamati a rappresentare il panorama artistico del territorio è affidata a un comitato scientifico interistituzionale composto da Laura Carlini Fanfogna, Claudia Collina, Massimo Pulini, Davide Benati, Marco Pierini e Claudio Spadoni; la rassegna è stata inaugurata con Pinuccia Bernardoni e Antonio Violetta nel 2006 ed è stata sempre curata da chi scrive affiancata, di volta in volta, da Spadoni e Pulini, per poi proseguire con Debora Romei ed Erich Turroni, Ketty Tagliatti e Graziano Spinosi, sino ad approdare all'edizione attuale con Silvia Camporesi e Valentina D'Accardi, presso l'Ala Nuova del Museo della Città di Rimini, nell'ambito della mostra Rimini foto d'autunno e in rete con il Sì fest Savignano immagini festival 2014.
Con temi coincidenti e tecniche e poetiche differenti, entrambe le artiste lavorano su quello che Roland Barthes ha definito "spectrum", quel soggetto che la fotografia immortala e che, in questo caso, è l'enigma del tempo presente, tra passato e futuro; e, con procedimenti diversi e interventi tecnici manuali posteriori alla stampa, esse mirano alla restituzione dell'aura dell'opera, 'persa' "nell'epoca della sua riproducibilità tecnica" (W. Benjamin, 1936). Camporesi realizza fotografie in bianco e nero che acquerella successivamente a matita rivitalizzando la rovina fotografata attraverso effetti surreali e sospesi; anche D'Accardi lavora in bianco e nero, intervenendo sul procedimento di stampa con risultati pittorialisti che ricordano i lavori di Julia Margaret Cameron.
Silvia Camporesi mette in scena la natura, i luoghi e gli oggetti che la abitano in paesaggi fotografici in cui la tonalità spirituale, lo simmeliano Stimmung, riflette la drammatica malinconia di abbandono, rovine, fatiscenza e solitudine, contenuta nelle sue visioni, chiare registrazioni analitiche e archivistiche dei soggetti, che vanno a comporre la narrazione del volume compendiario (tuttora in fieri) dei luoghi abbandonati del Belpaese Atlas Italiae, di cui i lavori in mostra, raccolti nella Suite Emilia-Romagna, sono solo una parte; e in cui convivono, in straordinario e armonico equilibrio, gli aspetti estremi preromantici e concettuali-oggettuali dell'età contemporanea.
Valentina D'Accardi, presentata da Massimo Pulini, racconta con l'obiettivo "favole crepuscolari", in una narrazione ove "senso e sentimento sono presi di petto, quasi con uno spirito di immolazione, in questo lavoro che riesce a scandagliare non solo una memoria individuale e ancestrale, ma anche le origini della stessa lingua fotografica [...] Valentina intende costruire i propri ricordi nei luoghi e nell'attitudine ancor prima che nella macchina, scegliendo i più adatti teatri dell'anima e preparandosi ad entrarvi come ad un appuntamento amoroso, se non col destino", incuneando la sua storia quotidiana in quell'attimo di tempo presente, sospeso tra passato e futuro, che trova le sue radici nella poetica modernista ed esistenzialista eliotiana.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2014 - N.51]

Verso un sistema museale regionale integrato: luci e ombre del recente riassetto del MiBACT

Maria Pia Guermandi - Istituto Beni Culturali

Il punto di forza dell'ultima riorganizzazione della macchina ministeriale, sia da un punto di vista mediatico, che di impatto sulla struttura del sistema di tutela, è senz'altro l'ambito museale. Nel tentativo di colmare un ritardo ormai secolare rispetto alle più avanzate realtà europee, il DPCM n. 171/2014 esprime i propri elementi di innovazione quasi esclusivamente sulla ridefinizione del comparto dei musei statali, fino a questo momento istituzioni prive di autonoma consistenza giuridica, ma semplici uffici incardinati nelle Soprin-tendenze territoriali, fatti salvi i quattro poli museali di Firenze, Roma, Venezia e Napoli.
Tentativo più che necessario che supera, meritoriamente, l'ormai stanco ritornello del legame fra museo e territorio, dogma sul quale si è mantenuto nei decenni l'attuale assetto. Concedere a istituzioni complesse come quelle museali un'autonomia gestionale e scientifica non significa - non deve significare - affatto una scissione di quel continuum che caratterizza il nostro patrimonio culturale, sinergia che potrà essere garantita da forme di coordinamento del tutto naturali all'interno di una stessa amministrazione, vale a dire, appunto, il MiBACT.
Ugualmente positivo, seppur determinato più da considerazioni economiche che altro, può essere considerato anche il doppio binario che governerà il sistema museale nel suo complesso: da una parte una ventina di musei autonomi, scelti - con qualche evidente svarione - per la loro importanza culturale a carattere nazionale o internazionale, dall'altra i poli museali che riuniranno, regione per regione, i musei statali non dotati di autonomia, chiamati a costituire un sistema territoriale omogeneo, almeno per quanto riguarda la gestione.
Qui però finiscono gli a-spetti positivi della "riforma", perchè se l'obiettivo di fondo è condivisibile, gli strumenti messi in campo per realizzarlo appaiono insufficienti, poco coerenti e talora contraddittori.
In primo luogo, la riforma sconta il vizio d'origine di essere incardinata - e fortemente limitata nella sua portata com-plessiva - in un provvedimento di spending review: genesi che la inquadra nel fin troppo lungo elenco delle riforme a costo zero di dubitabile efficacia. La mancanza di risorse ha quindi ridotto in partenza la portata del cambiamento, ma non è la sola evidente lacuna e forse neanche la peggiore.
Per quanto riguarda i musei autonomi - suddivisi al loro interno, prevalentemente sulla base di ragioni economiche, in serie "a" e serie "b" - l'aspetto più evidente è la sottolineatura della figura del Direttore, investita di un ruolo quasi taumaturgico, come è risultato chiaro fin dal lancio mediatico del provvedimento. Scelti sulla base di un concorso internazionale ora in svolgimento, i Direttori dovrebbero essere gli artefici principali di una rivo-luzione a 360 gradi e innalzare finalmente alcune delle nostre glorie nazionali, dagli Uffizi alle Gallerie dell'Accademia, da Paestum all'Archeologico di Taranto, agli standard dei principali musei europei e internazionali. La situazione, davvero lamentevole, di alcuni fra loro, renderebbe questa ri-voluzione urgente e indispen-sabile, ma è assai improbabile che la sola figura dirigenziale - l'uomo solo al comando - possa operare "miracoli", in presenza di un quadro di risorse ingessato e poco chiaro sotto il profilo della disponibilità economica e della gestione del personale. Sotto questo aspetto si è ripetuto uno degli errori che compromisero in partenza l'esperimento dell'autonomia, avviato nell'area archeologica di Pompei nel 1997, quando si mantenne la gestione del personale in capo al Ministero centrale, sottraendo una leva fondamentale per il rilancio del sito.
La scarsa risposta di studio-si stranieri al bando - 80 su 1200 domande - è una prima conferma delle incertezze che presenta tuttora il quadro normativo, elaborato forse con eccessiva fretta e tuttora bisognoso di decisivi aggiustamenti.
Per quanto riguarda i Poli museali regionali, se anche in questo caso ci troviamo in presenza di incongruenze nei rapporti con le Soprintendenze di settore e la definizione di reciproci ruoli e competenze, l'elemento di più evidente ne-gatività è costituito dal marcato 'centripetismo' che traspare dalla lettera del provvedimento. L'auspicata promozione di un "sistema museale regionale integrato" (art. 34, c. 2b) appare fortemente condizionata dall'iniziativa del Direttore del polo statale che viene a essere il motore principale di una sorta di processo di aggregazio-ne progressivo. Non si tratta di rivendicare - in un rigurgito di federalismo - una "parità di grado" per i musei che fanno capo agli enti locali, ma semplicemente di prendere atto che la realtà museale dei no-stri territori è assai articolata e complessa. A partire dai dati numerici: il rapporto fra musei statali e altri musei è di 1:10 su base nazionale e se alcune istituzioni locali sono di modesto rilievo, in molte realtà territoriali sono stati attivati, in questi anni, sistemi museali e processi di adeguamento a standard di servizio di livello avanzato. Il superamento, sempre più necessario e auspicabile, della separazione fra appartenenze giuridiche diverse, musei statali e musei di enti locali, ai fini di una loro migliore fruizione, non può essere visto come un'operazione originata dall'impulso primario di un 'centro' statale, così come sembra trasparire dal Decreto, ma deve scaturire da un processo ben più aperto e condiviso, oltre che fondato su un'analisi delle diverse realtà territoriali.
In queste non risolte pulsioni verso l'aspirazione, per certi versi provinciale, all'eccellenza internazionale e, sull'altro versante, a un centralismo velleitario e piuttosto anacroni-stico, si nascondono i limiti più evidenti della riforma che solo un più allargato e meditato processo di elaborazione potrà correggere.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2015 - N.52]

Un inedito viaggio in rete (e non solo) tra i musei e le collezioni musicali dell'Emilia-Romagna

Isabella Fabbri, Micaela Guarino - Istituto beni Culturali

Il patrimonio musicale conservato nei musei dell'Emilia-Romagna è ricco e diffuso e per qualità e varietà è in grado di illustrare in modo esemplare la storia musicale della regione.
La musica in Emilia-Romagna ha sempre giocato un ruolo importante. Pensiamo ad avvenimenti come l'ideazione della moderna notazione musicale da parte del monaco benedettino Guido d'Arezzo vissuto nell'abbazia di Pomposa; al protagonismo culturale di corti come quella estense; alla nascita della storiografia musicale con padre Giovan Battista Martini; al ruolo sociale e culturale svolto dai numerosi edifici teatrali eretti in città grandi e piccole.
Nella nostra regione sono nati compositori come Arcangelo Corelli, Girolamo Frescobaldi, Giuseppe Verdi, Ottorino Respighi e tanti protagonisti della vita musicale: da Luigi Illica ad Arturo Toscanini, da Luciano Pavarotti a Mirella Freni.
Anche per questo, fin dall'inizio degli anni Novanta, l'Istituto Beni Culturali ha avviato e realizzato progetti di valorizzazione centrati sulla musica e sul patrimonio musicale. Il progetto Un Sistema Armonico /Comunicare i musei e le collezioni musicali è nato nell'anno delle celebrazioni verdiane e collega in rete per la prima volta, in un portale dedicato, oltre 40 tra musei e collezioni musicali regionali, fornendo informazioni, immagini, video-interventi, file audio di ascolto, collegamenti alla banca dati IBC. Il portale è consultabile all'indirizzo www.ibcmultimedia.it.
Per rendere la navigazione chiara ed esauriente sono stati individuati alcuni percorsi che mettono in relazione musei e collezioni con la storia musicale dell'Emilia-Romagna e che riguardano: i protagonisti della musica, da padre Martini a Verdi, Rossini, Toscanini; i musei e i luoghi musicali; gli strumenti musicali compresi quelli meccanici; la tradizione della liuteria; la musica popolare; la riproduzione del suono e la sua diffusione di massa.
Per quanto riguarda la provincia di Ravenna, i musei coinvolti sono il Museo Pietro Mascagni di Bagnara di Romagna e il Museo Civico di Castel Bolognese. Il primo è ospitato nella canonica della Chiesa Arcipretale di Bagnara e conserva una ingente raccolta di cimeli e documenti donati alla parrocchia da Anna Lolli, per molti anni musa e compagna del compositore e direttore d'orchestra. Il secondo ospita gli oggetti e gli attrezzi della Bottega del liutaio Nicola Utili "disseminati" peraltro anche in alcuni spazi del Municipio. Nicola Utili (Castel Bolognese 1888-1962) è stato un artigiano-artista molto conosciuto, creatore di violini e altri strumenti a corde particolarmente originali, sperimentatore curioso di nuovi materiali, forme inedite e vernici dalle formule misteriose. Molti dei suoi strumenti fanno parte ormai di importanti collezioni.
Nei percorsi suggeriti da Un Sistema Armonico è stata poi inserita anche la città di Lugo che, tra le sue molte peculiarità, ha anche quella di avere ospitato Gioachino Rossini e la sua famiglia. La mappa dei luoghi rossiniani a Lugo comprende le due case di famiglia (quella del nonno in via Giacomo Rocca 14 e quella in cui Rossini ragazzo ha vissuto con la madre e il padre in via Manfredi 25); la Chiesa del Carmine che conserva l'organo sul quale Gioachino si esercitava, seguendo l'insegnamento dei fratelli canonici Giuseppe e Luigi Malerbi; la residenza municipale presso la Rocca Estense che conserva nel cosiddetto "Salotto Rossini" documenti e dipinti, senza dimenticare il teatro cittadino intitolato ovviamente al compositore pesarese e la Biblioteca Comunale Trisi che conserva alcuni manoscritti rossiniani.
Tornando a Un Sistema Armonico, dobbiamo precisare che non si tratta di un progetto esclusivamente virtuale. Nel weekend 6-8 dicembre 2014 l'IBC ha organizzato la prima edizione di Un Sistema Armonico Live, fine settimana di eventi dedicati alla musica a ingresso libero: concerti, conferenze, lezioni, laboratori, animazioni, spettacoli teatrali, visite guidate. L'evento, realizzato in collaborazione con i Comuni e le istituzioni culturali del territorio, ha coinvolto 19 musei regionali e ha avuto ottimi esiti tanto che si pensa di riproporlo anche nel 2015. È stata inoltre realizzata una mostra fotografica che raccoglie una selezione di 60 immagini tratte dalla campagna fotografica realizzata dall'IBC nei musei e sulle collezioni musicali regionali. Il catalogo è distribuito gratuitamente a musei, biblioteche e istituzioni culturali.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2015 - N.53]

Le regioni Emilia-Romagna e Puglia a confronto per il riconoscimento di musei di qualità

Laura Carlini Fanfogna, Paola Di Marzo, Francesca Fabbri, Giulia Pretto - Istituto Beni Culturali

Tra la Regione Emilia-Romagna e la Regione Puglia è nato un gemellaggio per trasferire conoscenze e buone pratiche in materia di standard museali. Questo pregetto, denominato PU-ER, ha fornito degli strumenti condivisi di lavoro tra le due Regioni, attraverso workshop, visite e giornate di presentazione con i direttori dei musei emiliano-romagnoli e pugliesi, che hanno permesso di creare un tavolo di lavoro efficace per trasferire metodologie, conoscenze, sistemi innovativi e, in generale, esperienze.
PU-ER è la prima iniziativa di questo tipo in Italia, interamente finanziata da risorse comunitarie nell'ambito di AGIRE POR, strumento attuativo del Programma Operativo nazionale PON Governance e Assistenza Tecnica 2007-2013, cofinanziato dal Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR).
L'obiettivo generale del gemellaggio parte dal trasferimento delle modalità attraverso le quali la Regione Emilia-Romagna, in particolare l'Istituto Beni Culturali, ha attuato, a livello regionale, il processo di riconoscimento dei musei di qualità.
Le amministrazioni coinvolte (nazionali e regionali) hanno iniziato un percorso condiviso di riflessione e di crescita per essere al passo con la strategia Europa 2020 e con la prossima programmazione dei Fondi Strutturali Europei, per favorire l'investimento in cultura, intesa quale strumento di sviluppo locale e regionale, di inclusione sociale, di rigenerazione urbana, di sviluppo rurale e occupazionale, di promozione della creatività e di nuovi processi innovativi.
Durante i vari incontri, in Emilia-Romagna e in Puglia, si sono alternate giornate di workshop e di confronto sull'avanzamento dei lavori, a visite di studio nei musei delle due regioni: il Museo di Palazzo Pio di Carpi, il Museo della Bilancia di Campogalliano, i Musei Civici di Modena e il MamBo di Bologna, per quanto riguarda l'Emilia- Romagna; in Puglia sono stati coinvolti la Galleria Nazionale della Puglia "Girolamo e Rosaria De Vanna" - Palazzo Sylos Calò di Bitonto, la Pinacoteca "Giuseppe De Nittis" - Palazzo della Marra di Barletta, il Museo Civico di Foggia, il rinnovato Complesso di Santa Scolastica di Bari, (in parte ancora in fase di allestimento), la Pinacoteca di Bari "Corrado Giaquinto", situata nel Palazzo della Provincia, il Museo "F. Ribezzo" di Brindisi, il Museo "Sigismondo Castromediano" di Lecce, il Museo Fondazione Pino Pascali di Polignano a Mare.
Alle giornate di presentazione hanno preso parte numerosi funzionari e direttori dei musei pugliesi, che hanno così avuto occasione di conoscere i criteri qualitativi che la Regione Puglia intende adottare per prendere coscienza del proprio sistema museale.
L'ultima giornata, il 20 ottobre scorso a Bari, ha presentato i risultati raggiunti dal progetto: la definizione dei criteri di riconoscimento di qualità, che saranno poi adottati dalla Regione Puglia, e gli esiti del test somministrato ad alcuni musei "pilota" per valutare l'efficacia del questionario di autovalutazione che si adotterà.
Il progetto PU-ER è stato occasione di analisi, approfondimento, scoperta e conoscenza reciproca sia tra gli operatori della stessa regione Puglia, che tra due realtà molto diverse tra loro come l'Emilia-Romagna e la Puglia. Proficuo e arricchente è stato il confronto tra i due gruppi di lavoro: non semplici conferenze, ma un reale tavolo di lavoro che ha consentito alla Puglia di poter esplorare il "modello Emilia Romagna" e, nello stesso tempo, poterne elaborare uno proprio. L'IBC ha messo a disposizione il gruppo di esperti che da anni, ormai, lavora sugli standard di qualità, ognuno ha raccontato e spiegato l'iter seguito per ogni ambito. Ci si è accorti che la fase più complessa, oltre a stilare i criteri minimi di qualità, è stata quella di doverli poi trasmettere, far comprendere e intraprendere da ogni museo per migliorare il sistema museale regionale nel suo complesso.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2015 - N.54]

Il 9 e 10 aprile trentotto teatri storici emiliano-romagnoli accolgono il pubblico con eventi ad hoc

Lidia Bortolotti - Istituto Beni Culturali

A scena aperta è un progetto che riprende quanto già promosso dall'IBC con I luoghi del Belcanto nel 2012 e 2013, con l'intento di promuovere conoscenza e valorizzazione di questi pregevoli contenitori capillarmente diffusi sul territorio regionale. L'adesione dei teatri è elevata e di spessore, ai maggiori teatri del territorio si affiancano quelli 'minori' con attività e proposte eterogenee. Se la musica è indiscussa protagonista, non manca la possibilità, attraverso specifiche visite guidate, di osservare da diverse angolature questi spazi così particolari, le sale teatrali e i palcoscenici, ma anche gli spazi adiacenti, foyer e ridotto, destinati a quella socialità che il teatro induce naturalmente, richiamando l'attenzione del pubblico verso quella straordinaria 'macchina' che è la sala teatrale.
Obiettivo dell'IBC è stato quello di avere da parte dei teatri un'adesione il più possibile ampia, escludendo per ovvie ragioni solo quelli resi inagibili dal terremoto del 2012 ma sollecitando l'apertura di quelli in attesa di restauro o parzialmente recuperati, nell'ottica di un'attenzione che deve mantenersi alta. I teatri invitati sono stati lasciati liberi di proporre iniziative di loro interesse, chiedendo loro di garantire almeno un giorno di apertura al pubblico del teatro nel week end stabilito, proponendo visite, intrattenimenti musicali, di prosa o di danza e, avendone la possibilità, coordinandosi con le locali scuole di musica, recitazione, danza per allestire spettacoli, concerti ecc. a ingresso libero gratuito. Inoltre è stato suggerito di considerare i significativi anniversari che ricorrono nel 2016. Nel 1516 Ludovico Ariosto, uno dei massimi poeti della letteratura italiana, considerato tra i più celebri e influenti del suo tempo, pubblica la prima edizione dell'Orlando Furioso che rappresenta una potente rottura con i canoni del tempo (l'edizione definitiva arriverà nel 1532). Ricorrono inoltre i cinquecento anni dalla morte di William Shakespeare e Miguel de Cervantes. Se sul primo non v'è nulla da aggiungere, di Cervantes vanno ricordate le innumerevoli trasposizioni sceniche, musicali e cinematografiche del Don Chisciotte. Con musica, rappresentazioni, letture scelte ecc. attuate nell'ottica di queste commemorazioni si contraddistingue l'offerta di alcuni teatri che hanno aderito all'evento.
Corposa la presenza romagnola, ne segnalo alcuni in particolare. Per il 9 aprile è proposto un itinerario che parte dal Teatro 'Il Cassero' di Castel S. Pietro Terme che in mattinata propone Il coraggio vien mangiando, a tavola con Don Chisciotte, un adattamento sul testo di Cervantes realizzato dagli studenti dell'Istituto Alberghiero Scappi con il Gruppo Teatrale Bottega del Buonumore, in particolare con l'attore e regista Davide Dalfiume. Alle ore 12 apre i battenti a Lugo il Teatro Comunale Rossini con visita guidata gratuita al teatro e al palcoscenico. Seguendo la direttrice della San Vitale nel pomeriggio gli operatori dell'Ufficio Turismo di Bagnacavallo accompagnano i visitatori alla scoperta dei segreti dello splendido Teatro Comunale Goldoni, definito per le sue peculiarità La piccola Scala. Il Comunale di Russi si apre con un'introduzione alle curiosità del teatro e alla sua storia per proseguire con lo spettacolo di danza A proposito di Shakespeare, una pièce composta da tre movimenti ispirati a Giulietta e Romeo, Sogno di una notte di mezza estate, La tempesta eseguiti dagli allievi della scuola Idea Danza diretta da Patrizia Abbate. Questo ideale viaggio si conclude alle ore 21 al Comunale di Cervia con i saggi musicali degli allievi della locale Scuola Comunale di Musica Rossini dell'anno 2015-2016: una trentina di ragazzi dagli 8 ai 14 anni eseguono musiche di Andersen, Donizetti, Kabalevsky e Mozart per pianoforte, flauto, percussioni e batteria. Alle visite guidate è aperto anche l'Alighieri di Ravenna nella giornata di sabato, mentre alla domenica è possibile assistere al Macbeth di Verdi. Domenica si può inoltre visitare, guidati da Gian Luca Zoli del FAI di Faenza, il Teatro Pedrini di Brisighella, da tempo chiuso e in attesa di restauro, mentre a seguire nel foyer del teatro si tiene il concerto della Scuola di Musica A. Masironi di Brisighella.
Per info sul programma completo: http://ibc.regione.emilia-romagna.it

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2016 - N.55]

L'IBC è partner del progetto europeo che attraverso l'azione di "artigiani digitali" colloca a pieno titolo i musei del XXI secolo nell'era digitale

Margherita Sani

I musei sono oggi molto più che luoghi dove si espongono oggetti che testimoniano la storia e il passato - a volte molto recente - di un una comunità, di un luogo, di un paese, di una civiltà. Sono luoghi dove si fa ricerca, si trasmettono conoscenze, dove si impara, a volte non solo fatti e nozioni, ma anche modi di essere, di relazionarsi con gli altri, dove ci si ritrova con altre persone e si condividono idee, interessi o semplicemente si socializza.
Se pensiamo che nel 1852, quando aprì le sue porte al pubblico, il Victoria and Albert Museum di Londra - che allora si chiamava National Museum of Art and Design - dichiarava che la propria ragion d'essere era di mettere a disposizione le collezioni per essere di ispirazione a designer e artigiani, capiamo come fin dalle origini alcuni musei in particolare si siano dati come obiettivo, oltre allo studio, alla conservazione e alla educazione, anche l'essere di stimolo alla creatività dei contemporanei.
Ma cosa significa questo oggi? Che cosa vuole dire per un museo del ventunesimo secolo stimolare la creatività? A qual pubblico si deve fare riferimento? E cosa sottende l'uso sempre più frequente della locuzione "industrie creative" o il nuovo nome che ha assunto uno dei principali programmi di finanziamento europei che da "Cultura" è diventato "Creative Europe"? Quasi a dire che il patrimonio storicizzato vale o vale ancora di più solo se riesce ad innescare processi che sfociano nella realizzazione di prodotti da immettere sul mercato facendo largo uso delle tecniche e tecnologie contemporanee, multimedia e digitale innanzitutto.
Il progetto europeo "Creative Museum", di cui l'Istituto Beni Culturali è partner, ha dato una propria interpretazione di queste tematiche scegliendo di rivolgersi a un target ben preciso con il quale allacciare rapporti e intensificare relazioni, quello dei cosiddetti "artigiani digitali", dei makers, vale a dire inventori, ingegneri, artisti, studenti e in generale appassionati di tecnologia, che negli ultimi anni hanno dato vita a un movimento culturale che potrebbe descriversi come l'estensione su base tecnologica del mondo del bricolage. I makers sono infatti una comunità internazionale presente in oltre 100 paesi che condivide informazioni e conoscenze via web, servendosi di software e hardware open source, usando frese e stampanti 3D all'interno di Fab Lab per dare vita a oggetti nuovi e originali.
Creative Museum è nato come progetto di formazione rivolto agli operatori museali per sostenere e assecondare un cambiamento di paradigma che intende i musei contemporanei sempre più come luoghi dove si incontrano culture e competenze diverse, dove si sperimentano soluzioni e si creano prototipi in una logica partecipativa e di coinvolgimento del pubblico, come luoghi dinamici di apprendimento, dove personale e visitatori possono usare gli strumenti digitali per interpretare ed esplorare le collezioni in modo nuovo e creativo. Ha perciò dato vita in primo luogo a una ricerca sulle pratiche creative in senso lato (digitali e non) nei musei europei, in particolare nei paesi partner del progetto: Croazia, Francia, Finlandia, Irlanda, Italia, Norvegia, Regno Unito . A partire da qui ha organizzato e continuerà a organizzare fino alla conclusione del progetto nell'agosto 2017, momenti informativi e formativi, tra cui la conferenza internazionale tenutasi a Bologna nell'ottobre 2015 . Tra le iniziative di maggior rilievo, la partecipazione di professionisti museali a Museomix (Nizza 2015 e Tolosa 2016), vissuta come esperienza formativa per reinterpretare e re-mixare le collezioni e l'organizzazione di vere e proprie residenze di makers, "Makers in Residence", all'interno delle quali creativi digitali vengono ospitati dagli istituti partner del progetto per alcune settimane.
Creative Museum si definisce esso stesso un progetto sperimentale, il cui obiettivo in ultima analisi è studiare e diffondere modalità nuove, creative e partecipative, che il museo può adottare per collocarsi a pieno titolo nell'era digitale.
www.creative-museum.eu

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2016 - N.56]

Una giornata di confronto con operatori culturali e amministratori locali sulle azioni comuni volte al miglioramento dei musei

Simona Parisini - Istituto Beni Culturali

"IBC per il Sistema dei Musei della Regione Emilia-Romagna" è il titolo dell'incontro organizzato il 2 dicembre presso l'Auditorium della Regione. Parole che indicano una strategia, quella logica di "sistema" che da 40 anni l'Istituto persegue attraverso azioni di consulenza e servizio nel settore dei beni culturali regionali, a favore degli enti locali, per mantenere e rafforzare una rete di relazioni, in cui condividere linee programmatiche, effettuare indagini e promuovere strumenti per lo sviluppo e il miglioramento della fruizione del patrimonio.
Nell'ambito della programmazione prevista dalla L.R. 18/2000, il piano varato dalla Regione per sostenere le istituzioni culturali emiliano-romagnole rappresenta una delle principali novità che in questi mesi hanno riguardato in modo incisivo il sistema dei musei. Le stesse modalità attuative sono state ridisegnate e portate in capo all'IBC, di fatto semplificando il quadro precedente che vedeva anche la partecipazione delle amministrazioni provinciali e dell'assessorato alla cultura della Regione Emilia-Romagna. Questo nuovo assetto è stato applicato per la prima volta quest'anno, da qui la necessità di un confronto coi diretti interessati e potenziali beneficiari sui primi esiti, criticità e possibili migliorie di metodo da apportare. È comunque indubbio che le risorse messe a disposizione da questo intervento hanno contribuito a rivitalizzare significativamente le attività di progettazione dei musei locali su svariati fronti operativi: consolidamento e innovazione delle proprie strutture, arricchimento delle dotazioni e tecnologie, miglioramento e qualificazione dei servizi al pubblico, organizzazione di nuove iniziative di valorizzazione anche in forma condivisa e in una opportuna logica di rete.
Fra i principali obiettivi individuati dall'IBC per il Piano museale si inserisce la costruzione e lo sviluppo dei sistemi digitali della conoscenza a disposizione di un pubblico sempre più vasto e vario. È legato a questo ambito d'azione l'attività di catalogazione che da sempre caratterizza fortemente gli interventi diretti dell'IBC, mantenendo sempre un'attenzione particolare alla continua evoluzione tecnologica e alle nuove possibilità di diffusione dei dati. Lo dimostra la recente pubblicazione del nuovo Portale PatER, che ha apportato migliorie per la fruizione della ricchissima, e in continua crescita, banca dati del Catalogo del Patrimonio Culturale dell'Emilia-Romagna, sia nella resa grafica - più snella e con un maggior risalto alle immagini -, sia nelle funzionalità di ricerca e navigazione - più intuitive e attente all'esperienza dell'utente. Un'ulteriore significativa attività legata alla circolazione e condivisione dei dati sul web è il percorso intrapreso dall'IBC nell'ambito dei linked open data, ovvero dati pubblicati in formato aperto per il ri-uso.
La cultura della qualità è un'altra tematica su cui l'Istituto si è particolarmente speso negli anni per garantire un più alto livello ed efficienza dei servizi offerti dagli istituti culturali verso i cittadini. Quest'anno la ripresa dei lavori sugli standard qualitativi museali da parte del MiBACT, ha costituito un rinnovato stimolo per proseguire il processo di riconoscimento con gli aggiornamenti necessari, affinché il sistema dei musei dell'Emilia-Romagna sia sempre più accessibile, inclusivo, capace di garantire ad ogni categoria di pubblico la piena godibilità del patrimonio culturale. Recentemente approvate dalla Regione, le "Linee Guida per il godimento del patrimonio museale dell'Emilia-Romagna per le persone con disabilità", rappresentano un concreto impegno verso un approccio universalistico nella modalità di fruizione del patrimonio e nello sviluppo delle potenzialità partecipative, in cui inscindibile sia il legame tra museo, comunità e territorio.
In un'ottica di sviluppo di sistema, si guarda con interesse anche verso progetti che propongono nuovi modi di interpretare il museo e l'attuazione di politiche di conservazione del patrimonio, anche in termini preventivi e attraverso modelli di collaborazione fra istituzioni del territorio. La formazione e l'orientamento specialistico degli operatori e l'apporto delle varie componenti della società ai processi di salvaguardia e valorizzazione dell'eredità culturale rappresentano ulteriori ambiti di sensibile rilevanza.
Il grande interesse verso questi argomenti è stato confermato dall'ampia partecipazione all'incontro: circa 150 tra operatori museali e amministratori locali, rappresentanti dell'ampio e vario panorama museale regionale, hanno risposto all'invito, confermando anche la necessità di un confronto diretto e concreto, per avviare azioni comuni efficaci di miglioramento in una visione di sistema.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2016 - N.57]

Estetica del quotidiano negli istituti culturali dell'Emilia-Romagna

Claudia Collina - Istituto Beni Culturali

Con design industriale "si indica quel particolare settore della produzione industriale dove al dato tecnico si accompagni un elemento estetico"1; progetti, prototipi e oggetti che, accanto a una funzione utilitaria, coniugano una componente estetica e abbiano un carattere iterativo sottostando a leggi di mercato e di marketing, sono stati oggetto di una ricerca sulla materia ad ampio raggio e su svariate tipologie di musei e raccolte, biblioteche e archivi della regione Emilia-Romagna.
All'evoluzione del design concorrono vari fattori: il rapporto tra arte e tecnica, l'importanza della radice del design industriale nelle arti applicate, trasformatasi con operosa complessità nell'associazione di artigianato, arti visive e scoperte tecnologiche e industriali, la straordinaria comunione osmotica tra arte, architettura, scienza e tecnica che il design riflette nel suo uso quotidiano e che testimonia l'evoluzione culturale, tecnologica ed economica della società occidentale degli ultimi centocinquant'anni.
È stato, quindi, realizzato un censimento del design negli Istituti culturali della Regione Emilia-Romagna: sono state indagate 439 realtà museali di cui 50 hanno dimostrato nuclei collezionistici inerenti la materia - disegni, progetti, prototipi, oggetti - che per i suoi indefiniti e ambigui confini è stata circoscritta in alcuni insiemi, e sottoinsiemi a seconda del caso, in base ai più recenti studi sull'argomento2.
Nel corso della ricerca, viste le diramazioni della materia, si è ritenuto opportuno ampliare il censimento anche al design museografico di musei e biblioteche (Silvia Ferrari), e ai documenti custoditi negli archivi del territorio (Mirella Maria Plazzi), con una rilevanza di 28 casi di allestimenti museografici tra musei e biblioteche e circa 76 fondi archivistici monografici.
Il materiale inerente il design è stato enucleato dal resto delle collezioni, fotografato e schedato in Samira con la scheda N (Nucleo) a sua volta agganciata alla scheda principale M (Luogo contenitore) di riferimento.
La materia è stata così suddivisa: 1) prodotti manifatturieri e arti applicate all'industria; 2) design d'autore; 3) design anonimo, quest'ultimo ulteriormente discriminato in:
a) Anonimo di tradizione: oggetti di epoca e condizione di produzione preindustriale, ove prevale l'antica tradizione del saper fare e produrre. Prodotti scaturiti da un'idea progettuale, non più artigianali ma già seriali per quantità e organizzazione del processo di produzione.
b) Anonimo: manufatti dell'era industriale che hanno portato soluzioni di problemi. Prodotti storici tutt'ora in produzione.
c) Anonimo d'autore: oggetti apparentemente anonimi ove, anche se progettati da un autore, essi rimarranno anonimi nella fruizione e, soprattutto, nell'intenzione progettuale che li sottende.
d) Oggetti d'uso quotidiano (hidden forms): cose realizzate in maniera del tutto anonima che, per forma, fabbricazione, modo d'impiego o materiali, offrono qualcosa d'insolito, cose che raccontano storie, ma che sono sottoposte a processi d'innovazione tecnica e ingegnosità umana.
Tale censimento ha messo in evidenza un atlante delle tipologie composto da: arredi urbani, architettura, automobili, bilance, bottoni, design grafico, carrozze, ceramiche, comunicazioni e telecomunicazioni, documenti, elettronica di consumo, fotografie, giochi educativi, illuminazione, libri oggetto, macchine utensili e industriali, maquette, mezzi di trasporto, motori, oggetti di arredo, oggetti in metallo, oggetti di uso quotidiano, piastrelle, progetti, prototipi, mobili, tessuti, vasellame, vetri.
A breve termine è prevista la pubblicazione della banca dati dei Luoghi del Design in Emilia-Romagna all'interno del Catalogo del Patrimonio Culturale http://ibc.regione.emilia-romagna.it/servizi-online/catalogo-del-patrimonio-culturale e del libro in formato ebook  E-R design: estetica del quotidiano nei musei dell'Emilia-Romagna a cura di C. Collina, con saggi di Flaviano Celaschi, Claudia Collina, Simona Riva, Giovanna Cassese, Beatrice Cunegatti, Silvia Ferrari e Mirella Maria Plazzi e mostre diffuse sul territorio.

Contributo pubblicato in F. Lenzi, P. Tamassia (a cura di), Il Catalogo forma ed essenza del patrimonio, in "IBC Dossier", XXV, 2017, n° 1, pp. 13-14.
1 G. Dorfles, Introduzione al disegno industriale: linguaggio e storia della produzione di serie, 4 rist., Einaudi, Torino 1987.
2 A. Bassi, Design anonimo in Italia: oggetti comuni e progetto incognito, 2. ed., Electa, Milano 2008; F. Clivio, Hidden forms: vedere e capire le cose, Skira, Milano 2014; M. Vitta, Il progetto della bellezza: il design fra arte e tecnica dal 1851 a oggi, Einaudi, Torino 2011.


La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2017 - N.58]

Compie cinque anni il bando che mette in sinergia le associazioni giovanili e i beni culturali

Valentina Galloni - Coordinatrice del bando

L'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna (IBC), da alcuni anni, ha adottato una politica di avvicinamento dei giovani al patrimonio culturale del loro territorio favorendo la loro partecipazione attiva e creativa. Una politica attuata principalmente attraverso due concorsi oramai consolidati: uno dedicato agli studenti delle scuole, Io amo i Beni Culturali, e uno rivolto alle associazioni culturali giovanili: Giovani per il territorio.
Quest'ultima iniziativa è stata promossa per la prima volta nel 2012, dapprima testando il concorso in alcune città come Forlì, Ferrara e Reggio Emilia e poi, visto il successo in termini di partecipazione e risultati, estendendolo all'intera regione. Le associazioni giovanili vengono invitate a unirsi in partenariato con un ente proprietario di un bene culturale per presentare un progetto innovativo di gestione e valorizzazione di questo. Sono i giovani i veri protagonisti, coloro che lavorano in prima persona per realizzare nuove forme e nuove soluzioni per gestire, comunicare e trasmettere il valore sociale del patrimonio.
Sono molti i progetti che ogni anno si presentano al concorso e, per selezionarne dieci, si adottano diversi criteri, tra cui l'originalità, la partecipazione attiva dei giovani, la capacità di coinvolgere la comunità territoriale e di attrarre ulteriori risorse. Requisito per l'ammissione è inoltre la garanzia di ricevere dall'ente titolare del bene, o da un terzo soggetto, un contributo di almeno 2.000 euro. L'IBC finanzia con un contributo di 10.000 euro ognuno dei dieci progetti selezionati, che a loro volta, attraverso un costante monitoraggio e un'attenta opera di documentazione, diventano modelli per altre progettazioni.
Nell'edizione del 2016, di cui diamo conto in questo volume, il concorso ha coinvolto dieci associazioni giovanili che hanno lavorato con più di cento istituzioni culturali, enti e associazioni, capillarmente diffusi in tutta la regione. Un museo etnografico, il fiume Po, i beni culturali delle terre del Frignano, il giardino di un palazzo cinquecentesco in rovina, un'area archeologica, vecchi mercati e magazzini in disuso e un'antica via di pellegrinaggio, attraverso il lavoro appassionato di questi giovani, sono tornati a nuova vita con iniziative ed eventi capaci di coinvolgere migliaia di cittadini e turisti.
I progetti sono stati occasioni importanti per svolgere ricerche e raccogliere materiali storico-documentali, per utilizzare in modo innovativo le nuove tecnologie, per recuperare il legame tra i beni culturali e il paesaggio circostante, per rendere consapevole la comunità territoriale di quanto sia importante il suo patrimonio culturale, per coinvolgere la cittadinanza in progetti di gestione partecipata, per favorire processi di inclusione sociale e per creare opportunità di lavoro per giovani professionisti.
Leggendo quanto scrivono i protagonisti di queste esperienze nei loro rendiconti progettuali, da cui sono tratti i testi e le immagini riportati nel volume, appare evidente che gli obiettivi che questa iniziativa si prefigge sono stati raggiunti. Partecipare al concorso ha dato ad alcune associazioni un importante impulso iniziale alla loro attività, trasformandole da start up in realtà consolidate; per altre è stata l'occasione di vedere il proprio lavoro riconosciuto e allargare la rete dei partner sul territorio.
Giovani cittadini e istituzioni coinvolte, mossi dalla volontà di prendersi cura del proprio patrimonio, hanno colto questa opportunità per catalizzare risorse ed energie, metterle a sistema, e creare centri di innovazione culturale in grado di riflettere sul presente e immaginare un futuro possibile.

Contributo tratto da Giovani per il territorio / 2016. Progetti innovativi per gestire e valorizzare i beni culturali in Emilia-Romagna, a cura di V. Ferorelli, B. Orsini, IBC, Bologna 2017. Il volume è disponibile all'indirizzo http://online.ibc.regione.emilia-romagna.it/I/libri/pdf/Giovani-per-il-territorio-2016.pdf.


La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2017 - N.59]

Da anni l'Istituto promuove la partecipazione dei musei della regione a progetti europei, momento fondamentale di scambio e crescita

Margherita Sani

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 4 [2017 - N.60]

Percepire e utilizzare il museo come custode e tempio della creatività: una nuova prospettiva per comprendere il passato in modo più vivo, suggestivo e coinvolgente

Alba Trombini - Consulente museale

La Provincia di Modena propone quest’anno agli insegnanti un corso di aggiornamento sul tema della creatività al museo. Il museo conserva e tramanda tutto ciò che natura e genio umano hanno “creato” nel tempo: ogni singola opera esposta – dal capolavoro al più piccolo reperto o documento – rappresenta secondo noi un’opportunità ideale per analizzare, comprendere e sperimentare tutte le fasi del processo creativo, dal momento dell’ideazione a quello della realizzazione. Durante il corso, attraverso i contributi di Claudio Widmann (psicoanalista) e di Marco Dallari (pedagogista e docente di didattica dell’arte), verrà esplorato il tema della creatività in tutti i suoi aspetti: come si manifesta, che cosa la può ostacolare o favorire, che ruolo gioca nella costruzione della vita psichica dell’individuo, come aiutare il bambino a scoprire e a sviluppare il proprio talento creativo… Approfondito l’argomento a livello teorico, si entrerà poi nel vivo della pratica museale assieme a Claudio Cavalli, Ines Bertolini e Roberto Papetti che mostreranno con simulazioni e presentazione di casi concreti tutta la loro esperienza e competenza messa a punto in anni di sperimentazioni sul campo. In questo modo si potrà comprendere come si ricostruiscono le fasi del processo creativo di un artista, come si riconosce lo spirito creativo che anima le opere e gli oggetti esposti al museo, come si conducono i bambini dalla visione di un’opera (attraverso l’immaginazione) alla ricreazione di una nuova realtà, in che modo la creatività può essere utilizzata come strumento di crescita e conoscenza. Inoltre verranno forniti agli insegnanti spunti e suggerimenti per l’elaborazione di percorsi didattici creativi a scuola come al museo, nel campo dei beni culturali e naturali.

La pagina del Sistema Museale dalla Provincia di Modena - pag. 5 [2002 - N.15]

Schede-gioco dei musei del Sistema modenese saranno distribuite ai ragazzi delle scuole elementari per stimolare la loro curiosità ed il loro interesse

Antonella Tricoli - Incaricata per il Sistema Museale Provinciale di Modena

Il progetto, finanziato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Modena e sostenuto dall’Amministrazione Provinciale, consiste nella realizzazione di una scheda-gioco, per ciascuna delle raccolte museali della provincia di Modena, indirizzata ai ragazzi delle scuole elementari (6-10 anni di età). Le schede, elaborate da dieci giovani grafici scelti tramite selezione a livello regionale, sono articolate secondo percorsi di lettura delle raccolte di cui vengono evidenziati gli oggetti più significativi mediante immagini e testi che illustrano la storia delle collezioni ed il legame con il territorio. Esse hanno colori diversi a seconda della tipologia dei musei e contengono, insieme a giochi, quiz e passatempi, anche uno spazio per la produzione autonoma del bambino; vengono consegnate, all’interno di un contenitore-raccoglitore, agli insegnanti in visita al museo con le classi, al termine dell’illustrazione del percorso museale. L’ultima parte della scheda, staccabile, presenta un invito a ritornare al museo con la famiglia per ricevere un simpatico gadget. L’organizzazione per percorsi integrati consente un più agile utilizzo delle schede in base alla programmazione didattica di ciascun insegnante: la distribuzione di questo prodotto ai ragazzi dovrebbe stimolare la loro curiosità a visitare i musei ed a ritornarvi.

La pagina del Sistema Museale dalla Provincia di Modena - pag. 5 [2002 - N.15]

Il fondo storico, la biblioteca del Museo Archeologico e il patrimonio moderno del Museo d’Arte costituiscono un formidabile patrimonio librario e di documentazione

Katua Angela Fieni - Responsabile biblioteca

Le Raccolte Civiche hanno rappresentato dall’anno della loro istituzione, nel 1871, una realtà ben radicata nella vita modenese di fine Ottocento. La Biblioteca del Museo Civico di Modena, il cui patrimonio ha seguito le sorti dell’Istituto a cui è associata, è nata anch’essa nel XIX secolo e solo in anni relativamente recenti (1966-1967), a seguito della suddivisione delle raccolte in due settori distinti, Museo Civico Archeologico Etnologico e Museo Civico d’Arte, è stata scorporata in due fondi separati caratterizzati da diversi orientamenti disciplinari. In un successivo riassetto, effettuato alla fine degli anni ‘80, è stata ricomposta l’unitarietà del Fondo Storico, corrispondente alle accessioni registrate fra l’anno di fondazione del Museo e il 1913. Questa data infatti coincide con l’inizio per il Museo di una fase critica che si protrarrà sino all’inizio degli anni ‘70, non essendo più percepito dalla comunità quale punto di riferimento privilegiato per comprendere la storia della città e le vicende del suo sviluppo artigianale ed artistico. Come diretta conseguenza di questo mutato clima culturale, le acquisizioni della Biblioteca si fanno sporadiche e vengono raramente registrate, marcando un vuoto di circa trent’anni (1913-1940). Il Fondo Storico è composto da oltre 500 volumi, molti dei quali miscellanei, editi tra il XVI ed il XIX Secolo, a cui si aggiungono più di 1300 opuscoli. Al suo interno, il Fondo Tarquinia Molza - recentemente inserito nel progetto di Censimento delle Edizioni italiane del XVI Secolo condotto per la Regione Emilia-Romagna dalla Soprintendenza Beni Librari e Documentari in collaborazione con l’Istituto Centrale per il Catalogo Unico - comprende 59 cinquecentine, oltre che un incunabolo ed una seicentina. La Biblioteca del Museo Archeologico, che a partire dagli anni ‘50 è stata incrementata attraverso successive acquisizioni di volumi ceduti dagli eredi dell’archeologo modenese Fernando Malavolti, presenta un patrimonio fortemente connotato dalla specializzazione relativa alla Preistoria e Protostoria italiana ed europea. È costituita da circa 6500 volumi moderni e da una ricca emeroteca con più di 100 testate fra riviste e periodici italiani e stranieri, frutto di un’accorta politica di scambi con partner a livello europeo che verrà, in futuro, ulteriormente incrementata ed estesa a nuove collaborazioni. Il patrimonio moderno del Museo d’Arte è costituito invece da circa 7500 volumi specializzati nel settore delle arti decorative, prevalentemente acquisiti attraverso rapporti di scambio con Istituti di analoga titolarità, che ne documentano gli ambiti delle raccolte (armi, carte decorate, ceramiche, strumenti musicali e scientifici, tessuti e vetri). Il settore riviste consta di una ventina di significative testate storiche ed altrettanti abbonamenti a periodici specialistici italiani ed esteri. Attualmente è in corso un progetto di riassetto complessivo sul patrimonio librario e di documentazione sia del Museo d’Arte che del Museo Archeologico: in particolare per il primo, è in corso un’operazione di ricatalogazione e ricollocazione dell’intero fondo moderno secondo i criteri della CDD e del software applicativo MCAB: programma estremamente ricco in termini di qualità di risposta e flessibilità per potersi adattare alle specifiche esigenze dei materiali trattati, è sviluppato in ottemperanza alle norme nazionali ed internazionali di trattamento dell’informazione. La Biblioteca è sita attualmente nella sede distaccata collocata presso l’Istituto delle Orsoline Missionarie del Sacro Cuore, con l’eccezione del fondo di materiali modenesi del Museo d’Arte residente negli uffici: nata come biblioteca di lavoro, mantiene a tutt’oggi quest’utilizzo primario di documentazione e supporto scientifico legato alle iniziative dei Musei Civici. Attualmente accessibile su richiesta ad un pubblico di ricercatori e studiosi, la Biblioteca si propone, a operazioni di riordino ultimate, di allargare i propri servizi con modalità ancora da definirsi (per informazioni tel. 059.223440).

La pagina del Sistema Museale dalla Provincia di Modena - pag. 5 [2002 - N.14]

Coordinati dalla Provincia, cinquantaquattro musei hanno scelto di lavorare insieme per sviluppare e valorizzare le proprie potenzialità

Lauretta Longagnani - Funzionario del Servizio Attività culturali della Provincia di Modena

La realtà museale modenese presenta elementi di forte eterogeneità, caratterizzati da un legame profondo con lo spazio geografico e culturale di cui fanno parte. Si tratta di strutture che hanno affiancato al ruolo di recupero, conservazione e valorizzazione del patrimonio, ampie funzioni di produzione e divulgazione culturale. I musei cittadini costituiscono il nucleo più ricco e composito, rappresentato dalle prestigiose raccolte dei Duchi d'Este, a cui si affiancano i musei Civici con i loro diversificati materiali storico-artistici, archeologici ed etnologici. Di matrice illuministica la connotazione dei musei universitari, di indirizzo scientifico, alcuni di fondazione locale, che supportano l'attività di studio dei vari istituti. Estremamente interessante e diversificata risulta essere l'articolazione dei musei della provincia, che hanno assunto in questi ultimi anni un peso sempre maggiore, in un percorso lento, ma in crescita, di trasformazione in senso sociale e produttivo. Una potenzialità che presenta tipologie assai differenziate tra loro, dai musei della scienza e della tecnologia a quelli della cultura materiale, da quelli più noti legati all'estro ed all'ingegno automobilistico a quelli artistici e storici. E' in questo quadro che è maturata la consapevolezza di dare unitarietà all'offerta museale modenese, attraverso la costituzione di un Sistema dei musei provinciale, in cui i vari soggetti potessero ottenere reciproci vantaggi unitamente ad una migliore efficienza dei servizi offerti. Una fase che ha richiesto diversi mesi di consultazione ed approfondimento, formalizzata dalla stipula di una convenzione a cui hanno aderito 54 Musei, ed una previsione di altri tre, attualmente in fase di allestimento. Un impegno reale, anche per la Provincia di Modena, che ha avviato una serie di azioni operative, di carattere promozionale, formativo e didattico per favorire la fase di avvio del progetto, che oggi può contare su alcuni elementi di forte riconoscibilità. La promozione Determinante è stato in questo caso l'individuazione di un "promoter" e la conseguente elaborazione di un piano di comunicazione del Sistema provinciale che ha consentito la realizzazione di alcuni interventi: -marchio connotativo del Sistema; - predisposizione e diffusione di un depliant informativo in lingua italiana ed inglese; - pubblicazione sui Musei aderenti, contenente le diverse tipologie, servizi ed informazioni utili all'accesso; - creazione di un Sito Internet in cui sono presentate, oltre alle realtà museali modenesi, quelle nazionali ed internazionali più importanti, unitamente alle iniziative più significative; - realizzazione e diffusione di un calendario in cui i vari soggetti presentano i loro appuntamenti per il 2000. La formazione La Provincia di Modena ha promosso due corsi di aggiornamento, rispettivamente sul tema I Musei del futuro: aspetti organizzativi, gestionali e di marketing (1998) e Il Museo pubblico: la gestione e la comunicazione (1999), che sono stati attuati in collaborazione con l'Università Bocconi di Milano. La didattica Si parla molto di didattica museale ed in effetti questa è sicuramente una delle chiavi di lettura più importanti per cogliere appieno il significato di museo, nella sua valenza educativa, culturale e di attrazione turistica. Questi temi sono stati affrontati nei due corsi sulla didattica museale che si sono tenuti i mesi scorsi e che hanno visto la partecipazione di numerosi docenti appartenenti a diversi ordini di scuola. Le pubblicazioni che sono state prodotte Educare al museo e Il linguaggio dei musei rappresentano un valido strumento di consultazione e possono essere richiesti all'Assessorato Cultura. Gli interventi per la qualificazionedelle strutture La Provincia di Modena ha inoltre concorso con proprie risorse finanziarie ad interventi finalizzati al miglioramento delle strutture museali, con particolare riferimento all'impiantistica, agli allestimenti, ai sistemi informativi legati alle nuove tecnologie ed al superamento delle barriere architettoniche, interventi ritenuti necessari per garantire l'acquisizione di quegli standard minimi essenziali per l'adesione al sistema, previsti dalla convenzione stessa. Detti interventi hanno comportato un investimento della Provincia di 350 milioni.

La pagina del Sistema Museale dalla Provincia di Modena - pag. 5 [2000 - N.7]

La storia archeologica di Ravenna resa possibile dalla fusione del lapidario benedettino con i materiali romani e bizantini delle raccolte Rasponi e con i recenti recuperi provenienti dalle campagne di scavo degli anni '60, '70 e contemporanei della zona archeologica di Classe

Luciana Martini - Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Ravenna

Archeologico il Museo Nazionale lo fu, fin dalla sua origine settecentesca, in un momento culturale in cui arte, erudizione ed archeologia andavano strettamente collegate. Così gli abati camaldolesi del monastero di Classe in Città, alla cui attività dobbiamo l'origine del Museo Nazionale, oltre a collezionare tutto ciò che atteneva allo scibile umano, non trascuravano certo di raccogliere quanto si recuperava dagli sterri e dagli scavi nella città di Ravenna e nella zona di Classe; e andavano orgogliosi della bella raccolta di stele funerarie ed epigrafi, così ricche di informazioni sulla vita dei "gentili", delle anfore e dei mattoni bollati in terracotta, delle gemme incise, e soprattutto, delizia dell'archeologo settecentesco, del ricco medagliere che si industriavano sempre di ampliare. E se si poteva cogliere l'occasione, compravano anche qualche pezzo di pregio se pure di lontana provenienza, come il sarcofago romano di fanciullo che fa mostra di sé nella "Sala delle Erme" del Museo. A coronamento di quest'attività vennero prodotte anche dotte pubblicazioni, quali quella delle iscrizioni romane e del medagliere in argento, ambedue nell'anno 1756. Ma la "storia archeologica" del Museo non finì certo a questo punto; anzi, a differenza di quella relativa alle "arti minori", ebbe una complessa continuazione per apporti da altre collezioni. Per di più la vocazione territoriale dell'istituzione, che veniva sempre ribadita nelle varie trasformazioni del Museo fino alla sua definitiva connotazione come "Nazionale" (1885), ne fece "sede di ricovero", e poi luogo privilegiato di esposizione di tutto ciò che si veniva recuperando nel territorio ravennate. Significativa fu la fusione con ciò che rimaneva del lapidario benedettino di San Vitale, principalmente reperti marmorei famosi quali il Bassorilievo di Augusto e il piede dell'Ercole Orario, e con i materiali romani e bizantini provenienti dalle collezioni Rasponi, fra i quali sopra tutti la Stele di Longidieno e il Bassorilievo di Ercole e la Cerva. Durante il primo ventennio del Novecento, a seguito di una vasta campagna di restauro dei monumenti ravennati e dell'effettuazione dei primi scavi archeologici, come quello del complesso palatino presso il cosiddetto Palazzo di Teodorico, le raccolte si accrebbero di abbondante materiale di scavo; in tale periodo vennero musealizzate anche le famose patere di Porta Aurea. La sistemazione dei materiali romani nel primo chiostro del complesso benedettino di San Vitale, effettuata dal prof. Giuseppe Bovini, risale a dopo la seconda guerra mondiale, mentre già da tempo la ricca collezione di reperti bizantini, comprendente capitelli, frammenti di amboni e materiali architettonici, era collocata nel secondo chiostro. Lungo il percorso delle salette superiori trovarono collocazione le transenne provenienti da San Vitale e le famose cinque erme romane ripescate in più riprese al largo di Porto Corsini. Negli anni '60 e '70, tramite la gestione della Soprintendenza Archeologica di Ravenna, si aggiunsero alle collezioni del Museo materiali recuperati con i moderni criteri scientifici di scavo, come ad esempio i reperti provenienti dai pozzi stratigrafici effettuati a Ravenna nel 1969. Ma sicuramente il capitolo archeologico più ricco del Museo, in continuazione con i primi recuperi settecenteschi, è dovuto all'esplorazione sistematica delle necropoli classensi: ricordiamo le stele e le urne cinerarie raccolte dalla Necropoli di Via Romea Vecchia nel 1966, le oreficerie dalla necropoli della Marabina (1967), i corredi funerari provenienti dalla necropoli di San Severo (1963), il materiale dalle Palazzette (1979), dal fondo Chiavichetta di Classe (dal 1974) e più recentemente i recenti scavi attorno a Sant'Apollinare in Classe, esposti nella "Sala della Sinopia", che hanno portato alla luce reperti interessanti soprattutto dal punto di vista epigrafico.

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 5 [1999 - N.6]

L'esposizione a Palazzo Milzetti anticipa l'istituzione del Museo dell'Ospedale di Faenza

Gabriella Lippi - Istituto per i Beni Culturali

Quando, circa due anni or sono, l'Istituto per i beni culturali della Regione Emilia-Romagna, prese parte all'organizzazione di una mostra costituita da una selezione di opere d'arte appartenenti al patrimonio dell'Azienda unità sanitaria locale di Ravenna, emerse con evidenza la significatività in quell'ambito del nucleo rappresentato dalle espressioni artistiche faentine, tanto da rendere plausibile l'ipotesi di istituzione di un museo dell'ospedale di Faenza. L'esposizione -giova forse ricordarlo - dava conto dei risultati di una campagna di ricognizione e censimento resasi necessaria a seguito del decreto legislativo 502/94, che modificava l'assetto istituzionale circa l'assistenza sanitaria, da quel momento incentrato sulle Aziende sanitarie e ospedaliere. Di conseguenza i beni mobili e immobili, e tra questi le opere d'arte, che fino alla fine degli anni settanta erano stati in proprietà degli enti ospedalieri, e che tra la riforma sanitaria del 1978 e il provvedimento del 1994 avevano assunto, in assenza dell'attribuzione di personalità giuridica alle unità sanitarie locali, titolarità comunale, ritornavano a costituire il patrimonio delle istituzioni sanitarie. Con la mostra - tenuta a Lugo e a Bagnacavallo nell'estate nel 1997, in collaborazione con i Comuni ospitanti e la Provincia di Ravenna - l'Istituto per i beni culturali e l'Azienda USL di Ravenna, lungi dal considerare esaurito l'impegno per la migliore conservazione e valorizzazione di quel patrimonio monumentale, storico e artistico, assumevano un orientamento volto alla ricerca di soluzioni di fruizione non straordinaria, il più possibile rispettosi della storia formativa dei diversi nuclei di opere. Così, nel comune di Massa Lombarda si è provveduto ad allestire la piccola ma qualificata quadreria (basti ricordare la presenza di dipinti dei ferraresi Garofalo e Bastianino e del bolognese Lucio Massari, oltre a significative presenze locali), accanto al civico Museo Venturini e alla Biblioteca, nella sede che fu della Confraternita dell'ospedale ed ora di proprietà dell'unità sanitaria locale di Ravenna. Mentre - in via non definitiva e in attesa di diverse soluzioni (una di queste dovrà riguardare le opere legate alle vicende ospedaliere lughesi) - sono state ordinatamente esposte e visitabili in un'ala dell'ex ospedale di Russi, in collaborazione con il Comune che ne ha la gestione, quelle opere d'arte che non godevano prima della mostra di una collocazione soddisfacente, o per carenti condizioni di sicurezza, o per la difficoltà a fruirne. Al patrimonio dell'Azienda USL appartengono anche tre edifici religiosi: l'oratorio di Sant'Onofrio a Lugo e le chiese di San Bernardo a Brisighella e di San Giovanni di Dio a Faenza. Mentre per San Bernardo si è già provveduto ad un primo essenziale intervento (l'inaugurazione dei restauri dei dipinti su tela e della prima fase di risanamento della struttura risale al Natale del 1996), ricevono ora particolare attenzione la chiesa di San Giovanni di Dio e l'ospedale a cui appartiene, nell'ambito di un programma che investe sia l'architettura monumentale, sia i beni storico-artistici mobili. E' una scelta che ravvisa, quale connotato principale della raccolta di opere d'arte di pertinenza ospedaliera, il rapporto stretto che lega gli edifici (i "contenitori" e le funzioni che vi si svolgono) con i beni storico-artistici conservati. Il ciclo pittorico costituito dalle tele di Giovanni Gottardi e Filippo Comerio raffiguranti episodi della vita del santo fondatore dell'ordine ospedaliero dei Fatebenefratelli risale al periodo della fondazione della chiesa e del convento-ospedale, e ci rammenta la volontà del vescovo Cantoni circa l'affidamento dei compiti assistenziali e sanitari ad un ordine a ciò deputato. La presenza di opere che provengono dagli ospedali incorporati in tale occasione ci dicono dell'attività di riordino attuata a metà Settecento. Le donazioni o gli acquisti successivi sono per lo più riferibili ai momenti salienti in cui il nosocomio ha adeguato la propria organizzazione spaziale e di servizio secondo criteri igienico-sanitari più aggiornati: è il caso della serie, iniziata a partire dalla fine del secolo scorso, dei ritratti dei benefattori, come pure dei busti bronzei dei medici Testi e Sarti eseguiti da Ercole Drei negli anni venti, o delle opere di Pietro Melandri (da quelle monumentali a quelle di piccolo formato), per concludere, solo a titolo d'esempio, con il grande pannello ceramico di Biancini. Ecco allora che nel complessivo piano di recupero e di adeguamento degli impianti della chiesa e della porzione monumentale dell'edificio ospedaliero (quella in origine conventuale ad uso dei Fatebenefratelli, e l'atrio con la quadreria dei benefattori), trova spazio l'istituzione di un museo in grado di consentire un'adeguata conservazione e fruizione delle opere. Alcune sale saranno destinate ad ospitare quei beni storico-artistici ora inidonei all'uso liturgico, accanto ai manufatti più strettamente connessi con le vicende e gli usi ospedalieri, ma ora non più contestualizzabili in quanto risultano modificate funzioni e organizzazioni spaziali. Anche se di non disprezzabile consistenza e qualità sarà l'insieme dei beni che troveranno collocazione in questa sede (basti citare i due paesaggi seicenteschi del pittore bolognese Andrea Donducci, detto "il Mastelletta"), gli ambienti museali non vanno visti isolatamente: faranno parte di un percorso, peraltro facilitato dal materiale ripristino dell'accesso laterale originario della chiesa, di collegamento tra le varie espressioni artistiche, cosicché potrà esservi un continuo rimando tra i diversi ambienti dell'intero complesso monumentale. Ad una impegnativa campagna di restauri delle opere di pertinenza della chiesa di San Giovanni di Dio è già stata data esecuzione: si intende presentarne i risultati in una mostra - prevista a partire dal prossimo mese di settembre in Palazzo Milzetti - che consentirà di apprezzare una consistente parte delle opere d'arte che andranno a costituire il museo dell'ospedale, accanto ad altre significative espressioni pittoriche faentine settecentesche. Alle grandi tele eseguite da Filippo Comerio per la chiesa dell'ospedale (che nell'occasione potranno godere di una visione ravvicinata, prima di essere ricollocate nel luogo d'origine) saranno accostate altre opere dell'artista, anche inedite, in modo da favorire una precisa conoscenza dell'insieme della sua produzione nel periodo faentino. Così come l'accostamento di opere di Cristoforo Unterperger e Giovanni Gottardi dovrebbero contribuire a risolvere una vecchia e controversa questione attributiva, di interesse non solo locale. La mostra - organizzata dall'Istituto regionale per i beni culturali, dalla Soprintendenza per i beni artistici e storici di Bologna, dall'Azienda sanitaria locale di Ravenna, dalla Provincia di Ravenna e dal Comune di Faenza - vuole cogliere dunque un duplice obiettivo: affrontare alcuni nodi storico-artistici insieme ad una "anticipazione" di quello che sarà il museo dell'ospedale, un luogo che si ritiene possa contribuire ad aumentare l'offerta culturale faentina e nel contempo qualificare le strutture dell'ospedale nella convinzione che ambienti dignitosi, e anche belli, incidano in positivo nell'assicurare la migliore assistenza sanitaria.

La pagina dell'IBC della Regione Emilia-Romagna - pag. 5 [1999 - N.5]

Franco Gabici - Capo Reparto delle Attività scientifiche e museali del Comune di Ravenna

Il Museo ornitologico nasce nel 1970 con il lascito di Alfredo Brandolini, appassionato ornitologo ravennate, la cui collezione fu donata al Comune di Ravenna dopo la morte avvenuta nel 1965. Il Museo però è qualcosa di più e non si identifica tout court con la semplice esposizione di uccelli imbalsamati. La raccolta, infatti, cresciuta nel tempo attorno al primo nucleo originario che comprende gli uccelli della Romagna raccolti dallo stesso Brandolini a partire dal 1906, è andata via via assumendo le caratteristiche del museo, inteso come centro di cultura e non semplicemente come luogo di esposizione. Giustamente, dunque, il museo ravennate è oggi denominato "Museo ornitologico e di scienze naturali", un titolo che lo ricollega strettamente alle sue origini, ma che al tempo stesso lo proietta nel futuro. L'ornitologia, dunque, costituisce la parte preponderante del museo, cresciuto attorno ai 1300 esemplari distribuiti in 400 specie e nella "Sala Brandolini" sono oggi conservate tutte le specie che hanno frequentato le zone che vanno dalla via Emilia al mare e dal forlivese alle Valli di Comacchio. Nella "Sala Brandolini", inoltre, è stata mantenuta la collezione originaria di Brandolini, dove alcuni esemplari sono ripetuti più volte se presentano anche leggere differenze di forme e di colori. Ovviamente sono state inserite nel corso del tempo le specie mancanti e quelle più nuove che hanno fatto la loro comparsa nel nostro territorio in questi ultimi anni. La raccolta, che comprende più di mille uccelli, comprende anche una ooteca (raccolta di uova) e una fonoteca con dischi e cassette che riproducono il canto degli uccelli e di altri animali. Una sezione del museo dedicata alle architetture degli uccelli ravennati presenta i nidi più tipici delle nostre zone, mentre altre sezioni completano il discorso didattico e scientifico.Fra le sezioni ricordiamo la "Storia delle pinete ravennati" (è esposta una carta della pineta del 1876), "Uova e pulcini" e "Dove vedere gli uccelli", con un elenco degli esemplari più comuni e le località dove si possono osservare. Altri segmenti del Museo presentano la "Storia della vita" dal big bang ai nostri giorni e la "Storia del volo" che riassume la trasformazione degli uccelli da rettili ad animali provvisti di ali. Di grande interesse la sezione "Farfalle diurne d'Italia", dove sono raccolte tutte le specie italiane unitamente a 117 specie di farfalle notturne. Si può ammirare anche una sezione di mammiferi, rettili e conchiglie del ravennate. Molto fornita è anche la biblioteca scientifica di oltre 5 mila volumi, con preziosi testi dal Cinquecento ai nosptri giorni e riviste specialistiche sia italiane che straniere.Recentemente, a testimonianza della vitalità del Museo, è stata inaugurata anche una pregiata sezione di fossili. Fra le curiosità del Museo vanno ricordate una magnifica conchiglia Tridacna di 3 quintali e una sezione di tronco di pioppo centenario.

Speciale musei naturalistici della scienza e della tecnica - pag. 5 [1999 - N.4]

Luciana Martini - Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici di Ravenna

Il Museo Nazionale di Ravenna non appartiene a quella tipologia di istituzioni che raccolgono materiale di interesse etnografico; e pur tuttavia, data la complessità storica del suo lungo e non lineare percorso di formazione, è possibile reperire sporadicamente al suo interno qualche oggetto che ha attinenza questo tema. Il nucleo originario del museo è infatti formato dalle settecentesche raccolte dei padri camaldolesi di Classe, molta parte delle quali è ordinata per tipologie materiche e raccoglie oggetti delle più disparate provenienze. La varietà degli interessi dei colti padri e il loro desiderio di documentare ogni aspetto della produttività umana ha investito tutti i luoghi e tutte le epoche creando, accanto alle opere d'arte, un deposito di interessanti curiosità. Così ad esempio, nella collezione degli avori, possiamo trovare insieme ai famosi esemplari bizantini due corni di provenienza nigeriana di tipologia piuttosto rara, che hanno attirato l'interesse di molti studiosi dell'arte africana. Del tutto incoerente con le raccolte museali è invece un piccolo e molto particolare deposito, pervenuto all'istituzione per vie trasversali. Si tratta di avanzi preistorici americani, più di seicento punte di freccia litiche, donati nel 1881 dal dott. Elmer Reynolds, membro della Società Antropologica di Belle Arti e socio di merito dell'Accademia di Belle Arti di Ravenna, all'Accademia di Belle Arti stessa, e da questa destinata al R. Museo Nazionale. Si trattava, come è ovvio di materiali ben difficili da collocare nel contesto cittadino, e finiti probabilmente al Museo Nazionale come una sorta di prestigioso ricovero. Quanto all'origine di questi resti, definiti preistorici dallo studioso stesso, possiamo conoscerla direttamente dalle parole dal dott. Elmer Reynolds, in una interessante e piacevole relazione pubblicata negli atti della locale Accademia di Belle Arti, e tradotta dall'inglese dall'ing. Filippo Lanciani: "La collezione recentemente spedita all'Accademia di Belle Arti in Ravenna non fu fatta in qualche luogo particolare; al contrario fu in parte il risultato delle mie ricerche in luoghi diversi molti distanti fra loro. Il grosso della collezione fu trovata nella regione degli Indiani Anacostii, mentre le reliquie degli ordigni e degli utensili si raccolsero negli antichi territori delle tribù del Piscataway, del Wicomoco, e dello Shenandoah. (1881-82, p.99). Infine, altri materiali di interesse etnografico sono pervenuti recentemente al Museo attraverso gli scavi e le scoperte relativi materiali di epoca preistorica; queste acquisizioni sono dovute alla connotazione, fra le altre che ha assunto l'istituzione nel suo percorso, anche di "museo archeologico del territorio". Queste raccolte, note e in buona parte esposte, appartengono all'età del Bronzo. Ricordiamo i reperti di Valle Felici nei dintorni di Cervia, unico insediamento locale del Bronzo Antico (1800-1570 a.C.) situato in prossimità della linea di costa; vi è attestata anche una fase del Bronzo Medio iniziale (sec. XVI a.C.). I materiali più importanti consistono in un boccaletto con ansa a spigolo rilevato un vasetto con orlo entroflesso, fusaiole del tipo circolare schiacciato, anse a nastro con appendice asciforme, una punta di freccia a losanga con alette. All'orizzonte culturale appenninico (Bronzo medio e tardo) appartengono i frammenti provenienti da uno scavo sulle rive del Savio, tra Mensa e Matelica. Tra l'abbondante industria fittile si distinguono frammenti con decorazioni di tipo appenninico e numerose anse fra cui molte a prominenze coniche; l'industria dell'osso ha restituito due manici di lesina tra cui uno decorato a occhi di dado. Altro rinvenimento assai noto è un'ascia di bronzo assai ben conservata, proveniente da Valle Standiana, a ovest della pineta di Classe (Bronzo finale, X-IX sec. a .C.). Ma il ritrovamento più famoso è quello dei materiali provenienti dalla grotta naturale della Tanaccia (presso Brisighella), quasi certamente luogo di culto e abitazione, scavato sistematicamente negli anni 1955-56. Il complesso culturale, databile tra il tardo eneolitico e il bronzo iniziale, ha restituito una grande quantità di materiale fittile, tra il quale anche pezzi completi, appartenenti alla cultura di Lagozza, di Polada, del vaso campaniforme e numerose fusaiole. L'industria litica ha offerto cuspidi in pietra, raschiatoi, una piccola accetta, un anellino di steatite. Nell'ambito dell'industria dell'osso sono stati ritrovati aghi e punte, e nel gruppo dei materiali naturalistici crani di canide (forse in connessione con valori rituali), un corno di cervo, cornetti di capriolo e conchiglie forate parte di collana.

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 5 [1998 - N.3]

Cetty Muscolino - Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici di Ravenna

Casa Romei, una delle architetture più significative nell'ambito dell'edilizia privata ferrarese, è rappresentativa di quel delicato momento di transizione in cui il fantasioso spirito gotico si stempera nell'equilibrio rinascimentale, del gusto e delle scelte decorative e iconografiche fra Quattrocento e Cinquecento. Il passaggio da dimora gentilizia a convento e finalmente a museo (dal 1952 ospita un lapidario e affreschi staccati da edifici ecclesiastici cittadini), attraverso molteplici vicende costruttive e distruttive che ne hanno in parte alterato l'aspetto originario, l'ha arricchita di numerosi affreschi, sinopie, sculture e cotti architettonici che ne costituiscono una testimonianza molto importante della storia dell'arte cittadina. I laboriosi restauri degli ultimi anni - a cui di necessità seguiranno altri interventi - hanno contribuito:a rendere Casa Romei uno dei Musei più piacevoli:e particolarmente indicati per il pubblico scolastico. Perché a misura d'uomo, perché fortunatamente in ombra rispetto a dimore ben più famose, come ad esempio la "delizia" di Schifanoia. La minor fama la "salva" dall'assalto e dalla consumazione "fast food". Insomma, fino a che qualcosa non cambierà, ci troviamo nella situazione ideale per lavorare con i ragazzi che, solitamente sovrastimolati e disturbati dall'eccesso di tutto, hanno bisogno di quiete e di un ambiente tranquillo per poter raccogliere le idee. Proprio per questo è nato, nel 1986, il progetto didattico Casa Romei, grazie alla collaborazione fra la Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Ravenna, Ferrara, Forlì e Rimini, e la Didattica dei Beni Culturali del Comune di Ferrara. Guidati dallo storico dell'arte della Soprintendenza gli studenti (per lo più di IV elementare e Il media)si muovono per le sale della Casa, si riappropriano degli spazi, ne riscoprono le funzioni, inventano gli arredi...Rivedono la propria casa e, facendo le debite differenze, riflettono sul passato, su questo passato prossimo in cui un camino acceso e scoppiettante diventa il cuore di una giornata piovosa; un giardino fiorito affrescato sulle pareti consente di vivere in un'eterna primavera; un pozzo al centro del cortile, oltre che servire i bisogni della casa, stimola la curiosità dei bimbi. La dimora osservata e percorsa ci racconta la sua vita... ancora echi di risate di fanciulle nei loggiati dipinti con cartigli svolazzanti, elementi vegetali e imprese di famiglia. Leggere la casa vuol dire, con buona probabilità, coglierne i segreti. Per i giovani studenti (ma solo per loro?) tornare più volte a visitare Casa Romei significa osservare, comprendere, discutere,disegnare, creare, inventare fiabe, scrivere poesie. Pensare alla vita di quel tempo tanto lontano (ma è poi così lontano?) e alla vita di oggi. Leggere gli affreschi: quelli nati nella casa e quelli portati da fuori (ma come... gli affreschi si possono staccare?). Studiare le sculture che ricamano i capitelli: e se anche noi ci costruissimo il nostro stemma di famiglia? Molteplici sono gli indizi da seguire: la casa è uno scrigno pieno di sorprese che solo... nella quiete... si possono scoprire. Passando di corsa (ma perché corriamo?) facciamo solo"rimbombare" le sale. Ma se si cammina adagio adagio e si guarda su e giù... a destra... e a sinistra... se ne vedono delle belle!

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 5 [1998 - N.2]

Luciana Martini e Andrea Alberti - Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici di Ravenna

Dall'8 novembre il Museo Nazionale si è arricchito di una nuova esposizione numismatica, intitolata Il gruzzolo di Via Luca Longhi. La mostra è concepita non come un interessante ma effimero momento di confronto fra i vari materiali, bensì come un allestimento che ci impegna a "vedere nuovamente" dentro il museo stesso, a scavarvi nuovi percorsi per scoprirvi realtà insospettate (è noto purtroppo quanto siano ricche ma sconosciute queste nostre istituzioni); e come tale rimarrà fisso per molto tempo all'interno del percorso di visita. In questo evento sono confluite quelle esperienze didattiche e culturali maturate in altre simili occasioni, che ci hanno portato a ritenere come tale sistema di esposizione semipermanente sia il migliore sia per l'aspetto economico, relativamente al quale permette un ottimo e prolungato utilizzo delle risorse impegnate, sia per l'aspetto scientifico, in quanto si inserisce nel progetto di rinnovamento generale del Museo, proponendo una nuova lettura, il più possibile completa, di un settore per volta. Il nuovo allestimento espositivo si propone di soddisfare i seguenti obbiettivi: - valorizzare il materiale numismatico esposto; - offrire al visitatore diversi canali informativi con differenti livelli di approfondimento sui singoli elementi esposti, ma anche sulla storia della monetazione, mediante l'inserimento di un ricco e, al contempo, agile apparato didattico e didascalico; - incrementare le caratteristiche di comfort ambientale della sala per consentire al fruitore una visita gradevole e non faticosa. E' stata completamente modificata l'illuminazione della sala, adottando un livello luminoso soffuso al fine di evidenziare e metter in risalto le vetrine e i pannelli dell'apparato didascalico, pur consentendo la percezione delle caratteristiche architettoniche dell'ambiente. Nuovi illuminatori inseriti all'interno delle vetrine permettono una maggior definizione della morfologia e del modellato dei pezzi esposti. All'inizio della sezione due momenti espositivi di maggiore incisività, cioè la presentazione di un sarcofago con una scena relativa all'attività di un argentarius e una ricostruzione delle condizioni di ritrovamento del gruzzolo, svolgono la funzione di un accattivante segnale per incentivare l'attenzione e la curiosità del visitatore, oltre a fornire informazioni sull'argomento specifico dell'esposizione. Prima della visione del materiale numismatico, viene offerta la possibilità di consultare una guida interattiva inserita in una comoda postazione di lavoro; considerato l'itinerario del percorso della mostra, dove l'uscita, coincidendo con l'entrata, impone al visitatore di "ritornare sui propri passi", la consultazione della guida informatizzata può diventare un momento di approfondimento anche al termine della visita. Il tesoretto rinvenuto nel 1957 in Via Luca Longhi a Ravenna comprendeva 665 monete, ancora conservate entro i resti di un recipiente di terracotta, emesse da zecche dell'Italia settentrionale fra il XIII e la metà del XV secolo. La localizzazione dei reperti in una strada che ancora nell'Ottocento recava il nome di Via del Ghetto suggerisce l'ipotesi sull'identità dell'occultatore e fornisce lo spunto per analizzare la presenza e il ruolo dei cambiavalute ebrei e cristiani a Ravenna. Nella composizione del gruzzolo, in cui sono presenti, oltre a monete delle principali città dell'area emiliano-romagnola e dell'area marchigiana, esemplari di Firenze e Venezia, sono testimoniati gli antichi percorsi commerciali e le vie di afflusso dei capitali. Nell'ambito della mostra viene inoltre analizzata la produzione della zecca di Ravenna in età medievale, inquadrandola nei rapporti con il territorio riminese e marchigiano. La videoguida interattiva, intitolata La moneta dall'antichità al Medioevo, è illustrata tutta con materiale numismatico delle collezioni del Museo Nazionale di Ravenna. I temi affrontati nei vari capitoli (La moneta nel mondo contemporaneo, Prima della moneta, La diffusione della moneta nel mondo greco, La moneta in età ellenistica, Roma e la moneta, L'uso della moneta nel medioevo) si sono rivelati ottimali per l'approfondimento didattico delle scuole in visita all'esposizione. L'ordinamento scientifico, il catalogo e i testi della videoguida sono a cura della prof. Emanuela Cocchi Ercolani con la collaborazione della dott.ssa Anna Lina Morelli. In occasione della Settimana dei Beni Culturali saranno programmate visite guidate all'esposizione.

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 5 [1998 - N.1]

Rosella Cantarelli - Responsabile delle attività Culturali della Provincia di Ravenna

Sono ormai trascorsi cinque anni dall'applicazione della Legge regionale n. 20 e, per la nostra provincia, si chiude con un primo bilancio sostanzialmente positivo, se consideriamo che in questo arco di tempo si sono concretizzati alcuni primi interventi a favore dei musei ed è maturata l'esperienza che sta ora portando verso la realizzazione del sistema museale provinciale.Come è noto la L .R. 20/90 "Norme in materia di musei di enti locali o di interesse locale" promuove l'istituzione e lo sviluppo dei musei della regione e ne incentiva le funzioni al fine di tutela, conservazione e valorizzazione dei beni culturali e ambientali presenti nel territorio regionale. E anche per l'ambito ravennate questa normativa ha contribuito a ridare attenzione alle problematiche e alle potenzialità del nostro patrimonio museale. In effetti molti di quei musei che hanno saputo attivarsi in questi anni per presentare progetti specifici sui piani di intervento regionale, cominciano ora a realizzare i primi interventi, utilizzando i finanziamenti (ancora troppo modesti) assegnati dalla Regione e la collaborazione tecnico - scientifica dell'Istituto dei Beni culturali, per il restauro e conservazione dei beni, per la catalogazione e schedatura del patrimonio, per interventi sulle strutture museali e per progetti culturali di promozione.Anche la nostra Provincia, in linea con le competenze previste dalla legge, ha attivato un proprio ambito di intervento nel campo dei beni culturali.Il "Progetto beni culturali", elaborato nel 1992, era rivolto a favorire la documentazione, promozione e valorizzazione dei beni culturali del nostro territorio e dei relativi musei ed ha portato nell'arco di un triennio alla elaborazione di diverse iniziative finalizzate alla elaborazione di un progetto coordinato. Ricordiamo tra queste: - l'indagine STIMMA (Sistema Territoriale Integrato Musei, Monumenti e Archeologia) condotta sui musei del territorio provinciale, che ha analizzato e documentato lo stato del patrimonio e dell'offerta culturale ravennate, con indicazione per una concreta e produttiva opera di valorizzazione di tale patrimonio,- il progetto "Banca dati iconografica" con la relativa dotazione hardware, ore collocata nella sede del nostro Assessorato ,- la pubblicazione fotografico - documentaria dal titolo "Viaggio nei musei della provincia di Ravenna", prima opera di una collana che è stata dedicata alla valorizzazione dei beni culturali,- un progetto triennale di aggiornamento sulla didatica museale per i docenti delle scuole dell'obbligo,- un corso di formazione per direttori/ operatori dei musei, promosso e organizzato in collaborazione con l'Istituto dei Beni Culturali della regione.Oltre a ciò, la Provincia ha collaborato alla predisposizione delle istruttorie provinciali per la formazione dei piani di intervento regionali (previsti per legge) e coadiuvato i Comuni laddove necessario, accogliendo così la sollecitazione dell'Istituto regionale a operare quale ente intermedio tra Regione e Comuni.A tal fine si è rivelata particolarmente utile l'istituzione della Conferenza permanente dei direttori e dei responsabili dei musei del territorio provinciale, formalizzata da una appositaconvenzione tra Provincia e Comuni. Tale organismo si è rivelato nel tempo una proficua occasione di incontro e confronto collegiale fra gli operatori museali e la provincia.Da tutto ciò è maturata la volontà di dare avvio a un progetto concreto di coordinamento tra Provincia e Comuni, che nella dimensione provinciale sembra trovare un giusto equilibrio per quanto riguarda soprattutto una maggiore visibilità, una adeguata promozione e valorizzazione dei vari musei del territorio.Lo sviluppo del sistema museale di livello provinciale è ora l'obiettivo sul quale stiamo lavorando per il prossimo triennio, assieme agli enti pubblici e privati che vi collaborano e nello spirito della Legge regionale 20/90 che, auspichiamo, continui a garantire anche in futuro un adeguato sostegno.

L'opinione del legale - pag. 5 [1997 - N.0]

Un sito museale "archeologico" nel Museo Nazionale di Ravenna

Luciana Martini - Direttore del Museo Nazionale Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Ravenna

Già in precedenza si è detto, su queste stesse pagine, come il Museo, a somiglianza di quasi tutte le raccolte di fondazione storica, custodisca materiali assai eterogenei sia nella tipologia che nell'arco cronologico. Ma sicuramente i reperti di antichità vera e propria erano un vanto per coloro che diedero vita e accrebbero nel tempo il nucleo originario del Museo, i padri del convento di Classe in città. Attualmente, le raccolte definibili come "archeologiche" nel senso moderno del termine sono distribuite in vari punti del percorso espositivo, ma soprattutto in uno dei siti del complesso più significativi per il visitatore appassionato dell'antico: il "primo chiostro" del monastero benedettino. Luogo già di per se stesso ricco di fascino storico, sovrastato dalla piacevole veduta in scorcio del campanile barocco di San Vitale, il "primo chiostro" appartiene alla fase costruttiva rinascimentale del complesso ed è databile tra la fine tra la fine del XV e l'inizio del XVI secolo. L'ordinamento dei reperti archeologici, collocati a muro lungo tutti i lati del chiostro, è dovuto ad una sistemazione realizzata nel dopoguerra dall'illustre archeologo Giovanni Bovini. Essi provengono dalle raccolte dei Camaldolesi, da quella dei Benedettini di San Vitale e dalla collezione privata della nobile famiglia Rasponi di Ravenna, donata al Museo alla fine dell'Ottocento. Il reperto più famoso, collocato nell'angolo sud-ovest del chiostro in posizione otticamente privilegiata, è il "Bassorilievo di Augusto", cosiddetto per il suo contenuto celebrativo della famiglia imperiale: infatti vi troviamo rappresentati in forma idealizzata cinque membri della gens Giulio-Claudia. Fu ritrovato nell'area del complesso nel secolo XVI, insieme ad un frammento più piccolo di diversa iconografia. Molto probabilmente i due rilievi erano parte di un monumento sul genere dell'Ara Pacis augustea, connesso con l'operato politico dell'imperatore Claudio a Ravenna. Egli infatti visitò trionfalmente la città intorno al 44 d.C., di ritorno dalla campagna britannica, lasciandovi numerose tracce nell'attività artistica e nell'edilizia celebrativa. Ad eccezione di questa testimonianza di un'arte ricca e colta, legata alla committenza ufficiale, i reperti esposti lungo i lati del chiostro consistono per lo più in stele e iscrizioni funerarie, piccoli monumenti finanziati dai privati. Il più famoso di essi, collocato ad angolo con il Bassorilievo di Augusto, è la stele di Longidieno, carpentiere della flotta di Classe, notissima per la semplice ed efficace rappresentazione iconografica del mestiere. Gran parte di queste testimonianze ravennati, infatti, sono legate all'esistenza del grandioso porto militare voluto da Augusto, presso il quale si sviluppò una vera e propria seconda città, che dal nome della flotta (classis) venne detta Classe. Le numerose stele dei classiari, alcune arricchite da icastici ritratti, ci forniscono preziose informazioni sulla composizione della flotta, sul nome delle imbarcazioni, sulle componenti etniche e sociali dell'equipaggio, sui mestieri connessi con la manutenzione delle navi. Infine, lungo il lato sud del chiostro spiccano tre portali raffinatamente scolpiti, qui trasferiti nel 1910 dal convento classense, i quali delimitano l'ingresso alle antiche salette dei servizi dei monaci. In quella di destra, inserita nel percorso museale, si raccolgono i resti di Porta Aurea, uno dei più importanti monumenti della città antica, fatto erigere anch'esso dall'imperatore Claudio nel 43 d.C., e distrutto nel 1582. Della costruzione, che godette di grande fama nel Medioevo e nel Rinascimento, e della quale restano fortunatamente numerose testimonianze grafiche, sopravvivono pochi frammenti, fra i quali due parti della scritta dedicatoria e due eleganti clipei raffinatamente decorati.

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 5 [2001 - N.11]

Anche il Sistema Museale della Provincia di Rimini si apre a nuove realtà che porteranno, entro il 2004, al raddoppio dei musei associati

Rita Giannini - Dirigente Servizio Beni e Attività Culturali della Provincia di Rimini

La realtà museale della provincia di Rimini può dirsi veramente feconda. Negli ultimi anni si è registrata un'intensa attività che ha portato e sta portando all'apertura di nuovi musei. Una grande ricchezza per il territorio riminese che con i nuovi contenitori museali amplia la sua offerta, la qualifica e la differenzia. Ciascun nuovo spazio è infatti portatore di una propria specializzazione, espressione del territorio e della sua storia. Non si può che plaudere allo sforzo compiuto dalle Amministrazioni comunali, istituzioni e associazioni per la volontà, l'impegno, la determinazione dimostrate e le significative iniziative avviate in un momento non certo felice per gli interventi culturali soprattutto in ragione del difficile reperimento di risorse. Dal canto suo l'impegno della Provincia di Rimini, attraverso il proprio progetto Dar Luogo alla Cultura che ha visto destinare quattro miliardi e mezzo di vecchie lire per la edificazione e il restauro di contenitori culturali, nonché attraverso i Piani museali e bibliotecari annuali, in attuazione alla L.R.18/2000, è stato ed è notevole, nella convinzione che un territorio più è ricco di proposte culturali più si valorizza e più differenzia non solo l'offerta culturale ma anche quella turistica che necessita di rispondere a una domanda diversificata e autonoma rispetto al turismo balneare. Il Sistema Territoriale Integrato era assestato sulla presenza di nove musei, di cui uno in riallestimento (il Museo delle Civiltà Extraeuropee Dinz Rialto di Rimini): a Rimini il Museo della Città, a Santarcangelo di Romagna il Museo Etnografico degli Usi e Costumi della Gente di Romagna, a Verucchio il Museo Civico Archeologico, a Riccione il Museo del Territorio, a Cattolica il Museo della Regina, a Saludecio il Museo di Saludecio e del Beato Amato, a Gemmano il Museo Naturalistico di Onferno, a Mondaino il Museo Paleontologico. Nel 2002 ha aperto i battenti il nuovo Museo della Linea dei Goti, ospitato a Montegridolfo, in un edificio singolare: un bunker ricostruito a modello di quelli edificati durante la seconda guerra mondiale. Anche Montegridolfo, come l'intera fascia di territorio collinare romagnolo, è stata interessata dal passaggio della linea gotica, il neo museo pone l'attenzione su questa fase storica e raccoglie reperti riferiti al passaggio del fronte. Tra breve, nel primo week end di novembre, saranno inaugurati altri due nuovi spazi museali, espressione del territorio e dei suoi protagonisti, siano essi gente comune come nel caso del Museo Etnografico di Valliano di Montescudo, o personaggi di gradissimo respiro artistico come nel caso del Museo Federico Fellini dedicato al regista riminese. Il Museo, che è di emanazione diretta della Fondazione e ha sede nella casa della famiglia, nel centro di Rimini, raccoglie i suoi disegni originali, i libri, i materiali dei suoi film e alcuni significativi oggetti che gli sono appartenuti. Nelle sale espositive saranno allestite mostre temporanee che alterneranno la presentazione di disegni, costumi, elementi scenografici, foto e altro, il tutto coadiuvato da supporti multimediali. Il 7 novembre il museo ha aperto i battenti con una mostra dedicata al film 8 e mezzo. Il Museo di Montescudo che prende il nome dalla frazione in cui è ubicato, nasce nella canonica del Santuario di S. Maria Succurente, che è parte integrante dello stesso con le sue esposizioni di ex voto e gli antichi affreschi. La specificità del territorio ha fatto sì che queste località si dedicassero alla lavorazione dei prodotti naturali, come la creta, l'uva, l'oliva, dando vita a produzioni di grande pregio e tradizione riguardanti vino, olio, miele, terracotta, di cui il Museo è testimonianza. L'inaugurazione ha avuto luogo l'8 novembre. Accanto agli spazi menzionati ce ne sono altri di cui si prevede l'apertura nel 2004. Tra questi il nuovo Museo Storico Archeologico di Santarcangelo di R., il Museo dell'Arte Molinatoria di Poggio Berni e il Museo delle Culture Extraeuropee riallestito presso la Villa Alvarado a Covignano di Rimini.

La pagina del Sistema Museale della Provincia di Rimini - pag. 5 [2003 - N.18]

Un incontro di studio a Rimini per affrontare il tema dell’apertura dei musei a differenti culture e fasce di utenza

Luca Vannoni - Ufficio Cultura della Provincia di Rimini

In occasione della giornata internazionale del museo 2005 promossa dall’ICOM – UNESCO, si è svolto a Rimini, il 18 maggio 2005, l’incontro di studio A proposito di Musei: il Museo, il luogo di incontro fra le diversità. Durante l’incontro, promosso dalla Provincia di Rimini in collaborazione con l’Istituto dei Musei Comunali di Santarcangelo di Romagna, sono state avanzate interessanti e diversificate proposte operative per affrontare il tema dell’apertura del museo alla diverse culture e alle differenti fasce di utenza che normalmente non lo frequentano (diversamente abili, immigrati da paesi extraeuropei, giovani).
Marcella Bondoni, assessore alla Cultura della Provincia di Rimini, ha aperto l’incontro sottolineando l’importanza di creare occasioni di confronto sul ruolo e sulla funzione degli istituti museali nel territorio e ha annunciato che tale giornata di studio verrà istituzionalizzata dalla Provincia di Rimini come utile momento di confronto annuale.
Andrea Canevaro, docente dell’Università di Bologna, ha mostrato quanta affinità ci sia tra le difficoltà di percezione di un diversamente abile e le difficoltà linguistiche che caratterizzano un immigrato proveniente da un paese extraeuropeo: il museo come luogo di intersezione tra diverse memorie e di dialogo tra proposte culturali differenti può divenire un centro di elaborazione di significati condivisi anche attraverso specifiche iniziative volte a favorire l’accessibilità alla cultura. Il museo, proprio perché le sue potenzialità espressive non si fondano esclusivamente sul linguaggio parlato, può costituire il luogo di valorizzazione dell’arricchimento di cui l’altro è portatore e di creazione nell’esperienza collettiva ed individuale di appositi spazi mentali per l’apertura continua alla dimensione incompiuta e diveniente dell’esistere.
Le difficoltà di un percorso del genere sono state sottolineate da Laura Carlini, responsabile del Settore musei dell’Istituto Beni Culturali, anche con il ricorso a ricerche statistiche che documentano, per la situazione italiana, l’assenza dai musei delle comunità degli immigrati. Del resto, una prospettiva museale multiculturale, attenta a promuovere le relazioni tra le diverse comunità, extraeuropee ed europee, può avere successo se parte dalla consapevolezza che l’accessibilità del museo a tutti può essere raggiunta attraverso politiche gestionali che investano sull’obiettivo di rendere comprensibili le proprie collezioni a pubblici di differente formazione e provenienza. Creare degli spazi fisici di respiro europeo che espongano oggetti che abbiano una comune matrice europea potrebbe essere un tentativo di facilitare la comunicazione lavorando su un profilo di identità europea. L’Istituto Beni Culturali partecipa a progetti europei come Collect and Share, (Raccogli e condividi), indirizzato all’inclusione delle fasce marginali di pubblico attraverso la condivisione dei progetti e dei programmi dei musei di tutta Europa.
Vito Lattanzi, responsabile dei servizi educativi del Museo etnografico “Luigi Pigorini” di Roma, sottolineato la necessità che il museo si interroghi sull’adeguatezza dei propri strumenti comunicativi al fine di stimolare le potenzialità espressive latenti dei giovani. Attualmente la proposta didattica predominante nei musei italiani è ancora l’opzione laboratoriale: il limite di questa proposta è segnalato dalla recente diffusione del modello dell’edutainment, che cerca di mediare educazione ed intrattenimento, sostituendo in buona parte gli aspetti cognitivi della mediazione didattica con quelli ludici. Sui pericoli di una deriva ludica e di percorsi conoscitivi eccessivamente facili ha insistito Marcello Di Bella, dirigente del settore cultura del Comune di Rimini, sottolineando l’opportunità di proporre comunque al pubblico giovanile dei metanodi, cioè dei grandi poli di orientamento cognitivo.
Attraverso il coinvolgimento in un progetto biennale di alcune classi di un Liceo di scienze sociali di Roma al Museo Pigorini, si è potuto verificare la validità di un modello educativo alternativo allo stesso edutainment mettendo al centro l’apprendimento museale (learning): le ragazze e i ragazzi hanno dapprima familiarizzato con i depositi e con le operazioni di catalogazione, poi sono stati invitati a costruire una collezione di oggetti d’affezione, provenienti dal loro vissuto e dal loro immaginario culturale, e a progettare un apposito percorso espositivo culminato in una vera e propria mostra.
Anche questo è un modo a disposizione del museo per esprimere la propria militanza sociale e la propria sensibilità verso le utenze marginali (Mario Turci, direttore dell’Istituto dei Musei Comunali di Santarcangelo), senza però venire meno al compito di tramandare il passato, quel paese straniero dove le cose si fanno in un altro modo.

La pagina del Sistema Museale della Provincia di Rimini - pag. 5 [2005 - N.23]

Aristocrazia, guerrieri e simboli in mostra al Museo Civico Archeologico di Verrucchio

Elena Rodriguez - Coordinatrice delle attività del Museo Civico Archeologico di Verrucchio

Un guerriero armato di elmo, scudo e spada in bronzo, con un raffinato mantello in lana sulle spalle, fissato da una fibula in oro: questa suggestiva ricostruzione dà inizio ad un’affascinante mostra, visitabile presso il Museo Civico Archeologico di Verucchio fino al 7 Gennaio 2007 (per informazioni tel. 0541.670222).
Il percorso è incentrato sui molteplici ruoli che competevano alle figure maschili di altissimo rango nell’ambito della comunità villanoviana di Verucchio durante la fase orientalizzante (fine VIII secolo a.C.). La documentazione presa in esame da Patrizia von Eles e dalla sua equipe di studiosi riguarda alcuni corredi funerari maschili venuti in luce durante gli scavi passati (degli anni ’70 e ’80) e nel corso delle più recenti indagini intraprese a partire dal 2005 nella Necropoli Lippi. Tra le sepolture esposte emerge la tomba B/1971 Lippi, la cui struttura a camera è ricostruita in mostra con il suo tavolato di copertura sostenuto da travi appoggiate su pilastri verticali in legno. Al suo interno stava una situla bronzea con i resti del cremato defunto, avvolta in un mantello e chiusa da un coperchio a disco con una complessa decorazione caratterizzata da figure di guerrieri e mostri realizzati con laminette metalliche applicate su un tessuto.
Questi ed altri ricchissimi reperti, insieme ad un originale apparato didascalico, sono articolati in tre sezioni tematiche, che approfondiscono aspetti centrali per il mondo aristocratico ed in particolare per quello maschile: l’abbigliamento, il banchetto, la guerra. Il primo tema è rappresentato non solo dagli oggetti di ornamento – tra cui fibule in metalli preziosi e ambra – da applicare sulle vesti, ma anche da un raffinatissimo abito in lana che proviene dalla Tomba B/1971 Lippi, e che è stato restaurato – come gli atri reperti tessili verucchiesi – grazie alla collaborazione con Annemarie Stauffer della Fachhochschule di Köln. Le ricerche hanno permesso di ricostruirne la forma (rettangolare con due lati a margine curvilineo), la tintura originaria (con un pigmento blu) e la complessa tecnica di tessitura: indizi questi che alludono ad un uso cerimoniale della veste.
Anche il banchetto rientra nel cerimoniale aristocratico e lo testimoniano i preziosi accessori esposti: da un lato il vasellame ceramico e bronzeo – con decorazioni anche dipinte – con contenitori per la conservazione, la preparazione e il consumo di cibi e bevande, che componevano ricchi servizi da mensa; dall’altro lato gli splendidi arredi in legno, provenienti dalle più prestigiose sepolture, tra cui un tavolino tripode con gambe caratterizzate da una decorazione plastica con rappresentazioni di animali fantastici e figure umane stilizzate. Si tratta di manufatti che, insieme ai troni e poggiapiedi già noti a Verucchio, sottolineano l’altissimo livello raggiunto dall’artigianato locale, ispirato a modelli dell’Etruria tirrenica e del vicino oriente.
Altro tema connesso alla sfera maschile della comunità villanoviana è quello della guerra, documentato dalla presenza nelle sepolture verucchiesi di armi da offesa e da difesa – spade, lance, coltelli, elmi, scudi – che nella quantità e nella raffinatezza delle loro fogge e decorazioni sottolineano la funzione dei guerrieri, ma riflettono anche il prestigio sociale proprio di un numero più ristretto di individui. Simboli del rango elevato sono anche i resti di carri e delle bardature, che facevano parte dei corredi e ai quali dovevano essere pertinenti funzioni connesse al rituale funebre.
Il percorso espositivo prosegue nella Sala del Trono (già parte principale del Museo), con il corredo della Tomba 89/1972 Lippi, il cui straordinario stato di conservazione offre una sintesi eccezionale delle forme di manifestazione del potere – che si esplicava a livello civile, militare ma anche religioso – esercitato da questo e da altri individui di altissimo rango.
Gli straordinari oggetti che formano tutti questi complessi corredi funerari spiccano per la loro qualità e raffinatezza e per i molteplici significati di cui sono intrisi, che alludono al prestigio sociale dei defunti, ai ruoli da essi pertinenti, ma che sembrano anche evocare l’ideologia legata al ciclo della vita e della morte, simbolicamente rappresentata dalle numerose presenze mostruose che accompagnano queste manifestazioni funerarie.

La pagina del Sistema Museale della Provincia di Rimini - pag. 5 [2006 - N.26]

La contemporaneità in scena nei musei di Rimini.

Luca Vannoni - Ufficio Cultura della Provincia di Rimini

Coinvolgere nuovi segmenti di spettatori nella vita dei musei, coinvolgendo i musei nelle dinamiche sociali del presente e creando legami con le espressioni artistiche contemporanee, è uno dei sensi del percorso della rassegna Effetto Doppler - eventi nei musei che si è conclusa lo scorso 11 febbraio.

La rassegna, organizzata dall'Assessorato alla Cultura della Provincia di Rimini in collaborazione con Doc Servizi e con la direzione artistica di Nicoletta Magalotti, ha cercato di contaminare i contenuti e le storie di alcuni musei del Sistema Museale Provinciale con forme artistiche e modelli comunicativi innovativi per creare risonanze tra la tradizione del patrimonio culturale delle esposizioni - i contenuti dei musei - e i bisogni, le curiosità e le attese di pubblici diversi, di nicchia, ma non solo.

Non si è inteso imporre ai musei coinvolti nell'iniziativa linguaggi e modalità espressive che ne snaturassero la storia e lo stile; piuttosto si è trattato di ascoltare le esigenze degli operatori museali per concordare percorsi di senso che riproponessero, attraverso il contatto con il contemporaneo, i contenuti del museo secondo modalità espressive capaci di interessare molteplici sensibilità e di fare scaturire risonanze dal contatto tra contesti lontani.

L'esperto di musica contemporanea, accorso per vedere il concerto del musicista Hector Zazou al Museo della Città di Rimini, non ha potuto fare a meno di incrociare le dissonanze sonore e visive con il contesto della Sala del Giudizio che lo ospitava e di essere coinvolto in inedite associazioni tra la pittura del trecento riminese e i movimenti avanguardistici del novecento e, talvolta, ha ritenuto di proseguire la visita alle altre sale del museo.

Il visitatore abituale del museo è stato incuriosito dalla forza dell'espressione contemporanea a rivedere l'opera già vista, la storia già conosciuta. Il museo, cioè, non è stato una semplice e casuale location per eventi disparati, ma ha accolto, dal suo interno, gli eventi della rassegna che, a loro volta, hanno beneficiato di questa, a volte straniante, decontestualizzazione per donare agli spettatori nuovi suggerimenti per percepire e gustare il patrimonio culturale custodito.

In questo senso, la visita guidata alla pinacoteca del Museo della Città di Rimini, condotta dal critico Luca Scarlini, è stata esemplare nel restituire freschezza e brio alla fruizione di capolavori famosi della storia dell'arte, attraverso la costruzione di rimandi tra l'immaginario del passato rinascimentale e quelle del presente postmoderno.
Effetto Doppler ha fatto riscoprire, o scoprire, la fisicità dello spazio museale, rimarcandone i limiti, anche sociali, per aprirlo a nuove opportunità di elaborazione culturale. In altri termini, il contesto museale ha potenziato la carica innovativa delle proposte, chiamandole a confrontarsi con atmosfere raccolte che facilitassero la formazione di un clima d'intesa familiare tra 'artista' e pubblico; evento dopo evento si è formata una sorta di comunità itinerante, che si è spostata da museo a museo, intrecciando storie ed emozioni.

Le conferenze spettacolo, come quella di Manlio Sgalambro o quella di Enrico Ghezzi, hanno regalato ai presenti l'opportunità di interagire dal vivo con dei protagonisti assoluti della scena culturale trasformati quasi, in virtù del contesto museale, in strane opere d'arte viventi, eppure vicine, alla mano. Questa tendenza della rassegna a favorire una socializzazione curiosa, dolce, non forzata, intorno ad occasioni culturali innovative ha trovato un'intensa conclusione nella performance di Nicoletta Magalotti presso il Museo della Linea dei Goti. Qui la comunità stessa degli abitanti di Montegridolfo, attraverso lo specchio incrinato dell'espressione contemporanea, ha avuto l'occasione di reincontrare la propria storia, la propria memoria, partecipando ad una esperienza di rielaborazione della propria identità storica profonda.

Effetto Doppler - eventi nei musei, dunque, è stato un progetto per ripensare non solo il museo, ma, attraverso il riverbero del contesto del museo nel contesto sociale, la stessa nozione di evento, troppo spesso inteso come sinonimo di intervento culturale effimero ed inconsistente.

La pagina del Sistema Museale della Provincia di Rimini - pag. 5 [2007 - N.29]

Un progetto europeo mette on line le mostre organizzate nei musei di tutta Europa

Luca Vannoni - Ufficio Cultura Provincia di Rimini

La Provincia di Rimini, dal 1 gennaio 2008, partecipa al progetto europeo euromuse.net, finanziato dalla Commissione Europea nell'ambito del programma eTEN. Il progetto, il cui termine è previsto per il 31 dicembre 2010, si propone di diffondere la conoscenza e l'utilizzo del portale www.euromuse.net, sul quale è possibile trovare notizie aggiornate, in lingua inglese, tedesca ed italiana, sulle mostre organizzate nei musei di tutta Europa ed altre informazioni supplementari sulle attività didattiche ed i bookshop degli stessi.
Sul portale sono già presenti più di 160 musei di 17 paesi europei, tra i quali importantissimi istituti museali come la National Gallery di Londra, il Museo del Louvre di Parigi, il Rijksmuseum di Amsterdam, la Galleria degli Uffizi di Firenze.
Al progetto, oltre alla Provincia di Rimini, partecipano i seguenti partner: Fondazione Prussiana per il patrimonio culturale di Berlino (coordinatore del progetto), l'Istituto per i Beni Culturali, il Kunsthistorisches Museum di Vienna, il Comune di Rimini, il centro di ricerca di Bologna Amitié.
Il progetto intende realizzare i seguenti obiettivi:
• l'implementazione della piattaforma esistente, con l'inserimento di ulteriori informazioni sulle mostre ed i musei di tutta Europa;
• l'integrazione dei dati dei musei con l'interfaccia Harmonise predisposto per gli operatori turistici, al fine di facilitare la comunicazione dei musei con il mondo del turismo;
• lo sviluppo della sezione del portale dedicata alle attività dei musei, con informazioni aggiuntive sulle pubblicazioni scientifiche e le ricerche degli stessi, e l'implementazione del servizio delle visite virtuali e delle proposte on-line.
In altre parole, si intende aumentare la possibilità di dialogo e rafforzare i legami tra musei e pubblico, tra cultura e turismo, tra esperti del settore museale di vari paesi europei, anche per stimolare le realtà museali locali a pensare il proprio sviluppo in un confronto virtuoso con il panorama museale europeo.
Attraverso un efficiente motore di ricerca presente in tutte le sezioni del sito chiunque può verificare, anche attraverso selezioni tematiche, quali mostre e quali attività culturali i musei di un determinato paese europeo, o di una determinata città, propongono al pubblico in un certo lasso di tempo. Una ricca e aggiornata selezione di link consente inoltre di approfondire la ricerca effettuata.
La Provincia di Rimini, in queste prime fasi, ha promosso l'adesione al progetto di alcuni musei del proprio Sistema Museale. Sino ad ora hanno aderito i seguenti musei: Museo della Regina di Cattolica, Museo del Territorio di Riccione, Galleria d'arte moderna e contemporanea Villa Franceschi di Riccione, MET - Museo degli Usi e Costumi della Gente di Romagna di Santarcangelo di Romagna, MUSAS - Museo Storico Archeologico di Santarcangelo di Romagna, Museo Civico Archeologico di Verucchio. Hanno inoltre aderito al progetto anche le seguenti realtà museali del Comune di Rimini: Museo della Città, Museo degli Sguardi, Domus del Chirurgo. Questi musei sono stati inseriti sul portale di euromuse.net e le notizie relative sono consultabili in lingua italiana ed inglese.
L'adesione al progetto da parte dei musei è gratuita e piuttosto semplice. Se il museo possiede un sito con un database compatibile con il sistema del progetto, può riversare i dati direttamente nel portale. In caso contrario, occorre compilare dei modelli con informazioni varie sul museo, le collezioni, le attività, le eventuali mostre in programma ed inviarli, insieme a delle immagini, al coordinatore che provvederà al primo inserimento. Successivamente, il museo potrà aggiornare a distanza, tramite un programma specifico, i propri dati. Per ulteriori informazioni, è possibile consultare il sito del progetto www.euromuse-project.net.

La pagina del Sistema Museale della Provincia di Rimini - pag. 5 [2008 - N.33]

Rilievi e acquerelli dall'archivio disegni della Soprintendenza in mostra al Museo Nazionale di Ravenna

Cetty Muscolino - Direttore del Museo Nazionale di Ravenna

Gli archivi della Soprintendenza custodiscono numerosi documenti riguardanti i restauri intrapresi a partire dal secondo Ottocento, che testimoniano l'impegno profuso sul territorio di competenza. Carteggi, perizie di spesa, relazioni e documentazioni grafico-pittoriche che attestano la cura dedicata alla conservazione dei monumenti, le problematiche e le linee di metodo adottate.
La nuova mostra è un ampliamento della sezione Documentare il restauro inaugurata in occasione dell'evento espositivo La cura del bello. Musei, storie, paesaggi. Per Corrado Ricci promossa dal Mar per il 150° anniversario della nascita di Corrado Ricci (Ravenna, 1858 - Roma, 1934). Affianco ai documenti d'archivio un suggestivo allestimento video realizzato in multivisione consente, con proiezioni multiple sincronizzate, di visualizzare gli interventi di conservazione e restauro delle decorazioni musive. Nella nuova sezione l'allestimento di calchi al vero e disegni ad acquerello, prodotti fra la fine dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento, consentirà di comprendere le modalità di registrazione dei mosaici da parte dei restauratori. Si tratta di preziosi documenti apprezzabili per il valore documentario ed estetico.
Un universo paradisiaco abitato da deliziosi volatili e creature angeliche, interpretazione pittorica dei mosaici di San Vitale e della Cappella Arcivescovile, prende vita in pregevoli acquerelli caratterizzati da abilità tecnica e sensibilità pittorica. Fra i calchi al vero esposti, riguardanti la decorazione musiva parietale di San Vitale, figura una porzione della vela sud della volta presbiteriale. Nel disegno, della dimensione di 2.85x4.11 metri, sono riportati mediante perimetrazione "a matita contè" i numerosi soggetti iconografici, dall'angelo, al celeste bestiario, alla rigogliosa vegetazione di frutti e girali d'acanto. In prossimità del calco, e quindi felicemente ricontestualizzato, è posto il frammento musivo della testa dell'angelo, staccato nel 1885 dai mosaicisti-restauratori Carlo Novelli e Ildebrando Kibel perché in procinto di cadere: il mosaico è stato oggetto di studio e restauro in occasione della tesi di fine corso da parte di Maria Luisa De Toma, allieva della Scuola per il Restauro del Mosaico di Ravenna. Sulla volta di San Vitale venne collocata una copia musiva, realizzata dal Novelli, e il volto originale fu conservato nel Museo Nazionale.
In una comunicazione del 1934 indirizzata al Direttore dei Monumenti di Ravenna, il Ministro della Educazione Nazionale scrive: "Nel 1885, mentre dirigeva codesto Ufficio il Genio Civile, fu levato dal mosaico della volta del Presbiterio di S. Vitale la parte superiore d'uno degli angeli che reggono la ghirlanda con l'Agnello mistico. La ragione si fu perché, essendo essa quasi staccata dal muro, minacciava di cadere. Ma, anziché rimetterla e fissarla, si rifece in posto mosaico nuovo". La misura doveva ritenersi provvisoria e infatti nel 1917 il Soprintendente dei Monumenti di Ravenna comunicò l'intenzione di restituire al Monumento il frammento originario, ma questo non fu possibile per la presenza dei presidi protettivi dai bombardamenti bellici. Successivamente, per le vicissitudini più varie, il frammento rimase definitivamente al Museo, nonostante le volontà di ricollocarlo nel suo luogo originario.
Per quanto attiene alle documentazioni grafico pittoriche, oltre ai disegni delle decorazioni musive della Cappella Arcivescovile, realizzati da Alessandro Azzaroni, sarà possibile ammirarne altri riconducibili all'attività di Felice Kibel che, secondo quanto scrive Gerola: "Oltre ai lavori ufficiali compì però altre opere di qualche interesse. Riprodotti in grandezza naturale tutti i mosaici ravennati, con due successive riduzioni a mezzo del pantografo, ne ricavò una serie di disegni a colori che furono raccolti in album: e questo dalla famiglia Lanciani, passò al Museo Alessandro III di Mosca".

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 5 [2009 - N.36]

A Ravenna è attivo il corso di laurea magistrale in Storia e Conservazione delle Opere d'Arte

Donatella Biagi Maino - Presidente del Corso di laurea

È una verità universalmente riconosciuta che la conservazione delle opere d'arte tramandate dal passato è dovere e privilegio di ogni Paese, poiché attraverso il rispetto della cultura e conseguentemente attraverso la ricerca si attua ogni possibilità di progresso. Tuttavia, a tale assiomatica certezza non sempre corrisponde la volontà di porre in essere le misure necessarie per ottemperare alle necessità, spesso inderogabili, che le opere d'arte stesse manifestano, e sempre più spesso assistiamo a operazioni di restauro e allestimenti museografici condotti con allarmante pressappochismo e mancanza di professionalità, con conseguente danno al patrimonio e alle possibilità di conoscenza.
Per questi motivi e per i numerosi episodi che si sono verificati in tempi anche recentissimi in Italia e all'estero, spesso ponendo l'accento nel trattare il bene culturale anziché sull'aggettivo sul termine 'bene', estrapolandone, con forzatura evidente, il solo valore economico, già nel 1947 Horkheimer e Adorno, nella Dialettica dell'illuminismo, sottolineavano come la dissoluzione del carattere delle opere d'arte a merce faceva sì che venisse meno anche l'ultima barriera che si opponeva alla loro degradazione a 'beni culturali' secondo il significato spesso invocato, è oggi più che mai importante formare una nuova generazione di storici dell'arte e conservatori in grado di comprendere la genesi dell'opera, il contesto in cui nasce e si situa, di definirne l'ambito culturale, di scuola, la tecnica esecutiva, le vicende conservative, gli eventuali restauri a cui è stata sottoposta, di proporne - a partire dall'interpretazione corretta, filologica del dipinto e dalla sua matericità - le ottimali condizioni di conservazione e migliori soluzioni espositive, per poter tramandare alle generazioni future un patrimonio irripetibile e che rappresenta un aspetto fondante delle nostre cultura e tradizione.
La laurea magistrale in "Storia e Conservazione delle Opere d'Arte", istituita da due anni presso la Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna, si propone di assolvere questo compito nei limiti concessi a un corso di durata biennale, e intende difatti preparare gli studenti ad affrontare i compiti deputati a un conservatore, quindi con una approfondita conoscenza della storia dell'arte occidentale e delle sue radici classiche e bizantine, con un'apertura significativa alle concezioni e tradizioni artistiche dell'Asia. Lo studente potrà così acquisire una buona padronanza degli strumenti filologici e storici, indispensabili per la comprensione dell'opera nel suo contesto territoriale e nella periodizzazione relativa.
Insegnamenti tecnici e scientifici mirano a fornire gli strumenti cognitivi, non operativi, ma direttivi per la progettazione e la direzione di interventi di manutenzione programmata o, qualora se ne ravvisi l'assoluta necessità, di restauro delle opere d'arte, dipinti, affreschi, sculture... Nel curriculum disciplinare sono infatti presenti elementi di fisica e chimica, di informatica ed elaborazione delle immagini con il restauro virtuale - temi sempre più discussi e spesso malintesi nel dibattito scientifico attuale - fino al diritto dei beni culturali.
Obiettivo del corso è quello, ambizioso ma fattibile, di preparare gli allievi al mestiere di storico d'arte e di conservatore con una solida base storica e filologica, accompagnata alla comprensione dei principi scientifici delle tecniche diagnostiche non distruttive e delle procedure informatizzate di documentazione dell'oggetto di studio e di tutela. La preparazione teorica, in aula, si accompagna a seminari, esercitazioni di laboratorio, visite a musei, pinacoteche, laboratori di restauro, per offrire una diversificata visione dei molti approcci possibili o praticati ai problemi del restauro e della conservazione, rendendo gli allievi consapevoli dei rischi e delle possibilità di errori interpretativi quando si affrontano problemi complessi come quelli legati alla conservazione delle opere.
I conseguenti tirocini formativi, possibili in ragione delle tante convenzioni attivate con enti pubblici, musei e laboratori di restauro, concederanno agli iscritti di avere un primo incontro con il mondo del lavoro, così da misurare le proprie capacità e comprendere le realtà di questo settore, difficile in un Paese come il nostro, prodigo di opere d'arte riconosciute e in più situazioni ancora in difetto in ambito manutentivo, ma estremamente appassionante.

La pagina della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 5 [2010 - N.37]

A Ravenna il Corso di Laurea Magistrale in "Ricerca, documentazione e tutela dei beni archeologici"

Sandro De Maria - Presidente del Corso di Laurea Magistrale

Tradizionalmente, nel nostro Paese, gli archeologi, nell'amministrazione dello Stato e nelle Università, hanno avuto il loro luogo di formazione nelle Facoltà di Lettere e Filosofia. Da diversi anni a questo percorso si sono affiancate le Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali, ancora poche in Italia (prevalgono piuttosto singoli corsi di laurea all'interno delle Facoltà di Lettere), ma particolarmente attive. Esse prevedono percorsi archeologici nel primo livello (laurea triennale) e soprattutto lauree magistrali esplicitamente archeologiche, sia pure con diverse qualificazioni culturali. Nella sede ravennate da circa tre anni questo corso di laurea è stato profondamente ridisegnato e proprio chi scrive ha avuto come Presidente il compito di proporre trasformazioni che ritengo rilevanti, significative e in particolare orientate verso traguardi che, oltre alla tradizionale e moderna ricerca, comportano una formazione qualificata in senso operativo dei giovani che si avviano a questa professione, dal fascino indiscutibile. Dunque grande spazio all'acquisizione di nuove tecnologie, alla consuetudine con strumentazioni sofisticate per il rilievo e la documentazione, al dialogo costante con le scienze sperimentali. Tutto questo, però, mantenendo solide basi sul versante umanistico e con uno sguardo attento ai problemi della conservazione e della valorizzazione del patrimonio archeologico, coniugando appunto fra loro i valori della ricerca, della documentazione e della tutela, come si riassume nell'intitolazione del corso di laurea.

Una scelta culturale di fondo era necessaria, io credo, per non essere generalisti all'estremo e in fondo ripetitivi del percorso proposto dalla laurea triennale. Il corso archeologico del secondo livello è stato così qualificato privilegiando le tematiche dell'archeologia della città, in sintonia con le tradizioni culturali del Dipartimento di Archeologia del nostro Ateneo bolognese, almeno dal secondo dopoguerra in poi. Questo ovviamente non significa l'esclusione, ma piuttosto l'integrazione di altri e differenti orientamenti. L'arco cronologico spazia dall'antichità al medioevo, ma sempre considerando i temi dell'archeologia della città in rapporto con le dinamiche degli insediamenti nei territori e con gli aspetti molteplici delle "culture della città" e con larghe aperture verso le culture dell'Oriente, nella tradizionale apertura di Ravenna verso questi contatti e questi scambi. Il taglio culturale privilegiato per il piano formativo, oltre alle innumerevoli sfaccettature che comporta, credo che qualifichi in senso positivo il Corso di Laurea ravennate rispetto a quelli analoghi proposti in altre sedi e in altri contesti.

Tutto questo lo offriamo ai nostri studenti con proposte formative che vanno ben al di là dei tradizionali corsi universitari. Voglio segnalare con soddisfazione i numerosi laboratori che possono essere frequentati e che sono indispensabili per la crescita culturale e tecnico-operativa che ho indicato: dallo studio dei materiali archeologici di diversa natura, all'archeobiologia (paleobotanica, archeozoologia), dalle tecniche del rilievo e della documentazione all'antropologia fisica. Non credo di esagerare affermando che quanto i nostri studenti trovano nei laboratori dei due Dipartimenti ravennati rappresenta davvero un'eccellenza a livello nazionale (ma non solo), peraltro ampiamente riconosciuta. E poi le molte possibilità di partecipazione a importanti campagne di scavo, in Italia e all'estero, apprendistato indispensabile per uno studente di archeologia fin dal primo anno.

Il nostro Paese, come sappiamo tutti, investe cifre irrisorie nel proprio patrimonio storico e culturale, a fronte dell'entità e della straordinarietà di quei beni culturali che rappresentano il più importante patrimonio di tutti noi. La nostra Facoltà, dunque, forma archeologi che, quando ne hanno l'opportunità, raggiungono grandi successi nei concorsi, negli impieghi pubblici e privati. Ma dovremmo offrire più occasioni ai migliori - e sono numerosi - per inserirli in un sistema che davvero ponga nel ruolo che meritano i segni e gli spazi della nostra identità.


La pagina della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 5 [2010 - N.39]

Un insegnamento ad hoc per formare i futuri responsabili dei musei alla comprensione della complessità museale

Elena Latini - Docente di Museografia e museotecnica - Università di Bologna

recenti inaugurazioni del Museo del Novecento a Milano e del Maxxi a Roma hanno riportato l'attenzione dei mass-media sull'istituzione museale che ha come obiettivo la conservazione e l'esposizione, la documentazione e l'intrattenimento.
Ne consegue la necessità di poter disporre di ambienti specifici, distinti gli uni degli altri, destinati alle diverse finalità del museo.
In Italia, i musei di nuova costruzione sono una piccola percentuale rispetto a quelli che vengono accolti all'interno di edifici storici, o nell'uso di edifici pubblici, dove l'obiettivo è incentrato soprattutto sull'allestimento interno che possa consentire la conservazione, la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale in essi contenuto.
Il 10 maggio di quest'anno si sono festeggiati i dieci anni dall'approvazione del Decreto ministeriale Atto di indirizzo sui Criteri tecnico-scientifici e standard di funzionamento e di sviluppo dei musei. Per la prima volta nella legislatura è entrato il termine straniero "standard", parola cara agli addetti ai lavori, che vuole proporre un livello a cui tutti i musei nazionali devono giungere, e un giorno superare. Il loro riconoscimento e la loro applicazione varia in base alle regioni e indubbiamente l'Emilia Romagna è tra quelle che si è posta maggiormante tale obiettivo.
È necessaria la massima cooperazione tra istituzioni museali e Università, tra Regione e Soprintendenze con l'obiettivo di rendere i musei sempre più duttili alle nuove esigenze e conoscenze, proponendo percorsi museografici o accorgimenti tecnici che consentano di accogliere il visitatore e di renderlo partecipe al percorso di conoscenza, proponendogli itinerari in base alle sue conoscenze e curiosità, motivando così l'investimento del proprio tempo libero all'interno del museo.
È per questi molteplici motivi che presso la Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna si propone la materia di Museografia e Museotecnica. Con essa si vuole fornire agli studenti gli strumenti per conoscere e comprendere l'aspetto architettonico del progetto museale, che dovrebbe avere una sistemazione flessibile pronta ad adeguarsi alle richieste, anche temporanee, dei direttori e dei responsabili, ma soprattutto gli aspetti incentrati sulla tutela e la valorizzazione. Il corso propone un'analisi dei modelli storici dei vari luoghi e forme del museo, che vanno dalle stanze alle gallerie dei principi fino agli attuali spazi espositivi costruiti ad hoc e, osservando le differenze tra quelli europei e quelli americani, permette di conoscere le varie soluzioni di allestimento proposte a esigenze e obiettivi che sono variati nel tempo. Particolare importanza è attribuita all'apprendimento e alla applicazione degli strumenti volti alla conservazione delle opere esposte nelle sale dei musei e nei loro depositi. Per consentire agli studenti di focalizzare i principali fattori che interagiscono con lo stato di conservazione delle opere si organizzano visite presso le istituzioni museali. Inoltre, gli studenti sono stimolati a redigere delle schede sui musei in cui siano tracciate la storia ma anche i dati relativi alla temperatura e dell'umidità relativa dei vari materiali esposti, nonché l'interazione dei materiali costitutivi con i fattori di rischio, i fenomeni di deterioramento ed infine con l'illuminazione.
L'insegnamento ha l'obiettivo di formare i futuri responsabili alla comprensione della complessità del museo e alla capacità di dialogo con altri esperti che collaborano a rispondere non sono alle esigenze della conservazione del patrimonio culturale ma anche al riconoscimento di questi come istituti sociali che svolgono il ruolo di servizio pubblico, di centro di produzione del sapere, di promozione del dialogo, anche interculturale sottolineando e accrescendo il senso di appartenenza del bene al suo fruitore speriamo sempre più costante e vivace.

La pagina della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 5 [2011 - N.41]

La facoltà di Conservazione dispone di uno dei centri di studio più qualificati in Italia su questo tema

Luigi Tomassini - Docente di Storia e tecnica della fotografia e degli audiovisivi

La fotografia si è affermata fin dalle sue origini (nel 1839) come un potente strumento di documentazione del paesaggio e dei beni artistici e culturali. Mentre in Francia questo avvenne in origine per iniziativa dello Stato, con la MissionHéliographique (1851), in Italia furono alcuni grandi fotografi privati (Alinari, Anderson, Brogi) che documentarono monumenti, paesaggi, opere d'arte della penisola. Lo stato intervenne molto più tardi, alla fine del secolo, e il ravennate Corrado Ricci fu uno dei protagonisti di questa nuova stagione.
Attualmente, quelle fotografie nate inizialmente in funzione strumentale, per documentare visivamente le opere d'arte, o per testimoniare lo stato di conservazione di siti o monumento a rischio di degrado, sono divenute esse stesse beni culturali, da conservare e tutelare. Ma se quelle foto che abbiamo appena citate si tutelano facilmente per il loro alto valore venale (valutabile nei casi migliori nell'ordine delle diverse decine di migliaia di euro per una stampa originale), assai diverso è il caso per tutte quelle fotografie di operatori più recenti o meno noti, o per quelle di dilettanti e fotografi occasionali, che pure in certi casi costituiscono una documentazione molto interessante del territorio.
La Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali ha a disposizione uno dei centri di studio più qualificati in Italia su questo tema. Presso il Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali è stato istituito un Laboratorio Fotografico specializzato nella conservazione e tutela del patrimonio fotografico storico, oltre che in operazioni di documentazione fotografica dei beni culturali attuali.
Il Dipartimento e la Facoltà, con la collaborazione della Fondazione Flaminia, hanno organizzato nel corso degli ultimi 15 anni diverse iniziative di rilievo nazionale e internazionale sul tema della documentazione fotografica. In particolare hanno organizzato nel maggio 2004 il convegno "Problemi e pratiche della digitalizzazione del patrimonio fotografico storico" a cui parteciparono ben 37 fra i più importanti enti e istituzioni coinvolte in operazioni di digitalizzazione del patrimonio fotografico storico, dagli Alinari alle Teche RAI, dall'Istituto Luce alla Biennale di Venezia.
Nel 2009 è stato organizzato presso il DISMEC il convegno "Forme di famiglie, forme di rappresentazione fotografica, archivi fotografici familiari", con 57 relatori e più di 200 iscritti, che ha portato l'attenzione sulla cosiddetta "fotografia vernacolare", cioè su quella fotografia di documentazione della vita quotidiana che fino ad ora era stata considerata estranea al concetto di bene culturale, ma che adesso, anche a livello internazionale, tende ad essere rivalutata nettamente.
Oltre a questa attività di ambito nazionale, è stata svolta anche una intensa attività di carattere internazionale, con una partecipazione a un progetto Europeo, con collaborazioni con ONG riconosciute dall'ONU e con istituzioni di vari paesi europei, fra cui l'Institut National du Patrimoine, Département des Restaurateurs. Una convenzione con la Fondazione e Museo Fratelli Alinari di Firenze ha portato alla realizzazione di una serie di oltre 20 tesi di laurea sulla fotografia di documentazione fra XIX e XX secolo, nonché a collaborazioni e a varie attività di tirocinio e stage sia presso gli Alinari sia presso altri istituti qualificati come l'Istituto Centrale per la Grafica o l'Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione.
Infine la Facoltà e il DISMEC hanno svolto continuativamente una attività relativa al territorio. Nel 2001 venne tenuta presso la Facoltà con la consulenza di Lucio Gambi, una mostra fotografica, accompagnata da un catalogo con prefazione di Maurice Aymard, che illustrava, attraverso l'attività della Federazione, la storia del paesaggio agrario e delle attività di bonifica, di regimazione delle acque e di sistemazione  dei canali, nella provincia di Ravenna. Nel 2005 il Laboratorio Fotografico del DISMEC ha allestito la mostra "Il mare dentro. La Darsena di città e il futuro di Ravenna", patrocinata dal Comune di Ravenna e completamente realizzata e allestita con le attrezzature e i materiali del Laboratorio da un gruppo di studenti. Su questa stessa linea, si è avviata una serie di convenzioni con enti locali e fondazioni bancarie che hanno portato nel corso degli anni a realizzare una capillare opera di raccolta e di digitalizzazione di fotografie di documentazione del territorio della provincia.

La pagina della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 5 [2012 - N.43]

Grazie a una convenzione con l'Università di Bologna, il FAI propone numerosi tirocini agli studenti ravennati

Adasofia Del Moro Papiani - Delegata ai tirocini universitari FAI di Ravenna

Promuovere una cultura di rispetto dell'arte e del paesaggio d'Italia: questa la missione del FAI - Fondo Ambiente Italiano, che dal 1975 ha restaurato a proprie spese 48 importanti testimonianze del patrimonio artistico e naturalistico italiano, aprendole al pubblico. Il FAI dispone di una rete capillare di volontari, distribuiti in 112 Delegazioni, impegnati a sensibilizzare la collettività al valore del patrimonio artistico e paesaggistico nazionale e all'importanza della sua tutela. Da alcuni anni ha concentrato tale opera di sensibilizzazione sui giovani, nella convinzione che solo in questo modo si possa garantire un futuro ai valori che sostiene.
Tra le attività che la Delegazione FAI di Ravenna ha organizzato per il mondo giovanile, una delle più recenti e fortunate si è rivelata quella rivolta agli studenti universitari attraverso la proposta di tirocini, resi possibili da una convenzione stipulata alla fine del 2010 tra il FAI di Ravenna e l'Università degli studi di Bologna - sede di Ravenna. Da allora, in poco più di un anno, sono stati ben sei i tirocini portati a termine dagli studenti, e già nuove richieste stanno avanzando.
Si tratta di studi di approfondimento su tematiche artistiche o ambientali, proposti dalla Delegazione FAI di Ravenna e accettati dall'Università, che riguardano il territorio del Ravennate e che hanno trovato il favore di giovani iscritti alla Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali e al corso di laurea in Scienze ambientali. Il loro lavoro è seguito sia da un tutor universitario, un professore di volta in volta indicato dalla Facoltà a seconda delle discipline coinvolte, sia da un tutor del FAI, la Delegata ai tirocini universitari del FAI di Ravenna. Oltre a consentire il riconoscimento del credito formativo, per i giovani universitari tali tirocini costituiscono un prezioso addestramento alla ricerca, sia pur della durata di pochi mesi.
Si è così sviluppata una fitta trama di volontariato, da quello degli studenti a quello dei Delegati FAI e degli esperti che aiutano gli studenti nelle loro ricerche presso archivi, biblioteche, musei, palazzi, monumenti e siti ambientali. Nel capoluogo sono già stati portati a termine cinque tirocini ("Palazzo Bacinetti, un tesoro nascosto di Ravenna"; "Il Museo del Risorgimento di Ravenna, memoria storica della città"; "Ravenna 'città del mosaico' in ambito contemporaneo"; "Palazzi neoclassici di Ravenna" e "Loggetta Lombardesca: storia architettonica, vicende monastiche e riutilizzo dell'edificio"), mentre uno è stato completato a Faenza ("Museo Internazionale delle Ceramiche - Didattica museale - Giocare con l'arte").
Le ricerche sono state condotte presso varie istituzioni culturali della provincia (a Ravenna Biblioteca Classense, Biblioteca Oriani, MAR, Centro di Documentazione del Mosaico, Archivio di Stato e Soprintendenza; a Faenza MIC), avvalendosi della guida di personale interno e di esperti indicati dal FAI. Non solo. Nel caso di Palazzo Bacinetti, per una migliore contestualizzazione dell'edificio, sono stati visitati anche famosi palazzi neoclassici di Faenza, quali Palazzo Laderchi e Palazzo Milzetti, mentre la ricerca sul Museo del Risorgimento di Ravenna è stata estesa allo studio delle tecniche di conservazione museale; nel tirocinio su Ravenna città del mosaico contemporaneo sono stati inoltre coinvolti vari laboratori di mosaicisti ravennati e a Faenza sono state effettuate attività di laboratorio con operatori interni al Museo, in vista di un'applicazione della didattica dell'Arte rivolta soprattutto ai bambini della scuola dell'infanzia.
Attualmente è in corso, presso il corso di Scienze ambientali, un tirocinio su "Le Pinete storiche del Ravennate, formazioni di transizione tra la regione mediterranea e quella medioeuropea", a cui collaborano anche il Delegato al territorio del FAI di Ravenna e naturalisti dell'associazione "L'Arca". Dopo un'iniziativa di presentazione al pubblico dei tirocini effettuati, il FAI di Ravenna ha organizzato visite al Museo del Risorgimento e alla Loggetta Lombardesca guidate dalle autrici dei rispettivi tirocini, così come farà presto con i mosaici contemporanei della città. E per l'A.A. 2012-2013 già sono allo studio due nuovi tirocini FAI presso la Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali, uno a Cervia, uno a Bagnacavallo e uno a Faenza!

La pagina della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 5 [2012 - N.44]

Completata l'applicazione del nuovo Statuto di Ateneo

Pierfrancesco Callieri - Preside di Facoltà

Il 15 ottobre 2012 l'Alma Mater Studiorum ha visto un cambiamento radicale, con la disattivazione delle Facoltà e l'entrata a regime degli organi accademici previsti dal nuovo Statuto di Ateneo. Così come in tutti gli atenei d'Italia, le Facoltà, che sin dalla costituzione delle prime università hanno costituito un immediato punto di riferimento per il ruolo dell'Università nella società italiana, non costituiranno più la struttura di incardinamento di didattica e docenza. Viene così portato a compimento quel progetto avviato con la riforma del 1980, che sancì la nascita dei Dipartimenti: tali strutture, che sino ad oggi si sono occupate solo dell'attività di ricerca del personale docente, vengono ad assorbire anche responsabilità didattiche, analogamente a quanto già avveniva nelle università del mondo anglo-sassone, al fine di permettere un più saldo radicamento della didattica nelle attività di ricerca dei docenti. Mentre però gli ordinamenti didattici del mondo anglo-sassone sono calibrati sulle caratteristiche dei Dipartimenti, i corsi attivati nelle università italiane sono nati all'interno delle Facoltà, e l'applicazione della Legge Gelmini risulta complessa.

L'art. 16 dello Statuto dell'Alma Mater al comma 1 dichiara che "i Dipartimenti sono le articolazioni organizzative dell'Ateneo per lo svolgimento delle funzioni relative alla ricerca scientifica e alle attività didattiche e formative". Sono i Dipartimenti che, tra le loro numerose funzioni, oltre ad approvare come in precedenza un piano triennale della ricerca, approvano per la parte di loro competenza un piano triennale della didattica, propongono alle Scuole di riferimento l'attivazione e la disattivazione dei Corsi di Studio, deliberano i compiti didattici dei professori e ricercatori e formulano richieste di posti di professore e ricercatore al Consiglio di Amministrazione: funzioni che in precedenza erano in carico alle Facoltà.

La Legge Gelmini, tuttavia, prevede la possibilità di istituire delle strutture di raccordo tra i Dipartimenti per le funzioni didattiche, che nei diversi Atenei possono prendere il nome di Scuole o Facoltà. L'Alma Mater, in virtù della sua complessità, ha quindi istituito anche le Scuole, "per le esigenze di razionalizzazione e gestione dell'offerta formativa di riferimento nonché di supporto, necessarie a garantire il perseguimento di obiettivi di tutela della qualità della didattica" (art. 18 dello Statuto).

Cosa è cambiato dal 15 ottobre per l'insediamento ravennate dell'Alma Mater sui Beni Culturali? La Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali è stata disattivata. La maggior parte del suo corpo docente è stata incardinata nel Dipartimento di Beni Culturali, evoluzione del precedente DiSMEC di Via degli Ariani. I docenti in precedenza afferenti al Dipartimento di Archeologia nella sua sezione ravennate di Via S. Vitale hanno dato vita a una Unità Organizzativa di Sede del nuovo Dipartimento di Storia e Culture Umane. Continueranno infine a prestare attività didattica a Ravenna alcuni docenti di altri dipartimenti bolognesi.

Gli attuali quattro Corsi di Studio della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali sono tutti proposti dal Dipartimento di Beni Culturali, sulla base della maggiore percentuale di crediti impartiti dai suoi docenti. Per il coordinamento dell'attività didattica tra i diversi Dipartimenti, di competenza delle Scuole, tre dei corsi (il corso di laurea in Beni Culturali e i due corsi di laurea magistrale di ambito archeologico e storico-artistico) sono coordinati dalla Scuola di Lettere e Beni Culturali, mentre il corso di laurea magistrale in Cooperazione internazionale rientra nelle competenze della Scuola di Scienze Politiche.

Proprio per la rilevante offerta didattica legata alla passata presenza della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali, al fine di garantire un più efficiente coordinamento delle attività didattiche, la Scuola di Lettere e Beni Culturali ha a Ravenna la sede di una Vice-presidenza, guidata da un Vice-presidente nominato dal Presidente della Scuola, presso la quale continua a prestare servizio il personale tecnico-amministrativo già in forza alla Facoltà.


La pagina della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 5 [2012 - N.45]

A Ravenna un nuovo istituto di formazione superiore e di ricerca

Angelo Pompilio - Diretttore Dipartimento di Beni culturali

Il Dipartimento di Beni culturali (www.beniculturali.unibo.it), una delle 33 nuove strutture in cui si articola l'Alma Mater Studiorum, è stato istituito il 16 ottobre 2012 in attuazione del nuovo statuto e dell'assetto organizzativo complessivo determinato dalla riforma universitaria. Non si tratta quindi di un semplice cambio di denominazione, ma di una struttura completamente diversa in cui sono ora riunite le competenze sulla didattica e sulla ricerca che nel precedente sistema erano rispettivamente attribuite alle tradizionali Facoltà e ai Dipartimenti, introdotti nel 1980 per dotare di autonomia contabile e finanziaria gli Istituti.
Il nuovo Dipartimento eredita e consolida un'importante tradizione di studi e insegnamento superiore nell'ambito dei beni culturali presso la sede di Ravenna dell'Università di Bologna: inaugurata con i primi corsi della Scuola diretta a fini speciali per archivisti (1989) e consolidata con l'istituzione della Facoltà di Conservazione dei beni culturali (1996) per le attività didattiche, e del DiSMEC (1998) per quelle di ricerca.
Il Dipartimento aggrega studiosi e gruppi di ricerca di provenienza diversa in una prospettiva comune e trasversale incentrata sui beni e le tradizioni culturali, le culture dei popoli, il patrimonio culturale e ambientale. Per questo una consapevole e critica indagine diventa efficace solo quando i saperi umanistici (storici, filologici, letterari, archeologici, artistici e musicologici) si coniugano sia con gli studi antropologici, socio-economici e politologici sia con le metodologie e gli strumenti scientifici, tecnici e informatici in un ambiente di lavoro condiviso e orientato ai temi della conoscenza, tutela, conservazione e valorizzazione del patrimonio.
L'ampio spettro di settori, competenze e strumenti metodologici attivi nel Dipartimento riflette la necessaria trasversalità della ricerca e non un semplice approccio interdisciplinare. In una diversa prospettiva che è opportuno definire trans-disciplinare, l'attenzione dei ricercatori è rivolta a oggetti di studio condivisi e non a una specifica e accademica tradizione di studi. Questa nuova 'visione' rende possibile l'interpretazione critica di un patrimonio articolato e multiforme in attività di ricerca orientate e finalizzate all'elaborazione di progetti concretamente spendibili nel contesto di riferimento, con una forte attenzione alla rilevanza sociale dei risultati ottenuti e alla loro sostenibilità in termini di sviluppo culturale ed economico.
Il Dipartimento promuove la ricerca e la formazione superiore, anche con l'obiettivo di creare figure professionali altamente specializzate, flessibili e competenti davanti alla complessità del patrimonio culturale, ai suoi differenti aspetti e alle interrelazioni che, sempre più in futuro, legheranno tali aspetti fra loro. Allo stato attuale nel Dipartimento sono attivi un Corso di Studi (triennale) in Beni culturali e tre Corsi di Laurea Magistrale in Storia e conservazione delle opere d'arte; Ricerca, documentazione e tutela dei beni archeologici; Cooperazione internazionale, tutela dei diritti umani e dei beni etno-culturali nel Mediterraneo e in Eurasia.
I Beni culturali sono un investimento necessario per il futuro perché ogni generazione ha il dovere di conservare e tramandare il patrimonio ricevuto. Ma lo studio e la ricerca sui Beni culturali rappresentano oggi anche un'imprescindibile occasione di sviluppo culturale, economico, sociale. Nel recente e fortunato libro Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica (Bologna, 2011) Martha Nussbaum, ha chiarito con grande efficacia che le tradizionali competenze umanistiche, la conoscenza delle culture artistiche e narrative vanno coltivate anche per la loro intrinseca efficacia e utilità nel contesto economico-produttivo. E anzi, proprio in ragione di queste condivisibili tesi, il profitto può diventare il risultato anche di attività legate alla diffusione e alla tutela del patrimonio culturale. Del resto già quasi quarant'anni fa - con accenti quasi profetici - un grande intellettuale, storico dell'arte e archeologo come Ranuccio Bianchi Bandinelli, immaginava che lo sviluppo tecnologico avrebbe liberato l'uomo dai lavori più strumentali e un numero sempre crescente di individui avrebbe potuto dedicarsi al lavoro intellettuale anche perché sarebbe aumentata la domanda di poter consumare (e produrre) beni culturali. Il tempo preconizzato da Bianchi Bandinelli è ormai la sfida attuale e urgente del nostro presente, in cui la crisi economica si riflette in una crisi del lavoro che non sembra potersi risolvere nell'ambito dei tradizionali sistemi produttivi e finanziari.
Questa la sfida che il nuovo Dipartimento intende cogliere per esercitare un ruolo di protagonista attivo nello scenario nazionale.

La pagina del Dipartimento di Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 5 [2013 - N.46]

A Ravenna un nuovo corso di studi per la formazione di restauratori con due percorsi specifici

Angelo Pompilio - Direttore Dipartimento di Beni Culturali

Con il prossimo autunno 2013 prenderà avvio a Ravenna il nuovo corso di laurea magistrale quinquennale a ciclo unico in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali abilitante all'esercizio della professione di restauratore di beni culturali. Il corso sarà attivato presso la Scuola di Lettere e Beni Culturali sulla base di un accordo tra l'Alma Mater Studiorum - Università di Bologna, la Direzione Regionale per i Beni Culturali e Paesaggistici dell'Emilia-Romagna con le due Soprintendenze per i Beni Architettonici e Paesaggistici e per i Beni Archeologici dell'Emilia-Romagna e la Fondazione RavennAntica, e con il sostegno della Fondazione Flaminia.
Si tratta di un corso abilitante che forma la nuova figura professionale del restauratore di beni culturali, istituita dal D.Lgs. n. 42/2004 con il fine di regolamentare l'esercizio del restauro di beni culturali, e che si basa su un ordinamento nato dall'azione congiunta dei due ministeri per i Beni e le Attività Culturali e per l'Istruzione, l'Università e la Ricerca.
Il restauratore di beni culturali è "il professionista che definisce lo stato di conservazione e mette in atto un complesso di azioni dirette e indirette per limitare i processi di degrado dei materiali costitutivi dei beni e assicurarne la conservazione, salvaguardandone il valore culturale" (D.M. 26.05.2009, art.1 c.1). L'ordinamento ministeriale della nuova classe (LMR/02) prevede una serie di percorsi formativi professionalizzanti relativi alle diverse tipologie di materiali sottoposti al restauro. Il corso ravennate ne attiva per il momento due:
- il primo (PFP1), "materiali lapidei e derivati; superfici decorate dell'architettura", è quello che comprende anche il mosaico, che a Ravenna vanta la lunga tradizione della Scuola per il Restauro del Mosaico. La realizzazione di questo percorso si basa sulla collaborazione tra l'Università di Bologna e la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici, con la Scuola per il Restauro del Mosaico di Ravenna che sarà il centro per le attività di formazione sul restauro;
- il secondo (PFP4), "materiali e manufatti ceramici e vitrei; materiali e manufatti in metallo e leghe", riguarda principalmente manufatti archeologici. Per la realizzazione di questo percorso sono coinvolte la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia-Romagna e l'Università di Bologna grazie alle concessioni di scavo di importanti siti archeologici (Galeata, Marzabotto, Classe ecc.). Nell'ambito delle attività nel Parco Archeologico di Classe, interverrà il sostegno della Fondazione RavennAntica.
Entrambi i percorsi attivati prevedono che i 300 CFU totali vengano distribuiti tra 180 CFU di attività didattica frontale e di laboratorio presso strutture e laboratori dell'Ateneo, relativa agli ambiti umanistico (storia, archeologia, storia dell'arte), scientifico (biologia, chimica, fisica, geologia, informatica) e giuridico-economico (normativa riguardante i beni culturali, economia di impresa), 90 CFU nei laboratori e cantieri esterni di restauro (Scuola per il Restauro del Mosaico di Ravenna, Parco Archeologico di Classe), necessari per proiettare lo studente verso un effettivo ruolo di restauratore, e 30 CFU per la prova finale, consistente in un intervento di restauro. La formazione avviene esclusivamente su manufatti originali messi a disposizione dalle Soprintendenze.
In tal modo i laureati magistrali in Conservazione e Restauro dei Beni Culturali acquisiscono le competenze e le conoscenze necessarie per definire l'inquadramento storico, la costituzione materica e la diagnosi dello stato di conservazione dei manufatti e per predisporre ed eseguire un corretto progetto di intervento di restauro e/o di controllo e prevenzione dei processi di degrado. Gli sbocchi occupazionali si collocano presso Laboratori e imprese di restauro, Istituzioni del MiBAC preposti alla conservazione e tutela dei beni culturali, Aziende e organizzazioni professionali del settore, Istituzioni ed Enti di ricerca pubblici e privati operanti nel settore della conservazione e restauro dei beni culturali.
Al corso, a numero programmato, potranno accedere 10 studenti per anno: 5 per ciascuno dei due percorsi formativi. Il bando per partecipare alle prove di ammissione sarà pubblicato all'inizio di luglio. Le prove di ammissione si svolgeranno dal 9 al 13 settembre. Per informazioni più dettagliate, consultare il sito web del corso:
http://corsi.unibo.it/MagistraleCU/ConservazioneRestauroBeniculturali

La pagina del Dipartimento di Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 5 [2013 - N.47]

Attivato a Ravenna un nuovo dottorato di ricerca caratterizzato da una spiccata interdisciplinarietà

Salvatore Cosentino - Professore di Civiltà bizantina - Coordinatore del Dottorato di Studi sul patrimonio culturale

Nell'ambito della complessa riorganizzazione di strutture e corsi che l'Università di Bologna ha portato a termine nel 2013, anche i dottorati di ricerca sono stati profondamente riformulati. Essi sono diminuiti di numero, seguendo lo stesso processo che ha investito i dipartimenti, ai quali sono stati più strettamente correlati che non in passato. L'esito di tale ristrutturazione è che i corsi di dottorato sono ora sostanzialmente espressione delle attività dei singoli dipartimenti. In tale contesto, anche il Dipartimento di Beni Culturali (DBC) ha formulato una propria proposta che, grazie anche al contributo finanziario della Fondazione Flaminia, ha ottenuto il consenso degli Organi. Il titolo del dottorato - Studi sul patrimonio culturale - si richiama alla denominazione di un settore di studi che si va sempre più diffondendo nelle istituzioni universitarie internazionali: Cultural heritage, Patrimoine culturel, Kulturerbe, Patrimonio cultural, solo per restare alle lingue più diffuse in Europa. Esso fa riferimento a quel complesso di beni, tangibili o intangibili, che le società contemporanee sentono come fondante non solo per propria memoria storica, ma per tutte le forme di trasmissione della civiltà che, nel tempo e nello spazio, hanno sostanziato e sostanziano il concetto di "cultura" in senso lato.
Le ricerche dedicate al patrimonio culturale si caratterizzano per una spiccata interdisciplinarità. Almeno quattro sono, infatti, i filoni che lo compongono. In primo luogo, l'indagine sui processi storici che hanno consentito a un "bene" di essere percepito come "culturale" nella mentalità collettiva delle società che lo hanno ereditato. In secondo luogo, la conoscenza del "bene" in sé, sotto il profilo del contenuto, forma, significato e materialità. In terzo luogo, l'impiego delle tecnologie necessarie per il suo restauro e conservazione. In quarto luogo, le strategie di comunicazione più efficaci per la valorizzazione dei beni culturali, nel delicato equilibrio tra necessità della loro salvaguardia e fruibilità pubblica. Articolare uno spettro di saperi così ampio in un corso formativo unitario necessitava di scelte programmatiche chiare, al fine di evitare che la ricerca sul patrimonio culturale si polverizzasse in un pulviscolo di micro-indagini fini a se stesse e senza alcuna consapevolezza epistemologica. Pertanto il Dipartimento ha proposto un impianto che, da un lato, rispecchia i saperi realmente praticati al suo interno, onde evitare una offerta didattica troppo svincolata dalla ricerca; ma, dall'altro, ha cercato di disegnare un percorso che fosse il più possibile unitario.
L'esito di questa riflessione si è concretizzato in un'articolazione curriculare i cui contenuti rispecchiano quello che è oggi, scientificamente, il DBC, ma che un domani potrebbe cambiare, in relazione alla presenza di nuovi ricercatori o alla trasformazione dei principali assi della ricerca. Eccone, dunque, i curricula: 1) Patrimonio culturale di civiltà mediterranee e orientali; 2) Forme, oggetti e trasmissione della memoria culturale; 3) Metodi e tecniche della conservazione dei beni culturali. Il primo indirizzo - gli studi sui beni culturali del Vicino Oriente antico, di Bisanzio, dell'Ebraismo e dell'Iran - contraddistingue l'attività di molti membri del Dipartimento. L'approccio alle tradizioni delle menzionate civiltà, sotto la forma di manoscritti, documenti, epigrafi, sigilli, monete, architettura, arte, cultura materiale, lingua, necessita di un esigente specialismo, non comune nel panorama universitario nazionale ed europeo. Il secondo curriculum è incentrato sul concetto di memoria culturale. Essa, intesa come campo di studio tanto degli oggetti del quotidiano e dell'effimero, quanto dei grandi monumenti delle identità dei popoli, è ambito che investe il cuore del patrimonio culturale. Le ricerche comprese in questo percorso sono ben rappresentate in Dipartimento: conoscenza, trasmissione e ricezione del patrimonio musicale; processi di acculturazione alle immagini e alla percezione visuale; rapporti tra sistema educativo e la nascita della moderna tutela dei beni culturali; beni del paesaggio; collezionismo, conservazione e ricezione del patrimonio storico-artistico; scienza del libro e del documento. Infine, l'indirizzo dedicato ai metodi e alle tecniche legate alla conservazione dei beni culturali. Esso riguarda specificamente l'ambito del sapere applicato e lo studio dei materiali. Nella comunità scientifica di via degli Ariani, il dottorando potrà confrontarsi con un ampio spettro di temi che vanno dal degrado dei monumenti e degli ambienti storico-artistici al monitoraggio micro e macroclimatico di musei, biblioteche e archivi, dallo studio archeometrico di materiale archeologico alla antropologia fisica e alla paleobotanica.
Nel panorama italiano ed europeo dell'offerta formativa di alta specializzazione dedicata a questo settore, la proposta fatta del DBC si caratterizza per una marcata opzione verso l'unitarietà del sapere nello studio dell'eredità culturale. L'auspicio è che il dottorato possa rafforzarsi, svilupparsi, crescere e diventare una palestra intellettuale fondata sul merito in grado di attrarre giovani studiosi dall'Italia e dall'estero.

La pagina del Dipartimento di Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 5 [2013 - N.48]

Una nuova laurea amplia l'offerta formativa ravennate

Angelo Pompilio - Direttore Dipartimento di Beni Culturali

Nell'anno accademico 2014-2015 l'offerta formativa del Dipartimento di Beni Culturali si amplia con l'attivazione del corso di laurea magistrale in Scienze del libro e del documento. Il corso si propone la formazione di figure professionali con competenze tecniche e scientifiche nel campo della gestione dei documenti di varia natura (cartacei, digitali, multimediali), in grado di operare efficacemente sia nell'ambito della tutela e valorizzazione del patrimonio librario sia in quello del work flow documentario aziendale. Questa proposta intende colmare una lacuna nell'offerta universitaria della regione Emilia Romagna, dove non sono attualmente presenti percorsi formativi analoghi e conferma una vocazione tradizionale dell'insediamento universitario a Ravenna nell'ambito archivistico e librario.
Le competenze multidisciplinari oggi presenti nel Dipartimento di Beni Culturali consentono di sfruttare al meglio le opportunità che l'innovazione tecnologica e i nuovi modelli interpretativi aprono allo studio del patrimonio documentario e dei sistemi informativi. Il corso di laurea magistrale contempla la presenza di attività formative nell'archivistica informatica, nella biblioteconomia digitale, nell'architettura delle informazioni e nel management degli archivi e delle biblioteche, a latere di un'ampia proposta di insegnamenti più tradizionali di carattere biblioteconomico, bibliografico, archivistico, giuridico-economico, storico-letterario, necessari per assicurare competenze specifiche sugli aspetti descrittivi delle forme della trasmissione della cultura scritta. Ulteriori percorsi disciplinari nei settori dei beni musicali, della fotografia e degli audiovisivi completano un percorso formativo orientato anche alla valorizzazione di archivi multimediali.
Un aspetto senz'altro innovativo di questo nuovo corso di studi magistrale è la sinergia tra i docenti del Dipartimento di Beni Culturali e quelli del Dipartimento di Informatica, Scienza e Ingegneria dell'Ateneo bolognese. A questi ultimi saranno affidati corsi d'importanza rilevante - informatica umanistica, tecnologie informatiche per la rappresentazione dei dati e dell'elaborazione e restauro virtuale delle immagini - per le competenze di gestione e valorizzazione dei beni librari e documentari.
Un ruolo non trascurabile nella formazione sarà infine assegnato alle attività di laboratorio. Nel laboratorio didattico informatico che dispone di 30 postazioni recentemente aggiornate sarà possibile svolgere esercitazioni pratiche sul trattamento e il reperimento delle informazioni, a completamento delle competenze di base nell'ambito documentario. Analogamente i laboratori di ricerca attivi nel Dipartimento (fotografico, musicale, multimediale) consentiranno di completare il percorso formativo nei diversi ambiti della conservazione e valorizzazione del patrimonio documentario. Sono infatti previste esercitazioni e attività relative a strumenti, metodi, protocolli e tecniche di acquisizione, archiviazione, digitalizzazione e gestione informativa di documenti fotografici, audiovisivi e multimediali. Nel laboratorio diagnostico, infine, si svilupperanno competenze e metodologie utili per l'accertamento dello stato conservativo dei diversi materiali documentari (carta, pergamena, pellicole, dischi, nastri magnetici) nonché strategie finalizzate all'identificazione del microclima degli ambienti per una corretta conservazione dei materiali.
La consolidata collaborazione con gli enti di sostegno e le istituzioni bibliotecarie e archivistiche consentirà infine di attivare in modo significativo tirocini curriculari, per finalizzare la preparazione teorico-pratica acquisita attraverso vere e proprie sessioni di learning at work, la formazione attraverso l'affiancamento a professionisti già attivi nel mondo del lavoro.
Il piano didattico della laurea magistrale in Scienze del libro e del documento sarà visibile tra breve su www.beniculturali.unibo.it/it/attivita-didattica.


La pagina del Dipartimento di Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 5 [2014 - N.49]

Ravenna diventa sede di un altro corso di laurea magistrale

Luigi Canetti - Referente LM Beni archeologici, artistici e del paesaggio: storia, tutela e valorizzazione

Il corso di laurea magistrale interclasse Beni archeologici, artistici e del paesaggio: storia, tutela e valorizzazione integra e rinnova l'esperienza delle lauree magistrali in Storia e conservazione delle opere d'arte (LM-89) e in Ricerca, documentazione e tutela dei beni archeologici (LM-2).
La nuova proposta formativa è stata progettata guardando alle nuove professionalità nel campo della valorizzazione del patrimonio culturale, ma al tempo stesso essa garantisce una formazione avanzata nella conoscenza e nella ricerca. Se la peculiare attenzione al territorio e alla storicità del paesaggio orienta l'insegnamento delle discipline umanistiche, giuridico-economiche e tecnico-scientifiche, la condivisione dei risultati della ricerca fornisce le competenze specialistiche nei settori archeologico e storico-artistico in relazione alle nuove tecniche, linguaggi e strumenti per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale e paesaggistico italiano.
Ravenna, con il suo giacimento archeologico, artistico e monumentale unico al mondo, nonché l'eccellenza riconosciuta a livello internazionale delle sue istituzioni di conservazione, costituisce la sede ideale per un corso che interpreta al meglio le potenzialità della nuova struttura multi-campus dell'Ateneo di Bologna. Già in fase di progettazione si è tenuto conto del forte legame con il territorio e con le sue esigenze specifiche, guardando a un mercato del lavoro sempre più sensibile alla collaborazione interdisciplinare di archeologi, storici d'arte, conservatori, scienziati e restauratori per garantire una corretta metodologia di intervento e di valorizzazione del patrimonio culturale in una proficua collaborazione con i centri di ricerca, gli enti preposti alla tutela del patrimonio culturale, le pubbliche amministrazioni e le nuove professioni.
I laureati in questa magistrale potranno svolgere attività lavorative nel campo della museologia e della museografia, occuparsi della gestione e della promozione dei beni e dei luoghi della cultura, progettare iniziative culturali utilizzando i più avanzati strumenti di comunicazione. Essi avranno inoltre la capacità di elaborare programmi di conservazione di beni archeologici, paesaggistici e storico-artistici e ideare progetti di manutenzione e di restauro, di verificarne quindi l'attuazione anche in relazione alle condizioni ambientali, e redigere in maniera critica e filologicamente corretta le relazioni degli interventi di restauro.
La formazione impartita intende far sì che il laureato operi in relazione a un'esigenza primaria della società e della politica, poiché la conoscenza e la conservazione del patrimonio culturale e la trasmissione di questi valori alle nuove generazioni rappresentano un asse strategico per lo sviluppo economico e civile del nostro Paese e di tutte le società avanzate.
Va infine segnalato il risalto dato alla formazione di una nuova figura professionale, legata a un'attività promossa e riconosciuta come "valorizzazione" dal Ministero dei Beni Culturali e Ambientali. È una figura dotata di competenze che sono previste sia nel quadro dei ruoli dell'Amministrazione Pubblica sia nel settore privato.
Il corso interclasse garantisce inoltre al laureato la possibilità di proseguire gli studi nel terzo ciclo accademico sia nel settore dell'archeologia, tramite la Scuola di Specializzazione in Beni archeologici, sia nel settore storico-artistico, tramite l'accesso alla Scuola di Specializzazione in Beni storico-artistici. A tali Scuole si accede rispettivamente con laurea magistrale nella classe LM-2 e nella classe LM-89. Inoltre, la laurea offre un'ampia gamma di possibilità di accesso al dottorato di ricerca.
La nuova laurea interclasse si inserisce all'interno dell'offerta formativa del Dipartimento di Beni Culturali che, con la contestuale attivazione a Ravenna della laurea triennale in Beni culturali (L-1), delle lauree magistrali nella classe LM-5 (Scienze del libro e del documento) e nella classe LM-81 (Cooperazione internazionale, tutela dei diritti umani e dei beni etno-culturali), della laurea magistrale a ciclo unico in Conservazione e restauro dei bei culturali (LMR/02) e infine del dottorato di ricerca in Studi sul Patrimonio Culturale, copre nella sua estensione, unico caso in Italia e all'estero, l'intero settore di formazione inerente i beni culturali dal I al III ciclo.

La pagina del Dipartimento di Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 5 [2014 - N.50]

Uno spaccato delle più recenti attività di ricerca del Laboratorio fotografico

Luigi Tomassini - Presidente Società Italiana per lo Studio della Fotografia

Esattamente cinquant'anni fa, Michelangelo Antonioni era in città a girare Deserto Rosso. Grazie a lui e al suo direttore della fotografia, Carlo Di Palma, alcune delle immagini più potenti del cinema italiano sono state riprese qui, a Ravenna.
Forse chi ci sta dentro non lo percepisce con la stessa nettezza, ma vista da fuori Ravenna è un serbatoio straordinario di immaginari. I suoi monumenti unici al mondo, con i loro mosaici apparentemente statici, ieratici, ma carichi di una formidabile potenza espressiva, stanno a pochissima distanza da alcuni colossali cimiteri metallici, un parco di archeologia industriale che non ha pari in Italia: la quintessenza di una moderna civiltà postindustriale, con un concentrato delle sue invasioni del paesaggio e dell'ambiente, a cui però fa da specchio, sul lato opposto della Baiona, un ambiente naturale ancora arcaico: acquitrini, macchie palustri,  radi capanni da pesca, che segnano l'inizio di quel paesaggio magico, carico di vita sotto la superficie inerte, che contraddistingue l'ultima propaggine del contiguo delta del Po.
Nello scorso ottobre il Laboratorio Fotografico del Dipartimento di Beni Culturali ha promosso, in collaborazione con Fondazione Flaminia e Osservatorio Fotografico, una "Summer school" sul tema Landscape and urbanscape Photography, che prendeva dichiaratamente le mosse dal cinquantenario di Deserto Rosso per "rivedere" Ravenna attraverso gli occhi di alcuni fotografi di oggi. Una ventina di giovani che venivano per i due terzi da altre regioni d'Italia e dall'estero, sotto la guida di alcuni grandi nomi della fotografia italiana e internazionale, come Johansson, Brohm, Guidi, si sono alternati a storici e storici dell'arte italiani per una settimana di studi e di esperienze. Tra il 20 e il 22 novembre si è tenuto un convegno internazionale sul tema "Sguardi fotografici sul territorio: progetti e protagonisti fra storia e contemporaneità in Italia" che riprende su scala più vasta questo stesso tema.
Nel mezzo, il 7 e 8 novembre, si è svolta al Dipartimento un'iniziativa dedicata al progetto "Palamedes", ovvero allo studio di due antichi codici in pergamena, uno dei quali probabilmente risalente al V-VI secolo. I due codici sono integralmente rescripti, ossia il testo originale è stato (una o più volte) cancellato e coperto con nuove scritture. La prof.ssa Chiara Faraggiana di Sarzana, lavorando nel Laboratorio con l'aiuto di un fotografo esperto di tecnica fotografica classica e di un archeologo molto versato nel digitale, ha potuto riscoprire sotto la superficie per così dire "moderna", la scrittura inferiore, che contiene alcuni testi che costituiscono novità rilevanti sul piano della ricerca, come uno, di autore ignoto, in cui la Logica di Aristotele è presentata attraverso schemi grafici di estremo interesse. Ma il dato più interessante è che il manoscritto si trova presso la Bibliothèque Nationale de France; la ricerca è finanziata dalla Fritz Thyssen Stiftung ed è il frutto di un progetto di cooperazione internazionale dell'Università di Bologna con la Georg-August-Universität di Göttingen e con la Fondazione culturale della Banca Nazionale di Grecia (MIET) in Atene. Cosa ha convinto Isabelle le Masne de Chermont, responsabile del settore manoscritti della Bibliothèque Nationale,  e i partner tedeschi e greci ad affidare al nostro Dipartimento (finanziandolo) il lavoro di elaborazione fotografica di questi codici? Evidentemente la riconosciuta competenza della prof.ssa Faraggiana, ma anche un po' il fatto che in questa nostra sede siano disponibili strutture di ricerca che riescono a stare almeno alla pari con le omologhe a livello internazionale.
Come capite, ho rinunciato ad esporre in dettaglio le attrezzature e la struttura del Laboratorio, su cui potrete facilmente essere informati sul sito del Dipartimento, e mi sono limitato a dare uno spaccato della sua attività di questi mesi. Dalla quale si deduce che quello che intendiamo per laboratorio non è un agglomerato di attrezzature, ma luogo di elaborazione culturale dove si impara facendo e realizzando; un luogo dove i nostri giovani debbono imparare a leggere il patrimonio culturale con la competenza e la serietà della tradizione, ma sapendo padroneggiare anche i linguaggi del presente. La fotografia si presta perfettamente, perché nel campo dei beni culturali è insieme un bene culturale essa stessa, ed è uno strumento chiave nel settore delle nuove tecnologie digitali. Un'avventura affascinante dunque, ma anche uno strumento utile per muoversi professionalmente in un mondo chiamato alla sfida di coniugare presente e passato, innovazione e patrimonio culturale.

La pagina della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 5 [2014 - N.51]

Il Laboratorio multimediale forma le nuove generazioni a un approccio radicalmente diverso al patrimonio culturale

Marco Orlandi, Antonino Vazzana, Simone Zambrano - Dipartimento di Beni culturali

L'uso delle tecnologie 3D e di ricostruzione virtuale è stato introdotto nel Dipartimento di Beni culturali nell'ambito delle attività di ricerca di antropologia fisica con la realizzazione di copie digitali di reperti osteologici. I metodi sperimentati in questi primi lavori sono stati poi sviluppati e impiegati nell'ambito ben più vasto del patrimonio culturale, e in particolare in progetti di ricerca riguardanti edifici storici, monumenti, oggetti artistici.
L'approccio interdisciplinare delle ricerche svolte e l'attenzione per un'ampia disseminazione pubblica dei risultati sono i caratteri distintivi e innovativi dei progetti realizzati. L'impiego di tecnologie multimediali ha consentito infatti di ottenere risultati importanti nello studio e analisi degli oggetti esaminati, nell'attività didattica collegata e nella diffusione dei risultati conseguiti, con ricadute rilevanti per la valorizzazione del patrimonio culturale.
Le ricostruzioni virtuali permettono di ottenere rappresentazioni tridimensionali di spazi e architetture esistenti o scomparse, o fortemente modificate nel corso dei secoli; in questo modo è facilitato il processo di verifica di ipotesi ricostruttive tradizionalmente formulate solo sulla base di testimonianze scritte o iconografiche. Di uno stesso oggetto si possono infatti realizzare ricostruzioni virtuali diverse, corrispondenti a ipotesi interpretative differenti della stessa documentazione pervenuta e valutarne comparativamente il risultato. I modelli elaborati e i metodi sperimentati sono poi usati come materiali per la didattica per illustrare gli esiti e i processi impiegati. I modelli virtuali tridimensionali sono infine oggetti di particolare fascino per un pubblico vasto grazie alle mirabolanti navigazioni immersive che gli strumenti tecnologici visuali d'uso corrente consentono di esperire.
In questa prospettiva il Laboratorio fotografico e multimediale del Dipartimento ha realizzato numerosi progetti, anche grazie al sostegno di enti e fondazioni locali. Eccone un breve elenco: la ricostruzione della Sfinge medievale (1296) del cardinale Pasquale Romano nell'ambito della mostra Echoes of Egypt (Peabody Museum, Yale University); una nuova sezione del sito istituzionale della Pinacoteca del MAR di Ravenna, visualizzabile in maniera differente a seconda dei dispositivi utilizzati (pc, smartphone, tablet); i progetti di ricostruzione virtuale di monumenti perduti ArianInPiazza e La storia che cela la storia, sulle fasi architettoniche e decorative della chiesa di S. Giovanni Evangelista; la visita virtuale nelle sale del Museo delle Mummie di Roccapelago; il video sulla Tomba degli amanti di Modena, e la ricostruzione dello studiolo urbinate di Federico da Montefeltro. Tra i progetti in cantiere la ricomposizione virtuale di contesti architettonici e storico-artistici scomparsi, come i perduti affreschi trecenteschi della chiesa di Santa Maria in Porto Fuori di Ravenna.
Il Laboratorio dispone di avanzate strumentazioni di acquisizione, elaborazione e analisi di contenuti digitali ed è in grado di coniugare le esigenze e le necessità delle diverse "anime" che lo compongono: quella relativa alla riproduzione fotografica dei beni culturali, quella rivolta allo studio del patrimonio fotografico, e quella di elaborazione di contenuti digitali per la comprensione e la valorizzazione del patrimonio - tangibile e intangibile - dei beni culturali. La strumentazione disponibile (workstation, server dedicati, renderfarm, 3D laser scanner, 3D scanner a luce strutturata, tavolette grafiche, strumentazione e software per la realizzazione di tour virtuali, fotocamere professionali, attrezzatura completa per la ripresa fotografica in studio, software per la modellazione 3D e per la visualizzazione architettonica) pone il Laboratorio all'avanguardia nello scenario nazionale, fornendo la possibilità di associare una produzione di dati ad alto profilo tecnologico con le esigenze didattiche e comunicative della ricerca in campo umanistico.
Le attività di ricerca svolte dal Laboratorio in questi ambiti concorrono significativamente a una nuova definizione del contesto scientifico e didattico del Dipartimento di Beni culturali. Le competenze sviluppate all'interno del Laboratorio rappresentano una concreta possibilità di formare le nuove generazioni a un approccio radicalmente diverso al patrimonio culturale in cui la capacità e l'efficacia dei nuovi media di comunicare, di attrarre fondi e di porsi al servizio di un pubblico vasto possono diventare concreta opportunità di inserimento nel mondo del lavoro e, in generale, di sviluppo culturale ed economico.

La pagina del Dipartimento di Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 5 [2015 - N.52]

I Laboratori di Antropologia fisica e del DNA antico alle prese con casi prestigiosi e internazionali

Stefano Benazzi, Elisabetta Cilli, Giorgio Gruppioni - Dipartimento di Beni Culturali

Reperti scheletrici d'interesse archeologico, mummie, fossili, resti di personaggi del passato: è lunga la lista di materiali, casi di studio e progetti di ricerca di cui si è occupato, da ormai 15 anni a questa parte, il Laboratorio di Antropologia del Dipartimento ravennate di Beni Culturali dell'Alma Mater Studiorum - Università di Bologna. A partire da studi di antropologia fisica su resti umani provenienti da contesti archeologici del territorio italiano, i campi di ricerca del laboratorio si sono rapidamente allargati a studi di anatomia evolutiva e funzionale dello scheletro e a ricerche di archeogenetica così da suggerire la ridenominazione del laboratorio in "Laboratori di Antropologia fisica e del DNA antico".

La costante collaborazione con numerose Soprintendenze Regionali per i Beni Archeologici e con svariati musei e altre Istituzioni italiane e straniere ha consentito ai suddetti laboratori di accedere a importanti collezioni e reperti antropologici di rilevante valore scientifico, nonché di istituire una vasta rete di collaborazioni a livello nazionale e internazionale su tematiche di evoluzione umana e di paleogenetica che hanno prodotto pubblicazioni scientifiche su prestigiose riviste internazionali. Inoltre questi laboratori hanno collaborato ad importanti casi di studio interdisciplinare come quelli riguardanti Dante, Boiardo, Pico della Mirandola, Poliziano e Caravaggio, che hanno avuto anche una vasta eco sui mezzi di comunicazione.

In questi anni i suddetti laboratori si sono dotati, oltre che di spazi per lo studio antropologico dei resti umani, di locali esclusivamente dedicati alle analisi del DNA antico, che richiedono particolari condizioni operative, nonché di attrezzature di base e avanzate per la ricerca nei vari campi d'interesse: strumentazione per l'estrazione e l'analisi del DNA, sistemi di scansione digitale dei reperti e software per l'elaborazione e il processamento dei dati oltre che dei tradizionali strumenti per le rilevazioni osteometriche.

Le attività svolte dai Laboratori di Antropologia fisica e del DNA antico sono riconducibili alle tre seguenti sezioni, tra loro strettamente interconnesse: Sezione di antropologia archeologica, Sezione di paleoantropologia, Sezione di archeogenetica.

La Sezione di antropologia archeologica si occupa dello studio dei resti umani di provenienza archeologica, secondo un approccio multidisciplinare, allo scopo di ricostruire, oltre che le caratteristiche fisiche individuali, la struttura demografica, le condizioni di vita, le malattie, le abitudini alimentari, le condizioni nutrizionali e le attività occupazionali delle popolazioni umane del passato. Con questi obiettivi vengono eseguite analisi dei reperti che vanno dalla semplice osservazione morfologica, alle rilevazioni osteometriche e morfometriche anche con l'impiego di tecnologie digitali su modelli virtuali delle ossa, nonché, in collaborazione con altri centri di ricerca, indagini radiologiche, istologiche, istochimiche e chimico-fisiche.

Nella Sezione paleoantropologica vengono effettuati studi ontogenetici, sulle asimmetrie, sulle trasformazioni evolutive e la variabilità morfologica di specifiche regioni scheletriche mediante l'impiego di modelli virtuali delle ossa e metodi di geometria morfometrica, approcci innovativi utili anche per ricostruzioni tridimensionali di resti fossili e porzioni scheletriche incomplete. Vengono inoltre analizzati i resti dentali ai fini della discriminazione tassonomica delle Ominine fossili, per ricostruire la paleodieta, le attività para-masticatorie, e analisi biomeccaniche per valutare il possibile adattamento funzionale di alcuni caratteri morfologici.

Il Laboratorio archeometrico si occupa dello studio del DNA antico o degradato estratto da reperti bioarcheologici o d'interesse forense. Gli scopi principali sono: la identificazione di specie, la determinazione del sesso e dei rapporti di parentela, la caratterizzazione genetica di gruppi umani del passato, l'accertamento dell'identità dei resti attribuiti a personaggi del passato, la rivelazione e lo studio di caratteri fenotipici e di patologie, la ricostruzione della storia epidemiologica e della evoluzione dei patogeni.

Il laboratorio è strutturato secondo le più stringenti norme previste nel campo dell'analisi del DNA antico, opera secondo i più rigorosi standard di manipolazione del DNA e applica le più avanzate tecnologie di sequenziamento massivo del DNA di nuova generazione (Next Generation Sequencing).


La pagina del Dipartimento di Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 5 [2015 - N.53]

Il mondo dei libri in una nuova rivista del Dipartimento di Beni Culturali di Ravenna

Fiammetta Sabba - Docente di Biblioteconomia e Bibliografia Università di Bologna

"Bibliothecae.it" è una rivista accademica semestrale che si occupa del mondo dei libri, dei documenti e delle biblioteche. Dopo una precedente esperienza di pubblicazione in formato cartaceo con la Casa editrice Morlacchi di Perugia (http://bibliothecae.it./), è appena divenuta di proprietà del Dipartimento di Beni Culturali dell'Università di Bologna e dal 2016 verrà interamente offerta open-access (ad accesso cosiddetto aperto) tramite ALMADL Biblioteca digitale dell'Università di Bologna (http://almadl.unibo.it/).
"Bibliothecae.it" promuove e ospita studi, ricerche, documentazioni e recensioni riguardanti le materie e gli oggetti di studio delle discipline che si occupano di libri, documenti, testi, biblioteche, raccolte documentarie, editoria, informazione e comunicazione scientifica, con lo scopo di contribuire all'approfondimento e allo sviluppo dei processi e dei metodi di organizzazione e diffusione della conoscenza culturale.
Essa è diretta da chi scrive, che faccio parte del Dipartimento di Beni Culturali, da Anna Giulia Cavagna dell'Università di Genova e da Alfredo Serrai già della 'Sapienza' di Roma, storico illustre nome delle discipline bibliografiche, nonché fondatore di "Bibliothecae.it" che, proprio per suo tramite, eredita una tradizione solida costruita con le riviste "Il Bibliotecario" (Roma: Bulzoni, 1984-2011) e "Bibliotheca" (Milano: Sylvestre Bonnard, 2002-2007). Il Comitato scientifico internazionale vede la partecipazione di studiosi di grande rilievo come Luciano Canfora, Mauro Guerrini e Luciano Floridi per citarne solo alcuni.
La rivista nel 2014 è stata classificata 'scientifica e di classe A' dalla Agenzia Nazionale di Valutazione del Sistema Universitario e della Ricerca (ANVUR), e con questa qualifica i suoi autori otterranno un prestigioso titolo ai fini della Abilitazione Scientifica Nazionale (ASN) per il reclutamento del personale docente universitario.
Proprio per mantenere l'apprezzato alto livello qualitativo dei contributi offerti, gli articoli proposti per la pubblicazione verranno sottoposti a un processo di revisione gestito attraverso l'uso della piattaforma AlmaDL Journals (http://journals.unibo.it/riviste/). Dopo un'iniziale valutazione da parte della direzione e dei responsabili delle sezioni, per verificare l'attinenza della proposta con gli scopi della rivista, verrà avviato il processo di peer review dell'articolo secondo la procedura cosiddetta 'in modalità doppio cieco'. Questa si basa sulla valutazione dell'articolo proposto effettuata da due revisori selezionati sulla base delle competenze scientifiche necessarie a valutarne il contenuto senza che conoscano la provenienza e l'autore dell'articolo, proprio a garanzia di una oggettività assoluta. Il lavoro dei revisori ha l'obiettivo di fornire agli autori un parere autorevole sul loro lavoro e di proporre eventuali modifiche allo scopo di migliorarne la struttura e il contenuto.
La rivista si articola in sei sezioni di ricerca la cui responsabilità è affidata ad alcuni docenti dell'Alma Mater (Lorenzo Baldacchini, Paola Degni, Alessandro Iannucci, Francesca Tommasi) e a un paio di importanti studiosi esterni (Alberto Salarelli dell'Università di Parma e Marisa Rosa Borraccini Prorettore dell'Università di Macerata). Le sezioni sono: Testi e documenti del mondo antico; Storia del libro manoscritto; Biblioteconomia e bibliografia; Storia del libro e storia delle biblioteche; Teoria dell'informazione e della documentazione; Informatica umanistica.
Come si evince dai settori scientifici compresi, "Bibliothecae.it" ha l'ambizione di abbracciare tradizione e innovazione, teoria e pratica, scienza e tecnologia, ritenendo il passato e le intuizioni speculative indispensabili per interpretare e affrontare criticamente e attivamente i nodi e gli slanci che il presente della realtà documentaria prospetta.

La pagina del Dipartimento di Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 5 [2015 - N.54]

Ricerca interdisciplinare e ampia comunicazione nella nuova collana editoriale del Dipartimento di Beni Culturali

Alessandro Iannucci - Co-direttore della collana

Con l'uscita dei primi due volumi (Il patrimonio culturale tra conoscenza, tutela e valorizzazione. Il caso della "Piazzetta degli Ariani" di Ravenna, a cura di Giuseppe Garzia, Alessandro Iannucci, Mariangela Vandini; Il libro e le sue reti. La circolazione dell'edizione italiana nello spazio della francofonia (sec. XVI-XVII), a cura di Lorenzo Baldacchini) prende il via un nuovo progetto editoriale del Dipartimento di Beni Culturali: si tratta della collana dal programmatico titolo "Studi sul patrimonio culturale" pubblicata dalla Bononia University Press (BUP), il dinamico marchio editoriale di riferimento dell'Ateneo bolognese.
L'obiettivo della collana è di realizzare nel medio periodo uno strumento editoriale caratterizzato sia dal rigore scientifico sia dalla capacità di produrre discorsi efficaci anche per una ampia comunicazione. Il tema del 'Patrimonio culturale' è al centro del dibattito pubblico, specie nei termini (spesso polemici) di una mancata tutela e di una non compiuta valorizzazione, anche di carattere economico, della straordinaria disponibilità di beni culturali - archeologici, monumentali, artistici, musicali, museali e spesso anche etnografici - di cui dispone il nostro paese. Al contrario di altre discipline, per i beni culturali non esiste in Italia - e in parte anche all'estero - una comunità scientifica di riferimento né strumenti di lavoro quali riviste specializzate o appunto collane editoriali. Questa mancanza è conseguenza dello statuto incerto dello studio dei beni culturali, cui concorrono specialisti diversi: dagli architetti agli storici dell'arte; dagli archeologi agli esperti di diagnostica; dagli economisti agli storici della cultura. Tutte queste aree del sapere sono rappresentate nel Dipartimento di Beni Culturali dell'Ateneo bolognese, radicato a Ravenna da ormai oltre un ventennio: la nuova collana rappresenta quindi una sfida necessaria perché i risultati di ricerche interdisciplinari intorno a un tema strategico diventino concretamente parte di un dibattito pubblico, aperto non solo ad altri studiosi ma anche a quanti sono coinvolti per professione, interesse, ruolo istituzionale o politico nella gestione del patrimonio culturale.
Il piano editoriale prevede la pubblicazione di volumi curati non solo dai membri del dipartimento ma anche contributi di autori esterni, italiani e internazionali, traduzioni o ristampe, sui variegati aspetti del patrimonio, legati al territorio come nel caso del volume sulla Piazzetta degli Ariani, ma anche a un più ampio contesto di riferimento, come per il volume sulla circolazione del libro a stampa italiano in Francia in età moderna.
Questa nuova collana nasce quindi come un'ipotesi, una sfida culturale per una nuova visione nella convinzione che solo quando i tradizionali saperi umanistici siano concretamente coniugati con gli studi, giuridici, socio-economici e politologici ma anche con le metodologie e gli strumenti scientifici, diagnostici e informatici si possono realizzare ricerche efficaci sui beni culturali e ottenere un'ampia e fattiva diffusione dei risultati.
Tutte le informazioni sulla collana, dal programma editoriale alle fasi della pubblicazione attraverso un processo di peer review sono reperibili nel sito del Dipartimento di Beni Culturali, alla URL www.beniculturali.unibo.it/it/ricerca/studi-sul-patrimonio-culturale (raggiungibile anche da un banner presente nella homepage).
Alla direzione della collana - Alessandro Iannucci, Mariangela Vandini e Giuseppe Garzia - si affianca un prestigioso Comitato Scientifico Internazionale esterno composto da Xavier Bisaro (Centre d'études supérieures de la Renaissance di Tours), Bernard Frischer (University of Virginia), Tomaso Montanari (Università di Napoli "Federico II"), David Saunders (British Museum), Luca Zan (Università di Bologna).


La pagina del Dipartimento di Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 5 [2016 - N.55]

Studenti e professori alla ricerca della memoria fotografica della Grande guerra

Giuseppe Baorda - Studente Corso di Laurea Magistrale in Scienze del libro e del documento

In pieno centenario della prima guerra mondiale, si è svolto a Ravenna, dal 26 al 28 maggio scorso, un convegno internazionale dal titolo Il dolore, il lutto, la gloria. Rappresentazioni fotografiche della Grande Guerra fra pubblico e privato, 1914-1940, organizzato dal Dipartimento di Beni Culturali e dalla Società Italiana per lo Studio della Fotografia.
Non è stata una "celebrazione" della guerra, ma un'occasione per riportare alla memoria gli aspetti più duri, aspri, a volte terribili del conflitto, il dolore, le sofferenze, il lutto, attraverso un testimone "oggettivo", e insieme suggestivo ed emozionante, come la documentazione fotografica.
Con un nuovo approccio interpretativo, si sono evidenziati gli aspetti più drammatici di una società ormai stanca e stremata dal numero inarrestabile dei morti sui campi di battaglia. La relazione di apertura di Joelle Beurier, attualmente la studiosa di riferimento a livello internazionale sul tema, ha mostrato il diverso modo di vedere la sofferenza e la morte nei vari paesi in guerra; si sono susseguiti poi una serie di interventi con approcci metodologici diversi, dalla sociologia alla antropologia alla museografia, fino allo studio delle lapidi dei cimiteri o della fotografia medica, che hanno messo in luce una nuova memoria, spesso inedita, del conflitto. Gli studiosi erano professionisti della memoria, abituati a trattare con competenza e in profondità fonti complesse e problemi specialistici; ma la trasmissione della memoria è qualcosa che riguarda anche il pubblico più largo, e in particolare i giovani.
Per questo vorrei sottolineare il fatto che le dotte relazioni degli studiosi sono state affiancate da una riedizione ad hoc della mostra Con Dio per la Patria. Fede e propaganda religiosa nella Grande Guerra, già esposta presso la "Fondazione Casa di Oriani" di Ravenna nel giugno 2015, curata dagli studenti della Scuola di Lettere e Beni Culturali, con il supporto della prof.ssa Raffaella Biscioni e della dott.ssa Sara Circassia. La mostra si è valsa, fra l'altro, di manufatti, lettere e oggetti devozionali d'epoca oltre a cartoline, libretti, luttini, appartenenti al collezionista ravennate Enzo Giorgetti, ma anche di materiali selezionati dagli studenti da archivi fotografici e archivi on-line in Italia e all'estero (Getty, Corbis, Raccolte Musei Fratelli Alinari ecc.); fra questi le fotografie che ritraggono le distruzioni degli edifici di culto, spesso di notevole valore artistico (la cosiddetta "guerra all'arte" che ebbe nella cattedrale di Reims il suo primo episodio, e che colpì anche Ravenna con gravi danneggiamenti a Sant'Apollinare Nuovo).
Gli studenti di alcuni corsi della Scuola hanno inoltre partecipato come relatori al convegno con una ricerca originale e analitica condotta su un archivio di fotografie e testi relativi ai caduti in guerra italiani nel 1915-18. Tali documenti, oltre 150.000, sono conservati presso l'Archivio storico del Museo Centrale del Risorgimento a Roma e contengono oltre alle fotografie dei soldati, diversi documenti privati e personali, lettere scritte alla famiglia; in diversi casi anche un "luttino" del caduto, cioè il ricordo funebre che riporta oltre alla fotografia del caduto, anche frasi e immagini religiose o patriottiche.
La ricerca, esposta in tre diversi interventi di altrettanti "portavoce", ha analizzato in primo luogo il nostro territorio: basandosi sul volume recentemente edito dalla Provincia con l'albo d'oro dei caduti ravennati nella Grande guerra e incrociando i dati con quelli dell'archivio romano, si sono evidenziati risultati molto interessanti, relativi al modo in cui le famiglie reagivano al lutto che le aveva colpite, con modalità che variavano fortemente ad esempio fra zone in cui si trova una elaborazione del lutto più fortemente cattolica, come Faenza, e altre più laiche. Ma in genere, si sono messi a confronto, dato che gli studenti dei corsi ravennati provengono da varie parti d'Italia, contesti molto diversi, dalla Sicilia alla Sardegna al Nord Italia, che hanno rivelato modalità del lutto e della adesione al messaggio patriottico molto diverse, con immagini e fotografie estremamente suggestive.
Le tematiche trattate durante questo percorso hanno dato vita a due siti (https://eventi.unibo.it/il-dolore-il-lutto-la-gloria; https://eventi.unibo.it/con-dio-per-la-patria), che sono serviti come contenitore di documenti, estratti e immagini, e che sono tuttora accessibili a chi volesse avere ulteriori informazioni.

La pagina del Dipartimento di Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 5 [2016 - N.56]

Nel 2017 inaugura il nuovo Master "International Cooperation on Human Rights and Intercultural Heritage"

Mario Neve - Direttore del Master

Come si comunica il patrimonio culturale? E soprattutto, è necessario farlo?
Stando al giudizio di Hannah Arendt dovremmo rispondere affermativamente, per evitare che coloro che verranno dopo di noi si trovino ad essere eredi senza testamento: "il testamento, affermando ciò che spetterà legittimamente all'erede, destina averi passati ad un futuro. Senza testamento o, per sciogliere la metafora, senza tradizione che sceglie e nomina, che tramanda e custodisce, che indica dove sono i tesori e quale il loro valore sembra che non vi sia un'esplicita e voluta continuità nel tempo e dunque, in termini umani, né passato né futuro".
Un testamento manifesta una volontà, una scelta. Pure, nel caso di ciò che l'UNESCO classifica patrimonio culturale "materiale" non si può evitare che il lascito avvenga, con o senza testamento, visto che in fondo scegliere di non prendere posizione significa prendere comunque una posizione. Una posizione gravida di conseguenze, in molti casi indesiderate, come accade quando ci viene ricordato il ruolo del fattore umano persino in catastrofi naturali come quella che ha colpito le città e i paesaggi lungo il confine tra Umbria e Marche.
In un'età ossessionata dalla comunicazione, dalla crescita continua delle connessioni orizzontali attraverso lo spazio, non va quindi trascurato l'altro piatto della bilancia: la trasmissione verticale nel tempo, il che significa, a sua volta, prendersi cura della produzione e trasmissione della conoscenza, un aspetto oggi piuttosto carente.
Una tale situazione richiede consapevolezza delle poste in gioco da parte dei cittadini e nuove figure professionali capaci di fronteggiare situazioni concrete e in possesso di una formazione e di una visione culturale che li metta in grado di analizzare le diverse dimensioni dei problemi implicati.
Il nuovo Master internazionale International Cooperation on Human Rights and Intercultural Heritage, che aprirà i battenti nell'ottobre 2017 su iniziativa del Dipartimento di Beni Culturali dell'Università di Bologna, Campus di Ravenna, in collaborazione con la Scuola di Scienze Politiche, tenta di dare una risposta a tali esigenze. A riguardo, il corso si avvale del supporto e della collaborazione della Banca Mondiale, della Commissione per la Cooperazione allo Sviluppo del Parlamento Europeo, dell'Ufficio dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i Diritti Umani, dell'Istituto Internazionale per le Conoscenze Tradizionali dell'UNESCO.
L'inedito accoppiamento tra il tema dei diritti umani e quello del patrimonio culturale in realtà è presente in due fonti principali di tali concetti. Il ruolo cruciale della cultura e della conoscenza come terreno comune dello sviluppo umano, dunque come accesso alla libertà individuale e collettiva, è già presente nella Carta costitutiva dell'UNESCO del 1945 (vi viene affermata la relazione fondamentale tra cultura, istruzione e libertà, sottolineando in modo implicito il peso del pensiero critico come prerequisito della libertà), come anche nella definizione di "sviluppo umano" delle Nazioni Unite.
I diritti umani, in questa prospettiva, sono strettamente legati al potenziamento dello sviluppo culturale e al pensiero critico, come background culturale dello "specialista nello Human Rights Based Approach", volto alla difesa dei diritti dei soggetti esclusi e marginalizzati.
Nella medesima prospettiva, il patrimonio culturale non vuol dire solo monumenti, opere d'arte, ma anche, ad esempio, la cosiddetta "conoscenza tradizionale".
L'inclusione recente del "patrimonio naturale e culturale mondiale" tra gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile delle Nazioni Unite (Agenda 2030) ha riconosciuto tale tematica come questione globale. Questo motiva la scelta di adottare la dicitura "intercultural heritage". Proprio per enfatizzare il modo più positivo e aperto al futuro d'intendere il ruolo odierno delle culture: non isole da proteggere ma porte e ponti per lasciar passare e condividere idee.

La pagina della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 5 [2016 - N.57]

Un progetto ERC per comprendere i processi bio-culturali che hanno favorito il successo della nostra specie

Stefano Benazzi - Docente di Antropologia

L'uomo anatomicamente moderno, comunemente conosciuto come H. sapiens, compare in Africa in un periodo compreso tra 200.000 e 100.000 anni fa. Testimonianze della sua presenza fuori dall'Africa sono documentate nel Vicino Oriente (Israele) e nel Sud/Est della Cina tra 120.000-80.000 anni fa, ma le attestazioni sono così sporadiche da rendere conto, probabilmente, di spostamenti di piccoli gruppi umani andati incontro ad estinzione. Tra 60.000-50.000 anni fa, per cause ancora ignote, ondate più consistenti di uomini moderni si spingono fuori dall'Africa in Eurasia, in territori occupati da altre specie umane come il Neandertal e il Denisova. Come sia avvenuta la colonizzazione dell'Eurasia e quali rapporti siano intercorsi fra l'uomo moderno e le specie umane autoctone (sono confermati casi di ibridazione) è tutt'ora argomento di acceso dibattito in paleoantropologia. Non c'è dubbio infatti che il periodo cronologico compreso tra 50.000-40.000 anni fa sia cruciale per comprendere le cause che hanno favorito la diffusione dell'uomo moderno e il popolamento dei vari continenti, oltre all'estinzione di tutte le specie umane arcaiche, dato che nella maggior parte dei contesti archeologici successivi a 40.000 anni fa (ad eccezione dell'isola di Flores, dove forse sopravvive fino a periodi più recenti una specie umana di piccole dimensioni, l'Homo floresiensis) le uniche testimonianze antropiche sono riconducibili ad H. sapiens.
Recenti studi suggeriscono che l'uomo moderno abbia raggiunto l'Europa circa 45.000 anni fa, mentre le ultime attestazioni di presenza del Neandertal si datano circa tra 40.000 e 39.000 anni fa. Durante questo periodo di potenziale convivenza fra i due gruppi umani, si registrano importanti cambiamenti culturali che non hanno precedenti nel panorama culturale europeo. Oltre a modificazioni dello strumentario litico, compaiono artefatti, come per esempio strumenti in osso, oggetti ornamentali (conchiglie e denti forati utilizzati come pendenti) e l'utilizzo di coloranti, che rendono conto di un comportamento e di capacità cognitive tipicamente "moderne", tanto da essere definite culture di "transizione" o del Paleolitico Superiore Iniziale. Da più di cento anni la comunità scientifica è divisa sul significato di questi cambiamenti e soprattutto su chi ne sia stato l'artefice. Alcuni suggeriscono che il Neandertal, indipendentemente dall'arrivo dell'uomo moderno o influenzato da quest'ultimo, abbia sviluppato queste culture tipicamente "moderne", attribuendo quindi al Neandertal elevate capacità cognitive e simboliche. Altri invece ritengono che la comparsa di culture più evolute sia da attribuire all'uomo moderno e che questa unicità di espressione culturale/simbolica (che si riflette anche, per esempio, nella diversa organizzazione degli spazi e nelle strategie di sussistenza) identifichi la nostra specie e sia alla base del nostro successo evolutivo e della scomparsa di tutte le specie umane arcaiche.
Una delle culture di transizione più importanti, chiamata Uluzziano, è stata identificata in Italia e nel sud della Grecia. Alcuni studi recenti su due denti decidui rinvenuti presso Grotta del Cavallo (Nardò, Puglia), in un deposito Uluzziano datato circa 45.000 anni fa, suggeriscono che l'artefice di questa cultura paleolitica non fosse il Neandertal, al quale era stata inizialmente attribuita, bensì l'uomo moderno. A seguito di questa scoperta il dibattito scientifico si è ulteriormente infuocato, stimolando vari gruppi di ricerca e lo stanziamento di ingenti fondi per dirimere la questione.
All'interno di questo scenario si inserisce il progetto europeo ERC Consolidator Grant - 724046 - SUCCESS, vinto recentemente dal prof. Stefano Benazzi del Dipartimento di Beni Culturali, Università di Bologna. Il progetto quinquennale ERC, dal titolo The earliest migration of Homo sapiens in Southern Europe: understanding the biocultural processes that define our uniqueness, finanziato con Euro 1.993.811, prevede l'assunzione di 2 ricercatori junior, 5 post-dottorandi e 1 dottorando di ricerca. Il team studierà i cambiamenti bio-culturali avvenuti in Italia durante la fase di transizione, con lo scopo di capire quando l'uomo moderno sia arrivato nell'Europa meridionale, i processi bio-culturali che hanno favorito il suo successo adattativo e le cause che hanno portato all'estinzione del Neandertal. Solo rispondendo a queste domande sarà possibile comprendere quali siano le caratteristiche che hanno reso la nostra specie unica, unicità che forse ha portato alla scomparsa di tutte le specie umane arcaiche e all'origine dell'umanità attuale.

La pagina del Dipartimento di Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 5 [2017 - N.58]

Centinaia di studiosi e operatori si sono incontrati per parlare degli sviluppi della disciplina storica

Alessandro Iannucci - Professore associato di Letteratura greca

Nella settimana 5-9 giugno 2017 l'antica capitale esarcale, Ravenna, la nostra città, è diventata la capitale della storia, anzi della Public History. Al Palazzo dei Congressi e a Palazzo Corradini si sono tenuti, in contemporanea, il quarto convegno annuale della International Federation for Public History (IFPH-FIHP) e il primo convegno della AIPH, l'Associazione Italiana di Public History.
L'evento è stato organizzato dal Dipartimento di Beni culturali, Università di Bologna, Campus di Ravenna, assieme alla Giunta Centrale di Studi Storici (MiBACT), e alla Federazione internazionale di Public History, in collaborazione con Fondazione Flaminia: oltre 90 panel, con un numero complessivo di 191 relazioni (alcune di più autori) e 25 poster per la conferenza internazionale, e 174 relazioni e 32 poster per la conferenza italiana: nel corso dei lavori si è inoltre tenuta l'assemblea costitutiva della AIPH.
Insomma per una settimana oltre 500 studiosi universitari e operatori culturali, circa la metà dei quali stranieri, hanno letteralmente invaso Ravenna per interrogarsi - nella splendida cornice 'storica' e architettonica della città - sugli sviluppi di questa corrente di pensiero, oltre che disciplina ormai riconosciuta e diffusa anche in ambito accademico. Hanno discusso sul suo statuto scientifico, su modalità e iniziative utili a promuoverne la valorizzazione, mettendo a confronto diverse esperienze e diversi approcci disciplinari in una sorta di 'stati generali' dei public historian, in ambito nazionale e internazionale.
Per Public History si intendono quelle attività di recupero della memoria storica che si svolgono per il pubblico e con il pubblico, e che coprono il largo spazio che intercorre fra la storia accademica e universitaria e il "consumo di storia" veicolato dai grandi media. Fanno parte della Public History tutta una serie di attività, svolte da musei, biblioteche, studiosi e appassionati locali, e promosse da enti pubblici, privati, associazioni e cooperative culturali; vanno dalla forma tradizionale dello studio, del volume, magari celebrativo, fino alle rievocazioni storiche, al re-enactment, alle battaglie in scala, ecc. In poche parole la PH non è né la storia professionale studiata e insegnata nelle scuole e nelle università, né la produzione di argomento storico dei programmi televisivi o delle opere divulgative dirette al grande pubblico e a un consumo di massa; è tutto quello che sta fra questi due poli. Spesso si pensa che in mezzo non ci sia nulla, e invece ci sono miriadi di attività diverse, di appassionati, di cultori della storia, della archeologia, della memoria, di luoghi, di eventi, di oggetti e di persone, che svolgono una attività essenziale di recupero del passato e di rielaborazione della memoria collettiva.
Non è detto peraltro che sia necessario sapere cosa sia la Public History per praticarla; intanto non è una disciplina esclusiva degli storici, e basta un esempio per spiegarlo.
Da almeno quarant'anni, in Italia e nel mondo, i grandi poemi fondativi la tradizione letteraria occidentale, Iliade e Odissea, sono studiati e commentati alla luce della cosiddetta teoria oralista, elaborata da Parry e Lord e poi mediata con categorie tipiche dell'antropologia culturale. In sintesi possiamo affermare che per quasi una decina di secoli, tra il XV e il VI secolo a.C., in tutto il mondo greco la conoscenza del passato - e quindi della storia - attraverso cui si costruiva un'identità linguistica e culturale era mediata da cantori girovaghi, poeti illetterati che raccontavano le antiche glorie degli eroi, prima nelle corti micenee e poi nelle poleis greche. La parola greca è 'klea' che indica i fatti, le imprese, le gesta degne di essere conservate e su cui si concentrava l'attenzione della pubblica opinione. Nel racconto poi confluivano i valori, le tradizioni, le enciclopedie dei saperi.
In questa modalità comunicativa risiedono i due elementi caratterizzanti la teoria della public history: il concetto di memoria pubblica e collettiva; la trasmissione del passato attraverso media efficaci e fruibili da un pubblico amplissimo che tende a coincidere con l'intera società di cui sono parte.
Da Omero alle contemporanee serie televisive incentrate su eventi storici (dai Tudor a 1992 e 1993) il passato, la memoria storica e culturale, sono sempre stati oggetto di storytelling, cioè di narrazioni efficaci e in grado di catturare l'attenzione del pubblico.
La Public History è anche, e forse soprattutto questo: la capacità di mediare il passato e renderlo importante per il presente trasformando la conoscenza, fondata scientificamente, in narrazione, che la rende accessibile, fruibile, e capace di coinvolgere anche i non specialisti.

La pagina del Dipartimento di Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 5 [2017 - N.59]

Una giornata di studio rivolta a studenti e insegnanti di quattro istituti scolastici europei aderenti al progetto INCLUDE

Annalisa Furia

La pagina del Dipartimento di Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 5 [2017 - N.60]

Una struttura dove armonia e contrasto convivono, esaltandosi nel “nettare nero” per eccellenza

Paola Bonfreschi - Coordinatrice del progetto

Un tassello importante si aggiunge al Sistema Museale della Provincia di Modena: il Museo del Balsamico Tradizionale, una struttura dove armonia e contrasto convivono, esaltandosi nel "nettare nero" per eccellenza. Il Museo del Balsamico Tradizionale nasce per individuare un riferimento spaziale per la diffusione della cultura del balsamico creando un luogo istituzionale che sia strumento per coinvolgere e trasmettere questi valori nei modi più ampi possibili. La Consorteria dell’Aceto Balsamico Tradizionale e il Comune di Spilamberto sono i promotori di questa iniziativa: assieme rappresentano il legame esistente tra il prodotto e il suo territorio di origine e la garanzia della tutela della conoscenza nel rispetto assoluto della tradizione. Il balsamico tradizionale è, infatti, prima che un prodotto, una cultura legata al territorio modenese e alla sua gente. Valorizzare e diffondere la cultura del balsamico significa perciò non solo divulgare gli aspetti scientifici che costituiscono il metodo di produzione di questo straordinario prodotto, ma soprattutto fare conoscere e trasmettere i valori di una comunità legata alla propria terra e ai cicli scanditi dalle stagioni, comunicare le emozioni e la tranquillità che si respirano in acetaia. All’interno del Museo - inaugurato verso la fine del 2002 - alcune intuizioni molto originali, tra cui l’articolazione del percorso museale sulla base di livelli di lettura differenti, rendono la struttura fruibile a diverse tipologie di visitatori: esperti, ristoratori, scolaresche, turisti dell’enogastronomia e semplici curiosi. Il percorso definito "didattico", per citare un esempio, consente di apprendere le tecniche e le fasi di produzione attraverso la visita, in particolare, di due sale: la saletta video dove viene proiettato un filmato di qualità appositamente girato e le sale attigue, nelle quali una ricostruzione scenografica illustra le diverse fasi di produzione dal vigneto all’acetaia. È da qui che l’aroma del balsamico si diffonde grazie all’esposizione di una batteria risalente al XVIII secolo, creando e rendendo viva l’atmosfera della soffitta e permettendo un incontro diretto con l’antica tradizione. Interessanti sono inoltre le sale adibite all’illustrazione della tecnica dell’assaggio (dove attraverso visite guidate è possibile sperimentare una vera e propria esperienza gustativa) e quelle dedicate alla storia materiale, culturale e sociale del balsamico che rendono a tutti gli effetti questo Museo la Casa dell’Aceto Balsamico Tradizionale. Il Museo è inoltre dotato di un bookshop dove, oltre al servizio di accoglienza e orientamento dei visitatori, possono essere acquistati libri e oggetti riguardanti la tradizione.

La pagina del Sistema Museale dalla Provincia di Modena - pag. 6 [2003 - N.16]

Un Museo di natura nella natura

Dino Scaravelli - Responsabile Museo di Onferno

Il Museo Naturalistico della Riserva Naturale Orientata di Onferno è posto nel cuore dell’omonima Riserva. Istituita nel 1991 dalla Regione Emilia Romagna grazie all’impegno del Comune di Gemmano e non poche traversie, quest’area protetta in poco tempo è divenuta il volano culturale e fonte di innovazione per l’intero territorio comunale. La realtà dei piccoli Comuni italiani si deve continuamente confrontare con le ristrettezze economiche e la necessità di promuovere sul proprio territorio uno sviluppo culturale e ambientale compatibile. La presenza della Riserva Naturale sul territorio comunale ha avuto il fondamentale compito in primo luogo di creare un indotto progettuale che ha fatto riappropriare la comunità locale del proprio territorio, troppo a lungo oscurato dai bagliori della riviera romagnola. Inoltre ha anche rappresentato un banco di sperimentazione gestionale ed economico. La Riserva si è proposta da subito l’obbiettivo di conoscere la realtà naturale locale per poter operare gestionalmente sulla base di approfondite conoscenze scientifiche. Quale punto di riferimento e sintesi di questo processo è allora stato istituito il Museo Naturalistico per dare continuità alle ricerche intraprese nella Riserva e per creare un nuovo richiamo culturale per il suo territorio. Il Museo si ripromette da subito infatti non solo di raccogliere ed esporre il materiali naturalistici della Riserva, di per sé così ricca, ma anche di diventare centro dell’aggregazione per le attività relative alla storia naturale della Valle del Conca. Elemento unico nel suo genere per la Provincia di Rimini, il museo è oggi allestito con un approccio multimediale dove, accanto a vetrine illustranti le particolarità del gesso, la speleogenesi, le caratteristiche degli ambienti della Riserva e i suoi meravigliosi abitanti, vi sono spazi interattivi per giocare imparando o dove muoversi in grotte virtuali ricche di contenuti informativi. Gli spazi espositivi sono quelli piccoli ma suggestivi dell’antica pieve di S. Colomba dove si possono vedere le varie tipologie di rocce gessose così come viene illustrato il processo erosivo che ha portato alla creazione delle grotta. Se da una parte si mostra come questa parte della Romagna trasudi storia millenaria, con ritrovamenti che vanno dal Paleolitico fino alla magnificenza rinascimentale, dall’altra particolare attenzione è dedicata all’illustrazione delle emergenze biologiche dell’area: una ricchissima compagine vegetale ed animale che rende questi luoghi di notevole valore per l’intera comunità. In un diorama, illustrato con una veduta degli imponenti calanchi della Ripa della Morte, sono anche ambientati alcuni degli ultimi arrivi importanti nell’area come il Capriolo e l’Istrice. I maggiori protagonisti degli ambienti della Riserva sono comunque i Pipistrelli che qui vengono illustrati nelle loro particolarità morfologiche e comportamentali. Nell’esposizione si è cercato di rovesciare la medaglia e mostrare questi animali per quello che sono, togliendoli dalla sfera dell’immaginario negativo e riposizionarli in un giusto contesto ecologico dove potranno mostrare quali piccole meraviglie dell’evoluzione essi siano. Il Museo si propone anche come centro di educazione ambientale permanente grazie alla sala polivalente attrezzata a laboratorio didattico posto direttamente in un’area eccezionale dove fare direttamente ecologia in campo. L’istituzione comunale ha da sempre seguito le tre anime del museo, conservazione, esposizione e studio, divenendo anche lo strumento che operativamente prosegue le ricerche intraprese sulle caratteristiche ambientali della Riserva e della valle del Conca, così come va costituendo una biblioteca specializzata nel campo delle aree protette, degli ambienti ipogei e dei Chirotteri. Non a caso poi la raccolta del materiale relativo alla natura della Val Conca si sta arricchendo e presso il Museo si depositano i risultati delle ricerche portati avanti in questo particolare contesto territoriale. Presso i magazzini si ingrandiscono le collezioni di studio e si vanno preparando altri allestimenti che in forma di mostre temporanee o con altri spazi di volta in volta proporranno nuove esplorazioni ai visitatori. Un’attività che è sorta tra le altre è la raccolta dei materiali documentari relativi alla storia dell’area sia antica e sia moderna, con in particolare quanto relativo ai fatti della seconda guerra mondiale e alla Linea Gotica, passante proprio dal capoluogo. Un’importante memoria illustrata e compiutamente descrittiva è stata realizzata appunto in tal senso e data alle stampe da Amedeo Montemaggi (1998) proprio con il Museo che ha già anche istituzionalizzato una propria serie (Scaravelli 1998). Con la Riserva e il Museo cresce anche l’imprenditoria locale con la nascita di una cooperativa che ha fatto dell’accoglienza e della didattica i propri principali temi di lavoro. Dal centro museale si snodano i sentieri che portano a cercare nelle colline circostanti i tanti elementi del ricco paesaggio e che sono utilizzati dalle migliaia di studenti che ogni anno frequentano le attività didattiche che qui trovano un ambiente di grande fascino. In particolare non smettono di stupire le grotte, i loro abitanti e il capire come tutti possono con semplicità contribuire alla salvaguardia di questo mondo affascinante. Nel 2001 il Museo e la Riserva sono stati visitati da circa 12.000 utenti che si sono riconfermati quest’anno, con un ulteriore aumento della quota di studenti e ricercatori. Sono aumentate le ricerche portate avanti dal Museo come le proposte educative. Il giardino botanico che si va strutturando offrirà presto altre esplorazioni: la sistematica dei vegetali, le piante utili e le particolarità floristiche della Val Conca. Nel 2002 verrà infine inaugurato il nuovo centro direzionale con i laboratori didattici e la nuova sede della biblioteca così come partirà la realizzazione della nuova ala espositiva. In definitiva si tratta di una realtà in pieno sviluppo che ha trovato in un piccolo ma generoso Comune un substrato ideale per far crescere una istituzione culturale che ampliandosi si rende sempre più una struttura complessa e consistente.

La pagina del Sistema Museale della Provincia di Rimini - pag. 6 [2002 - N.13]

Piccoli e grandi eventi nei nostri musei...avventure, animazioni e musica per divertirci un po’

Cetty Muscolino - Storico dell'arte e Responsabile dei Servizi Educativi della Soprintendenza

Parallelamente all’attività didattica, rivolta prevalentemente alle scuole dell’obbligo, che la Soprintendenza conduce da vari anni al Museo Nazionale di Ravenna e nella prestigiosa dimora rinascimentale di Casa Romei a Ferrara, negli ultimi tempi sono state realizzate una serie di iniziative in cui nell’approccio all’opera d’arte è stato privilegiato l’aspetto ludico e laboratoriale, appuntamenti della domenica, proprio per coinvolgere anche le famiglie. In un primo momento gli eventi sono stati concepiti come esplorazioni alla scoperta delle molteplici collezioni ospitate al Museo, e sono stati denominati Marameo Museo, una titolazione volutamente giocosa e anche un po’ dissacratoria, per sottolineare la possibilità di un incontro con l’arte non certo irriverente, ma creativo e festoso: dobbiamo sempre ricordare che il gioco è una delle modalità più efficaci per educare i giovani ed avvicinarli con entusiasmo ad aspetti di grande rilievo storico e culturale in senso lato. Le prime animazioni (1998-1999) sono state organizzate in collaborazione col Centro Gioco-Natura-Creatività La lucertola del Comune di Ravenna, grazie alla vulcanicità di Roberto Papetti, che ha il raro dono di trasformare il gioco in poesia e l’approccio con arte e natura in gioco. Prendendo spunto da quanto il Museo ci suggeriva sono scaturite: Le armi, gli amori e i cavalieri. Visita all’oploteca, lettura di alcuni passi suggestivi dell’Orlando Furioso di Ludovico Ariosto, dell’Orlando Innamorato di Matteo Maria Boiardo, di Don Chisciotte di Cervantes, del Cavaliere inesistente di Italo Calvino; nel chiostro di Clemente XII è seguita la costruzione delle armature, la vestizione dei giovani cavalieri che si sono poi cimentati nella Giostra del Saracino. A tutti è stata offerta una pergamena a ricordo della gloriosa impresa. La magia dell’avorio. Ci ha portati a curiosare nella collezione degli avori per cercare animali, lepri e gazzelle in fuga ai lati degli elegantissimi cofanetti, pesci e balene nella copertura di un evangeliario bizantino, serpenti ed agnelli nel riccio di un pastorale. E finalmente si è passati all’azione e nel chiostro sono stati costruiti cofanetti in cartone e gingilli e medaglioni in gesso, che i bambini hanno inciso con stiletti di legno con motivi zoomorfi ispirati ai pezzi ammirati al Museo. Dai minuscoli animali degli avori si è passati agli animali scolpiti nei reperti lapidei esposti nei chiostri museali: un safari accattivante alla ricerca di colombe e sfingi, pavoni e delfini, di cui si è potuto approfondire il significato simbolico prima di passare ai laboratori dei giocattoli. La bottega del carpentiere. Ci è stata suggerita dalla lettura della stele del Faber Navalis Publius Longidienus: dopo la chiacchierata con un esperto carpentiere i piccoli ospiti sono stati guidati nella creazione di battelli e barche giocattolo. Non potevano mancare ovviamente i laboratori di mosaico: La bottega del mosaicista e Oggi facciamo mosaico. Dopo aver sperimentato, con grande esito, la possibilità di abbinare l’attività al Museo con la musica, quando i maestri Paolo Ballanti, Anna Maria Storace e Maria Cristina Bevilacqua hanno magistralmente guidato un concerto della baby orchestra Il giardino dei grilli, nel superbo scenario del refettorio del Museo, dove sono esposti gli affreschi trecenteschi di Pietro da Rimini, si è cercato di individuare una relazione tematica fra il laboratorio proposto e l’accompagnamento musicale. Appuntamenti speciali, decisamente orientati in questa dimensione artistico-musicale, si sono avuti in occasione della Settimana della Cultura che il Ministero per i Beni e le Attività Culturali promuove annualmente, di solito all’inizio della primavera. L’edizione 2001 di fiore in fiore... realizzazione di mosaici a soggetto naturalistico, è stata arricchita dall’esecuzione di "piccoli brani" sul tema I suoni della natura; l’edizione 2002 dal titolo Pietre, colori, suoni, musicalmente accompagnata da Preludi colorati: oro, celeste, turchese....a cura dei corsi liberi di pianoforte dell’Istituto Musicale G. Verdi, si è esplicata in un variopinto Laboratorio di ornamenti e gioielli. Per quel che riguarda l’aspetto musicale, mi sono affidata alla sensibilità e competenza di Anna Maria Storace, che ha poi lavorato con i suoi allievi in collaborazione con le colleghe Cinzia Mascanzoni e Laura Paganelli. Per le attività di Laboratorio ho avuto il piacere di sperimentare con Fabiana Ragonesi e Beatrice Ballanti, quanto di meglio si possa incontrare sulla piazza nello specifico del mosaico e dell’educazione naturalistica. Tutti questi eventi, contraddistinti da rigore metodologico, altissimo livello e grande raffinatezza, sono stati i preziosi semi che abbiamo donato a molti bambini della città, ed ho la certezza, ripensando ai loro visi entusiasti e curiosi, che hanno potuto agire e creare in un Museo amico, che non ti fa venire… la barba lunga!

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 6 [2002 - N.15]

Un progetto di sistema vede protagoniste le biblioteche di tre musei riminesi che faranno presto il loro ingresso nel Polo Romagnolo

Rita Giannini - Dirigente Servizio Beni e Attività Culturali della Provincia di Rimini

Si aprono nuove frontiere nei musei del Sistema riminese. Più specificatamente si aprono nuove prospettive per le biblioteche dei nostri musei, che con un progetto triennale si preparano a fare il loro ingresso nel Sistema Bibliotecario del Polo Romagnolo. A candidarsi al momento sono tre Musei: il Museo della città di Rimini, il Museo Naturalistico di Onferno e l’Etnografico degli Usi e Costumi della gente di Romagna di Santarcangelo di Romagna, che con le loro biblioteche specialistiche sono già pronti per l’inserimento nel Polo Romagnolo, anche se altri Musei sarebbero in grado di proporsi nel prossimo triennio. I nostri musei, in linea con le tendenze della nuova ricerca museale, si sono dotati di strumenti diversi tra i quali spiccano in primo luogo le biblioteche. La biblioteca specialistica dei Musei Comunali si è formata fin dagli anni ‘70 con l’istituzione del Museo Civico che acquistava autonomia dagli Istituti Culturali; in tal modo il Museo si allineava alle più moderne tendenze dotandosi di strumenti per la ricerca, quali in primo luogo una biblioteca. Attualmente la biblioteca raccoglie circa 6.000 volumi acquisiti prevalentemente grazie agli scambi con altri Enti e Istituzioni culturali (innanzitutto Musei, Soprintendenze, Università): a questi si aggiungono i periodici ed il nucleo Delfino Dinz Rialto, dedicato alle culture extraeuropee ed al tema del primitivismo nell’arte contemporanea: nucleo entrato in possesso del Museo con la collezione dell’esploratore veneziano. La biblioteca si suddivide in più sezioni articolate in relazione ai settori del museo, da quello naturalistico, a quello archeologico, a quello storico-artistico, all’arte contemporanea... con un grado di specificità elevato grazie soprattutto agli scambi con realtà italiane ed estere e non inserite nei tradizionali circuiti commerciali. Un comparto raccoglie copie delle tesi di laurea elaborate in collaborazione con i Musei Comunali. Una sezione è dedicata ai periodici sia di taglio specializzato sia più divulgativo, in relazione ad esigenze di aggiornamento delle proposte espositive e culturali. La biblioteca del Museo della R.N.O. di Onferno è ormai una realtà consolidata, che aspira ad avere un ruolo di maggior visibilità nelle istituzioni specializzate in Italia; segno di questa attività è la stesura, attualmente in corso, di apposita convenzione per il deposito di una raccolta privata che apporterà oltre 6.000 estratti scientifici e più di 200 volumi di argomenti zoologici. Anche Santarcangelo di Romagna ha visto aumentare enormemente il suo patrimonio librario fino a raccogliere oltre 4.500 volumi, tra cui testi ormai introvabili di agronomia, trattati sul dialetto, sugli usi e costumi, sulla musica di inizio secolo. E ancora libri di antropologia, storia, tradizioni popolari, credenze, fiabe, mitologia, storia delle religioni e quant’altro direttamente interessato dalle scienze umane. Ora questo Centro di documentazione e relativa Biblioteca specializzata si è dato anche un nome, è stato dedicato a Paolo Toschi, docente e studioso di tradizioni popolari nato a Lugo nel 1893, scomparso nel 1974. Ciò che qui si vuole sottolineare è la rilevante capacità di risposta che questi tre musei sanno dare alla propria utenza. Con la vasta ed eterogenea documentazione a disposizione, con la mole di testi specializzati, la presenza di emeroteche specialistiche anche con riviste di ambito internazionale, i tre musei che si preparano a fare il loro ingresso nel Sistema Bibliotecario del Polo Romagnolo, raggiungendo l’obiettivo di valorizzare i rispettivi patrimoni librari e nello stesso tempo fornire un più completo servizio all’utenza, che è già numerosa e fidelizzata, grazie agli attuali servizi di ricerca bibliografica. La Provincia si sta comunque attivando affinché tutti i musei con biblioteche specialistiche vengano dotati della strumentazione necessaria e per dare il via alle attività di completamento per la bonifica e schedatura

La pagina del Sistema Museale della Provincia di Rimini - pag. 6 [2002 - N.14]

Un progetto ambizioso per la "capitale dell'ospitalità", dai mille risvolti culturali, che vuole mettere in rete i suoi gioielli vecchi e nuovi

Rita Giannini - Dirigente Beni e Attività Culturali della Provincia di Rimini

Nella Provincia di Rimini, con i sui venti comuni che toccano il mare o ne guardano il profilo dall'alto delle loro colline, sono in dirittura d'arrivo nuovi luoghi per la cultura: teatri, musei, biblioteche, sale espositive che nell'arco di tre anni saranno a disposizione dell'intera comunità provinciale e si andranno ad aggiungere a un patrimonio culturale già ricco e variegato. Un territorio quello provinciale storicamente di grande interesse, con una ricchezza monumentale e archeologica degna di attenzione e menzione; un "sistema entroterra" che inizia a catturare fette autonome di mercato turistico grazie soprattutto alla sua offerta culturale imperniata sul percorso delle rocche e dei castelli malatestiani, ma anche sulla via dei Musei, organizzati già da anni, in un Sistema museale della Provincia. Musei disseminati su tutto il territorio e ciascuno con peculiarità proprie e di rilievo. E di grande pregio sono i paesaggi campestri e collinari che regalano i colori e i frutti delle stagioni valorizzati dalla Strada dei vini e dei sapori e dalla Strada Pedecollinare che, ricongiungendo i borghi più suggestivi dell'entroterra, offre punti panoramici mozzafiato ed emozionanti visioni. Grazie ad un ambizioso progetto provinciale, mai realizzato prima, appena approvato dalla Giunta che vi ha destinato nel triennio 2001-2003 risorse per quatto miliardi e mezzo, denominato Contenitori Culturali: quattordici cantieri nella provincia di Rimini, nasceranno nuovi luoghi per la cultura che entreranno a far parte di un unico sistema integrato. Alcuni sono luoghi storici che tornano all'antico splendore, come il complesso degli Agostiniani a Rimini, il Palazzo Cenci a Santarcangelo di Romagna, la Cappella di Santa Lucia a San Giovanni in Marignano. Altri sono spazi nuovi nati da esigenze culturali e artistiche espresse dal territorio di appartenenza dove da tempo sono nate sperimentazioni e progettualità di grande significato. Tra questi il nuovo Teatro di Mondaino: una sala teatrale innovativa adatta ai laboratori come agli spettacoli che nasce in mezzo al parco dell'Arboreto. Ancora il nuovo Auditorium di Misano e la Biblioteca, il nuovo Museo di Saludecio dedicato all'Arte Sacra e quello di Bellaria Igea-Marina imperniato sulle tradizioni. Il Palazzo della cultura di Coriano rinascerà all'insegna delle tecnologie avanzate e della multifunzionalità, così la Sala ex lavatoio di Morciano di Romagna e il Teatro del Mare di Riccione che completerà i lavori di ristrutturazione per una rinnovata funzionalità. Ciascun nuovo spazio culturale permetterà al proprio luogo di appartenenza di entrare nel sistema provinciale dei Musei, dei Teatri, delle Biblioteche, degli spazi polifunzionali, affinché il loro utilizzo sia parte di una programmazione di area vasta che metta in gioco il territorio nella sua interezza con interazioni costanti, abbattendo le barriere dei campanilismi all'insegna di una valorizzazione e promozione complessiva tenendo conto sempre delle diversità e peculiarità di ciascuna offerta culturale. Per favorire tutto ciò verrà realizzato anche un volume che, alla stregua di una guida, descriva i siti culturali vecchi e nuovi e narri come questi interagiscano tra loro e con il territorio. Prendendo spunto dai nuovi progetti finanziati, grazie alla consistente partecipazione dell'Amministrazione provinciale e all'interazione con la Regione Emilia-Romagna, che ha dichiarato il suo interesse al sostegno del progetto, si andrà a proporre la rete provinciale per ciascun genere di intervento. Si presenteranno uno accanto all'altro il Sistema dei Musei, quello dei Teatri, delle Biblioteche, mettendo a fuoco le loro caratteristiche e la loro interconnettibilità, mettendo così a disposizione degli operatori, degli utenti, del pubblico più vasto e non ultimo del turista una guida a percorsi strutturati che esistono e vivono accanto e oltre il mare. Un mare che da tempo non è più l'unica eccellenza della nostra offerta turistica ma è affiancato con forza da altre opportunità capaci di garantire quell'equazione cultura-turismo senza la quale la parola offerta turistica non avrebbe alcun significato.

La pagina del Sistema Museale della Provincia di Rimini - pag. 6 [2001 - N.12]

La recente apertura di due nuove sedi espositive, il Museo lapidario e il Museo del tesoro, completa il complesso museale del Duomo e della Piazza Grande di Modena

Graziella Martinelli Braglia - Istruttore direttivo alle Attività Culturali della Provincia di Modena

Lo straordinario complesso del Duomo di Modena e della Piazza Grande si completa con due sedi espositive di recentissima apertura: il riallestito Museo Lapidario e il Museo del Tesoro del Duomo, nuova presenza nel panorama museale cittadino. Il Museo Lapidario raduna rilievi, sculture e iscrizioni su lapide d'età romana, medievale e rinascimentale, recuperati negli interventi fra '800 e '900 che intesero riportare il Duomo all'aspetto romanico, o in seguito rinvenuti nel corso di scavi, o trasportati dall'esterno del tempio per motivi di conservazione. Alcuni frammenti romani evidenziano la consuetudine di reimpiegare nell'edilizia sacra medievale marmi dell'antichità: una prassi che per Modena si traduce in una sorta di continuità fra i monumenti della Mutina romana e il Duomo. Dalle due cattedrali preesistenti provengono resti di pilastrini e lastre; vari marmi giungono invece dall'attuale chiesa edificata dall'architetto Lanfranco. Emerge la serie delle metope, otto lastre a decoro dei salienti del tetto: in esse un seguace di Wiligelmo, ispirandosi al medievale Liber Monstrorum, diede forma a favolose creature come la Sirena, l'Ermafrodito e l'Uomo a tre braccia. Vari capitelli e cornici documentano l'attività dei Campionesi, i maestri lapicidi che proseguirono il cantiere del Duomo iniziato da Lanfranco e da Wiligelmo. Iscrizioni su pietra d'epoca gotica e rinascimentale celebrano personaggi la cui vicenda s'intreccia a quella della Cattedrale. Tra i reperti di maggior suggestione, le lastre di marmo che componevano l'antico altare sulla tomba di S. Geminiano. Il Museo del Duomo, ospitato nei locali appositamente restaurati di Palazzo delle Sagrestie, esibisce opere correlate alla storia del tempio. La prima sala - dedicata al tema del Cristo crocefisso e risorto - espone la croce d'altare e i sei candelieri eseguiti nel 1655 da Giovan Battista e Marcantonio Merlini, ornamento dell'altare maggiore del Duomo nelle solennità, nonché le quattro tele di Bernardino Cervi che illustrano quattro apparizioni del Cristo Risorto, originariamente collocate in Duomo attorno al celebre dipinto di Guido Reni Discesa di Cristo al Limbo. La sala successiva espone opere legate al culto di S. Geminiano. Spiccano la statua in rame del santo sbalzata e fusa da Geminiano Paruoli nel 1374, già nel loggiato sulla Porta Regia del Duomo, e l'altarolo portatile, capolavoro del romanico nordeuropeo formato da una lastra di marmo serpentino che si dice appartenuta a S. Geminiano. Per tradizione si ritiene appartenere al Santo anche il bastone pastorale in argento sbalzato e cesellato, eseguito nel 1558 da Mastro Zonchino da Brandeburgo. Fra gli argenti notevole è l'arredo solenne dell'altare di S. Geminiano nella cripta, raffinato esempio neoclassico dell'orafo Geminiano Vincenzi su disegno di Francesco Vandelli, architetto della corte austro-estense. La terza e quarta sala custodiscono il "tesoro" della Cattedrale, con calici, ostensori, carte gloria, turiboli e vassoi in argento; si segnalano una pace in lastra d'argento con Cristo in pietà, opera del modenese Jacopo Da Porto datata 1486, e lo scenografico apparato settecentesco detto di S. Geminiano in Gros de Tours, ricamato in seta e oro con scene bibliche. Nella quinta sala spiccano due arazzi tessuti a Bruxelles alla metà del '500, donati al Duomo dal nobile Sertorio Sertori. Nella sesta sala, che espone pergamene e codici dell'Archivio Capitolare, si trova la famosa Relatio de innovatione ecclesie sancti Geminiani, codice illustrato degli inizi del '200 che descrive la fondazione del Duomo. L'Assessorato alla Cultura della Provincia di Modena ha finanziato - attraverso un fondo appositamente costituito per la qualificazione del Sistema Museale - l'arredo del book shop relativo ai due Musei; inoltre, aderendo alla richiesta del Capitolo della Basilica Metropolitana di Modena, ha finanziato, in collaborazione con il Comune di Modena e con i Lions Club di Modena, la realizzazione di un servizio di audioguide e videoguida presso il Duomo e i suoi Musei, per meglio valorizzare i tesori d'arte, di storia e di spiritualità del celebre tempio modenese (per informazioni tel. 059 220022).

La pagina del Sistema Museale dalla Provincia di Modena - pag. 6 [2001 - N.10]

In mostra a Modena, nella Chiesa di San Paolo, Santi e simboli nella devozione colta e popolare

Angelo Mazza - Comitato Scientifico della mostra

Santi martirizzati con frecce e strumenti di tortura di raffinata ferocia, scene di possessioni demoniache, protettori contro gli assalti di forze maligne, devoti che implorano guarigioni, santi che si fanno garanti del lavoro e dell'esercizio delle professioni, immagini miracolose della Vergine, scene di fede e di superstizione: sono questi i temi dei dipinti della mostra Libera nos. Efficaci strumenti di comunicazione, i dipinti selezionati costituiscono anche segmenti significativi della storia artistica dell'area estense. Alcuni vengono esposti per la prima volta, altri sono stati restituiti ad un grado di lettura insperato grazie a interventi di restauro, altri ancora vengono indagati sotto nuova luce nel recupero della storia antica e nella riscoperta della dinamica iconografica: in tutti si intreccia una tacita alleanza tra committenti, artisti e destinatari che sollecita l'intervento taumaturgico. La qualità degli artisti prescelti corrisponde ai diversi livelli di cultura del loro pubblico, accomunato dalla cieca fiducia nel soprannaturale: l'ignoto pittore che con linguaggio elementare svolge per i fedeli delle pievi appenniniche la meditazione di san Carlo Borromeo sulla morte di Cristo e dispone in primo piano i santi Rocco, Sebastiano e Antonio abate, protettori contro la peste e le malattie infettive; Giovanni Battista Bertusio, allievo dei Carracci, che nel dipinto di Rocca Malatina allinea un gruppo di ossessi rinsaviti dall'intervento miracoloso di san Carlo Borromeo, impegnato nel liberare spiriti demoniaci dalla loro bocca, esaltando implicitamente l'efficacia delle pratiche esorcistiche del parroco del luogo; Giuseppe Carlo Pedretti che nell'ovale della chiesa di San Giuseppe di Correggio illustra al pubblico delle campagne l'invocazione a san Domenico quale strumento per debellare la peste bovina; lo sconosciuto pittore di inizio Cinquecento che descrive con malcelato compiacimento lo sfogo dei ragazzini che infieriscono sadicamente sul loro maestro immobilizzato, san Cassiano di Imola, con stiletti, tavolette per la scrittura, sgabelli ed altri strumenti didattici, un santo che promette protezione a insegnanti ed educatori vessati dall'esuberanza degli allievi. Non mancano artisti di prima grandezza: Guercino in un dipinto di Finale Emilia presenta san Lorenzo in adorazione della Vergine e del Bambino, con la graticola dell'atroce martirio che gli assicura poteri speciali contro le bruciature ed i rischi del fuoco e gli guadagna il titolo di protettore di categorie esposte, dai vetrai ai cuochi, dai carbonai ai pompieri, fino ai rosticcieri; Ludovico Lana, principale pittore estense della prima metà dei Seicento, esibisce nella tela di Fanano l'immagine taumaturgica della Madonna della Ghiara al cui santuario reggiano i Modenesi si rivolsero per la liberazione dalla peste del 1630 che avrebbe dato luogo alla costruzione della chiesa del Voto e alla commissione di una grande pala del medesimo pittore; Simone Cantarini, allievo ribelle di Guido Reni, con il dipinto della parrocchiale di Stuffione scioglie il voto del commendatore Girolamo Bolognini, ritrattodavanti alla Madonna di Monserrato insieme al giovanissimo figlio Francesco Maria uscito indenne da una gravissima malattia; Bernardino Cervi illustra la movimentata vita di san Sebastiano, tra impegno militare, attestazioni di fede, proselitismo e superamento del martirio per le amorevoli cure di sant'Irene e delle ancelle che sfilano dal suo corpo le frecce allusive agli strali della vita. Non mancano scene di vita quotidiana che relegano il martirio in lontananza e privilegiano il rapporto familiare con il sacro: nel dipinto di San Giovanni in Persiceto il bolognese Bertusio offre l'immagine commovente del lavoro silenzioso dei santi Crispino e Crispiniano, patroni dei calzolai, impegnati nella solerte produzione di suole e tomaie entro una bottega descritta in termini straordinariamente veridici. Nell'anno del Giubileo uno speciale risalto è conferito all'immagine del pellegrino. San Rocco spunta da numerosi dipinti nelle vesti dell'eterno viandante con il cane che gli porta un pezzo di pane e simboli ed amuleti appuntati sulla mantellina; l'apostolo san Giacomo di Campostella appare in due importanti dipinti del bolognese Giacomo Bolognini ritenuti dispersi fino ad anni recenti, e che ora si ricongiungono per la prima volta dal tempo della loro antica scomparsa.

La pagina del Sistema Museale dalla Provincia di Modena - pag. 6 [2000 - N.9]

Un richiamo culturale e turistico da alcuni musei del sistema provinciale modenese da gennaio a luglio 2001

Giulia Luppi - Direttore del Museo della Bilancia di Campogalliano

Il Museo della Bilancia di Campogalliano e la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia Romagna, in collaborazione con la Provincia di Modena, sono i promotori di Pondera. Pesi e Misure nell'antichità un evento culturale e turistico, che nel corso del 2001 coinvolgerà sette sedi di Musei del sistema provinciale modenese e un Museo della città di Bari, con la realizzazione di mostre archeologiche e laboratori interattivi. Senza dubbio uno degli elementi significativi di questo progetto è collegare, creando un particolare circuito museografico e turistico, un'importante mostra archeologica, che si svolgerà presso l'Oratorio San Rocco di Campogalliano, ad una serie di laboratori interattivi, dislocati a Carpi, Finale Emilia, Nonantola, Fiorano Modenese, che la completeranno permettendo, ai giovani visitatori come agli adulti, di entrare in modo attivo ed originale nella vita commerciale e sociale del mondo antico. Seguendo il logo (il kairòs), che caratterizza tutti gli eventi del progetto "Pondera" il visitatore/turista per la prima volta in modo esaustivo, avrà la possibilità di approfondire il complesso argomento: pesi e misure nel mondo antico (dall'età del bronzo fino all'età bizantina), favorito da una particolare scelta allestitiva, che gli consentirà di "fare", "toccare", "manipolare" per comprendere agevolmente il funzionamento degli strumenti di misura, il loro uso e la loro diffusione nei secoli remoti. Pesi, bilance, compassi e orologi solari, provenienti dal territorio modenese, cui si aggiungono reperti di alcuni importanti rinvenimenti in Emilia Romagna e in territori extra regionali, sono tra i protagonisti di queste insolite esposizioni. Chiara è la volontà degli organizzatori di creare con il visitatore un rapporto eccezionale che, nelle aree attrezzate a gabinetto di prova e di lavoro anche grazie a tecnologie informatiche avanzate, gli renderà la visita piacevole per conoscere il nostro passato. Infatti, viaggiando di sede in sede nel circuito Pondera il visitatore è protagonista di una vera e propria "full immersion" nella vita quotidiana dell'antichità: da Pesi e Misure nell'antichità (Campogalliano / Oratorio San Rocco, 20 gennaio - 1 luglio 2001), a Pesi e Misure nella vita quotidiana (Campogalliano / Museo della Bilancia, 20 gennaio - 1 luglio 2001), a La misura del tempo (Campogalliano/Piazza della Bilancia, 20 gennaio - 1 luglio 2001), a Misurare e costruire un impero (Carpi / Musei Civici, 27 gennaio - 6 maggio 2001), a Lavorare i metalli (Nonantola / Antiquarium, 17 febbraio - 1 luglio 2001), a Tessuti, colori e vestiti nel mondo antico (Finale Emilia / Castello delle Rocche, 10 marzo - 1 luglio 2001), a Pondera: equilibrio tra anima e corpo (Modena / Chiesa di San Paolo, 17 marzo - 27 maggio 2001. Bari, sede e data in corso di definizione), a Piccoli e grandi commerci (Fiorano Modenese / Museo della ceramica, 24 marzo - 1 luglio 2001). In questa molteplicità di contenuti espositivi il visitatore può costruirsi tanti percorsi possibili, che possono essere scelti ed intersecati secondo le esigenze personali e delle curiosità di ognuno. Un volume scientifico di oltre 300 pagine, un CD ROM, una guida illustrata, numerosi gadget accompagneranno il pubblico nel suo tour di visita, favorendo la conoscenza e l'approfondimento di questi argomenti. Una Pondera Card personale e una Family, con particolari vantaggi, l'organizzazione di domeniche dedicate ai percorsi di Pondera saranno alcuni degli strumenti progettati per favorire la fruizione e la visita dei percorsi. Gli allestimenti saranno arricchiti, inoltre, dalla presenza di prestigiosi prestiti, tra questi ricordiamo: la mano pantea di Sabazio di Pompei, una meridiana portatile proveniente dal Museo Archeologico di Aquileia, stadere e materiali vari facenti parte del carico della nave romana rinvenuta a Comacchio.

La pagina del Sistema Museale dalla Provincia di Modena - pag. 6 [2000 - N.8]

Un progetto innovativo di restauro, di salvaguardia dei beni culturali e di promozione dell'arte senza museo, realizzato dalla Provincia di Rimini

Alberto Ghinelli Dirigente del Servizio Beni ed Attività culturali della Provincia di Rimini - Dirigente del Servizio Beni ed Attività culturali della Provincia di Rimini

L'anno giubilare è stata l'occasione per attivare ogni sorta di iniziative, specie nel campo dei beni culturali. Molte di queste si sono risolte in operazioni di facciata, di pulizia di monumenti o di interventi sporadici. In altri casi è stata l'opportunità per impostare modalità di intervento programmate e significative. In questo contesto la Provincia di Rimini ha indirizzato il suo impegno in una direzione nuova e per molti aspetti certamente originale: realizzare un progetto di restauro delle opere d'arte sacra, diffuse nel territorio provinciale che, attualmente in precarie condizioni, verranno cosi riportate ai loro antichi splendori e alla pubblica fruizione da parte, in primo luogo, dei cittadini delle comunità locali, dei fedeli ed infine dei "pellegrini giubilari". Si è trattato sicuramente di una scelta abbastanza coraggiosa sia dal punto di vista culturale che amministrativo. Sotto l'aspetto amministrativo si sono sviluppati alcuni aspetti innovativi, crediamo, di grande interesse: da un lato affidando ad un soggetto privato - la Curia - le fasi operative, dall'altro costituendo rapporti di forte collaborazione con le istituzioni preposte alla tutela dei beni culturali: Istituto per i Beni Culturali, Soprintendenza ai Beni Artistici dell'Emilia-Romagna; infine garantendo l'aspetto scientifico dell'operazione attraverso un comitato scientifico di cui fanno parte personaggi di grande competenza quali Andrea Emiliani - già Soprintendente - e Pier Giorgio Pasini, uno dei maggiori conoscitori dell'arte sacra riminese. Si sono tenuti presenti vari aspetti: dall'organicità dell'intervento alla cura del contesto in cui le opere sono e saranno ricollocate, alle condizioni di sicurezza, sia relativa al mantenimento delle opere, che contro la criminalità. La prima operazione sviluppata è stata un censimento, ampiamente significativo, delle opere d'arte conservate nelle chiese della provincia e la selezione di 50 opere poi raggruppate in 20 lotti. Le opere prescelte coprono un arco temporale assai vasto, dal XIV al XX secolo: fra le più antiche e affascinanti figurano due crocifissi dipinti su tavole sagomate da ignoti artisti appartenenti alla celebre "scuola riminese del trecento"; al periodo rinascimentale appartengono alcuni crocifissi lignei di notevole interesse culturale e devozionale, uno dei quali di un grande artista tedesco. Tra le opere del seicento risaltano una pala del Centino, noto autore locale, e un'altra del Mastelletta, di scuola bolognese; figurano anche nomi importanti del settecento: i riminesi Giovan Battista Costa, Ligorio Donati e Angelo Sarzetti, il bolognese Giuseppe Marchesi detto il Sansone, il cesenate Giuseppe Milani. Tuttavia nella scelta delle opere non si sono privilegiati tanto i nomi celebri o i centri urbani maggiori quanto le necessità di conservazione, così come non è stato dato eccessivo rilievo a particolari epoche. Sono state prese in considerazione anche opere di anonimi che rappresentano tuttavia insostituibili documenti di fede e di devozione. Il primo lotto, composto di dodici opere già ritornate al loro posto, è stato affidato con gara ufficiosa a gruppi di restauratori selezionati, agli inizi di luglio 1999; il secondo e il terzo lotto, per un totale di 42 opere, è stato assegnato il 26 gennaio del 2000; alla fine di giugno gran parte delle opere tornerà nei luoghi di origine. L'attività amministrativa ha avuto inizio nel dicembre del 1998; a questa ha fatto seguito il lavoro istruttorio di ricognizione delle opere presenti nelle chiese riminesi, di quelle che richiedevano con urgenza interventi di restauro, la scelta delle opere da prendere in considerazione e l'analisi degli elementi necessari per procedere ad una gara ufficiosa per il restauro. Il costo risulta sufficientemente contenuto, in rapporto all'entità dell'intervento: 528.000.000, comprensivo dei costi connessi all'analisi e del Comitato Tecnico Scientifico. Dai pochi elementi illustrati emergono con chiarezza i motivi di soddisfazione per l'operazione svolta: tempi rapidi, intervento organico, costi limitati, grande snellezza amministrativa, coinvolgimento di tutto il territorio, stretto rapporto tra azione amministrativa e sentimento popolare e modalità innovative di intervento nel contesto di un nuovo federalismo.

La pagina del Sistema Museale della Provincia di Rimini - pag. 6 [2000 - N.7]

Dagli scavi del 1974 è emerso, nel podere Chiavichetta, uno dei quartieri portuali di quello che può essere definito l'antenato dell'attuale porto commerciale di Ravenna

Giovanna Montevecchi - La Fenice Archeologia e Restauro S.r.l. Concessionario dei Servizi Aggiuntivi per il Polo Archeologico dell'Emilia Romagna

La zona di Classe, oltre che centro urbano e sede di numerose basiliche cristiane, fu, in epoca tardoantica e bizantina, base di un porto commerciale; uno dei quartieri portuali che lo costituivano fu rinvenuto nel podere Chiavichetta a partire dal 1974. Tale rinvenimento ha permesso di evidenziare alcuni magazzini, un impianto produttivo e due strade: nel settore maggiormente indagato sono state individuate le fondazioni dei magazzini di stoccaggio e deposito, che si affacciavano su di una strada basolata in trachiti; la via segue l'andamento del canale e reca i solchi lasciati dalle ruote dei carri. Fra un magazzino e l'altro funzionava un sistema fognario pubblico molto sviluppato che scaricava le acque di raccolta nel canale portuale. Un solo edificio é stato scavato interamente: presenta un portico sul canale, a cui si accedeva tramite alcuni gradoni, un portico prospiciente la strada e un interno suddiviso in navate da pilastri che sostenevano il tetto; all'interno del magazzino vi era un pozzo di raccolta dell'acqua di falda e una cisterna per l'acqua piovana. Nella zona sud dell'area archeologica funzionava una struttura produttiva: si tratta di un ambiente di estese dimensioni, non ancora completamente scavato, con un forno per ceramica e uno per lucerne. A partire dal IV secolo e soprattutto nel V-VI d.C. a Classe sorsero le basiliche cristiane: vennero edificate sia nell'area abitata (cattedrale petriana e basilica di S. Severo) sia nella zona extra muraria con le basiliche cimiteriali (S. Apollinare, S. Probo, S. Eufemia, S. Eleucadio). Inoltre più a Sud sorgeva presumibilmente un piccolo centro abitato con relativa basilica ed annesso battistero denominata convenzionalmente "Cà Bianca" e rinvenuta nelle vicinanze di una necropoli (Palazzette) frequentata dal I al IV sec. d.C. Nell'area della basilica di S. Severo, scavata a partire dal 1964, sono stati riportati in luce notevoli porzioni di pavimenti musivi relativi alla chiesa di S. Severo e parte del sottostante edificio romano di età adrianea; il progetto di apertura al pubblico, avviato nel 1987 con il finanziamento della copertura del complesso, prevede la ricollocazione dei mosaici pavimentali. La Soprintendenza Archeologica, che gestisce l'area archeologica, ha già avviato alcune collaborazione sia con l'Università di Bologna e di Ravenna sia con altre università straniere per la realizzazione di scavi in zone di diverso interesse archeologico, fra cui anche le necropoli. L'area del quartiere portuale nel podere Chiavichetta é aperta al pubblico tutti i giorni dalle 9,00 alle 16,00 durante l'inverno e fino alle 19,00 durante l'estate; é possibile prenotare visite guidate telefonando allo 0339 895769. Le altre zone non sono ancora fruibili dal pubblico.

Speciale siti e musei archeologici - pag. 6 [1999 - N.6]

Luciana Martini - Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici di Ravenna

ll Museo Nazionale di Ravenna custodisce, oltre ai reperti provenienti da recuperi e scavi nella città,soprattutto ciò che resta delle raccolte settecentesche un tempo situate presso le due più grandi abbazie ravennati: quella dei padri camaldolesi di Classe e quella dei Benedettini di San Vitale. Veramente straordinaria fu l'attività di documentazione e ricerca esercitata con passione da questi ordini religiosi, presso i quali, con la collaborazione di qualche nobile dotto, si raccoglieva allora tutta la cultura locale. Le stesse collezioni che oggi noi contemporanei, passati attraverso la sensibilità del romanticismo e dell'idealismo, percepiamo come "artistiche", avevano in origine, nella cultura dei monaci, una valenza di documentazione scientifica molto più accentuata. Il che spiega la presenza, all'interno delle raccolte, di certi reperti di carattere semplicemente etnografico o naturalistico, che oggi ci sembrano estranei allo spirito dell'insieme, e che trattiamo come semplici curiosità. Particolare importanza, nel monastero dei Benedettini, ebbe una raccolta dedicata allo strumentario medico chirurgico dell'epoca, fondata nel 1746 e strutturata come una vera e propria istituzione museale. Nata sotto l'impulso di ragioni pratiche, insieme alla farmacia che dispensava medicamenti, la collezione subì l'influsso delle nuove idee settecentesche che andavano mutando la percezione della natura, e quindi dello stesso corpo umano, e di conseguenza rivalutavano anche la funzione della medicina, nell'ottimistica opinione della possibilità della scienza di eliminare il dolore dalla vita umana sull'onda delle nuove entusiasmanti scoperte tecniche. La trasformazione della raccolta in Museo, con vere e proprie finalità collezionistiche e acquisto anche di materiale didattico illustrativo fu dovuta al dotto padre Ippolito Rondinelli, che nel 1741 era vicario dell'infermeria del Monastero; nella realizzazione di questa impresa si associò con il chirurgo locale Gaetano Bianchi. L'importanza che ebbe fin dall'inizio la collezione è testimoniata anche dalla collocazione dei materiali all'interno del complesso benedettino: occupavano cinque ambienti lungo il lato occidentale del secondo chiostro, preceduti da una porta monumentale sormontata di stucchi. bbene fosse uno dei maggior vanti della comunità, a partire dal 1797, a seguito delle soppressioni napoleoniche, la raccolta seguì un triste destino di dispersione. In un primo momento, i materiali vennero consegnati dalla municipalità a medici ravennati, poi alla Deputazione dell'Ospedale locale. Nel 1814 un resto della collezione era ancora visibile in ambienti di quest'istituzione, anche se parte di essa era stata dirottata verso altri enti e prestata a privati; in seguito, nei vari trasferimenti di sede dell'ospedale, gli oggetti vennero del tutto dispersi. Nel 1862 si ha ancora traccia di qualche strumento, del quale venne effettuato il restauro. Il venire meno della funzione pratica del materiale (e forse il trionfo di una medicina ormai inconsapevole della propria storia) ne segnò la fine, perdendosi quella valenza di documentazione scientifica, che proprio fin dall'origine era stata il motore di formazione della collezione, travalicando la semplice necessità d'uso. Non sapremmo effettivamente più nulla di questa raccolta se fosse che il suo creatore, il padre Rondinelli, si era preoccupato di lasciarne una accurata testimonianza. Il volume illustrato Descrizione degl'istrumenti, delle macchine e delle suppellettili raccolte ad uso chirurgico e medico dal P. Don Ippolito Rondinelli ferrarese monaco cassinese in S.Vitale di Ravenna, un altro benedettino, il padre pubblicata a Faenza nel 1766 da bresciano Mauro Soldo, è tutto ciò che resta di questa antica e grandiosa istituzione.

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 6 [1999 - N.4]

Pietro Albonetti - Docente all'Università di Bologna

Ho visitato il Museo del Lavoro Contadino nelle Vallate del Lamone - Marzeno - Senio nella Rocca di Brisighella dopo ventuno anno. Quando fu aperto nel 1977 detti una piccolissima collaborazione; oggi sono solo un visitatore, accompagnato dall'amico che per tutto questo tempo ha retto e fortificato il Museo. Mi viene qualche parola militaresca e ripeto l'impressione di allora: gli strumenti domestici e campestri dei contadini sono entrati nell'abitazione del Capitano (abitava con un certo numero di armigeri; donne di casa non ce n'erano, o si?), come attirati da una calamita. I contadini non hanno amato la guerra, ma l'hanno conosciuta e sapevano che per mitigarla conveniva avere qualche capitano dalla propria parte. In fondo questi arnesi si sono ricoverati presso una figura dominante in grado di proteggere e di angariare. Il secondo pensiero mi ha portato all'inizio del secolo che sta per finire, grosso modo all'età piena dell'agricoltura decimillenaria ormai sul limite del grande esodo e della grande meccanizzazione. Era l'epoca in cui certe avanguardie artistiche (il futurismo di Marinetti, per esempio) proclamano la fine dei musei, come cellule di passatismo e inneggiano a uno svecchiamento dove anche la guerra sarebbe stata salutare. Abbiamo visto!. Della guerra e dei guerrieri non parlo più, ma sui musei ancora qualche riga. La sfida contro i luoghi di conservazione non so se in Italia abbia perso o vinto. Credo che il rigoglio dei musei di questo fine secolo sia al punto più alto in tutto il mondo e i visitatori sono folle in movimento. All'estero come si sa, l'organizzazione è in genere più avanzata e funzionante. musei contadini e analoghi rispetto ai grandi concorrenti storici sono più recenti e quasi concomitanti al formarsi della nostalgia per il mondo agricolo, che scompariva. Musei contadini e analoghi rispetto ai grandi concorrenti storici sono più recenti e quasi concomitanti al formarsi della nostalgia per il mondo agricolo, che scompariva. Nella mia area nativa apprezzo il Museo di Brisighella. Le numerose visite sono una conferma oggettiva. I commenti degli altri visitatori, lì dentro, sono tra i più vari e divertenti: dai giovani ai vecchi un campionario incredibile interessato alle cose esposte, al panorama e forse anche alle strettoie e alle scale che salgono dentro e fuori in cima alla rocca. La passeggiata (ma si arriva comodamente anche in macchina) può essere un pretesto, oltre che uno scopo preciso. Dopo ventuno anno il risultato è sicuro, ma gli oggetti da 535 sono ora più di 2400: stipatissimi (non si possono attaccare fuori dalle feritoie come il bucato): stringono non solo le rocche della nonna e le mezzette del nonno, ma gli aratri, le botti, i telai, etc. Bisogna estendersi: non voglio calcare sui vizi della memoria ma sul valore della conservazione. Un ciclo millenario dell'attività umana fondamentale (come è l'agricoltura) è al centro stesso dell'operazione. Può darsi che sempre di meno le nuove generazioni sappiano del passato e che dalle pagine scritte siano annoiate: non resta che squadernare (è un dovere) "le morte stagioni" in un modo serio e rigoroso nella "presente e viva". A Brisighella i presupposti ci sono, ma oggi sono stretti.

Speciale musei etnografici - pag. 6 [1998 - N.3]

Giorgia Freddi - Operatrice di Casa Monti

Sabato 23 maggio, ad Alfonsine, è stata inaugurata e nuovamente riaperta al pubblico, dopo alcuni anni di chiusura, la casa dove il 19 febbraio 1754 nacque l'illustre poeta neoclassico Vincenzo Monti. L'edificio si presenta completamente rinnovato, al termine di un lungo intervento di risanamento, fortemente sostenuto dall'Amministrazione Comunale, in collaborazione con la Regione Emilia Romagna. Grazie a tale ristrutturazione, condotta nell'assoluto rispetto delle caratteristiche settecentesche della casa, si potrà così tornare a fruire attivamente di una costruzione di indiscutibile valore architettonico. Casa Monti avrà una duplice destinazione d'uso diventerà infatti sede, al piano terra, del Centro Visita della Riserva Naturale Speciale di Alfonsine e del Punto di informazione del Parco del Delta del Po mentre, al piano superiore, di un museo montiano. Quest'ultimo, non solo accoglierà i cimeli e le memorie del celebre Poeta locale, ma ospiterà anche visite didattiche, oltre a manifestazioni di carattere culturale e convegni, rivolti a studiosi e ad appassionati del periodo neoclassico. In occasione dell'inaugurazione, il museo montiano ospita inoltre una mostra di stampe e autografi del Poeta, dal titolo Vincenzo Monti, dalla Roma di Pio VI alla Milano di Napoleone, che si protrarrà per tutto il mese di luglio, con apertura dal martedì alla domenica, dalle 9,30 alle 12,30 e dalle 14.30 alle 17,30. Si tratta di un'esposizione di indiscutibile valore, che mira a ripercorrere la carriera del Monti, vissuto in un periodo di profonde trasformazioni politiche, attraverso tre grandi momenti, ossia il Periodo Romano, il Periodo Repubblicano e il Periodo Napoleonico. L'unicità e la singolarità della mostra dipendono dalla vastità del materiale raccolto, che comprende numerose prime edizioni e manoscritti autografi, alcuni dei quali mai esposti, provenienti dal Fondo Montiano della Biblioteca Orioli di Alfonsine, dal Fondo Piancastelli della Biblioteca Saffi di Forlì e dal Museo Storico dell'Università di Pavia. Nei locali al pianterreno di Casa Monti sarà invece ubicato il Centro Visita della Riserva Naturale Speciale di Alfonsine e il Punto informativo del Parco del Delta del Po, presso cui ritirare materiale relativo alle offerte che il parco offre non solo nel territorio alfonsinese, ma in tutte le sei stazioni di cui è composto e che si estendono tra la provincia di Ravenna e quella di Ferrara. Il Centro Visita ospiterà, invece una sala di ricevimento al pubblico, dove l'utente potrà ricevere informazioni sulla Riserva di Alfonsine e una sala mostra permanente, all'interno della quale, grazie all'ausilio di pannelli esplicativi e di plastici, sarà possibile seguire un percorso documentario relativo a quest'area protetta e al paesaggio della bassa pianura ravennate. La Riserva Naturale Speciale di Alfonsine, sorta nel 1990, è composta da tre stazioni, non particolarmente estese, ma di grande interesse naturalistico, nelle quali tra l'altro vivono esemplari in via di estinzione, quali la testuggine palustre (Emys orbicularis), considerata tra le "specie animali di interesse comunitario, la cui protezione richiede la designazione di zone speciali di conservazione". Il centro potrà quindi essere un punto di appoggio, non solo per gli amanti della letteratura, ma anche per appassionati naturalisti o semplici cittadini, che troveranno in questa struttura un adeguato punto informativo. Proprio per adempiere a questa funzione è stata allestita una sala attrezzata, all'interno della quale è possibile fruire una documentazione visiva, composta da videocassette, diapositive e in futuro CD ROM. Casa Monti (tel.0544.869808) resterà aperta sino al 31 Ottobre e riaprirà la primavera successiva. Nei mesi invernali il Museo del Senio fungerà da punto di riferimento sia per il museo montiano che per il Centro Visita, (aperto dal lunedì al sabato, dalle 9,00 alle 12,00 e dalle 15,00, alle 18.00. tel. 0544.83585).

Speciale casa museo - pag. 6 [1998 - N.2]

Gianfranco Casadio

Nella Rocca trecentesca di Riolo Terme, il cui restauro sta per essere concluso, troverà collocazione un nuovo museo: il Museo della Cultura Gastronomica. Il Museo, fortemente voluto dall'Amministrazione Comunale, è stato promosso con la collaborazione della Provincia di Ravenna, dell'Istituto per i Beni Culturali di Bologna e della Società d'Area tra i Comuni montani del Ravennate. La scelta della Rocca come contenitore per questo tipo particolare di attività museale, è senz'altro valida, ma a condizione che venga rispettata la sua caratteristica principale, quella cioè che la stessa Rocca è un museo e quindi non dovrà essere eccessivamente"appesantita" da funzioni aggiuntive. Tenuto conto di queste cautele, gli spazi da adibire a Museo, a laboratori didattici e a mostre temporanee, sono stati individuati dai promotori del Museo al piano terra, al primo piano, nei torrioni circolari e nella torre quadrata della Rocca; mentre la sala convegni, altri tipi di mostre temporanee, e i locali per i depositi di materiali, troveranno sede nella ex Chiesa di San Giovanni posta nelle vicinanze. L'IBACN, che ha stilato una bozza del progetto di massima del Museo, ha assegnato al Comune di Riolo Terme un consistente finanziamento per il suo allestimento, inserendo il progetto nei contributi della L.R. 20/90 per il 1996 e 1997. Secondo questa bozza di progetto, il Museo dovrà essere concepito secondo i criteri di una moderna istituzione in cui la conservazione non sia solo il fine, ma il mezzo per far avvicinare il pubblico alla tradizione dell'arte culinaria secondo i principi della conoscenza e dell'esperienza storica. Questa istituzione sarà caratterizzata da tre specifiche sezioni necessarie per poter adempiere alle sue finalità di centro studi, di attività espositive temporanee e di conservazione dei patrimoni storici. Negli spazi della Rocca si collocheranno la sezione permanente, quella per le attività temporanee e il centro di documentazione. Nella sezione permanente, sarà allestita una esposizione storico virtuale sulla cucina emiliano-romagnola dove il visitatore avrà modo di percorrere per punti essenziali la storia della tradizione culinaria regionale a partire dall'epoca antica per arrivare ai nostri giorni. L'allestimento di tale sezione si avvarrà degli strumenti multimediali e di apparati espositivi realizzati per condurre, di volta in volta, il visitatore all'interno di un'atmosfera in grado di fargli vivere l'autentico spirito della cultura gastronomica vissuta nei secoli a questo primo nucleo, arricchito anche dagli spazi per le attività temporanee si aggiungere nel prossimi anni, la creazione dl centro di documentazione e la biblioteca. Nella ex Chiesa di San Giovanni verranno attivati dei depositi, particolarmente attrezzati per ospitare reperti musicali che non potranno essere continuamente esposti al pubblico. Per il lancio del Museo della Cultura Gastronomica, la cui realizzazione definitiva non avverrà prima di un anno e cioè fino al completo restauro della Rocca, il Comune procederà con una serie di eventi che creeranno interesse attorno a detta istituzione. Le iniziative, distribuite nell'arco del 1998, saranno concentrate in due periodi dell'anno: nella primavera-estate e in autunno. Si inizierà con una Tavola rotonda con lo scopo di aprire un dibattito su come dovrà essere un museo della cultura gastronomica, a cui saranno invitati esperti nelle varie discipline scientifiche (esperti di cucina italiana, di cucina emiliano-romagnola, di cultura materiale, di museologia, di biblioteconomia, di formazione professionale). A fianco del Convegno troveranno collocazione una serie di altri eventi collaterali legati alla gastronomia: La gastronomia nel cinema con l'organizzazione di una rassegna cinematografica dal titolo "il cinema in tavola"e La gastronomia nella letteratura con l'allestimento di una "Mostra di libri di cucina" non più sul mercato e sarà allestito un "Book Shop" con i libri attinenti le tradizioni culinarie e l'alimentazione romagnole ed emiliane e pubblicati nell'editoria regionale. Nell'estate saranno allestiti spettacoli teatrali e cinematografici e altri tipi di iniziative che avranno per tema la gastronomia. In autunno, in collaborazione con l'Arcigola, saranno realizzati due Laboratori del gusto e un Convegno, che avrà per titolo "Un'Arca del gusto per salvare il pianeta dei sapori", con particolare attenzione al mondo agricolo, alle tematiche delle colture arboree da frutta, delle varietà orticole e delle produzioni alimentari artigianali.

Nuovi progetti - pag. 6 [1998 - N.1]

Cetty Muscolino - Storico dell'arte Soprintendenza Beni Ambientali e Architettonici Ravenna

Funzione primaria del Museo è quella di conservare testimonianze a cui si attribuisce un valore. Ma il Museo, oltre che conservare, può aiutarci maggiormente ? E' giusto che svolga anche una funzione promozionale e didattica ? Parlando con chi ? Interagendo con il mondo degli adulti, con quello degli adolescenti, con quello dell'infanzia ? Perché andare al Museo ? Per vedere per confrontare, per capire, per riflettere.Perché il museo costantemente ci ricorda chi siamo e da dove veniamo, ci suggerisce la nostradirezione.L'oggetto osservato, sia che si tratti di un reperto archeologico, di un mosaico, di un avorio... può diventare uno strumento di comprensione : si tratta di una testimonianza diretta, di prima mano, che se ben utilizzata può dare un salutare ed energico scossone alla cultura istituzionalizzata, troppo spesso libresca (o peggio ancora "fotocopiata") e astratta.L'oggetto esaminato diviene il fulcro di un discorso che si può sviluppare in molteplici direzioni, ma sempre partendo dall'uomo e all'uomo ritornando. Perché documenta un pensiero ed un 'azione, un problema e la sua soluzione, un desiderio e il suo realizzarsi.... e grazie alla sua interpretazione e comprensione noi possiamo crescere e riflettere sulla vita. E' molto importante scegliere un tema e poi su quello lavorare fino a che non sia stato completamente interiorizzato. Non sarà la quantità di temi o periodi storici percorsi che fanno crescere, ma il metodo con cui uno solo o pochi argomenti verranno affrontati : qui sta la differenza fra cultura e nozionismo. Ma è assolutamente prioritario adottare un metodo efficace, coinvolgente ed immediato, per interagire con le opere, farle parlare e resuscitare dal loro letargo di... pezzi da museo.I giovani sono incredibilmente ricettivi è nostro compito utilizzare al meglio questa loro potenzialità, ma senza aspirare ad intontirli con sofisticati strumenti audiovisivi solo perché questa è la moda, o solo perché non ci rinchiudiamo in un computer o non pronunciamo di tanto intanto la magica parola "internet", gli avanguardisti ti insinuano un sospetto che tu sia un cavernicolo. Avranno tanto tempo per il computer i nostri ragazzi.... anche senza la nostra smodata solerzia. Già ben conosciamo il penoso esito di generazioni allevate dagli schermi televisivi.Una semplicissima verità per farsi largo ha bisogno di tempo, come un seme che deve crescere dal terrenonon occorrono mezzi costosi, perché nessun sofisticato sistema può essere efficacemente funzionale come la parola, se ben usata a proposito. Avente mai riflettuto un solo istante sulle incredibili possibilità della parola ?sulle infinite sfumature che si possono utilizzare ? La parola può risvegliare, far sognare, evocare, spaventare.... far innamorare : Perché noi dobbiamo innamorarci, entrare nell'orbita dell'opera d'arte per uscirne potenziati e vivificati. Quando accompagnamo gli studenti al museo quello che dobbiamo fare innanzitutto è ascoltare, parlare.... e spesso fare silenzio : è una ricetta semplice semplice che darà moltissimi frutti.I giovani hanno bisogno di toccare, di vedere, di sentirsi incoraggiati e ascoltati : non isoliamoli prima del tempo nel deserto del mondo computerizzato solo perché la società dei consumi lo reclama con prepotenza. Dobbiamo forse aspettare, anche questa volta,la dotta conclusione di summit di psicopedagogisti (pagati a peso d'oro) per comprendere quanto già una persona di buon senso vede, che stiamo bombardando di troppo di tutto e di assurde farneticazioni questi giovani ? Salviamo questi ragazzi dal frastuono mentale dalla forsennata immissioni di dati... non dico semplicemente inutile, bensì nocivi.Alcune visite al museo, alcuni incontri significativi col nostro passato ci aiuteranno a comprendere meglio noi stessi e a capire dove spesso sbagliamo, a vivere più concretamente questo osannato progresso. E se il Museo troppo spesso risulta difficile da capire, o troppo noioso, o troppo serioso, considerando che è troppo costoso renderlo in poco tempo comprensibile a tutti, cerchiamo di farci condurre per mano da chi è disposto ad offrirci un valido aiuto, e se proprio vogliamo fare degli investimenti economici che siano normalmente produttivi, noi storici dell'arte e archeologi, che riusciamo a muoverci più agevolmente in questi labirinti della storia, cerchiamo di collaborare più attivamente con gli insegnanti, suggerendo loro le strategie più idonee per affrontare le realtà museali e proponiamoci di "allevare" degli operatori culturali adatti allo scopo. E' un'operazione impegnativa, ma ci sono molti giovani in gamba che potrebbero essere educati in questa direzione, si tratta solo di essere convinti che ne valga la pena di volerlo fare.... io personalmente ci credo

Speciale didattica - pag. 6 [1997 - N.0]

Nel cuore di Modena sorge la casa di Ludovico Antonio Muratori, sede di un museo e di un centro-studi

Graziella Martinelli Braglia - Istruttore direttivo alle Attività Culturali della Provincia di Modena

Nel cuore della Modena ducale, nella piazzetta della Pomposa, sorge una piccola ma suggestiva "isola" urbana: è la settecentesca Aedes Muratoriana, la dimora del grande Ludovico Antonio Muratori (Vignola 1672 - Modena 1750), con accanto la chiesa di S. Maria Pomposa di cui lo studioso fu parroco dal 1716 sino alla morte. Nell'Aedes è allestito il Museo Muratoriano, che rientra nel novero degli oltre cinquanta musei aderenti al Sistema Museale della provincia di Modena. Al di là del portone, il visitatore è accolto nel quieto giardino con l'antico pozzo, dove il tempo sembra esser rimasto come sospeso. Salite le due rampe di scale, si raggiungono gli ambienti in cui visse Muratori. Gli arredi e gli oggetti a lui legati esprimono un valore non tanto di cimeli quanto di presenze che narrano dei suoi studi e della sua attività, sia di intellettuale che di ecclesiastico: laureatosi in Filosofia nel 1692 e in Diritto canonico nel 1694, ordinato sacerdote nel 1695, fu dottore della Biblioteca Ambrosiana di Milano dal 1695 al 1700, quindi, rientrato a Modena, Archivista e Bibliotecario dei duchi d'Este. Straordinaria la sua produzione su temi di filosofia, di letteratura, di diritto, e soprattutto di storia: nei dodici volumi degli Annali delineava il profilo storico dell'Italia, tanto da venir definito "padre della storiografia italiana"; nei Rerum Italicarum Scriptores, poderosa opera in ventotto volumi, fondava la moderna metodologia della ricerca storica, basata sullo studio delle fonti documentarie. L'imponente opera muratoriana nelle edizioni originali e i principali lavori critici di commento sono raccolti nelle librerie alle pareti di queste antiche stanze, che custodiscono gli arredi originali: l'inginocchiatoio e il Crocefisso, la poltrona, lo scrittoio con la penna e il calamaio. Ne riemerge una dimensione di studio fisicamente appartata, ma in realtà immersa nelle più vitali correnti della cultura europea di fine Seicento e primo Settecento, come dimostrano i rapporti epistolari che il Muratori intrattenne con oltre duemila corrispondenti, fra cui scienziati e filosofi come Newton, Leibnitz, gli Illuministi. L'iconografia muratoriana è documentata da una serie di dipinti e di busti, oltre che dalla serie completa delle medaglie coniate in onore del grande studioso; mentre un nucleo di quadri e incisioni di affermati autori modenesi riproduce vedute e scorci dell'Aedes e di altri luoghi legati alla sua biografia. Infine, il fonte battesimale e il registro autografo dei battesimi testimoniano la sua opera sacerdotale e caritativa. La camera da letto conserva ancora la grata che consentiva al Muratori la vista sull'adiacente chiesa. È un piccolo tempio d'origine medievale ricostruito dal 1717 a proprie spese dallo stesso Muratori, che vi è sepolto in una monumentale tomba di Ludovico Pogliaghi, e che ora si fregia di pregevoli dipinti di due allievi di Guido Reni, Bernardino Cervi e Jean Boulanger, cospicui pittori del Seicento estense. L'edificio è sede del Centro di Studi Muratoriani e della vitalissima Deputazione di Storia Patria per le Antiche Province Modenesi, dall'intensa produzione bibliografica su temi modenesi e degli antichi Stati Estensi.

La pagina del Sistema Museale dalla Provincia di Modena - pag. 6 [2003 - N.17]

Un progetto ambizioso assunto dall'Unione Europea nell'ambito del Progetto Raffaello che si realizzerà a Montale, nel Modenese

Andrea Cardarelli - Direttore del Museo Civico Archeologico ed Etnologico di Modena

Le terramare sono forse per la nostra regione la realtà archeologica più caratteristica e significativa. Fra il XVII e l'inizio del XII secolo a.C. la grande pianura emiliana ospitò infatti una delle civiltà più ricche ed importanti dell'intero continente europeo. Pur non avendo ancora elaborato un sistema di scrittura il popolo delle terramare aveva però sviluppato un evoluto sistema economico e sociale; nel corso di alcuni secoli colonizzò la grande pianura del Po modificandone sensibilmente il paesaggio e costruì una serie innumerevole di villaggi estesi fino a 20 ettari, con imponenti difese artificiali e un impianto preordinato e regolare dello spazio abitativo. Un'agricoltura e un allevamento piuttosto evoluti permettevano un buon livello di vita, tanto che nelle terramare poterono svilupparsi forme di artigianato specializzato, come la metallurgia, che hanno lasciato prodotti di grande significato storico e archeologico di cui possono vantarsi molti nostri musei. Negli ultimi anni l'attenzione nei confronti della terramare è di nuovo molto consistente come ha dimostrato il successo della grande mostra Le terramare. La più antica civiltà padana, tenutasi a Modena nel 1997. Proprio il successo di quell'iniziativa e la forte richiesta da parte del pubblico ha spinto il Museo Civico Archeologico Etnologico di Modena in collaborazione con il Comune di Castelnuovo Rangone e con il patrocinio della Soprintendenza ai Beni Archeologici dell'Emilia Romagna ad avviare un progetto di grande rilevanza sulla terramara di Montale presso Castelnuovo Rangone che prevede, oltre ad una eccezionale occasione di ricerca archeologica, anche la realizzazione di un parco archeologico e di un open air museum. Un progetto ambizioso che è stato assunto dall'Unione Europea nell'ambito del programma Raffaello con il nome di Archeolive. Parchi archeologici della Protostoria europea, all'interno del quale il Museo Civico Archeologico di Modena è affiancato da partners di grande prestigio internazionale quali il Museo di Storia Naturale di Vienna e il Museo delle Palafitte di Unterhuldingen (lago di Costanza). L'importanza del progetto è poi ulteriormente sottolineata dal sostegno della Regione Emilia Romagna e della Provincia di Modena. Gli scavi iniziati nel 1996 e proseguiti fino ad oggi hanno riportato alla luce un'imponente e articolata stratigrafia archeologica (oltre tre metri di spessore), rivelando, grazie anche alla discreta conservazione dei resti lignei, importanti elementi strutturali databili al Bronzo medio e all'inizio del Bronzo recente riferibili a granai e abitazioni. Gli studi archeologici, geoarcheologici, archeobotanici, zooarcheologici condotti con la collaborazione di vari studiosi permetteranno di avere una quadro di grande dettaglio in relazione ad aspetti significativi quali l'economia primaria e la dieta della gente della terramare, la trasformazione dell'ambiente determinata dalle loro attività lavorative e costruttive, le attività artigianali, il tipo di abitazioni e più in generale l'organizzazione dell'insediamento e della comunità. Tutte queste informazioni non si trasformeranno solo in testi scientifici ed esposizioni museali di tipo tradizionale, saranno infatti utilizzate per la realizzazione del progetto che si compone sostanzialmente di due parti: un parco archeologico e un museo all'aperto, un'area sperimentale dove saranno ricostruite filologicamente e a grandezza naturale alcune strutture di fortificazione e abitative del villaggio terramaricolo così come si sono evidenziate negli scavi. Il parco può contare su una particolare caratteristica che rende la terramara di Montale un unicum. Infatti qui la presenza di edifici ecclesiastici settecenteschi sulla sommità della terramara ha permesso di conservare parzialmente l'originaria collinetta costituita dal deposito archeologico, circostanza che non si è verificata nella quasi totalità degli altri insediamenti terramaricoli, distrutti in età moderna dalla pratiche agricole. Inoltre, nonostante la località di Montale sia fortemente urbanizzata, la gran parte della superficie originariamente occupata dalla terramara è ancora un'area verde, miracolosamente conservatasi nel centro del paese. Si potrà dunque realizzare negli oltre 23.000 mq. disponibili una situazione particolarmente interessante, nella quale la valorizzazione di un'area archeologica diviene elemento caratterizzante di una realtà urbana in grado di restituire anche una forte identità storica alla comunità locale oltre che creare un forte polo attrattivo per il turismo scolastico e familiare. Nel parco saranno ricreate le condizioni dell'habitat dell'età del Bronzo grazie alla piantumazione di piante ed essenze riconosciute nelle ricerche archeologiche, evidenziate le tracce delle fortificazioni del villaggio terramaricolo, realizzata un'aula didattica con spazi di gioco e laboratorio, resa visitabile l'area di scavo, caratterizzata come un cantiere archeologico in corso, e dunque certamente di grande interesse per il pubblico e le scuole. Verrà inoltre attrezzata un'area di accoglienza per il pubblico e organizzati adeguati percorsi con pannelli che racconteranno la storia del sito, il quale ha avuto importanti frequentazioni anche in età medievale. In un'area attigua sarà invece realizzato il museo all'aperto con ricostruzioni a grandezza naturale di parte delle fortificazioni originali del villaggio (fossato e terrapieno), abitazioni, granai, pozzi, il tutto realizzato seguendo le indicazioni fornite direttamente dallo scavo archeologico e in gran parte con le tecniche in uso presso le terramare. Spazi per la sperimentazione destinata a tecniche agricole, alla realizzazione e cottura del vasellame, alla fusione e lavorazione del corno di cervo, saranno ottenuti sia all'esterno sia all'interno delle strutture ricostruite. La realizzazione del progetto prevista per la primavera del 2002, oltre a determinare una forte ed innovativa forma di valorizzazione di una realtà archeologica estremamente importante, quale fu quelle delle terramare, e aprire la prima area archeologica attrezzata visitabile nella provincia di Modena, sarà in grado di rispondere alla domanda di conoscenza diretta e sperimentale avanzata dal pubblico. La proposta culturale comprenderà al suo interno varie articolazioni: dalla ricerca più avanzata alla valorizzazione di un'area archeologica, alla didattica, alla proposizione di un'area per il tempo libero dove poter conoscere la storia del sito e delle terramare con rigore scientifico ma in modo piacevole e divertente.

La pagina del Sistema Museale dalla Provincia di Modena - pag. 6 [2001 - N.11]

Il sismologo autodidatta faentino che la fantasia popolare definì "l'uomo dei terremoti"

Gian Paolo Costa - Responsabile del Museo Civico di Scienze Naturali di Faenza

Raffaele Bendandi? Un uomo, un autodidatta o (forse meglio) un self-made scientist, che inseguì un sogno, con tenacia e, perché no, con metodo scientifico: prevedere i terremoti. Sogno rimasto, ad oggi, tale. Questo, in estrema sintesi, il Raffaele Bendandi "ricercatore". Molto più articolato, complesso e, per certi versi, accattivante, il Raffaele Bendandi "personaggio", sintetizzato da/in queste parole di un collega di chi scrive (membro della redazione di codesta rivista del Sistema Museale ravennate), apparse sulle pagine del secondo volume di Romagna - vicende e protagonisti (tre ponderose miscellanee a cura di Claudio Marabini e Walter Della Monica): "[...] Non è questa la sede per approfondire il discorso su Bendandi, ma sta di fatto che tutta la sua opera andrebbe riletta in una chiave scientifica alla ricerca delle sue teorie che meritano comunque rispetto e attenzione. La precisione delle previsioni bendandiane, infatti, è talmente esatta da non poter essere considerata pura coincidenza [...]". Il sismologo Bendandi è da sempre avvolto da questa densa coltre di nebbia (un tempo novembrina!) che lascia (lasciava?) filtrare tre fioche luci, ricorrenti punti fermi nella vexata quaestio del "Bendandi previsore": "... non è questa la sede ...", "... la sua opera [??!] andrebbe riletta ...", "... la precisione delle previsioni bendandiane (quali?) ...". Raffaele Bendandi nasce a Faenza il 17 ottobre 1893 nel quartiere periferico tradizionalmente denominato Filanda Vecchia e si spegne, solo (viene trovato, già morto, riverso sul pavimento), nella sua casa-osservatorio in via Manara 17, il 1° novembre 1979. In questa vecchia, tipica casa a schiera del centro storico di Faenza, fin dagli anni Venti, Bendandi aveva allestito un Osservatorio Geodinamico e qui realizzava sismografi, ad uso del Suo Osservatorio o destinati alla vendita: su di una targhetta metallica apposta sulla custodia lignea di un sismografo da lui costruito è inciso: MICROSISMOGRAFO REGISTRATORE "RABEN" [Raffaele Bendandi] (OSSERVATORIO BENDANDI) CONCESSIONARIO ESCLUSIVO ITALIA ED ESTERO · PIROTTI M. E FIGLIO - BOLOGNA. Circa l'origine della sua passione per la sismologia è lo stesso Bendandi a metterla in relazione con il catastrofico terremoto che distrusse Messina il 28 dicembre 1908; sul "Corriere Italiano" del 22 gennaio 1924 compare un'intervista a Raffaele Bendandi, (Uomini del giorno:R. Bendandi. A colloquio col falegname-sismologo): "… Fin dai primi anni della giovinezza - egli dice - sono stato appassionato cultore delle scienze fisiche; ma nel 1908, e precisamente subito dopo il tremendo disastro messinese, mi dedicai esclusivamente ai terremoti…". Dotato di una innata abilità manuale Bendandi affronta il suo percorso di appassionato con metodo scientifico: prende a costruire sismografi e si dota, via via, di una ricca biblioteca specifica. È un abilissimo promoter del proprio Osservatorio ed oggi della sua attività, oltre agli "appunti di lavoro" manoscritti assai raffinati, rimane una ricca corrispondenza, attualmente al vaglio accurato di Paola Lagorio, presidente de La Bendandiana, e di Graziano Ferrari (di S.G.A./Storia Geofisica Ambiente, la Società che ha curato, con l'Istituto Nazionale Geofisica e Vulcanologia, la redazione dei Cataloghi dei Terremoti che attualmente danno lustro alla Sismologia italiana). Suscita invero molta amarezza verificare come a suo tempo, prima della gestione attuale, gli autonominatisi mentori, contemporanei o post mortem, di Raffaele Bendandi abbiano procurato più danno che lustro alla figura del faentino che prevedeva i terremoti (al quale, comunque, la Sua Città ha intitolato una Scuola Media): l'archivio Bendandi attende ancora un riordino funzionale ad una qualsiasi forma di consultazione, la casa di via Manara è stata pesantemente alterata, diversi strumenti attualmente osservabili in casa Bendandi manomessi e/o arbitrariamente (ri)costruiti... dalla corrispondenza sono spariti i francobolli delle lettere!

Personaggi - pag. 6 [2003 - N.18]

Gli interventi di restauro e riallestimento del Museo Civico hanno dato vita a due percorsi distinti ma ben integrati tra loro

Manuela Rossi - Direttrice dei Musei Civici di Carpi

Gli interventi di restauro, terminati nell'autunno del 1998, alle sale dei due appartamenti rinascimentali hanno portato all'apertura stagionale del Museo civico (appartamento nobile) e del Museo della Xilografia (appartamento inferiore) fino al 2002, quando sono partiti gli interventi alle sale dell'appartamento nobile; nel marzo 2003 sono iniziati i lavori al cortile d'onore e alle logge in funzione del nuovo allestimento museale.
Il progetto di allestimento nasce da un profondo ripensamento del museo stesso, sia nell'ottica più generale di aggiornamento del museo carpigiano alle regole della museografia moderna, sia nella dimensione più locale di adeguamento di un'istituzione vecchia di cent'anni da sempre collocata in un edificio (o meglio nella parte più prestigiosa di esso, il piano nobile del palazzo dei Pio) che negli ultimi dieci-quindici anni ha visto mutare spazi e destinazioni come mai dalla nascita del museo. Partendo da questa situazione, negli ultimi due anni in particolare sono intervenuti due elementi che hanno ulteriormente contribuito a definire le idee e il progetto: lo studio di Giuseppe Gherpelli e l'assegnazione del progetto di recupero e allestimento allo studio Natalini di Firenze.
Sono stati pensati due percorsi principali che si intersecano pur mantenendo una loro autonomia: il percorso del piano nobile e quello del museo della città. Due spazi e due concetti diversi di museo che si completano a vicenda nel fornire informazioni e conoscenza non più solamente sui due aspetti fin qui analizzati (palazzo dei Pio e collezione museale) ma su un terzo, la città, che ora trova finalmente riflesso ed espressione e motivi di ricerca e approfondimento. Il percorso del piano nobile parte dalla loggia di primo ordine, luogo di accesso alle diverse sedi espositive e punto di informazione e di integrazione dei percorsi del palazzo e dei musei stessi. La loggia è anche elemento forte di rapporto con la piazza e la città, attraverso la terrazza sulla torre dell'Orologio e la sala attigua, nella quale saranno esposte una decina di mappe antiche della città, in un ideale raccordo tra l'interno e l'esterno.
Dalla loggia si accede a tre aree espositive: l'appartamento nobile, le cui sale ospiteranno i materiali quattro-cinquecenteschi relativi al Rinascimento a Carpi; l'appartamento inferiore, destinato a sede espositiva temporanea; le sale dell'aggiunzione estense, in cui verrà sistemato il Museo della Xilografia. Infine dalla loggia sud si accede a due sale rinascimentali e alle cosiddette sale del vescovo (ora occupate dalla Biblioteca) che saranno destinate a pinacoteca. Il piano nobile risulta quindi lo spazio in cui sono collocati i nuclei di pregio della collezione museale, che si integrano alla perfezione con gli spazi nobili nei quali sono esposti. La loggia del secondo ordine diventa la sede del Museo della Città. Con questa denominazione si intende un percorso che attraversa la storia del territorio carpigiano dai primi insediamenti terramaricoli (XVI sec. a.C.) fino al secolo scorso, tracciandone lo sviluppo ambientale, istituzionale, socio-economico, culturale e urbanistico.
Il percorso si sviluppa nei seguenti temi: per la fase pre-urbana, le terramare, l'età del ferro, l'occupazione romana, il tardo antico e la fondazione della città; per la fase delle signorie, dal XI secolo ai Pio, le attività artigianali, i personaggi, le architetture, la corte rinascimentale, Aldo Manuzio e la stampa; per il periodo estense, dalla metà '500 al Risorgimento, la produzione della scagliola e le figure di Ciro Menotti e Manfredo Fanti, nel più ampio contesto urbano di sviluppo economico legato alla lavorazione del truciolo. Nella loggia sud sono stati trattati temi relativi alla storia del Novecento: un approfondimento sulla lavorazione del truciolo; uno spazio dedicato alla civiltà contadina; un passaggio (una sorta di tunnel) sulla Resistenza, il dopoguerra e il boom industriale. Nell'angolo nord ovest del palazzo sarà esposta parte del materiale della donazione Degoli. Oltre agli spazi espositivi sono presenti book shop, laboratori didattici, sala studio, biblioteca e spazio conferenze.

La pagina del Sistema Museale dalla Provincia di Modena - pag. 6 [2004 - N.19]

La millenaria storia della produzione ceramica collega località, monumenti, parchi, siti naturalistici della provincia modenese

Antonella Tricoli - Antonella Tricoli

Il fascino di un territorio non scaturisce soltanto dall’aspetto paesaggistico-naturalistico, oppure da quello storico-artistico, ma anche dalla tradizione lavorativa, dalla storia dell’artigianato, dalla produzione locale, che rispecchia le caratteristiche, il gusto, la capacità di saper sfruttare risorse naturali, energie e sinergie di una determinata zona.
Nei luoghi della provincia modenese ricchi di fascino, di avite tradizioni, impreziositi da architetture pregevoli, si può rintracciare un filo rosso che, costituito dalla millenaria storia della produzione ceramica, collega località, monumenti, parchi, siti naturalistici. Dall’antichità ai giorni nostri l’artigianato ceramico ha caratterizzato l’attività produttiva del territorio dando forme d’arte ad oggetti d’uso quotidiano, realizzati su larga scala: dal vasellame domestico – la “rozza terracotta” – alla ceramica fine da mensa, dai coppi e dalle tegole antiche alle coperture fittili delle case d’oggi, dai “manubriati” ai mattoni contemporanei, dalle “esagonette” pavimentali alle piastrelle decorate l’arte ceramica ha progressivamente lasciato maggiore spazio alla creatività. Il filo della narrazione parte da un’epoca che precede quella storica, cioè da quando le popolazioni costruivano capanne su cumuli di terra artificiali. Il nuovo Parco archeologico e Museo all’aperto della Terramara di Montale, attraverso ricostruzioni di capanne e di attività quotidiane, racconta la storia della “civiltà delle terramare” che si affermò nella pianura tra la fine del XVII e il XII secolo a.C., circa 3600-3100 anni fa. La produzione ceramica consisteva nella modellazione a mano di vasellame dalla “grana grossa”, oppure simile al bucchero, caratterizzato dalla inconfondibile decorazione ad anse “canaliculate” e “cornute”, veri e propri marchi di stile. La ricostruzione di una fornace del periodo permette ai numerosi visitatori, più o meno giovani, di fare l’emozionante esperienza della modellazione e della cottura dei manufatti secondo la tecnica antica. Tracce di centri di lavorazione fittile nel territorio sono emerse durante ricognizioni archeologiche di superficie, che hanno palesato resti appartenenti a epoche assai diverse: dall’età del rame, del bronzo, del ferro, fino all’epoca romana e medievale; si tratta di fornaci che sono state riprodotte “alla maniera antica”, secondo le caratteristiche di quelle epoche, nel Museo della Ceramica di Fiorano Modenese, sicuramente all’avanguardia dal punto di vista museografico. Ospitato nel suggestivo castello di Spezzano di origine duecentesca, adibito nel Cinquecento a residenza signorile, il Museo illustra, lungo un coinvolgente percorso didattico, l’evolversi delle tecniche produttive fino ai giorni nostri, soprattutto attraverso riproduzioni di oggetti, strumenti e fornaci.
Molti furono, prevalentemente in età romana, gli impianti di produzione nel territorio fioranese, tra i quali si segnalano una fornace della seconda metà del II secolo a.C., rinvenuta in località Torre delle Oche, una seconda a Spezzano e un’altra a Cameazzo. Nel Medioevo permangono centri produttivi a Fiorano, Fogliano, Maranello, Nirano, Sassuolo, che, in modi e forme diverse, costituiscono il distretto industriale odierno. Il Centro di Documentazione dell’Industria Italiana delle Piastrelle di Ceramica si trova nella Palazzina della Casiglia, detta “Cassina di Caccia”, edificata, nei pressi di Sassuolo, intorno al 1560 per volere del signore Ercole Pio; questa è la sede di Assopiastrelle che ha voluto la nascita del Museo Internazionale della Piastrella, divenuto un riferimento non solo nazionale ma anche internazionale. Esso raccoglie gli esemplari più significativi da un punto di vista creativo, artistico, tecnologico e di ricerca, e illustra l’iter che va dal prototipo originale alla produzione su ampia scala. Tra i designers dei preziosi motivi decorativi figurano Piero Dorazio, Renato Guttuso, Bruno Munari, Gio Ponti, Ettore Sottsass.
Questa breve rassegna di “cultura ceramica” modenese testimonia quanto la quotidianità, gli aspetti sociali – oltre che l’identità di un territorio caratterizzata anche dalla storia produttiva – possano “modellare” l’idea del museo, adattandola, come un guanto, all’unicità dell’ambiente dal quale essa scaturisce.

La pagina del Sistema Museale dalla Provincia di Modena - pag. 6 [2004 - N.20]

Principi museografici innovativi sono alla base dei criteri allestitivi di alcuni musei del Sistema modenese

Antonella Tricoli - Incaricata per il Sistema Museale Modenese

Obiettivo di questo scritto è l’indagine sulle scelte – quindi sulle idee e sui progetti museografici – alla base di alcuni significativi allestimenti museali, che impongono di affrontare e superare specifici problemi riguardanti sia l’ambientazione e la suggestione visiva, sia la determinazione dei mezzi e dei modi attraverso cui veicolare un insieme di messaggi. Nel documento d’approvazione degli standard e obiettivi di qualità per i Musei (art. 10, L.R.18/2000) si indicano, tra l’altro, criteri di sicurezza e allestitivi, fondamentali per una corretta fruizione delle collezioni. Nel modenese vi sono alcuni esempi interessanti, scelti fra altri perché utili ai fini dell’illustrazione di alcuni principi museografici innovativi. La forza dello strumento Museo sta nel carattere di medium che sfrutta l’ambientazione, la scenografia, l’immediatezza del linguaggio e della visione, passando attraverso simboli e metafore la cui efficacia comunicativa ed emotiva spesso supera ogni nostra immaginazione.
L’allestimento del Museo della Repubblica Partigiana di Montefiorino si basa su uno studio del paesaggio della memoria, ossia sullo studio dei fenomeni storici attraverso lo spazio e il tempo. La prima caratteristica è la scenografia stessa: si privilegia una narrazione basata su fotografie, su filmati d’epoca e su scritti più che su oggetti, i quali hanno soprattutto lo scopo di ambientare il visitatore, di concretizzare il flusso temporale. È un allestimento che sottintende dunque un chiaro progetto minimale e “pokerista” allo stesso tempo.
Molto forti sono le scelte del Museo Monumento al Deportato Politico e Razziale di Carpi. Con una soluzione allestitiva, a nostro avviso, assai felice si può affrontare un’importante questione, cioè quella dell’interpretazione, della lettura critica e della conseguente realizzazione di un modello museo-monumento: sia monumentum alla latina, ovvero ricordo (nel nostro caso anche monumento funebre), testimonianza, sia monumento che ripropone il dibattuto tema della monumentalità come esigenza umana. Questa sensazione di monumentalità sorge fin dal momento in cui ci si accinge ad entrare nel Museo e si rafforza nel percorrere le tredici sale: nel cortile che precede l’ingresso vi sono stele di tipo funerario; le “scatole” grigie e vuote delle stanze possono ricordare i loculi appena murati, il colore rosso scuro delle lettere graffite alle pareti rammenta il colore del sangue, le poche vetrine minimali, poste a terra, hanno una forma molto simile a quella di una bara; al loro interno gli ingrandimenti fotografici, quasi a grandezza naturale, dei corpi scheletrici dei cadaveri dei deportati, ai cui piedi sono posti gli oggetti usati quotidianamente nei campi di lavoro, danno forza a questa lettura. Il grande impatto estetico ed emotivo del Museo è dovuto anche all’assai fruttuosa, e sempre più necessaria, collaborazione di storici, artisti e architetti, ciascuno dei quali contribuisce attraverso precise scelte critiche, a rafforzare il messaggio museale.
Anche la Galleria Ferrari di Maranello, che espone a rotazione la propria preziosissima collezione di macchine, è una realtà paradigmatica per le giovanili e mutevoli soluzioni allestitive: i filmati, le ricostruzioni di ambientazioni d’epoca e di momenti decisivi per la storia della Ferrari, trasmettono forte dinamismo. Questo non è dunque soltanto luogo espositivo di cimeli, ricordi di una gloriosa storia, ma strumento vivo e in evoluzione, di collegamento fra l’Azienda e il pubblico. Velocità e innovazione tecnologica rafforzano il messaggio futuristico dell’istituzione.
Il Museo dell’Aceto Balsamico Tradizionale di Modena, ospitato a Spilamberto, permette al visitatore un vero e proprio tuffo nelle tecniche della rinomata produzione locale di “nettare nero”: si segue un percorso suggestivo che attraversa una grande botte, tradizionale contenitore del Balsamico. Ancora, presso le Raccolte Fotografiche Modenesi “Panini” di Modena, nella sala principale del percorso espositivo, è ricostruito un antico studio fotografico con gli strumenti di posa, d’appoggio, i macchinari per la ripresa, l’ingrandimento, la stampa ecc. Concludendo, oggi un discreto numero d’istituzioni in Italia mira a fare della visita al museo un’esperienza, oltre che formativa, anche d’impatto psicologico ed emozionale. Mentre numerosi musei relegano gli eventi trascorsi in un passato concluso, operando una “oggettificazione” dei processi storici e la recisione del passato dal presente, altri tentano una rivitalizzazione, non una resurrezione della memoria.

La pagina del Sistema Museale dalla Provincia di Modena - pag. 6 [2004 - N.21]

Il Foro Boario di Modena dal 20 marzo al 19 giugno ospita la mostra “Nicolò dell’Abate. Storie dipinte nella pittura del Cinquecento tra Modena e Fontainebleau”

Servizio Cultura del Comune di Modena

Si apre al Foro Boario di Modena una mostra che presenta il complesso delle opere di Nicolò dell'Abate, ricostruisce la sua formazione e ne contestualizza l’attività, indaga le influenze culturali e stilistiche nell’ambito della pittura emiliana dei primi decenni del Cinquecento e documenta la fortuna dei temi paesaggistici, mitologici e narrativi da lui trattati, nonché la sua influenza sulla Scuola di Fontainebleau.
Nicolò dell’Abate nasce a Modena, probabilmente nel 1509, e nel 1539 è già un artista famoso, che si distingue nella decorazione ad affresco di carattere profano e cortese. Tra il 1548 e il 1552 è attivo a Bologna, dove realizza splendidi cicli di affreschi in Palazzo Torfanini e Palazzo Poggi. In seguito si trasferisce in Francia, chiamato probabilmente dal Primaticcio, con il quale collabora a Fontainebleau. Il lungo periodo francese è denso d’impegni: disegna smalti, arazzi, apparati effimeri, dipinge a Parigi e in altre residenze nobiliari. Muore probabilmente nel 1571.
L’esposizione documenta in primo luogo il periodo italiano dell’artista. Alcuni dipinti e disegni autografi, provenienti principalmente dal Cabinet des Dessins del Louvre, copie e incisioni tratte da opere perdute presentano il periodo francese. Ampia la sezione dedicata all’ambiente artistico emiliano tra il 1510 e il 1540 con opere di Gian Gherardo dalle Catene, Garofalo, Dosso Dossi, Begarelli e quella che illustra la lezione dei maestri con opere di confronto appartenenti ad artisti notissimi quali Correggio e Parmigianino, Pordenone e Girolamo da Carpi.
Molto importante anche il rapporto con l’incisione, nuovo efficace mezzo di diffusione delle novità in campo artistico, in primo luogo della lezione di Raffaello. La mostra propone anche una sezione dedicata alla fortuna dell’artista tra il XVII e il XIX secolo, con opere di Lavinia Fontana, Scarsellino, Guercino, Mastelletta, Donato Creti.
Integra il percorso espositivo un itinerario storico artistico che abbraccia i luoghi emiliani in cui è stato attivo Nicolò dell’Abate, sensibile interprete della Maniera Italiana. Il percorso consente di ammirare le opere dell’artista ancora in situ e di visitare le residenze signorili, castelli e palazzi, che nel Cinquecento dominano il territorio dei Pio di Savoia, dei principi Meli Lupi, della famiglia Sanvitale, dei Boiardo. L’itinerario, che si snoda tra Modena, Bologna e i territori reggiani e parmensi, permette di immergersi nella raffinata cultura umanistica ed artistica del Cinquecento e di collocare il maestro emiliano in un ambiente ricco di spunti e di stimoli letterari. I poemi di Virgilio, del Boiardo e dell’Ariosto divengono con Nicolò storie dipinte, splendidi cicli pittorici da scoprire e riscoprire comparandoli con le opere dei maestri che sono stati per lui punto di riferimento.
La mostra, curata dal Museo Civico d’Arte di Modena, segue i seguenti orari: 10-13 e 16-19 feriali; 10-19 sabato domenica e festivi; chiuso il lunedì; aperto il 28 marzo, il 1 maggio e il 2 giugno. Col biglietto d’ingresso è possibile visitare anche la Gallerie Estense. Per ulteriori informazioni info@nicolodellabate.it e www.nicolodellabate.it.

La pagina del Sistema Museale dalla Provincia di Modena - pag. 6 [2005 - N.22]

Studio La campagna di scavo, condotta recentemente, nell’area di Classe ha portato alla luce resti e reperti finora sconosciuti

Andrea Augenti - Docente di Archeologia Medievale - Università di Bologna Direttore scientifico degli scavi di Classe

L’Università di Bologna, la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna e la Fondazione RavennAntica sono impegnate dal maggio del 2004 in una delle più rilevanti campagne di scavo finora condotte nell’antica città di Classe.
Lo scavo viene effettuato nell’area archeologica del Podere Chiavichetta, dove nel passato furono trovati i resti di un settore della città prospiciente un canale. L’intervento è stato concepito per aumentare le nostre conoscenze su questa zona, e ha già portato alla luce alcuni magazzini portuali finora sconosciuti oltre ad un nuovo tratto della strada lastricata sulla quale affacciavano. Grazie a questa indagine stiamo inoltre recuperando nuove informazioni sui traffici commerciali nei quali erano coinvolte Ravenna e Classe durante la tarda Antichità. Qui si importava il vino, dalla Calabria e dall’Oriente; in particolare dalla Palestina, dove, nella zona dell’attuale striscia di Gaza, veniva prodotto un vino molto buono e ricercato, usato anche dal clero per celebrare la messa poiché veniva dalla Terrasanta. L’olio proveniva dall’Africa, e così il grano, le lucerne per l’illuminazione ed il vasellame da cucina, rivestito di una lucente vernice rossa.
Altre informazioni recuperate attraverso gli scavi riguardano le modalità di trasformazione dell’area portuale a partire dal VII secolo, quando alcuni magazzini furono frazionati e trasformati in piccole abitazioni, un cimitero venne impiantato nella zona e si iniziarono a recuperare i mattoni degli edifici mediante lo scavo di grandi fosse.
Alle indagini archeologiche, riprese a maggio e previste fino al termine del mese di ottobre, partecipano gli studenti dell’Università di Bologna (Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali; Facoltà di Lettere e Filosofia), affiancati da un’impresa specializzata nello scavo archeologico. Sono previste, nel corso dello scavo, conferenze e visite guidate aperte alla cittadinanza e a tutti i visitatori.
Allo scavo seguirà la musealizzazione all’aperto del sito. L’intero progetto è stato infatti elaborato per far sì che al termine dei lavori l’area archeologica divenga il primo nucleo del Parco Archeologico di Classe, la cui struttura sarà costituita da stazioni collegate tra loro – e con il nuovo museo – da un percorso lineare.
Durante l’anno passato è stata inoltre condotta, ed è quasi terminata, la realizzazione della Carta del potenziale archeologico di Classe. In poche parole si tratta di uno strumento di fondamentale importanza, un sistema informativo computerizzato nel quale sono raccolte e collegate tra loro tutte le informazioni disponibili sulla città (scavi, reperti, rinvenimenti occasionali). Questi dati sono inoltre collegati alla cartografia, e la loro elaborazione ha permesso di redigere delle planimetrie che indicano la localizzazione della risorsa archeologica nel sottosuolo e delle zone più promettenti da scavare in futuro. La Carta del potenziale archeologico di Classe consentirà un notevole passo in avanti all’archeologia di questo sito, permettendo una puntuale programmazione della ricerca e contribuendo allo sviluppo del parco.

La pagina della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 6 [2005 - N.23]

È stato realizzato, per promuovere il Sistema Museale modenese, un gioco interattivo per ragazzi dagli 8 ai 13 anni… e oltre

Graziella Martinelli Braglia - Istruttore Direttivo alle Attività Culturali della Provincia di Modena

“Vuoi giocare con Willy? È un ragazzo sveglio e curioso, che ti porterà con sé in un fantastico viaggio nel tempo… alla ricerca di un tesoro: l’oro nero! Con Willy entrerai di notte in un museo pieno di misteri… E poi sarai catapultato in un villaggio della preistoria, lavorerai nel cantiere del Duomo di Modena, entrerai nei giardini del Duca d’Este, parteciperai al pit stop di una Ferrari, e infine in un solaio scoprirai… Se non ti spaventa lo scheletro di un dinosauro, se non hai paura di affrontare un drago, una pianta carnivora, un ragno velenoso… insomma, se ami l’avventura, e se sei sveglio e curioso come Willy, parti con lui alla ricerca dell’oro nero!”.
Così esordisce il gioco interattivo dal titolo Willy e il mistero dell’oro nero, realizzato dall’Assessorato alla Cultura della Provincia di Modena tramite la ditta Netribe collaborative e-business di Reggio Emilia, con la fattiva collaborazione degli operatori dei vari musei della provincia, grazie al contributo della Regione Emilia Romagna. È un’area ludica che trova spazio sul sito web del Sistema Museale modenese (www.museimodenesi.it), ed è disponibile anche su CD, distribuito gratuitamente e installato sulle postazioni informatiche dei musei e delle biblioteche del Sistema Bibliotecario modenese.
Il gioco, che vede coinvolti tutti i musei del Sistema, si rivolge a un pubblico di ragazzi dagli 8 ai 13 anni circa, e propone una trama con un protagonista, il ragazzo Willy, che attraverso otto ambienti virtuali – le sale di un museo, la terramare di Montale, il cantiere del Duomo di Modena, un giardino antistante il Palazzo Ducale di Sassuolo, ecc. – entra in contatto con oggetti e situazioni che rimandano ai contenuti dei musei stessi, partendo da quelli naturalistici e dalla preistoria, attraverso le varie epoche fino a quella contemporanea, in un costante rapporto tra museo e territorio. La trama è legata all’avventurosa ricerca di un misterioso “oro nero”, che si rivelerà dopo la raccolta, nelle varie situazioni, con l’anagramma delle lettere che ne compongono il nome.
A soluzione del gioco, il piccolo utente stamperà a computer una “pergamena”; con questa si recherà in uno dei musei del Sistema museale modenese, ove riceverà un gadget offerto da Smemoranda, con “personalizzazione” di Willy, più una card personale della durata di un anno dalla data del rilascio. La card consentirà al ragazzo l’ingresso gratuito a tutti i musei del Sistema; gratuito o a costo ridotto per un accompagnatore (per la Galleria Ferrari tariffa ridotta per il ragazzo e per l’accompagnatore).
È questa la prima iniziativa di sistema in Italia, che vede la collaborazione di tutti i musei e di tutte le biblioteche di una provincia.
Scopo di questo gioco web è quello di incuriosire il pubblico dei bambini e dei ragazzi, sollecitarli a un approccio ai musei e fidelizzarli ad essi; un rapporto che sarà sviluppato tramite iniziative specifiche rivolte agli “Amici di Willy”.

La pagina del Sistema Museale dalla Provincia di Modena - pag. 6 [2006 - N.25]

È in fase di avvio il progetto di restauro dei mosaici a cielo aperto del Parco della Pace di Ravenna

Cetty Muscolino - Storico dell'arte e coordinatrice della Scuola per il Restauro del Mosaico

Il Parco della Pace a Ravenna costituisce una singolare esposizione permanente di opere musive di artisti contemporanei provenienti da diverse nazioni. Sulla base di un progetto dello storico e critico d’arte Giulio Carlo Argan a partire dal 1984 sono state realizzate e collocate nel parco creazioni artistiche ispirate al tema della pace.
Dal grande tappeto ideato da Mimmo Paladino, alle Ali della pace di Edda Mally; dalla fontana del belga Claude Rahir, alla scultura del russo Alexander Kornoukhov; dalla Seconda genesi dell’americano Jerry W. Carter all’Albero della vita della francese Josette Deru. E ancora le opere di Bruno Saetti, di Margaret L. Coupe, dell’Accademia di Belle Arti e di Akomena.
Ma all’indomani dell’allestimento, dal giorno dopo della loro felice e festeggiata nascita – l’inaugurazione del Parco è del 1988 – è iniziato il naturale processo di trasformazione legata al tempo-vita, comune sorte di tutto ciò che è in manifestazione. Questa affermazione che potrebbe far sorridere alcuni ravennati abituati a convivere con le prestigiose e secolari tessiture musive bizantine, va tenuta in seria considerazione proprio per le peculiarità costitutive delle opere e per la loro ubicazione. Siamo in presenza di mosaici contemporanei, lontani anni-luce dalla sapiente tecnica costruttiva antica, e per di più a cielo aperto, con tutto quello che ne deriva, considerando anche che non fu mai predisposto un piano di manutenzione programmata. E così, minacciati internamente dalle deficienze del proprio corredo genetico e aggrediti dalle molteplici cause di degrado esterno, i variopinti e polimaterici emblemi di pace hanno cominciato a… perdere colpi.
Ben presto si sono manifestati i primi segni di decadimento ai quali si è aggiunta la costante esposizione agli agenti atmosferici, agli attacchi biologici, e spesso allo scarso senso civico. Nel 2001 la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Ravenna, allarmata per l’aggravarsi delle condizioni dei mosaici, ha condotto attraverso un’equipe tecnico-scientifica della Scuola per il Restauro del Mosaico da lei gestita, un accurato monitoraggio delle opere musive con campagna fotografica e schede tecniche relative allo stato di conservazione di ogni singola opera. Grazie all’Accordo di Collaborazione (approvato nel giugno del 2005) fra il Comune di Ravenna, ente proprietario dei mosaici, e la Soprintendenza, sta per avviarsi il programma di restauro, a cui il Comune destinerà i finanziamenti derivanti da Lottomatica.
Il primo “paziente” in cura, sarà l’Arcangelo Michele che Bruno Saetti aveva fatto eseguire per il suo ovile, trasformato poi in cappella, nell’abitazione di Montepiano in Toscana.
L’opera, trasferita a Ravenna dopo la morte dell’artista nel 1984, è ancorata ad un muro in cemento armato rivestito di pietre, che riprende le fattezze del muro dove si trovava originariamente.
Il materiale musivo è costituito da tessere artificiali (in pasta vitrea e a lamina metallica oro) e naturali (ciottoli, marmo bianco, graniti rosa e grigi), di dimensione e forma eterogenea. La tessitura estremamente libera alterna zone compatte ad altre in cui gli interstizi acquistano prevalenza. La malta di allettamento bianca è stata successivamente rinforzata con una gettata di cemento armato. Il mosaico, realizzato in più sezioni è stato ancorato con perni metallici la cui ossidazione ha provocato fratture e distacchi tra l’originale malta di allettamento e quella di supporto. La perdita di parti del tessellato si è aggravata, come testimonia la documentazione fotografica del 2001.
Si procederà anche alla straordinaria manutenzione del mosaico di Margaret L. Coupe, opera, che rievoca le prove atomiche condotte al largo della Nuova Zelanda: una nave da guerra, uomini in uniforme, le balene, prime vittime degli esperimenti, e una vela bianca con il simbolo della pace.
Il mosaico, costruito con diversi materiali ceramici, vetri trasparenti e opachi, tessere a lamina metallica, presenta lacune, perdite di parti smaltate, ma soprattutto degradi di tipo biologico. Tutto il corpo docente e gli allievi della Scuola contribuiranno al restauro.

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 6 [2006 - N.26]

I moderni criteri di gestione e di fruizione delle collezioni numismatiche in Italia

Andrea Gariboldi - Alma Mater Studiorum Università di Bologna Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali di Ravenna

Chi di noi non ricorda lunghe file di monete, adagiate su di un lato, in polverose teche di legno ricoperte da un vetro, lungo i corridoi dei musei?
Sono pochi, in verità, i musei dotati di raccolte numismatiche significative che hanno potuto modificare questo antiquato criterio espositivo ordinato per “genere e specie”, secondo logiche scientifiche di stampo positivista. La maggior parte dei musei, a dire il vero, non ha nemmeno lo spazio per esporre le monete, giudicate a volte meno rilevanti, e dunque meno apprezzabili, rispetto ai “monumenti” (nel senso latino di ricordo/testimonianza) più evidenti. Il museo, insomma, adotta la propria politica per attrarre il maggior numero possibile di visitatori, e la scelta non è sempre facile. Cito tre esempi di buona gestione del patrimonio numismatico italiano, dove emergono altrettanti possibili sistemi per rendere fruibili le monete: il medagliere del Museo Nazionale Romano privilegia un’esposizione ottimale e moderna del materiale, Bologna punta sulla digitalizzazione del posseduto, Milano promuove la pubblicazione dell’intera raccolta.
Nel corso degli ultimi anni nuove tecnologie informatiche e risorse multimediali hanno indubbiamente determinato cospicui mutamenti nella ricerca in ambito numismatico e, conseguentemente, anche nel modo di gestire e di visitare le collezioni numismatiche pubbliche.
Il Museo Civico Archeologico di Bologna ha proposto in modo efficace, nuovo e concreto un modello di integrazione dei servizi informatici per la catalogazione e l’archiviazione elettronica del fondo numismatico. Il Medagliere di Bologna, uno dei più importanti del nostro paese, nacque nel 1878 dalla fusione della raccolta Comunale con la Collezione Universitaria, sorta nel 1714, nello stesso anno in cui fu fondato l’Istituto delle Scienze con sede a Palazzo Poggi. I due nuclei, attraverso aggiunte successive, raggiunsero la consistente cifra di quasi 90.000 monete. La recente completa digitalizzazione del gabinetto numismatico bolognese rappresenta un buon esempio di integrazione tra le diverse tecnologie, dalla fase della catalogazione scientifica, all’acquisizione delle immagini, al trattamento dei dati ai fini dell’archiviazione e dell’eventuale edizione a stampa. È stata creata, pertanto, all’interno del Museo Archeologico, una postazione informatica accessibile ai visitatori e ai ricercatori, che coniuga le esigenze della didattica con quelle della conservazione, e che nello stesso tempo non nega allo studioso l’accesso al materiale. Il Medagliere virtuale pertanto sopperisce, almeno in parte, alla mancanza di un percorso espositivo di sezioni dedicate alle raccolte numismatiche, e supera le oggettive difficoltà legate alla sistemazione ottocentesca delle raccolte.
Questo problema affligge, infatti, anche altri medaglieri importanti, come quello milanese, che annovera oltre 300.000 monete. Il Comune di Milano però da anni cura e promuove la pubblicazione scientifica delle Civiche Raccolte Numismatiche ed anche della documentazione dei complessi dei ripostigli monetali in Italia. Centinaia di sintetiche ma esaustive schede, disponibili presso il Museo Civico Archeologico di Milano, documentano la presenza e la consistenza dei ripostigli monetali, lo studio dei quali è imprescindibile per chi si interessi non solo di numismatica, ma anche della meno settoriale indagine economica e storica dell’Italia in epoca romana e medioevale. Le banche dati delle collezioni numismatiche, comunque, oltre ad essere archivi di consultazione sia per i visitatori occasionali sia per gli studenti e gli studiosi, sono anche strumenti (ora divenuti fondamentali) per una corretta gestione e catalogazione degli esemplari, nonché per la tutela e per il controllo del Bene Culturale inteso come “moneta”.
Possiamo solo sperare che in futuro simili iniziative trovino un consenso e un sostegno sempre più ampio, anche dal punto di vista dell’investimento economico necessario alla loro realizzazione. Gli strumenti virtuali consentirebbero facilmente l’attuazione di mostre dedicate alla storia della moneta antica non solo italiana o europea, ma anche medio-orientale e asiatica, il che permetterebbe di illustrare e di ricordare a tutti che la lunga storia fra Oriente e Occidente non è fatta solo di guerre, ma pure di millenarie relazioni economiche e culturali che i popoli più svariati intrattennero lungo la Via della Seta.

La pagina della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 6 [2006 - N.27]

Con la Trafila si disegnò una "regione patriottica", premessa per un'identità politica regionale e nazionale

Roberto Balzani - Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna


La dislocazione di una memoria culturale risorgimentale all'interno dello spazio romagnolo coincide con l'estate del 1849, con la ritirata leggendaria di Garibaldi, terminata la breve ma intensa esperienza della Repubblica Romana. È allora, quando si consuma il rocambolesco passaggio dell'eroe romantico per eccellenza attraverso la Romagna con Anita morente e gli austriaci alle calcagna - un itinerario che cuce San Marino, Cesenatico, Ravenna, Modigliana, montagna e pianura, città e campagna - è solo allora che la politica si fa davvero memoria culturale regionale, procedendo all'identificazione di luoghi, spazi, eventi emblematici dai quali trarre un significato valido per il "noi" collettivo. In quel momento, e non prima, Romagna e Italia si identificano per davvero, e la lotta per l'indipendenza nazionale rafforza, in senso autoctono questa volta, il processo di politicizzazione del regionalismo culturale. 

Non è un caso, del resto, che, a meno di un ventennio di distanza dagli eventi, sia già evidente il tentativo di fare del capanno in cui sostò il Generale nella periferia di Ravenna una "capanna di Betlemme" valida per tutti gli italiani: un luogo di culto riconosciuto e difeso dai regionali, ma in una prospettiva esplicitamente patriottica e non banalmente locale. Così come non possono stupire le lapidi che ancora scandiscono la concitata fuga garibaldina; o l'idea, promossa da varie associazioni ravennati nel 1885, di dedicare ai volonterosi "salvatori" di Garibaldi una tomba collettiva, espressione di un municipalismo in cerca di una legittimazione "alta".

Grazie all'irruzione della grande avventura romantica nella periferia regionale, il sofisticato processo ideologico che mira a rendere la Romagna un "caso" esemplare della "questione italiana" si trasforma in una cosa concreta, diventa polvere e sangue, petti ansimanti e grida concitate, qualche colpo di fucile esploso nell'oscurità, mantelli e sguardi furtivi, corpi che si afflosciano di fronte a plotoni d'esecuzione, il sudore che imperla il viso di una donna morente. Cosa concreta, e vista o visibile: dunque, vera. Fino a quel momento, ci sono stati uomini affiliati alla Giovine Italia, gente morta con i fratelli Bandiera, volontari del '48, difensori di Roma nel '49: come a Milano, come nelle Marche, come in tanti altri posti. Romagnoli che sono usciti dalla regione, dallo spazio locale, e sono diventati italiani.

Ma nell'estate del 1849 accade qualcosa di nuovo: non un assedio che dà un significato nuovo al gonfalone (pensiamo a Brescia, a Venezia...), ma una trafila che disegna una "regione patriottica", che pone le premesse - come vedremo - per un'identità politica regionale. Prima stigmatizzata come una tragedia collettiva, oppure evocata come un simbolo culturale. E ora, invece, fatta, fatta da Garibaldi, da Anita, e da un pugno di uomini disperati.

Ma gli eventi e i luoghi, da soli, non bastano. Per divenire memoria culturale, essi debbono passare attraverso un processo di restituzione rituale che li diffonda, li banalizzi, li trasformi in icone della regione. Il periodo 1849-1851 è davvero decisivo per la Romagna: da una parte l'epopea garibaldina nazionalizza sul serio la Romagna, dando sostanza all'identificazione della regione con la politica, già affermata a livello culturale da Mazzini e d'Azeglio; dall'altro, le fosche avventure del Passatore, il brigante Stefano Pelloni, arricchiscono di nuovi connotati il vecchio stereotipo del romagnolo violento, largamente decaduto durante i secoli della dominazione pontificia.

Attenzione, però: sarebbe un errore mettere sullo stesso piano, come pure vorrebbe la vulgata regionalista solidificatasi nei primi decenni del Novecento, Garibaldi e il Passatore, entrambi schiacciati sull'oleografia in nome di una malinconica rêverie tardo-romantica. Il Passatore è oggetto di un recupero consapevole (in primo luogo, letterario), in una temperie segnata dalla volontaria elaborazione di un pieno regionalismo culturale. Garibaldi, invece, è all'origine del mito politico della Romagna "rossa", elaborato e sviluppato in loco già negli anni Sessanta del XIX secolo, quando, all'interno del mondo democratico, alcuni intellettuali sentono il bisogno di elaborare un compiuto martirologio regionale e nazionale ad uso della politica di massa. L'idea anticipa i tempi e, nel giro di poco, trasforma la regione in uno straordinario laboratorio politico.

La pagina della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 6 [2007 - N.28]

Il collezionismo di monete vanta cultori celebri nella storia e rappresenta una fonte di ricchezza per le raccolte pubbliche.

Andrea Gariboldi - Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali di Ravenna- Alma Mater Studiorum

La casa d'aste Christie's ha recentemente messo all'incanto la collezione "Bouhanna" di ossa di dinosauro e di fossili, di straordinario interesse scientifico, realizzando circa 300.000 euro; il Museo di Storia Naturale di Nizza forse si rammaricherà di non essere entrato in possesso dello scheletro di mammut siberiano dell'era quaternaria, in eccellente stato di conservazione. Tuttavia è ovvio che non sempre gli Enti pubblici hanno a disposizione i fondi dei privati.

L'interesse dei collezionisti verso la paleontologia non è un fatto recente, anche se resta sempre apparentemente bizzarro agli occhi di molti. Già l'imperatore Augusto era attratto da questo genere di reperti: Svetonio racconta che il principe amava abbellire le sue ville non tanto con quadri e statue quanto con oggetti notevoli per la loro antichità e rarità, come i resti di belve immani provenienti da Capri, che all'epoca si riteneva appartenessero ai Giganti. Fra gli oggetti antichi e rari collezionati da Augusto figuravano anche le monete, a volte regalate agli amici: egli potrebbe essere definito uno dei primi collezionisti della storia.

La passione per le monete non è un fenomeno esclusivamente occidentale: il principe cinese di Bin, Li Shouli, dell'epoca Tang, fu un collezionista di oggetti rari e di monete; dopo la sua morte, nel 741, la collezione passò ai discendenti e fu rinvenuta nel 1969 presso Xian, dentro due giare di terracotta. Il tesoro comprendeva, oltre a preziosi vasi d'oro e d'argento, antiche monete cinesi e giapponesi, monete del regno di Gaochang (V-VI sec.), e persino un solidus dell'imperatore bizantino Eraclio e una dracma del re sasanide Xusraw II.

Le motivazioni psicologiche che spingono al collezionismo sono molteplici e non sempre chiare: si va dall'attrazione estetica alla mera ostentazione di oggetti preziosi, che rivelano lo status sociale del proprietario, ma anche il fascino per l'orrido e il terrificante gioca la sua parte. A prescindere da esiti maniacali, il collezionismo numismatico ha rappresentato, specie con l'Umanesimo, una fonte di approfondimento e di studio dell'antichità. È noto che Francesco Petrarca fu un appassionato collezionista di monete e che utilizzò la numismatica come fonte primaria d'indagine storica ed iconografica. Altri collezionisti di monete romane furono il cardinale Pietro Barbo, poi papa Paolo II, e Cosimo de' Medici. In età moderna ricordiamo come esimio numismatico il re Vittorio Emanuele III, la cui collezione si trova ora a Roma al Medagliere di Palazzo Massimo. La passione per la numismatica gli era stata infusa dal suo precettore, il colonnello Osio, e nel 1900 il re vantava una delle migliori collezioni d'Europa (oltre centomila monete), che costituirà la base per la stesura del Corpus Nummorum Italicorum.

Il collezionismo privato ha spesso alimentato le raccolte pubbliche anche se il passaggio dalla "Camera delle meraviglie", spazio elitario e aristocratico di meditazione, al Museo come luogo di conservazione della memoria collettiva e nazionale, e poi di studio scientifico, ha impiegato diversi secoli, fino alla svolta del Museo in funzione educativa, avvenuta con l'Illuminismo. Ogni museo italiano vanta i suoi donatori. Importante anche il ruolo che sovente ebbero le istituzioni religiose nella conservazione del patrimonio culturale "pubblico": molti ordini riversarono il loro prezioso bagaglio artistico nelle collezioni pubbliche soprattutto durante la soppressione degli ordini in età napoleonica e le confische avvenute all'indomani dell'unificazione dell'Italia.

Per citare un emblematico caso ravennate di statalizzazione di una collezione, basti ricordare le vicende dei Camaldolesi di Classe. L'abate Pietro Canneti (1659-1730) e i suoi successori raccolsero numerose monete che formarono il primo nucleo della Collezione Classense, poi sostanzialmente confluita al Museo Nazionale di Ravenna, sul finire dell'800.

Il collezionismo numismatico, dunque, continua a rappresentare una fonte di ricchezza importante anche per le raccolte pubbliche, tramite lasciti, donazioni o acquisizioni, pur sottraendo alla collettività un bene di interesse storico (ma come si decide con rigore quanto un bene archeologico sia di "rilevante interesse" per la comunità?), almeno temporaneamente. Proprio questo punto cruciale di attrito, fra ciò che è bene pubblico e il diritto al possesso privato, dovrebbe essere affrontato con maggiore chiarezza dai legislatori.

La pagina della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 6 [2007 - N.29]

Al Museo Archeologico di Verucchio la giornata di una donna vissuta tra VIII e VII sec. a. C. in mostra fino al 6 gennaio.

Elena Rodriguez - Museo Archeologico di Verucchio

Dopo la mostra "Il potere e la morte" dedicata ai guerrieri villanoviani, che nel 2006 ha arricchito il percorso del Museo di Verucchio, quest'anno sono le donne protagoniste della seconda affascinante esposizione, che prosegue il ricco programma di valorizzazione del patrimonio archeologico verucchiese. Dalle ore della giornata dedicate alla cura di sé, o impiegate per le occupazioni domestiche, ad un tempo diverso, quello riservato alla sfera religiosa, parte essenziale della vita comunitaria: in questa dimensione, che non è solo spazio-temporale, viene osservata la donna di rango vissuta a Verucchio tra VIII e VII secolo a.C. È lei stessa ad accompagnare il visitatore attraverso luoghi e momenti della propria giornata, a raccontarli per mezzo dei suoi oggetti quotidiani, legati all'abbigliamento, alla cura della casa, utilizzati nei gesti abituali e in quelle azioni - più complesse da ricostruire - che avevano a che fare con i culti.

I reperti provengono per la maggior parte da prestigiosi corredi funerari femminili rinvenuti a Verucchio negli scavi passati e più recenti (condotti dal 2005 nella necropoli Lippi): sono presentati infatti in appendice alla mostra anche reperti selezionati da tombe femminili scavate nel 2006. Lo sguardo si allarga però anche oltre, al di fuori del contesto romagnolo: sono esposti alcuni materiali dall'Etruria, dall'area bolognese, dalla Basilicata e dall'Ungheria, che contribuiscono ad integrare ed arricchire il quadro del mondo femminile nelle sue complesse sfaccettature, mostrando evidenti corrispondenze, sia a livello di abitudini nel costume, sia di pratiche quotidiane e rituali che accomunavano regioni geograficamente distanti.

Il percorso della mostra (ideato dalla direttrice del Museo, Patrizia von Eles e dai suoi collaboratori) si sviluppa in tre tappe, correlate e complementari, partendo dalle "Ore della bellezza": accessori dell'abbigliamento e da toeletta, gioielli (tra cui preziose fibule in ambra rinvenute nel 2006 nella Tomba 32, o i pettini in avorio da Bologna e Marsiliana d'Albegna), rappresentano azioni certamente usuali per la donna aristocratica. La preziosità dei materiali impiegati (bronzo, ambra, oro, avorio, pasta vitrea) e la loro profusione, sono la manifestazione più evidente del prestigio sociale delle donne di rango (adulte, giovani ed anche bambine). Seguono le "Ore dei lavori", delle attività legate alla casa, controllate dalle donne: la preparazione dei cibi, e particolarmente della cerimonia aristocratica del banchetto - di grande significato simbolico - e la produzione dei tessuti, documentata nei corredi dai relativi strumenti (tra cui fusi, conocchie in materiali preziosi e non funzionali, tessere per la tessitura a tavolette da Verucchio e da Alianello, dal Museo di Policoro). Gran parte del potenziale economico della comunità era dunque affidata alle donne.

Ma ad esse spettava un ruolo di primo piano anche nella gestione dei culti, che per gli antichi costituivano un parte fondamentale della vita sociale. Le "Ore del sacro", a conclusione del percorso, sono esemplificate da significativi reperti: le tazze con ansa a disco da Verucchio (simbolo del disco solare, del legame tra le forze del cielo e della natura), la statuetta in avorio (rappresentazione della donna come dea della fecondità) e la tavoletta scrittoria da Marsiliana d'Albegna, il tintinnabulo di Bologna ed il vaso di Sopron-Varhely (Ungheria, per la prima volta in Italia) entrambi con scene di tessitura, le raffigurazioni del trono di Verucchio, che vedono le donne protagoniste: questi elementi manifestano da un lato lo stretto legame tra attività domestiche ed economiche e la sfera religiosa, dall'altro il ruolo primario delle donne, partecipi dirette non solo della vita sociale e forse anche "sacerdotesse".

Un'identità sociale ed un ruolo dunque tutt'altro che marginali qualificavano la sfera femminile di comunità antiche, anche distinte, della prima età del ferro, ben lontani dai luoghi comuni che ne hanno condizionato l'immaginario più consueto.

Per informazioni sugli orari della mostra: tel. 0541 670222.

La pagina del Sistema Museale della Provincia di Rimini - pag. 6 [2007 - N.30]

Il Museo di Valliano di Montescudo è un esempio di conservazione di beni etnografici grazie alla valorizzazione delle competenze "locali"

Anna Salvatori - Comune di Montescudo

Il Museo Etnografico di Valliano di Montescudo, all'interno del quale sono esposti e catalogati oltre seicento reperti legati alla cultura contadina, situato in una delle più suggestive vallate della provincia di Rimini ed inserito nel Sistema Museale Provinciale, trae le sue origini dall'esperienza didattica di un gruppo di insegnanti della Scuola Media di Montescudo, coordinata da Gino Valeriani e iniziata intorno agli anni '70 del secolo scorso.
L'idea di fondo era quella di avvicinare la didattica alla cultura del territorio, partendo dalla conoscenza della gente, dai racconti che si tramandavano e dalle attività che da secoli si svolgevano. Lo scopo era quello di stabilire un rapporto vivace di scambio tra scuola e territorio, di indirizzare la ricerca storico-sociale verso le attività agricole e artigianali, verso l'organizzazione della casa e della famiglia, presentando poi alla comunità i risultati delle ricerche tramite mostre, feste annuali e pubblicazioni. Il Museo Etnografico di Valliano, nell'attuale allestimento ubicato presso la ex canonica del Santuario di S. Maria Succurrente, del secolo XV, inaugurato nel novembre 2003 e realizzato in collaborazione con il Museo degli Usi e Costumi della Gente di Romagna di Santarcangelo, contiene parte degli oggetti raccolti dai ragazzi e dagli insegnanti nel corso degli anni '70 e '80, e sviluppa un'esposizione basata sul tema della centralità della casa nel mondo contadino. Le varie sezioni sono state dunque pensate per illustrare varie attività che nella casa avevano il loro punto di riferimento.
Nella primavera del 2006 è stato inoltre avviato, su iniziativa e progetto dell'IBC, in particolare di Luisa Masetti e Antonella Salvi, e con la partecipazione del Comune di Montescudo, il Laboratorio Didattico "Il Calesse", con funzioni di recupero e manutenzione in loco di oggetti ed attrezzi polimaterici, per lo più di considerevoli dimensioni, appartenenti alla raccolta Etnografica del Museo. L'intervento dell'IBC, realizzato con finanziamenti della legge regionale per i musei, ha riguardato, dapprima, la catalogazione dei materiali e in seguito il loro recupero, attuato in modo originale soprattutto per i materiali più ingombranti, conservati all'aperto, molto interessanti e di grandi dimensioni: un carro agricolo, due seminatrici, un aratro, una pompa da cantina, una trinciaforaggi, un calesse, scelto come simbolo dell'attività del laboratorio. Costruiti in legno e metallo mostravano i segni di un grave degrado dovuto alle pluriennali sollecitazioni climatiche. In accordo con il Comune di Montescudo e l'Associazione dei volontari residenti in Montescudo, l'IBC ha promosso e coordinato il progetto di "Laboratorio-scuola" con il duplice intento di abbinare l'attività di restauro dei manufatti all'attività didattica svolta da restauratori qualificati incaricati dall'Istituto e tesa a formare una manodopera locale capace di gestire nel tempo, con un buon grado di autonomia, la conservazione e la manutenzione ordinaria dei manufatti del museo. Il laboratorio ha preso avvio con l'entusiasmo e l'interesse che fin dall'inizio le persone coinvolte hanno dimostrato. L'anima e la colonna portante di questo innovativo progetto sono stati e sono tuttora i volontari locali, eterogenei per età e professione, accomunati dalla passione autentica per il recupero delle tracce di una civiltà tipica dei luoghi da essi abitati, nonché dotati di una manualità fuori dall'ordinario. Il Comune ha, altresì, provveduto a realizzare il capannone da adibire a laboratorio permanente fornendolo di un'adeguata attrezzatura di base e mettendo a disposizione, assieme all'Associazione di volontari, somme per incentivare la partecipazione al laboratorio, garantendo cosi tutti i presupposti per il pieno successo di quello che può essere definito un progetto-pilota unico a livello regionale, che sperimenta una soluzione innovativa e di assoluta attualità per il recupero e la valorizzazione di questa tipologia di patrimonio culturale. Ma l'intervento conservativo non si esaurisce con la fase più visibile del recupero degli oggetti: è adesso che comincia il paziente lavoro di controllo, di fruizione ragionata e di manutenzione che permetterà alla comunità di mantenere viva la sua memoria.

La pagina del Sistema Museale della Provincia di Rimini - pag. 6 [2008 - N.32]

Una Missione dell'Ateneo bolognese ha portato alla nascita di un Centro per il Restauro Archeologico a Saranda

Sandro De Maria - Direttore della Missione Archeologica italiana a Phoinike, Dipartimento di Archeologia

L'Albania possiede un patrimonio archeologico di tutto rilievo, dalla Preistoria al Medioevo, passando attraverso le età greca, romana e bizantina, che sono quelle nelle quali si concentrano le testimonianze più rilevanti, soprattutto nel sud del Paese. A fronte di questa ricchezza, le risorse sono limitatissime. Altrettanto le competenze, perché soltanto da meno di venti anni l'archeologia albanese si è aperta all'Europa e al mondo, stabilendo quei contatti scientifici e professionali che sono essenziali per affrontare in modo moderno i problemi della salvaguardia e della valorizzazione del patrimonio storico e culturale.
L'Università di Bologna, da quasi un decennio, partecipa attivamente a questo scambio di esperienze, attraverso una Missione Archeologica della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali e del Dipartimento di Archeologia nella città greca e romana di Phoinike, nella regione di Saranda, a pochi chilometri dal confine greco-albanese. La Missione, oltre che dall'Ateneo, è sostenuta dal Ministero degli Affari Esteri come progetto pilota nell'ambito delle Missioni Archeologiche Italiane all'estero, con contributi annuali che ne consentono la continuità nel tempo. Poco a poco l'abitato antico ritorna alla luce, con le sue case ellenistiche a terrazze, il suo teatro, l'imponente cinta muraria, le necropoli, mentre molta attenzione è stata riservata allo studio delle dinamiche storiche del popolamento nel territorio della città.
Dal 2007 alle attività propriamente archeologiche sul terreno si è affiancata l'istituzione di un Centro per il Restauro Archeologico che ha sede nella stessa Saranda ed è nato grazie al sostegno di personalità illustri dell'archeologia italiana (ricordo con riconoscenza Salvatore Settis) e a quello economico di Fondazioni Bancarie (Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, Fondazione Cariplo di Milano), che hanno mostrato grande sensibilità nel sostenere un'iniziativa che nel Paese sta svolgendo davvero un ruolo di avanguardia e di punto di riferimento nel campo del restauro.
Per un biennio (2007-2009, al quale per ora si limita il sostegno finanziario che ne consente la vita, con la speranza di poter avere in futuro nuovi sponsor) il Centro sta formando dodici giovani laureati albanesi nel campo del restauro di manufatti e strutture archeologiche. Fra l'autunno e l'inizio della primavera i ragazzi seguono corsi teorici e teorico-pratici a Tirana, presso le sedi dell'Istituto Archeologico e dell'Istituto dei Monumenti Storici, che sono i nostri partner albanesi nell'iniziativa. Nel corso della tarda primavera e dell'inizio dell'estate gli stessi allievi partecipano alle attività di laboratorio a Saranda, su manufatti archeologici, e ai cantieri di restauro sui monumenti della stessa Phoinike e dell'intera regione. Come docenti sono stati chiamati professori universitari italiani e albanesi e restauratori professionisti dei due Paesi, con la amichevole e qualificata partecipazione di tecnici della Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia Romagna.
Lo scopo è quello di addestrare un'équipe di restauratori con un'impronta molto pratica, che siano in grado di intervenire con professionalità e rapidamente nelle situazioni di maggior degrado, su monumenti e oggetti che, se lasciati alla stato d'incuria attuale, rischiano di andare perduti per sempre. Nella sede del Centro a Saranda sono stati allestiti laboratori dotati di strumentazione moderna ed efficiente, al cui uso i giovani allievi sono avviati dalla professionalità dei docenti-restauratori.
Assumendo il compito, gravoso e difficile per tante ragioni, di dirigere questo centro ero consapevole delle difficoltà, ma la lunga esperienza in Albania della nostra Facoltà e del nostro Ateneo e l'aiuto di collaboratori davvero impagabili (ricordo fra tutti Riccardo Villicich) consente di adempiere a un compito che reputo essenziale, con la soddisfazione di veder crescere professionalmente i giovani allievi e poter contribuire a sottrarre a un triste destino le meraviglie archeologiche e artistiche di questo bellissimo Paese.

La pagina della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 6 [2008 - N.33]

Le seduzioni di Daniil Charms e la memoria del Futurismo in Russia ospiti a Effetto Doppler

Luca Scarlini - Docente di Tecniche narrative, Scuola Holden di Torino

Le avanguardie storiche in Russia ebbero come destino quello di celebrare la rivoluzione bolscevica e di esserne poi distrutte sotto l'accusa di "formalismo", tremendo strumento di coercizione del potere, che produceva la rovina e in molti casi la morte degli sventurati autori che ne erano ritenuti colpevoli dall'autorità.
La censura vigilava, occhiuta, e voleva a tutti i costi che si celebrassero i piani quinquennali e le grandi battaglie industriali, in un fiorire assurdo di romanzi, film, opere su costruttori di dighe e disboscatori, come recentemente ha indagato con grande finezza Frank Westerman nel bel libro Ingegneri di anime (termine agghiacciante coniato da Stalin per raccontare chi doveva svolgere il compito di forgiare l'immaginario nell'impero sovietico), in cui si danno vicende di ferocia e demenza che nemmeno un Kafka all'apice della sua potenza visionaria avrebbe potuto inventare.
Eppure c'era una lunghissima tradizione di sberleffi, aggressioni verbali e fisiche, performance estreme, vite come cabaret e cabaret come esistenza, che aveva segnato gli anni prerivoluzionari e il primo periodo seguente, fornendo un adeguato parallelo estetico alla necessità frenetica di rinnovamento di una società che solo da pochi decenni aveva abbandonato l'annosa schiavitù della gleba. Gli spazi di un locale storico come il pietroburghese "Cane randagio" erano disponibili a ogni Bohème, come racconta benissimo Benedikt V. Livsic (1886-1939) nella sua memoria L'arciere dall'occhio e mezzo, in cui nel 1933, poco prima della deportazione, ripercorreva, rivendicando drasticamente l'indipendenza del Futurismo russo da quello italiano, notti bruciate dall'alcol e dall'invenzione, narrando le prime gesta di un giovane Majakovskij che, come un punk ante-litteram, aveva scelto di truccarsi pesantemente in volto con figure spaventose, con uno sberleffo simile a quello di Marinetti & C, quando indossavano panciotti di Balla e Depero, che portavano una oltraggiosa ventata di colore in un mondo in cui gli uomini cercavano disperatamente nel vestiario di indurre un'aria di rispettabilità in una sequenza di grisaglie, solini, e polsini.
Daniil Charms (1905-1942) morto in prigionia, a lungo circolato semiclandestinamente e recuperato poi con clamore dagli anni '70, tra pubblicazioni, spettacoli e musiche, era troppo giovane per far parte di questa prima stagione, che si esaltava alle interpretazioni del grande chansonnier-cabarettista Aleksandr Vertinskij (1889-1957), giocatore spietato, come Petrolini, di parole e sentimenti. Il vero nome dello scrittore era Juvačëv e gli pseudonimi (molti nel corso della sua breve esistenza), alludevano a moltissimi riferimenti possibili, tra il fascino e assonanze probabili o meno con il detective dei detective, Sherlock Holmes.
Il suo mondo, comico e disperato, fu quello della storia breve, dell'osservazione micidiale della pazzia della quotidianità, che prendeva sempre più colori minacciosi e sinistri. La favola che l'autore dei meravigliosi Casi racconta è infatti quella, nerissima, di una privazione continua della libertà, per cui già la sua prima opera teatrale, Elisavela Bam, tradotta a suo tempo magistralmente da Serena Vitale, continua ossessivamente a portare come tema principale la giustizia negata. Mentre scrittori, intellettuali e artisti sparivano all'improvviso e nessuno sapeva più niente del loro destino, Charms poteva pubblicare fiabe e scritti per i più piccoli, ma nemmeno quella punizione (solo due liriche "per adulti" vennero edite durante la sua vita) poteva bloccare una inventiva strabiliante, che trasformava qualsiasi cosa in occasione di invenzione, senza pietà verso i burocrati della realtà e quelli della fantasia.
Il 15 febbraio al Museo della Città di Rimini, Elio di Elio e le Storie tese, insieme a chi scrive, nell'ambito della terza edizione della rassegna Effetto Doppler - eventi nei musei, promossa dalla Provincia di Rimini, in collaborazione con la società Doc Servizi, ha reso omaggio a una voce singolare e irriducibile del Novecento, autore di testi esilaranti e terribili.

La pagina del Sistema Museale della Provincia di Rimini - pag. 6 [2009 - N.34]

Quando il museo diventa il luogo in cui la storia urbana si racconta

Cetty Muscolino, Federica Cavani - Museo Nazionale di Ravenna

Nelle ampie sale e nei corridoi del Museo Nazionale di Ravenna, un tempo ambienti del monastero benedettino, è racchiusa la storia e la geografia di un territorio che il Museo racconta attraverso le sue collezioni e le sue raccolte: ogni reperto, dal più semplice al più prezioso, racchiude brani di storia e di tecnologia, di geografie e paesaggi. Le strade si diramano e conducono nel lontano o nell'immediato paesaggio urbano ed extraurbano, trasformato per nuove esigenze, e fanno intravedere antichi scenari cancellati per far posto a nuove creazioni, come ci testimoniano rispettivamente i reperti archeologici provenienti dalla grotta della Tanaccia, utilizzata nell'antica età del Bronzo a scopo funerario, e quelli rinvenuti in via Morigia che documentano, in quella che oggi è una zona densamente abitata, l'esistenza di un abitato preromano su palafitte con rapporti culturali e commerciali con l'Etruria e l'Italia centrale.
Tra il 1963 e il 1970 si scavò la zona della basilica di San Severo, di quella della Ca' Bianca e di altri edifici classicani, nonché di numerose aree di necropoli come quella monumentale della Marabina o quella anomala delle Palazzette, luogo di sepoltura privato di una confraternita o di una famiglia. Nel 1974 iniziarono gli scavi nell'impianto portuale tardoromano e bizantino, nel podere Chiavichetta, che continuano tutt'oggi e che hanno restituito parte del materiale archeologico esposto in museo.
Il museo può diventare una delle forme in cui la storia urbana si racconta e si rappresenta, in cui natura e cultura si condizionano reciprocamente, parlando, quando possibile, anche di storia locale, di demografia, di architettura, di natura e di ambiente. Il Museo Nazionale è un contenitore entro cui prendono forma varie realtà urbane del passato, dalla zona sud-orientale, con il cosiddetto "Palazzo di Teoderico", a quella portuale di Classe.
Le stele dei classiari raccontano di navarchi che hanno solcato un mare a noi un tempo più prossimo, rammentandoci come il paesaggio si trasforma perennemente; la elaboratissima patera marmorea proveniente da Porta Aurea testimonia una fase di ampliamento urbanistico della città nel I secolo d.C., le transenne lavorate ricordano quando le absidi delle chiese erano luoghi protetti e quasi inaccessibili; armi, corsaletti, testiere e mazze ferrate dell'Oploteca ci parlano di una guerra sanguinosa e spietata, combattuta corpo a corpo e una mensa da campo ci porta nelle lontane contrade della Turchia.
Il fascino di un museo sta anche nel saper riunire categorie di oggetti e materiali diversi tra loro, suggerendo ipotetici o reali collegamenti, sfruttando le potenzialità narrative di testi epigrafici, di oggetti archeologici e manufatti artistici, situazioni e ambienti, forme di insediamento umano e contesti naturali. I centenari tassi del chiostro, fortunati superstiti di altri compagni abbattuti, sono una viva testimonianza di come sia nata qui una legge di tutela per il verde e il paesaggio, e ancora oggi rappresentano un'oasi di serenità miracolosamente protetta e inconsapevole della cementificazione selvaggia che fuori da queste mura ha trasformato il volto della città.
Tutelare il lavoro dell'uomo, vigilare e proteggere la natura, quale compito potrebbe essere più nobile e desiderabile? Conservare e trasmettere e tramandare, far conoscere e ancora raccontare ai giovani la loro storia: ogni giorno i portoni delle scuole dovrebbero aprirsi.
Fra la Scuola e il Museo non dovrebbero esserci barriere e ci si dovrebbe adoperare per incrementare questo flusso e farlo divenire una consuetudine, non un'eccezionalità legata alla visita unica, prevista nel piano formativo. Quanti ragazzi non hanno ancora visto un cofanetto in avorio, un albarello ceramico, un petto d'arme in acciaio, un tessuto copto? Quanti ravennati non hanno ancora ammirato una transenna traforata, un cartone musivo, un pastorale scolpito? E magari sono partiti per visitare mostre lontane, per vedere a Londra la tavoletta con Apollo e Dafne, o la grande croce bronzea di San Vitale che potevano più comodamente e a minor prezzo vedere al Museo. A tutti vogliamo rinnovare l'invito: venite, il Museo vi aspetta e molte delle vostre curiosità saranno soddisfatte. Venite, e tornate ancora e ancora... e ogni volta scoprirete qualcosa di nuovo e tornerete a casa arricchiti.

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 6 [2009 - N.35]

Le ultime frontiere della conservazione dei mosaici antichi

Cesare Fiori - Docente di Teoria e tecniche del restauro dei manufatti archeologici Università di Bologna

Negli ultimi 30-40 anni l'atteggiamento verso la conservazione e valorizzazione dei mosaici antichi è cambiato radicalmente. Il patrimonio musivo, in particolare i mosaici pavimentali sparsi in siti archeologici nei paesi attorno al Mediterraneo e a Nord fino all'Inghilterra, è enorme e spesso in condizioni difficili da preservare e gestire. Ingente è anche il patrimonio di mosaici conservati in musei o altri edifici, in condizioni generalmente favorevoli, ma spesso anche immagazzinati e abbandonati in locali non idonei e sottratti alla fruizione degli studiosi e del pubblico.
Molti sono gli aspetti coinvolti nella teoria e pratica della conservazione del mosaico: documentazione, formazione, gestione dei siti, manutenzione, trattamenti di conservazione in situ e in laboratorio, distacco e riallettamento e interventi di copertura e reinterro. Grandi passi sono stati compiuti negli ultimi decenni nel campo della conservazione dei mosaici, ma rimangono aspetti da migliorare. Nel campo sterminato del restauro dei beni culturali il "restauro del mosaico" si è a mano a mano distinto come un settore di sperimentazione indipendente; inoltre ha allargato il suo scopo approfondendo la conoscenza della funzione e del valore del mosaico nel suo contesto, dei tipi diversificati di formazione richiesti per gestire e conservare siti con mosaici e mettendo in rilievo l'importanza della documentazione e dei materiali per trattamenti compatibili. Un passaggio fondamentale in questa evoluzione è stato il cambiamento dalla teoria della conservazione del mosaico tramite distacco e conservazione in museo a quella della conservazione in situ.
Spesso i musei che possiedono mosaici distaccati molto tempo fa devono affrontare problemi dovuti al fatto che frequentemente questi sono stati riposizionati su nuovo supporto di cemento armato o immagazzinati in condizioni precarie. Per non condannare all'abbandono e rovina migliaia di mosaici ammucchiati in magazzini o scantinati di musei, in vari paesi dell'area mediterranea sono in atto iniziative di conservazione, studio ed esposizione delle collezioni museali. D'altra parte, la conservazione in situ, oggi fortemente sostenuta dalle varie professionalità del mondo della conservazione dei beni culturali, presenta notevoli problemi sia tecnici che gestionali. Da un punto di vista tecnico, la conservazione in situ richiede una comprensione delle condizioni fisiche e delle cause di degrado dei mosaici nella loro originale collocazione e la capacità di mitigare i fattori spesso complessi in gioco. È interessante una revisione e una valutazione dell'efficacia degli interventi di copertura e reinterro, operazioni che richiedono un'attenta progettazione basata su accurati rilievi ambientali, in quanto se condotte in modo superficiale e senza coinvolgere le varie competenze necessarie portano a risultati negativi.
È oramai riconosciuta l'importanza fondamentale del ruolo della manutenzione e del monitoraggio per una positiva conservazione in situ, ma sono richiesti nuovi profili professionali di operatori, da tecnici a gestori del sito, e quindi opportunità di formazione di personale con la capacità di mantenere i mosaici in condizioni stabili. La conservazione del mosaico deve essere affrontata con un approccio di lungo termine che assicuri la sostenibilità dei trattamenti di conservazione. Governi e istituzioni locali sono sollecitati a sostenere anche finanziariamente queste nuove strategie.
Queste sono le nuove frontiere della conservazione dei mosaici antichi. Ravenna possiede un patrimonio di esperienze di lavoro e di formazione in questo settore; ora è consolidata anche la presenza dell'Università di Bologna con la Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali. Tuttavia, per stare effettivamente al passo coi tempi e in prima linea occorre una reale collaborazione e un coordinamento fra tutte le Istituzioni Locali che possano essere coinvolte.

La pagina della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 6 [2009 - N.36]

I mosaici dei bambini di Bourgas al Museo Nazionale di Ravenna

Cetty Muscolino - Direttore del Museo Nazionale di Ravenna

Quando Ismail Ahmetov, Daniela Lombardi e Maria Grazia Marini sono venuti per la prima volta, nel mese di luglio del 2009, a sondare la possibilità di esporre al Museo Nazionale di Ravenna opere musive realizzate da bambini della Bulgaria e della Russia, ho immediatamente manifestato la mia disponibilità a collaborare a un'iniziativa in piena sintonia con i Servizi Educativi della Soprintendenza. Il Museo, infatti, recependo le indicazioni del Ministero per i Beni e le Attività Culturali, a partire dal 1985 ha intrapreso un'attività didattica che nel tempo si è articolata e perfezionata programmando incontri e laboratori con le scuole e attività musicali e creative.
Non essendo stati superati alcuni problemi organizzativi con la Russia, l'esposizione I Bambini e il Mosaico, comprendente trentuno pannelli musivi creati dalla Scuola di Bourgas in Bulgaria, è stata inaugurata il 10 ottobre in occasione del Primo Festival Internazionale di Mosaico di Ravenna.
Davanti ai mosaici dei bambini di Bourgas, siamo stati conquistati dalla freschezza e solarità che li caratterizzano. La fantasia e l'originalità delle immagini ci mostrano lo sguardo dei bimbi sugli aspetti di vita quotidiana, gioco, natura, mondo animale, lavoro e sport con la spontaneità e la genuinità propri dell'arte infantile. Ma non dobbiamo farci trarre in inganno dalla semplicità e libertà espressiva delle opere, dalla scelta dei materiali, talora artificiali, ma più spesso naturali, dalla maniera di allettare le tessere nella malta, dalle vivaci cromie e dalla varietà nelle tessiture musive. Questi mosaici costituiscono la prova più evidente che il delicato processo dell'educazione è stato compreso e ha agito in profondità, grazie alla guida sensibile di Raina Racheva, direttrice responsabile della Scuola, sorta nel 1979 nella cittadina marittima di Bourgas.
La Racheva, pittrice di talento laureata all'Accademia di Belle Arti di Sofia, lavora insieme al marito Encho e a una ristretta rosa di collaboratori, facendo sperimentare ai ragazzi diverse tecniche musive: i ragazzi, di età compresa fra i 4 e 11 anni, realizzano mosaici con mattoni, sassolini e pezzi di vetro raccolti in riva al mare. La Scuola di Bourgas, concepita come un'oasi di vita artistica cittadina, ha nel tempo visto crescere la collezione dei mosaici infantili che rappresentano un'importante risorsa: opere festose, che riempiono il cuore di speranza e che al di sotto della leggerezza e verità che esprimono fanno percepire la serietà di una linea pedagogica che non si traduce mai in costrizione o spegnimento di potenzialità.
La gioia che questi mosaici ci comunicano deve indurci a riflettere - chi è senza peccato scagli la prima pietra - e a non cadere nella insidiosa tentazione di inculcare e trasmettere a tutti i costi il nostro punto di vista e il nostro sapere. Ci ricorda che l'educatore deve agire come un abile regista e un complice: così sarà possibile giungere al reciproco arricchimento di allievi e docenti. I docenti sanno bene che l'educazione è un processo delicato, su cui incombe il pericolo che l'educatore, troppo preoccupato sulla trasmissione di contenuti e nozioni, ponga limiti alla creatività degli allievi.
La mostra che abbiamo ospitato, e i cinque mosaici che sono stati generosamente donati da Raina Racheva al Museo Nazionale di Ravenna, valgano di riflessione affinché i mosaici di Ravenna non diventino una prigione, anche se dorata. Perché la strepitosa eredità delle decorazioni musive della città, sia di stimolo (e non un freno) all'espressione della creatività. Lasciamo i giovani liberi di esprimersi e di trarre dai mosaici antichi le suggestioni che più parlano al loro cuore. Smettiamo di incatenarli nella monotona riproduzione di copie... meno costrizione... più libertà.

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 6 [2010 - N.37]

A Ravenna il Corso di Laurea Magistrale in "Cooperazione Internazionale, tutela dei diritti umani e dei beni etno-culturali nel Mediterraneo e in Eurasia"

Gustavo Gozzi / Annalisa Furia - Presidente del Corso di Laurea Magistrale / Docente del Corso di Laurea Magistrale

Gli intenti e i principi ispiratori della Cooperazione Italiana allo Sviluppo si sono progressivamente definiti e consolidati negli anni. Inizialmente concretizzatisi in una serie di interventi di assistenza tecnica ed economica attuati episodicamente a partire dagli anni '50-'60 in alcuni paesi legati all'Italia da precedenti vincoli coloniali, successivamente le politiche internazionali di aiuto sono state regolate in modo sempre più sistematico, con la Legge n. 38/1979 e poi con l'approvazione della Legge n. 49/1987, che ha riordinato la normativa di settore e ha istituito la Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo (Dgcs) del Ministero degli Affari Esteri.
In Italia, come nella maggior parte dei paesi cosiddetti "sviluppati", le spese pubbliche rivolte a attivare aiuti e assistenze, nonché le strutture amministrative attivate per gestirle, si sono moltiplicate negli ultimi sessant'anni, così come sempre più attenzione è stata dedicata da parte degli studiosi di diversi ambiti disciplinari (giuridico, economico, politologico, sociale, antropologico) allo studio dei meccanismi di funzionamento, dei modelli e dei principi ispiratori, delle linee guida, dei criteri regolativi e organizzativi nonché della reale efficacia in termini di espansione e di tutela dei diritti degli individui e di risposta ai loro bisogni delle politiche di cooperazione allo sviluppo.
All'intento di fornire strumenti e criteri per l'analisi e la discussione critica dei concetti e delle concezioni, dei modelli e dei criteri fondanti le politiche di cooperazione internazionale, sempre più componenti essenziali della politica estera degli Stati, intende rispondere il Corso di Laurea Magistrale in "Cooperazione Internazionale, tutela dei diritti umani e dei beni etno-culturali nel Mediterraneo e in Eurasia" attivato nell'ambito della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali di Ravenna.
Il Corso intende fornire le competenze idonee a sviluppare, gestire e valutare i programmi di cooperazione allo sviluppo, i progetti civili correlati alle missioni di pace, i programmi per la salvaguardia dell'identità culturale dei gruppi di minoranza, per il rafforzamento delle istituzioni democratiche, la tutela dei diritti umani e la conservazione dei beni culturali in contesti multiculturali e particolarmente complessi. Questa Laurea Magistrale offre insegnamenti di diritto e di economia, di etno-antropologia, di storia e di politologia, con particolare riferimento allo "sviluppo umano", ai diritti umani, agli studi di genere, all'immigrazione, all'economia dello sviluppo e alla tutela dei beni culturali e volge particolare attenzione allo studio delle relazioni economiche, sociali e culturali tra l'Unione Europea e il Mediterraneo, i paesi dell'America Latina, dell'Europa Orientale e dell'area geopolitica eurasiatica. Altri due aspetti caratterizzano il Corso: da una parte, la conoscenza delle lingue straniere, sia attraverso lo studio delle lingue europee, sia attraverso il possibile apprendimento della lingua araba o russa. Dall'altra, la possibilità di acquisire competenze più direttamente operative grazie alla presenza nell'ambito del Corso di responsabili di ONG e di funzionari del MAE e alla possibilità di compiere stage e tirocini formativi in Italia e all'estero, presso organismi internazionali e nazionali, ONG, istituti di ricerca, imprese pubbliche e private, enti e istituzioni locali.
Che si tratti di progetti di cooperazione decentrata, di progetti internazionali volti alla tutela dei diritti di categorie di individui particolarmente vulnerabili, di progetti di cooperazione per la tutela del patrimonio culturale, la vera sfida di chi opera in ambito della cooperazione internazionale è infatti rappresentata dalla complessità, dalla molteplicità dei contesti, delle dimensioni e delle prospettive che è necessario tenere presente nella definizione e nell'attuazione delle politiche e dei progetti di cooperazione; dalla capacità, dal possesso degli strumenti e dall'attitudine a porsi domande più che dalla sterile sicurezza di conoscere le risposte più adatte a ciascun contesto.

La pagina della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 6 [2010 - N.38]

Quattro modalità di azione suggerite dal Presidente di Icom per affrontare la crisi con responsabilità e lungimiranza

Alberto Garlandini - Presidente di Icom Italia

Siamo stati facili profeti quando un anno fa abbiamo deciso di mettere a tema della V Conferenza nazionale dei musei "I musei al tempo della crisi". La crisi globale più grave dagli Anni Trenta sta ora colpendo drammaticamente anche il mondo della cultura e dei musei. Ci aspettano mesi e anni di difficilissima gestione. Dobbiamo batterci con forza affinché le risorse destinate alla cultura e al patrimonio culturale siano considerate ciò che effettivamente sono, investimenti per un futuro migliore. Ma siamo consapevoli che i tagli alla spesa pubblica avranno in tutt'Europa drammatiche conseguenze anche nel mondo della cultura. I nostri istituti affrontano difficoltà strutturali di bilancio e si intravede il rischio che alcuni di essi non riescano a sopravvivere alla recessione. La riduzione della spesa pubblica è in atto da anni, ma sta ora assumendo quantità e qualità inedite. Dal punto di vista quantitativo, essa si abbatte in particolare sulla cosiddetta spesa non obbligatoria e differibile, come purtroppo è considerata anche quella culturale. Ma la spesa pubblica cambia anche qualitativamente: si pensi al Fondo Sociale Europeo, volano di formazione e riqualificazione e ora in gran parte usato, comprensibilmente, come sostegno a quanti disgraziatamente perdono il lavoro. Che fare?

Se qualcuno aveva giudicato un po'astratto il tema della nostra conferenza del 2009, ora si ricrederà. Avevamo anticipato i tempi, e nei documenti e nella discussione dello scorso novembre possiamo trovare spunti e idee per affrontare la situazione con responsabilità e lungimiranza. Le modalità d'azione pertanto sono così riassumibili:

1. Occorre un coraggioso patto con gli amministratori pubblici e privati affinché al nostro rinnovato impegno per una gestione efficace, trasparente e competente, corrisponda un impegno condiviso per la difesa del capitale umano dei nostri musei. Abbiamo detto e ribadito che un museo senza direzione e senza personale è un museo morto, impossibilitato a contribuire alla vita e alla crescita della comunità. Ciò è ancora più vero in tempo di crisi: i professionisti e i volontari sono un tesoro che non possiamo permetterci di disperdere. Sono le intelligenze che anche con scarse risorse permettono al museo di proseguire le attività pubbliche e di costruire le basi per un sano rilancio al momento della ripresa economica.

2. Occorre concentrare le scarse risorse sugli istituti culturali permanenti e sulle loro primarie attività a sostegno delle comunità e dello sviluppo locali. Non è più tempo per iniziative improvvisate, effimere, senza impatti duraturi, né culturali né economici.

3. Occorre superare ogni illusione di fare da soli e promuovere la massima cooperazione tra le persone, gli istituti, gli enti. Bisogna aumentare la capacità di agire in rete, di promuovere sistemi locali territoriali e virtuali; bisogna con coraggio gestire in forma associata non solo singoli progetti, ma servizi strategici e studiare l'integrazione amministrativa di istituti storicamente autonomi.

4. Occorre rendere più concreta la sussidiarietà e favorire al massimo la partecipazione volontaria e disinteressata dei cittadini e delle comunità, la sinergia tra azione pubblica e azione privata: solo esse possono garantire nel tempo la sostenibilità dei musei e della gestione del patrimonio culturale. Spetta alle amministrazioni pubbliche sostenere con ogni mezzo questa partecipazione, che è un vero investimento per il futuro.

Gestire i musei è sempre stato un mestiere difficile, oggi al tempo della crisi è diventato un compito ancor più delicato. Non è questo il tempo per lo scoramento o la lamentazione. È al contrario il tempo per la responsabilità, la competenza e il rigore della condotta professionale. Per questo abbiamo deciso di mettere al centro della VI Conferenza Nazionale il codice etico di ICOM e il modo in cui ci aiuta a costruire una nuova sostenibilità dei musei e del patrimonio culturale.

Infine, non sottovalutiamo l'importanza dell'associazionismo professionale. ICOM e le altre associazioni dei musei e del patrimonio culturale sono un bene ancor più prezioso nei momenti di difficoltà. Ci aiutano a scambiare idee e buone pratiche, a costruire relazioni e integrazioni, a imparare l'uno dall'altro. Ci aiutano a sentirci meno soli e più parte di un grande progetto di ripresa del nostro paese. Non è poco di questi tempi.


La pagina di ICOM Italia - pag. 6 [2010 - N.39]

Lo stretto rapporto instaurato fra artisti, letterati e vita civile è uno dei temi chiave del nostro Risorgimento

Alfredo Cottignoli - Ordinario di Letteratura italiana Università di Bologna

È ormai ineludibile leggere il nostro Risorgimento anche attraverso le arti, come concordano gli stessi storici (sia Lucio Villari, nel suo Bella e perduta. L'Italia del Risorgimento, Laterza, 2009, sia Alberto Mario Banti, da La nazione del Risorgimento, Einaudi, 2000, all'antologia Nel nome dell'Italia, Laterza, 2010), a conferma dello stretto rapporto che, sin dall'età della Restaurazione, si venne instaurando fra artisti, letterati e vita civile, così da rappresentare quella «rivoluzione degli intellettuali» che (in Italia come nel resto d'Europa) si manifestò specie nel '48: "Senza l'apporto di idee e di entusiasmi e, in molti casi, senza il personale sacrificio di poeti, scrittori, artisti, musicisti, scienziati", riconosce infatti il Villari, "le rivoluzioni del 1848 non avrebbero gettato le basi delle culture nazionali dell'Europa moderna. Petöfi, Mameli, Berchet, Wagner, Lamartine, Hugo, Nievo, Manzoni: l'elenco è lungo". Ciò vale in grado eminente per il nostro Risorgimento nazionale, il cui limite (come ancora ben argomenta il Villari) fu proprio nell'esser stato "soprattutto un'opera politica, una macchina di idee, di "parole", di "frasi", molto spesso sganciate dai bisogni quotidiani della gente comune"; ma ove specie il melodramma ed i canti patriottici espressero il "filo continuo della memoria e dell'emozione politica condivisa".

Proprio quello della resistenza intellettuale durante la Restaurazione, a opera, non solo di politici, ma anche di poeti, pittori e musicisti, è dunque uno dei temi centrali del nostro Risorgimento, a ribadire la "santa alleanza" (alternativa a quella reazionaria europea) che allora tacitamente si strinse fra letteratura, politica e storia, in linea con l'ispirazione civile di tanti nostri artisti del primo Ottocento. Se, tramite l'eloquente titolo verdiano, bella e perduta, del libro di Villari (eco diretta della "patria sì bella e perduta" cantata nel Nabucco), si ripropone, in modo emblematico, la perenne attualità di un rischio, quello cioè della disgregazione e dell'egoismo sociale, propri dell'Italia di oggi, e un forte monito a salvare e a perfezionare l'unità del Paese, recuperando i valori fondanti della nazione e della nostra democrazia, quel che a noi qui preme soprattutto sottolineare è la rivalutazione della storia e della critica letteraria, al pari della storia delle arti e della storia politica, come frutto di una stessa temperie culturale, come "strutture portanti di una visione strettamente politica del Risorgimento" nazionale.

Rivalutare il nesso fra le idee e le forme del nostro Romanticismo letterario e artistico e l'impegno politico significa, quindi, non solo il pieno riscatto della natura militante di tanta critica e arte risorgimentale (troppo a lungo avvertita come un limite, in nome del valore autonomo dell'arte), ma anche avallarne, senza indugi, l'utilizzo in chiave prettamente storiografica, per accoglierla a pieno titolo fra i documenti storici: tale è, infatti, il valore giustamente riconosciuto ai precoci auspici manzoniani, nell'ode Marzo 1821, di un'Italia "una d'arme, di lingua, d'altare, / di memorie, di sangue e di cor", nonché al fiorire nel linguaggio poetico del Poerio, prima che in quello politico, della parola Risorgimento, ove spicca lo sprone, tutto politico, a una "guerra tremenda", a una "guerra che sconti / la rea servitù". In ciò sta, insomma, l'utilità di riguardare le stesse arti risorgimentali come una fonte storica, dovendosi attribuire pari dignità storiografica alle idee, in qualsiasi forma esse siano espresse, in pagine di riflessione teorica e politica, non meno che in musica, in pittura e in poesia: così da avvalorare definitivamente il decisivo e comune concorso delle arti alla creazione del "canone risorgimentale".

Tale riconoscimento del ruolo politico esercitato dalle lettere e dalle arti risorgimentali, oltre a conferire loro una sorta di "valore aggiunto", dà anche piena ragione alla concezione militante che il Mazzini ebbe della letteratura, come viatico di idee rivoluzionarie e strumento dell'azione politica; nonché alla sua teoria dell'arte (figlia dello storicismo romantico) come un "fatto eminentemente sociale", traduzione individuale di un sentire collettivo. Lo stesso rivoluzionario binomio mazziniano, "Dio e popolo", fu (lo si rammenti) esemplarmente tradotto dal Mameli in suoi versi martellanti: "Se il popolo si desta, / Dio si mette alla sua testa, / La sua folgore gli dà"; mentre il suo inno militare All'armi! (col severo monito: "Non deporrem la spada / Fin che sia schiavo un angolo / Dell'itala contrada, / Fin che non sia l'Italia / Una dall'Alpi al mar") sarebbe poi stato patriotticamente musicato da Giuseppe Verdi, a riprova di una straordinaria ed irripetibile stagione, in cui la complementarità delle arti si pose concordemente al servizio dell'unità italiana.


La pagina della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 6 [2011 - N.40]

Un estratto dalla relazione del Presidente di ICOM Italia all'Assemblea Nazionale dei soci del 6 giugno 2011

Alberto Garlandini - Presidente di ICOM Italia

Care amiche e cari amici,
l'anno trascorso è stato un anno travagliato: per il nostro paese, per l'Europa, per il mondo intero. Pur in uno scenario irto di difficoltà, credo di poter condividere con tutti i soci una valutazione positiva di quanto siamo riusciti a fare.
1. La nuova organizzazione di ICOM Italia: le attività realizzate in un intenso anno di lavoro.
Qual è lo stato di salute della nostra Associazione? Pur cosciente dei nostri mille problemi, sono ottimista. In primo luogo, ICOM Italia ha continuato il trend di crescita degli anni passati: i soci sono ulteriormente aumentati e ammontano ora a 768. Con questi numeri il comitato italiano si conferma uno dei più numerosi al mondo. In secondo luogo, grazie ai nuovi Coordinamenti regionali e alle nuove Commissioni tematiche, ICOM è oggi più attiva, più propositiva, più partecipata e più presente sul territorio nazionale. Agli organi nazionali si sono affiancati tredici coordinamenti regionali e dodici commissioni tematiche. I Coordinamenti regionali sono diventati i portavoce delle esigenze e delle proposte dei soci e hanno permesso ad ICOM di interagire più concretamente con i musei, con le altre associazioni museali e con gli enti locali, in primis le Regioni, come testimoniano gli accordi operativi sottoscritti con alcune Regioni (in Veneto, nelle Marche, in Lombardia, in Toscana, nel Lazio, in Sicilia). Visti i risultati ottenuti, dovremo fare ogni sforzo affinché si costituiscano coordinamenti anche nelle regioni mancanti. Anche le commissioni tematiche hanno iniziato a produrre risultati nella ricerca museologica e museografica, in un rinnovato rapporto con i Comitati internazionali di ICOM come avevamo auspicato nel regolamento di istituzione.
2. Le quattro iniziative nazionali prioritarie di ICOM Italia e lo sviluppo di una coalizione dei professionisti degli istituti e del patrimonio culturale.
Nell'anno passato ICOM è stata una protagonista nel dibattito sui grandi temi della nostra professione, primo fra tutti l'impatto della crisi globale e le proposte per fronteggiarla. Le opinioni e le riflessioni di ICOM sono richieste e considerate, come è testimoniato anche dal successo della VI Conferenza Nazionale dei Musei d'Italia dedicata a Musei al tempo della crisi, che ha visto una partecipazione superiore a quella delle passate edizioni. In una visione pluriennale, abbiamo deciso di far convergere le nostre energie su quattro iniziative nazionali prioritarie: l'Assemblea Nazionale dei soci, la Giornata Internazionale dei Musei, i Premi ICOM ai musei, la Conferenza Nazionale dei Musei d'Italia.
La Conferenza del 2012 potrebbe anche assumere il carattere di Stati generali degli istituti e del patrimonio culturale, coinvolgendo in una riflessione comune i colleghi delle biblioteche, degli archivi e del patrimonio culturale. In questa direzione ci spinge anche la costituzione in Piemonte e in Abruzzo di MAB Musei Archivi Biblioteche Professionisti del patrimonio culturale, luoghi di incontro costituiti dai coordinamenti regionali di ICOM, AIB e ANAI per "pensare insieme nuovi scenari e costruire insieme nuove prospettive".
3. La formazione e l'aggiornamento professionale, un'attività prioritaria di ICOM Italia.
Nel 2010 abbiamo dato il via a un programma di aggiornamento professionale rivolto a tutti i colleghi interessati a una formazione mirata, svolta da professionisti per professionisti. Dopo il primo corso organizzato in collaborazione con Regione Lombardia a Milano nell'aprile 2010 sulla Sicurezza e la prevenzione dei rischi nei musei, sono seguiti un corso sul medesimo tema a Firenze in collaborazione con Regione Toscana e uno ad Ancona su Regolamenti, statuti e atti istitutivi in collaborazione con Regione Marche. Un altro corso è programmato a Roma in collaborazione con Regione Lazio. Grazie al lavoro del Segretariato e alle proposte delle commissioni tematiche e del Coordinatore della formazione Daniele Jallà, ICOM ha oggi un know-how significativo e offre ai colleghi, ai musei e alle amministrazioni pubbliche, un primo catalogo di corsi di aggiornamento professionale.
4. La promozione internazionale della museologia italiana e la candidatura dell'Italia ad organizzare la XXIV Conferenza generale di ICOM nel 2016.
Dopo le necessarie verifiche preliminari con il Presidente e il Direttore generale di ICOM e con i colleghi dell'Executive Council e dell'Advisory Council, credo che sia arrivato il momento per ripresentare la candidatura dell'Italia a organizzare a Milano nel 2016 la Conferenza internazionale di ICOM. Abbiamo ora una più robusta presenza negli organi internazionali di ICOM e, dopo Shanghai e Rio de Janeiro, Milano, che ospiterà nel 2015 l'EXPO, rappresenta una candidatura forte e condivisa.
Un programma nazionale così ambizioso come quello che ci siamo dati può essere realizzato solo se tutta la nostra associazione compie un deciso salto di qualità e per questo abbiamo bisogno dell'impegno di tutti.
La versione integrale del documento è disponibile sul sito www.icom-italia.org.

La pagina di ICOM Italia - pag. 6 [2011 - N.41]

Ricerche, documenti e campagne di scavo fanno luce sulla storia della città che fu il porto commerciale di Ravenna. Aspettando il Museo...

Andrea Augenti - Docente di Archeologia medievale dell'Università di Bologna

Una delle principali attrattive del lavoro dell'archeologo è quella di riportare alla luce le città perdute. Così sono state scritte alcune delle pagine più entusiasmanti della storia dell'archeologia: in luoghi come Pompei, Machu Pichu, Ebla, Gerico, e molti altri ancora. Per gli studenti dell'Università di Bologna, e di molte altre università italiane e straniere, vicino Ravenna è possibile cogliere al volo un'occasione unica, proprio di questo genere: lo scavo della città perduta di Classe.

A partire dalla sua fondazione, avvenuta nel V secolo, Classe faceva parte della conurbazione il cui cuore era Ravenna, e ne costituiva il porto commerciale. Ma Classe non era solo un porto: era una vera e propria città. Oltre ai magazzini (numerosi, e sempre pieni di merci provenienti da molti paesi del Mediterraneo) a Classe furono infatti costruiti monumenti ambiziosi, come le molte chiese che ne caratterizzavano il paesaggio. Qui risiedeva una comunità multietnica, che comprendeva goti, armeni, ebrei ed altri ancora; e l'agglomerato urbano era difeso da possenti mura, simili a quelle di Ravenna.

Il 2011 ha segnato un momento importante nelle ricerche su Classe, che continuano a essere promosse e condotte con impegno dalla Fondazione RavennAntica, dall'Università di Bologna (Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali e Dipartimento di Archeologia) e dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia-Romagna. Innanzitutto perché è stata pubblicata la Carta del Potenziale Archeologico di Classe, il risultato di un lavoro pluriennale svolto da alcuni giovani archeologi: di fatto una vera e propria radiografia della città. Ora il controllo della risorsa sepolta sarà più facile, a Classe: sono stati mappati i suoi depositi, è stato schedato nel dettaglio ogni intervento già effettuato e così possiamo sapere, in anticipo, che tipo di situazione incontrerà chi vorrà indagare nuove aree della città. Il punto sulla situazione, quindi, e uno strumento imprescindibile per gli anni a venire. Sicuramente un episodio che costituisce una svolta nella storia degli studi su questa città.

È continuato poi il lavoro di preparazione del Museo che verrà ospitato nell'ex Zuccherificio Eridania. Qui la sfida consiste nel raccontare attraverso gli oggetti l'intera vicenda di Ravenna, Classe e del territorio circostante, dalla preistoria fino al Medioevo; dando il massimo risalto - ovviamente - all'area di Classe.

Infine è stata portata a termine la sesta campagna di scavo del complesso monumentale di San Severo. L'attenzione degli archeologi è ora completamente indirizzata verso il grande monastero medievale, aggiunto alla basilica tardoantica quando ormai Classe veniva già considerata una città morta. Una delle novità di quest'anno ha riguardato proprio la cronologia iniziale del monastero, che grazie ad alcuni indizi possiamo ormai anticipare al IX secolo (rispetto ad alcuni documenti che lo davano già esistente soltanto nel X). L'articolazione e lo sviluppo di questo complesso, così come hanno indicato le ultime campagne di scavo, sono davvero impressionanti. A sud della basilica i corpi principali del monastero si snodavano attorno ad un grande chiostro, dotato di un portico nel quale si alternavano pilastri e colonne. Abbiamo poi ritrovato le tracce che permettono di identificare le cucine, il refettorio (con il pulpito dal quale venivano lette le scritture prima dei pasti), le cantine e - probabilmente - la sala capitolare, dove i monaci si riunivano. Sono tornate inoltre alla luce alcune aree artigianali, per la lavorazione del metallo, e un grande edificio all'esterno del monastero, forse un magazzino.

La storia della comunità monastica di San Severo sta lentamente tornando in superficie, grazie agli scavi. È la storia di un gruppo di persone (monaci benedettini, e poi cistercensi) che si trovarono a risiedere lì dove un tempo c'era una città, a stretto contatto con le sue rovine, e che ne tennero a lungo in vita la memoria. Fino all'abbandono definitivo, nel XVI secolo. Fino all'arrivo degli archeologi. A Classe stiamo facendo tutto quello che ho raccontato fin qui, in vista della realizzazione del parco archeologico. Un parco che la città di Ravenna aspetta da tempo, per tornare in possesso di una storia, di un passato che le appartiene a pieno diritto.


La pagina della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 6 [2011 - N.42]

Un estratto della lettera inviata al Ministro Lorenzo Ornaghi a firma dei presidenti di ICOM italia, di AIB e di ANAI

Signor Ministro,
chiediamo di incontrarLa per sottoporre alla Sua attenzione sette proposte concrete, che mirano alla gestione sostenibile degli istituti e del patrimonio culturale e al rilancio del sistema culturale italiano.
1. Occorre che al rinnovato impegno dei professionisti degli istituti culturali per una gestione efficace ed efficiente, trasparente e competente, corrisponda un impegno degli amministratori pubblici e privati per la difesa e la valorizzazione del capitale umano. Chiediamo un impegno di tutti affinché sia garantito anche negli istituti culturali il ricambio generazionale, attraverso ogni modalità possibile.
2. Occorre concentrare le scarse risorse sugli istituti culturali permanenti e sulle loro primarie attività a sostegno delle comunità e dello sviluppo locali. Va rivalutata l'importanza delle risorse per la gestione corrente degli istituti culturali, che in tempo di crisi rappresentano un investimento sul futuro.
3. Occorre promuovere la massima cooperazione tra le persone, gli istituti, le amministrazioni. Bisogna aumentare la capacità di agire in rete e a sistema, superando molti dei tradizionali vincoli basati sulla diversa appartenenza amministrativa pubblica o privata e costruendo un sistema nazionale in cui ogni componente operi in base a criteri di funzionalità, autonomia e complementarietà in un quadro programmatico concordato.
4. Occorre riorganizzare e razionalizzare i sistemi culturali territoriali su basi più cooperative e più integrate. Musei, biblioteche ed archivi delle stesse comunità possono essere gestiti con modalità integrate, senza sacrificare le reti nazionali di collegamento e tutela dello stesso settore, che devono garantire uniformità di metodo in tutto il nostro Paese.
5. Occorre rendere più concreta la sussidiarietà, sostenere la partecipazione volontaria e disinteressata dei cittadini e delle comunità, promuovere la sinergia tra azione pubblica e azione privata come elementi per garantire nel tempo la sostenibilità della gestione degli istituti e del patrimonio culturale. Proponiamo che il 5 per mille dell'IRPEF possa essere destinato anche a favore degli istituti culturali e delle loro attività e auspichiamo che la messa a regime di un effettivo federalismo fiscale crei a livello locale condizioni favorevoli per politiche fiscali di sostegno al non profit culturale, oltre a prevedere le attività culturali fra le funzioni fondamentali dei Comuni.
6. Occorre potenziare la formazione e l'aggiornamento professionale nei nostri settori di competenze, integrando l'approccio teorico disciplinare e multidisciplinare con la messa a frutto del grande patrimonio di esperienza che i migliori operatori hanno accumulato in una vita di lavoro.
7. Occorre iniziare a promuovere l'idea che solo attraverso la cultura e l'istruzione sia possibile conquistare una dimensione di cittadinanza piena, attiva, consapevole. Proponiamo di dare vita a una campagna di promozione tipo "pubblicità progresso" che utilizzi tutti gli strumenti a disposizione del Governo per promuovere un'immagine positiva e vincente della cultura e della fruizione culturale.
Il testo integrale del documento è consultabile sul sito www.icom-italia.org.
Lo scorso 1 febbraio il presidente di ICOM Italia, Alberto Garlandini, il presidente AIB, Stefano Parise, e il vice presidente ANAI, Paola Carucci, in rappresentanza delle associazioni professionali dei bibliotecari, degli archivisti e degli operatori museali riunite nella confederazione MAB Italia, hanno incontrato il Sottosegretario di Stato ai Beni e alle Attività Culturali, arch. Roberto Cecchi. L'incontro è servito per presentare le finalità e le attività di MAB Italia e per illustrare le priorità che riguardano archivi, musei e biblioteche, esposte nella lettera indirizzata al Ministro Ornaghi. Il Sottosegretario Cecchi ha manifestato la più ampia disponibilità del MiBAC a sostenere l'iniziativa e annunciato l'intenzione di diffondere la lettera di MAB Italia a tutte le articolazioni del Ministero.


La pagina di ICOM Italia - pag. 6 [2012 - N.43]

Se il 2015 a Milano sarà l'anno dell'Expò, il 2016, e questa è la notizia, sarà quello dei musei!

Segreteria ICOM Italia

Lo scorso 4 giugno, a Parigi, presso la Maison de l'Unesco, i delegati di tutto il mondo di ICOM, la principale associazione mondiale del settore museale, hanno assegnato a Milano l'onore e l'onere di organizzare, dopo Rio de Janeiro nel 2013, l'Assemblea Generale di ICOM. L'Advisory Committee ha scelto Milano senza tentennamenti, con una maggioranza importante, pari al 66% dei voti, dando ampio credito al progetto italiano. Le città che hanno conteso fino all'ultimo l'evento a Milano erano Mosca e Abu Dhabi.
"Questa vittoria" - ha sottolineato il Presidente di ICOM Italia Alberto Garlandini - "è la dimostrazione concreta del ruolo sempre più importante nel mondo della museologia e dei museologi italiani e rappresenta un risultato fondamentale per le migliaia di operatori impegnati quotidianamente a garantire una corretta gestione del patrimonio culturale italiano, che per il mondo costituisce qualche cosa di davvero straordinario".
L'Assemblea Generale è, infatti, il più importante evento mondiale del settore museale, una convention che si organizza ogni tre anni per fare il punto della situazione su quel volano dell'industria culturale rappresentato dagli istituti museali, che soltanto in Italia sono circa 5.000 e contano quasi 100 milioni di visitatori all'anno.
Un grande evento, quindi, che porterà a Milano non meno di 4.000 operatori dai quattro continenti a confrontarsi sul tema proposto da ICOM Italia, che il mondo ha dimostrato di apprezzare particolarmente e che sarà strategico per il futuro degli istituti museali, ovvero "Museums and cultural landscapes".
Il successo della candidatura è il risultato di una squadra d'eccezione messa in campo convintamente dal nostro Paese, composta da istituzioni pubbliche, come il Ministero degli Affari Esteri, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali, la Commissione Nazionale Italiana dell'Unesco, la Regione Lombardia, la Provincia di Milano, il Comune di Milano e il Comitato delle Università di Lombardia, ma non di meno di sostenitori privati, quali in primis il Gruppo Intesa Sanpaolo, mentre dal punto di vista tecnico, fondamentale è stato e sarà l'apporto e l'esperienza di Fiera Milano Congressi.
Da sottolineare come fattore in grado di dimostrare la possibilità per questo Paese di muoversi unito con determinazione su obiettivi condivisi, il coinvolgimento dell'intera rete diplomatico-consolare italiana all'estero, che si è fatta veicolo intelligente di promozione capillare presso le sedi ICOM nel mondo.
Ora si apre una stagione nuova, anche per ICOM Italia, con un traguardo all'orizzonte di straordinaria importanza che deve mobilitare le energie migliori del Paese e deve coinvolgere ogni istituto e ogni operatore del settore. La candidatura, convintamente, è stata infatti condotta con determinazione e convinzione incrociando Milano all'Italia; il lavoro, quindi, dovrà coinvolgere non soltanto Milano ma l'Italia intera e il risultato finale sarà il frutto dell'opera di un intero Paese, che nei suoi musei e nei beni culturali deve imparare a riconoscere non un onere, ma uno straordinario punto di forza.
Di questo sono convinti i nostri colleghi di tutto il mondo che hanno votato Milano e che ci verranno a trovare nel 2016, e di questo dovremmo essere anche noi un po' più consapevoli.

La pagina di ICOM Italia - pag. 6 [2012 - N.44]

Un estratto dell'intervento del Presidente di ICOM Italia sulla Conferenza Generale che si terrà a Milano nel 2016

Alberto Garlandini - Presidente ICOM Italia

Il mio obiettivo è che Milano ICOM 2016 diventi la più partecipata conferenza della storia di ICOM e che consegni una positiva esperienza personale e professionale a tutti i partecipanti. Ma ancor più importante è che ICOM 2016 segni una tappa significativa nell'elaborazione e nell'azione di ICOM. Sono convinto della validità del tema che abbiamo proposto per il 2016: Museums and Cultural Landscapes è un tema che si colloca al cuore stesso della visione di ICOM e del suo Piano Strategico 2011-2013. Lo avevamo proposto anche in riferimento alla prima candidatura nel 2009 per la Conferenza del 2013 e non abbiamo avuto dubbi nel riconfermarlo tre anni dopo, nell'esplosione della crisi globale. Con la crisi è finita l'illusione che la crescita sia un processo lineare, che si autoalimenta senza soluzioni di continuità. La dura realtà impone di ripensare lo sviluppo in modo più sostenibile, più equilibrato, con minor consumo di territorio, di paesaggio, di suolo, e con minori sprechi di risorse, di persone, di tempo, di intelligenze.

Museums and Cultural Landscapes è all'interno della riflessione su un nuovo modello di sviluppo, e porta alla nostra attenzione le responsabilità dei musei nei confronti di quanto accade nel territorio che li circonda. I musei non possono occuparsi solo delle loro collezioni, ma devono anche assumere responsabilità nei confronti del patrimonio culturale materiale e immateriale presente nei centri storici, nell'ambiente e nel paesaggio in cui sono inseriti. ICOM Italia ha aperto da tempo una riflessione sulla funzione di presidio territoriale per la tutela del patrimonio culturale dei musei italiani, che sono diffusi capillarmente, in grandi e piccole città, e sono parte integrante delle identità locali e del contesto storico, sociale e ambientale.

Il quadro teorico a cui ci riferiamo è la innovativa visione e concezione del paesaggio espressa dalla Conferenza europea di Firenze del 2000: il paesaggio è una determinata parte di territorio, così come è percepita riconosciuta e valorizzata dalle comunità che vi vivono, le cui caratteristiche sono profondamente segnate dall'azione dell'uomo e dalle sue interrelazioni con i fattori naturali. In questo senso il paesaggio è un concetto e un riferimento pluridimensionale, che trasforma una dimensione fisica, naturale, geografica in una dimensione antropologica, sociale, economica, culturale. Il paesaggio è per noi parte del patrimonio culturale da conservare, interpretare e gestire, e al contempo è anche il contesto nel quale trovano senso i musei e il patrimonio culturale.

A chi affidare, nella società contemporanea, la responsabilità primaria del patrimonio culturale e ambientale? Quale istituzione può assicurarne la conoscenza, la conservazione, la comunicazione, meglio che i musei? Certo non è compito solo dei professionisti museali, deve essere svolto in relazione con gli altri professionisti all'interno della battaglia per la valorizzazione del patrimonio culturale e ambientale. Ma come, con quali competenze, con quali risorse, con quali azioni? Come si può farlo in un mondo profondamente trasformato dalla crisi globale e dallo sviluppo della globalizzazione? Sono domande impegnative che chiedono risposte complesse e ragionate. Per i musei, aprirsi al paesaggio e al patrimonio che li circonda significa impegnarsi rispetto alla contemporaneità. È un impegno scientifico e culturale in primo luogo, ma anche istituzionale e politico. È una sfida museologica perché propone una nuova forma di museo, ma anche museografica perché impone nuove forme d'interpretazione e di esposizione del patrimonio. È una sfida deontologica in quanto definisce nuove responsabilità per i musei e per i professionisti del patrimonio. Da questo punto di vista aumenta il valore universale del Codice etico dei musei di ICOM, che già oggi è un riferimento non solo per chi lavora nei musei ma anche per quanti si occupano del patrimonio culturale.

Affrontare questo tema offre l'opportunità di costruire nuove reti operative con gli altri professionisti del patrimonio culturale e nuove convergenze disciplinari e operative con gli altri istituti culturali. Per questo abbiamo voluto iniziare oggi ad approfondire il tema, per a far diventare Museums and Cultural Landscapes un tema non di una conferenza ma di una intera associazione. Ho un obiettivo, un sogno nascosto: fare approvare a Milano una Dichiarazione ICOM su musei e paesaggi culturali che individui nuovi obiettivi strategici, nuovi programmi e nuove attività per i musei del XXI secolo. Siamo di fronte ad una grande occasione di crescita per la museologia italiana e per ogni professionista museale italiano, e soprattutto per ICOM Italia su cui ricade la responsabilità primaria del successo di ICOM Milano 2016.


La pagina di ICOM Italia - pag. 6 [2012 - N.45]

Cinque priorità e dieci obiettivi per guardare al futuro, promossi da ICOM e da altre associazioni culturali italiane
I promotori e i firmatari del presente appello chiedono a chi dovrà governare l'Italia impegni programmatici per il rilancio della cultura intesa come promozione della produzione creativa e della fruizione culturale, tutela e valorizzazione del patrimonio, sostegno all'istruzione, all'educazione permanente, alla ricerca scientifica, centralità della conoscenza, valorizzazione delle capacità e delle competenze.
La crisi economica e la conseguente riduzione dei finanziamenti stanno mettendo a dura prova l'esistenza di molte istituzioni culturali, con gravi conseguenze sui servizi resi ai cittadini, sulle condizioni di lavoro e sul futuro di molti giovani. Questa situazione congiunturale è aggravata dalla crisi di consenso che colpisce la cultura, che una parte notevole della classe dirigente - pur dichiarando il contrario - di fatto considera un orpello inattuale, non elemento essenziale di una coscienza civica fondata sui valori della partecipazione informata, dell'approfondimento, del pensiero critico.
Noi rifiutiamo l'idea che la cultura sia un costo improduttivo da tagliare in nome di un malinteso concetto di risparmio. Al contrario, crediamo fermamente che il futuro dell'Italia dipenda dalla centralità accordata all'investimento culturale, da concretizzare attraverso strategie di ampio respiro accompagnate da interventi di modernizzazione e semplificazione burocratica. La nostra identità nazionale si fonda indissolubilmente su un'eredità culturale unica al mondo, che non appartiene a un passato da celebrare ma è un elemento essenziale per vivere il presente e preparare un futuro di prosperità economica e sociale, fondato sulla capacità di produrre nuova conoscenza e innovazione più che sullo sfruttamento del turismo culturale.
Ripartire dalla cultura significa creare le condizioni per una reale sussidiarietà fra stato e autonomie locali, fra settore pubblico e terzo settore, fra investimento pubblico e intervento privato. Guardare al futuro significa credere nel valore pubblico della cultura, nella sua capacità di produrre senso e comprensione del presente per l'avvio di un radicale disegno di modernizzazione del nostro Paese.
Per queste ragioni chiediamo che l'azione del Governo e del Parlamento nella prossima legislatura, quale che sia la maggioranza decisa dagli elettori, si orienti all'attuazione delle seguenti priorità:
• puntare sulla centralità delle competenze;
• promuovere e riconoscere il lavoro giovanile nella cultura;
• investire sugli istituti culturali, sulla creatività e sull'innovazione;
• modernizzare la gestione dei beni culturali;
• avviare politiche fiscali a sostegno dell'attività culturale.
I promotori e i firmatari del presente appello chiedono di sottoscrivere i dieci obiettivi seguenti, che dovranno caratterizzare il lavoro del prossimo Parlamento e l'azione del prossimo Governo.
1. Riportare i finanziamenti per le attività e per gli istituti culturali, per il sistema dell'educazione e della ricerca ai livelli della media comunitaria in rapporto al PIL.
2. Dare vita a una strategia nazionale per la lettura che valorizzi il ruolo della produzione editoriale di qualità, della scuola, delle biblioteche, delle librerie indipendenti, sviluppando azioni specifiche per ridurre il divario fra nord e sud d'Italia.
3. Incrementare i processi di valutazione della qualità della ricerca e della didattica in ogni ordine scolastico, riconoscendo il merito e sanzionando l'incompetenza, l'inefficienza e le pratiche clientelari.
4. Promuovere sgravi fiscali per le assunzioni di giovani laureati in ambito culturale e creare un sistema di accreditamento e di qualificazione professionale che eviti l'immissione nei ruoli di personale non in possesso di specifici requisiti di competenza.
5. Promuovere la creazione di istituzioni culturali permanenti anche nelle aree del paese che ne sono prive - in particolare nelle regioni meridionali, dove permane un grave svantaggio di opportunità - attraverso programmi strutturali di finanziamento che mettano pienamente a frutto le risorse comunitarie; incentivare formule innovative per la loro gestione attraverso il sostegno all'imprenditoria giovanile.
6. Realizzare la cooperazione, favorire il coordinamento funzionale e la progettualità integrata fra livelli istituzionali che hanno giurisdizione sui beni culturali.
7. Ripensare le funzioni del MiBAC individuando quelle realmente "nazionali", cioè indispensabili al funzionamento del complesso sistema della produzione, della tutela e della valorizzazione dei beni culturali, per concentrare su di esse le risorse disponibili. Riorganizzare e snellire la struttura burocratica del ministero.
8. Inserire la digitalizzazione del patrimonio culturale fra gli obiettivi dell'agenda digitale italiana.
9. Riconoscere l'insegnamento delle discipline artistiche e musicali tra le materie curriculari dell'insegnamento scolastico nelle primarie e secondarie e sviluppare un sistema nazionale di orchestre e cori giovanili e infantili.
10. Prevedere una fiscalità di vantaggio, compreso forme di tax credit, per l'investimento privato e per l'attività del volontariato organizzato e del settore no profit a sostegno della cultura.
La versione integrale dell'appello è disponibile su: www.ripartiredallacultura.it

La pagina di ICOM Italia - pag. 6 [2013 - N.46]

La Commissione tematica di ICOM  Italia mette in rete buone pratiche e strumenti operativi per promuovere una fruizione ampliata della cultura

Dario Scarpanti - Coordinatore Commissione Accessibilità museale

Il 31 maggio e il 1 giugno scorsi, i temi dell'accessibilità culturale e, quindi, museale sono stati dibattuti in un incontro a Napoli, presso la Basilica di Santa Maria Maggiore detta la Pietrasanta. Già il solo titolo del convegno, "Accessibilità e valorizzazione dei beni culturali: politiche strumenti e progetti innovativi", ha aperto la possibilità di discutere a vasto raggio concetti e soluzioni, filosofia e pratica, sui temi dell'accessibilità. L'incontro è stato promosso dall'Associazione Pietrasanta Polo Culturale, che racchiude in sé imprenditori del posto, istituzioni quali l'Università di Siena, persone che hanno fatto e fanno della fruizione ampliata alla cultura il loro punto di partenza operativo.
Per ICOM Italia dare il patrocinio a questa manifestazione è stata una scelta "di campo": ICOM è, sempre, dalla parte di chi promuove cultura, diritto, integrazione tra soggetti - o, meglio, tra persone - fruizione e accesso alla comune proprietà del bene comune.
Nello scenario, magnifico e imponente, della Basilica si è dibattuto il tema dell'accessibilità, declinandolo in molte diverse sfaccettature. E questo è stato il punto di forza dell'incontro: non circoscrivere o limitare la scelta dei relatori e del tema a un solo aspetto, ma far "assaggiare" le potenzialità che la resa accessibile di un "monumento" tale può dare. E così, accessibilità diviene vedere uno spettacolo teatrale a occhi chiusi o ascoltare un concerto con le orecchie tappate (si può fare: "Staje perdenne e' sensi" è il titolo, inequivocabile, dell'esperienza); passeggiare a 35 metri sotto terra immaginando il percorso da costruire per alcune macchinine elettriche; ascoltare Fabrizio Vescovo che parla di diritto a far cose belle (questa è la sintesi)!
Accessibilità diviene l'incontro fra persone; certo, messe insieme su un tema. Ma che sfruttano il tema per legare quel che in altro luogo vengono definite le "sensibilità", qui la voglia di esserci, di fare, di raccontare e, soprattutto, di ascoltare. E questa è, ancora, la sintesi.
Chi ha organizzato il convegno, evidentemente, è lo stesso soggetto che si è messo in testa che la Basilica di Pietrasanta debba divenire un esempio di buona pratica. E passo dopo passo, come fa chi ha in testa la meta cui giungere, ci arriva. Sembra dire: noi ci siamo; e anche, ci divertiamo a esserci: ancora una sintesi!
Il convegno ha raccontato esperienza italiane, anche molto diverse tra loro: il festival Soundmaker di Lecce, che non nasce come esperienza sull'accessibilità ma che ci diventa e ne fa un punto di forza; il Laboratorio Accessibilità Universale dell'Università degli Studi di Siena; il lavoro nascosto e dietro le quinte che fanno le Istituzioni, dal MiBAC al Demanio, alla Regione e al Comune; dalle Università agli altri centri di esposizione e di ricerca. Ha mostrato quel che avviene in Europa, con il racconto dei lavori fatti nel Castello di Veauce, in Francia, e, più in generale, esponendo quella che è la matrice ideale dei progetti di Design for All. Ha dato spazio a giovani professionisti che, sempre e comunque ci provano, con idee fresche, a dare nuovi input.
In questa congerie di racconti, la Commissione tematica Accessibilità museale di ICOM Italia si è sentita "a casa". La Commissione è stata aperta nel 2007 e fin da subito ha cercato di sviluppare sistemi di comprensione dei rapporti che intercorrono tra le strutture espositive e i pubblici, prendendo come paradigma le persone con disabilità: riuscire ad interagire costruttivamente con l'altro, con ogni altro, significa realizzare quei punti programmatici sottolineati dal codice Etico Professionale dell'ICOM: "Il Museo è un'istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo. È aperto al pubblico e compie ricerche che riguardano le testimonianze materiali e immateriali dell'umanità e del suo ambiente; le acquisisce, le conserva, le comunica e, soprattutto, le espone a fini di studio, educazione e diletto".
Vuole provare a essere una Commissione di servizio per chi i musei li fa (a diverso titolo) e per chi va ai musei; vuole provare a mettere in rete le buone pratiche e insieme dare alcuni strumenti, legislativi e operativi (e, se ci si riesce, anche "ideali"); intende mettere dubbi a quanti fanno della certezza del proprio lavoro l'unica esclusiva misura (e a tutti noi, almeno ogni tanto, capita di sentirci super partes: ecco, il lavoro più grande che la Commissione fa sui propri soci e, poi, su chi si accosta ai lavori è proprio questo, l'istillazione del dubbio).
Per ulteriori informazioni: www.icom-italia.org; accessibilità@icom-italia.org

La pagina di ICOM Italia - pag. 6 [2013 - N.47]

La 24a Conferenza Generale ICOM in programma a Milano nel 2016 verterà su un tema strategico, da condividere anche in ambito MAB e associazionistico

Daniele Jalla - Responsabile Programma culturale Milano 2016 "Musei e paesaggi culturali"

Nel 2009, nel presentare la candidatura di Milano alla Conferenza Generale dell'ICOM per il 2013, che ha poi avuto luogo a Rio de Janeiro in Brasile, illustravamo così la nostra proposta per il suo tema:
"Musei e paesaggio culturale è un tema strategico che si colloca al cuore stesso della visione strategica di ICOM. Perché individua come i musei possono contribuire all'obiettivo di far sì che l'importanza del patrimonio naturale e culturale sia universalmente riconosciuta.
Il paesaggio è - secondo la Conferenza europea di Firenze del 2000 - una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni. In questo senso il paesaggio è - allo stesso tempo - parte del patrimonio, il contesto entro cui si inscrivono i musei ed esso stesso un patrimonio da conservare, interpretare e gestire. A chi affidare, nella società contemporanea, la responsabilità primaria del patrimonio? Quale istituzione può assicurarne la conoscenza, la conservazione, la comunicazione, meglio che i musei? Per i musei, aprirsi al paesaggio e al patrimonio che li circonda, significa impegnarsi rispetto al patrimonio contemporaneo. Partendo dalla molteplicità degli approcci esistenti e adottando modelli nuovi in una società che cambia. Un impegno scientifico e culturale in primo luogo, ma anche istituzionale e politico. Per i musei e i professionisti museali in un quadro di convergenza con tutti professionisti e tutte le istituzioni del patrimonio. È una sfida: museologica perché propone una nuova forma di museo; museografica perché impone nuove forme d'interpretazione del patrimonio. E deontologica in quanto definisce nuove responsabilità per i musei e per i professionisti del patrimonio. Che riconosce ai musei il ruolo di centro propulsore di tutte le azioni patrimoniali, stimolando la nostra capacità di declinare in modo innovativo la nostra visione strategica".
Come far sì che questo tema si trovi al centro della nostra riflessione strategica, coinvolgendo non solo tutte le associazioni museali italiane, ma anche gli archivi e le biblioteche - nel quadro del MAB - e tutte le molte altre associazioni attive nel campo dell'ambiente e del paesaggio (a partire dal FAI e da Italia Nostra con cui abbiamo già stretti rapporti)?
Tra la fine del 2013 e il luglio 2016, abbiamo più di 30 mesi per prepararci ad accogliere i nostri colleghi di tutto il mondo presentando loro non solo un'approfondita riflessione sul tema del rapporto fra musei e paesaggi culturali, ma concrete esperienze di una sua declinazione da parte di quanti musei vorranno e potranno impegnarsi, dentro e fuori le loro mura.
Due anni e mezzo possono sembrare tanto, ma non lo sono affatto se vogliamo far sì che si arrivi a proporre il maggior numero di iniziative attorno al tema dei musei e dei paesaggi culturali volte a costituire una carta di presentazione dell'Italia e dei suoi musei non solo durante la Conferenza generale e nelle settimane precedenti e successive, ma in una prospettiva di più lungo periodo e soprattutto non solo a Milano e in Lombardia, ma in tutte le regioni italiane. Ci sembra infatti che la sfida di passare dalla teoria alla pratica sia tutt'altro che semplice e richieda una mobilitazione di intelligenze ed energie, di fantasia e creatività, di collaborazioni e di risorse, umane e finanziarie, tutt'altro che indifferente. Per questo, già a partire dai prossimi mesi, dobbiamo mettere a fuoco, a livello nazionale e regionale, il programma di lavoro per il 2014 e per il 2015, nella forma più partecipata e aperta possibile.
Il confronto teorico
In primo luogo ci sembra necessario mettere ben a fuoco cosa intendiamo quando parliamo di "paesaggi culturali" e di un'implicazione e responsabilità dei musei nella loro tutela e valorizzazione. Sia in un caso sia nell'altro ci sembra che la riflessione che abbiamo alle spalle sia così vasta e articolata da suggerire di rifarci alle molte elaborazioni già esistenti, con l'obiettivo di porre a disposizione di tutti una selezione di testi, documenti, proposte che possano aiutarci ad avviare il confronto attuale sulle solide base del molto che è stato pensato, scritto e fatto.
Un censimento delle buone pratiche
Una seconda direzione di lavoro è individuare i musei che si sono occupati e si occupano attivamente di paesaggio o che hanno promosso in tempi recenti interventi, mostre, percorsi attività legate al paesaggio culturale, includendo in questa indagine le molte esperienze legate - in senso più lato - al "territorio", un termine che spesso ha compreso in sé anche quanto in questo contesto, indichiamo come "paesaggio culturale". È questo un compito che spetta in primo luogo ai Coordinamenti regionali e che dovrebbe portare alla redazione di brevi schede sulla natura dell'istituzione coinvolta e sulle sue attività in vista della creazione di una sorta di catalogo delle "buone pratiche" in tema di musei e paesaggio culturale.
La dimensione internazionale
Tanto sul piano teorico quanto su quello normativo e operativo è bene che il confronto nazionale si allarghi quanto prima a un dibattito internazionale che coinvolga i Comitati nazionali e internazionali dell'ICOM, affinché il tema della Conferenza generale sia da loro condiviso già a partire dal 2014 ed entri, se possibile, nella programmazione delle loro attività dei prossimi anni. Per questo è necessario che la partecipazione al Convegno di Firenze dell'anno prossimo coinvolga anche rappresentanti ed esponenti dei Comitati nazionali europei, allargandola per quanto possibile a tutti i paesi possibili, lavorando al tempo stesso a cercare di conoscere e capire quali concezioni di paesaggio e di rapporto tra musei e paesaggio culturale siano presenti in ambiti culturali anche molto diversi dal nostro.
Ci sembra che questo sforzo di comprensione sia la premessa indispensabile per far sì che tutti i partecipanti della Conferenza trovino non solo un contesto in cui il suo tema è declinato teoricamente e operativamente, ma anche i mezzi necessari a rapportarlo alla loro situazione, se possibile ben prima della loro venuta in Italia. Lo stesso impegno va sviluppato all'interno dei Comitati internazionali, chiedendo ai nostri iscritti di farsi portatori - già nel 2014 - di proposte dirette a far sì che il tema della Conferenza sia ripreso sotto le più diverse angolature nelle sessioni di lavoro di tutti Comitati. L'allargamento internazionale è compito in primo luogo del Consiglio direttivo e della Presidenza di ICOM Italia, con il contributo attivo dei presidenti e membri italiani dei board dei Comitati internazionali. Centrale è inoltre il rapporto con l'UNESCO (è importante ricordare che il Comitato nazionale italiano dell'UNESCO ha promosso con noi la Candidatura ad organizzare ICOM Milano 2016) e con le altre organizzazioni internazionali e in particolare con l'ICOMOS.
La dimensione operativa
Il tema della Conferenza generale non è certo un tema nuovo per l'Italia. Investe un nodo cruciale per un paese in cui, tranne rarissime eccezioni, i musei hanno un'indiscutibile radice e dimensione "territoriale": non importa se civici o statali, ecclesiastici o privati, i nostri musei hanno origine e si alimentano dei beni che provengono da un contesto che è comunque di prossimità, ne rispecchiano la storia e le tradizioni e da questo stretto rapporto con i luoghi di provenienza delle loro collezioni traggono la loro identità e forza.
La questione del rapporto con il contesto e il territorio di appartenenza e di riferimento, con il patrimonio a cielo aperto e con la comunità connotano l'intero dibattito museologico e museografico dall'Unità a oggi. Lo stesso avviene sul terreno della visione e dell'esercizio tutela del patrimonio culturale, la cui separatezza tanto rispetto alle logiche della pianificazione territoriale e urbanistica, quanto rispetto al ruolo assegnato ai musei, gli archivi, le biblioteche, gli istituti culturali è stato oggetto di ricorrenti dibattiti e di numerosi quanto inutili tentativi di integrazione, concettuale e operativa. Senza approfondire in questa sede questo vasto retroterra, non possiamo non citare da un lato gli standard museali, con il loro ottavo ambito dedicato a "musei e territorio" e, dall'altro, l'impegno di ICOM Italia nell'ultimo decennio nel cercare di affermare la proposta di un nuovo modello di "tutela attiva" che assegnasse ai musei il ruolo di presidi nel suo esercizio nel quadro di un sistema "museo-centrico" quanto a responsabilità e "museo-eccentrico" quanto a raggio di competenze e azioni.
Il dibattito e il confronto ci sono stati ma, come in stagioni precedenti - segnatamente dagli anni Sessanta-Settanta in poi - le realizzazioni sono state poche ed effimere, ponendoci di fronte al problema di capire perché il "modello Italia" di gestione e tutela del patrimonio culturale sia così difficile da riformare, concettualmente prima ancora che sul piano normativo e operativo.
La principale posta in gioco di Milano 2016 diventa allora quella di tentare di affermare quella di un museo responsabile del territorio, del patrimonio presente oltre i suoi muri, del contesto che lo circonda, del paesaggio culturale in cui è immerso. Passando dalle parole ai fatti, dai dibattiti alle proposte, ai progetti, agli interventi. Le possibilità sono infinite e, con l'obiettivo di Milano 2016 possiamo provare a misurarci con questa sfida, costruendo "dal basso" un programma diffuso in tutto il territorio nazionale, articolato regionalmente e localmente, stabilendo nuove collaborazioni e partenariati, dentro e fuori il mondo dei musei e del patrimonio culturale, di valorizzazione dei paesaggi culturali del nostro paese che può e deve diventare un progetto "politico" che coinvolga, oltre le associazioni dei professionisti del patrimonio, le istituzioni, il mondo imprenditoriale e quello turistico.

La pagina di ICOM Italia - pag. 6 [2013 - N.48]

"Creare connessioni con le collezioni" è il tema dell'annuale appuntamento promosso da ICOM

Tiziana Maffei - Direttivo ICOM Italis

Ogni anno, dal 1977, ICOM celebra l'International Museum Day: importantissimo appuntamento di condivisione internazionale dei valori fondamentali del museo, al di là dei confini geografici e delle disponibilità finanziarie dei diversi Paesi e istituti. Il tema annuale, attribuito dal 1992, è un'occasione per creare un confronto sulle molteplici complessità del museo quale "istituzione al servizio della società e del suo sviluppo".
Quest'anno Make connections with collections tradotto da ICOM Italia in Creare connessioni con le collezioni ricorda che i musei sono istituzioni vive, che aiutano a creare legami con visitatori, tra generazioni e culture del mondo, e dare una possibile risposta alle questioni contemporanee del mondo. Hans-Martin Hinz, Presidente ICOM, ha dichiarato: "I musei sono una risorsa strategica per lo scambio culturale, l'arricchimento delle culture, lo sviluppo della comprensione reciproca, la cooperazione e la pace tra i popoli".
Nel 2014 s'intende rimarcare quanto le collezioni museali siano capaci non solo di raccontare storie, ma di creare relazioni con le comunità attraverso la memoria condivisa. Il passato conservato e comunicato nei musei si fonda sul presente, rafforzando il legame tra generazioni. Per aiutare a divulgare efficacemente il tema, sono state individuate a livello internazionale azioni con le quali costruire la programmazione degli istituti museali. ICOM Italia ha ritenuto opportuno e importante integrare e rielaborare queste linee di azione alla luce dell'impegnativa attività intrapresa sul campo in questi anni. Le proposte internazionali sono quindi declinate nella realtà italiana considerando i percorsi già avviati, le questioni già poste con tenacia e coerenza in questo grave e perdurante momento di crisi, non solo economica, al quale il mondo culturale è chiamato a dare possibili e concrete risposte. Di seguito una sintesi dei percorsi proposti.
Dialogo intergenerazionale. Il museo è al servizio della società, oggi più che mai: quando pare quasi impossibile un dialogo tra diverse generazioni, se non alimentando conflitti e incomprensioni, il museo ha la responsabilità di creare legami generazionali per comunicare e trasmettere il significato dei propri valori.
Collaborazione tra museo, istituzioni o altre organizzazioni. La condivisione delle collezioni, nonché dell'esperienza tra i musei, è un metodo efficace per potenziare la comprensione e sottolineare scambi interculturali. Partenariati con altre strutture, culturali e non, possono contribuire alla missione del museo.
Fare rete. In Italia la presenza diffusa d'istituti museali nel territorio garantisce un presidio culturale capillare e articolato: la condivisione è un elemento di forza. Tra i percorsi da attivare e consolidare ci sono la creazione di reti sia gestionali, per ottimizzare il funzionamento dei musei a garanzia della conservazione e della valorizzazione delle collezioni, sia promozionali per l'accesso e la fruizione, nonché tematiche per l'approfondimento scientifico e la ricerca.
MAB. Fare rete con le altre istituzioni culturali, gli archivi e le biblioteche, per riuscire a costruire una memoria condivisa del patrimonio culturale. La Giornata Internazionale è un'opportunità per organizzare appuntamenti comuni, che permettano al pubblico di avere maggiore consapevolezza di quanto il patrimonio tangibile delle nostre istituzioni sia espressione di legami e di relazioni intangibili.
Connessioni con il territorio. In preparazione a Musei e paesaggi culturali, tema individuato per l'Assemblea Generale di ICOM 2016 che si terrà in Italia, la Giornata Internazionale può essere occasione per comprendere, interpretare, approfondire il rapporto esistente tra collezioni museali e territorio. I musei italiani si distinguono per avere una radice e una dimensione territoriale, specchio di storia e tradizioni: dallo stretto rapporto con i luoghi di provenienza delle collezioni traggono la loro identità e forza. Essa è una peculiarità del dibattito museologico e museografico italiano che va compresa, promossa e valorizzata per costruire un museo responsabile del territorio, del patrimonio presente oltre i propri muri, del contesto che lo circonda, del paesaggio culturale in cui è immerso.
Per ulteriri informazioni: http://imd.icom.museum, www.icom-italia.org, www.facebook.com/giornatainternmusei, comunicazione@icom-italia.org.

La pagina di ICOM Italia - pag. 6 [2014 - N.49]

Nella Conferenza Internazionale di Siena del 7 luglio il primo momento di discussione su "Musei e paesaggi culturali", tema di Milano 2016
In Italia esistono - il dato si riferisce al 2011 - 4588 musei e istituti "similari": 3847 musei, 240 aree e parchi archeologici, 501 monumenti e complessi monumentali. La stragrande maggioranza di musei italiani accoglie beni che sono testimoni della storia del territorio di cui essi sono espressione e specchio, rappresentandone a diverso titolo l'identità.
La loro capillare diffusione in tutto il territorio, il loro stretto legame con esso hanno fatto dire che l'Italia è "il paese del museo diffuso": un paese in cui quasi un comune su tre ospita almeno un museo e in alcune regioni i musei sono presenti in oltre il cinquanta per cento dei comuni.
È stato anche detto e scritto moltissime volte che la vastità e varietà del patrimonio culturale presente al di fuori dei musei fanno dell'Italia "un museo a cielo aperto" composto da grandi monumenti dell'antichità, da castelli e abbazie, da chiese, palazzi, centri storici, integrati in un paesaggio che è parte di questo patrimonio.
La continuità fra il patrimonio esistente nei musei e quello che li circonda è stata mirabilmente espressa da André Chastel. In Italia, ha scritto, "grazie a una sorta d'incastro esemplare, la collezione s'iscrive nell'edificio che la città riveste, e queste tre forme di museo si rispondono mutualmente". Questo privilegio - che è proprio dell'Italia, ma che non è solo suo - pone ai musei una duplice, vitale responsabilità.
Ai musei non tocca solo il compito di conservare e comunicare le proprie collezioni, ma di interpretarle alla luce del contesto da cui esse provengono e, quando questo coincide con il luogo in cui essi si trovano, di porsi come centro d'interpretazione del patrimonio culturale che li circonda e di cui le loro collezioni sono parte.
La loro responsabilità va oltre: la loro capillare diffusione consente di farne un presidio attivo di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, estendendo la loro azione a quanto è fuori dalle loro mura attraverso un'attività di ricerca, di monitoraggio, di conservazione che si integri con la gestione dei tanti beni presenti al loro esterno.
Come centri d'interpretazione e presidi attivi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, la missione dei musei non cambia, ma si amplia e si rafforza. Come centri di responsabilità del patrimonio culturale, hanno modo di trarre sempre nuovi stimoli dal rapporto con il territorio e dalle questioni che concernono il suo sviluppo, arricchendo il proprio patrimonio di nuovi beni e conoscenze.
Attraverso queste attività, i musei contribuiscono alla salvaguardia del paesaggio nei due sensi che possiamo attribuire ad esso: in quanto "determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni", come lo definisce la "Convenzione europea del Paesaggio" del 2000 e in quanto immagine del territorio.
Responsabili, anche, del patrimonio culturale a cielo aperto, i musei possono contribuire a valorizzarlo in quanto patrimonio immateriale, attraverso una molteplicità di mezzi e interventi che li vedano attori di politiche attive di salvaguardia, protezione, conservazione, comunicazione non solo delle proprie collezioni, ma del paesaggio culturale di cui sono prodotto ed espressione.
Nel proporre  co-me tema della 24ª Conferenza generale dell'ICOM "Musei e paesaggi culturali", ICOM Italia ha inteso condividere con i colleghi di tutto il mondo una prospettiva che considera strategica per i musei del Terzo millennio ovunque essi siano.

La pagina di ICOM Italia - pag. 6 [2014 - N.50]

I Coordinamenti regionali, i Gruppi di lavoro, le Commissioni tematiche

Tiziana Maffei, Silvia Mascheroni

I Coordinamenti regionali: la diffusione del dibattito museale nel territorio nazionale
Nel 2008, a seguito della positiva discussione nell'Assemblea di Mantova, il Consiglio di ICOM Italia approva la nascita di un sistema di Coordinamenti regionali finalizzato a creare uno spazio di radicamento territoriale e una sorta d'antenna percettiva delle realtà locali così ben rappresentative della capillare presenza d'istituzioni museali da nord a sud, di fatto espressione dell'identità museale diffusa italiana.
I Coordinamenti, organizzati grazie all'impegno diretto di alcuni soci, sono diventati un elemento di forza, non solo associativa per la rete creata tra esperti museali, ma per lo sviluppo a livello regionale del dibattito tra i soggetti attivi nel mondo della tutela, valorizzazione e gestione del patrimonio culturale.
Nel territorio sono oggi attivi i Coordinamenti dell'Abruzzo, Campania, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Piemonte e Valle d'Aosta, Puglia, Sicilia, Toscana, Umbria, Veneto. Nell'ultimo anno è stata avanzata la richiesta per la Calabria e il Molise.
L'attività locale ha condotto a riconoscere la necessità di creare alleanze con gli enti e le istituzioni che rappresentano la declinazione delle politiche culturali italiane: Stato, Regioni, Comuni.
Alcuni Coordinamenti sono stati il tramite per sottoscrivere accordi, convenzioni, protocolli di collaborazione tra ICOM Italia e Direzioni Regionali e/o Regioni ma anche, recentemente, per sollecitare confronti con le sezioni regionali di ANCI. Alla luce dell'attuale riforma dei beni culturali e a un'inedita attenzione ai Musei, l'impegno per proseguire e concretizzare, soprattutto a livello locale, la strada della collaborazione propositiva appare prioritaria. Questa condizione, e l'opportunità di essere possibili strumenti di tutela attiva quali presidi territoriali, rinnoverà il ruolo dei musei italiani in vista dell'appuntamento mondiale di museologia a Milano nel 2016 dedicato a "Musei e paesaggi culturali". Appuntamento per il quale ICOM Italia ha chiesto il pieno coinvolgimento delle proprie organizzazioni regionali: nel 2014 per il censimento, nel 2015 con la costruzione di un percorso ben più elaborato nei territori.

Le Commissioni tematiche e i Gruppi di lavoro: una comunità di ricerca e di pratica
Nel giugno 2007 il Consiglio Direttivo e l'Assemblea nazionale di ICOM Italia hanno deliberato la nascita delle Commissioni tematiche, alle quali possono partecipare non solo gli iscritti all'Associazione, ma tutti coloro che sono interessati alle tematiche affrontate. La loro principale finalità è quella di sviluppare il dibattito nazionale su argomenti specifici, presidiando al contempo i rapporti con i corrispondenti Comitati internazionali e confrontandosi con essi.
I compiti e il ruolo delle Commissioni tematiche sono:
▪ promuovere il confronto, la ricerca e l'operatività da parte della comunità professionale;
▪ condurre un'azione partecipativa di confronto trasversale su tutto il territorio nazionale, che permette di approfondire alcuni temi, in condivisione con i Coordinamenti regionali;
▪ costituire un allargamento della base associativa e una presenza diffusa sul territorio nazionale;
▪ essere un interlocutore di riferimento anche per i giovani professionisti, promuovendo l'aggiornamento riguardo agli aspetti più rilevanti nell'ambito del patrimonio culturale e dei musei.
Attualmente sono attive le seguenti Commissioni tematiche: Accessibilità museale; Audiovisivi e nuove tecnologie; Case Museo; Educazione e Mediazione; Museologia; Sicurezza ed emergenza e il coordinamento dei musei letterari e di musicisti. L'operatività delle Commissioni tematiche risponde a requisiti e norme stabilite da un "Regolamento", quali: la nomina di un Coordinatore all'inizio del mandato; la predisposizione di un programma; indire periodicamente riunioni; garantire la documentazione sintetica ma puntuale del loro operato, che ha visibilità nella sezione del sito di ICOM Italia a esse dedicata. A quest'ultimo si rimanda per conoscere la specificità caratterizzante e la programmazione predisposta per il triennio 2013-2016.
Dal 2013 si sono istituiti i Gruppi di lavoro: Giovani professionisti museali; Musei e documentazione; Valutazione dei musei e studi sui visitatori, la cui ricerca e impegno sono ugualmente documentati sul sito di ICOM Italia (www.icom-italia.org).


La pagina di ICOM Italia - pag. 6 [2014 - N.51]

Il museo come ecosistema nel delicato equilibrio tra varie tipologie di risorse

Ferdinando Adorno - Achitetto - Membro Icom

La sostenibilità riguarda il futuro e la capacità della società attuale di soddisfare le esigenze presenti, assicurando pari opportunità alle prossime generazioni. Aspetti fondamentali di un processo sostenibile sono la comprensione e il bilanciamento delle complesse dinamiche che legano la sfera socio-economica a quella ambientale. La cultura è uno strumento prezioso al servizio della sostenibilità, poiché influisce sullo stile di vita, sui modelli di consumo e di produzione, sulla relazione con l'ambiente e sull'accettazione del processo di cambiamento della società. Beni culturali e musei influenzano direttamente la qualità della vita, agendo sul senso di appartenenza a una comunità e a un luogo (Hawkes 2001).
A questo scopo, i musei dedicano la maggior parte delle proprie risorse all'impegno di preservare il valore delle collezioni, delle esperienze e della conoscenza accumulate nel tempo e metterle a disposizione del presente e delle future generazioni. Eppure, la maggior parte dei musei sono organizzazioni poco sostenibili (Davies 2008). Essi occupano edifici che consumano grandi quantità di energia, principalmente dedicata al controllo climatico di collezioni in costante espansione (si stima che i consumi di 400-500kWh/m2/anno siano comuni anche in climi moderati); riusano o riciclano raramente i materiali degli allestimenti; privilegiano strategie di successo in termini di visitatori piuttosto che di qualità del servizio; strutturano reti di partenariato locale deboli a cui difficilmente danno continuità; infine, costretti da budget sempre più ridotti e tagli imprevedibili, sono spesso incapaci di pianificare e programmare sulla base di una visione a lungo termine (Museum Association  2008).
Consapevoli di questa situazione, varie associazioni di musei, tra cui l'American Alliance of Museums, l'Australian Museums e la Museum Association, promuovono da una decina d'anni la condivisione di buone prassi e lo sviluppo di standard di sostenibilità. L'idea è che la diffusione di una cultura della sostenibilità in ambito museale possa portare verso una forma di "efficienza con una coscienza" (UK National Trust) capace di accompagnare le istituzioni a un uso migliore di tutte le risorse disponibili, a una maggiore responsabilità sociale e ad aumentare le occasioni di eccellenza, innovazione e creatività (Museum Association 2008).
È questo il contesto in cui si sviluppa il fenomeno dei Green Museums (Brophy e Wylie 2008), ovvero di quelle istituzioni museali che integrano il principio di sostenibilità ambientale nel proprio programma, nelle proprie attività, e nelle proprie strutture. Il movimento ha le proprie radici nell'ecomuseologia (Coveney e Highfield 1995) e si caratterizza per l'attenzione a un uso efficiente delle risorse naturali. I fattori che interessano il consumo di queste risorse possono essere numerosi: grandezza dell'edificio, numero di piani, localizzazione, "volume" dei visitatori. Tuttavia la specificità dei consumi di un museo va riferita principalmente alla conservazione preventiva delle collezioni. L'esigenza crescente di ridurre consumi e costi in questo settore ha portato a una progressiva revisione dei principi e dei metodi di conservazione (May 2011), fino alla recente introduzione di una relativa flessibilità nei parametri di controllo ambientale (BS EN 15999-1:2014).
La riduzione dei consumi è un requisito sempre più importante anche nella progettazione degli spazi museali, ove la necessità di bilanciare le diverse funzioni può dar luogo a strutture di carattere fortemente innovativo. È il caso del Kunstmuseum di Ravensburg, primo museo al mondo a rispondere agli stringenti standard Passivehaus, riuscendo a compensare il difficile bilancio energetico di un esiguo apporto solare con il calore del corpo dei visitatori.
Al di là di quelle naturali, i musei dipendono da un gran numero di altre risorse: la collezione, i fondi, il supporto della comunità, le idee e la conoscenza, il personale, e lo stesso edificio. Il depauperamento di una qualsiasi di queste risorse metterebbe a rischio l'equilibrio del museo (Museum Association 2008). Quindi, perché un museo sia realmente sostenibile è necessario che faccia propria una visione a lungo termine in cui siano integrate tutte le risorse che dovrà gestire. La sua sostenibilità, o quella dell'intero settore museale "non è un fine da perseguire in maniera lineare, ma un percorso, definito da un insieme di valori che necessitano di essere costantemente rinforzati". Si potrebbe pensare ai musei come a un ecosistema che si sviluppa, cresce e si adatta al cambiamento, ritrovando un equilibrio costante con l'ambiente e le risorse disponibili (Merriman 2006).

La pagina di ICOM Italia - pag. 6 [2015 - N.52]

La Conferenza nazionale 2015 riflette sulle criticità della riforma del MiBACT

Adele Maresca Compagna - Vicepresidente ICOM Italia

In occasione dell'Assemblea nazionale dei soci, ICOM Italia ha ritenuto utile un momento di confronto su due temi di grande attualità, sui quali si concentra l'attenzione del mondo museale: l'attuazione della riforma dei musei statali e la creazione del Sistema Museale Nazionale; le relazioni tra i soggetti responsabili, a diversa scala territoriale, dei musei, delle biblioteche e degli archivi e le prospettive di soluzione dei problemi derivanti dal nuovo assetto istituzionale definito dalla legge Delrio.
Dopo l'approvazione del D.M. nel dicembre 2014, la "riforma" dei musei statali ha iniziato il suo lento cammino con la nomina del direttore generale Ugo Soragni, l'insediamento dei Direttori dei diciassette Poli museali regionali e l'avvio della selezione dei venti direttori dei musei dotati di "autonomia speciale".
ICOM, che crede nella portata innovativa della riforma e che intende dare un contributo attivo alla sua realizzazione, è consapevole dei nodi da sciogliere e delle zone lasciate finora oscure dalla normativa, soprattutto riguardo il processo di costruzione di un "sistema museale" a guida statale, da compensare con una forte sinergia tra i diversi livelli istituzionali e l'acquisizione di un consenso più ampio nella comunità professionale.
Si è trattato dei problemi aperti nella Tavola rotonda finale con i rappresentanti delle principali istituzioni coinvolte: il MiBACT, attraverso Lorenzo Casini, consigliere giuridico del Ministro e artefice della riforma e Giuliano Volpe, presidente del Consiglio Superiore dei beni culturali e paesaggistici; i Comuni con Vincenzo Santoro, responsabile del Dipartimento Cultura e Turismo dell'ANCI; le Province con Paolo Valenti per l'UPI. È purtroppo mancata la voce delle Regioni e la scarsa presenza di queste istituzioni nel dibattito nazionale preoccupa, così come sembra singolare che il MiBACT finora abbia stretto accordi con l'ANCI, ma non con le Regioni, sebbene esse siano un interlocutore decisivo, date le loro attuali competenze in materia di musei e biblioteche e la scelta della scala regionale per attuare il Sistema Museale Nazionale.
La presentazione di due casi virtuosi di accordo Stato-Regioni, che corrispondono a una visione integrata e condivisa di valorizzazione del patrimonio culturale, quelli della Puglia e dell'Emilia-Romagna (presentati da Francesco Palumbo e Alessandro Zucchini e dai direttori dei Poli statali Fabrizio Vona e Mario Scalini) ha aperto una prospettiva di maggiore fiducia nella capacità di concertazione fra le due istituzioni, soprattutto a livello tecnico e operativo, e della propensione al dialogo con i nuovi Poli (e con ICOM) si sono fatti portavoce anche i dirigenti dei Settori cultura e musei di Toscana e Umbria, intervenuti nel dibattito.
La collaborazione Stato-Enti territoriali è stata ribadita come essenziale per far fronte all'emergenza più preoccupante di questi mesi: l'abbandono a se stessi dei musei, delle biblioteche, degli istituti, delle reti provinciali a seguito della riforma Delrio (L. 56/2014). La trasformazione delle Province in enti di secondo livello e la revisione delle loro funzioni, non hanno previsto il loro passaggio (e finanziamento) ad altri enti. Gli strumenti previsti dalla legge Delrio (prima trasferimento di funzioni, poi di personale) sono stati disattesi dalla legge di stabilità, che ha già messo in mobilità il 50% dei dipendenti. Più di cento musei, per non parlar del resto, sono a rischio chiusura e nonostante gli appelli, non è emersa una soluzione chiara e omogenea a livello nazionale: ogni Regione è andata per conto proprio e, mentre si vanno costituendo Città metropolitane e "aree vaste", non emerge un ridisegno complessivo del quadro istituzionale. È quanto emerso dal colloquio-intervista di Claudio Leombroni a Paolo Valenti, vicepresidente della Provincia di Ravenna a cui si è aggiunto l'allarme di Marianella Pucci, promotrice della campagna "A chi compete la cultura?".
Il MiBACT si sta occupando della questione per garantire la tutela del patrimonio conservato in questi istituti, ma la soluzione ci sembra non possa venire se non da una ridefinizione dell'intero sistema della cultura, che coinvolga Ministero, Regioni ed Enti locali.
La Conferenza poneva alcune domande: in che modo un processo a guida statale si realizzerà attraverso il concorso indispensabile di Regioni ed Enti locali? Quale modello di governo condiviso dei sistemi regionali è allo studio? Come si struttureranno, a livello cittadino e territoriale, i sistemi museali o i sistemi integrati MAB?
Non ci sembra che a conclusione del dibattito siano state fornite risposte definitive in merito alla costruzione del Sistema Museale Nazionale: molto cammino è ancora da compiere, molte questioni non sono state messe a fuoco dalle istituzioni e dai loro dirigenti politici, le procedure sono tutte da definire, le difficoltà oggettive (sovra tutte la mancanza di un ricambio generazionale e di risorse a tutti i livelli), costituiscono un freno all'innovazione. Tuttavia lo scambio di informazioni e di opinioni, grazie anche alla rappresentatività e autorevolezza degli intervenuti, è stata comunque utile e ICOM si è accreditato, con AIB e ANAI, come interlocutore attento e collaborativo delle istituzioni culturali nazionali e locali.
Su alcune linee sembra ci sia già un'identità di vedute: l'importanza di far partire sperimentazioni concrete di politiche di valorizzazione integrate (l'attuale quadro normativo lo consente, anzi lo prevede, e non c'è bisogno di nuove leggi); la necessità di individuare per i musei una via italiana, nel solco della tradizione, ma con un occhio ai migliori standard internazionali; la centralità della formazione, con percorsi comuni per i professionisti dello Stato e degli Enti locali; l'ineludibilità del problema occupazionale, nel rispetto delle competenze professionali e della trasparenza dei criteri di selezione.

La pagina di ICOM Italia - pag. 6 [2015 - N.53]

Wikipedia entra nei musei e i musei entrano in Wikipedia

Giuliana Mancini - Direttrice esecutiva Wikimedia Italia

A marzo 2015 ICOM Italia ha sottoscritto un accordo con Wikimedia Italia - Associazione per la diffusione della conoscenza libera, dal 2005 corrispondente italiana ufficiale di Wikimedia Foundation, la fondazione statunitense nota in tutto il mondo per l'enciclopedia libera online Wikipedia che, con un numero di pagine visualizzate mensilmente superiore ai 42 miliardi e un pubblico di quasi 450 milioni di visitatori unici, è il 5° o 6° sito più visitato al mondo. La sola versione in lingua italiana conta più di 1.200.000 voci.
L'accordo prevede la realizzazione di iniziative congiunte per sensibilizzare i professionisti dei musei sulle potenzialità legate al mondo "wiki" legate in particolare ai progetti "GLAM" - acronimo inglese per "Gallerie, Biblioteche, Archivi e Musei" -, svolti con i professionisti e le istituzioni del settore culturale.
In applicazione all'accordo ICOM Italia ha lanciato la proposta di organizzare corsi di formazione wikimedia rivolti ai musei: dalla semplice alfabetizzazione di base, sino al trasferimento delle conoscenze per la condivisione di testi all'interno dell'enciclopedia o per la valorizzazione del materiale iconografico su Wikimedia Commons che, con oltre 29 milioni di immagini e video liberamente riutilizzabili, è uno dei maggiori archivi multimediali disponibili online e probabilmente l'unico a rispettare integralmente il copyright e a consentire in modo semplice e sicuro la corretta attribuzione della titolarità delle immagini.
Presto sarà lanciata una procedura di selezione aperta ai musei appartenenti al circuito ICOM e Musei di impresa, interessati a ospitare "wikipediani in residenza". Sul modello dell'Artist in Residence, il wikipediano in residenza è una persona di particolare competenza tecnica sui progetti wiki che collabora per un periodo determinato con un'istituzione, per valorizzarne il patrimonio e formarne gli operatori.
Facendo incontrare due culture, quella wikipediana e quella dell'istituzione stessa, si possono ottenere risultati notevoli. Un buon esempio è quello della Biblioteca Europea di Informazione e Cultura BEIC, a Milano, dove, nel solo mese di ottobre, le immagini condivise dalla biblioteca grazie al wikipediano in residenza sono state scaricate oltre 7 milioni di volte, mentre quelle contenute in siti non Wikimedia sono state scaricate solo 131.000 volte.
Un bando per i wikipediani in residenza è aperto fino alla fine del mese di novembre. Wikimedia Italia vaglierà le domande e selezionerà, anche in base a criteri che tengano conto del grado di enciclopedicità delle collezioni, due musei, rispettivamente appartenenti al circuito ICOM e Musei di impresa, che potranno così beneficiare della collaborazione di un wikipediano in residenza, con costi interamente a carico di Wikimedia Italia, nell'ambito di fondi stanziati da Wikimedia Foundation.
Sempre in accordo con Wikimedia Italia, ICOM Italia ha sostenuto la 4° edizione italiana di Wiki Loves Monuments, concorso fotografico internazionale dedicato ai monumenti, incoraggiando l'adesione dei musei aderenti e istituendo un premio speciale dedicato a scatti che interpretassero il tema "Musei e paesaggi culturali", così come esposto nella Carta di Siena: vincitore del premio speciale ICOM Italia è stato Albertobru. Le altre foto selezionate verranno esposte in occasione di una mostra itinerante organizzata da Wikimedia Italia.
Wiki Loves Monuments si propone di valorizzare l'immenso patrimonio culturale italiano invitando i cittadini a documentare la propria eredità culturale e coinvolgendo anche i turisti, con un significativo ritorno per le istituzioni aderenti che si trovano a disporre, a costo zero, di immagini utili anche a scopi di marketing. A Wiki Loves Monuments quest'anno hanno partecipato in più di mille persone, assegnando all'Italia il primo posto nella classifica internazionale per numero di fotografi e oltre dodicimila immagini caricate su Commons.
Infine Wikimedia Italia parteciperà alla 24a Conferenza Generale ICOM, esponendo in tale occasione una selezione di immagini vincitrici tratte da Wiki Loves Monuments.

La pagina di ICOM Italia - pag. 6 [2015 - N.54]

La prima proposta di percorsi formativi di ICOM Italia caratterizzata da un approccio pratico e innovativo

Miriam Mandosi - ICOM Italia

Come prevede lo Statuto, ICOM Italia ha come scopo la realizzazione degli obiettivi fatti propri a livello internazionale dall'ICOM tra cui l'organizzazione in proprio o in collaborazione con altri soggetti pubblici e privati di corsi di formazione e di aggiornamento professionale (Art. 2, comma 2 lettera c).
Per questo, il Comitato nazionale ha indetto una call for partnership per l'affiancamento alla progettazione, organizzazione e promozione di iniziative e percorsi di formazione e di aggiornamento professionale. La call delineava le caratteristiche di base del percorso (flessibilità, modularità, sostenibilità e diversificazione) e le aree tematiche individuate sulla base delle esigenze di rafforzamento delle competenze chiave dei professionisti museali nel processo di innovazione e cambiamento dei musei.
Tra le molte proposte ricevute è stata selezionata quella di Intesa Sanpaolo Formazione s.c.p.a. (ISF) con cui ICOM Italia ha stilato un Accordo di partnership che prevede un piano di formazione da attuare nel 2015 e nel 2016, con corsi di uno o due giorni a carattere teorico-pratico.
La formazione dei professionisti museali proposta si ispira non solo alla Carta nazionale delle Professioni museali ma anche alle Curricula Guidelines for Museum Professional Development di ICOM; documenti che definiscono le conoscenze, competenze e abilità necessarie per lavorare efficacemente nei musei. La proposta dei vari moduli si è ovviamente basata sulle specificità della situazione italiana attuale e sulle conoscenze e competenze ritenute particolarmente utili per i professionisti museali italiani.
Per individuare i temi più interessanti, gli argomenti scelti sono stati individuati a seguito di una survey aperta a tutti i professionisti museali. L'offerta formativa proposta è rivolta a chi si occupa di patrimonio culturale e vuole sviluppare e aggiornare competenze specifiche in ambito museale. I corsi sono articolati in moduli di uno o due giorni e si terranno nelle sedi messe a disposizione da ISF nelle città di Milano, Torino, Roma e Napoli. Particolare attenzione è stata posta nell'individuazione dei docenti, massimi esperti nazionali nelle varie tematiche. A una prima sessione primaverile (aprile - giugno) seguirà quella autunnale (ottobre - dicembre).
Al fine di garantire il migliore accesso possibile, Intesa Sanpaolo S.p.A ha messo a disposizione dei giovani Soci di ICOM Italia 15 borse di studio annuali. Le borse verranno erogate sia nella sessione primaverile sia in quella autunnale, fino ad esaurimento. Potranno richiedere la borsa i soci con meno di 40 anni, in regola con l'iscrizione a ICOM Italia per l'anno 2016 e partecipi alle attività dei Coordinamenti regionali, delle Commissioni tematiche, dei gruppi di lavoro di ICOM Italia. Saranno privilegiati i soci in condizione di disoccupazione, precariato, lavoro saltuario ecc.
I soci interessati dovranno far pervenire alla segreteria di ICOM Italia (segreteria@icom-italia.org) e per conoscenza al proprio Coordinatore regionale o di Commissione tematica, il proprio curriculum vitae e una breve lettera di motivazione sul percorso scelto. L'assegnazione delle borse sarà stabilita da una Commissione di tre membri del Consiglio direttivo di ICOM Italia e validata da Intesa Sanpaolo.
Per iscriversi ai corsi e per conoscere i dettagli si rimanda al sito di ICOM Italia (www.icom-italia.org) e a quello di Intesa Sanpaolo Formazione (http://store.ispformazione.com).

La pagina di ICOM Italia - pag. 6 [2016 - N.55]

tre diverse 'aperture' del museo: azioni e pratiche concrete per la costruzione del Sistema museale nazionale

Daniele Jalla - Presidente ICOM Italia

La 24a Conferenza generale di ICOM che si è svolta dal 3 al 9 luglio scorso si è conclusa con grande soddisfazione di tutti: degli organizzatori (ICOM, ICOM Italia, il Comitato organizzatore) e dei partecipanti (più di 3300 provenienti da 130 Paesi del mondo). Non riprendo in questa sede le ragioni di questa soddisfazione generale che si trovano espresse nel sito di ICOM (www.icom.museum) e in quello di ICOM Italia (www.icom-italia.org) per sviluppare e approfondire invece il senso della parola chiave della Conferenza proposta da ICOM Italia: apertura.
Introducendo il tema della Conferenza - musei e paesaggi culturali -, ci siamo detti convinti che esso riguarda tutti i musei, qualunque sia la loro natura e tipologia, perché a ogni museo corrisponde almeno un paesaggio culturale, reale o mentale, che si riflette nelle collezioni che conservano, espongono, comunicano. Individuarlo, farvi esplicito riferimento nell'interpretazione delle proprie collezioni, dando senso ad esse rispetto al paesaggio da cui provengono, che rappresentano, evocano, illustrano prelude a un secondo fondamentale passo che ogni museo dovrebbe mettere in atto, scegliendo di aprirsi al paesaggio che li circonda e di cui sono parte, superando idealmente, ma anche praticamente la barriera delle mura che le ospitano e proteggono.
Innanzitutto ritenendo che, oltre a proporre un senso comune ai propri beni, ai musei faccia bene aprirsi al paesaggio. Per vedersi da fuori, come li vedono i visitatori e soprattutto chi non ci va. E dunque per aprirsi alla comunità. Uscendo da un'autoreferenzialità inevitabile se al centro dell'attività dei musei non viene messo il visitatore, con le sue domande, aspettative, il bagaglio di cultura che lo spingono a varcarne la soglia, tenendo contemporaneamente conto dei motivi che portano tanti (una maggioranza del 70%) a non entrarvi del tutto. Essere e porsi "al servizio della società e del suo sviluppo" significa in primo luogo assumerne le esigenze e cercare di rispondere ad esse oltre che agli imperativi della scientificità cui i musei devono attenersi. L'interpretazione del patrimonio da parte del museo non può fare a meno di confrontarsi con l'interpretazione che ne dà, giusta o sbagliata che sia, la società al cui servizio dovrebbero operare.
Aprirsi al paesaggio, per ogni museo significa capire in che senso è parte del paesaggio culturale e che relazione esiste tra questo e il paesaggio delle collezioni e dunque aprirsi al patrimonio. Abbattendo un'altra barriera: quello che separa i beni mobili - musealizzabili - e i beni immobili - che non possono che essere conservati in situ - che costituiscono sovente il contesto di origine dei beni stessi. Ma anche quando questo non accade, l'inevitabile specializzazione dei musei nel conservare beni mobili, materiali, esponibili non può trasformarsi in una loro separazione dal resto del patrimonio, materiale e immateriale. Cercare di sperimentare nuove forme di museo spingendoli ad essere dei centri di responsabilità patrimoniale, significa ripensarne il ruolo e le funzioni estendendole a quanto sta fuori dalle loro mura in quell'attività di tutela attiva implicita in quella relazione fra musei e territorio che costituisce la principale peculiarità della museologia italiana da quasi mezzo secolo.
Aprirsi al paesaggio significa infine chiedersi cosa possono fare i musei per il paesaggio e cosa il paesaggio può loro offrire. E dunque aprirsi al presente. Perché il paesaggio è il presente, come ha osservato con grande efficacia Graham Fairclough, commentando la Convenzione di Faro: "Il paesaggio, si potrebbe dire, riguarda la nostra percezione del presente; il patrimonio invece riguarda la nostra percezione e comprensione del passato e di tutto quello che ci ha lasciato in eredità"[1]. Ma come non vedere che il patrimonio è comunque parte del paesaggio contemporaneo che si presenta, sempre e comunque come un'inestricabile unione di passato e presente; che la percezione e comprensione del patrimonio ha origine nell'oggi che lo eredita certamente da uno ieri più o meno lontano del tempo, ma lo rilegge e reinterpreta comunque alla luce di categorie, visioni del mondo che sono quelle del qui e ora.
C'è un altro aspetto dell'aprirsi al presente che i musei non possono permettersi di ignorare: ogni età, e quindi anche quella in cui viviamo produce un patrimonio contemporaneo, mobile e immobile, materiale e immateriale che tocca ai musei individuare, selezionare, tutelare, raccogliere, comunicare, trasmettere. Quanti musei (oltre a quelli di arte contemporanea) svolgono questa funzione? È vitale un museo che non incrementa le proprie raccolte anche con quanto il contesto in cui sono immersi propone loro?
Queste tre diverse convergenti aperture del museo - alle comunità, al patrimonio, al presente - che sono state le parole chiave della Conferenza possono e devono esserlo oltre le sue conclusioni, raccogliendo gli stimoli e le proposte della sua risoluzione finale, facendone materia di confronto, ma anche e soprattutto di azione e di pratiche concrete nella costruzione di quel Sistema museale nazionale con cui ci stiamo confrontando oggi in Italia.

[1] G. Fairclough, New heritage frontiers, in Heritage and beyond, (disponibile anche in francese: Le patrimoine et au-delà, Council of Europe Publishing, Strasbourg 2009


La pagina di ICOM Italia - pag. 6 [2016 - N.56]

ICOM Italia lancia una significativa iniziativa di solidarietà in favore dei territori appenninici colpiti dal terremoto 2016

Tiziana Maffei - Presidente ICOM Italia, già coordinatore della Commissione Sicurezza ed Emergenza di ICOM Italia

E che pensieri immensi,
Che dolci sogni mi spirò la vista
Di quel lontano mar, quei monti azzurri,
Che di qua scopro, e che varcare un giorno
Io mi pensava, arcani mondi, arcana
Felicità fingendo al viver mio!
Le ricordanze Giacomo Leopardi

Il terremoto che ha colpito le zone appenniniche del Lazio-Marche-Umbria, tra agosto e ottobre 2016, ha devastato uno dei più poetici paesaggi culturali del nostro Paese.
I numeri colpiscono se rapportati alla realtà insediativa di queste zone: indice abitativo bassissimo, piccolissimi borghi storici con una storia radicata, elevata qualità dei paesaggi, presenza di un tessuto produttivo rurale diffuso, sviluppo di un'economia legata all'enogastronomia tipica e al turismo culturale, identità territoriale caratterizzata dal lavoro certosino e discreto dove appaiono ancora evidenti i tratti di una terra spirituale segnata dai benedettini e francescani. I dati, non ancora definitivi, sono dolorosi: 299 morti, 130 i comuni colpiti (purtroppo destinati a crescere se le scosse continuano), intorno a 28.000 il numero degli sfollati, danni ingenti al patrimonio culturale.
ICOM Italia ha avviato una ricognizione sulla situazione dei musei. Il quadro è sconfortante: trentatré i musei colpiti. La maggior parte di questi istituti sono chiusi per inagibilità delle strutture o perché situati in centri storici delimitati come zone rosse. In entrambe le situazioni il contesto è drammatico. Edifici lesionati, a volte gravemente, con crolli puntuali che hanno portato in alcune circostanze ad allontanare le collezioni, o, nel caso dei centri storici circoscritti, all'interruzione totale della vita dei borghi con l'impossibilità di accedere ad abitazioni, negozi, istituzioni pubbliche, ma anche solo passeggiare nella semplice bellezza di questi luoghi. Gli istituti colpiti sono impossibilitati a erogare i propri servizi culturali al pubblico, pur essendo in molti casi impegnati attivamente per proteggere le collezioni, anche con rapide movimentazioni, cercando depositi di emergenza, con l'amara consapevolezza che i tempi di una potenziale ricostruzione possono essere molto lunghi.
Nel Lazio il numero limitato dei soli due casi prende il sopravvento con il crollo del Museo di Amatrice e la morte di Floriana Svizzeretto nella notte del 24 agosto. Storica dell'arte, promotrice del museo e per molti anni direttore. Talmente innamorata di questi luoghi del Reatino di averli scelti come luoghi di elezione: la sua abitazione era in quel centro storico che il terremoto ha trasformato in macerie e sotto le quali sono rimaste le vetrine del museo accuratamente progettate per salvaguardare gli oggetti. Come, di fatto, è avvenuto: buona parte della collezione messa in sicurezza è in buone condizioni.
In Umbria undici i musei colpiti. A Norcia, Preci e Cascia i maggiori danni. Danneggiate soprattutto le comunità che hanno costruito un'economia sul turismo culturale ed enogastronomico.
Il tributo più pesante lo paga le Marche: ventidue i musei colpiti. A Camerino i danni al Complesso di San Domenico che ospita Musei Civici, Museo Diocesano e Museo Universitario rendono inagibile la struttura, con la necessità di allontanare parte delle collezioni. Nella Rete Museale dei Sibillini, che opera da un po' di anni con un progetto di ampia valorizzazione territoriale nei dieci musei degli otto comuni associati, il direttore e gli operatori museali sono coinvolti in una frenetica attività di messa in sicurezza delle collezioni e ad una contemporanea ricerca di progettualità che possa garantire i servizi culturali alle comunità. Chiusure anche per i Musei di Castignano, Montalto, Offida, Ripatransone, Saenano, Visso. Edifici lesionati, servizi interrotti.
In queste zone l'emergenza è su più fronti: i danneggiamenti dei musei corrispondono anche alla devastazione dei paesaggi culturali di riferimento e all'interruzione di una politica di sviluppo basato sulla cultura, turismo, enogastronomia, agricoltura. Alla preoccupazione per il patrimonio materiale custodito nei musei o presente al suo esterno, deve aggiungersi, necessariamente, una valutazione dei danni all'impresa culturale diffusa.
Questo desolante panorama assieme alle numerose sollecitazioni internazionali e nazionali ha portato ICOM Italia ad intraprendere una proposta di solidarietà diretta alle istituzioni museali. Musei in Adozione è un iniziativa che intende mettere in contatto le esigenze della comunità museale colpita con le offerte di aiuto finanziario e di servizio pervenute ad oggi al Comitato Italiano. La situazione, il rapporto con gli istituti museali, il sistema di relazioni con i tanti soggetti coinvolti come ANMS, AMEI, i settori musei delle Regioni, hanno permesso di costruire un quadro chiaro, seppur aggiornabile data la triste continuità dello sciame sismico in atto. Su questa conoscenza è stato strutturato il progetto Musei in adozione che opererà secondo quattro linee di azione specifiche:
1. interventi di restauro e valorizzazione dei beni culturali danneggiati;
2. interventi di restauro e recupero delle strutture museali;
3. interventi di sostegno alle attività degli istituti museali per la ripresa dei servizi culturali;
4. interventi di valorizzazione del museo e dei territori di riferimento.
Le prime due si riferiscono al restauro delle collezioni, nel caso di beni danneggiati, e a favorire interventi di restauro e recupero delle strutture museali. Le ultime due sono mirate a valorizzare i servizi culturali del museo, attraverso il sostegno alle attività dei professionisti museali colpiti, e il tessuto produttivo dei paesaggi culturali in cui il museo opera.
Questa sintetica classificazione per tipologie trova una sua articolazione in interventi puntuali costruiti con i musei coinvolti e i soggetti proponenti le azioni di solidarietà. ICOM Italia sulla base di protocolli d'intesa, attraverso un agile gruppo di lavoro interno ampliato ai soggetti referenti e interessati del territorio - siano essi Regioni, Comuni, Istituzioni di ricerca o di formazione, associazioni, imprese, o privati - articola schede progetto puntuali nel quale sia chiaramente stabilito cosa, con chi, come e quando l'azione viene sviluppata. Piccoli o grandi progetti che non potranno essere finalizzati esclusivamente al recupero degli aspetti materiali dei beni ma a sviluppare competenze, creare reti di relazioni, rafforzare il ruolo dei musei nei territori e soprattutto intervenire con progetti che a breve termine, attraverso la cultura, riescano a portare sollievo alle comunità traumatizzate e sempre più demoralizzate. L'attenzione è per trovare nell'esperienza culturale un forte elemento di aggregazione e coesione sociale. Questi primi obiettivi delle azioni dovranno poi trovare sviluppo nel medio e lungo termine in progettualità che colgano questo momento di estrema e drammatica crisi per orientare e dirigere programmi innovativi di sviluppo sostenibile. Il museo può qui sperimentare alcuni principi esposti dalla Carta di Siena verificando come e con quali azioni può assumere il ruolo di presidio territoriale e luogo di costruzione del pensiero critico.
Se lo Stato dovrà sostenere finanziariamente la costruzione, la comunità dovrà scegliere in che modo. L'ambizione di queste progettualità concrete messe in campo dai musei attraverso Musei in Adozione è di contribuire alla ricostruzione, e soprattutto alla rigenerazione dell'eredità culturale di queste terre.
Info museinadozione@icom-italia.org. Per contributi di sostegno ai musei n. 05000/1000/147761 | Iban: IT34 M033 5901 6001 0000 0147 761 | BIC: BCITITMX


La pagina di ICOM Italia - pag. 6 [2016 - N.57]

Nato nel 1947, il Comitato italiano di ICOM si è distinto per una intensa attività di sviluppo e promozione del ruolo dei musei nel nostro Paese

Adele Maresca Compagna - Direttivo ICOM Italia

L'International Council of Museums nasce a Parigi nel 1946, per iniziativa del presidente dell'Associazione dei musei americani Chancey J. Hamlin, nel corso della prima Conferenza generale dell'UNESCO. Gli obiettivi principali sono promuovere lo sviluppo e la cooperazione dei musei in tutto il mondo, sostenere e rafforzare la professione museale e soprattutto far crescere nei governi e nelle comunità, dilaniate dalla guerra e segnate da reciproche incomprensioni, la consapevolezza del ruolo che il museo può svolgere per la diffusione della conoscenza e la pace fra i popoli.
Soltanto un anno dopo viene istituito dal governo italiano il nostro Comitato, presieduto dal direttore generale delle Antichità e belle arti Ranuccio Bianchi Bandinelli (cui faranno seguito De Angelis d'Ossat dal 1948 al 1961, Bruno Molajoli fino al 1970) e composto da 15 membri scelti dallo stesso Presidente tra direttori dei maggiori musei, statali e locali, rappresentativi delle diverse tipologie e delle diverse aree geografiche del Paese. I comitati nazionali avevano il compito di documentare le caratteristiche e la situazione dei musei nei rispettivi Paesi e portare in sede internazionale le riflessioni teoriche e le esperienze concrete, attraverso le testimonianze dei direttori dei maggiori musei o esperti di museografia e museologia, che si esprimevano:
- nelle conferenze generali, che si tenevano in città diverse, con cadenza biennale e poi, dal 1950, triennale;
- in convegni e riunioni dei comitati internazionali tematici o in commissioni dedicate a problematiche specifiche;
- in saggi pubblicati dalla rivista ufficiale Museum;
- nella diffusione di pubblicazioni, inviate al Centro internazionale di documentazione museologica creato a Parigi da UNESCO e ICOM, e nell'invio di notizie su mostre, eventi o articoli specialistici riportati in ICOM News nelle pagine dedicate ai singoli paesi.
La partecipazione italiana ai consessi internazionali fu particolarmente intensa e qualificata soprattutto nei primi decenni. Basta scorrere i nomi dei relatori e dei componenti delle delegazioni inviate alle prime conferenze generali, per rendersi conto dell'importanza attribuita dall'Italia a queste occasioni. In realtà i rapporti tra gli studiosi delle diverse discipline non si erano mai interrotti, nemmeno negli anni bui del fascismo, ma il valore aggiunto - come dichiarava il presidente dei musei francesi Georges Salles - consisteva ora nel fatto che i partecipanti, "che sono innanzitutto storici e critici d'arte, archeologi, filologi, etnologi, cultori di scienze diverse, ma anche depositari di collezioni pubbliche, si spogliano delle rispettive formazioni scientifiche per discutere della loro comune attività di gestione museale".
Non è facile misurare la portata dell'azione che ICOM Italia svolse in quegli anni nel nostro Paese. Se si considerasse soltanto l'attività del Comitato (che si riuniva non più di due volte l'anno) e il numero esiguo degli iscritti (non più di quaranta membri "associati") si potrebbe concludere che la sua influenza sulla comunità professionale e la sua incisività sui problemi dei musei italiani sia stata limitata. In realtà per una valutazione complessiva si deve tener conto di una serie di fattori. Da una parte i cosiddetti soci "attivi", cioè i 15 membri cooptati nel comitato, ricoprivano ruoli importanti nelle strutture ministeriali e nelle realtà istituzionali locali e riportavano quindi nella gestione dei rispettivi musei gli orientamenti più moderni e le esperienze più avanzate che avevano avuto modo di conoscere negli incontri internazionali e nelle visite a tanti musei stranieri. Dall'altra i temi proposti a livello internazionale erano di grande interesse anche per l'Italia: gli allestimenti museali, le mostre e gli scambi, le attività educative, la conservazione e il restauro, avevano una grande rilevanza anche per l'evoluzione dei nostri musei ed erano considerati fondamentali dalla comunità professionale che si andava confrontando in quegli anni in modo più attento e sistematico sulla gestione dei musei.
Inoltre l'esigenza di conoscere le caratteristiche dei musei, attraverso indagini promosse da ICOM a livello internazionale dopo la guerra, la volontà di predisporre repertori dei musei scientifici e del materiale ivi conservato, di verificare la situazione dei laboratori di restauro o lo stato di conservazione dei depositi o le iniziative di formazione e aggiornamento del personale, costituivano una spinta affinché la direzione generale del Ministero - investita di tali compiti come terminale di ICOM, ma allo stesso tempo responsabile delle politiche nazionali - assumesse iniziative in merito, avvalendosi delle sue strutture centrali e periferiche, e intervenendo perfino in campi come quelli dei musei naturalistici e scientifici che non erano di sua competenza dal punto di vista amministrativo.
Infine, accanto a ICOM Italia - che resta essenzialmente un segmento di un'organizzazione internazionale - e con il sostegno, pare, dello stesso comitato, si creano altre associazioni museali, maggiormente diffuse sul territorio, come l'Associazione dei direttori e dei funzionari dei musei locali, creata nel 1953 da Vittorio Viale, direttore dei musei civici di Torino, e l'Associazione nazionale dei musei italiani fondata nel 1954 da Pietro Romanelli, soprintendente alle Antichità di Roma. I due presidenti, instancabili organizzatori, e altri componenti di queste associazioni erano allo stesso tempo membri attivi di ICOM e interlocutori privilegiati della Direzione generale. Proprio alla collaborazione fra queste persone si deve la realizzazione di importanti iniziative:
- la predisposizione del disegno di legge e poi l'attuazione della nuova normativa sui musei non appartenenti allo Stato (Legge n.1080/1960) con il censimento e la relativa classificazione in grandi, medi, piccoli e multipli;
- le campagne di promozione dei musei, lanciate da ICOM a livello internazionale nel 1956, cioè le "Settimane dei musei" che ogni anno con aperture gratuite, visite guidate, conferenze, presentazioni di nuove scoperte archeologiche e di restauri significativi, cercavano di attirare in tutte le regioni studenti e nuove fasce di pubblico nei musei.
Tra i grandi temi dibattuti nel dopoguerra, un posto centrale è certamente riservato alla ricostruzione di monumenti e di musei. L'Italia risulta tra i paesi più danneggiati d'Europa (non tanto per le opere mobili, poste in salvo dai soprintendenti, quanto per le strutture colpite dai bombardamenti), ma i lavori (realizzati anche con il sostegno dell'UNESCO e, al Sud, della Cassa del Mezzogiorno), offrivano la possibilità di ripensare gli allestimenti e la presentazione al pubblico delle collezioni, proponendo, con il concorso di grandi architetti (da Albini a Scarpa), soluzioni innovative anche in sedi monumentali, superando così il ritardo - evidenziato da osservatori stranieri, come Bazin, o italiani, come Bianchi Bandinelli - nei confronti dei principali musei stranieri. Questo percorso si sviluppa parallelamente al dibattito internazionale sui criteri espositivi, sull'illuminazione naturale e fluorescente, sui prestiti e le mostre temporanee.
La conferenza generale di ICOM organizzata nel 1953 a Genova, Milano, Bergamo costituì l'occasione per presentare alcuni di questi allestimenti e portare un contributo importante al dibattito museografico e museologico con le relazioni di Franco Albini su L'architettura dei musei, di Lionello Venturi su Musei e ricerca estetica, di Amedeo Maiuri su Il rinnovamento dei musei archeologici.
Un altro tema, caro a ICOM, che attraversa in modo significativo la vita dell'associazione anche in Italia, è quello dell'educazione. De Angelis d'Ossat affida a Giulio C. Argan, membro del Comitato, il compito di progettare iniziative in questo settore, tra le quali la creazione di un Centro per la funzione educativa dei musei con sede alla Galleria nazionale d'arte moderna di Roma e l'organizzazione di esposizioni didattiche itineranti. Alle attività di Argan, di Palma Bucarelli e di Paola della Pergola, ICOM Italia darà sempre ampia risonanza, nelle relazioni inviate dai presidenti a Parigi e in ICOM News.
L'organizzazione élitaria di ICOM e il peso preponderante delle strutture ministeriali saranno sovvertiti dalla ventata di cambiamento intervenuta a livello internazionale negli anni Settanta. Sull'onda del '68 e in sintonia con l'affermazione del ruolo sociale del museo, si decise di dar voce in egual misura a tutti i soci e di ampliare la rappresentatività dell'organizzazione, aprendo ICOM a tutti i museologi. In Italia, dopo un interregno retto da Romanelli, e i lavori della commissione incaricata di elaborare il nuovo regolamento del comitato italiano, nel 1976 fu eletto presidente Franco Russoli, soprintendente a Brera e portavoce di una nuova visione di museo. La sua morte prematura rallenterà ma non interromperà quel percorso di rinnovamento e di radicamento nella società italiana che ha guidato ICOM fino ai nostri giorni.



La pagina di ICOM Italia - pag. 6 [2017 - N.58]

Icom Italia e Wikimedia Italia ancora insieme con una nuova convenzione per un patrimonio culturale condiviso e partecipato

Anna Maria Marras - Coordinatrice Commissione tecnologie digitali per il patrimonio culturale ICOM Italia

La volontà di promuovere la libera diffusione della cultura e della conoscenza da parte delle istituzioni museali italiane, come nei maggiori istituti culturali internazionali, deriva dalla funzione stessa di museo come "istituzione permanente senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo"1, in cui l'educazione e il diletto sono posti sullo stesso livello dello studio.
La rinnovata convenzione tra ICOM Italia e Wikimedia Italia riprende e rafforza i punti principali della convenzione del 20152. In modo particolare viene posto l'accento sull'impegno di entrambe le associazioni a "promuovere una cultura della libera diffusione e riproduzione dei beni culturali, che riconosca la condivisione delle riproduzioni dei beni culturali secondo i termini di licenze libere quale strumento per valorizzare il ruolo di musei, archivi e biblioteche, secondo prassi ormai sempre più consolidate nei maggiori istituti culturali internazionali" (testo della Convenzione 2017, non ancora pubblicato ufficialmente).
Le due associazioni si impegnano dunque a supportare la diffusione del patrimonio detenuto dai musei tramite la promozione del pubblico dominio e del libero riuso, visti non solo come strumenti di valorizzazione e di comunicazione ma come mezzi fondamentali per rendere accessibili le collezioni e i patrimoni culturali, migliorarne la memoria attraverso la maggiore condivisione possibile. Si tratta quindi di strumenti che servono per rendere la comunità un attore consapevole del proprio patrimonio culturale inteso come bene comune. Proprio per i principi e le attività che fanno di Wikimedia Italia uno dei maggiori promotori nel panorama nazionale della cultura libera, in modo particolare con il progetto GLAM-Wiki (Galleries, Libraries, Archives, Museums)3 e con il concorso fotografico Wiki Loves Monuments4, ICOM Italia ritiene che questa collaborazione sia importante per affrontare in maniera costruttiva e propositiva questi temi.
Gli aspetti legati alla libera diffusione e riproduzione dei beni culturali e al libero riuso, anche a scopi commerciali, sono ancora molto discussi in Italia e vedono delle posizioni differenti. Il panorama museale anglosassone e nordeuropeo ha delineato una posizione condivisa di apertura del patrimonio culturale digitale, rendendolo disponibile per il libero riuso in maniera costantemente crescente. Gli esempi più noti, solo per citarne alcuni, sono quelli del Rijskmuseum, del Metropolitan Museum of Art, del British Museum e del Museum of Modern Art. Il motivo che spinge i musei alla diffusione online delle proprie collezioni con licenza CC0 non è solamente incrementare la visibilità delle collezioni ma rendere accessibile e riutilizzabile il patrimonio culturale da parte di tutte le persone, per scopi diversi. Questa visione viene descritta ad esempio da Loic Tallon, Chief Digital Officer del Metropolitan Museum of Art: "In our digital age, the Museum's audience is not only the 6.7 million people who visited The Met's three locations in New York City this past year, but also the three-billion-plus internet-connected individuals around the world. Adopting the CC0 designation for our images and data is one of the most effective ways the Museum can help audiences gain access to the collection and further its use by educators and students, artists and designers, professionals and hobbyists, as well as creators of all kinds"5.
L'apertura al riuso da parte di persone ed enti, pubblici e privati, con scopi ricreativi, educativi, di ricerca e commerciali, costituisce quindi un elemento portante nei concetti di eredità culturale e di bene comune.
L'obiettivo di ICOM è quello di preservare la continuità e il valore del patrimonio culturale e naturale mondiale, presente e futuro, materiale e immateriale. Nella società attuale le nuove tecnologie e il web costituiscono veicoli con cui il museo non solo preserva e comunica ma condivide il suo sapere con tutta la comunità mondiale. Nell'ottica della promozione della cultura libera, ICOM Italia e Wikimedia si impegnano a collaborare alle varie iniziative definite nell'accordo, tra le quali la promozione dell'iniziativa Wiki Loves Monuments (che prevede un premio speciale ICOM), le "maratone di scrittura di voci su Wikipedia (o editathon)" relative ai musei, la promozione del pubblico dominio e il libero riuso delle riproduzioni dei beni culturali.

1 Definizione di Museo ICOM, http://icom.museum/the-vision/. Questo URL e gli altri riportati di seguito sono stati verificati il 22/08/2017.
2 Convenzione ICOM Italia-Wikimedia Italia 2015, http://www.icom-italia.org/images/intesa_wikimedia_icom.pdf.
3 Pagina del progetto GLAM, https://it.wikipedia.org/wiki/Progetto:GLAM.
4 Wiki Loves Monuments Italia, http://wikilovesmonuments.wikimedia.it.
5 Met Museum Open Access, http://www.metmuseum.org/press/news/2017/open-access.


La pagina di ICOM Italia - pag. 6 [2017 - N.59]

La conferenza di Bologna sul passato, presente e futuro dei musei locali e di comunità in Europa

Giuliana Ericani

La pagina di ICOM Italia - pag. 6 [2017 - N.60]

Gli affreschi ritrovati nella chiesa di San Nicolò costituiscono un piccolo museo della pittura ravennate

Luciana Martini - Direttore del Museo Nazionale Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Ravenna

Mentre il laborioso restauro iniziato dalla Soprintendenza di Ravenna nel 1983 interessa ormai solo qualche particolare, sta per entrare definitivamente nel circuito dei monumenti cittadini visitabili la Chiesa di San Nicolò a Ravenna, peraltro già più volte utilizzata come sede per importanti manifestazioni artistiche. Si tratta di un grande edificio parte del complesso degli Agostiniani, la cui costruzione iniziò circa nella seconda metà del Trecento; dopo una lunga e gloriosa storia, a seguito della traumatica soppressione degli enti religiosi del 1798, fu sconvolto sia nell’aspetto esterno che in quello interno e venne adibito a palestra, maneggio e deposito militare. È ovvio come il recupero di un grande e in passato famoso e ricco edificio religioso porti comunque con sé la riacquisizione di una parte della storia cittadina; curioso invece è stato ritrovare, distribuiti qua e là sulle sue vaste pareti, una tale varietà di lacerti affrescati da formare quasi un piccolo museo della pittura ravennate. La storia inizia ovviamente con il reperto più antico, purtroppo ormai ridotto ad un’impronta larvale: è un dipinto situato entro una nicchia della parete destra, un’Adorazione del Bambino probabilmente di scuola bolognese, risalente alla fine del Duecento o agli inizi del secolo successivo, trasportato nella chiesa con l’intero muro retrostante; evidentemente si trattava di un’immagine assai venerata. Segue poi, cronologicamente, il ritrovamento più importante dal punto di vista artistico, quello del ciclo decorativo coevo alla struttura architettonica della chiesa. Si tratta dell’opera di un ignoto maestro che nel terzo quarto del Trecento affrescò con le storie di San Giorgio lo spazio dell’abside. Vivacità della figurazione e del colore, alta qualità nell’invenzione iconografica e nella realizzazione sono le caratteristiche di quest’artista, anch’esso riferibile alla scuola bolognese, al quale facciamo riferimento con il nome di Maestro di San Nicolò. Altri soggetti religiosi dello stesso periodo, Crocifissione, Madonna e Bambino, figure di Santi e riquadri votivi restano lungo la parete sinistra. Il Rinascimento portò con sé un notevole stravolgimento dello spazio interno della chiesa; infatti le fonti storiche ci informano che importanti lavori di adattamento vennero effettuati nell’anno 1589. Questa fase di decorazione ci ha lasciato una fascia a grottesche che attraversa tutta la navata in senso trasversale, testimonianza di un interesse verso i motivi antichi, nonché qualche lacerto di parasta sempre arricchito da vivaci colori e richiami alla decorazione classica. Alla fine del Cinquecento risale l’intervento nella chiesa di un pittore della scuola locale, Francesco Longhi, (1544-1618), figlio del più famoso artista Luca Longhi. Si tratta di una Crocifissione fortunatamente conservata per essere rimasta chiusa in un arco tamponato e della quale è quindi ancora possibile ammirare la freschezza del colore. La scuola dei Barbiani, altra dinastia di artisti ravennati, è testimoniata da qualche lacerto decorativo che circondava le pale una volta poste ad ornamento delle pareti. Infine, tutto lo spazio decorativo è stato ridipinto, con profusione di motivi, dall’ultimo rappresentante della scuola seicentesca locale, il padre Cesare Pronti, nato nel 1626 a Cattolica e morto a Ravenna nel 1708, dove fu sepolto proprio in San Nicolò, in quanto era monaco del convento degli agostiniani. Egli lasciò in questo edificio le testimonianze più vivaci ed autentiche della sua fantasia decorativa, ricreando un mondo di finti bassorilievi, statue, medaglioni, putti in prospettiva, tali da vivificare la monotonia dell’iconografia religiosa controriformistica. Le vicende che hanno colpito la Chiesa di San Nicolò non ci permettono più di ammirare altro che la nuda testimonianza architettonica di questo grande edificio. Dispersi gli arredi e le pale, le fastose decorazioni pittoriche che esaltavano lo spazio interno si sono frantumate in tanti lacerti: ora la chiesa è appunto diventata una sorta di museo della sua storia.

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 7 [2003 - N.16]

Nata come modesta biblioteca del Regio Museo Nazionale è oggi una biblioteca specializzata di circa 13.000 volumi

Ornella Tondini - Bibliotecaria

Come ogni altro istituto periferico del Ministero per i beni e le attività culturali, anche la Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio di Ravenna è dotata di una biblioteca ascrivibile alla tipologia delle "biblioteche di istituto". Questo genere di raccolte, in quanto nate per l’uso interno, sono il più delle volte, se non proprio specialistiche, almeno fortemente connotate da materiale bibliografico quasi esclusivamente relativo al campo di attività dell’ente cui appartengono. Nel caso specifico si tratta di architettura, restauro, storia dell’arte e di argomenti attinenti al territorio e agli istituti museali di competenza. La piccola fondazione ebbe origine oltre un secolo fa proprio come biblioteca del "Regio Museo Nazionale" (istituito, come è noto, nel 1885, prima cioè della Soprintendenza stessa) e uno dei primi contributi alla sua formazione si deve precisamente all’allora direttore del Museo Enrico Pazzi. Il quale, oltre a donare alcune pubblicazioni mentre era in vita (come si evince da una nota del 9 giugno 1896 indirizzata dal Pazzi al Ministero dell’Istruzione Pubblica), lasciò per testamento al Museo Nazionale la sua "biblioteca di circa 300 opere di valore per la maggior parte artistiche", notizia che veniva divulgata dalla stampa locale il 17 maggio 1900. Si tratta pertanto di una delle più antiche biblioteche di Soprintendenza d’Italia, e quindi di una piccola testimonianza della storia di questa istituzione e dell’annesso Museo Nazionale. I libri donati dal Pazzi (un centinaio dei quali, tra cui varie cinquecentine, furono poi dati in deposito dal nostro Ufficio alla biblioteca Classense nel 1932) costituiscono anche il nucleo originario di un piccolo fondo antico di circa 267 pubblicazioni dal Cinquecento alla metà dell’Ottocento, delle quali si inizia proprio quest’anno il restauro. La biblioteca consiste attualmente di circa 13.000 volumi, e, come si accennava, è funzionale all’attività svolta dalla Soprintendenza nell’ambito del restauro, della tutela e della didattica; e se da un lato rappresenta uno strumento per lo studio, dall’altro si alimenta di questo stesso studio, in quanto si va sedimentando in essa il prodotto intellettuale e scientifico elaborato dall’istituzione stessa nell’ambito dell’indagine conoscitiva del patrimonio culturale sottoposto alla tutela. Nell’acquisizione dei volumi si è continuata l’intenzione del fondatore, ponendo attenzione a documentare il più approfonditamente possibile gli argomenti attinenti alle collezioni artistiche del Museo Nazionale e all’arte bizantina. La raccolta continua ad incrementarsi tramite acquisti, doni di altri enti, e soprattutto scambi con altri istituti, ai quali la biblioteca partecipa mettendo a disposizione le pubblicazioni prodotte dalla Soprintendenza. Per rispondere all’esigenza di utilizzare al meglio il materiale, oltre alla comune schedatura cartacea per "autori" e "soggetti", si è approntato anche uno schedario "territoriale" che raccoglie in modo quasi capillare, tramite lo spoglio di alcuni periodici di interesse locale, le notizie relative ai singoli monumenti del vasto territorio sul quale si estende la giurisdizione dell’istituzione ravennate, cioè quello delle provincie di Ravenna, Ferrara, Forlì-Cesena, Rimini. La raccolta libraria della Soprintendenza deve il suo essere quasi invisibile, nel panorama delle biblioteche della città, al non potersi normalmente aprire al pubblico, data la sua particolare natura (che non consente di concedere prestiti e di rilasciare riproduzioni di materiale), e le funzioni interne cui è adibito il personale, ragioni che limitano, se non inibiscono, la fruizione da parte di utenti esterni. Tuttavia, previa richiesta scritta e motivata al Soprintendente, e concordando i tempi, è talora possibile a studiosi, ricercatori e laureandi, accedere alla consultazione. Questa, a tutt’oggi, avviene senza il supporto di mezzi informatici, ma già esiste un progetto su ambito nazionale, promosso dal Ministero, per una messa in rete di tutte le biblioteche di Soprintendenza. Il piccolo ma lungimirante lascito del fondatore del museo, che aveva progettato un sistema culturale integrato a servizio della città e delle istituzioni, potrà pertanto godere di una migliore valorizzazione.

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 7 [2002 - N.14]

Creato nel piccolo centro dell'Appennino modenese nel 1997 a seguito di un'approfondita indagine sul territorio, a testimonianza della tradizione di fede che data fin dal XVI secolo

Pietro Lenzini - Docente Accademia di Belle Arti di Bologna

Nell'estate del 1997 è stato aperto in Fiumalbo, raccolto centro storico dell'alto Appennino modenese che conserva intatto il suo tessuto urbano, il piccolo Museo d'Arte Sacra allestito nella recuperata chiesa di S. Caterina, attualmente gestita dal Comune, ma appartenente alla cinquecentesca Confraternita dei Rossi. L'edificio è stato completamente ristrutturato insieme agli arredi lignei, le ancone e gli altari. L'idea di costituire una raccolta specifica d'arte sacra, segue da un programma d'indagine sul territorio, avendone intuito valenze culturali legate alle testimonianze religiose radicate da secoli nel paese appenninico. La consistente presenza di istituzioni ecclesiastiche, conventuali e di confraternite laicali che si sviluppano dalla seconda metà del XVI secolo in piena epoca postridentina, ha permeato anche urbanisticamente Fiumalbo con le sue chiese, oratori ed edifici conventuali. Una tradizione di fede e di cultura che si protrae nell'Ottocento con l'istituzione del Seminario Arcivescovile, ubicato nella vecchia sede dei Minori Conventuali. La numerosa presenza di clero secolare esigeva per lo svolgimento delle funzioni liturgiche un consistente insieme di apparati, a cui si affiancavano anche quelli più appariscenti della devozione apprestati dalle confraternite. Un luogo, una chiesa che acquista piena identità come un museo vivo in cui gli oggetti esposti ritrovano il loro significato perché non separati dal loro contesto. Si crea una circolarità che favorisce la piena fruibilità dei segni liturgici e devozionali, nonché antropologici che non hanno cessato la loro funzione in quanto visibili, tuttora, negli itinerari professionali col perpetuarsi delle ricorrenze festive. Il museo vuole anche documentare quelle opere di arredo ligneo, metallico, tessile, privilegiando le testimonianze di matrice locale; accanto vi figurano anche pregevoli manufatti provenienti da centri maggiori, specialmente per quanto riguarda l'oreficeria sacra. Di grande rilievo, fra gli arredi della chiesa, l'altare maggiore in legno intagliato e dorato di elaborata struttura architettonica, opera della cerchia dei reggiani Ceretti, ancora la tavola cinquecentesca attribuita al pittore carpigiano Saccaccino Saccaccini e altre tele sei-settecentesche entro cornici e ancone lignee policrome. Tra le sculture un tabernacolo eucaristico in arenaria di forme tardogotiche della metà del secolo XV, un crocifisso seicentesco e notevoli reliquiari lignei a busto. Sono esposti anche i libri liturgici legati alla vita della confraternita. Sulla cantoria della controfacciata è conservato un pregevole organo ottocentesco del pistoiese Nicomede Agati che viene usato per manifestazioni musicali; all'ingresso della chiesa sono poste su basamenti in legno le due campane settecentesche salvatesi dal crollo del campanile della chiesa per il terremoto del 7 settembre 1920.

La pagina del Sistema Museale dalla Provincia di Modena - pag. 7 [2001 - N.12]

Una nuova mostra al Museo Nazionale di Ravenna realizzata dalla Fondazione "Ravenna Capitale" in collaborazione con il Meeteng di Rimini

Luciana Martini - Direttore del Museo Nazionale Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Ravenna

Dal 25 marzo di quest'anno verrà ospitata per tre mesi, nelle sale del Museo Nazionale di Ravenna, una mostra il cui particolare tema, a carattere iconografico, permette un lungo e interessante percorso trasversale nell'ambito della storia dell'arte. L'esposizione, realizzata dalla Fondazione Ravenna Capitale in collaborazione con il Meeting di Rimini, prende spunto dalla presenza a Ravenna di una delle più famose immagini della Vergine Orante, l'icona lapidea della Madonna Greca, conservata presso la Basilica di Santa Maria in Porto. Deomene è un termine greco che significa "colei che prega", e lo scopo della mostra è illustrare la storia di questo simbolico atteggiamento della figura femminile, rappresentata a braccia allargate e palme aperte, in un gesto pregnante dai molteplici significati: quello della compassione, della preghiera, dell'invocazione, della protezione e altri ancora. La ricognizione prende addirittura le mosse dall'età precristiana. Infatti tale iconografia è presente con piccole varianti presso tutte le civiltà del bacino mediterraneo, fino all'arte greco-romana dove appare nella personificazione di una virtù, la Pietas. Diventa quindi assai diffusa nell'arte cristiana delle origini, dove spesso appaiono figure di "oranti", sia maschili che femminili e infine entra nel giro della produzione iconica bizantina, a Costantinopoli, e delle province dell'Impero. In questo contesto il gesto dell'orante diventa caratteristico della raffigurazione della Vergine, strumento dell'incarnazione e mediatrice tra l'umano e il divino: l'esempio più noto in Italia di questa tipologia è rappresentato appunto dall'icona lapidea della Madonna greca. La penetrazione della cultura cristiana porta quest'immagine a trasmigrare ancora in altre culture, in particolare nell'arte Russa, dove acquisisce nuove simbologie e varianti e appare nella produzione di icone per vari secoli. Oreficerie religiose, icone scolpite e dipinte, monete, tabernacoletti in avorio, reliquiari, panagiari, monete, preziosi evangeliari: sono queste le tappe di un variegato percorso, affascinante sia nelle più piccole testimonianze che nei veri e propri più conosciuti capolavori, tutto dedicato a questa straordinaria immagine che ormai rappresenta per la nostra civiltà un vero e proprio archetipo. All'illustrazione del tema hanno prestato le proprie opere non solo importanti musei italiani, come i Musei Vaticani, il Museo del Tesoro di San Marco di Venezia, il Museo Civico Archeologico di Napoli ecc, ma anche note istituzioni straniere, fra le quali il Museum of Byzantine Culture di Salonicco, il Muzeul National de Arta al Romaniei di Bucarest, il Museo Bizantino di Atene, il Louvre e la Biblioteca Nazionale di Parigi. Ricordiamo tra gli oggetti più interessanti il mosaico figurato proveniente dall'Accademia etrusca di Cortona, la Bibbia miniata del XII secolo del Museo Diocesano di Trento, la mitra di San Paolino dal Tesoro del Duomo di Capua, la serie delle icone provenienti da Bucarest e da Salonicco, le straordinarie oreficerie del Tesoro di San Marco a Venezia.

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 7 [2001 - N.10]

Nelle medaglie della Collezione numismatica del Museo Nazionale di Ravenna oltre 90 pezzi documentano i Giubilei a partire da Paolo III (1550) fino a Leone XII (1825)

Anna Lina Morelli - Esperta numismatica

La Collezione Numismatica del Museo Nazionale di Ravenna, che è stata oggetto negli ultimi anni di varie esposizioni, comprende anche una interessante raccolta di oltre 2000 medaglie: al primo nucleo di formazione settecentesca, si sono aggiunti acquisizioni, lasciti e ritrovamenti successivi nel tempo, come quelli verificatisi in occasione dei restauri al Tempio Malatestiano di Rimini. La Collezione di medaglie offre una buona documentazione di materiale relativo alle dinastie regnanti e alle famiglie illustri, ma oltre metà degli esemplari è da ascrivere ad emissioni pontificie. La medaglistica papale ha sempre rappresentato una produzione ampia e spesso di notevole qualità, infatti, analogamente a quanto avveniva nelle Corti signorili, questa espressione artistica divenne, nel corso del XV, ma soprattutto nel XVI e XVII secolo, un importante veicolo di propaganda di messaggi religiosi e di celebrazione dei vari pontefici, grazie all'arte e alla perizia dei medaglisti chiamati a lavorare presso la zecca pontificia. Incisori quali Lorenzo Fragni, i Bonzagni, Alessandro Cesati e, successivamente i Morone, i Mola, gli Hamerani ed ancora il Travani furono al servizio dei Papi e, recependo in maniera originale e creativa gli elementi artistici e stilistici delle rispettive epoche, seppero realizzare esemplari di grande efficacia. Momenti fondamentali, quali l'elezione del Pontefice, la successiva incoronazione e pure la sua morte, ma anche importanti celebrazioni religiose, quali la festa dei SS. Pietro e Paolo, la lavanda dei piedi del Giovedì Santo o la celebrazione del Giubileo, trovano ancora oggi nella medaglia un potente mezzo espressivo. La concomitanza con la celebrazione del Giubileo nel 2000 ha suggerito di esaminare i materiali presenti nella Collezione ravennate che commemorano gli Anni Santi dei secoli passati. È stato così individuato un nucleo di ben 90 pezzi che documentano i Giubilei a partire da Paolo III, per l'anno Santo 1550, fino ad arrivare, con pochissime lacune, a Leone XII con la celebrazione del 1825, inoltre sono stati riconosciuti esemplari delle serie cosiddette "di restituzione", cioè realizzati a posteriori (sec. XVI e XVII) con lo scopo di enfatizzare l'evento riportandone l'origine ad epoca più antica, come quelli a nome Bonifacio IX, Niccolò V, Sisto IV e Alessandro VI. Il Catalogo scientifico delle medaglie giubilari della Collezione del Museo Nazionale di Ravenna è stato pubblicato in un volume della Società Numismatica Italiana, Collana di Numismatica e Scienze affini (Serie speciale 3, 2000), dal titolo Il Giubileo e i suoi simboli. La fonte numismatica e le medaglie del Museo Nazionale di Ravenna, in cui l'analisi dei materiali viene sviluppata nel contesto storico-artistico delle varie epoche (A.L. Morelli, La storia dei Giubilei attraverso le medaglie del Museo Nazionale di Ravenna) ed è preceduta da un saggio introduttivo di sulla simbologia collegata all'evento, con particolare riguardo alla fonte numismatica (E. Ercolani Cocchi, Il Giubileo, la Sindone e la numismatica. Fede, storia e scienza). Questi studi hanno messo in evidenza aspetti culturali di grande suggestione, inquadrando l'argomento oltre l'aspetto più tecnico legato alla numismatica e alla medaglistica, individuando componenti di derivazione classica così come elementi innovativi, sottolineando l'origine popolare dell'evento legato al pellegrinaggio, ma anche la celebrazione dei Pontefici, di Roma e della cristianità. I risultati di questa ricognizione hanno portato alla realizzazione di una piccola ma ampiamente documentata esposizione, dove le medaglie giubilari sono inserite in una ricca cornice iconografica che consente di inquadrare gli aspetti storici e le componenti artistico-culturali di riferimento: una importante occasione per una maggiore comprensione della storia dei Giubilei

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 7 [2000 - N.9]

La prima festa del sistema museale della Provincia di Rimini.

Alberto Ghinelli - Dirigente Servizio Beni ed Attività culturali della Provincia di Rimini

La Provincia di Rimini ha istituito, prima in Italia, un Sistema Territoriale Integrato dei Musei. La definizione, forse troppo altisonante, significa che è stato costituito un gruppo tecnico, composto dai direttori dei musei presenti nel territorio provinciale, che definisce un piano di attività comune per la promozione del sistema museale. Le azioni fin qui svolte hanno portato alla pubblicazione di vari materiali promozionali ed alle guide di ogni singolo museo, oltre ad attività di promozione presso le strutture ricettive turistiche: Progetto Hotel Amico dei Musei. Superata la prima fase di attività si è posto il problema di come proseguire l'insieme delle iniziative volte ad incrementare la domanda complessiva e le visite alle strutture museali del territorio. L'esperienza passata ha suggerito di spostare l'orientamento delle attività verso azioni mirate, sia verso la domanda dei cittadini residenti, sia verso target più specifici dei turisti che visitano il nostro territorio durante i mesi estivi. Nello stesso tempo ci si è posti la domanda di come comunicare il patrimonio ed i beni conservati presso i sette musei del territorio provinciale. Da un lato sono stati predisposti nuovi strumenti di comunicazione: un video a carattere didattico, un sito web, che permetta anche di interagire con il pubblico e di informarlo sulle iniziative culturali ed artistiche, i CD-ROM predisposti dai singoli musei ed infine una festa dei musei, che di anno in anno, sarà realizzata presso un Comune sede di museo. Il 27 Maggio di quest'anno si è svolta la prima festa. L'occasione e la scelta del luogo è stata suggerita dalla nomination del Museo Civico Archeologico di Verucchio, al premio "Museo Europeo per l'anno 2000". Il vincitore è risultato il Guggenheim Museum di Bilbao, ma il Museo di Verucchio è entrato nella "short list" (30 musei di tutta Europa) che hanno partecipato alla fase finale, svoltasi a Bonn dal 13 al 15 Maggio di quest'anno. L'oggetto di cui si è trattato nella festa, che abbiamo denominato Muse e Musei con il sottotitolo In festa per Verucchio, Museo d'Europa, è stato la comunicazione: come comunicare in modo significativo il patrimonio culturale conservato nei musei. È stata l'occasione per presentare, in un montaggio televisivo e con il commento, volutamente ironico, di una compagnia teatrale (Il Serraglio) i nuovi prodotti della comunicazione dei musei della Provincia: video, sito web e due CD-ROM prodotti dal Museo di Verucchio e dal Museo di Riccione. Sono poi stati invitati degli ospiti illustri che ci hanno parlato di come si può raccontare l'archeologia: il prof. Lorenzo Braccesi, Ordinario di Storia Antica presso l'Università di Padova, che ha coniugato il rapporto tra mito, storia e letteratura; la nota giornalista Lorenza Foschini ha trattato il "racconto televisivo", ed infine lo scrittore ed archeologo Valerio Manfredi è intervenuto sul "Narrare l'archeologia". Da rimarcare infine la presenza del Direttore dell'Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna, dott. Nazzareno Pisauri e dell'On. Chiara Acciarini, Vice-Presidente della Commissione Cultura della Camera dei Deputati. La principale conclusione cui si è giunti è che la comunicazione culturale deve essere in grado di trasmettere emozioni. Per allargare la fruizione del "bello" è necessaria una comunicazione calda, in grado di cogliere l'essenza di ciò che conserviamo: l'evocazione dello stupore che oggetti, prodotti artistici, ricordi del passato possono ancora darci, se siamo in grado di farli rivivere. L'anno prossimo ripeteremo l'iniziativa, che è stata valutata positivamente e la domanda che porremo sarà la stessa: come comunicare ad un pubblico vasto l'insostenibile bellezza della cultura.

La pagina del Sistema Museale della Provincia di Rimini - pag. 7 [2000 - N.8]

In mostra a Ravenna, al Museo Nazionale, importanti testimonianze dell'arte di Costantinopoli, provenienti dalle collezioni paleocristiane e bizantine del Museum für Byzantinische Kunst di Berlino

Luciana Martini - Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Ravenna

A partire dal 15 aprile di quest'anno e fino al 17 settembre, sarà possibile ammirare, esposti nella sede di mostra privilegiata del Museo Nazionale di Ravenna, una serie di importanti sculture bizantine, veri e propri capolavori dell'arte di Costantinopoli, provenienti dal Museum für Byzantinische Kunst (Museo per l'arte bizantina) di Berlino. Questo evento rappresenta una storica occasione, mai verificatasi in precedenza, di confronto fra materiali originali concepiti da una stessa cultura e nati in uno stesso ambiente, ma dispersi già in antico. La collezione paleocristiana e bizantina dei Musei di Berlino è unica nel suo genere in Germania e rappresenta una delle più importanti raccolte d'Europa. La scelta delle opere destinate all'esposizione ravennate è stata guidata dal criterio del confronto con le testimonianze bizantine conservate nella città di Ravenna, sia al Museo Nazionale stesso, che al Museo Arcivescovile. Si tratta principalmente di sculture dal IV al XIII secolo, con una nutrita rappresentanza del VI, "il secolo d'oro" dell'imperatore Giustiniano; vi sono compresi frammenti appartenenti a statue, paliotti, transenne e capitelli, rilievi architettonici, sarcofagi. La maggior parte di esse provengono, così come tutti i più importanti materiali ravennati, dalle produttive officine di Costantinopoli. Ricordiamo alcuni dei reperti più importanti. Una statua acefala in porfido rosso, probabile figura di un imperatore in clamide, solennemente ammantata da pieghe stilizzate, che esprimono un forte senso di dignità e potere, ci offre la testimonianza di un'arte plastica celebrativa risalente al IV secolo che ha uno strettissimo parallelo nella simile scultura al Museo Arcivescovile di Ravenna. Un pezzo assolutamente particolare è un blocco di marmo scolpito in forma complessa, databile al V secolo, utilizzato per il gioco delle biglie, che è stato trovato nell'ippodromo di Costantinopoli nel 1834; è illustrato con un repertorio di interessanti e minuziosi rilievi relativi alle corse dei carri nell'ippodromo stesso. All'ultimo quarto del secolo V risale un frammento di sarcofago potentemente scolpito con una scena figurata: vi possiamo osservare l'apostolo Pietro con la croce in una scena di miracolo, mentre lo stile della rappresentazione trova rapporto con le immagini dei sarcofagi ravennati. Particolarmente famoso è il pannello di marmo con "Vergine orante" o "Blachernitissa", acefala, proveniente da Sulu Manastir, anticamente Chiesa della Theotokos Peribleptos in Costantinopoli, rifondata nel 1031 dall'imperatore Romanos III Argyros che la scelse come proprio luogo di sepoltura. Il rilievo, che fa parte di una serie iconografica di immagini della Vergine alla quale appartiene anche la Madonna greca di Ravenna, proveniva probabilmente da un sacello della Chiesa ed è quindi databile alla metà del XII secolo. Oltre alle sculture in pietra, sono presentate anche alcune opere in avorio. Di particolare importanza sono due tavolette di dittico raffiguranti l'una Cristo in trono tra gli apostoli Pietro e Paolo, e l'altra la Vergine in trono con il figlio tra gli arcangeli Michele e Gabriele, attribuite ad una bottega costantinopolitana operante alla metà del sesto secolo. Sono strettamente affini ai rilievi della famosa cattedra d'avorio del Museo Arcivescovile, che per l'occasione verrà trasferita nella sede della mostra, e probabilmente anch'esse sono state eseguite per l'arcivescovo Massimiano. La ricca collezione di transenne, paliotti, capitelli, frammenti di amboni e di sarcofagi, custoditi al Museo Nazionale, faranno da prolungamento ideale, opportunamente segnalato in un adeguato percorso didattico, al materiale proveniente da Berlino. L'evento culturale, originato da un'idea del prof. Arne Effenberger, direttore del Museum für Byzantinische Kunst di Berlino, è stato organizzato dalla Soprintendenza per i Beni ambientali e architettonici e dal Comune di Ravenna, con il sostegno della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna.

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 7 [2000 - N.7]

E' del 1938, in una cava per l'estrazione dell'argilla, la prima scoperta della presenza del più importante insediamento agricolo di epoca romana nell'Italia Settentrionale

Giovanna Montevecchi - La Fenice Archeologia e Restauro S.r.l. Concessionario dei Servizi Aggiuntivi per il Polo Archeologico dell'Emilia Romagna

Il sito archeologico della villa romana fu riportato in luce già nel 1938-1939, essendo la zona sfruttata come cava per l'estrazione dell'argilla e poi interrata a causa degli eventi bellici; gli scavi ripresero negli anni Cinquanta e continuarono a fasi alterne fino agli anni Ottanta. L'area indagata é riferibile ad un insediamento rustico finalizzato allo sfruttamento agricolo della zona nell'antichità ed é forse il più importante finora noto in Italia settentrionale. La villa è composta da un nucleo principale circondato da portici con colonne in mattoni; l'ingresso era a sud, attraverso un cortile aperto. All'interno, attorno a due cortili anch'essi porticati, si articolano a nord il settore residenziale, abitato dal padrone del fondo, con al centro la stanza di soggiorno, mentre le stanzette circostanti erano destinate ad usi diversi; il gruppo di stanze ad ovest costituiva con ogni probabilità il quartiere notturno, mentre l'ambiente maggiore, pavimentato a mosaico, veniva usato come sala da pranzo. Una piccola area comprendente tre ambienti era presumibilmente riservata al fattore della tenuta. La zona più vasta, che si sviluppava attorno al cortile sud, era adibita alle attività produttive: comprendeva la cucina, i depositi per i prodotti cerealicoli, un torcularium per il vino e vasche limitrofe; nel settore orientale era anche una zona termale e cortili con alberi da frutta. Sicuramente la villa aveva altri ambienti, non ancora scavati, per il ricovero degli animali e per altre attività. Nel 1998 si è effettuato lo svuotamento del pozzo pertinente l'area della cucina, che ha interessato una struttura profonda 14 metri con camicia in laterizi, dal pozzo sono emerse importanti testimonianze sulla vita della villa sia attraverso il rinvenimento di oggetti di uso quotidiano, sia attraverso l'esame complessivo della stratigrafia legata alle fasi d'uso e di disuso del pozzo. In seguito allo scavo sono state allestite, con i materiali provenienti dal pozzo, alcune vetrine collocate negli ambienti della Rocca dell'ex Ospedale a Russi; a questa prima fase di lavori ne é seguita una seconda inaugurata nel1999, con l'apertura al pubblico di altre due stanze. Sono così visibili alcune strutture pertinenti l'area termale della villa, é esposta una campionatura degli intonaci del settore residenziale ed un piccolo spazio é dedicato ai materiali edili utilizzati per la costruzione della villa. L'area archeologica é aperta al pubblico tutti i giorni dalle 9,00 alle 16,00 d'inverno e fino alle 19,00 d'estate; é possibile prenotare visite guidate telefonando allo 0339 8957691; si può visitare anche l'annessa oasi faunistica curata dal WWF e da Lega Ambiente, con guide disponibili su prenotazione. Il museo é aperto al pubblico il sabato dalle 9,00 alle 12,00 e su prenotazione telefonando allo 0544-587641.

Speciale siti e musei archeologici - pag. 7 [1999 - N.6]

A Ravenna una fervente attività sul versante conservativo, editoriale ed espositivo, apre la strada alla nuova istituzione museale

Nadia Ceroni - Conservatore della Pinacoteca Comunale e Museo d'arte della Città di Ravenna

L'acquisizione di nuovi spazi all'interno della Loggetta Lombardesca, in seguito al trasferimento dell'Accademia di Belle Arti presso la sede dell'ex Albe Steiner, ha creato le condizioni per avviare progetti destinati alla messa a norma, alla rifunzionalizzazione e alla costituzione del futuro Museo d'arte della Città. Sulla base di una attenta analisi delle caratteristiche strutturali, delle esigenze patrimoniali, gestionali e delle complesse attività, fin ora svolte dalla Pinacoteca, l'Amministrazione Comunale sta definendo le linee di indirizzo e gli obiettivi culturali del nuovo museo, sia sul versante istituzionale - relativo alla tutela, conservazione e valorizzazione del patrimonio artistico già museificato - sia su quello espositivo, prevedendo l'organizzazione di importanti mostre temporanee. La ristrutturazione della Loggetta - cui faranno seguito l'organizzazione di nuovi percorsi espositivi ed il riallestimento di nuclei artistici storicizzati - comprenderà anche la realizzazione di servizi aggiuntivi, suggeriti dalla legge Ronchey: un punto di ristoro, un book shop, un guardaroba, un ascensore. Sul versante istituzionale, intanto, proseguono i lavori di restauro destinati alla conservazione di opere antiche e moderne, di proprietà comunale, da decenni depositate presso sedi ed uffici esterni al museo. Il nucleo si compone di 70 quadri - restaurati dal Laboratorio del restauro di Ravenna - per i quali la Regione sosterrà il 50% della spesa complessiva, pari a 143 milioni 500.000 lire. La scelta di restaurare anche opere che non rientrano nei percorsi espositivi permanenti della Pinacoteca, testimonia l'attenzione del museo ravennate nei confronti di nuclei artistici attualmente non esposti al pubblico o conservati in depositi temporanei, che meriterebbero spazi adeguati per la loro conservazione e un'opportuna valorizzazione. Quest'attività di restauro e manutenzione- in un'ottica di conservazione preventiva del patrimonio artistico acquisito e gestito dalla Pinacoteca - si è dimostrata un'occasione di approfondimento per la conoscenza di tele e tavole che hanno rivelato dati rimasti nascosti, o addirittura sconosciuti, fino al momento del loro distacco dalle pareti e dai supporti che le sostenevano: nel Laboratorio, infatti, numeri, cifre, scritte spesso ricompaiono sul retro delle cornici o sulla superficie pittorica, completando, aggiornando e ricostruendo la storia dell'opera e la relativa documentazione. Stanno anche per concludersi i lavori collegati all'attività informativa ed editoriale della Pinacoteca. L'esaurimento del catalogo della Collezione Antica del museo, infatti, stampato nel 1988, ha permesso di provvedere all'affidamento di incarichi destinati alla revisione, correzione ed aggiornamento dei dati catalografici. Storici dell'arte quali Angelo Mazza, Anna Tambini e Giordano Viroli hanno pertanto provveduto alla compilazione di nuove schede artistiche e biografiche, mentre al Conservatore della Pinacoteca è stato affidato il compito di redigere l'introduzione storica al nuovo catalogo, assumendone la curatela e il coordinamento dei lavori, in funzione dei previsti sviluppi editoriali. La pubblicazione del nuovo catalogo della Pinacoteca - sostenuta dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna - è prevista entro il 1999, con l'intento di dotare il museo di uno strumento scientifico adeguato, destinato alla conoscenza e alla valorizzazione del patrimonio artistico museale, anche in vista del Giubileo del 2000. L'attività di studio e ricerca, messa in campo dai catalogatori incaricati, ha prodotto anche nuove attribuzioni di opere, cambi di datazione ed importanti scoperte rivelate da specifiche indagini stratigrafiche. Sul versante espositivo temporaneo, le linee programmatiche di indirizzo prevedono la costituzione di un comitato scientifico per le mostre di alto profilo, composto da personalità di chiara fama e prestigio internazionale (Andrea Emiliani, Fred Licht, Peter Weiermeier, Daniel Soutif ) ed un comitato Giovani Artisti per documentare tendenze innovative e valorizzare le più qualificate presenze territoriali. Sono queste le proposte presentate dal responsabile delle attività espositive della Loggetta, Prof. Claudio Spadoni, il cui progetto ripristina anche l'utilizzazione di spazi minori, come la chiesa di Santa Maria delle Croci e la saletta ex Marconi. Dopo la mostra Frammenti di un discorso musivo saranno allestite le antologiche, rispettivamente dedicate a Piero Gilardi ( prevista dal 20 giugno al 28 agosto ) e a Giosetta Fioroni, cui farà seguito la grande mostra, messa in cantiere da Spadoni, sugli artisti del Novecento del noto storico e critico d'arte Roberto Longhi. Il nuovo percorso avviato ha come traguardo la trasformazione della "Loggetta Lombardesca" da contenitore museale in centro di cultura artistica per la fruizione delle collezioni permanenti e la promozione di grandi eventi espositivi, sia sul versante storico che in ambito contemporaneo.

Speciale musei artistici - pag. 7 [1999 - N.5]

Roberto Fabbri - Società per gli Studi Naturalistici della Romagna

Il museo naturalistico, ubicato nel piano terra dell'ex convento in cui ha sede il Centro Culturale, inizialmenteallestito nel 1985 da un gruppo di appassionati naturalisti che vi hanno donato i materiali in mostra, è stato recentemente rimodernato. Si articola in tre sale con i materiali naturali e le relative didascalie (nome volgare e scientifico, provenienza) esposti in vetrine e bacheche. Il percorso che i visitatori devono seguire è esemplificato da pannelli numerati in cui sono descritte le caratteristiche salienti del contenuto delle esposizioni. La visita inizia nel settore dedicato alla geologia con una grande raccolta di minerali esotici e locali in rappresentanza di tutti i gruppi, con pezzi esposti di notevole bellezza e valore, come il gigantesco cristallo di quarzo a cattedrale e la straordinaria rosa del deserto che campeggia al centro della prima sala. Una vetrina è dedicata ai minerali dell'Appennino romagnolo ed in essa spiccano fragili cristalli gessosi. Si passa successivamente alla paleontologia con l'illustrazione dei processi di fossilizzazione e la visione di resti di piante ed animali come porzioni di tronchi, pigne, foglie e poi molluschi, pesci, insetti ed un uovo di dinosauro tutti fossilizzati. La parte dedicata alla botanica inizia con la visione di vecchi erbari di inizio secolo e varie parti di piante essicate. Proseguendo tra le curiose raccolte in mostra, vi sono una ricca xiloteca e una multicolore spermoteca composte da legni e semi di svariate specie vegetali indigene, naturalizzate e coltivate. Proseguendo la visita, ci si addentra nel regno animale e si incontrano splendide raccolte di molluschi marini, d'acqua dolce e terrestri locali, tra le quali una grande Pinna nobile (il bivalve dell'Adriatico di maggiori dimensioni) e una variegata presenza di chiocciole di terra. Calandosi tra i Crostacei, colpisce l'attenzione la collezione di granchi e gamberi marini e dulcacquicoli, tra i quali i poco conosciuti Granchio e Gambero di fiume. La sezione dedicata agli insetti non mancherà di attrarre per la moltitudine di forme e colori dei Coleotteri, farfalle, dei "nidi sociali" degli Imenotteri e altri gruppi di invertebrati esposti. Infine nelle esposizioni dell'ultima sala, che ospita i vertebrati, si incontrano gli anfibi, rettili, uccelli e mammiferi tassidermizzati o in calco presenti in Romagna, calati anche all'interno di ricostruzioni ambientali e di due ampi diorami dedicati alle pinete e zone umide costiere e alla campagna interna (in particolare all'oasi del Podere Pantaleone). Il museo naturalistico offre spunti notevoli per l'attività didattica e di educazione ambientale rivolta alle scolaresche ed agli interessati in genere a cui si abbinano anche nell'aula didattica lezioni a tema, visioni al microscopio e proiezioni di audiovisivi. Per avere un'idea di quanto è diversificato il mondo vivente nel territorio romagnolo, quale occasione migliore per una visita al museo naturalistico, dedicando semmai parte di un fine settimana anche ad un'escursione all'aria aperta nell'Area di Riequilibrio Ecologico "Podere Pantaleone" distante un chilometro dal museo. Qui un selvoso podere in stato di abbandono da 40 anni, offre la possibilità di immergersi nella natura locale tra una ricchissima flora e fauna, e dove è presente anche un giardino delle erbe officinali ed alimentari. Il museo naturalistico è gestito dalla Società per gli Studi Naturalistici della Romagna ed è liberamente accessibile nei giorni di apertura del Centro Culturale (chiusura nei giorni post festivi). Sono inoltre disponibili visite guidate telefonando al 0544/581446 oppure al 0347/4585280. Apertura invernale: feriali 15.00-18.00, festivi 10.00-12.00, pomeriggi 15.00-18.00. Apertura estiva: feriali 16.00-19.00, festivi 10.00-12.00, pomeriggi 16.00-19.00.

Speciale musei naturalistici della scienza e della tecnica - pag. 7 [1999 - N.4]

Associazione Culturale La Grama

Il Museo della vita contadina in Romagna, già Raccolta Etnologica Romagnola, esiste a San Pancrazio di Russi dal 1967. Qualche anno fa emerse dallo"scantinato" per collocarsi temporaneamente presso la locale Scuola Elementare. Grazie all'interessamento del Comune di Russi, della Provincia e dell'Istituto Beni Culturali della Regione, tutti gli oggetti sono stati recentemente catalogati e su di essi si è iniziato un'attività di conservazione e restauro. L'Amministrazione Comunale sta studiando la possibilità di risistemare il Museo in spazi più opportuni che, da una parte, offrano allestimenti museali moderni e garantiscano un ambiente più idoneo alla migliore conservazione possibile degli oggetti della collezione e, dall'altra, offrano la possibilità di ricreare situazioni ambientali in grado di "lasciare il segno" nella mente e nel cuore dei visitatori. Dal 1993 l'Associazione Culturale La Grama sta compiendo una significativa attività di ricerca e conservazione delle memorie delle generazioni più anziane. Il programma quinquennale di ricerca è stato improntato alla riscoperta delle attività economiche di sussistenza delle famiglie contadine e rurali presenti nel territorio dal quale provengono gli oggetti della collezione del Museo. Gli argomenti affrontati sono stati: la lavorazione della canapa, la tessitura, l'allevamento del baco da seta, la produzione del latte e del formaggio e, per il prossimo anno, è previsto il tema del maiale nell'economia domestica. Si è cercato di evidenziare non la singola grande impresa economica quanto le piccole realtà domestiche ampiamente diffuse nella zona, una vita quotidiana dalla quale emerge anche il lato "umano" del mondo contadino. Trasferire "economia e umanità" in un nuovo allestimento del Museo (il cambio del nome in "Museo della vita contadina in Romagna" dal precedente piuttosto incolore "Raccolta Etnologica Romagnola" rappresenta l'inizio di questa evoluzione), in spazi più opportuni destinati non solo alla didattica, ma a tutti, è condizione imprescindibile perché il Museo continui a svolgere una funzione culturale sul territorio.

Speciale musei etnografici - pag. 7 [1998 - N.3]

Roberto Fabbri - Società per gli Studi Naturalistici della Romagna

Nella periferia di Bagnacavallo, presso l'antica pieve di San Pietro in Sylvis, un appezzamento di terreno di sei ettari, da quaranta anni si trova in stato di abbandono. Il podere denominato "Pantaleone" del nome del vicolo d'accesso, si presenta sistemato con le vecchie piantate romagnole dove gli alberi tutori della vite, non più contenuti dalle potature, hanno assunto ragguardevoli dimensioni conferendo all'area un aspetto boscoso. La flora e la fauna conservano nel contempo aspetti relitti della campagna e testimonianze delle aree boscate planiziali padane. Considerato l'elevato valore naturalistico, storico e paesaggistico, l'Amministrazione Comunale di Bagnacavallo nel 1988 acquistava il podere e lo trasformava in Area di Riequilibrio Ecologico demandandone la gestione alla Società per gli Studi Naturalistici della Romagna. Il podere è composto da un'area ad evoluzione controllata, dove viene contenuta la vegetazione infestante; un'area a libera evoluzione con la naturale successione delle specie vegetali; un campo sperimentale con colture frutticole condotto dal locale Istituto Professionale di Stato per l'Agricoltura; dal giardino delle piante officinali e alimentari antistante la casa colonica condotto dagli anziani del Centro Sociale di Bagnacavalloun campo sperimentale con colture frutticole condotto dal locale Istituto Professionale di Stato per l'Agricoltura; dal giardino delle piante officinali e alimentari antistante la casa colonica condotto dagli anziani del Centro Sociale di Bagnacavallo Ogni anno, in primavera, si tiene la festa "Un albero un bambino". Nell'area vengono organizzate visite guidate e attività di educazione ambientale per le scuole. Durante l'anno scolastico 1998-1999 sono in attuazione quattro moduli didattici per avvicinare i ragazzi alla comprensione degli aspetti floristici, faunistici e storico-ambientali del podere e della pianura romagnola. A supporto della didattica all'aria aperta vengono svolte visite e lezioni presso il Museo Naturalistico e la Sezione Etnografica del Centro Culturale "Le Cappuccine" di Bagnacavallo. Il podere è liberamente accessibile il sabato e giorni festivi dalla prima settimana di aprile alla prima di ottobre.

Speciale musei etnografici - pag. 7 [1998 - N.3]

Franco Gabici - Direttore del Planetario di Ravenna

Sulla strada che dalla statale porta al grande respiro del fiume e delle valli, sorge Casa Guerrini, centro vitale della vita culturale di Sant'Alberto. La casa, che appartenne a Guido, figlio del "poeta" di Sant'Alberto Olindo Guerrini, fu donata dallo stesso Guido al Comune di Ravenna con il vincolo che fosse destinata a centro culturale. E oggi Casa Guerrini, dopo essere stata ristrutturata nel pieno rispetto della struttura, è considerata la vera casa dei santalbertesi, vero centro vitale di cultura, di incontri e di confronti. Al piano terreno, dove tra l'altro è possibile ammirare la bellissima "cucina", significativo esempio di una cultura contadina che qui ancora è tenuta in gran rispetto e considerazione, è ospitata la Biblioteca, che dispone di un fondo a prestito per tutte le fasce di utenza. In una sala del primo piano è conservato il Fondo Guerrini, una raccolta di duemila volumi, quasi tutti dell'Ottocento ma con alcuni pezzi anche del Settecento, e che nella prima metà degli anni Ottanta sono stati catalogati e ordinati. Questa "biblioteca popolare", istituita nel 1872 dalla locale Società Operaia di Mutuo Soccorso su suggerimento di Olindo Guerrini, è sicuramente una delle poche biblioteche popolari conservate in Italia e una delle più consistenti. In essa sono confluiti il fondo Guido Guerrini (una raccolta di testi di medicina italiani e francesi che datano dalla fine dell'ottocento fino al 1940) e una cinquantina di volumi donati da Clara Alvisi, di Bagnacavallo che comprendono l'opera omnia di Mazzini, Saffi e Cattaneo. Il Fondo Guerrini è interessante anche per i giudizi dei lettori che si trovano a margine dei volumi, un vero esempio di critica popolare ai grandi romanzi di appendice che un tempo costituivano il passatempo preferito per chi sapeva leggere. D'estate il cortile retrostante è trasformato in "arena" dove vengono proposti i migliori film della stagione. Nella sala delle conferenze del piano superiore è conservato un busto in gesso di Olindo Guerrini, nume poetico di Sant'Alberto.

Speciale casa museo - pag. 7 [1998 - N.2]

Dante Bolognesi - Direttore dell'Ente "Casa Oriani"

L'Ente "Casa di Oriani" ha da poco compiuto settant'anni. Fu istituito infatti, con RDL n. 721, il 14 aprile 1927. Si trattava dell'atto, per certi aspetti conclusivo, di un itinerario che aveva visto già una tappa significativa il 6 novembre 1924 quando il Cardello di Casola Valsenio, ove Oriani aveva vissuto dal 1866 all'anno della morte (1909), fu dichiarato monumento nazionale e consacrato alla "venerazione degli italiani". Se il Cardello è sempre stato la sede legale dell'Ente, solo nel 1979 è diventato di proprietà di Casa Oriani, con il suo splendido parco. E da allora Cardello e parco sono aperti al pubblico nei festivi fra aprile e ottobre (dal 1996 anche i venerdì dei mesi di luglio e agosto in concomitanza con il frequentatissimo "mercatino delle erbe" di Casola Valsenio). La casa museo del Cardello è così diventata anche la sede di attività culturali, promosse in proprio dall'Ente ovvero in collaborazione con il Comune di Casola Valsenio e la locale Pro Loco. Sono così diventati appuntamenti tradizionali gli Incontri al Cardello, che si svolgono nelle prime settimane di settembre, in cui sono proposti momenti di riflessione e studio sull'opera di Oriani e su aspetti della vita politica e culturale della Romagna in età contemporanea. A tali incontri hanno partecipato studiosi illustri come Lucio Gambi, Luigi Lotti, Ezio Raimondi, Renato Zangheri, Roberto Balzani. L'11° l' incontro avrà luogo quest'anno il 5 o il 12 settembre. Altrettanto interesse hanno suscitato le rassegne di Musica ed Arte al Cardello, promosse dal Comune di Casola Valsenio e dalla Pro Loco nelle serate di sabato fra la fine di giugno e luglio, ormai giunte alla sesta edizione. Nella cornice del parco sono organizzati concerti di musica strumentale e mostre (fotografia, scultura, pittura) di giovani artisti, non solo locali. Si tratta di iniziative culturali che hanno incontrato un favorevole accoglimento e che, compatibilmente con le risorse finanziarie dell'Ente, ci si propone di sviluppare significativamente nei prossimi anni, anche con l'adeguamento delle strutture ricettive. Sarà così possibile fare del Cardello una struttura sempre più inserita nel circuito museale ravennate e nei programmi delle iniziative culturali, ampie e variegate, dell'ente locale.

Speciale casa museo - pag. 7 [1998 - N.2]

Francesco Rivola - Assessore alla Cultura e all'ambiente del Comune di Riolo Terme

Si è inaugurato il 28 febbraio 1998 il Centro di Documentazione della Vena del Gesso presso la Rocca di Riolo Terme. Il Centro è nato dalla collaborazione fra l'Amministrazione Comunale e il GAM di Mezzano, gruppo speleologico che da diversi anni opera nelle Grotte della Vena del Gesso del Comune di Riolo Terme, esplorando e facendo rilievi nel sistema carsico in esso presente. Il Centro di Documentazione ha per sede alcune stanze della Rocca di Riolo, ove sono esposti permanentemente materiali riguardanti la Vena del Gesso romagnola. Vi sono diversi plastici che ci mostrano tutto il sistema carsico finora esplorato, con aggiornamenti continui legati alle nuove esplorazioni; fotografie dell'ambiente sotterraneo e interessanti minerali ritrovati durante le esplorazioni. Un'altra sezione comprende tutto il materiale cartaceo: libri, riviste, articoli e cartografie che riguardano la Vena del Gesso, il nostro territorio e le grotte in esso situate e in più vi è, per la sezione "virtuale", un computer con il quale si possono fare ricerche molto particolareggiate e veloci sul territorio. Infatti alcuni tecnici informatici del GAM di Mezzano stanno ultimando un CD ROM sulla Vena del Gesso e territorio circostante, inserendo tutti i dati disponibili per la possibile apertura di un sito Internet. Tutto questo per far sì che Riolo diventi il centro di studio per chi vuole conoscere il territorio della Valle del Senio. La promozione di questo progetto è rivolta soprattutto alle scuole e ad alcuni progetti che in questi anni sono già partiti a livello provinciale ed altri, affinché Riolo possa diventare meta anche del turismo scolastico. Un'altra fascia di persone alle quali è indirizzata la promozione sono gli addetti ai lavori che in Italia sono molti e si muovono volentieri se l'offerta è valida. Comunque il Centro è aperto a tutti: cittadini di Riolo, turisti, curiosi che troveranno soddisfatta sicuramente la propria curiosità come è già stato dimostrato durante l'apertura della Mostra Vivere e lavorare in grotta allestita a Riolo da fine marzo a fine luglio e che ha visto la presenza di migliaia di persone e che aveva a disposizione solo una piccola parte del materiale che il GAM di Mezzano ci ha messo a disposizione ora. Il Centro, tra l'altro, è il primo passo per l'utilizzo di quella parte della Rocca che non sarà legata al Museo della Cultura Gastronomica. Infatti altre parti dovrebbero essere a disposizione di un progetto più ampio del quale fa parte la sezione ambientale e che dovrebbe vedere l'apertura di una sezione dedicata alla storia di Riolo centro storico e quella dedicata all'archeologia, ai ritrovamenti fatti sul territorio con la collaborazione dei Musei di Imola, con i quali si è già collaborato molto proficuamente nei mesi scorsi, grazie al dottor Marco Pacciarelli, Direttore del Museo, coinvolgendo anche le Associazioni territoriali come Comunità Ambiente per il pregevole lavoro di recupero e studio fatto in questi anni. Pertanto vorremmo fare un ringraziamento anche alla Federazione Speleologica Regionale dell'Emilia Romagna che ha creduto in questo progetto e che ha messo a disposizione del GAM di Mezzano la cifra di 10 milioni per acquistare il materiale (computer) per poter iniziare il lavoro

Nuovi progetti - pag. 7 [1998 - N.1]

Alba Trombini - Contrattista del Servizio Beni e attività Culturali della Provincia di Ravenna

Da alcuni anni attraverso i nostri corsi di aggiornamento, i convegni e le pubblicazioni, proponiamo alla città un' occasione di dialogo sulla possibilità di creare un nuovo rapporto fra scuola e museo. Perché un nuovo rapporto, che cos'ha quello antico che non va ?dal nostro punto di vista fino a qualche tempo fa percepivamo questo : la presenza di due realtà lontane, apparentemente unite nel momento delle consuete visite scolastiche di fine anno, che solo in parte si rendevano conto di quanti reciproci stimoli e di quali energie avrebbero potuto beneficiare interagendo nella propria funzione di strumenti di crescita e conoscenza. Agli inizi degli anni '90 non erano molte le opportunità per confrontarsi su questo tema ; e così nacque l'idea di stabilire a livello istituzionale un contatto fra queste due realtà, una relazione continua che andasse oltre le esperienze isolate dei musei più aggiornati sotto il profilo metodologico didattico, oltre le iniziative sporadiche di singoli insegnanti particolarmente attenti e motivati. Insieme... nessuna confusione, però. Nessuna commistione di ruoli o competenze fra ente locale, scuola e museo. Quello che proponiamo noi, nel nostro ruolo di intermediari , è semplicemente un'occasione di reciproca conoscenza che permetta ad operatori museali, educatori, e di conseguenza ai ragazzi, di fare esperienze nuove, stimolanti e creative. Ed è proprio la creatività la chiave di volta per un nuovo rapporto fra scuola e museo oggi. I musei, infatti, si stanno sempre più aprendo, alla città come espressione della città stessa, come specchi del suo spirito vitale. Non più solo custodi di memoria, si offrono come strumenti per conoscere, capire, e, infine per fare. E finalmente, è notizia recente, il Ministero ha deciso di lasciare nella definizione dei programmi didattici più scelta, libertà d'azione, e spazio per lo studio della "cultura locale".Non sono forse queste le condizioni ideali per costruire nuovi percorsi formativi, nuovi modi di studiare e fare storia, geografia, o arte, per vivere il museo e la scuola in modo creativo ? Secondo noi, sì. Ed è su questi presupposti che elaboriamo i nostri programmi di aggiornamento, scegliendo di volta in volta collaboratori e proposte in sintonia con la nostra idea di un "cammino insieme" verso un nuovo modo di essere e fare cultura.

Speciale didattica - pag. 7 [1997 - N.0]

Rosella Cantarelli

Partendo da questi pressupposti l'intervento della Provincia si è mosso nel campo della didattica museale. Il" progetto Scuola - museo", attivato nel 1992, si proponeva di sviluppare, in linea con le più recenti impostazioni metodologiche, un positivo rapporto fra i musei, le istituzioni scolastiche e il mondo della scuola ed ha recentemente completato il primo triennio di attività. Le risposte a queste progettualità sono state positive oltre le nostre stesse aspettative. Abbiamo pertanto ritenuto utile proseguire questa esperienza, convinti come siamo che ogni progetto riesce a trovare una propria identità garantendone nel tempo la continuità.Per il triennio 97/99 si è programmato un secondo ciclo di interventi del progetto "Scuola - museo" che del primo intende essere una logica prosecuzione e che, come per il precedente, avrà quale iniziativa portante il "Corso triennale di aggiornamento sulla didattica museale". Per questo secondo triennio verrà preposto un nuovo percorso all'interno della didattica museale più specifico, con un programma di lavoro articolato su ambiti museali omogenei per tematiche, differenti anno dopo anno, e finalizzato alla elaborazione di nuovi percorsi didattici. Il primo anno del corso verrà dedicato all'esame dei musei etnografici dell'ambito romagnolo e in particolare : il Museo degli usi e costumi della gente di Romagna di S. Arcangelo di Romagna, il Museo del Lavoro contadino di Brighella, il Centro Etnografico della Civiltà Palustre di Villanova di Bagnacavallo. Si proseguirà poi nel secondo anno con i musei di carattere storico - artistico e nel terzo anno con quelli di carattere scientifico - naturalistico.Oltre a questo Corso (che prenderà avvio nel prossimo inverno), già riconosciuto come attività di formazione dal Provveditorato agli Studi di Ravenna, ampio spazio sarà riservato alla didattica museale all'interno del Sistema, con l'apertura del Laboratorio provinciale della didattica museale.Contiamo infatti di organizzare un centro di informazione e di documentazione sui beni museali con l'obiettivo di privilegiare la parte didattica (e le diverse esperienze in atto in ambito provinciale), offrendo in tal modo una ulteriore opportunità volta a sviluppare quel rapporto fra scuola e museo sul quale stiamo lavorando.

Speciale didattica - pag. 7 [1997 - N.0]

A Santarcangelo di Romagna è nato l'Archivio di Documentazione della Poesia Dialettale Romagnola denominato "Il tetto dei poeti"

Rita Giannini - Dirigente Servizio Beni e Attività Culturali della Provincia di Rimini

La Romagna e i suoi poeti hanno una casa: a Santarcangelo di Romagna, in Provincia di Rimini, è nato l'Archivio di Documentazione della Poesia Dialettale Romagnola che è stato battezzato Il tetto dei poeti. La città che ha visto nascere e svilupparsi una vera e propria scuola di poesia dialettale, la "scuola di poesia santarcangiolese", si candida a questo importantissimo ruolo di ospite della cultura romagnola del dialetto. Ormai i poeti santarcangiolesi, alla cui scuola appartengono Raffaello Baldini, Tonino Guerra, Nino Pedretti, Gianni Fucci, Giuliana Rocchi, vengono inseriti nel panorama più alto della poesia anzi alcuni ne sono esponenti di così elevato livello da essere annoverati tra i grandi del nostro paese, con la piena consapevolezza che la nuova dialettalità è lingua, è poesia. Il tetto dei poeti è un progetto nato dalla volontà comune della città di Santarcangelo di Romagna e della Provincia di Rimini coadiuvati nel loro sforzo dalla Regione Emilia Romagna e dall'Istituto Beni Culturali. Ora per l'Archivio è giunto un altro importante riconoscimento: è stato inserito a pieno titolo nell'accordo sulla valorizzazione del dialetto, cui parteciperanno le tre Province romagnole (Ravenna, Rimini, Forlì-Cesena), l'Istituto per i Beni Culturali della Regione Emilia Romagna e l'Università di Bologna. Nell'accordo, che sarà sottoscritto a breve, al territorio riminese viene affidato il compito di raggiungere gli obiettivi posti, puntando sullo studio e sulla promozione della poesia, anche attraverso l'Archivio che si pone come riferimento per tutta la Romagna. Esso è nato infatti con l'intento di essere un luogo della memoria, per lo studio e la ricerca, ma anche e soprattutto uno spazio vivo dove si lavora attivamente per la valorizzazione del dialetto e per la diffusione di una conoscenza sempre più ampia e condivisa. Per questo la Provincia di Rimini, attraverso l'Assessorato ai Beni e Attività Culturali, oltre a contribuire all'allestimento e alla gestione del Centro, ha promosso, una serie di iniziative mirate a diffondere la conoscenza dei poeti neodialettali e a valorizzarne le opere. In primo luogo, ha dato avvio a una campagna per raccoglierne l'oralità. Sta procedendo alla registrazione della loro voce recitante, dando la possibilità di raccogliere un'antologia orale della loro produzione poetica. Questo comporterà la realizzazione di una collana di cd che saranno pubblicati a breve come prima produzione dell'Archivio. È prevista la pubblicazione di cofanetti che raccoglieranno le diverse scuole poetiche. Accanto ai cd saranno realizzati anche dei video sull'opera e la vita degli artisti romagnoli. L'Archivio, che raccoglie già i testi dei poeti romagnoli, non solo quelli neodialettali, e le pubblicazioni sulla poetica linguistica della Romagna, ha dato inizio alla raccolta del materiale inedito, manoscritti, dattiloscritti, bozze, carteggi, stampe e tutto quanto i poeti vorranno mettere a disposizione, poiché tra le sue finalità costitutive ha quella di garantire la conservazione di materiali documentari e archivistici, rendendo contestualmente possibile la loro catalogazione e ordinamento nonché la loro consultabilità, fruizione e valorizzazione. Alcuni poeti hanno già aderito donando e inviando i loro materiali e, a breve, saranno contattati anche tutti gli altri. Il centro sarà il luogo di riferimento per studiosi e ricercatori in quanto sede di conservazione delle fonti originarie e secondarie, ma sarà anche un archivio vivente con diverse vocazioni, tra cui quelle di creare eventi, convegni, happening, pubblicazioni di genere diverso (libri, CD, video, ecc…) e di essere scuola di lettura e di lezioni di antropologia culturale su cosa significa scrivere in dialetto, su come viene utilizzata questa lingua, sulle differenze adottate dai diversi poeti e sulle loro inflessioni linguistiche. Al momento esso ha sede nella casa di Tonino Guerra, gentilmente concessa in uso dal poeta, che è anche una delle sedi della costituenda Fondazione a lui dedicata, (con riferimento alla sua produzione poetica-letteraria), di cui è prossima l'istituzione grazie all'impegno delle Province di Rimini, Pesaro-Urbino e dei Comuni di Santarcangelo di Romagna e di Pennabilli, dove sarà ubicata l'altra sezione della Fondazione che si occuperà degli aspetti cinematografici e artistici. Il Comune di Santarcangelo ha già individuato una sede definitiva in uno dei palazzi storici cittadini. A garantire la scientificità dell'attività sarà un Comitato di esperti appositamente nominato.

La pagina del Sistema Museale della Provincia di Rimini - pag. 7 [2003 - N.17]

Ai venti musei già entrati in rete a partire dal novembre 1997 se ne sono aggiunti in questi giorni altri quattordici

Eloisa Gennaro - Responsabile U.O. Beni Culturali della Provincia di Ravenna

Prosegue il percorso di messa in rete dei musei della provincia di Ravenna. Del Sistema Museale fanno parte oggi trentaquattro musei - caratterizzati soprattutto dalle medie e piccole dimensioni - situati in ben 16 comuni su 18 della provincia ravennate: mancano all'appello soltanto i comuni di Bagnara di Romagna, il quale peraltro entrerà nel Sistema entro l'anno, di Conselice, di Sant'Agata sul Santerno e di Solarolo. Nella maggior parte dei casi si tratta di musei di proprietà comunale, mentre la minoranza è di proprietà di fondazioni o associazioni private. Circa l'origine cronologica, i musei del Sistema si caratterizzano per una forte omogeneità: tranne il caso di un museo sorto sul finire del '700 e di altri quattro istituiti a fine '800 e inizio '900, tutti gli altri sono nati nel corso degli ultimi trent'anni e alcuni di loro hanno vita recentissima. La natura delle collezioni - quasi tutte legate al territorio che le conserva - è invece estremamente varia: al Sistema appartengono musei d'arte antica, moderna e contemporanea, musei naturalistici e scientifici, musei storici e specializzati, musei etnografici e case-museo, musei archeologici e d'arte sacra. Analogamente, i contenitori che li ospitano sono di natura diversissima: antiche rocche e palazzi di pregio storico-artistico, case natali di personaggi illustri, edifici scolastici, industriali e rurali recuperati e adattati alla nuova funzione espositiva, costruzioni appositamente nate per essere un museo, giardini. La Provincia di Ravenna, proseguendo il lavoro iniziato sei anni orsono di valorizzazione e di promozione di un così ricco e differenziato patrimonio culturale, intende prestare sempre più l'attenzione alla problematiche legate alla gestione dei musei locali, incrementando il suo ruolo di ente programmatore e coordinatore con particolare riferimento alla fase di recepimento degli standard qualitativi regionali. Ad alcune delle quattordici istituzioni entrate nel Sistema sono dedicate le prossime pagine; qui di seguito invece si presentano in sintesi i musei che hanno già trovato un approfondimento negli ultimi numeri di "Museo Inoforma", a cui naturalmente si rimanda, ricordando che la rivista è consultabile anche in formato elettronico (www.sistemamusei.ra.it). Si presentano inoltre la Pinacoteca Comunale di Faenza e il Museo Civico di Riolo Terme, di cui non si è mai trattato finora e che troveranno uno spazio tutto loro in futuro. Il Museo dei Burattini e delle Figure di Cervia (vedi "Museo Inoforma" n.16), aperto nel 1999 in località Villa Inferno a cura del Centro Teatro di Figura "Arrivano dal mare!", è dedicato alla cultura e alle tecniche di animazione delle compagnie di teatro di figura. Il museo offre un percorso espositivo caratterizzato da una raccolta di grande valore culturale e storico: antichi burattini padani, marionette, pupi siciliani e teste di legno, copioni, attrezzi di scena, fondali dipinti e "baracche" tradizionali, provenienti dalle diverse aree culturali italiane ed europee. Sono inoltre parte consistente del museo l'Archivio di Immagine e la Biblioteca specializzata, che documentano le compagnie di teatro di figura di tutto il mondo. Della vita dei salinari, degli attrezzi che adoperavano per lavorare il sale, delle usanze e feste cittadine legate al sale racconta il Museo della Civiltà Salinara di Cervia (vedi n.13), sorto nel 1990 presso i settecenteschi Magazzini del Sale grazie al Gruppo Culturale Civiltà Salinara, che ha curato l'esposizione di strumenti e manufatti, di materiale fotografico e documentario. Un'originale sezione all'aperto del museo è la salina artigianale "Camillone", dove alcuni ex salinari mostrano i tradizionali sistemi estrattivi. Il museo riaprirà nei rinnovati locali del Magazzino "Torre" con un nuovo progetto museografico che vuole condurre il visitatore a scoprire lo strettissimo legame esistente tra materiale esposto e ambiente circostante, tra l'uomo, l'acqua e il sale. Il Museo Civico di Cotignola (vedi n.13 e 16) ha sede nel Palazzo Sforza che, a partire dal 1991, ospita sia le opere lasciate alla città da Luigi Varoli sia i reperti archeologici rinvenuti in zona. Il Museo Varoli occupa i locali del primo piano ed espone dipinti, terrecotte, sculture lignee e cartapeste realizzate dall'artista cotignolese, punto di riferimento per generazioni di giovani artisti. Sezione distaccata del museo è Casa Varoli, abitazione che era anche scuola di arte e musica aperta a tutti. Al primo piano di Palazzo Sforza si trova anche l'Antiquarium, che raccoglie reperti in prevalenza di età medievale ritrovati sul territorio; la sezione archeologica continua nel cortile, dove è esposto materiale a carattere funerario tra cui spicca la bella stele dei Varii. Nata nel 1797 e via via arricchitasi di pregevoli opere a seguito delle soppressioni napoleoniche, di lasciti e di acquisti, la Pinacoteca Comunale di Faenza rappresenta la più antica istituzione del Sistema Museale. Ospitata dal 1879 nel Palazzo Studi, la raccolta è ripartita in due sezioni principali, la Sezione Antica e la Galleria d'Arte Moderna: la prima espone reperti di età romana ed altomedievale, dipinti e sculture dal '400 al '700; la Galleria documenta le personalità ed i movimenti più significativi dal Neoclassicismo ai nostri giorni. Ricordiamo infine il ricco Gabinetto Disegni e Stampe. Attualmente la Pinacoteca è chiusa per ristrutturazione; una considerevole raccolta è comunque visitabile presso Palazzo Milzetti. È invece il più giovane tra i musei aderenti al Sistema il Museo Carlo Zauli di Faenza (vedi n.16), inaugurato nel 2002 nei locali che furono il laboratorio del ceramista faentino, centro d'ispirazione per molti artisti contemporanei. Il Museo riesce efficacemente a narrare la vicenda artistica e creativa di Zauli attraverso due percorsi museali paralleli e coincidenti: un percorso prettamente espositivo e uno legato al suo studio-bottega. Il percorso antologico espone opere datate dagli anni '50 agli anni '90 e svela al visitatore l'attitudine alla ricerca e sperimentazione di un artista che da ceramista divenne scultore. Il secondo percorso si snoda tra gli ambienti del suo laboratorio, dalla cantina delle argille alla stanza degli smalti, dalla sala dei forni a quella dei torni e dei grandi altorilievi. Il Museo Civico "San Rocco" di Fusignano (vedi n.12) è stato inaugurato nel 2001 all'interno del settecentesco edificio che ospitava l'ospedale cittadino. Al piano terra è esposta la bella e ricca collezione permanente di targhe devozionali in ceramica, verosimilmente unica nel suo genere in Italia, donate al Comune dal prof. Sergio Baroni. Le targhe, per la maggior parte a carattere propiziatorio, sono espressione figurativa della cultura popolare religiosa, sia emiliano-romagnola sia di altre regioni italiane, e coprono un arco cronologico molto ampio, dal '500 a tutto il '900. Nei locali del piano terra a breve troveranno collocazione altre raccolte artistiche, mentre al primo piano il museo organizza regolarmente mostre tematiche. Il Museo Civico della Rocca Trecentesca di Riolo Terme ospita dal 1997 all'interno del restaurato fortilizio cittadino il Centro di Documentazione della Vena del Gesso, che si snoda tra quattro sale espositive contenenti fossili, minerali, reperti archeologici, plastici e immagini. Gli allestimenti sono dedicati agli aspetti ambientali, geologici, paleontologici, idrologici e speleologici di quest'area romagnola di estremo interesse e suggestione, nonché al rapporto dell'uomo preistorico con le principali grotte della zona: Banditi, Re Tiberio, Tanaccia. Attualmente il museo è chiuso per lavori di ristrutturazione, nell'intento di far posto ad un'aula multimediale e a nuove raccolte. In un altro fortilizio trecentesco, ex ospedale cittadino, trova spazio il Museo Civico di Russi (vedi n.16), recentemente riadattato per conservare e valorizzare le collezioni storiche e artistiche variamente legate alla realtà locale. A partire dal 1997 ad oggi sono state istituite tre sezioni: la Pinacoteca, il Museo Archeologico, la Collezione Baccarini. La Pinacoteca ospita sia la raccolta di opere d'arte a tema religioso di proprietà dell'AUSL di Ravenna, sia l'eterogenea collezione di opere d'arte di proprietà comunale. Il Museo Archeologico espone svariati reperti rinvenuti nella Villa Romana di Russi, in particolare nei tre pozzi della casa, svelando al visitatore l'evoluzione di questa importante struttura abitativa e produttiva nonché la storia antica della città. Infine, la Collezione Baccarini mostra un'ampia scelta del fondo archivistico appartenuto ad Alfredo Baccarini.

Speciale nuove adesioni - pag. 7 [2003 - N.18]

Un progetto speciale della Provincia di Rimini, in collaborazione con la Curia Arcivescovile di Rimini e la Sovrintendenza Regionale per i Beni Artistici e Storici di Bologna, per il restauro dell'arte sacra

Rita Giannini - Responsabile Beni e Attività Culturali Provincia di Rimini

A partire dall'anno 1998 e con particolare riferimento alle celebrazioni del Giubileo 2000, la Provincia di Rimini ha avviato un progetto per il restauro di una serie di opere d'arte sacra conservate nelle chiese e nei luoghi sacri del territorio. Con questa particolare iniziativa, dal titolo originario I Colori degli Antichi Splendori si è inteso contribuire in maniera concreta al rafforzamento della memoria storica collettiva e alla valorizzazione di un patrimonio culturale poco conosciuto.
Sono state restaurate più di cinquanta opere d'arte sparse in tutta la provincia, per lo più collocate in chiese ed edifici di culto: tutte le opere sono state incluse nel progetto a condizione che, a restauro avvenuto, fossero poste in luoghi accessibili ai fedeli e in generale al pubblico, volendosi con ciò conferire un significato di "restituzione" delle opere stesse, e delle loro suggestioni, alla gente, ai paesi, alle città. Sono state scelte per gli interventi conservativi non solo le testimonianze d'arte ritenute di maggiore importanza, ma anche quelle meno note ma più significative per le comunità locali: opere con una storia di fede, di consuetudine, di relazione con le donne e con gli uomini, con le loro speranze e i loro drammi.
Si è così provveduto a restaurare e riportare all'antico splendore, tra le innumerevoli opere, non solo il preziosissimo crocifisso trecentesco di Montefiore Conca o La Madonna del Rosario di Giambattista Costa situato nella chiesa di San Giovanni in Marignano; ma anche l'olio su tela Madonna con bambino di ignoto autore, conservato nella chiesa del Suffragio di Santarcangelo di Romagna, i dipinti su tela, pure di autore ignoto, che ritraggono i santi Paolo, Pietro, Giuseppe, Ubaldo e Antonio abate e che sono da più di un secolo oggetto di devozione nella chiesa parrocchiale di Spadarolo.
Visti i lusinghieri risultati conseguiti nel triennio 1998/2000, l'Amministrazione Provinciale ha deciso di continuare nel tempo l'azione così bene avviata: e in effetti, nei anni 2001 e 2002 altre dieci opere, scelte con gli stessi criteri adottati per il nucleo originario, sono state sottratte all'incuria e alle offese del tempo. La prima fase del progetto è stata realizzata con la fattiva collaborazione degli organi diocesani e statali preposti alla conservazione e al restauro, e con la consulenza di una commissione appositamente nominata, diretta da Andrea Emiliani e comprendente membri della Commissione diocesana d'arte sacra e della Sovrintendenza per i Beni Artistici e Storici di Bologna. Il prosieguo del progetto ha visto la proficua collaborazione dei Comuni del territorio, con la consulenza di storici dell'arte locali. Dal progetto è nato un volume, dal titolo L'Arte ritrovata, realizzato con il sostegno della Banca Popolare Valconca.

La pagina del Sistema Museale della Provincia di Rimini - pag. 7 [2004 - N.19]

Inaugurato recentemente il Museo Etnografico di Valliano di Montescudo, con un percorso che accompagna il visitatore alla riscoperta lavorazione artigiana

Sonia Vico - Sonia Vico

L’amore per la terra e la cultura del passato. Spaccati di vita quotidiana e interviste agli artigiani del tempo. Erano gli anni ’70 quando un gruppo di scolari, insieme agli insegnanti coordinati dal maestro Gino Valeriani della scuola media di Montescudo, raccolse arnesi, trascrisse storie popolari e abitudini quotidiane per testimoniare la civiltà contadina e il patrimonio delle genti del luogo. Oggi, dopo un approfondito lavoro di ricerca, catalogazione e allestimento, in collaborazione con il Museo degli Usi e Costumi di Santarcangelo, la preziosa raccolta è conservata nel museo Etnografico di Valliano di Montescudo, inaugurato lo scorso novembre.
La nuova culla dell’arte è ospitata nella canonica del Santuario di Valliano, dedicato a Santa Maria Succurente e custode di ex voto in argento offerti dai fedeli “per grazia ricevuta”.
Un sodalizio tra sacro e profano per avvalorare il viaggio narrativo, oggettivo e fotografico che accompagna alla riscoperta delle arti di lavorazione, presentate nelle varie sezioni del museo, dalla casa come centro del cosmo contadino all’universo dei mestieri artigiani come la macellazione del maiale, la tessitura, la cucina e l’alimentazione, i giocattoli.
Sulla terra e con la terra è la sezione che fa entrare in tre mondi differenti come l’Apicoltura, la Terracotta e i Lavori diversi ma legati da un unico denominatore. Nella prima sottosezione si possono trovare gli arnesi necessari a estrarre il nettare color oro come arnie, telai, smielatore, casa delle api. In quella dedicata all’arte di modellare l’argilla a mano e col torchio, si incontrano scaldini, brocche, tegami, piatti, testi per piadine. La Valconca e soprattutto la terra di Montescudo vantano un’antica produzione di vasi in terracotta utilizzati per il trasporto, la conservazione e la cottura degli alimenti. Il tourbillon di lavori di vita agreste, da quello nei campi alla viticoltura, dall’allevamento del bestiame all’estrazione dell’olio, è rappresentato da: banco per sgranare le pannocchie, rastrello, zappa, piattine per buoi, giogo, caveja, falce, bascula, forma per scarpe, ascia, sega, pialla, trappola per volpi. Nella casa gli attrezzi oltre alla valenza funzionale ne avevano una simbolica. L’aratro, lo strumento per solcare la terra, che consente all’uomo di renderla produttiva, era usato esclusivamente dall’uomo.
Con la casa e nella casa è la sezione che comprende: la macellazione del maiale, la cucina e l’alimentazione, i giocattoli e la famiglia, la filatura e la tessitura.
Nelle stanze più asciutte e arieggiate della casa (come ancor oggi d’inverno) avveniva l’uccisione del maiale e per farlo si utilizzavano una serie di arnesi come: insaccatrice, ascia, pressa per i ciccioli, cassetta per il maiale, macchina per salsicce, coltello. Nella cucina o “reggia al femminile” si provvedeva all’alimentazione con tagliere e coltello, vaglio per passare i pomodori, lumino, battilarda, mestolo, ferro per fare i passatelli, madia, testo, setaccio, mattarello. Nell’angolo dei balocchi i bambini si divertivano con schioppetto di canna, disco di legno da lanciare, slitta, caratella e altri giocattoli costruiti in casa. Nelle veglie serali le donne filavano nella stalla con telaio, filo, paletta per fare l’ordito, navetta, fuso gramola e pettine per la canapa, aspo, incannatoio. Uno spazio della sezione è dedicato all’industria tessile fondata a Montescudo nel 1927 da Giuseppe Magnanelli e Silvino Selva, operativa fino al dopoguerra per tessuti per corredi, tovaglie, lenzuoli e vele marinare.
Per alcuni “ferri da mestiere” utilizzati per la tessitura risuona la valenza simbolica: la rocca, il fuso, la filatura, nella mitologia, simboleggiavano la vita.
La sezione speciale è dedicata alla Stampa su tela che si avvale di telai, tele stampate, stampi.
Il Museo si trova in via Valliano, 23 a Montescudo ed è aperto su prenotazione per le scolaresche e i gruppi (per informazioni: tel. 0541.984273; fax 0541.984455; e-mail montescudo@tin.it. Orario: mercoledì e venerdì 9-12, domenica e festivi 15-18.30).

La pagina del Sistema Museale della Provincia di Rimini - pag. 7 [2004 - N.20]

Nel corso del mese di novembre si è svolta, nel riminese, l’iniziativa Museiaperti2004

Sonia Vico - Collaboratrice Servizio Beni e Attività Culturali Provincia di Rimini

Gli undici musei della Provincia di Rimini, anche quest’anno, hanno riaperto le porte gratuitamente e di domenica.
A partire dal 7 novembre e a seguire per le altre domeniche di novembre (14, 21, 28) ogni museo del territorio, che fa parte del Sistema Museale Provinciale, ha fatto scoprire ai numerosi visitatori i propri “tesori”. L’iniziativa MuseiAperti2004, promossa dall’Assessorato alla Cultura ed Identità della Comunità della Provincia di Rimini, è giunta con successo alla 4a edizione.
Per l’evento i musei sono diventati palcoscenici di 44 concerti di musica classica, moderna, popolare, eseguiti da giovani musicisti del territorio. L’iniziativa provinciale grazie alla collaborazione con l’Istituto Musicale Parificato “G. Lettimi” di Rimini, vuole abbinare oltre al momento culturale anche quello musicale dando la possibilità a studenti e giovani musicisti del territorio di esibirsi e, contemporaneamente di conoscere i musei.
In calendario per gli undici percorsi d’arte, sparsi nella provincia e a pochi chilometri l’uno dall’altro, anche singole iniziative come visite guidate con esperti, spettacoli per bambini e spuntini. Naturalmente anch’essi gratuiti. Non facile la scelta di andare nell’uno o nell’altro museo, visto il ricco programma e le particolari caratteristiche di ogni “culla” dell’arte. L’iniziativa, in primo luogo, ha voluto fare conoscere, frequentare e vivere il museo alle famiglie e ai bambini grazie all’ingresso libero e agevolato, e agli orari prolungati in una giornata in cui non ci sono né scuola né lavoro.
Per grandi e piccini è stato interessante volare alla ricerca di mondi perduti come al Museo Paleontologico di Mondaino e al Museo Civico Archeologico di Verucchio; e per coloro che hanno avuto nostalgia dei tempi passati andare al Museo Etnografico Valliano di Montescudo e al Museo degli Usi e costumi della gente di Romagna di Santarcangelo di Romagna. Per i curiosi dell’arte e della marineria sono stati consigliati il Museo della Città di Rimini e il Museo della Regina di Cattolica. Per sapere qualcosa in più sulle radici locali è bastato varcare la soglia del Museo del Territorio di Riccione, mentre sul periodo bellico entrare al Museo della Linea dei Goti a Montegridolfo. E ancora, per gli appassionati di cinema quello su misura è stato il Museo Federico Fellini a Rimini, mentre per gli amanti della natura e dei chirotteri il posto giusto si è rivelato il Museo Naturalistico di Onferno a Gemmano. Infine i cultori dell’arte sacra hanno scelto il Museo di Saludecio e del Beato Amato a Saludecio.
“La proposta che presentiamo – spiega Marcella Bondoni, assessore alla Cultura ed Identità della Comunità della Provincia di Rimini – formata da ben undici percorsi d’arte, a pochi chilometri l’uno dall’altro, è in grado di attrarre per le specificità dei musei del nostro territorio un vasto pubblico e allo stesso tempo di trasformarsi in un luogo d’incontro non più statico, freddo e sonnolento ma in un mondo vicino alla gente e della gente dove scoprire, in maniera del tutto accattivante, bellezze passate e contemporanee. Gli obiettivi dell’iniziativa MuseiAperti2004 – continua l’Assessore Bondoni – hanno ribadito l’importanza di stimolare la curiosità e l’attenzione del pubblico per luoghi prestigiosi e un patrimonio culturale così vicino eppure per molti, così lontano. Colgo l’occasione per continuare a invitare sempre a conoscere il nostro territorio e le sue meraviglie d’altri tempi e di oggi”.

La pagina del Sistema Museale della Provincia di Rimini - pag. 7 [2004 - N.21]

È essenziale che le Pubbliche Amministrazioni pongano a salvaguardia dei propri musei personale di stretta formazione tecnico-scientifica

Servizio Beni e Attività Culturali della Provincia di Rimini

Il Sistema dei Musei della Provincia di Rimini comprende attualmente 12 musei, vale a dire il Museo della Regina di Cattolica, il Museo Naturalistico della Riserva Naturale Orientata di Onferno-Gemmano, il Museo Paleontologico Comunale di Mondaino, il Museo della Linea dei Goti di Montegridolfo, il Museo Etnografico di Valliano di Montescudo, il Museo del Territorio di Riccione, il Museo della Città di Rimini, il Museo della Culture Extraeuropee “Dinz Rialto” di Rimini, il Museo Fellini di Rimini, il Museo di Saludecio e del Beato Amato di Saludecio, il MET – Museo degli Usi e Costumi della Gente di Romagna di Santarcangelo di Romagna ed il Museo Civico Archeologico di Verucchio. Ad essi andranno ad aggiungersi altre realtà in corso di elaborazione e di allestimento, come per esempio il Museo della Piccola Pesca e delle Conchiglie di Viserbella di Rimini, il Museo “Villa Franceschi” - Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea di Riccione ed il nuovo Museo Storico Archeologico di Santarcangelo di Romagna.
Le caratteristiche di ciascuno (storico-documentarie, archeologiche o etno-antropologiche) richiedono in primo luogo ambiti di specializzazione e, talora, di formazione differenti del personale che vi opera ed in particolare del curatore, che rappresenta spesso l’unica figura stabile operante nell’Istituto. Trattandosi per lo più di piccoli musei, ad eccezione del Museo della Città di Rimini e, in parte, del MET di Santarcangelo, ognuno di essi si scontra quotidianamente con l’esigenza di garantire servizi e accessi che lo rendano a tutti gli effetti una struttura vitale ed attiva, in cui svolgere attività ordinarie e straordinarie ed orari di apertura che consentano la maggiore e migliore fruizione possibile. A ciò si aggiunga la crescente domanda scolastica, che diviene ogni giorno più articolata ed esigente. Se dunque è essenziale a tal fine l’adeguamento agli standard qualitativi fissati dalla Regione Emilia-Romagna per quanto riguarda l’organizzazione delle esposizioni e dei sistemi di sicurezza, non meno fondamentale è l’apporto fornito da chi vi opera. Per garantire con pienezza e continuità i servizi su cui è chiamato ad operare, ciascun Museo dovrebbe avere stabilmente un organico costituito da un direttore, talora coincidente con il curatore, da un curatore con uno o più collaboratori che intervengano in fase di predisposizione dei progetti, nella gestione dei magazzini, nell’attività di conservazione, documentazione e valorizzazione del materiale depositato e custodito presso l’Istituto e nella didattica e nella organizzazione di visite guidate. Altre figure da prevedere nell’organico sarebbero da destinare alla custodia del museo ed alla cura dell’amministrazione e della segreteria.
Dal momento che nessun piccolo museo può avere al proprio interno tante figure così fortemente caratterizzate, ciascuno di essi ricorre a formule differenti, ma sostanzialmente riconducibili a poche categorie: a) riunione di una molteplicità di funzioni nella stessa persona; b) esternalizzazione di alcuni servizi (in particolare per l’apertura, le visite guidate, la didattica); c) contratti esterni temporanei su singoli progetti; d) collaborazioni con associazioni di volontariato o con le locali Pro Loco; e) stretta relazione con altri settori comunali quali l’Ufficio Lavori Pubblici o al Patrimonio per la gestione e la manutenzione dell’edificio museo e con le segreterie di altri settori per la gestione amministrativa e contabile.
Si tratta di soluzioni talora sufficientemente funzionali e funzionanti, talora di ripiego. Tuttavia di un aspetto si dovrebbe sempre e comunque tenere conto, vale a dire che un museo vive e opera con efficacia solo se mantiene figure costanti di riferimento, che svolgano quotidianamente e con competenza la propria attività e che siano in grado di risolvere con immediatezza eventuali necessità o quantomeno di individuare di volta in volta gli ausili tecnici idonei al raggiungimento degli obiettivi prescelti.
Diviene pertanto essenziale che le Pubbliche Amministrazioni pongano a salvaguardia dei propri musei personale di stretta formazione tecnico-scientifica in relazione al campo di pertinenza del singolo museo, cui deve essere affidata la gestione e la programmazione dell’Istituto. Anche i collaboratori occasionali, chiamati ad intervenire sulle specifiche necessità, dovrebbero possedere un bagaglio formativo corretto e strutturato secondo precise competenze tecniche, o scientifiche, o tecnico-scientifiche. Le stesse società cui vengono affidati appalti o contratti devono mettere a disposizione personale adeguato al servizio richiesto.
Non meno indispensabile è che le Pubbliche Amministrazioni operino affinché il museo diventi un luogo della città, che mette a disposizione della popolazione spazi di discussione, di studio e di ricerca sulla propria storia, fornendo strumenti essenziali alla conoscenza e alla comprensione della realtà urbana e sociale. Diviene pertanto sempre più urgente la creazione di staff tecnici, anche piccoli, che consentano di operare con continuità e di avviare programmazioni articolate e certe.

La pagina del Sistema Museale della Provincia di Rimini - pag. 7 [2005 - N.22]

Disegnatrice di moda ed esperta di storia dell’abbigliamento, Emma Calderini collaborò anche alla realizzazione di film e sceneggiati televisivi

Franco Gàbici - Capo Reparto delle Attività scientifiche e museali del Comune di Ravenna

Trent’anni fa, il 4 marzo del 1975, moriva a Madesano (Parma) la famosa costumista ravennate Emma Calderini. Nata a Ravenna il 13 febbraio del 1899, Emma studiò prima alle Magistrali quindi, spinta dalle sue versatilità artistiche, passò alla Accademia di Belle Arti sotto la guida del maestro decoratore Guerrini. Contemporaneamente - e ciò è la riprova di una sua spiccata versatilità artistica - si iscrive anche all’Istituto musicale Verdi per imparare a suonare l’arpa. A vent’anni la Calderini è già “pubblicista” e inizia a collaborare alle riviste femminili “Lidel”, “Moda” e “Grazia” come esperta di abbigliamento e distinguendosi come disegnatrice di moda e figurinista, quindi dopo la morte dei genitori si trasferisce definitivamente a Milano nel 1922 dove collabora ad “Alba”, “Domenica del Corriere” e “Ambrosiano”.
In particolare si interessò ai vestiti di tutti gli ordini religiosi, incoraggiata da monsignor Giovanni Battista Montini (il futuro papa Paolo VI) che le fece ottenere uno speciale lasciapassare che le avrebbe consentito di entrare anche nei conventi di clausura.
Nel 1925 la Calderini inizia la sua carriera di costumista teatrale richiamando su di sé l’attenzione per i costumi disegnati nella rassegna del teatro greco di Agrigento. Dieci anni dopo pubblica da Sperling & Kupfer Il costume popolare in Italia, che resta la sua opera principale e che fu definita “coraggiosa, anzi eroica”. Prima opera in Italia di questo genere, fu accolta benevolmente dalla critica che riconobbe alla sua autrice qualità e gusto non comuni nel mettere assieme questa straordinaria storia fatta da bellissimi figurini stilizzati. Nel frattempo il Ministero della Pubblica istruzione le aveva affidato l’incarico di riordinare i costumi del Museo di etnografia italiana di Tivoli, un progetto al quale Emma Calderini dedicherà quattro anni di lavoro.
Ormai Emma è una autorità nel settore e nel 1937 la troviamo a Rodi, invitata dal Governatore dell’isola per allestire una sezione del costume presso il Museo etnografico dell’isola.
Nel 1951 è al Centro delle arti e del costume di Palazzo Grassi a Venezia come consulente per i costumi. Nel 1955 disegna i costumi per le manifestazioni del settembre dantesco di Ravenna, alcuni dei quali sono oggi conservati dalla associazione storica “Quelli del Ponte”. Trattandosi di costumi storici, sarebbe opportuno dare loro una degna sistemazione.
Negli anni Cinquanta inizia la collaborazione a cinema e televisione e per il regista Bragaglia disegna i costumi de La cortigiana di Babilonia. Non trascura, tuttavia, gli studi e ricerche e nel 1964 pubblica ancora per Sperling & Kupfer il volume Acconciature antiche e moderne con oltre mille disegni dalla antica Grecia ai tempi moderni.
Negli ultimi anni della sua vita collabora stabilmente con la Rai e il suo nome compare in una cinquantina di lavori fra i quali i più famosi restano i costumi disegnati per gli sceneggiati televisivi di Sandro Bolchi I Promessi Sposi e Il Mulino del Po.

Personaggi - pag. 7 [2005 - N.23]

È stata condotta dal Dipartimento di Storia e Metodi per la conservazione dei beni culturali l’indagine storico-iconografica e diagnostica degli affreschi di Palazzo Maioli di Ravenna

Salvatore Lorusso, Chiara Matteucci, Andrea Natali, Ada Foschini - Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali Università di Bologna (Sede di Ravenna), Laboratorio del Restauro s.r.l., Ravenna

Gli affreschi, rinvenuti a Palazzo Maioli di Ravenna sono stati oggetto di una indagine analitica sia durante che dopo i lavori di restauro eseguiti dal Laboratorio del Restauro.
L’edificio, risalente al periodo della dominazione veneziana nella città romagnola (1447-1509), appartenne per secoli alla nobile famiglia dei Maioli, originaria di Faenza. Le pareti interessate presentano quattro “livelli affrescati”, ovvero quattro periodi temporali in cui sono stati effettuati gli affreschi. Il primo si suppone del periodo di costruzione dell’edificio, il secondo è quello studiato, il terzo è riconducibile, in base agli elementi stilistici del periodo pompeiano, al Settecento, mentre il quarto si fa risalire alla fine dell’Ottocento, poiché la parte decorativa è caratteristica di quel periodo (ci si riferisce a decorazioni a stencil, ovvero secondo la tecnica artistica che implica applicazione di pitture, inchiostri o colori tramite particolari mascherine).
Lo studio sperimentale effettuato su due tipologie di campione di affresco (scelte in base ai pigmenti in essi presenti: giallo e nero) ha riguardato:
- la videomicroscopia a scopi documentari e conoscitivi;
- la colorimetria, al fine di definire le componenti della cromaticità;
- la spettrometria di fluorescenza a raggi X per caratterizzare i pigmenti utilizzati;
- l’analisi termica allo scopo di delineare la tipologia di intonaco.
Dai risultati delle suddette indagini diagnostiche risulta che in riferimento alle riprese ottenute con la videomicroscopia, tali immagini forniscono inizialmente utili informazioni descrittive dei costituenti dei frammenti di affresco, che saranno confrontate con quelle effettuate successivamente in tempi diversi, potendo così seguire gli effetti di ordine qualitativo e quantitativo (alterazioni e degradazioni degli strati superficiali) dell’interazione fra manufatto e ambiente di conservazione.
Risulta inoltre che per quanto concerne lo spettro colorimetrico derivante dall’analisi del giallo si evidenzia che la lunghezza d’onda dominante si trova a 580 nm (caratteristica del giallo). Per quanto riguarda il suo spazio colore, si può notare che è un giallo molto luminoso (L* = 73,42) e si trova più nella zona dei gialli veri e propri che in quella degli arancioni dal momento che il valore b* è molto più alto rispetto ad a*. Per quanto riguarda il campione nero scuro e il campione nero, dall’analisi dei risultati si è potuto constatare che effettivamente appartengono alla scala dei grigi, escludendo così la possibilità che rientrino nella classe dei bruni: infatti il valore di a* e di b* rientrano, per il primo, nella scala dei neri e, per il secondo, in quella dei grigi; possiamo, dunque, parlare di un nero scuro per il primo e di un grigio chiaro per il secondo campione.
Ancora, risulta che per quanto concerne i dati ottenuti dalla fluorescenza a raggi X supportati da quelli ottenuti dalla colorimetria, il pigmento caratterizzante il giallo risulta costituito sostanzialmente da ossido di piombo mentre il nero è composto nella maggior parte da carbonio e da impurezze varie.
Infine, per quanto concerne i dati ottenuti dall’analisi termica, risulta che i campioni oggetto di studio sono costituiti da una malta di calce aerea con una debolissima idraulicità e da inerti probabilmente di sabbia contenente frammenti calcarei in un rapporto legante-inerte pari a 1:1,5 per il campione giallo e pari a 1:2 per il campione nero.

La pagina della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 7 [2006 - N.25]

Col progetto GIANO si è realizzato un sistema integrato per la gestione delle decorazioni musive

Giuseppe Maino - ENEA e Università di Bologna Facoltà di Conservazione dei beni culturali

Che cosa è la realtà virtuale? Una disciplina scientifica, un gioco, un’applicazione più o meno ‘intelligente’ di tecniche matematiche e computazionali? Dai videogiochi agli effetti speciali del cinema hollywoodiano per passare alle ricostruzioni tridimensionali dei siti archeologici, la realtà virtuale è entrata nel linguaggio corrente e nell’esperienza comune. Se vogliamo tentarne una definizione precisa, potremmo individuarla come la rappresentazione realistica in un formato digitale di un fenomeno non necessariamente reale. Di qui la valenza gnoseologica dello strumento ‘realtà virtuale’ che può essere applicato a studi prettamente scientifici – archeologia computazionale, musei virtuali ecc. – come al campo dell’edutainment.
Nell’ambito del progetto internazionale di ricerca GIANO (Grafica Innovativa per il Patrimonio Artistico Nazionale e per l’Occupazione giovanile), da me diretto e promosso dall’ENEA di Bologna con la collaborazione della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell’Università di Bologna, è stato realizzato un sistema informatico prototipale di realtà virtuale per la gestione e la fruizione di decorazioni musive.
È stato sviluppato un sistema integrato (hardware e software), implementato presso il CETMA (Centro di Progettazione, Design & Tecnologie dei Materiali) di Brindisi, che consente l’archiviazione multimediale ed ipertestuale di informazioni di tipo storico-critico e tecnico-scientifico sulle opere e sui restauri storici cui sono state sottoposte nel tempo, consentendo all’utente un accesso dal web per l’effettuazione di operazioni di input ed output dei dati, ed offrendo allo stesso tempo i vantaggi consentiti dall’utilizzo di metodologie grafiche innovative come la computer graphics e la simulazione di realtà virtuale.
Il sistema comprende due strumenti per l’organizzazione dei dati: un gestore di caricamento di dati collegato ad un database contenente informazioni multimediali sulle opere, ed uno strumento per la rappresentazione grafica tridimensionale di un contenitore architettonico (museo) navigabile e per la creazione di esposizioni virtuali di mosaici.
Il sistema integrato si compone di un’applicazione stand-alone, che comprende una postazione locale ad alta definizione e un’applicazione specifica per l’accesso remoto. Per la costruzione e l’organizzazione della base di dati, ci si è attenuti agli standard stabiliti dall’ICCD, conferendo loro interattività, aggiornabilità dei dati dalla rete, multimedialità, che si profilano come strumenti critici altrettanto importanti delle abituali descrizioni testuali. Cura particolare è stata dedicata alla presentazione dei dati scientifici che caratterizzano le tematiche del restauro e dello stato di conservazione del mosaico stesso.
Uno dei tanti fattori di innovazione di questo progetto è costituito dalla realizzazione di un museo virtuale tridimensionale dei mosaici parietali del Mediterraneo dal IV al XIV secolo. Il sistema software di animazione tridimensionale e di navigazione virtuale è stato sviluppato sia nella versione su server centrale, sia in una versione stand-alone, configurabile a piacere dell’utente in modalità locale, anche su PC, con eventuale connessione al server remoto. Come già illustrato sopra, il sistema si compone di due strumenti per l’organizzazione dei dati, precisando che per museo ideale dei mosaici si intende un ambiente tridimensionale nel quale l’utente può navigare in totale immersione con l’ausilio di device esterni, il mouse o il flybox, dispositivi interattivi che permettono di navigare dentro l’ambiente simulato, che rappresenta una sorta di spazio laboratorio, nel quale si trovano posizionate le decorazioni musive selezionate dall’allestitore.
Infine, la simulazione al computer di un percorso di visita virtuale trova complemento nell’applicazione di un GIS (Geographic Information System) all’analisi del mosaico, sperimentata mediante l’integrazione dei dati ottenuti da scansione laser tridimensionale, utilizzando software quale Rhinoceros 3.0 e ArcGis 8.01. Il GIS amplia, in definitiva, il singolo sistema della banca dati permettendo una visualizzazione immediata degli attributi su di un modello-copia dell’opera indagata. Il rilievo manuale a contatto, la realizzazione di tavole tematiche, i rilievi fotografici o tridimensionali tramite calco sono tutti aspetti che possono facilmente essere riassunti all’interno di un sistema informativo, con conseguente risparmio di tempo e con un notevole incremento di oggettività nella acquisizione e nella gestione del lavoro.

La pagina della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 7 [2006 - N.26]

Contenuti e metodologia della catalogazione nell’ambito delle finalità istituzionali

Nicoletta Urbini - Responsabile dell'Ufficio Catalogo della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Ravenna

Parlando di catalogazione oggi, viene spontaneo ripensare ai principi teorici ed agli intenti che hanno accompagnato lo sviluppo della disciplina, nell’ambito dell’Amministrazione dei Beni Culturali, attraverso l’elaborazione di modelli complessi scaturiti dal procedere dell’attività sul campo, nel vivace dibattito culturale che ha accompagnato l’emergere di questo importante settore tecnico-sperimentale, e dal consolidarsi del concetto di bene culturale in senso sempre più esteso e dinamico.
E per chi se ne occupa da tanto tempo si accompagna anche la volontà di far emergere il livello della catalogazione dal “sommerso” in cui un certo atteggiamento diffuso tende a relegarlo, appiattendolo tra le attività di routine dell’Amministrazione.
Il fondamentale carattere scientifico e storico che da sempre ha contraddistinto la catalogazione quale ricerca volta alla conoscenza del patrimonio culturale, ha trovato una naturale evoluzione nella svolta metodologica che ha contrassegnato il passaggio ad una impostazione di tipo relazionale, con l’obiettivo finale di una lettura globale del territorio, analizzato nella stratificazione e nella connessione delle varie componenti.
La catalogazione non si configura, infatti, come un insieme numerico di realtà significative descritte dai relativi documenti prodotti, ma si identifica bensì come un’operazione, dettata da meccanismi analitici e sintetici, più elaborata e indirizzata alla valorizzazione del complesso patrimonio culturale nazionale, attraverso il riconoscimento delle omogeneità e delle connessioni tra i beni per la ricostruzione degli insiemi, siano essi di tipo quantitativo o compositivo, mediante una tipologia di rilevamento globale e interdisciplinare.
Il processo conoscitivo espresso dalla catalogazione deve consentire la lettura del bene più ampia ed articolata possibile nelle interrelazioni spazio-temporali, che partendo dalla situazione attuale ne valorizzi la specificità e la natura relazionale, consistendo l’oggetto del catalogare non tanto nell’unicum irripetibile, quanto piuttosto nell’insieme delle testimonianze che ne formano il tessuto e che risultano significative proprio nella loro azione di trama portante.
In questo modo si evidenzia la natura estremamente dinamica del nostro sistema dei beni culturali e le conseguenti problematiche e sfaccettature che il processo catalografico inevitabilmente comporta a livello di comprensione, rappresentazione e sistematizzazione informatica.
Proprio il processo di informatizzazione, con le potenzialità di ricerca e di ordinamento, si è rivelato il naturale strumento per la facile fruizione della poliedrica realtà culturale, ferma restando l’importanza della correttezza documentale, rivolta sia alla specificità dell’oggetto di indagine, sia al recupero integrato delle informazioni; le due istanze procedono comunque su piani convergenti in quanto il processo conoscitivo indirizza alla regolare sistematizzazione dei contenuti informativi, mentre la richiesta comunicativa ne razionalizza “il ritorno”.
Nel complesso quadro che si è venuto a creare nell’ambito delle ripartizioni delle funzioni istituzionali (Stato e Regioni) tra la crescita delle tecnologie informatiche e l’aggiornamento metodologico (il tutto finalizzato alla piena attuazione del SIGEC), si rilevano comunque difficoltà operative per chi lavora alla periferia istituzionale e direttamente sul territorio come le Soprintendenze, le quali si trovano a coniugare le funzioni di presidio della tutela con il processo globale di “modernizzazione”, in una situazione non sufficientemente sostenuta da finanziamenti e da specifiche risorse in organico, e non favorita da una costante concertazione, a livello territoriale, attraverso la comunicazione e la pianificazione di strategie condivise.

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 7 [2006 - N.27]

Che succede se un vecchio e polveroso museo viene invaso dalla i-Pod generation?

Elisa Emaldi - Servizi educativi

Prendiamo un museo, uno di quei vecchi contenitori polverosi che raccolgono storie e oggetti del passato. Facciamolo "invadere" da un gruppo-classe, mosso dalla sana curiosità che ancora, per fortuna, abita il cuore della i-Pod generation. Che cosa succederà? Che il turbinio delle giovani menti, sollecitate da dinamiche e percorsi appositamente studiati e accuratamente preparati da personale formato ed entusiasta, riuscirà a sollevare il velo di polvere in un processo di "addomesticamento" reciproco, secondo la lezione della volpe al Piccolo Principe.

Per questo, i Servizi educativi della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Ravenna hanno proposto anche per l'anno scolastico 2006-2007 percorsi didattici rivolti alle classi delle scuole di ogni ordine e grado.

I percorsi si prefiggono come obiettivi formativi la sensibilizzazione dei ragazzi nei confronti del patrimonio artistico-architettonico in una proficua (e si spera non sporadica) interazione scuola-museo.
Ogni percorso ha alla base una trama ben strutturata sintetizzata da un titolo-tema e si snoda negli ambienti del Museo Nazionale con il fine di sollecitare l'entusiasmo di conoscere, provare meraviglia e stupore di fronte a oggetti "speciali", in una divertente "caccia all'opera" (Caccia all'opera... al Museo Nazionale, Cercando il paradiso... al Museo Nazionale, Caccia all'opera... la Natività al Museo Nazionale, Il Giardino dei semplici... al Museo Nazionale, Gli affreschi trecenteschi da Santa Chiara: immagini e tecnica). L'invito a conoscere, ben attento a non provocare nel pubblico già sovrastimolato della civiltà dell'immagine un'overdose di impressioni superficiali, è l'occasione per scoprire diversi materiali, tecniche esecutive e periodi artistici.

Nel caso dei due percorsi didattici legati ad un approfondimento storico, volti a migliorare la conoscenza del mondo romano (Le stele classensi), ed egizio (Ma quanto pesa l'anima?), si è scelto di rendere gli alunni ancora più attivi, attraverso atelier creativi e laboratori teatrali. Così i ragazzi, secondo le dinamiche del gioco di ruolo, con spontaneità ma senza improvvisazione, si caleranno nei panni (e non in senso figurato) di antiche divinità egizie, o impugneranno gli strumenti dei lapicidi romani.

Essendo il Museo Nazionale parte viva del panorama culturale della città e la Soprintendenza l'istituto delegato alla protezione degli inestimabili beni storico-architettonici patrimonio dell'umanità, si è pensato di svolgere alcuni itinerari all'interno dei siti monumentali più prestigiosi di Ravenna, tra i quali le basiliche di S. Vitale e di S. Apollinare in Classe. Nello specifico, si tratta di un viaggio dal passato al presente, con un coinvolgimento attivo della classe per mezzo del dialogo: l'attenzione è rivolta alla lettura iconografica dei mosaici e alle problematiche relative a tecnica e restauro musivo.

Attività ludico-creative e materiale didattico di supporto completano gli itinerari didattici rafforzandone i contenuti educativi e rendendo l'esperienza-museo un momento speciale. Punto di orgoglio per i Servizi educativi del Museo Nazionale è l'allestimento di un apposito spazio dedicato ai laboratori e ai momenti di "riflessione pratica" al termine del percorso vero e proprio. In una accogliente mezzanina, con vista sull'antico corridoio della tinazzara, si trova la saletta didattica, pavimentata a parquet e "tappezzata" con cartelloni, addobbi floreali, giardini zen e animali fantastici. Si crea così, insieme ai ragazzi, uno spazio di tranquilla e colorata armonia, in cui si producono gli oggetti e i legami dell'addomesticamento.

Inoltre, dal 2007 saranno a disposizione degli insegnanti quaderni didattici arricchiti e rinnovati anche nella veste grafica, materiale che si auspica di supporto proficuo ad approfondimenti delle tematiche affrontate all'interno degli spazi e dei tempi scolastici.

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 7 [2007 - N.28]

Le collezioni di due abbazie e di alcune famiglie nobiliari sono all'origine della nascita del Museo Nazionale di Ravenna.

Cetty Muscolino e Federica Cavani - Museo Nazionale di Ravenna

Il Museo Nazionale, costituito a partire dal XVIII secolo grazie all'erudita attività dei monaci camaldolesi di Classe, si è arricchito gradualmente tramite donazioni private, acquisizioni, materiali provenienti da chiese, conventi e palazzi cittadini e reperti rinvenuti nel territorio ravennate in occasione di scavi fortuiti o stratigrafici. Si configura pertanto come un vasto insieme di raccolte eterogenee, riconducibili sostanzialmente a tre gruppi fondamentali: il lapidario, i reperti da scavo e le collezioni di arte cosiddetta minore, dove predomina il lascito classense.

La storia del Museo Nazionale lega quindi le due grandi abbazie di Classe e di San Vitale, intrecciandosi alle trasformazioni dei luoghi e all'evoluzione dei criteri che hanno orientato nel tempo le scelte espositive e le metodologie di restauro. Dagli Annali del Fiandrini è noto che alle raccolte del Museo contribuirono in maniera consistente alcune nobili famiglie ravennati fra cui i Rasponi, i Grossi, i Bacinetti e i Vitelloni.

I Rasponi, suddivisi in vari rami di discendenza, possedevano palazzi e dimore signorili entro e fuori città, nei quali custodivano anche, come era tradizione delle nobili famiglie, prestigiose opere d'arte e raccolte di materiali marmorei. I materiali facenti parte della collezione dei conti Rasponi sono di provenienza diversa, alcuni da rinvenimento archeologico, dai poderi Rasponi nel ravennate, nella Toscana e nell'Umbria, altri di provenienza antiquaria o da acquisto non documentato, come nel caso della collezione glittica che vanta più di 200 pezzi estremamente eterogenei fra loro. Questa collezione figura in un vecchio inventario del Museo datato 1896, alla voce: "Gemme donate dalla Sig.ra Luisa Murat in Rasponi".

Alcuni reperti sono di particolare interesse e fra questi si segnala un frammento del XVI-XVII secolo che raffigura un gallo o un uccello simile, volto verso sinistra con ala abbassata e coda diritta, posto su un terreno reso con erba e sassi. Nella simbologia cinese il gallo, omofono di fortunato, veniva utilizzato negli antichi riti contro gli spiriti. L'intaglio, nell'insieme abbastanza curato, presenta alcuni punti schematici tanto da far pensare ad un prodotto orientale, probabilmente cinese, di XVII secolo, in stile naturalistico, destinato all'esportazione.
Potrebbe trattarsi di un frammento di coperchio cilindrico in ambra opaca utilizzato per chiudere una tabacchiera a flacone o Snuff Bottle. Destinate a contenere inizialmente medicinali e in seguito tabacco da fiuto polverizzato e aromatizzato con polvere di menta, canfora, gelsomino o di altre piante e fiori, le Snuff Bottles furono prodotte a partire dal XVII secolo. Spesso il tappo era intarsiato, intagliato, scolpito, inciso, laccato, smaltato o dipinto in materiale diverso da quello della bottiglietta; le forme potevano richiamare animali, uova, frutti, sassi o piccoli personaggi umani. A metà del XVII secolo se ne iniziarono a produrre di poco raffinate perché destinate ai cavalieri mancesi. Dal 1680 al 1780 le botteghe artigianali del Palazzo Imperiale Cinese produssero tabacchiere di alta qualità come articolo da regalo o di gratifica, mentre in periferia ne venivano prodotte in materiali estremamente eterogenei. Tra i vari materiali usati l'ambra è uno dei più leggeri e viene considerato dai cinesi come l'emblema della longevità. Destinate in parte al Vecchio Continente che cominciò ad apprezzare la produzione artistica cinese, in primis attraverso la porcellana, queste tabacchiere, di diversa grandezza, diventarono oggetti da collezione.

Alcuni manufatti lapidei, donati dai conti Rasponi nella seconda metà dell'800, sono oggi fra i reperti più prestigiosi del Museo Nazionale, quali per l'appunto il famoso rilievo con Ercole che cattura la cerva di Cerinea, anticamente esposto nel Palazzo Arcivescovile, e la nota stele del faber navalis Publio Longidieno, testimonianza della vivace attività del porto di Classe. La scultura di Ercole illustra la terza fatica dell'eroe, rappresentandolo in tutta la sua prestanza fisica, mentre cerca di sottomettere l'animale, afferrandolo per le corna. L'iconografia mitologica e lo stile denunciano la provenienza da un atelier costantinopolitano, testimoniando un intenso legame fra Ravenna e la capitale d'oriente.

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 7 [2007 - N.29]

Con l'Università alla scoperta di una civiltà da tutelare.

Andrea Piras - Università di Bologna - Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali

Dal 1 al 23 agosto 2007 la Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna ha compiuto un viaggio di studio nella Repubblica del Tajikistan per organizzare la prima missione etnolinguistica nella Valle dello Yaghnob, a tutela di un patrimonio culturale fortemente a rischio di involuzione e scomparsa: quello dell'etnia Yaghnob e della lingua yaghnobi, erede dell'antico idioma sogliano, lingua franca del commercio e di intensi scambi culturali, diffusa specialmente lungo il percorso carovaniero della Via della Seta, per secoli tragitto di circolazione di idee, consuetudini, religioni, storie e miti, oltre che di merci di pregio.

La missione - diretta da Antonio Panaino - è un punto di partenza di future esplorazioni in questa area, grazie a proficui rapporti di collaborazione con l'Accademia delle Scienze del Tajikistan e della sua capitale Dushanbe, che hanno inaugurato, un mese prima della partenza, l'importante appuntamento della Summer School di lingua yaghnobi, svoltosi a Ravenna presso il Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali e tenuto da Sayfiddin Mirzoev, madrelingua yaghnobi e professore presso l'Istituto di Lingue dell'Accademia delle Scienze del Tajikistan: si è trattato di un seminario intensivo che ha coinvolto studenti italiani e stranieri, giunti a Ravenna grazie a una partnership internazionale che, oltre alle Università di Bologna, Roma e Napoli, coinvolge l'Istituto Italiano per l'Africa e l'Oriente, l'Accademia delle Scienze dell'Austria e l'Accademia delle Scienze di Berlino, l'Università di Bruxelles e la School of Oriental and African Studies di Londra.

L'area di intervento della spedizione si trova nell'alta valle dello Zaravshan superiore, nella parte settentrionale del Tajikistan e in zone impervie tra i 2500 e i 3000 metri che possono essere percorse a piedi o a dorso di mulo, in una situazione di incomunicabilità non certo proficua per la tutela della comunità, diffusa in 16 villaggi. È in questa condizione di inaccessibilità che le comunità degli Yaghnob hanno perpetuato nei secoli la loro eredità linguistica, non senza difficoltà, specialmente negli anni'70 del secolo scorso, periodo in cui subirono pesanti deportazioni tali da rappresentare un caso etnopolitico di fastidioso imbarazzo per il governo tajiko e per l'URSS.

L'Ateneo di Bologna non è nuovo a questa prospettiva, che coniuga scienza e diplomazia accademica: da diversi anni, la missione archeologica di Maurizio Tosi in Uzbekistan e a Samarcanda testimonia una presenza dell'Italia e della nostra Università in uno scenario geo-politico di notevole valore culturale oltre che di delicata importanza strategica. La missione nella Valle dello Yaghnob conferma una vocazione che unisce alla progettualità anche valori non meno importanti della ricerca scientifica: quali la sensibilità verso etnie e culture minacciate nella loro sopravvivenza, vuoi per difficili condizioni ambientali, vuoi per mancanza di servizi di base e di infrastrutture efficienti. Il compito fondamentale di una istituzione che abbia come ragione statutaria e metodologica la "conservazione del bene culturale" ha trovato nella Valle dello Yaghnob un banco di prova per mettere a frutto non solo le sue competenze professionali e disciplinari ma anche il valore aggiunto, primario e umanitario, della tutela e della salvaguardia, oltre che degli oggetti della ricerca, dei soggetti etnici creatori e fruitori dei beni in questione.

In tal senso l'aspetto medico e sanitario della missione, garantito dalla presenza di due medici e di un farmacista, è stato un elemento di successo, per favorire in queste zone provate da vicissitudini e da disservizi una atmosfera di fiducia e di calorosa ospitalità nei confronti della spedizione, contribuendo a creare un clima di simpatia e disponibilità reciproca.

Tra le iniziative future non bisogna dimenticare quella delle scuola-refettorio, per fornire la comunità di una struttura adeguata a combattere l'analfabetismo e tutelare il patrimonio etnolinguistico degli Yaghnobi: anche in questo ambito si agirà per coinvolgere istituzioni pubbliche e private nel miglioramento di tutti gli aspetti utili per proteggere una realtà etnica e per la conservazione della sua variegata eredità di beni culturali.

La pagina della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 7 [2007 - N.30]

Gli archeologi dell'Università bolognese indagano la storia di uno dei siti di maggiore rilevanza mondiale

Pierfrancesco Callieri - Professore di Archeologia e Storia dell'arte iraniana

Uno dei più importanti momenti legati alla spedizione in Asia di Alessandro Magno è la conquista del Fars, la culla della dinastia degli Achemenidi, la regione che i Greci chiamavano Persia e che a lungo ha dato il nome a tutta la parte occidentale dell'altopiano iranico. Una missione archeologica del Centro Iraniano per le Ricerche Archeologiche e della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali e Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna, con la collaborazione dell'IsIAO e con il sostegno della Direzione Generale per la Promozione e la Cooperazione Culturale del Ministero degli Affari Esteri, è attiva dal 2006 in un progetto mirante a ricostruire i processi intervenuti nella regione del Fars con la conquista macedone.
Il primo sito indagato è stato quello di Pasargadae, luogo legato alla memoria di Ciro il Grande, qui sepolto. La fortezza posta sul Tall-e Takht, scavata con metodologia non propriamente stratigrafica da una missione britannica negli anni 1960, risulta occupata ininterrottamente dall'epoca achemenide a quella arsacide. Lo scavo di una trincea di m 12 x 5 in una delle poche aree non scavate dalla missione britannica ha avuto come scopo la verifica della stratigrafia e la definizione puntuale di una sequenza del materiale ceramico. La serie di datazioni al C14 eseguite per la prima delle due campagne ha già dimostrato le sue potenzialità, e si attendono i risultati delle analisi sui campioni della campagna 2007, appena arrivati dall'Iran: sulla base delle datazioni, sarà possibile ancorare ad una cronologia assoluta la sequenza stratigrafica. Lo studio del materiale ceramico costituisce l'aspetto di maggiore importanza di questo lavoro, visto che la mancanza di una vera e propria stratigrafia penalizza lo studio britannico, che definisce in modo impreciso l'attribuzione cronologica della ceramica.
Nella stessa prospettiva culturale di un'indagine archeologica sulla transizione tra Achemenidi, Macedoni e dinastie locali si colloca il nuovo programma di attività From Palace to Town (Dal palazzo alla città), oggetto dell'importante accordo quinquennale di collaborazione tra l'Università di Bologna, l'IsIAO ed il Centro Iraniano per le Ricerche Archeologiche, appena firmato. Al centro del programma c'è niente di meno che la grande Persepolis, uno dei siti archeologici di maggiore rilevanza mondiale, luogo dove l'ideologia politica dell'impero persiano prende forma visibile negli imponenti edifici e nelle scene figurate che li decoravano.
Persepolis è legata all'Italia dalle attività di studio e restauro condotte dal 1964 al 1979 dall'IsMEO, che avevano permesso di integrare e correggere i risultati dei precedenti scavi. I restauratori iraniani che a partire del 1979 hanno continuato da soli la loro attività, formati alla grande scuola italiana, avvertono in modo impellente la necessità di un aggiornamento metodologico. Ecco quindi che il progetto che parte dalla sede ravennate dell'Alma Mater intende farsi promotore di questa attività, cui saranno chiamate le competenze disponibili in diverse istituzioni pubbliche e private in Italia.
Ma Dal palazzo alla città intende anche risolvere quello che ancora resta un quesito irrisolto dell'archeologia iranica, ovvero lo studio della città vera e propria, adiacente alla Terrazza imperiale. Sulla base di ricognizioni di superficie condotte negli anni 1970 da una missione statunitense e poi di prospezioni geofisiche eseguite recentemente da una missione irano-francese, verranno eseguite alcune trincee di scavo nelle aree in cui si ritiene possa essere localizzata la città, che, oltre alle fonti greche, anche le tavolette elamiche rinvenuto a Persepoli descrivono come un centro fiorente. Da questi scavi emergerà la possibilità di definire meglio la vita quotidiana di una città persiana e insieme di studiare sulla base dell'archeologia le dinamiche del passaggio di Alessandro.

La pagina della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 7 [2008 - N.32]

Un recente restauro ha permesso la riscoperta di brani musivi del VI secolo nella chiesa di S.Apollinare in Classe

Cetty Muscolino - Direttrice Museo Nazionale di Ravenna

Indubbiamente sotto il cielo di Bisanzio le nuvole erano più eteree e caratterizzate da cromatismi raffinati: basta osservare con attenzione le nuvole costruite in epoca immediatamente successiva. Queste brevi note ci faranno comprendere che è possibile scoprire qualcosa di nuovo, anche nelle opere d'arte a lungo tempo indagate, confermando che un restauro, condotto correttamente è foriero di acquisizioni e sorprese inaspettate.
Così è accaduto nella fascia superiore dell'arco trionfale di Sant'Apollinare in Classe, che è stato oggetto di un'osservazione speciale, grazie al risanamento delle capriate lignee della chiesa, che versavano in condizioni drammatiche. Approfittando delle colossali impalcature installate per il restauro delle capriate fatiscenti, si è intervenuto su una superficie musiva non più toccata dagli anni Cinquanta.
E le scoperte non sono mancate. La fascia superiore dell'arco, con al centro il clipeo col Cristo benedicente, affiancato dai simboli degli Evangelisti, assegnata da tutti gli studiosi ad un unico momento successivo al VI secolo, è stata in buona parte ricondotta all'aureo periodo giustinianeo. I quattro maestosi simboli degli Evangelisti e le variopinte nuvole limitrofe, che insistono sull'azzurro cielo, sono stati riconosciuti come opera dei mosaicisti bizantini attivi nella chiesa di San Vitale. Ad un momento successivo, determinato probabilmente dalla necessità di riparare un crollo, si deve attribuire il clipeo centrale del Cristo e le nuvole circostanti.
Il confronto fra le diverse morfologie delle nubi, le differenti tecniche esecutive nonché il diverso utilizzo di materiali costituisce l'aspetto macroscopicamente più visibile. La decorazione della fascia musiva, già assegnata dal Ricci al VII secolo, successivamente ricondotta al IX dal Mazzotti e di nuovo riportata al VII secolo dalla Rizzardi, era stata concordemente ritenuta omogenea in tutte le sue parti.
Il recente intervento di restauro, diretto dalla scrivente e condotto da Ermanno Carbonara, con la collaborazione di Francesca Veronese e Giuliana Casadio, ha permesso di discriminare con certezza l'eterogeneità delle partiture musive: l'accurata osservazione delle tessiture non lascia dubbi sulla presenza di due interventi stilisticamente e cronologicamente differenti.
Molteplici elementi mostrano come da un'esecuzione accuratissima e concepita con grande maestria si passi ad una realizzazione sommaria e, in alcuni dettagli, addirittura sciatta: dal rigore formale e materico, sempre presente nella prima fase, che comporta la selezione dei materiali più pregiati e delle tonalità cromatiche più funzionali, si passa ad una povertà materica e ad una limitata gamma cromatica organizzate con grande semplificazione formale. Infatti i rapporti stratigrafici fra le malte evidenziano come la malta del rifacimento sovrasti inequivocabilmente quella del mosaico più antico.
Il brano musivo del Cristo è eseguito con relativa cura e maggior ricchezza dei materiali, ma caratterizzato dall'abbondante impiego di materiale calcareo, da andamenti scomposti, disegno semplificato, misura delle tessere ridotta e interstizi più visibili. Essendo verosimilmente l'unica porzione di mosaico esaminata con attenzione da quanti ci hanno preceduto e addotta come segnale del mutamento di epoca, ha finito per "trascinarsi dietro" anche tutte le altre raffigurazioni incluse nel medesimo registro.
Le nubi prossime agli Evangelisti, costruite con grande perizia e ricchezza cromatica, raggiungono effetti di eleganza e levità, mentre le altre, pertinenti al rifacimento successivo, congelate in profili rigidi e schematici, sono "farcite" internamente con una massa greve e opaca. Godiamoci quindi i "ritrovati" Evangelisti, figli naturali di Bisanzio, poderose figure cariche di energia e vitalità, impreziosite dai piumaggi delle grandi ali, costruite da delicati passaggi tonali di vetro porpora e tocchi di vetro azzurrino, proprio come gli arcangeli del catino absidale di San Vitale.

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 7 [2008 - N.33]

Dieci anni di attività intensa, con laureandi, specializzandi e dottorandi

Andrea Augenti - Docente di Archeologia Medievale e Metodologia della ricerca archeologica

L'insegnamento di Archeologia Medievale della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali è ormai attivo dal 2000; qui una generazione di studenti dell'Università di Bologna ha trovato le basi per una solida formazione archeologica. Alla radice di tale esperienza c'è un progetto che comprende un capitolo dedicato all'indagine sulle aree urbane e uno volto allo studio del territorio; entrambi contengono un numero variabile di sottoprogetti, dedicati a temi diversi affrontati con differenti metodologie d'indagine.
Circa le città, gli sforzi si sono concentrati innanzitutto sul centro storicamente più importante della Romagna: Ravenna. Qui abbiamo realizzato un Sistema Informativo Territoriale in cui sono confluiti tutti i dati archeologici disponibili, dall'Antichità al Medioevo. L'esito ultimo di tutto ciò è l'ottimo volume appena pubblicato da Enrico Cirelli.
Una notevole dose di energie è stata dedicata anche al centro contiguo di Classe, una città nata nel V secolo e abbandonata durante il Medioevo. Nel corso di numerose campagne di scavo si lavorato al recupero del quartiere portuale (2001-2005), del complesso ecclesiastico e monastico di S. Severo e della Basilica Petriana. Ognuno di questi tre interventi nasceva da domande diverse. Se gli scavi presso il porto hanno messo a fuoco il volume dei commerci che interessavano Ravenna e l'Italia settentrionale tra V-VII secolo, con la Basilica Petriana si è indagato l'aspetto monumentale della città al momento della sua nascita, nel V secolo; e a San Severo si è perseguita l'indagine in area urbana sul lungo periodo, perché questo sito è uno dei pochi a restare in vita oltre il IX secolo (l'epoca cioè in cui Classe fu data ufficialmente per morta). Mi preme sottolineare che le indagini sul terreno condotte a Classe sono state ben presto affiancate dalla redazione della Carta del potenziale archeologico, di imminente pubblicazione, e che qui lavoriamo assieme alla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia-Romagna e alla Fondazione RavennAntica per la costruzione del Parco Archeologico di Classe e del Museo della città di Ravenna. Un'occasione rara, quindi, in cui l'archeologo si misura con la programmazione delle indagini future, e con la musealizzazione, all'aperto e al chiuso, delle storie che estrae dal sottosuolo.
La vicenda di Ravenna e Classe non è stata mai separata da quella del territorio circostante, e infatti abbiamo allestito il progetto di ricognizioni nel territorio Decimano, a Sud di Ravenna, dove si è potuto verificare l'evoluzione dell'insediamento attraverso i secoli, nonché procedere allo scavo della pieve di S. Bartolomeo ad Decimum presso S. Zaccaria. L'indagine sulle pievi è del resto uno di capitoli più rilevanti della attività dell'archeologo medievista nelle campagne, e pertanto si è intrapreso uno scavo analogo nella pieve di S. Reparata presso Terra del Sole (FC). Ancora, l'interesse per i paesaggi antichi e medievali ci ha spinti a fare ricognizione nella zona del Reggiano, per porre a confronto le tendenze riscontrate in area ravennate con un territorio-campione dell'Emilia. Infine, uno dei punti di approdo delle trasformazioni insediative verificatesi tra la tarda Antichità e l'alto Medioevo: l'incastellamento. Partiti dalla schedatura integrale dei castelli della Romagna, si è approfondita l'analisi di alcuni siti specifici: con lo scavo del castello di Rontana, vicino Brisighella, che ha già rivelato fasi databili al X secolo; con l'indagine sul castello di Zena (PC), un confronto in area emiliana affrontato mediante scavo e archeologia dell'architettura; infine, con l'analisi dettagliata delle architetture superstiti del castello di Bagnara di Romagna, che grazie all'interessamento delle autorità locali ha poi dato vita al Museo del Castello.
Le iniziative evidentemente si sono notevolmente moltiplicate dal 2000. Ma un aspetto è da sottolineare: tutto rientra nel quadro del più ampio progetto complessivo, ovvero lo studio dell'area romagnola, quando possibile posta a confronto con quella emiliana, realizzato attraverso gli strumenti e i metodi più aggiornati dell'archeologia. Il progetto prende le mosse da due punti fermi che riteniamo inderogabili. Il primo corrisponde alla necessità di muoversi entro alcuni ambiti di ricerca ben precisi, senza ambizioni onnicomprensive; questi ambiti vanno delimitati, dichiarati e approfonditi sul campo. Il secondo: per conoscere davvero un territorio dal punto di vista dell'archeologo occorre lavorarlo in profondità, intensamente, e possibilmente con un ampio sguardo diacronico.

La pagina della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna - pag. 7 [2009 - N.34]

La XXXIII Giornata Internazionale dei Musei ha affrontato il tema del rapporto - non sempre facile - tra musei e turismo

Luca Baldin - Segretario Nazionale ICOM Italia

La ragione della grande attualità nel nostro paese del tema affrontato in occasione della XXXIII Giornata Internazionale dei Musei risiede indubbiamente anche nella stretta attualità: il riferimento inevitabile è alle ventilate politiche di "valorizzazione" del patrimonio museale avanzate dal mondo politico, con corollario di cifre, classifiche e quant'altro credevamo, forse ingenuamente, di aver almeno in parte superato - dopo l'abbuffata degli anni Ottanta - e che invece ritroviamo intatte, chiedendoci ancora una volta cosa possano o debbano fare i musei per il turismo, senza che a nessuno passi per la mente di capovolgere la domanda, ovvero che cosa possa fare il turismo per i musei, in una logica di sistema che non può essere a senso unico. In questo breve intervento, cercherò di delineare ad uso e consumo del sistema turistico culturale su cosa si basi, dal punto di vista del museo, il rapporto con il turista visitatore, e quale possa essere il ruolo dei musei nel sistema turistico nazionale, senza trascurare alcuni nodi problematici che attendono urgentemente di esser sciolti.
Partirei banalmente dalla definizione di museo di ICOM che ne definisce con chiarezza la missione: «Il museo è un'istituzione permanente senza finalità di lucro al servizio della società e del suo sviluppo, aperta al pubblico, che conduce attività di ricerca su tutte le testimonianze materiali e immateriali dell'uomo e del suo ambiente, le collezione, le conserva, ne diffonde la conoscenza e soprattutto le espone con finalità di studio, di educazione e di diletto».
I punti su cui credo utile soffermarsi ai fini del nostro ragionamento sul rapporto tra museo e turismo sono sostanzialmente quattro: il fatto che il museo viene definito un'istituzione; che si definisce al servizio della società e del suo sviluppo; che ha il compito di diffondere la conoscenza del patrimonio; ed infine che tra le finalità ha anche il diletto (malgrado con uno strano atteggiamento calvinistico, il Codice per i beni culturali se lo sia dimenticato).
Partiamo dal primo: il museo è un istituto della cultura (art. 101 del Codice); ciò significa che non è un semplice "luogo", alla mercé di chiunque voglia utilizzarlo, talvolta impropriamente, bensì che deve avere una propria politica culturale, deve sviluppare propri progetti e azioni, deve svolgere precise funzioni che lo portano a interagire con molteplici pubblici e con il territorio. È insomma un soggetto col quale bisogna relazionarsi.
Il secondo punto definisce con chiarezza la ragione dell'esistenza del museo: essere al servizio della società e del suo sviluppo. Il museo è quindi un servizio pubblico o, comunque, un servizio di pubblica utilità che opera a vantaggio della società nel suo complesso, in una prospettiva di sviluppo socio culturale ma anche economico.
Il terzo punto ci dice qual è il compito del museo: diffondere la conoscenza del patrimonio; compito che assolve attraverso la cura, la gestione, l'apertura al pubblico delle collezioni; ma non di meno mettendo in atto azioni di mediazione culturale fondamentali, che fanno tesoro della professionalità dei propri addetti.
Infine l'ultimo punto, quello scordato dai legislatori italiani, ovvero che ad un museo ci si va per molteplici ragioni, tra le quali hanno rilevo sicuramente l'educazione e lo studio, in continuità con una tradizione illuministica, ma anche il divertimento, il "diletto", il puro piacere, così come ci insegnano tradizioni museologiche e museografiche estranee alla nostra cultura, ma non perciò trascurabili e che anzi dovrebbero essere forse osservate con maggior attenzione al fine di favorire un approccio diverso, quotidiano, meno reverenziale, per non dire "sacralizzato" al patrimonio e all'istituto museale da parte del più ampio numero di utenti possibile.
Queste loro caratteristiche basilari, direi esistenziali, sono le componenti che i musei devono sforzare di far riconoscere a quanti si relazionano con loro, ad ogni livello; appaiono perciò necessarie anche per porre le basi di un rapporto costruttivo con la grande industria del turismo, rispetto alla quale i musei hanno sicuramente numerosi e importanti punti di contatto. Essi sono infatti straordinari attrattori di turismo (nel 2007 nei 30 musei italiani più visitati sono stati accolti 24,5 milioni di visitatori; fonte Centro studi TCI), sono attori del sistema turistico-culturale in quanto servizio pubblico, sono infine per loro stessa natura promotori di un turismo di qualità, ma anche sostenibile e responsabile, grazie al fatto che essi mettono naturalmente in relazione la comunità ospitante con la propria identità storica e i suoi visitatori; contrastando alcune delle derive più deleterie del turismo massificato, quello che viene oggi definito "turismo di rapina".
I musei tuttavia non sono aziende turistiche né, come si è detto, passivi luoghi di visita; sono istituti culturali che svolgono azioni peculiari sul patrimonio grazie all'azione di personale altamente specializzato, complementare alle professioni turistiche; che erogano quindi non servizi turistici, ma servizi culturali, che in quanto tali possono essere fruiti anche (non solo!) dal pubblico turistico. E questo ci serve per ricordare che uno dei principali problemi ad avviare un dialogo serio e costruttivo tra musei e turismo è il mancato riconoscimento delle professionalità museali; cosa che innesca una pericolosa asimmetria con le professioni del turismo, viceversa riconosciute e codificate da tempo. La regolamentazione del comparto turistico, infatti, di rado ha considerato il fatto non trascurabile che essa agisce su di un campo non esclusivo, in cui operano in piena legittimità anche altri soggetti che, anche se poco e per nulla riconosciuti dalle istituzioni, esistono. Al riguardo mi permetto di ricordare con tono sommesso che il patrimonio paesaggistico e culturale, quale diretta conseguenza dell'art. 9 della Costituzione, rientra tra i beni comuni, identitari della nazione, e che in quanto tale non può e non deve essere appannaggio esclusivo di alcuna categoria economica.
Se quanto ho fin qui cercato di delineare può rappresentare il terreno per avviare un dialogo e una collaborazione volta a fare sistema tra musei e turismo, il passaggio successivo e inevitabile è l'identificazione di precise filiere che hanno pieno diritto di operare per e sul patrimonio in senso estensivo (quindi quello dentro e quello fuori dai musei). Personalmente ne identifico almeno quattro: la filiera turistica (tour operator, agenzie, guide, accompagnatori); quella delle istituzioni culturali (musei, biblioteche, archivi); quella dell'istruzione/formazione (scuole, università, associazioni professionali); e infine quella del volontariato (associazioni non profit). Tutti questi attori hanno pieno diritto di svolgere la propria azione sul patrimonio, senza alcuna rendita di posizione e sulla scorta della piena e totale responsabilità di chi progetta e realizza azioni specifiche. Minimo comune denominatore non può che essere un approccio etico; ed "etica" è la parola chiave che assieme a "responsabilità" deve rappresentare il centro di qualsiasi azione sul patrimonio del prossimo futuro.
Per concludere, personalmente ritengo che i professionisti dei musei oggi sappiano bene che i loro istituti sono una parte importante del sistema turistico italiano - pur nella specificità del loro agire in quanto istituti della cultura - e perciò ritengano giunto il momento di avviare una stagione di collaborazione con tutti gli operatori del turismo volta a creare sinergie indispensabili ai musei stessi. Non può sfuggire, infatti, che la debolezza del comparto museale - determinata da carenze strutturali croniche, in primis di personale qualificato e da carenze di risorse economiche oggi rese più drammatiche dalla crisi - in ultima analisi rappresenta un gravissimo punto di debolezza dell'intera industria turistica italiana. Non credo necessario ricordare al riguardo quale sia la prima motivazione di visita di un turista straniera al nostro Paese.
I musei quindi possono essere eccellenti centri di accoglienza per i nostri ospiti di tutto il mondo, possono indurli a prolungare il loro soggiorno, possono favorire l'arrivo di un turismo di qualità. Possono, ma per farlo hanno bisogno di professionalità e mezzi. I primi ad invocarli dovrebbero essere i nostri colleghi dell'industria turistica. La speranza è di trovarli al nostro fianco. In una logica di collaborazione e non di competizione sulle non infinite risorse disponibili.

Contributi e riflessioni - pag. 7 [2009 - N.35]

Ripensare il ruolo dei musei "al servizio della società e del suo sviluppo" nei campi difficili della crisi e del cambiamento

Alberto Garlandini - Vice presidente di ICOM Italia

La V Conferenza Nazionale dei Musei d'Italia, organizzata a Milano il prossimo 9 novembre dalla Conferenza permanente delle associazioni museali italiane, sarà l'occasione per quanti lavorano nei musei e per i musei per ripensare il loro ruolo "al servizio della società e del suo sviluppo" nei tempi difficili della crisi e del cambiamento.
La crisi che attraversiamo è profonda e globale e impone ripensamenti a tutto campo: finanziari ed economici, ma anche sociali e culturali. Dunque i professionisti dei musei si pongono alcuni interrogativi di fondo. I musei sono fra i protagonisti del nostro tempo: lo saranno anche in futuro? Qual è la missione dei musei in un periodo di crisi globale? Sono ancora valide le funzioni e le finalità che ICOM e le associazioni museali assegnano ai musei? Cosa possono fare i musei per aiutare le comunità a vincere la crisi e le sfide dell'età contemporanea? I musei italiani sono in grado di costruire un nuovo rapporto con il territorio e con le comunità locali? Che contributo possono dare per una gestione partecipata del patrimonio culturale e per uno sviluppo sostenibile?
Non possiamo nasconderci il fatto che in tempi di crisi alcuni considerano la cultura, gli istituti e il patrimonio culturale un lusso a cui rinunciare: al contrario, proprio in tempi di crisi essi sono risorse preziose e fattori competitivi di cui fare tesoro. Le funzioni dei musei si sono fortemente ampliate e hanno assunto una dimensione sempre più sociale e "politica". Al tempo della crisi le funzioni pubbliche dei musei trovano piena conferma, ma devono essere declinate in modo nuovo e, soprattutto, rese più operative e più efficaci.
L'Italia ha bisogno di musei che siano un ponte di comunicazione con il mondo e, al contempo, che siano ben radicati nel loro territorio. ICOM e le associazioni museali ribadiscono che i musei hanno una funzione di presidio territoriale per la tutela attiva del patrimonio culturale. Per «tutela attiva» intendiamo «quell'opera di conservazione e comunicazione del patrimonio culturale che i musei possono svolgere non solo rispetto alle loro collezioni, ma nei riguardi del territorio di riferimento e di appartenenza, se questo viene affidato alle loro cure e posto tra le loro responsabilità». Questo ruolo innovativo prefigura «un diverso modello di gestione tanto della tutela quanto della valorizzazione», una tutela basata su azioni dirette e non solo sull'imposizione di vincoli.
Nel 2007 la III Conferenza nazionale dei musei d'Italia ha approvato un appello per lo sviluppo di "un nuovo modello di gestione del patrimonio culturale che sia partecipato, sostenibile, sussidiario". È la partecipazione delle comunità, la sinergia tra azione pubblica e privata a poter garantire nel tempo la sostenibilità dei musei e della gestione del patrimonio culturale. La capacità dei musei di agire in rete, di promuovere sistemi locali e di valorizzare i saperi disponibili sono un fattore di contrasto della crisi. Per i musei lavorare in rete è anche una scelta culturale di fondo a favore dello sviluppo locale, è un impegno ad essere sempre più e sempre meglio infrastrutture del territorio e centri produttivi di attività, di servizi e di conoscenze.
Al tempo della crisi, il personale dei musei è una risorsa delle comunità. Un museo senza direzione e personale è un mero luogo di conservazione, impossibilitato a contribuire alla vita e alla crescita della propria comunità. Per i musei non vi è futuro di successo senza la crescita di un'occupazione stabile e qualificata. I musei hanno bisogno di più professionisti e di più volontari. Siamo di fronte ad una crisi che prima di essere economica e finanziaria è morale e culturale. Al tempo della crisi il futuro dei musei si costruisce ancorandosi ai valori etici per cui essi sono nati. La professionalità e la managerialità sono importanti, ma vanno associate ancor di più che nel passato alla responsabilità, alla moralità, all'integrità. Per questo ICOM Italia ha prodotto nel 2009 la versione italiana ufficiale del nuovo Codice deontologico per i musei di ICOM. Senza il rispetto di tali valori non ci potrà mai essere vera autonomia né una risposta positiva alla crisi.
La crisi ci impone di ricercare vie nuove e diverse in tutti gli ambiti della nostra attività, ci impegna in un confronto aperto, capace di introdurre nel nostro mondo modelli interpretativi e prospettive che vengono da altri settori. Ma anche e soprattutto nuove pratiche. Da ricercare e sperimentare insieme a tutti i professionisti del patrimonio.

La pagina di ICOM Italia - pag. 7 [2009 - N.36]

Il ruolo del museo tra emergenza e prevenzione del patrimonio culturale

Tiziana Maffei - Coordinatrice Commissione Grandi Rischi - ICOM Italia

La comunità museale ha concluso il 2009 con la V Conferenza nazionale dei Musei d'Italia dedicata a Il Museo al tempo della crisi. Un ripensamento complesso sul ruolo del museo, chiamato a un ruolo operativo e non autoreferenziale anche in funzione del sempre più pressante problema italiano: la salvaguardia del patrimonio culturale locale diffuso. Un tema che si è proposto drammaticamente con la distruzione di molta parte del territorio della provincia de l'Aquila e la perdita di uno dei più bei centri storici nazionali a seguito del terremoto del 6 aprile.
Si ripropone quindi l'urgenza di operare in una logica di prevenzione dai rischi del nostro patrimonio, affidando al Museo il ruolo di presidio di tutela attiva in virtù anche della capillare diffusione sul territorio nazionale delle istituzioni museali. La funzione pubblica del Museo si amplia per interloquire a livello locale proprio grazie alla capacità che esso ha di coinvolgere la comunità, sviluppando il principio di responsabilità collettiva in relazione alla cura del patrimonio. Non il Museo quale luogo, quindi, ma quale istituto della cultura e realtà professionale a disposizione della società sia nei momenti di emergenza che nella indispensabile fase di prevenzione.
La Commissione Grandi Rischi di ICOM Italia, istituita in connessione con l'International Committee of the Blue Shield, riprende in realtà una proficua esperienza di collaborazione già avviata con Legambiente attraverso un protocollo d'intesa. Obiettivo della Commissione è creare a livello regionale la necessaria rete tra conoscenze, professionalità e istituzioni. Per il 2010 si prevede a tal fine di avviare una serie di percorsi formativi volti sia alla prevenzione che all'intervento in caso di emergenza.
L'esperienza dell'Abruzzo ha insegnato le enormi potenzialità dell'operare in una logica di sussidiarietà, verticale ma soprattutto orizzontale, in cui lo Stato coordina, gli Enti locali operano attraverso le organizzazioni di volontariato affidando al cittadino e al suo sentimento di responsabilità un'operatività di fatto impossibile da sostenere dalle sole istituzioni. Tale orientamento attribuisce valore alle comunità locali sollecitando la partecipazione attiva alla gestione dei beni comuni, come appare con chiarezza anche dalla Convenzione Europea del Paesaggio, la cui espressione più riuscita in Italia può considerarsi proprio il sistema della Protezione Civile Nazionale.
Non a caso in Abruzzo, per la prima volta, il Dipartimento per la Protezione Civile ha attivato la 'Funzione 15 - Tutela Beni culturali', resa operativa attraverso la collaborazione con i volontari coordinati da Legambiente, con risultati che non possono che dirsi positivi. Il duro e immediato lavoro di recupero, la schedatura e messa in sicurezza delle opere grazie all'entusiasmo dei volontari è e rimane una conquista della società civile del nostro Paese, e l'affiancamento dei professionisti associati ad ICOM è stato un valore aggiunto che indica una strada percorribile e utile. Questa collaborazione ha tra l'altro reso possibile un'operazione insolita e importante: attivare azioni di riappropriazione del patrimonio culturale da parte degli abitanti dei luoghi colpiti dal sisma. La trasformazione del Museo Preistorico di Celano in deposito/centro restauro fruibile e la mostra Terra Madre Abruzzo, sono state operazioni volte a restituire fruibilità alle opere e a dar vita di fatto a una rete tra musei regionali impegnata a superare l'emergenza. Azione resa certamente possibile grazie alla collaborazione tra MIBAC, Soprintendenze locali, musei, ICOM, Legambiente.
A fronte di tante positività, sembra doveroso lanciare un allarme. Il riferimento è al Dlgs 195 del 30 dicembre 2009, che prevede la trasformazione del Dipartimento della Protezione Civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri in una società per azioni d'interesse nazionale, denominata Protezione civile servizi s.p.a.... Con buona pace della sussidiarietà.

La pagina di ICOM Italia - pag. 7 [2010 - N.37]

Quattro speciali riconoscimenti da assegnare ai musei e ai professionisti dei musei per valorizzare le esperienze migliori

Segreteria di ICOM Italia

L'International Council of Museums - Sezione Italia, al pari di molte associazioni professionali, propone l'assegnazione, ogni due anni, di premi ai musei e ai responsabili di musei che si siano distinti nella loro attività in base alle linee guida dettate dal Codice deontologico, dalla definizione di Museo di ICOM, dalla Carta delle Professioni Museali e dalle indicazioni dettate dagli standard museali nazionali e regionali.
I premi ICOM ai musei saranno assegnati durante le Conferenze Nazionali e consistono in riconoscimenti onorifici di grande prestigio: la pubblicazione sul bollettino internazionale, la divulgazione a mezzo stampa del conseguimento del premio, una targa da apporre in museo e l'iscrizione gratuita ad ICOM per un anno.
I premi presentati saranno quattro divisi in due categorie:
1. Professionista museale
- premio alla carriera dedicato a chi si è particolarmente distinto nella professione museale;
- premio alla migliore gestione (o alle migliori "buone pratiche"), dedicato ai musei che hanno conseguito risultati ragguardevoli nella gestione anche grazie a personale adeguato e competente;
2. Museo
- premio al museo più attrattivo e innovativo nel rapporto col pubblico;
- premio al miglior museo glocal, ovvero a un museo locale, dedicato al "genius loci", ma capace di proficui rapporti internazionali.
L'autorevole giuria, presieduta da Alessandra Mottola Molfino, è composta da un rappresentate di ciascuna delle sei Associazioni della Conferenza Permanente, da due docenti di museologia provenienti da università italiane, da un giornalista/editore e da un rappresentante di "Patrimonio SOS", il principale portale web dedicato al beni culturali.
I criteri che saranno seguiti per l'assegnazione dei premi sono: curriculum vitae e bibliografia specifica per il premio alla carriera; per gli altri tre premi saranno analizzati il museo, gli allestimenti, i suoi servizi al pubblico, il rapporto con il territorio e con la comunità scientifica, ma un occhio di riguardo sarà dato alla presenza di personale altamente qualificato.
I parametri adottati per la selezione dei candidati sono i seguenti:
• statuto, regolamento, mission, capacità di autonomia;
• personale competente, adeguato e preparato;
• nuovi modelli di gestione (partecipata, sostenibile, sussidiaria);
• rapporto risorse / risultati - controllo sociale - spesa misurabile - sostenibilità;
• attività educativa;
• rapporti col pubblico e gli stakeholders;
• ruolo sociale svolto dal museo e la sua funzione simbolica nella comunità;
• reti e alleanze;
• accessibilità culturale;
• condizioni di conservazione del patrimonio;
• osservanza del Codice Etico di ICOM;
• attività di ricerca, di catalogazione, di esposizione;
• relazione tra museologo-museografo e committenza;
• servizi al pubblico;
• carta dei servizi;
• rispondenza alle certificazioni di qualità;
• innovazione tecnologica e nuovi linguaggi.
Tutti i professionisti dei musei potranno inviare le segnalazioni alla giuria, che designerà le shortlist finali. La cerimonia di conferimento dei premi, che sarà presenziata dal giornalista Marco Carminati, si svolgerà a Milano in occasione di "MuseItalia" 2010.
La documentazione richiesta è la seguente:
- per il premio alla carriera: biografia/CV e bibliografia del candidato;
- per i premi ai musei: un dossier, in formato cartaceo e digitale, di non più di 20 pagine fronte e retro che contenga le risposte ai criteri e ai parametri indicati nel bando, fotografie di allestimenti e descrizione di attività.
La documentazione dovrà essere inviata, entro le ore 12 del 30 settembre 2010, a Alberta Campitelli, c/o Museo "Carlo Bilotti", V.le Fiorello La Guardia, 00197 Roma.
Il bando completo è pubblicato su www.icom-italia.org.

La pagina di ICOM Italia - pag. 7 [2010 - N.38]

Considerazioni sul seminario tenutosi al Salone DNA Italia 2010 di Torino

Raphael Mayer Aboav - Consulente per l'innovazione e lo sviluppo delle organizzazioni culturali

Quando Shelley Bernstein iniziò a lavorare dieci anni fa presso il Dipartimento Egizio del Brooklyn Museum di New York con la qualifica di assistente sognava di diventare un curatore. Un giorno il Responsabile del Dipartimento delle Tecnologie del Museo chiese allo staff del museo di formulare dei suggerimenti per proiettare il museo nell'era digitale. In quell'occasione Shelley, benché non fosse un tecnico, formulò una risposta così approfondita che il Responsabile le propose immediatamente di lavorare con lui. Quattro anni dopo, Shelley assunse la responsabilità del Dipartimento delle Tecnologia del Museo ed iniziò a trasformare un'organizzazione fondata 187 anni prima in una realtà che ha conseguito diversi premi per le proprie scelte in materia di innovazione dei processi di fruizione delle collezioni.

Il Brooklyn Museum pubblica on line informazioni relative alle proprie mostre oltre che video, gestisce applicazioni su Facebook, Flickr, YouTube e MySpace, e ha una audience di circa 43.000 persone su Twitter. Il Brooklyn Museum è stata con ogni probabilità la prima istituzione americana che ha consentito ai visitatori del proprio sito web di concorrere alla descrizione delle collezioni allorquando le pubblicò on line.

Shelley Bernstein è una persona straordinaria e come tutte le persone straordinarie ha saputo trasmettere messaggi professionali di particolare rilevanza nel recente seminario di Torino moderato da Giuliano Gaia, professionista che da molti anni opera nel settore della comunicazione digitale. Il seminario intendeva promuovere un confronto e una discussione approfondita sulle pratiche, esperienze e valutazioni sulle opportunità che le nuove tecnologie 2.0 offrono ai musei in termini di accesso, mediazione, comunicazione e ascolto dei pubblici. Tali tematiche erano state peraltro precedentemente accennate durante il convegno Surfing and walking: i musei e le sfide del 2.0 riguardo all'utilizzo degli strumenti messi in campo dal web 2.0 per il settore beni culturali tenutosi a Torino il 2 ottobre 2010 nell'ambito del Salone DNA Italia.

Shelley Bernstein, nel corso del suo breve intervento su come innovare l'accesso al patrimonio culturale, ha spiegato in particolare cosa sta facendo il Brooklyn Museum per avvicinare al museo nuovi pubblici, per fornire modalità aggiuntive di accesso ai contenuti del museo, per preparare e migliorare l'esperienza di visita, per incrementare ed arricchire le opportunità di apprendimento.

La sua testimonianza offre l'opportunità di riflettere sui passi che dovrebbero essere intrapresi da musei italiani.

L'opzione "coltivazione delle comunità" attraverso strumenti di comunicazione digitale del tipo 2.0 non può essere una opzione puramente tecnica affidata ad appassionati tecnologi. Lo scenario di cambiamento verso cui dovrebbero evolvere molti musei italiani presupporrebbe che un progetto di sviluppo di un museo o meglio ancora di un sistema museale territoriale costituisca una opportunità per riflettere sul ruolo che il territorio decide di voler assumere nel proprio futuro e sul ruolo che le infrastrutture culturali in particolare possono giocare per lo sviluppo del capitale umano territoriale. Un sistema culturale trasformativo, in cui operino risorse umane come Shelley Bernstein e siano attivi processi come quelli in uso nel Brooklyn Museum di New York costituisce un pre-requisito per la sostenibilità a lungo termine di un territorio.

Con quali soldi si possono creare ambienti lavorativi che offrano opportunità di lavoro a risorse umane come la Bernstein e che al tempo stesso operino al servizio di una comunità? Semplice. È giunto un tempo in cui i sistemi socio-economico territoriali devono fare delle scelte. Non si può fare tutto, forse occorre economizzare in altri ambiti della spesa pubblica e investire per realizzare un piccolo Brooklyn Museum nel proprio territorio, sapendo però che questa cosa non è un lusso ma bensì una delle cose da fare affinché il proprio territorio possa avere un ruolo nel futuro. Si pronuncia museo ma di fatto significa promozione di skills giovanili, innovazione, creatività, senso critico, voglia di leadership delle prossime generazioni, l'aspirazione collettiva di una comunità!


Appunti dai convegni - pag. 7 [2010 - N.39]

Obiettivi e linee guida delle attività proposte da ICOM Italia nel 2011

Segreteria ICOM Italia

Nel corso dell'ultima riunione tenutasi a Bologna lo scorso 14 gennaio, la Presidenza, di concerto con il Consiglio direttivo di ICOM Italia, ha individuato una serie di obiettivi e le linee guida che orienteranno l'attività del Comitato nazionale per il 2011.

Il primo evento dell'anno sarà l'Assemblea Nazionale, che avrà luogo l'8 e il 9 maggio a Palermo, grazie alla preziosa collaborazione della Regione Siciliana. Un evento articolato, tutto rivolto ai nostri soci e ai colleghi siciliani, che come di consueto vedrà la prima giornata dedicata agli arrivi e alle visite guidate ad alcuni musei palermitani, mentre in serata avrà luogo la cena sociale. La seconda giornata vedrà la mattinata impegnata dall'Assemblea, con un'ampia discussione sul lavoro svolto e sugli obiettivi di breve e medio termine di ICOM Italia, con spazi riservati ai coordinamenti regionali e alle commissioni tematiche; mentre il pomeriggio sarà dedicato a un momento di approfondimento sul tema, scelto di comune accordo con la Regione Siciliana, "Musei e territorio", con particolare riguardo al rapporto tra musei, musei all'aperto, parchi e aree archeologiche.

A distanza di una sola settimana, ICOM Italia sarà impegnata in tutta Italia a celebrare la Giornata Internazionale dei musei del 18 maggio. Il tema scelto per il 2011 è "Musei e memoria"; un tema che il Comitato nazionale italiano ha ritenuto di declinare in chiave del centocinquantenario dell'Unità, chiedendo a tutte le sue diverse articolazioni organizzative di impegnarsi in riflessioni propedeutiche al culmine degli eventi, che in autunno sarà rappresentato dalla Conferenza Nazionale. Per la prima volta, la Giornata Internazionale si svolgerà in collaborazione con l'UNESCO Memory of the World Programme, con il Coordinating Council of Audiovisual Archives Associations, con l'International Council of Archives, con l'International Council of Monuments and Sites e con l'International Federation of Library Association, nell'intento dichiarato di arricchire di contenuti l'evento, aprendo a un'idea di più ampio respiro di valorizzazione integrata del patrimonio culturale, con un focus particolare sul patrimonio del Continente africano.

Come da tradizione, la Conferenza Nazionale dei Musei costituirà a novembre il momento di massima visibilità nazionale della comunità professionale museale. L'obiettivo ambizioso che ICOM Italia ha proposto a tutte le associazioni museali e al Ministero per la settima edizione, nell'anno delle celebrazioni dell'unità nazionale, sarà di una riflessione approfondita volta a ricostruire la storia della museologia nazionale e a riflettere sul ruolo ricoperto dai musei nella storia nazionale. Se la sessione del mattino verterà principalmente sulla riflessione storica, la sessione pomeridiana sarà viceversa dedicata a una visione in prospettiva (2000-2025), nel tentativo di comprendere le linee di sviluppo nel medio-lungo termine del settore.

Dopo la prima edizione sperimentale, ICOM Italia intende rilanciare il Premio ICOM - musei dell'anno, che punta a diventare, come già la Conferenza Nazionale dei Musei e l'Assemblea, uno degli appuntamenti imperdibili per la comunità museale italiana. L'impegno per questa nuova edizione sarà di coinvolgere in maniera sempre maggiore i soci ICOM, anche attraverso il meccanismo di voto. Inoltre, nell'ottica di evidenziare al meglio le best practices, le categorie del Premio riguarderanno soprattutto le attività o i servizi offerti col preciso obiettivo di valorizzare non soltanto i grandi ma anche i piccoli musei.

Infine, attività cardine del 2011 sarà la formazione. Un primo possibile elenco di corsi è al vaglio degli organi direttivi di ICOM Italia, con l'obiettivo di realizzare a breve termine un catalogo formativo, concepito raccogliendo gli input pervenuti dai seminari di MuseItalia, dalle Commissioni, dai Coordinamenti e dai soci. L'offerta formativa, di alto livello qualitativo, che ha già conosciuto una prima sperimentazione di successo nel 2010, verrà proposta agli enti locali e ad altri soggetti istituzionali in base alle loro esigenze.

Per altre informazioni consultare il sito dell'Associazione: www.icom-italia.org.


La pagina di ICOM Italia - pag. 7 [2011 - N.40]

Un'analisi giuridica presentata al convegno "Musei e sussidiarietà" organizzato lo scorso 14 aprile dal Coordinamento ICOM Emilia-Romagna

Daniele Donati - Docente di Diritto Amministrativo - Università di Bologna

La sussidiarietà orizzontale è, e resta, sia nella discussione dottrinale che nella pratica politica, una nebulosa di concetti, di modelli, di valori; un principio il cui reale significato, e, quindi, l'effettiva consistenza e le concrete potenzialità, sembrano restare, in gran parte, ancora indeterminate.
Invocata molto più che praticata, nella quasi assoluta assenza di giurisprudenza significativa e nella diversità di approccio da parte dei legislatori regionali e statale, la sussidiarietà orizzontale muove, oramai da dieci anni, i suoi passi incerti, basandosi soprattutto sulla fragile formulazione di cui all'art. 118, 4° comma della Costituzione, secondo il quale "Stato, Regioni, Città Metropolitane, Province e Comuni, favoriscono l'autonoma iniziativa dei privati, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà".
Questa disposizione non solo non ci offre una sostanziale definizione del termine, ma neppure ci consegna un "criterio preferenziale" per la sua applicazione, lasciandoci nell'incertezza di chi debba sussidiare chi, ovvero, chi, tra istituzioni pubbliche e cittadini, possa (o debba) scegliere e agire per primo.
È utile allora, pur rischiando un eccessivo "formalismo intepretativo", provare a fare un po' di chiarezza attraverso una esegesi puntuale del testo, elaborata a partire dai quattro termini a lettura "sensibile" della norma, e cioè dalle quattro variabili in essa presenti, relative ai termini "favoriscono", "cittadini singoli e associati", "autonoma iniziativa", "attività di interesse generale".
L'unica interpretazione che dia consistenza al termine "favoriscono" è quella secondo la quale le istituzioni pubbliche territoriali devono favorire l'iniziativa dei privati: in effetti, se si trattasse di una mera facoltà, la norma non farebbe altro che ribadire una capacità che la pubblica amministrazione ha sempre avuto e che, anzi, ha rappresentato una delle tradizionali linee della sua azione. La norma di cui all'art. 118. 4° comma Cost. non ha quindi soltanto natura programmatica, non è solo un invito, un obiettivo, ma deve essere considerata come l'affermazione di un vero e proprio dovere costituzionale che può concretizzarsi in interventi in positivo (attraverso azioni volte a sostenere l'attività dei privati) e in negativo (attraverso la sottrazione o la riduzione di oneri e costi). O ancora, a creare un clima favorevole affinché le iniziative dei cittadini, laddove assenti o incerte, inizino a diffondersi assieme alla consapevolezza del loro rinnovato ruolo.
I "cittadini singoli ed associati" cui il principio si rivolge sono tutte le persone operanti in un determinato contesto territoriale. La norma non sembra infatti assumere l'espressione in senso restrittivo, non essendoci ragioni per pensare, ad esempio, a una esclusione degli stranieri che risiedono e lavorano in Italia. Né, a rigore del testo, si possano escludere dalla applicazione del principio le imprese.
L'espressione "autonoma iniziativa", poi, sottolinea la natura necessariamente spontanea dell'attivarsi dei privati, i quali sono chiamati ad agire nello spirito della solidarietà sociale, e quindi sia nell'indipendenza da un "disegno dall'alto", da qualsiasi forma di etero-direzione, sia in ragione di una diretta e piena retribuzione per il loro contributo al bene comune.
Le conseguenze più interessanti vengono però dalla riflessione su quali attività possano essere considerate "di interesse generale". In primo luogo possiamo escludere:
- le iniziative private che si pongano finalità meramente egistiche, quale il lucro;
- le attività espressione di potestà pubbliche (non essendo ammissibile che un privato possa, per sua iniziativa, esercitare poteri di comando su un altro);
- le attività espressione di interessi strettamente individuali, legate esclusivamente alla sua dimensione soggettiva, e quindi irrilevanti per il contesto (sociale, economico, lavorativo);
Inoltre devono ritenersi escluse dalla espressione al nostro esame anche tutte le attività che possiamo rubricare come "di interesse pubblico" le quali, pur essendo senza dubbio rivolte ai soggetti in quanto membri di una collettività, si caratterizzano per essere già state prese in carico dalla pubblica amministrazione la quale, in questo modo, ha assunto su di se il compito di provvedere alla soddisfazione dei relativi bisogni (anche se attraverso risorse private, secondo lo schema dell'outsourcing).
Quest'ultima considerazione, oltre a essere testualmente corretta, riesce a dare un senso ulteriore e fortissimo alla sussidiarietà orizzontale che fa tramontare, definitivamente, il cosiddetto paradigma pan-pubblicistico, e apre le porte a una nuova dimensione, dove ciò che viene offerto a una comunità non è solamente ciò a cui provvedono le istituzioni, ma può ampliarsi a spazi finora non esplorati, in cui gli stessi cittadini si attivano per creare condizioni migliori, per garantire la cura concreta di beni comuni a tutti, non contro le amministrazioni, ma al loro fianco.
Per molte ragioni, quando si evoca la sussidiarietà orizzontale viene spontaneo ricondurla immediatamente alla dimensione del welfare e della assistenza. In questo modo, però, si dimentica che il modello che essa inaugura può ben essere applicato a spazi ulteriori. E non è un caso che proprio nella disciplina relativa alla valorizzazione dei beni culturali se ne trovi una delle prime e più autentiche realizzazioni presenti del nostro ordinamento, del tutto coerente con la lettura fino a qui proposta, laddove il terzo comma dell'art. 6 del Codice dei Beni culturali afferma che "la Repubblica favorisce e sostiene la partecipazione dei soggetti privati, singoli o associati, alla valorizzazione del patrimonio culturale".
Si noti che, a differenza delle funzioni relative alla tutela, definita all'art. 3 come consistente "nell'esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette (...) ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale ed a garantire la protezione e la conservazione per i fini di pubblica fruizione", le quali si caratterizzano conseguentemente come l'espressione di un potere autoritativo e unilaterale, la valorizzazione (ancora l'art. 6) consiste "nell'esercizio di attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio", e ciò consente e anzi suggerisce alle amministrazioni di aprirsi a un rapporto diverso e collaborativo dei privati.
Se si può osservare, che il legislatore del 2004 pare muoversi con più cautela rispetto alla formulazione data a livello costituzionale (qui il riferimento non è alla "autonoma iniziativa" dei privati, per i quali ci si limita a ipotizzare una generica "partecipazione"), e ciò per poter continuare a garantire ai soggetti pubblici un ruolo forte, è bene annotare anche che, secondo il modello che abbiamo illustrato, la presenza della amministrazione pubblica non elimina affatto la possibilità di un intervento da parte dei cittadini rispetto ad "ambiti periferici" della materia, ovvero rispetto ad attività complementari a quelle pienamente assunte in capo alla amministrazione stessa.
In questo senso si pongono, e con grande interesse, le disposizioni di cui al Capo II del Codice, che precisano le funzioni relativa alla valorizzazione.
L'art. 111, nel dettare i "Principi della valorizzazione dei beni culturali", dopo aver elencato le attività in cui essa può concretizzarsi, ribadisce in modo determinato che a esse possono "concorrere, cooperare o partecipare i privati", immaginando in questo modo una ampia e articolata gamma di soluzioni, ipotesi e relazioni, tra cui anche alcune pienamente sussidiarie alla luce di quanto abbiamo detto.
Vediamo le forme di concorrenza: un sistema di collaborazione con i cittadini è espressamente richiamato per le iniziative pubbliche di valorizzazione, dovendo queste ispirarsi, nella loro esplicazione, a principi di "libertà di partecipazione, pluralità dei soggetti, continuità di esercizio, parità di trattamento, economicità e trasparenza della gestione".
D'altra parte i privati possono assumere a loro volta una autonoma iniziativa per la valorizzazione di beni culturali di loro proprietà: in questo caso, recita, il legislatore si premura di sottolineare come anche questa attività debba essere ritenuta "socialmente utile" essendone riconosciuta la "finalità di solidarietà sociale". In ragione di ciò, ai cittadini che si attivino in questo senso possono essere riconosciute sovvenzioni o agevolazioni fiscali e altre forme di sostegno, definite di volta in volta mediante apposita convenzione .
I soggetti privati possono però anche cooperare, stipulando con i soggetti pubblici accordi volti a definire strategie e obbiettivi comuni di valorizzazione, rispetto a beni di proprietà anche privata; oppure partecipare ad "appositi soggetti giuridici" costituiti o partecipati dalle pubbliche amministrazioni, cui viene affidato il compito di elaborare e sviluppare tali programmi strategici.
Nel segno della sussidiarietà è anche l'attenzione del tutto particolare che viene prestata alle fondazioni di origine bancaria, le quali possono sia essere coinvolte nelle forme di collaborazione appena menzionate, sia stipulare con le pubbliche amministrazioni "protocolli di intesa" al fine di coordinare interventi di valorizzazione sul patrimonio culturale.
Un'ultima notazione: rispetto al modello proposto, non si pensi che le forme del privato possano agire senza offrire anch'esse delle garanzie, e assumersi la piena responsabilità delle azioni esperite. Ma questo è un altro capitolo ancora, che l'ordinamento italiano dovrà scrivere, e presto.


Contributi e riflessioni - pag. 7 [2011 - N.41]

Estratto dalla Raccomandazione di Icom Italia sulla direzione dei Musei Civici, inviata all'ANCI, all'UPI e agli Enti Locali

Segreteria ICOM Italia

Nel corso degli ultimi vent'anni, riforme delle pubbliche amministrazione, riduzioni della spesa pubblica, manovre finanziarie hanno costretto gli Enti Locali a concentrare e ridurre la propria struttura dirigenziale.

Queste ristrutturazioni interne, fatte salve poche eccezioni, hanno fortemente limitato l'autonomia dei Musei Civici che sono stati accorpati nella gestione di più ampi settori/uffici amministrativi. Anche in conseguenza di ciò, i Musei Civici, che rappresentano circa la metà dei musei italiani, stanno subendo una forte riduzione e persino la scomparsa (di numero e di ruolo) delle direzioni scientifiche. I ruoli di direzione scientifica, caso unico in Europa, sono oramai quasi sempre attribuiti a dirigenti amministrativi ai quali vengono attribuite anche tutte le competenze e le responsabilità, anche quelle squisitamente scietifiche e museologiche riguardanti la ricerca, la didattica, lo studio, la proposta dei programmi annuali e pluriennali di attività museali e più in generale tutte le funzioni e le finalità istituzionali del museo definite dall'art. 101 del d.l. 42/2004 Codice dei beni culturali e del paesaggio.

In questo contesto è molto positivo che alcune Regioni siano intervenute fissando precisi standard per il funzionamento e l'accreditamento dei Musei Civici, fra cui è determinante la presenza di un direttore pienamente responsabile dello sviluppo e dell'attuazione del progetto culturale e scientifico del museo stesso.

I requisiti necessari per affrontare correttamente i complessi compiti di Direttore di Museo sono stati individuati dalla Carta nazionale delle professioni museali, preparata da ICOM e dalla Conferenza permanente delle associazioni museali italiane, discussa nella I Conferenza nazionale dei musei d'Italia tenutasi a Milano il 24 ottobre 2005 e approvata definitivamente dalla II Conferenza nazionale dei musei d'Italia tenutasi a Roma il 2 ottobre 2006.

Pertanto ICOM Italia, il Comitato nazionale italiano dell'International Council of Museums, racomanda:
- che le Amministrazioni proprietarie di Musei Civici si impegnino a richiedere e a verificare come condizione imprescindibile per l'accesso all'incarico di Direttore quanto previsto dalla Carta nazionale delle professioni museali;
- che il Direttore di Museo Civico sia pienamente responsabile dello sviluppo e dell'attuazione del progetto culturale e scientifico del museo stesso, della sua gestione complessiva, della conservazione, valorizzazione, promozione e godimento pubblico dei beni culturali in esso contenuti e della ricerca e della divulgazione scientifica ad essi connessa;
- che ai Musei Civici sia garantita dallo Statuto e dai Regolamenti degli Enti la più ampia autonomia scientifica, didattica e gestionale , riconoscendone il ruolo di Istituti della Cultura permanenti che, senza scopo di lucro, sono al servizio della società e del suo sviluppo, sono dedicati alla ricerca delle testimonianze materiali e immateriali della Comunità di riferimento e del suo ambiente; che acquisiscono, conservano, comunicano, espongono a fini di studio, educazione e diletto;
- che le attribuzioni delle dirigenze amministrative non siano di norma estese anche alla governance della ricerca, della conservazione e della didattica, in tutte le loro forme, missioni essenziali dei Musei Civici, se non nel coordinamento di tali funzioni.

ICOM Italia, cosciente delle difficoltà e dei limiti operativi in cui si colloca l'azione degli enti locali, si impegna ad offrire il proprio contributo, in tutte le forme ritenute utili, alle Amministrazioni proprietarie di Musei al fine di garantire il miglior funzionamento possibile dei musei civici, la loro autonomia scientifica e gestionale, la professionalità, il ruolo e la responsabilità dei loro direttori e del loro personale scientifico, così come previsto dal Codice etico ICOM per i musei e dalla Carta nazionale delle Professioni museali di ICOM.

Il testo integrale della raccomandazione si trova all'indirizzo www.icom-italia.org


La pagina di ICOM Italia - pag. 7 [2011 - N.42]

Le forme relazionali innovative nel museo. giusto equilibrio fra rigore scientifico, comunicazione emozionale e partecipazione attiva dello spettatore

Lucia Cataldo - Docente di Museologia Accademia Belle Arti di Macerata

Nella comunicazione museale vi sono ancora molte potenzialità e molte idee da esplorare soprattutto nelle possibilità di rapporto con le comunità di visitatori, nell'offrire ai pubblici un'esperienza che possa essere ricordata e che sia la base per una crescita personale. Lo scopo degli studi su forme relazionali innovative nel museo è quello di espandere le riflessioni riguardo l'esperienza di ciascun visitatore e il valore che a essa viene attribuito.
Oggi il museo si presenta come un contenitore culturale e un luogo di dialogo per la comunità dei cittadini. In tal senso non è solo citazione erudita ricordare che nell'antichità la sala chiamata mouseion della Biblioteca di Alessandria d'Egitto era uno spazio di dialogo e condivisione fra scienziati e filosofi e che quindi la definizione di "museo relazionale" riporta il museo verso questo antico significato.
La riflessione qui presentata riguarda soprattutto il museo d'arte o di archeologia, in cui - in alcuni contesti - sembra ancora difficile comunicare attraverso forme relazionali o dialogiche, in nome di una travisata "correttezza scientifica" delle "informazioni". Questa modalità di mediazione culturale "tradizionale" non tiene infatti conto delle molteplici interpretazioni personali delle "informazioni" da parte delle diverse tipologie di pubblico. Esse si differenziano infatti per l'esperienza pregressa, per la conoscenza posseduta, per gli interessi e le motivazioni con cui arrivano al museo.
L'idea di usare la comunicazione teatrale nel museo nasce dal concetto delle narrative museali, cioè di quel modo di concepire il museo come insieme di storie, piuttosto che come verità assoluta; infatti i suoi contenuti sono, e saranno sempre, influenzati dalle idee di chi ha creato le opere, di chi le ha collezionate o selezionate e di chi le ha esposte. Per questo motivo è lecito considerare i messaggi emanati dal museo come delle storie che devono essere "lette" e interpretate dai visitatori (T. Bridal, Exploring Museum Theatre, Altamira Press, 2004; L. Cataldo, Dal Museum Theatre al Digital Storytelling. Nuove forme della comunicazione museale fra narrazione, teatro e multimedialità, Franco Angeli, 2011).
Anche l'idea di "interattività", oggi finalmente promossa nella comunicazione museale trova in realtà la sua prima e originaria accezione nel mondo della narrazione e del teatro. Nelle attività già avviate in diversi paesi, all'interno di orientamenti pedagogici differenti, modalità teatrali sono adottate per facilitare l'approccio del pubblico con gli oggetti. Gli studi compiuti e la sperimentazione sul campo confermano che quello dell'azione teatrale applicata al museo è un ottimo metodo per incentivare e migliorare il rapporto con il pubblico e sono la prova dell'importanza fondamentale del dialogo nel museo (G. Kindler (ed), Museums Theater: theatrale Insenierungen in der Ausstellgspraxis, Karlsruhe, 2001). L'azione teatrale suscita curiosità, attira l'attenzione su ciò che si vuole mostrare instaurando un rapporto di scambio e fungendo in un certo qual modo da mediatore o "interprete" (E. Hooper-Greenhill, Learning from Learning Theory in Museums, GEM News, v. 55, 1994).
"All'interno dei musei contemporanei, dove l'esperienza del visitatore è oramai al centro dell'attenzione, il teatro viene considerato come una potente risorsa per il coinvolgimento delle persone e per l'arricchimento della loro esperienza educativa. È un linguaggio che consente un approccio all'interpretazione dei contenuti sperimentale, creativo e con un forte impatto emotivo. In questa sua natura, rappresenta - e viene utilizzato come - uno strumento educativo e come tale può facilitare la costruzione di nuove conoscenze e la comprensione, specialmente da parte di un pubblico non esperto" (M. Xanthoudaki, Introduzione, in Cataldo 2011).
All'interno del museo le modalità teatrali sono di vario tipo, dal museum theatre ai theatrical tours dallo storytelling, a quelle più complesse in cui si rappresentano veri e propri eventi storici (living history), anche con attori non professionisti o facendo recitare il pubblico (C. Hughes, Museum Theatre. Communicating with Visitors Through Drama, Heinemann, 1998). Molto significative sono le visite/dialogo condotte da guide-attori-animatori che coinvolgono il pubblico attraverso il dialogo in una serie di "azioni" o le performances realizzate da un singolo attore che interpreta un grande scienziato o un artista del passato oppure il personaggio principale di un quadro (Lebende Bilder, "immagine vivente", definita all'interno di un'esperienza di didattica museale tedesca) (J. von Schemm, Lebende Bilder, in Standbein Spielbein, n. 64, 2002).
In Italia l'incontro del pubblico con un personaggio storico è usato con risultati eccellenti da molti anni dal "Museo dei Ragazzi" di Firenze mentre "Le Nuvole" a Napoli hanno elaborato, oltre al "teatro scientifico" ed alla visita animata all'interno della Città della Scienza, anche visite teatralizzate in musei storico-artistici (Museo di Capodimonte).
All'interno delle varie tipologie esistono diverse modalità d'interazione, funzionali agli obiettivi prefissati: alcune volte è previsto l'intervento del pubblico durante l'azione, altre volte il dialogo si svolge alla fine; oppure in alcuni casi il personaggio storico entra nel "tempo" contemporaneo, in altri sono i visitatori che fanno un viaggio temporale a ritroso.
Per l'arte contemporanea è stato sperimentata un'esperienza teatralizzata chiamata laboratorio performativo, che è una specie di "laboratorio di emozioni" innescate dall'azione performativa e dal dialogo con il pubblico organizzato attorno a un'opera all'interno di una mostra. L'attività si può effettuare con l'aiuto dell'artista stesso che viene coinvolto in maniera attiva e "collaborativa". Questa comunicazione non vuole fornire spiegazioni precostituite delle opere, ma fare in modo che esse siano acquisite secondo la riflessione personale, trasformandosi da esperienza estetica in "emozione estetica" (V. Ruggieri, L'esperienza estetica. Fondamenti psicofisiologici per un'educazione estetica, Armando Editore, 1997).
Con l'avvento delle nuove tecnologie al teatro vero e proprio ed allo storytelling si sono aggiunte altre modalità narrative interattive come il digital storytelling e la narrazione multimediale. Il Digital Storytelling è un'estensione dello storytelling tradizionale, in cui l'attore si serve di immagini e mezzi multimediali per completare e rafforzare l'impatto comunicativo. All'interno della narrazione multimediale - diversa dal digital storytelling, poiché non prevede una persona fisica che narra - il dialogo non è con il pubblico ma fra gli interpreti stessi. In esso si possono raggruppare le proiezioni olografiche di personaggi-attori "virtuali" che narrano in prima persona rivolgendosi al pubblico, come l'installazione In udienza da Federico di Paolo Buroni, esposta in permanenza nel Palazzo Ducale di Gubbio. La narrazione multimediale più nota e paradigmatica del genere è il Museo della Resistenza a Fosdinovo, di Studio Azzurro. La famosa équipe italiana indaga le possibilità poetiche ed espressive dei media visuali realizzando esperienze che costruiscono un'unione di immagini, suoni, racconto e narrazione attraverso gli strumenti multimediali.
In definitiva questi approcci possono veicolare contenuti storici e artistici basandosi su materiali e fonti originali - elementi assolutamente "scientifici" - preferendo però un intento emozionale e comunicativo alla tramissione lineare della conoscenza. Essi dimostrano pertanto che è possibile - all'interno del museo - ottenere un giusto equilibrio fra rigore scientifico, comunicazione emozionale e partecipazione attiva dello spettatore.

Contributi e riflessioni - pag. 7 [2012 - N.43]

Dal 2010 la Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino mette a disposizione dei propri utenti un nuovo catalogo 2.0

Chiara Alboni, Chiara Storti - Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino

A volte è difficile credere anche a ciò che si vede. Giorni fa abbiamo risposto alla telefonata di un appassionato utente che, avendo preso in prestito un e-book, ci domandava: "Ho capito bene: non c'è bisogno che lo rinvii in biblioteca, torna da solo a disposizione degli altri lettori? È un servizio bellissimo perché non si rischia di restituire i libri in ritardo!". Quello che chiameremo "auto-restituzione" degli e-book non è che uno dei tanti servizi di Scoprirete, disponibile sul web all'indirizzo http://scoprirete.bibliotecheromagna.it/.
Questo catalogo 2.0 non è solo interrogabile in maniera più semplice e intuitiva ma cresce grazie all'interazione con i suoi fruitori. È sufficiente essere iscritti ad una delle quasi duecento biblioteche sparse sul territorio delle province di Ravenna, Rimini e Forlì-Cesena e su quello Sanmarinese per poter accedere gratuitamente, tramite credenziali personali, a tutti i servizi on-line. La ricerca base è libera, poi è possibile la ricerca avanzata per campi specifici. Per affinare i risultati ci sono i filtri: la biblioteca preferita, l'anno di pubblicazione, l'autore, il tipo di materiale (libro antico o moderno, audiovisivo, musica...) o la disponibilità in formato e-book.
Individuato il documento che ci interessa, lo si può chiedere in prestito, prenotare o prorogare; e se non è la nostra biblioteca a possederlo, si può inoltrare direttamente una domanda di prestito interbibliotecario. C'è inoltre uno spazio in cui lasciare commenti e recensioni, o dove aggiungere tag che forniscono nuovi punti d'accesso al catalogo.
E se avessimo bisogno di qualche spunto di lettura? La Rete ti propone le Schegge di catalogo (ricerche mirate e preimpostate sul catalogo) e alcune Bibliografie compilate dalle biblioteche stesse vengono in aiuto, e ciascuno può creare la propria lista di preferiti e condividerla sui Social Network più noti. Su Chiederete, infine, i bibliotecari rispondono a richieste, curiosità o suggerimenti d'acquisto.
Scoprirete è pensato per essere uno strumento per tutti. Gli appassionati di lettura potranno consultare l'enorme patrimonio della Rete, gli storici troveranno utile la sezione Biblioteca digitale Romagnola, che raccoglie periodici romagnoli dei primi anni del '900 digitalizzati e sfogliabili, o visionare l'ampia collezione di immagini dedicate alla Romagna, mentre gli studiosi potranno approfondire le loro ricerche grazie alle potenti banche dati professionali EBSCO e PROQUEST 5000, contenenti circa 10.500 periodici a testo completo relativi alle scienze umane e sociali; i più piccoli, infine, potranno navigare nel catalogo fatto apposta per loro o scoprire i numerosi progetti promossi da "Nati per Leggere". Non è tutto. Le biblioteche contemporanee, di cui un catalogo 2.0 è l'espressione più immediata, non possono più limitarsi a essere contenitori di un patrimonio documentale fisico, ma devono costituire un punto d'accesso all'universo in continua crescita dei media digitali.
Per questo motivo, nel 2009, è stato creato il primo network italiano di biblioteche pubbliche per la gestione di contenuti digitali denominato "MediaLibraryOnLine". Grazie ad un accordo con Horizons Unlimited, fornitrice del prodotto, anche gli utenti della Rete bibliotecaria di Romagna hanno a disposizione un'immensa collezione gratuita di oggetti multimediali: audio, video, e-book, audiolibri, banche dati, quotidiani e periodici, oggetti di e-learning e collezioni iconografiche. Ogni giorno è possibile sfogliare quotidiani online delle maggiori testate giornalistiche italiane come il Corriere della Sera, la Gazzetta dello Sport, Alfabeta e La Repubblica e altre 1.700 riviste da 80 paesi in 40 lingue raccolte nella banca dati "PressDisplay". I musicofili potranno ascoltare in streaming i 65.000 album musicali di Naxos Music e Alexander Street Press o scaricare gratuitamente e legalmente, ogni settimana, fino a 3 file audio mp3 scegliendoli tra 300.000 album prodotti dalla Sony. Gli e-book, forniti - tra gli altri - da editori quali Casalini libri, Guaraldi, Archetipolibri, Il leone Verde, Morellini, Sossella, Liguori, sono fruibili sia in streaming sia per il download, con diversi tipi di licenze.
E per tutti coloro che non possono fare a meno di essere sempre "collegati" c'è l'App iScoprirete, che permette di conoscere - puntanto la videocamera sul codice a barre di un libro - quali biblioteche della Rete ne possiedono una copia: provare per credere. E non è tutto qui. Scoprirete, in nome della convergenza consentirà anche di 'scoprire' i musei, ma di questo parleremo nei prossimi numeri.

La pagina della Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino - pag. 7 [2012 - N.44]

La seconda parte dell'intervista al presidente del Centro per il librio e la lettura in merito allo stato dell'arte della lettura in Italia alla sua promozione

Chiara Alboni, Chiara Storti - Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino

Il 21 maggio 2012 la Provincia di Ravenna ha organizzato la presentazione del volume di Antonella Agnoli Caro Sindaco parliamo di biblioteche; tra gli intervenuti, anche Gian Arturo Ferrari, per molti anni direttore generale della Mondadori e ora Presidente del Centro per il libro e la lettura, a cui abbiamo posto qualche domanda.

Nello scorso numero di Museo-informa avevamo lasciato il Professore che auspicava un futuro per le biblioteche come centri attivi di promozione della cultura, ovvero luoghi dove si fanno delle cose belle, divertenti, piacevoli e intelligenti. Un po' quello che Sergio Dogliani è riuscito a fare con i suoi Idea Store in Gran Bretagna: centri polivalenti aperti sette giorni su sette, architettonicamente moderni ma che soprattutto che non ospitano soltanto milioni di libri ma anche corsi di formazione, mostre, incontri, opportunità per il tempo libero e attività per i bambini. Insomma, proprio luoghi dove si fanno delle cose belle, divertenti, piacevoli e intelligenti. Di seguito la seconda parte della nostra chiacchierata.

Per incentivare la lettura, si può pensare ad utilizzare tecniche di marketing tipiche dell'editoria. Data la sua ventennale esperienza, cosa ne pensa?

Marketing vuole dire, in termine molto semplici, "soldi". Il marketing costa. In molte attività produttive il marketing è il costo più alto, ed è difficile che le biblioteche possano sostenerlo. Quello che le biblioteche devono fare è adottare qualche tecnica di marketing e quella fondamentale consiste nel mettersi dal punto di vista del consumatore. Le biblioteche, come tutto il mondo del libro in Italia, sono troppo didattiche, troppo autoritarie e "dall'alto", devono invece essere "dal basso" e cercare di capire cosa i loro possibili fruitori vogliono e apprezzano. I bibliotecari non devono giudicare i titoli richiesti dall'utente e dargliene di alternativi: il bibliotecario può pensarne quello che vuole ma se fa il bibliotecario deve essere fedele al suo mestiere.

Ancora sul rapporto tra editoria e biblioteche, un rapporto sottile e controverso. È possibile realizzare una cooperazione più stretta, più profonda tra editori e biblioteche o gli obiettivi degli uni sono troppo divergenti da quelli delle altre?

Le biblioteche sono un servizio pubblico, svolto al pubblico, pagato dal pubblico tramite le tasse dei cittadini. Le case editrici sono imprese private finalizzate a un profitto, non solo, ma anche a un profitto. È chiaro che hanno finalità e scopi diversi. È vero anche che in Italia più che in qualsiasi altro paese sono stati mondi totalmente separati e ostili. Gli editori pensano che i bibliotecari siano dei perdigiorno e dei nullafacenti, e i bibliotecari pensano che gli editori siano dei droghieri e dei salumieri che invece che vendere solo quello che dovrebbero vendere, osano toccare quella cosa sacra che sono i libri. Una delle cose fondamentali che gli editori da una parte e i bibliotecari dall'altra dovrebbero capire è che fanno entrambi parte di un unico mondo, quello del libro, svolgendo funzioni diverse e ben separate ma concorrenti al medesimo scopo. Questo è un cambiamento culturale profondo e difficile, una strada che bisogna percorrere altrimenti la situazione del nostro Paese non migliorerà.

La cultura è uno strumento fondamentale per la creazione di una cittadinanza attiva, soprattutto in un momento di crisi economica come quello che stiamo attraversando: in che modo - secondo lei - la promozione alla lettura e i libri possono diventare veri e propri collettori di partecipazione?

Essenzialmente cambiando atteggiamento. Non parlo della totalità delle biblioteche, ce ne sono anche di nuove, belle e "avanzate" ma, in generale, la situazione delle biblioteche in Italia non è un granché. Di solito, le biblioteche sono migliori tanto più sono di piccole dimensioni o in piccoli centri, con personale esiguo ma appassionato. Invece non conosco in Italia grandi biblioteche che abbiano un'aurea di piacevolezza. È fondamentale agire su questo terreno: finché non cambierà la percezione generale della biblioteca e finché non diventerà un luogo piacevole in cui andare, sarà difficile che la gente le frequenti. Come in tutte le cose del nostro Paese, noi riusciamo bene nel piccolo ma non nel grande.

I cittadini-lettori si formano principalmente nelle scuole. Si potrebbe immaginare un lavoro sinergico tra Ministero dell'Istruzione e Ministero per i Beni Culturali, titolare del Cepell?

Questo è un tema ampio. A livello di Amministrazione Centrale dello Stato, le competenze afferenti al mondo del libro sono numerose, sparse e non coordinate. In parte sono del MiBAC, che esercita il proprio ruolo di coordinamento sulle biblioteche e sul Centro per il Libro, che è un ente di promozione; in altra parte riguardano la Presidenza del Consiglio dei Ministri, cui afferiscono il Dipartimento per l'Editoria e l'Informazione. Sotto un altro aspetto, ancora attengono al MIUR per i libri che non rientrano nella categoria di varia, ovvero la narrativa e la saggistica. Il libro scolastico rappresenta circa metà del mercato del libro in Italia, mercato che fattura circa 3 miliardi di euro all'anno. Infine c'è il MAE che si occupa della promozione del libro italiano fuori dall'Italia e della gestione degli Istituti Italiani di Cultura all'Estero. Questi non sono emanazioni delle Ambasciate o delle rappresentanze diplomatiche ma sono gli eredi delle antiche sedi estere del Partito Nazionale Fascista. Manca perciò una politica unitaria del libro, da anni reclamata non solo dalle biblioteche ma anche dagli editori.

Quali sono i progetti che il Centro per il libro e la lettura ha in agenda? Qualcosa in particolare per il nostro territorio?

Il progetto principale che riguarda il territorio della Provincia di Ravenna si chiama "In Vitro", un programma di avvicinamento alla lettura a partire dai bambini piccolissimi. Con "In Vitro" vogliamo sperimentare un modello di intervento attivo e coordinato su un territorio limitato e specifico. Un esperimento che verrà condotto su sei province italiane, e tra queste, appunto, quella di Ravenna.
Questo è un tema ampio. A livello di Amministrazione Centrale dello Stato, le competenze afferenti al mondo del libro sono numerose, sparse e non coordinate. In parte sono del MiBAC, che esercita il proprio ruolo di coordinamento sulle biblioteche e sul Centro per il Libro, che è un ente di promozione; in altra parte riguardano la Presidenza del Consiglio dei Ministri, cui afferiscono il Dipartimento per l'Editoria e l'Informazione. Sotto un altro aspetto, ancora attengono al MIUR per i libri che non rientrano nella categoria di varia, ovvero la narrativa e la saggistica. Il libro scolastico rappresenta circa metà del mercato del libro in Italia, mercato che fattura circa 3 miliardi di euro all'anno. Infine c'è il MAE che si occupa della promozione del libro italiano fuori dall'Italia e della gestione degli Istituti Italiani di Cultura all'Estero. Questi non sono emanazioni delle Ambasciate o delle rappresentanze diplomatiche ma sono gli eredi delle antiche sedi estere del Partito Nazionale Fascista. Manca perciò una politica unitaria del libro, da anni reclamata non solo dalle biblioteche ma anche dagli editori.

Quali sono i progetti che il Centro per il libro e la lettura ha in agenda? Qualcosa in particolare per il nostro territorio?

Il progetto principale che riguarda il territorio della Provincia di Ravenna si chiama "In Vitro", un programma di avvicinamento alla lettura a partire dai bambini piccolissimi. Con "In Vitro" vogliamo sperimentare un modello di intervento attivo e coordinato su un territorio limitato e specifico. Un esperimento che verrà condotto su sei province italiane, e tra queste, appunto, quella di Ravenna.


La pagina della Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino - pag. 7 [2012 - N.45]

La Provincia di Ravenna partecipa al progetto nazionale In Vitro con l'obiettivo di allargare la base della lettura partendo dai "lettori di domani"

Chiara Alboni e Chiara Storti - Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino

Ogni anno i rapporti statistici sulle nostre abitudini restituiscono dati per nulla incoraggianti sul fronte dell'amore verso i libri: meno di un italiano su due, oggi, legge almeno un libro all'anno!
Il mercato editoriale italiano si regge sulle spalle di una nicchia di lettori forti da dieci libri annuali, un'elite risicatissima pari al 7% della popolazione e che legge il 43% della totalità dei libri letti. E - se non bastasse - il trend negativo è in crescita rispetto agli anni precedenti.
Se da un lato dati come questi possono sorprendere, certamente chi è abituato ad avere almeno un paio di libri sul comodino e una libreria in salotto, poi basta leggere le recenti parole di Tullio De Mauro per avere una triste conferma: "Cinque italiani su cento tra i 14 e i 65 anni non sanno distinguere una lettera da un'altra, una cifra dall'altra. Trentotto lo sanno fare, ma riescono solo a leggere con difficoltà una scritta e a decifrare qualche cifra. Trentatré superano questa condizione ma qui si fermano: un testo scritto che riguardi fatti collettivi, di rilievo anche nella vita quotidiana, è oltre la portata delle loro capacità di lettura e scrittura, un grafico con qualche percentuale è un'icona incomprensibile. Secondo specialisti internazionali, soltanto il venti per cento della popolazione adulta italiana possiede gli strumenti minimi indispensabili di lettura, scrittura e calcolo necessari per orientarsi in una società contemporanea".
Provare a invertire una tendenza, allargando la base dei lettori e conferendo valore sociale al libro e alla lettura, è l'obiettivo di In Vitro, progetto sperimentale di promozione della lettura ideato e finanziato dal Centro per il Libro e la Lettura e attuato con gli Enti locali, con l'Associazione Italiana Biblioteche, l'Associazione Italiana Editori, l'Associazione Librai Italiani e con Nati per leggere.
Il territorio della provincia di Ravenna è una delle sei aree coinvolte nella sperimentazione - insieme a Biella, Terni e Perugia, Nuoro, Lecce e Siracusa - individuate principalmente per la presenza sul territorio di reti o sistemi bibliotecari e per la volontà di adesione al progetto delle istituzioni locali coinvolte. Per la prima volta in Italia una serie di azioni condivise e di ampio respiro coinvolgono tutti i partner della filiera del libro, i referenti politici e i soggetti sociali presenti a livello locale, al fine di allargare la base della lettura partendo dai lettori di domani, i piccoli e i giovani.
In provincia sarà effettuata una mappatura dei comportamenti e delle abitudini dei lettori in relazione a fattori chiave come il titolo di studio, la professione e la fascia d'età. Il principale target di riferimento dell'iniziativa sono i piccolissimi e i bambini in età prescolare, che riceveranno un kit di libri appositamente selezionati in base alle diverse fasce di età, corredato da materiale illustrativo e didattico anche per i genitori. I cofanetti per i neonati saranno distribuiti dalle strutture pediatriche locali.
Ma non saranno i bambini i soli destinatari del progetto, perché anche gli adolescenti avranno iniziative a loro dedicate, mentre gli adulti guarderanno con interesse alle attività di aggiornamento. Sono previsti infatti seminari e corsi volti alla creazione di nuove figure professionali, i promotori della lettura, che opereranno in strutture dedicate con l'ausilio di specifici materiali divulgativi. Non mancheranno corsi di lettura ad alta voce e altri momenti formativi per pediatri e genitori.
Gli strumenti operativi previsti sul territorio sono due: il patto locale per la lettura e il gruppo locale di progetto.
Il patto locale per la lettura è uno strumento amministrativo-istituzionale che consente all'ente che assumerà il coordinamento locale di collegare e orientare l'azione di tutti gli attori interessati in qualche modo all'incremento degli indici di lettura.
Il gruppo locale di progetto è invece uno strumento organizzativo concepito per garantire un efficace management del progetto; la sua composizione può variare a seconda dei territori, in ogni caso ne possono far parte bibliotecari, educatori, librai, editori, operatori del mondo della scuola e rappresentanti dei media locali e del tessuto economico e culturale interessati alla promozione della lettura.
Il ruolo del gruppo locale è di fondamentale importanza, proprio in virtù del suo essere costituito da un team di professionisti radicati sul territorio. La metodologia scelta da In Vitro, infatti, permette di fondare su basi nuove le politiche e le strategie di promozione della lettura, poiché ne vincola le modalità e in parte i contenuti ai territori, alla loro specifica configurazione, agli specifici attori che la popolano e alle particolari relazioni che ne costituiscono il tratto identitario. Sono l'esame minuzioso della realtà locale e il disegno di un piano di attività di promozione specificatamente concepito e personalizzato che contraddistinguono In Vitro dai progetti o dalle iniziative di promozione della lettura sinora tentati in Italia, che privilegiavano un approccio dall'alto al basso e basati dunque su disegni non adattati al tessuto territoriale.
Nel nostro territorio, a coordinare il gruppo locale è la Provincia di Ravenna che, oltre a mettere a disposizione l'infrastruttura fisica e la logistica per la realizzazione del progetto (sedi per corsi e incontri, telefono, fax, fotocopie ecc.), individua le risorse umane per le attività previste e organizza e promuove tutta la filiera del progetto locale, dall'ideazione alla ricerca di sostegno economico nel territorio, dalla comunicazione con i media al coinvolgimento fattivo delle realtà che gravitano attorno all'educazione e alla promozione della lettura. Un potenziamento, quindi, anche della rete di azioni e relazioni che fin dal 1999 il territorio promuove con Nati per Leggere, il progetto di lettura ad alta voce ai bambini dal primo anno di vita, che vede operatori socio-sanitari, socio-educativi e culturali impegnati a trasmettere ai genitori il messaggio sull'importanza della condivisione della lettura con i propri figli fin dalla più tenera età.
A livello centrale, infine, il coordinamento generale di In Vitro sarà assicurato da un team di progetto o gruppo nazionale di progetto, una sorta di "cabina di regia", coordinata dal Centro per il Libro e la Lettura. Il gruppo nazionale di progetto si occupa della comunicazione, selezionando le migliori pratiche ed esercitando nei confronti del gruppo locale una funzione di stimolo e di verifica dei risultati.
La lettura rappresenta un bene comune, strumento fondamentale per lo sviluppo della personalità e della socialità, elemento essenziale per convivere in democrazia. Partendo da questo presupposto, In Vitro investe sulla lettura come risorsa strategica in una logica di lungo periodo, come strumento di sviluppo per la crescita economico-sociale dell'Italia, cominciando proprio dai bambini.
Per ulteriori informazioni sul progetto: www.cepell.it.

La pagina della Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino - pag. 7 [2013 - N.46]

La prima parte dell'intervista al direttore della Bayerische Staatbibliotek di Monaco di Baviera, responsabile del Dipartimento
Digital Library

Chiara Alboni, Chiara Storti - Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino

Lo scorso 14 giugno la Rete Bibliotecaria ha invitato a Ravenna Klaus Kempf per una Lectio Magistralis sul tema delle collezioni nell'età digitale. A Kempf abbiamo rivolto qualche domanda specifica sul tema. La seconda parte dell'intervista la troverete sul prossimo numero di Museo in•forma.

Da molti anni si discute di "Biblioteca ibrida", un luogo dove possano coesistere media informativi di diversa natura. Pensa che tale definizione sia ancora appropriata per l'attuale situazione delle biblioteche, ammesso che lo sia mai stata?
La biblioteca ibrida non è solo un edificio al cui interno convivono media digitali e media classici, cioè stampati. Il patrimonio delle biblioteche ha sempre presentato materiali di vario tipo e provenienza. Ciò che oggi consideriamo "biblioteca ibrida" è invece un fenomeno sfaccettato e complesso. C'è sicuramente la questione del patrimonio bibliografico sia classico, che aumenta in quanto oggi si stampano libri più che in un qualsiasi altro momento storico, sia digitale, che cresce anch'esso in maniera esponenziale e che non può sempre considerarsi "pubblicazione" in senso stretto. Ma in particolare ci sono due aspetti fondamentali da considerare. Innanzitutto, c'è un cambio nel paradigma della biblioteca, che non fa più riferimento all'uso della sua collezioni ma considera il punto di vista dell'utente. Ci si chiede cioè come la biblioteca possa soddisfare in modo ottimale il fabbisogno dell'utente, al limite anche ricorrendo al materiale o alle collezioni di altre biblioteche o istituzioni, per le quali agire da intermediari; la collezione, finora punto di partenza per tutte le attività delle biblioteche, ha perso il suo monopolio. Il secondo aspetto, altrettanto importante, è che le biblioteche, con l'avvento del digitale e di internet, si trovano a non essere più i soli attori nel campo dell'informazione. I nuovi attori, come Google, offrono servizi che fanno concorrenza alle biblioteche perfino nel loro core business, ovvero nel prestito: Amazon, ad esempio, almeno in Germania, dà ai suoi clienti tre volte al mese libri gratis in prestito. Questa è la "biblioteca ibrida": una biblioteca in grado di gareggiare in questo scenario.

Molti bibliotecari si interrogano sulla questione della conservazione delle collezioni digitali, anche perché la biblioteca è percepita, in prima istanza, come istituzione deputata alla conservazione dei patrimoni documentali. Il timore che le collezioni digitali si perdano nel tempo induce addirittura alcuni bibliotecari a non acquistarle. È possibile ovviare al problema, sempre che di problema si tratti?
L'idea che la biblioteca ancor oggi debba essere essenzialmente un luogo di conservazione del patrimonio documentale è un'interpretazione puramente italiana, su cui si potrebbe discutere. I colleghi italiani sottostimano o non apprezzano nel modo giusto la ricchezza dei contenuti delle loro biblioteche. In Italia, almeno nell'area centro-settentrionale, le grandi biblioteche civiche storiche sono la memoria della relativa città e della relativa regione, e questo è forse il vero capitale su cui investire nel futuro. A prescindere da ciò, la reticenza a impegnarsi nel campo del digitale ha altre cause. A mio avviso, oltre al fatto che manca l'aspetto "tattile", uno dei problemi principali delle collezioni digitali - che riguarda tutte le biblioteche del mondo - è quello giuridico. Di queste collezioni, infatti, non è possibile acquisire la proprietà, ma solo il diritto d'uso, una licenza. Le collezioni digitali non entrano mai, in senso stretto, nel patrimonio della biblioteca; inoltre, ciò che i colleghi americani hanno sempre considerato un diritto, il cosiddetto resources sharing, oggi con un classico e-book e le licenze in vigore non è assicurato, ovvero non è possibile dare un e-book in prestito interbibliotecario. Si tratta di una grossa perdita, anche economica, perché il prestito interbibliotecario garantisce che un patrimonio sia utilizzato indipendentemente dalla sua collocazione fisica. Ma ci sono altri problemi. Non è facile, ad esempio, ricucire il workflow interno alla biblioteca del materiale elettronico: nelle biblioteche c'è un disperato bisogno di una riorganizzazione profonda, sia della struttura sia in particolare dei processi di lavoro. Inoltre non esistono, come nel mondo classico, partner ben definiti e conosciuti per gli acquisti, librai, agenzie per le riviste o altri fornitori di servizi. Nel mondo del digitale, d'altronde, il mercato è ancora in formazione, ma ci sono i cosiddetti "aggregatori" che vendono risorse come gli e-book. Sono problemi che i bibliotecari affrontano con difficoltà, perché devono dividere il sempre più piccolo gruzzolo riservatogli dal bilancio per soddisfare i bisogni di un'utenza sempre più individualista. Quest'ultimo, oltretutto, è un altro aspetto della "biblioteca ibrida", ovvero la forte emancipazione dell'utente dalla sua biblioteca. L'utente si comporta sempre di più come un cliente in un mercato commerciale, anche nei confronti di servizi che sono gratuiti, pensando di trovarsi di fronte a un'azienda. Ciò sottopone le biblioteche ad un forte stress, perché non sono ancora in grado di rispondere a questo tipo di domanda.


La pagina della Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino - pag. 7 [2013 - N.47]

Piccolo glossario rivolto agli utenti delle biblioteche per conoscere i servizi digitali offerti dalla Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino

Chiara Alboni, Chiara Storti - Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino

ACSM
È l'estensione dei file protetti da Adobe DRM: quando prendi a prestito un e-book viene richiesto di salvare un file con estenzione .acsm, che altro non è che la licenza d'uso: aprilo con Adobe Digital Editions per completare il download e  et voilà! - l'e-book è pronto la leggere!
Biblioteca Digitale Romagnola
Oltre 40 periodici romagnoli dei primi anni del Novecento, digitalizzati con testi completi e sfogliabili attraverso il catalogo.
Commenti
Tutti gli utenti di Scoprirete, una volta effettuato il login, possono lasciare opinioni e commenti sui libri appena letti o su quelli preferiti.
DRM
Digital Rights Management è un sistema di protezione dei file che consente la tutela del diritto d'autore dei contenuti digitali: tramite i DRM i file audio o video vengono codificati e criptati in modo da regolarne l'utilizzo e la diffusione. Per gli e-book, ad esempio, può anche essere usato per limitare il numero di dispositivi sui quali lo stesso può essere visualizzato (Adobe DRM).
ePub
Formato specifico per la realizzazione e pubblicazione di e-book, considerato un formato standard e universale. È il formato consigliato per la lettura su e-reader, smartphone e tablet, grazie alla sua impaginazione che si adatta alle dimensioni del carattere scelto e dello schermo.
Free drm
Opere di pubblico dominio o con licenza aperta che sono presenti in rete e che abbiamo selezionato e raccolto nella nostra biblioteca digitale. Per visualizzarne la lista completa basterà digitare nella stringa di ricerca di Scoprirete la parola "free" e filtrare per "e-book".
Giornali
L'edicola di MLOL è costituita dalla banca dati Press Display e altri quotidiani e riviste sfogliabili on-line, tra cui il Corriere della Sera, Il Sole 24Ore e Il Resto del Carlino con le edizioni locali. Per molti quotidiani sono disponibili il sintetizzatore vocale (utile per i periodici in lingua estera), la versione in .pdf liberamente scaricabile e i numeri arretrati.
Help Desk
Ti serve aiuto per il prestito di un e-book o vuoi semplicemente conoscere i serivizi della Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino? Ecco tutti i nostri contatti: email biblioteche@mail.provincia.ra.it - skype biblioteche.romagna - tel. 0544 258646-47-48-49-50 - Facebook www.facebook.com/retebibliotecaria.romagna.sanmarino - Twitter @ReteBibRomagna.
iScoprirete
L'app gratuita, per smartphone e tablet, grazie alla quale puoi accedere al catalogo Scoprirete e ai servizi della Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino.
Kindle
L'eReader di Amazon consente la lettura di e-book con formato proprietario di Amazon, non supporta, quindi, il formato standard (epub) che caratterizza gli e-book pesenti sulla nostra Rete. Possono però essere scaricati anche su questo device gli ebook free.
Login
Per effettuare il login su Scoprirete è sufficiente inserire nel campo "utente" il codice lettore - assegnato al momento dell'iscrizione gratuita in una qualsiasi delle biblioteche della Rete - e la password che, per il primo accesso, corrisponde alla propria data di nascita nel formato gg/mm/aaaa.
MLOL (Media Library Online)
È una piattaforma che permette agli iscritti alla Rete di aver accesso via Internet (24/7) a moltissimi contenuti digitali (e-book, musica, film, e-learning, audiolibri, quotidiani ecc.).
Nati per Leggere News
È la newsletter promossa dal Coordinamento della Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino con l'intento di offrire un canale di comunicazione aggiuntivo e di informazione diretta sulle attività per bambini e per i loro genitori realizzate nel territorio romagnolo. Iscrizioni su www.bibliotecheromagna.it e www.facebook.com/retebibliotecaria.romagna.sanmarino
Opac 2.0 Scoprirete
È l'Opac 2.0 della nostra Rete Bibliotecaria: un portale d'accesso ai documenti e ai servizi gratuiti on-line delle nostre biblioteche.
ProQuest 5000™
Uno dei più completi database multidisciplinari disponibili on-line. Con più di 10.200 pubblicazioni, di cui oltre 6.020 con testo integrale, fornisce in modo approfondito la copertura di una vasta gamma di discipline, comprendendo periodici correnti in oltre 130 aree tematiche.
Rete Indaco
Piattaforma digitale che offre agli utenti delle biblioteche aderenti (tra cui la Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino) una serie di servizi digitali gratuiti, come ascoltare e scaricare musica, vedere film in streaming e proiezioni d'essai, prendere in prestito e-book, e molto altro.
Social DRM
È un metodo per la protezione dei contenuti che, diversamente dal DRM Adobe, non pone limiti all'uso del documento in cui viene inserito: non solo l'e-book, terminato il periodo di prestito, resta a te per sempre, ma può anche essere traferito su qualsiasi dispositivo in grado di leggere il formato ePub, nonché essere convertito in altri formati.


La pagina della Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino - pag. 7 [2014 - N.49]

Da luglio è on-line la versione beta del nuovo Scoprirete "FRBRizzato" della Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino

Chiara Storti, Chiara Alboni - Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino

'Opac Scoprirete "FRBRizzato", primo in Italia nel suo genere, è stato costruito ispirandosi ai principi di FRBR - Functional Requirements for Bibibliografic Records, modello concettuale elaborato da IFLA (International Federation of Library Associations) e pubblicato nel 1998, ma al quale solo negli ultimi anni si è iniziato a guardare a livello internazionale per la realizzazione delle interfacce utente.
Ci limiteremo a ricordare, in questo contesto, che il maggior pregio di FRBR è quello di aver introdotto la definizione del concetto di opera come "creazione intellettuale o artistica originale" che si concretizza in espressioni (es. traduzioni) e in manifestazioni (es. edizioni, formati...) e, infine, in un item, l'esemplare posseduto da una biblioteca.
Lo Scoprirete "FRBRizzato", sviluppato proprio sulla base dell'individuazione di queste entità e delle relazioni tra di esse, è in grado di visualizzare le espressioni e le manifestazioni sotto la rispettiva opera, producendo liste di risultati sintetiche e di facile navigabilità, senza inutili duplicazioni di informazioni.
Filtrando poi per la biblioteca preferita, si individua la copia del documento da questa posseduta.
Si è scelto di distinguere, per il momento, tre tipi di opera: letteraria, video e musicale; riuscendo, in alcuni casi, anche a gestire le relazioni tra di essi. In questo modo, interrogando, ad esempio, per "Harry Potter e l'ordine della fenice", oltre all'opera letteraria, si ottiene tra i risultati anche il film - opera video - tratto dal libro.
Sulle opere sono visibili l'indicazione dell'autore e del genere, l'abstract, i tag e i commenti dei lettori.
Come per lo Scoprirete attualmente in uso, le liste di risultati sono successivamente raffinabili tramite faccette e tag. La grafica, se pure rinnovata dal punto di vista estetico, resta sostanzialmente coerente a quella precedente, in quanto già studiata nell'ottica di un approccio web 2.0 alla navigazione dei contenuti.
Inutile dire che lo sviluppo di un Opac di questo genere si inserisce nel più ampio percorso di convergenza MAB: i raggruppamenti a livello di opera, almeno negli applicativi di front-end, consentiranno di fornire agli utenti dei diversi istituti culturali un panorama il più possibile completo del variegato patrimonio museale, archivistico e bibliotecario del nostro Paese e le sue correlazioni.
Consapevole dei limiti e delle possibilità, sia per gli operatori di biblioteca sia per gli utenti, di uno strumento ancora in versione beta, la Rete romagnola propone uno strumento user friendly, proseguendo l'approccio sempre mantenuto lungo la sua storia ormai più che trentennale.
http:\\solfbr.provincia.ra.it

La pagina della Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino - pag. 7 [2014 - N.50]

Dagli standard catalografici alle linee guida per la convergenza MAB o GLAM

Chiara Storti, Chiara Alboni - Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino

Si è tenuta lo scorso 16 ottobre, alla Biblioteca nazionale centrale di Roma, la giornata informativa sulla traduzione italiana dello standard RDA. Mauro Guerrini e Carlo Bianchini, rispettivamente coordinatore e caporedattore del Gruppo di lavoro tecnico per la traduzione delle regole di catalogazione RDA, hanno presentato i lavori in corso del Gruppo. La Rete bibliotecaria di Romagna e San Marino aveva anticipato questo incontro nazionale, invitando Guerrini a giugno a Ravenna per due giorni di formazione.
RDA nasce come aggiornamento delle AACR2 - Anglo-American Cataloguing Rules, Second Edition. Subito però ci si rende conto che la comunità bibliotecaria internazionale non ha bisogno soltanto di un cambiamento normativo ma di un vero e proprio mutamento di prospettiva: è necessario infatti inserire i cataloghi delle biblioteche nella rete informativa globale. RDA è un insieme di linee guida, che come tale si propone e non più come standard. Recepisce infatti non solo il modello concettuale FRBR - Functional Requirements for Bibliographic Records ma anche e soprattutto la logica dei Linked Data. Secondo RDA, le informazioni o,  meglio, i record devono subire un processo di granularizzazione: i dati così ottenuti possono essere riaggregati e riutilizzati in sistemi diversi, applicando il modello delle triple RDF - Resource Description Framework. Gli obiettivi dichiarati di queste nuove linee guida possono essere riassunti in "identificare", "collegare", "rappresentare" e "navigare" (o "scoprire") le risorse. Il focus si sposta dalla creazione dell'informazione alla ricerca dell'informazione o, in altre  parole, dal lavoro del bibliotecario alle necessità dell'utente: sappiamo infatti come, già da molti anni, le biblioteche abbiano reso proprio gli utenti il loro core business.
L'altra vera rivoluzione è deducibile già dal titolo delle linee guida, nel quale non si parla più di dati o record bibliografici ma genericamente di descrizione e accesso alle "risorse": risorse riconducibli a tutti i tipi di contenuto e di media. Ciò significa che le linee guida RDA, seppur elaborate in ambito bibliotecario, sono destinate a tutti i detentori e gestori di risorse informative tra i quali, in primo luogo, archivi e musei, così come si evince dalle parole dello stesso Carlo Bianchini: "Lo standard dovrà approfondire il processo di collaborazione con gli archivisti e gli operatori museali, i quali, in passato hanno sviluppato modi di descrivere specifici adattati alle risorse delle loro collezioni, assai diverse da quelle delle biblioteche. Lo sviluppo delle linee guida dovrà tener maggiormente conto di queste tradizioni. RDA è consapevole che non potrà sostituire totalmente gli standard e i modelli sviluppati da altre comunità. La metadatazione è, tuttavia, un'operazione trasversale che interessa tutti coloro che creano dati e li pubblicano sul web in qualsiasi contesto e ambito disciplinare: bibliografia, editoria, media, amministrazione pubblica, geografia, arte, archeologia, sport, scienze della vita, musica, religione... Ciò costituisce un aspetto determinante per le collezioni del presente e del futuro, ancor più nel contesto del web semantico".
La cooperazione e la convergenza, a livello tecnologico, dovrebbero essere facilitate anche dal fatto che RDA fornisce indicazioni sul contenuto dei record ma non sulla loro rappresentazione e visualizzazione, in completa rottura concettuale con tutti gli standard precedenti (ad esempio, ISBD - International Standard Bibliographic Description) eppure con la possibilità di armonizzarsi con essi. Per questo motivo, teoricamente, non sarà nemmeno necessario dismettere i sistemi e i software attualmente in uso, consentendo un passaggio in "economicità".
La traduzione italiana di RDA è in fase di completamento, con ottimo tempismo rispetto alle altre traduzioni. Certamente c'è ancora molto da lavorare, così come si sta facendo in Francia, per recepire le indicazioni di RDA armonizzandole con gli standard e le pratiche consolidate a livello nazionale per la descrizione e l'indicizzazione delle risorse, ma si spera che anche questo processo sia concluso in tempi relativamente brevi. Dal nostro punto di vista, infatti, RDA si propone come uno degli strumenti della convergenza MAB o GLAM - Galleries • Libraries • Archives • Museums, per usare un acronimo internazionale, caro al mondo Wikimedia.

La pagina della Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino - pag. 7 [2014 - N.51]

La Rete bibliotecaria al convegno "The art of invention" di EMEA_OCLC

Chiara Storti - Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino

David Weinberger, autore del famoso Elogio del disordine. Le regole del nuovo mondo digitale, è stato uno degli ospiti d'onore del convegno annuale dell'EMEA_OCLC (il Consiglio regionale dell'Online Computer Library Center che ne riunisce i membri provenienti dall'Europa, dal Medio Oriente e dall'Africa), tenutosi il 10 e 11 febbraio scorsi a Firenze.
Il filo conduttore delle due intense giornate di studi, The art of invention, ha ripreso uno dei temi cruciali del dibattito biblioteconomico attuale, ovvero quello della necessità di reinventare le biblioteche perché sopravvivano all'era digitale e al taglio dei fondi, portandolo però alle sue estreme conseguenze. Il messaggio è chiaro: i bibliotecari non devono solo reinventarsi e reinventare gli spazi delle loro biblioteche ma devono essere veri innovatori. La capacità di innovare, infatti, non solo tutela la professione ma apporta benefici sul lungo periodo e a una comunità più ampia. Un assioma valido in qualsiasi settore eppure, fino ad adesso, poco considerato dai bibliotecari italiani.
Verrebbe anzi da dire che la rivoluzione digitale si sia rivelata, negli ultimi anni, un ottimo alibi per l'immobilismo delle biblioteche dichiaratesi il più delle volte completamente impotenti davanti alla forza innovativa del mezzo digitale o che, nel migliore dei casi, hanno tentato - e ancora tentano - di trasformarsi in qualcos'altro. Il reinventarsi come centri sociali, laboratori, spazi di coworking e piazze del sapere non solo è lecito per le biblioteche pubbliche ma in gran parte auspicabile. Eppure, proseguendo ciecamente in quest'opera di trasformazione è assai probabile che davvero si arrivi a un punto in cui le biblioteche non serviranno più perché saranno troppo altro da sé. Si dovrebbe perciò ragionare sul fatto che i media tecnologici, e nello specifico quelli digitali, influenzano profondamente l'innovazione ma non sono necessariamente innovazione in sè, soprattutto per le biblioteche. L'innovazione, in un certo senso, è un cambiamento di atteggiamento nei confronti del mondo, è cioè qualcosa nella sua essenza di profondamente analogico, con cui qualsiasi tipologia di biblioteca, con qualsiasi tipologia di utenza, dovrebbe confrontarsi.
Come modificare questo atteggiamento? Innanzitutto accettando il disordine, la confusione, il caos: sia il disordine del digitale sia quello che potremmo definire "sociale", derivante dalla globalizzazione e dalla mobilità umana. Sembra un'impresa impossibile per delle istituzioni nate per mettere ordine al mondo! Oggi il mondo è troppo vasto e troppo sfaccettato per essere ordinato, la mole di documenti cresce in maniera esponenziale e innarestabile perché possa essere gestita con i metodi tradizionali. Oggi non possiamo mettere ordine e soprattutto non possiamo realizzare un ordine solo. Possiamo però sfruttare le potenzialità del disordine e della serendipità che, per dirla alla Weinberger, "scalano" - scale - il significato delle cose, ovvero aggiungono ulteriori "sensi" (metadati) a quelli più facilmente e immediatamente individuabili, grazie alle diverse sensibilità di chi entra in contatto con quel dato: il bibliotecario, l'utente o l'utilizzatore a qualsiasi titolo.
Disponiamo di una grandissima mole di dati e metadati e di infinite connessioni - link - ma non sempre ne comprendiamo il significato, non sempre riusciamo a trasformare le informazioni in conoscenza e la conoscenza in comprensione, quest'ultima possibile solo attraverso una "conversazione".
Ed è esattamente nell'aiutare questa comprensione che la biblioteca pubblica dovrebbe trovare il proprio ruolo. Il vero cambiamento auspicabile per le nostre biblioteche non è, o non soltanto, quello di imparare a sfruttare il digitale e a concorrere con esso, ma è quello di riuscire a diventare il "centro di significato" di una comunità - center of community meaning - dove le conversazioni siano facilitate e incoraggiate.
Alla fine del suo intervento David Weinberger ha voluto toccare anche la questione della privacy: per evitare che i timori, spesso eccessivi, sulla tutela dei dati rischino di divenire un forte deterrente di queste conversazioni, la sua regolamentazione dovrebbe avvenire, quanto più possibile, a livello locale in base alle reali esigenze di una comunità, non soltanto con dettami imposti dall'alto. Ecco quindi che i bibliotecari dovrebbero essere sempre più dei "gestori di metadati": in senso stretto, innovando i metodi di catalogazione dei documenti e di interscambio dei dati e, in senso lato, come facilitatori di conversazione e creatori di significato intorno ai dati stessi.

La pagina della Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino - pag. 7 [2015 - N.52]

Un progetto della Rete Bibliotecaria tra le migliori proposte di
alfabetizzazione digitale su tutto il territorio nazionale

Chiara Alboni, Valentina Ginepri - Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino

Lo scorso maggio l'Agenzia per l'Italia Digitale (AgID), organo della Presidenza del Consiglio dei Ministri che ha il compito di garantire la realizzazione degli obiettivi dell'Agenda digitale italiana, ha inserito un progetto della Rete bibliotecaria di Romagna e San Marino tra le migliori proposte a livello nazionale pervenute a seguito della Call for proposal promossa dalla Coalizione Nazionale per le Competenze Digitali, che si dedica alla diffusione e al continuo monitoraggio dei progetti di alfabetizzazione digitale su tutto il territorio.
LeggeRete, questo il nome del progetto,  è dedicato alla promozione della lettura digitale ed è stato presentato a Roma durante il Forum PA, il 28 maggio 2015.
"Questo riconoscimento -ha commentato il vicepresidente della Provincia Paolo Valenti, presente all'evento - si inserisce in un lungo percorso di attenzione alla promozione della lettura e dei servizi bibliotecari e di alfabetizzazione e formazione all'utilizzo delle nuove tecnologie, iniziato nella nostra provincia nel lontano 1986, quando la Rete bibliotecaria fu la prima realtà italiana ad automatizzare i servizi bibliotecari rivolti agli utenti e a insegnare l'utilizzo degli strumenti tecnologici, allora i terminali e i primi computer, per l'accesso ai servizi e consolidato dieci anni dopo con il progetto di rete civica Racine che consentì a tanti nostri utenti di cominciare a conoscere Internet e i relativi servizi. L'intento del nuovo progetto è superare il 'digital divide' con particolare attenzione alle fasce più deboli e al mondo della scuola, consentendo a tutti la fruizione delle nuove modalità di lettura digitale e di accesso alla conoscenza".
LeggeRete, promosso in collaborazione con l'Istituto beni artistici culturali naturali della Regione Emilia-Romagna, prevede una serie di azioni che si protrarranno fino a metà del 2016, alcune delle quali già consolidate sul territorio romagnolo, come i Digital Day (le giornate formative e informative su Scoprirete e sui servizi digitali della Rete bibliotecaria di Romagna), altre sperimentali, nate sulla base dell'analisi dei risultati del lavoro che, in questi anni, il Coordinamento e le biblioteche della Rete hanno portato avanti tra i lettori e nelle scuole.
Arrivano così gli Skipper Digitali, tutor a disposizione dei cittadini per la promozione e l'assistenza in merito ai servizi digitali bibliotecari e all'utilizzo dei più diffusi device per la lettura digitale: saranno presenti in luoghi insoliti (scuole, centri sociali, stabilimenti balnerari, alberghi, sagre e altri luoghi di aggregazione per adolescenti e adulti) e, e-reader e tablet alla mano, insegneranno a scaricare un ebook, ad ascoltare un audiolibro e a sfogliare quotidiani e riviste online.
Un Festival della lettura digitale, poi, porterà nel territorio della provincia di Ravenna incontri con esperti nel settore della lettura e della piccola editoria digitale, corner degli editori digitali, laboratori di creazione ebook e laboratori Coder Dojo.  
La lettura digitale non è necessariamente legata all'oggetto ebook, e i cittadini che leggono sul web sono lettori a tutti gli effetti: da qui l'idea di coinvolgere in LeggeRete anche Wikimedia Italia, per sollecitare nei lettori la partecipazione attiva alla creazione di una delle enciclopedie più lette al mondo.  Saranno così rafforzati i progetti già avviati con l'associazione, e promossi seminari e workshop su Wikipedia e Progetti GLAM (Gallerie, Biblioteche, Archivi e Musei).

La pagina della Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino - pag. 7 [2015 - N.53]

Un resoconto dal 2° Congresso MAB dedicato al riconoscimento e alla formazione delle professioni culturali

Chiara Storti, Chiara Alboni - Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino

La Biblioteca Nazionale Centrale di Roma ha ospitato, il 19 e il 20 novembre, il 2° Congresso nazionale MAB, gli stati generali dei professionisti di musei, archivi e biblioteche. Le tre sessioni parallele erano dedicate rispettivamente alla deontologia professionale, all'interdisciplinarietà, e alle tecnologie e alle reti per gli istituti culturali, ma sono stati molti i temi trattati collateralmente.
MAB Italia è un'aggregazione formale relativamente giovane - nasce nel 2011 - che vive già una sua "crisi di identità": cos'è il MAB e chi sono e come si caratterizzano coloro che lavorano in queste istituzioni? È evidente come non si possa ritenere professionista del MAB chi semplicemente ha seguito uno specifico percorso universitario o chi si trova de facto ad avere una funzione in quest'ambito. Archivisti, bibliotecari e operatori dei musei sono tali perché hanno determinate competenze e svolgono mansioni tecnico-amministrative (auspicabilmente entrambe contemporaneamente) caratterizzanti.
Restando perciò fermo che la formazione universitaria non è comunque adeguata alle reali esigenze del mondo del lavoro, è necessario che il MAB si organizzi per certificare le competenze e incentivare la formazione continua dei professionisti; formazione che dovrebbe contemplare una base comune di conoscenze. Certificare in maniera univoca le competenze a livello nazionale renderebbe più semplice anche l'iter di equipollenza di queste competenze a livello internazionale, europeo in particolare. Ricordiamo che sono del 2014 le Norme UNI 11535 e 11536 che regolano le professioni del bibliotecario e dell'archivista.
Strettamente legato al tema della qualifica professionale c'è quello della deontologia. Gli operatori del MAB condividono evidentemente gli stessi valori ma attribuendogli pesi differenti; per citare un caso intuitivo, la privacy è centrale per gli archivisti, molto meno per chi lavora nei musei. Sembra perciò più facilmente percorribile, in prima istanza, la strada della definizione di un codice deontologico unico per gli istituti della cultura - che hanno come mission principale e accomunante quella di tutelare e valorizzare il patrimonio, facilitando l'accesso alla conoscenza - per poi valutarne le implicazioni nelle diverse discipline e categorie professionali.
Inoltre, va da sé, che i codici deontologici dovrebbero essere continuamente aggiornati in relazione ai mutamenti di contesto, legislativi, tecnologici ecc.
Le questioni fin qui evidenziate sono da collocarsi chiaramente su un terreno politico-gestionale 'alto' ma ce ne sono molte che potremmo definire di ordine pratico - eppure di fondamentale importanza - che possono e devono essere affrontate 'dal basso': prima fra tutte, quella dei vocabolari. Intendendo con vocabolari una vasta gamma di problematiche che vanno dall'accordo su un lessico professionale condiviso alla modellazione di ontologie per i dati del patrimonio culturale. Ad esempio, sulla falsa riga della "Carta nazionale delle professioni museali" (2005-2006) sarebbe opportuno redigere una "Carta nazionale delle professioni del patrimonio" univocamente classificate, denominate e qualificate. Allo stesso tempo, parole come "interdisciplinarietà" e "interoperabilità" restano speculazioni teoriche - almeno in ambiente digitale - se non si definiscono ontologie comuni e riusabili capaci di esporre i ricchi dati del nostro patrimonio culturale sul Web, rendendoli ricercabili tramite i motori di ricerca.
A onor del vero, già da tempo, in Italia esistono gruppi autocostituitisi di professionisti del MAB che discutono di questi complessi argomenti e pongono in essere iniziative congiunte a beneficio di un'utenza che sembra rispondere assai positivamente agli eventi che coinvolgono i molteplici istituti culturali del proprio territorio; significative a questo proposito le esperienze del Gran Tour Cultura Marche e del gruppo di lavoro MAB Toscana sulla condivisione dei linguaggi descrittivi.
Potremmo quindi forse concludere che il MAB, oltre ad un modo di pensare, è - o dovrebbe essere - un modo di parlare (agli utenti) e di parlarsi (tra professionisti).

La pagina della Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino - pag. 7 [2015 - N.54]

Il primo esperimento a livello regionale di acquisto centralizzato delle risorse digitali in biblioteca

Chiara Alboni, Valentina Ginepri - Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino

Avevamo già parlato di Leggerete (nel n. 53 del 2015 di Museo informa), il nostro progetto di promozione della lettura digitale promosso in collaborazione con l'Istituto beni artistici culturali naturali della Regione Emilia-Romagna, per raccontare del suo avvio e del successo ottenuto nella selezione promossa dalla Coalizione Nazionale per le Competenze Digitali. Ritorniamo a parlarne ora che il progetto è stato avviato da un po', molte attività si sono concluse con grande soddisfazione e alcune novità stanno arrivando.
L'attività formativa ha coinvolto, per il momento, più di cento bibliotecari e trenta cittadini (giovani volontari da impiegare nelle biblioteche come facilitatori digitali) delle province di Ferrara e Reggio Emilia, e sono di prossima partenza i corsi per i bibliotecari delle province di Bologna e Parma; grazie ai Digital Day, nelle scuole e nelle biblioteche della Rete bibliotecaria di Romagna e San Marino abbiamo incontrato più di duemila persone e studenti; è stata attivata la collaborazione con il progetto Pane e Internet, per inserire il modulo sulla lettura digitale come competenza dei Facilitatori digitali, e con Wikimedia Italia, per muovere i primi passi nel progetto scopriGLAM; altri enti ed associazioni locali, infine, sono stati contattati per eventuali microprogetti futuri.
La novità più importante su cui stiamo lavorando in questi giorni, inoltre, risponde a un altro obiettivo di Leggerete: oltre alle azioni di promozione e di formazione, Leggerete ha lo scopo di aumentare in maniera significativa l'offerta delle risorse digitali a disposizione dei cittadini della regione Emilia Romagna. Per questo abbiamo ideato un sistema di acquisto centralizzato delle risorse digitali a livello regionale: il suo nome è SPIDER (Sistema di Prestito Interbibliotecario Digitale dell'Emilia Romagna) ed è il primo esperimento di questo tipo a livello regionale. Grazie a questa piattaforma, sviluppata da Horizons Unlimited (l'azienda di MLOL, Media Library On Line), i sistemi bibliotecari emiliano-romagnoli collaborano per scegliere un pacchetto di titoli di e-book da acquistare e mettere a disposizione di tutti i cittadini residenti in regione.
La Rete bibliotecaria di Romagna e San Marino, coordinatrice del progetto, ha il compito di valutare e coordinare i suggerimenti inviati dagli altri sistemi bibliotecari e di gestire l'acquisto finale. Gli e-book sono messi poi a disposizione degli utenti tramite la piattaforma MLOL, dove il logo SPIDER li distingue da quelli acquistati dal singolo sistema. Le procedure di prestito per il lettore restano naturalmente invariate.
Grazie a SPIDER, il catalogo di e-book disponibili per il prestito per il lettori della Rete si amplierà ulteriormente, dopo l'arricchimento portato dal servizio di Prestito Interbibliotecario Digitale, attivato per la Romagna a inizio anno, che aveva portato i titoli disponibili da 600 a quasi 16mila. Dopo una prima fase sperimentale, durante la quale verranno valutate le opportune politiche d'acquisto al fine di ottimizzare le risorse e di soddisfare la richiesta degli utenti, gli acquisti SPIDER si concentreranno su alcune tipologie di titoli, probabilmente titoli di saggistica e libri in lingua.
Il progetto è stato presentato al convegno nazionale delle Stelline "Bibliotecari al tempo di Google", che si è tenuto a Milano il 17 e 18 marzo, nell'ambito del workshop aziendale curato da Horizons Unlimited.
SPIDER è stato avviato ufficialmente il 31 marzo e i primi titoli sono disponibili a partire dalle prime settimane di aprile.


La pagina della Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino - pag. 7 [2016 - N.55]

Dall'evento di Berlino dello scorso maggio, nuovi modelli per i dati bibliografici

Chiara Storti

Non solo bibliotecari e wikipediani ma anche wikidatiani (esperti di Wikidata), wikisourciani (esperti di Wikisource), informatici sviluppatori, specialisti in ontologie, editori: un gruppo nutrito ed eterogeneo ha partecipato all'evento WikiCite 2016 che si è tenuto a Berlino il 25 e 26 maggio scorso.
Promossa dalla Wikimedia Foundation, la fondazione senza scopo di lucro che sostiene lo sviluppo e la diffusione di contenuti liberi in tutte le lingue tramite i progetti wiki, la due giorni berlinese era incentrata sulla definizione di modelli di dati bibliografici e tecnologie utili a migliorare "la copertura, la qualità, l'adesione agli standard e la capacità di essere letti dalle macchine dei metadati relativi alle citazioni e alle fonti bibliografiche in Wikipedia, Wikidata e negli altri progetti Wikimedia".
Che le biblioteche siano tra i maggiori produttori mondiali di metadati bibliografici è noto ma ciò che, a volte, sembra passare in secondo piano è che le biblioteche possiedono anche i dati cui i metadati si riferiscono: le due attività, di creazione e gestione dei metadati da una parte (tramite ad esempio la catalogazione e la compilazione di bibliografie) e di fornitura di documenti dall'altra (su qualsiasi supporto, in qualsivoglia formato e a qualunque tipologia di utente), non sono sempre pensate in termini di consequenziale funzionalità.
Per citare Karen Coyle, per altro presente a WikiCite, le biblioteche devono abbandonare l'approccio "mondo chiuso", tipico dell'offline, a favore dell'approccio "mondo aperto" del Web.
L'universo wiki caratterizzato da un modello di contribuzione e produzione dei dati "bottom up" (dal basso) sembra molto più in linea con questa nuova prospettiva: allo scopo di rendere facilmente e liberamente accessibile la summa della conoscenza umana ad un pubblico il più vasto possibile, si sviluppano e mettono a punto tools che rendano tale accesso il più semplice e immediato possibile; l'aderenza agli standard così come la definizione di un'ontologia dei dati e le eventuali mappature con ontologie preesistenti sono considerati ai fini dell'interoperabilità dei sistemi e della ricercabilità e riusabilità dei dati, senza però quelle "rigidità" che, nella maggior parte dei casi, caratterizzano il pensiero e la prassi biblioteconomica moderni.
La piattaforma Wikibase sulla quale è costruito Wikidata (un enorme contenitore di dati semistrutturati provenienti dai progetti wiki ma non solo e che, probabilmente nel giro di pochissimi anni, supererà in grandezza DBpedia), pur essendo molto più flessibile e facilmente implementabile rispetto ad altri software per la creazione e gestione di dati, presenta comunque dei limiti strutturali con cui è necessario confrontarsi.
Si potrebbe dire quindi che, con il progetto WikiCite, si tenti di coniugare e valorizzare la lunga esperienza degli istituti e delle aziende culturali nella modellazione dei dati bibliografici (per citare il più noto anche ad un pubblico di non specialisti, FRBR-Functional Requirements for Bibliographic Records e tutti i modelli derivati) con l'approccio pragmatico del wiki.
Wiki che implementa continuamente strumenti e tools in grado di mettere immediatamente a disposizione i documenti (ad es. Wikisource, una biblioteca digitale multilingue che raccoglie testi e libri in pubblico dominio o con licenze libere) e che supportino la produzione di metadati sia in maniera "manuale" (ad es. Template citazionali dei progetti Wiki) sia in maniera "automatica" (ad es. StrepHit, un tool per l'estrazione automatica di dati semistrutturati e la loro traduzione in "statements" di Wikidata da pagine Web testuali anche altamente strutturate).

La pagina della Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino - pag. 7 [2016 - N.56]

L'11 settembre la Classense di Ravenna ospita una giornata formativa sui servizi digitali, fiore all'occhiello della Rete bibliotecaria romagnola

Eloisa Gennaro - Responsabile Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino

Ancora una volta questa rubrica si occupa di biblioteche e digitale. A partire da alcuni anni infatti la nostra Rete si è orientata sempre più verso le risorse e i servizi digitali per tenersi al passo con le mutate esigenze di informazione dei cittadini legate alla straordinaria diffusione di dispositivi mobili informatici.
Se già in tempi non sospetti la Rete aveva di fatto superato il suo tradizionale e peculiare ruolo di Polo SBN, che pure l'ha resa una delle reti bibliotecarie più all'avanguardia e apprezzate a livello nazionale, la vera e propria svolta si ha nel 2014 con l'ideazione di LeggeRete (di cui si è dato conto sulle pagine dei numeri 53/2015 e 55/2016 di questa rivista), un progetto promosso a livello regionale grazie al supporto dell'IBACN. Sebbene - per citare Patrick Bazin - la "rivoluzione digitale" abbia cambiato il modo di produrre e di distribuire la conoscenza, oltrepassando "l'ordine dei libri", di fatto questo non significa che lo spazio digitale precluda la lettura; anzi... LeggeRete nasce con l'obiettivo di incoraggiare tra giovani e meno giovani la lettura in formato digitale, favorendo in particolare l'uso degli e-book e creando contestualmente un nuovo luogo virtuale di lettura, di ricerca e di e-learning: Scoprirete (http://scoprirete.bibliotecheromagna.it).
Merito di questo progetto è stato quello di attivare sinergie con istituzioni e associazioni che si occupano a vario titolo di lettura digitale - intesa proprio come espressione del mondo contemporaneo di produrre e distribuire conoscenza - come Wikimedia Italia, con cui in particolare la Rete bibliotecaria ha collaborato a progetti GLAM (Galleries, Libraries, Archives, Museums) per coinvolgere, ad esempio, lettori e studenti nella creazione di specifiche voci di quella che è una delle enciclopedie più lette al mondo, valorizzando il proprio territorio.
Grazie a LeggeRete è inoltre aumentata in modo significativo l'offerta delle risorse digitali (a titolo di esempio, in due anni i titoli degli e-book disponibili al prestito sono passati da poche centinaia a circa 28.000); a disposizione gratuitamente degli utenti delle biblioteche di Romagna e San Marino ci sono ben due piattaforme, Media Library On Line e Rete Indaco, su cui, oltre a prendere a prestito e-book è possibile sfogliare quotidiani e riviste di decine di Paesi del mondo che spaziano tra molteplici aree tematiche, ascoltare e scaricare musica, eccetera.
Ma il vero punto di forza di LeggeRete è avere innescato un innovativo modus operandi in tanti bibliotecari della Rete, che stanno imparando a muoversi nel "disordine" del digitale per riuscire nella non facile impresa di tramutare la mole di dati, metadati e connessioni in cui è sommersa la nostra società in conoscenza, e la conoscenza in comprensione, rispondendo così appieno alle esigenze e curiosità informative e formative dei propri cittadini.
Ne è appunto un esempio l'evento dell'11 settembre Non solo carta, organizzato dalla Biblioteca Classense in collaborazione con la Biblioteca Centrale del Campus di Ravenna, con un occhio di riguardo agli insegnanti per i quali - oltre ad illustrare il nuovo POF del territorio - la giornata si presenta come un'opportunità per sviluppare autonomamente durante l'anno scolastico specifici percorsi di lettura (e non solo) digitale.
Manuela De Vivo, laureata sulla comunicazione via web del patrimonio, racconta come sarebbe oggi la vita senza Wikimedia, ovvero quali sono i vantaggi e le stategie didattiche basate su un modello aperto del web di tipo 'botton up'; Giulio Blasi, Paola Pala e Francesco Pandini di Horizons Unlimited illustrano le molteplici collezioni e servizi digitali disponibili sulla piattaforma Media Library On Line; infine Valentina Ginepri, che cura per la Provincia di Ravenna i servizi di front-end della Rete bibliotecaria di Romagna e San Marino, mostra come fruire in maniera dinamica e partecipata delle risorse digitali messe in campo dalla Rete e in particolare come organizzare percorsi ad hoc nelle classi.


La pagina della Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino - pag. 7 [2017 - N.59]

Un'attività indispensabile per la tutela e la valorizzazione del patrimonio

Federica Cavani, Emanuela Grimaldi

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 7 [2017 - N.60]

Dai muri, dai parchi, dalle strade del paese, sotto forma di bassorilievi o tuttotondo fa capolino una preziosa collezione d’arte contemporanea legata all’utilizzo della pietra arenaria del luogo

Sara Sargenti - Parco-Museo di Fanano

Il museo all’aperto, inteso come nuova forma espositiva permanente, nasce dall’esigenza di nuovi spazi della scultura contemporanea all’inizio degli anni sessanta, anche se è soprattutto nel decennio successivo che questa idea si sviluppa attraverso installazioni nell’ambiente urbano. Le 220 opere in pietra comprese nel Parco-Museo all’aperto di Fanano sono installate nell’ambiente urbano in modo tale da modificare lo stesso e nel contempo interagire con lui: si crea in questo modo un rapporto molto stretto tra ambiente, arte e popolazione. Dal 1983, anno della prima edizione del Simposio Internazionale di Scultura su Pietra, artisti rappresentanti 45 nazioni di tutto il mondo hanno contribuito a fare di Fanano un importante punto di riferimento per arte e cultura, un richiamo per artisti, critici, appassionati d’arte che possono ammirare le opere che fanno capolino dai muri, dai parchi, dalle strade del paese, sotto forma di bassorilievi o tuttotondo. Fra gli scultori partecipanti possiamo ricordare Ogata, Preminger, Perugini, Massari, Balocchi, Cremoni, Pompili, Dionisi, Filin, Antero e Vecchietti Massacci. Il Parco è stato istituito recentemente, in seguito alla catalogazione e al riordinamento delle numerosissime opere sorte annualmente dalle edizioni del Simposio. Le sculture, oltre a rappresentare una preziosa collezione d’arte contemporanea, costituiscono una testimonianza concreta dello sviluppo della tradizione locale, da sempre legata all’utilizzo della pietra arenaria del luogo. L’arenaria è una roccia sedimentaria costituita da sabbia cementata, e forma l’ossatura dell’Appennino Modenese. Essa presenta caratteristiche varie per ciò che riguarda scolpibilità, resistenza agli agenti atmosferici, granulosità, colore. Le sculture presenti a Fanano sono costituite per lo più da due tipi di arenaria: la Pietra Serena (utilizzata fino al 1993 per i bassorilievi), e l’Arenaria di Fanano, qui estratta in blocchi che hanno dato vita a sculture a tuttotondo. Una raccolta organizzata in tal modo lascia allo spettatore ampia libertà di movimento, la possibilità di crearsi un proprio itinerario all’interno del centro storico, e non solo. Le opere possono infatti essere ammirate anche nelle frazioni vicine a Fanano, quali Lotta, Trentino, Ospitale, Serrazzone, Fellicarolo, Trignano e Canevare, su un territorio di oltre novanta chilometri quadrati. L’itinerario proposto è pensato per studenti della scuola media inferiore e superiore, così come per gli insegnanti e per tutta la cittadinanza. Si tratta di una piccola unità didattica interdisciplinare comprendente scienze naturali, storia delle civiltà di montagna e tecnologia dei materiali di costruzione. Contenuti: cenni di geologia dell’Appennino, erosione delle rocce, l’arenaria come materiale primo per le costruzioni del passato, la riscoperta dell’utilizzo dei materiali naturali, le piccole cave del passato e le loro prospettive, la lavorazione artigianale ed artistica della pietra, il degrado dei manufatti e la loro difesa. Metodi e strumenti: inquadramento in aula con supporto audiovisivo, visita guidata al Parco-Museo della pietra, visita al laboratorio artigianale di lavorazione della pietra. Informazioni e prenotazioni: Associazione per la Promozione Turistica e Culturale di Fanano (tel 0536 68696, fax 0536 66561, www.simposiodifanano.it, e-mail info@simposiodifanano.it).

La pagina del Sistema Museale dalla Provincia di Modena - pag. 8 [2002 - N.13]

Originale figura di collezionista ha lasciato alla sua città materiale archeologico, ceramico, numismatico, mineralogico, pittorico e librario, dando vita ad un "piccolo museo o bazar"

Ivo Scarpetti - Responsabile Ufficio Attività culturali del Comune di Massa Lombarda

Nella storia e nella cultura di Massa Lombarda la figura di Carlo Venturini riveste un ruolo di primaria importanza: al suo nome si lega l’esistenza di un’istituzione come la biblioteca, che proprio dal nucleo librario di Venturini trae origine, e la sua collezione, ora convenientemente valorizzata sotto il profilo museografico a cura del Comune di Massa Lombarda, rappresenta il segmento di maggior interesse del patrimonio storico-artistico locale ed uno spaccato delle caratteristiche del collezionismo antiquario ottocentesco. Originale figura di collezionista, Carlo Venturini (1809-1886) visse un’esistenza complessa e movimentata, punteggiata da frequenti spostamenti fra una città e l’altra per l’esercizio della professione di medico, dalla carriera diplomatica onoraria per conto della Tunisia e del Venezuela, dalla partecipazione diretta o come corrispondente alle più disparate Accademie e Società del tempo, da un’intensità di contatti con studiosi, viaggiatori, diplomatici ed esponenti della borghesia e della classe dirigente, dalle numerose onorificenze ricevute da governanti e regnanti. Ricevette numerose onorificenze e decorazioni: Ufficiale del Reale Ordine Tunisino, Cavaliere dell’Ordine dei SS. Maurizio e Lazzaro per nomina di Vittorio Emanuele II, Commendatore del Reale Ordine intitolato a Isabella la cattolica conferitogli dal governo spagnolo. Fu associato a circa 160 accademie e società di carattere scientifico, letterario e umanistico fra le più famose del mondo: ebbe la carica di Vice Presidente Onorario della Reale Società Universale per l’incoraggiamento delle arti e dell’industria di Londra, membro della Società Parigina di archeologia e storia, Vice Presidente della Società Italiana di storia e archeologia. Carlo Venturini non ha mai svelato nei suoi scritti le motivazioni che lo avevano spinto a raccogliere il materiale archeologico, ceramico, numismatico, mineralogico, pittorico e librario che ha costituito la sua collezione; comunque, in sintonia con i tempi, l’idea neoclassica di collezione, incentrata sulle qualità estetiche dell’oggetto, fu sostituita da una concezione di stampo positivista basata sulla funzione sociale del reperto, rivelando nel Venturini una nuova e aggiornata sensibilità. La figura del Venturini si definisce soprattutto con la lettura del Memoriale, terminato nel 1886, e dell’Inventario che iniziò a compilare nel 1878 intitolandolo Inventario di un piccolo museo o bazar pel suo contenuto che Carlo Dr. Venturini agognerebbe di offrire poi, come seguito di provata affezione alla Patria sua carissima Massa Lombarda. Ne scaturisce un grande personaggio portatore di valori estremamente positivi: lungimiranza e capacità sul piano culturale, attenzione al decoro civico, amore per la propria terra e un grande desiderio di lasciare ai propri concittadini uno strumento di conoscenza e di arricchimento culturale. Per l’appunto Carlo Venturini, alla sua morte, lasciò al Comune di Massa Lombarda la sua casa in Via Giambattista Bassi e tutta la sua collezione (che dal 1989 costituisce il museo a lui intitolato) “con la speranza sia gradita, e serva d’incitamento all’altrui beneficenza e di esempio ai paesani, affinché un giorno, biblioteca e museo aumentando convenevolmente per la loro generosità possano essere di utile alla studiosa gioventù, di onore e di decoro alla comune patria carissima”. Appare dunque evidente la finalità educativa e filantropica che mosse il collezionista, il cui patrimonio doveva costituire un’occasione di studio e miglioramento per i concittadini e rappresentare un elemento di decoro per la città, negli anni in cui in molti Comuni nascevano istituti civici destinati alla conservazione del patrimonio storico ed artistico.

Personaggi - pag. 8 [2002 - N.15]

Il museo, inaugurato nel 1889, è diviso in due sezioni: la sezione medioevale-moderna e la sezione archeologica che raccoglie testimonianze di insediamenti locali e dell’estuario

Gloria Vidali - Dirigente Settore Scuola, Cultura e Servizi ai disabili sensoriali della Provincia di Venezia

La storia del Museo di Torcello inizia nel 1870 quando Luigi Torelli, Prefetto di Venezia, acquistò il Palazzo del Consiglio raccogliendovi le "antichità" trovate in Torcello, nelle isole adiacenti e nella vicina terraferma. L’edificio trecentesco un tempo ospitava un "Consiglio" di cittadini torcellani, che affiancavano il Podestà nell’esercizio del governo. Era già passato il periodo di maggiore splendore quando Torcello, sorta nel VII secolo come asilo degli abitanti del municipium di Altino rifugiatisi nell’isola con il vescovo Paolo (638 d.C.) sotto l’incalzare dei Longobardi, era davvero un centro fiorente grazie al minor controllo dell’Impero bizantino mentre Rialto non aveva ancora accentrato tutto il potere. Nel 1872 l’immobile fu donato dal Torelli alla Provincia di Venezia e fu istituito il Museo Provinciale con la direzione dello studioso Nicolò Battaglini. Nel 1887 gli subentrò Cesare Augusto Levi che proseguì la raccolta di reperti locali e introdusse nel Museo oggetti della sua collezione di provenienze diverse. Nel 1887 acquistò il Palazzo dell’Archivio, risalente all’XI-XII secolo, restaurandolo e sistemandovi le raccolte archeologiche dando vita al Museo dell’Estuario, poi donato alla Provincia. Il 14 maggio 1889 si inaugurò il Museo Provinciale. Il Museo consta di due sezioni: la sezione medioevale-moderna e la sezione archeologica. La politica dell’Assessorato alla Cultura della Provincia di Venezia di valorizzazione del Museo non va disgiunta da un impegno di promozione della fruizione dell’isola di Torcello e del suo patrimonio storico, artistico, monumentale e ambientale. Per questo, grazie a proficui rapporti con l’Associazione Sant’Apollonia che per conto della Curia Patriarcale di Venezia gestisce la Basilica e il Campanile, da oltre un anno e mezzo esistono biglietti cumulativi per il Museo, la Basilica e il Campanile che consentono visite assistite (audioguide in Basilica e guide cartacee in Museo). L’Assessorato alla Cultura ha attivato una collaborazione con il Dipartimento di Storia delle Arti e Conservazione dei Beni Artistici dell’Università di Ca’ Foscari, per la catalogazione informatizzata del patrimonio museale di età medievale e moderna, affidata al Professor Ennio Concina e ai suoi collaboratori. L’obiettivo è quello di realizzare la prima vera e propria campagna di catalogazione del nostro patrimonio museale per giungere, attraverso un’indagine scientifica, ad approfondirne la conoscenza e riversare le informazioni nella Banca Dati Regionale. Continuano gli interventi di restauro e conservazione del patrimonio museale, sempre in stretto collegamento con le competenti Soprintendenze e, in collaborazione con l’Associazione Terre in Valigia ONLUS, si tengono laboratori rivolti agli studenti. La sezione archeologica è interessata da un progetto di altra natura: un itinerario per non vedenti, denominato Museo per Tutti, percorso di visita che include, oltre Torcello, i Musei Archeologici Nazionali di Altino, di Portogruaro e di Venezia e che si colloca nell’ambito di un itinerario di conoscenza del patrimonio museale archeologico provinciale. Lo stesso Sistema Bibliotecario Museale della Provincia, organizzato in itinerari tematici, si pone l’obiettivo di mettere in relazione le molteplici evidenze storico-artistiche, archeologiche ed etnografiche. Il Museo di Torcello, ospitato nel sito del Sistema Bibliotecario Museale Provinciale www.provincia.venezia.it/sbmp, fa parte di un nuovo sito www.simulacraromae.org nato per valorizzare il patrimonio culturale comune europeo e accrescere la conoscenza reciproca delle culture dei popoli europei che hanno fatto parte dei domini romani, sito realizzato con il contributo dell’Unione Europea nell’ambito del programma Cultura 2000. La Provincia di Venezia, anche a seguito del successo raggiunto grazie alla progettazione comunitaria, continuerà ad essere attenta e propositiva al fine di valorizzare il proprio patrimonio museale.

La pagina del Sistema Bibliotecario Museale della Provincia di Venezia - pag. 8 [2003 - N.16]

La rivoluzione telematica fra breve sarà in grado di dare una risposta a questo interrogativo

Licia Ravaioli - Servizio Biblioteche della Provincia di Ravenna

Nel 1876 il Ministro della pubblica istruzione Ruggero Bonghi inaugurava la Biblioteca nazionale Vittorio Emanuele II, che era ospitata nelle sale del Collegio Romano, a Roma, in una sorta di coabitazione con vari musei. Egli considerava benemerita questa compresenza di istituti in un solo luogo, al fine di "raccogliere insieme gl’instrumenti della coltura pubblica e le memorie del passato, sulle quali si fondano i sentimenti e le tradizioni nazionali". È passato molto tempo da allora ma non si può negare che Bonghi aveva prefigurato il nuovo ruolo che biblioteche e musei avrebbero assunto: non più confinati nella "repubblica delle lettere", ad esclusivo uso di eruditi e studiosi, ma al servizio di un pubblico popolare, impegnati come servizi sociali per le funzioni di educazione permanente ed informazione. La storia recente di questi istituti è caratterizzata da un comune bisogno di conquistare un pubblico nuovo, magari riottoso, di usare tecniche di marketing per promuovere la propria offerta culturale, di stringere alleanze con il mondo della scuola per proporre percorsi didattici, in modo da far breccia nell’opinione pubblica convincendola ad un uso più allargato e informale di biblioteche e musei. Queste non sono le uniche sintonie. Proseguiamo questa storia in parallelo dei due istituti. L’assunto "piccolo è bello" può ancora valere per una biblioteca o un museo, purché l’amministrazione che li finanzia sia conscia del fatto che è oggi impensabile una struttura adibita allo sviluppo della conoscenza che non consenta l’accesso all’informazione in rete. La biblioteca, anche quando è specializzata su un’area tematica (cosa che accade sempre quando vive in simbiosi con un museo specialistico), è sempre un momento di accesso ad un’informazione più ampia, conservata in biblioteche affini o prodotta in centri di ricerca scientifica. La parola d’ordine di questi tempi è “accesso” al posto della desueta “possesso”, perché è impensabile una biblioteca che acquista e conserva tutti i documenti inerenti un certo ambito disciplinare. Pertanto anche la piccola biblioteca ha bisogno di essere inserita in un circuito d’appoggio, dove trovare personale professionalizzato nella scienza della documentazione ed informazione, che sappia organizzare le raccolte fisiche (libri, videocassette, dischi) e quelle virtuali (il virtual reference desk del computer) secondo un metodo di indicizzazione. Anche il mondo dei musei, seppure in ritardo rispetto a quello delle biblioteche, comincia ad apprezzare i vantaggi dell’appartenere ad un sistema. Man mano che gli oggetti conservati nei musei vengono descritti con dati testuali e digitalizzati, è possibile offrire agli interessati la possibilità di un’interrogazione remota, con evidenti vantaggi per il mondo della ricerca e dello studio. Persistono invece differenze tra la biblioteca ed il museo sul piano dell’utilizzo diretto. La biblioteca deve essere attrezzata per un uso individuale delle sue risorse, facilitando il lettore che vuole spazi consoni per usare il proprio pc, per interrogare un catalogo on line, per visionare una videocassetta o ascoltare un disco. Il museo invece è più vocato ad un uso collettivo e condiviso. Anche il rapporto tra l’operatore ed il pubblico è diverso nei due istituti: in biblioteca è richiesta la mediazione individuale, personalizzata del bibliotecario che dà consigli di lettura, aiuta a reperire i documenti che fanno a quello specifico caso. Nel museo sono più utili visite guidate collettive per piccoli gruppi. Ma di nuovo si affacciano altre convergenze. Per poter usare, consultare, leggere, vedere, ascoltare i documenti, ovunque siano conservati, occorre che siano catalogati secondo standard il più possibile condivisi a livello internazionale e leggibili dalle macchine per effettuare scambi ed integrazioni fra i cataloghi. Un bibliotecario che non sappia il russo ma conosca lo standard ISBD per la descrizione dei documenti sa riconoscere il titolo di un libro in russo, vedendone il record bibliografico. Se ci mettiamo d’accordo sui formati descrittivi (i metadati) riusciamo a leggere e a far leggere dal computer la descrizione di un oggetto non necessariamente bibliografico. Se ampliamo l’accordo fino alla scelta di standard per l’acquisizione digitale di immagini e suoni, riusciamo a creare sistemi multimediali, cioè cataloghi elettronici object oriented, capaci di offrire alla consultazione locale e remota una serie di dati di diverso tipo irrelati fra loro (testi, immagini, suoni). La rivoluzione telematica offrirà a breve la possibilità di integrare le testimonianze della cultura, anche se l’uomo le ha conservate in posti diversi e distanti fra loro.

Speciale biblioteche dei musei - pag. 8 [2002 - N.14]

Insigne studioso di storia dell'arte, fu il primo Soprintendente del nostro Paese, poi Direttore generale delle antichità e belle arti, senatore e quindi Presidente del Consiglio superiore delle antichità e belle arti

Franco Gabici - Capo Reparto Attività Scientifiche e Museali del Comune di Ravenna

Corrado Ricci eredita dal padre Luigi, geniale scenografo, l'amore per l'arte. Nato a Ravenna il 18 aprile 1858, consegue a Bologna la laurea in giurisprudenza, ma i suoi interessi vanno in tutt'altra direzione. Nel 1877, infatti, conduce una esplorazione in San Francesco a Ravenna che riporta alla luce importantissimi cimeli di oreficeria antica scomparsi dal Museo di San Vitale e disquisisce intorno alla famosa "corazza d'oro" trovata durante gli scavi nel Candiano. Poco più che ventenne si dedica alla compilazione della sua famosa Guida di Ravenna, che esce a dispense presso i fratelli David. La Guida fu lodata da Giosuè Carducci, che presentò l'autore al Fanfulla della Domenica come "giovane molto ingegnoso e studioso". Subito dopo la laurea è alunno assistente alla Biblioteca Nazionale di Firenze quindi passa a Bologna dove insegna storia dell'arte ed è "sottobibliotecario" della Biblioteca universitaria. Negli anni bolognesi stringe amicizia con Olindo Guerrini. Ne nasce un interessante sodalizio culturale che si concretizza in alcune pubblicazioni: Studi e polemiche dantesche (1880), Vite degli eccellenti capitani di Cornelio Nepote tradotte da Matteo Maria Bojardo (1885). Nel 1887 pubblica L'arte dei bambini che, tradotto in tedesco e in inglese, fu - come scrisse Luigi Volpicelli - "tra i più celebrati libri dell'epoca sua: ha aperto la strada a tutta la bibliografia di tutto il mondo sull'arte infantile". Nel 1893 è coadiutore e poi direttore della Galleria di Parma. Gli sarà affidata anche la direzione della Galleria estense di Modena e inoltre fu direttore di Brera e lavorò agli Uffizi. La data più importante della vita di Ricci è sicuramente il 24 novembre 1897, quando è nominato Sovrintendente dei monumenti di Ravenna, primo caso di soprintendenza nella storia del nostro paese. Così commenta Muratori: "veniva il dolce figlio, nel pieno della maturità e delle energie, a riscattare i monumenti della sua città dalle barbare manomissioni e dal lungo abbandono". Nel 1906 è nominato Direttore generale delle antichità e belle arti e per tredici anni lavorò indefessamente per la tutela, il restauro e la conservazione del patrimonio monumentale di tutta la nazione pur fra moltissime difficoltà. Dimessosi dall'incarico (a causa, come scrisse mons.Mazzotti, di "un gioco di bassi intrighi") fu nominato presidente del Reale Istituto d'Archeologia e Storia dell'Arte, che il Ricci rilanciò e lo portò ad altissima dignità. Nel 1923 fu senatore e nel 1929 Presidente del Consiglio superiore delle antichità e belle arti. Ebbe il culto per Dante, che si concretizzò nella pubblicazione L'ultimo rifugio di Dante uscito in occasione del centenario del 1921 e nella sistemazione della "zona dantesca" e della chiesa di Santa Maria in Porto Fuori. Negli ultimi anni si dedicò a quella che sarebbe stata la sua opera maggiore, le Tavole storiche dei mosaici ravennati, "un'opera che il mondo della scienza archeologica ci invidia e che è validissima anche oggi" (Mazzotti). Morì a Roma il 5 giugno 1934.

Personaggi - pag. 8 [2001 - N.12]

Grande studioso della Romagna ha speso tutta la vita in una appassionata ricerca basata sul documento e sulla tradizione orale, producendo una grande quantità di opere oggi divenute dei classici della letteratura romagnola

Franco Gabici - Capo Reparto Attività Scientifiche e Museali del Comune di Ravenna

Nel dicembre scorso, dopo breve malattia, è morto il professor Umberto Foschi, grande studioso della Romagna, della quale ha saputo cogliere non soltanto gli aspetti storici e folcloristici, ma soprattutto l'essenza e la vera anima di una terra alla quale si sentiva profondamente legato da un amore quasi filiale. La Romagna, ben presto, si identificò con Foschi e Foschi si identificò con la Romagna: binomio inscindibile e unico, che ha lasciato una grandissima eredità di studi e di ricerche. Nato a Castiglione di Cervia l'11 dicembre 1916, dopo aver conseguito la laurea in Lettere all'Università di Bologna, il prof. Foschi iniziò la sua carriera nel mondo della scuola come docente di lettere insegnando per molti anni all'Istituto Ginanni. Ma fra una lezione e l'altra andava lievitando la vera passione della su vita, lo studio a tutto tondo delle tradizioni e degli ambienti romagnoli. Foschi ha speso tutta la sua vita in una appassionata ricerca che si basava sul documento e sulla tradizione orale e ha sempre cercato di andare alla radice delle nostre tradizioni con l'intenzione non tanto di ritornare anacronisticamente al passato, quanto piuttosto di recuperare i forti valori di una tradizione che hanno sempre caratterizzato la gente romagnola. Foschi fu uno studioso attento, ma soprattutto fu un punto di riferimento per gli studiosi o i cultori. Era l'incarnazione vivente dello "schedario Muratori", perché nella sua memoria aveva immagazzinato tutto il sapere della Romagna. E difficilmente si usciva da un colloquio col professore senza avere avuto un suggerimento o senza avere acquisito una notizia o una curiosità. Impossibile elencare tutto quello che ha prodotto, ma prima o poi è necessario che qualcuno provveda a compilare una bibliografia dei suoi scritti. A Cervia - luogo delle sue "radici" - ha dedicato studi di grande spessore che recentemente sono stati raccolti in un cofanetto (Tipografia Artestampa), una vera "cattedrale" di studi, ma soprattutto un omaggio devoto alla sua terra d'origine. Fondamentali anche i saggi sulle "ville" patrizie e sulle "frazioni" del Comune di Ravenna. Alcuni suoi volumi sono diventati dei veri classici della letteratura romagnola, come le due pubblicazioni dei proverbi e modi di dire romagnoli (Longo Editore) e i lavori, insieme a Gaetano Ravaldini, su Ravenna e ravennati del secolo scorso (Libreria Antiquaria Tonini). Il suo impegno di uomo di cultura lo portò alla presidenza della "Dante Alighieri", di "Italia Nostra" e a figurare nei quadri di numerosi associazioni e accademie. Non va dimenticato, inoltre, il suo impegno nel recupero di antichi monumenti del nostro patrimonio, come il restauro della morigiana "Casa delle Aie", considerato oggi un vero gioiello. Molto intensa anche la sua attività di giornalista pubblicista, con le collaborazioni al "Carlino" e ai periodici locali. Era lo stesso Foschi, infine, a preparare periodicamente "La Pié", la rivista romagnola fondata da Aldo Spallicci che continuava a uscire grazie al suo lavoro.

Personaggi - pag. 8 [2001 - N.10]

Grande collezionista e studioso romagnolo, riunì nel suo palazzo di Fusignano libri, manoscritti, stampe, dipinti, monete, francobolli, fotografie e altri materiali riguardanti la Romagna, oggi in gran parte depositati nella biblioteca comunale di Forlì

Giuseppe Bellosi - Biblioteca comunale di Fusignano

Carlo Piancastelli nacque a Imola il 27 agosto 1867 da Francesca Golfari e dall'avvocato fusignanese Giuseppe, il quale condivideva con il fratello Tommaso la proprietà di vasti possedimenti nei territori di Fusignano (dove la famiglia risiedeva), di Lugo e delle Alfonsine. Alla morte del padre (1876) Carlo fu affidato alla tutela della madre e nello stesso anno entrò nel Collegio Convitto S. Carlo di Modena, dove nel 1884 conseguì la licenza liceale. Nel 1888 si laureò in Giurisprudenza alla Sapienza di Roma e nella stessa università intraprese gli studi di Lettere, che interruppe nel 1890, alla morte dello zio Tommaso, amministratore delle proprietà familiari, per occuparsi della sua parte dell'azienda, composta di oltre sessanta poderi. Da allora la sua vita si divise tra Fusignano e Roma, dove trascorreva gran parte dell'anno, e tra la cura del patrimonio e quelle delle sue collezioni. A cominciare dalla fine dell'Ottocento Piancastelli riunì, nel suo palazzo fusignanese, libri, manoscritti, documenti di vario genere, stampe, disegni, dipinti, monete, francobolli, fotografie, cartoline illustrate e altri materiali riguardanti la Romagna, costituendo, come ha scritto Augusto Campana, "un patrimonio che da solo rappresenta buona parte di ciò che in Italia e fuori fa testimonianza della storia e cultura della nostra regione". I suoi nuclei più importanti sono la biblioteca (oltre 50.000 volumi, più di 220.000 autografi e documenti, e migliaia di stampe e disegni), la quadreria (22 dipinti, in parte opera di alcuni dei maggiori artisti romagnoli del Rinascimento), la raccolta di autografi di personaggi non romagnoli dal secolo XII al XIX (oltre 60.000 pezzi), la raccolta numismatica (oltre 5000 monete, in prevalenza romane di epoca imperiale). In Piancastelli alla competenza del raccoglitore si univa quello dello studioso. Tra i suoi saggi ricordiamo il Commento a un indovinello romagnolo (Faenza 1903), Pronostici ed almanacchi (Roma 1913), Fusignano ad Arcangelo Corelli nel secondo centenario dalla morte. MCMXIII (Bologna 1914), I Promessi Sposi nella Romagna e la Romagna nei Promessi Sposi (Bologna 1924), Vincenzo Monti e Fusignano (Bologna 1928), Saggio di una bibliografia delle tradizioni popolari della Romagna. I. Usi costumi credenze pregiudizi (Bologna 1933). Il giorno di Natale del 1937 Piancastelli tornò per l'ultima volta a Fusignano, a rivedere le sue raccolte. Morì il 19 febbraio 1938 nella sua abitazione romana, il 22 venne sepolto a Fusignano. Le collezioni piancastelliane, concepite fin dall'origine come un servizio reso alla storia e alla cultura della Romagna, erano destinate alla Biblioteca Classense, ma dissapori coi gerarchi ravennati indussero il bibliofilo a farne dono all'altra città capoluogo di provincia della regione, Forlì, dove ora sono conservate presso la Biblioteca comunale.

Personaggi - pag. 8 [2000 - N.9]

Esposti per la prima volta al Museo Nazionale di Ravenna frammenti di stoffa di abbigliamenti ecclesiastici dell'Alto Medioevo

Luciana Martini - Direttore del Museo Nazionale di Ravenna

In concomitanza con la mostra Konstantinopel e nella stessa ala del grande complesso benedettino di San Vitale, vengono esposti per la prima volta a Ravenna alcuni frammenti di stoffa che rappresentano una preziosissima testimonianza dell'arte tessile e dell'abbigliamento ecclesiastico nell'alto Medioevo. Provengono dalla chiesa di S. Apollinare in Classe, dove furono recuperati casualmente nel 1949, quando in seguito a lavori di restauro si rese necessario scoperchiare i sarcofagi in essa collocati; in ben tre di essi furono reperiti, insieme ai resti umani, i lacerti delle vesti con i quali erano stati sepolti gli alti prelati. Il ritrovamento, suddiviso tra il Museo e l'Archivio arcivescovile, e in parte consegnato al Museo Nazionale nel 1979, apparve subito eccezionale e le prime notizie della scoperta furono pubblicate in un articolo di Mario Mazzotti nella rivista locale "Felix Ravenna" nel 1950. A partire dal 1996, mediante i fondi del Ministero per i Beni e le Attività culturali, è stata intrapresa una serie di laboriosi lavori di restauro dei frammenti depositati al Museo Nazionale; per una sistemazione definitiva di tutto l'eccezionale ritrovamento si prevedono ancora parecchi anni. Sebbene i resti di antiche stoffe si presentino con un aspetto molto compromesso a causa della loro innata fragilità, rappresentano invece una fonte importantissima di documentazione sul passato, e testimoniano di un'arte, quella della tessitura, la cui tecnologia già in tempi remoti aveva raggiunto una quasi incredibile perfezione. I dati reperiti durante il restauro si sono rivelati di importanza scientifica europea; per questo i materiali più importanti sono stati esposti nel 1999 alla mostra 799 - Arte e cultura dell'età carolingia a Paderborn in Westfalia. Nell'esposizione attuale possiamo osservare la ricostruzione di una casula a campana (Italia, VIII-IX secolo), cosiddetta per la sua caratteristica forma semicircolare. La stoffa, che appare adesso bruna a causa dei processi di ossidazione, era in origine di un vivace sontuoso color porpora, e la seta finissima doveva avere un aspetto prezioso e lucente. Le caratteristiche tecniche della veste sono assai interessanti. Il lato esterno è arricchito da una serie di cuciture che rafforzano le linee principali della forma della casula. Nella zona delle spalle e del collo è applicato un secondo strato di seta a forma di triangolo, sotto il quale sono inclusi frammenti di tessuto in lana; si tratta di un particolare veramente unico, forse dovuto alla necessità di aumentare la resistenza del tessuto al freddo. Un gallone di seta decorata di un brillante colore giallo, che consiste in una striscia sottile tagliata da un più ampio tessuto figurato, copre alcune cuciture, probabilmente dal lato interno: proviene probabilmente da un laboratorio della Siria o Bisanzio. Da un'altra veste non ricomponibile nella sua totalità, una grande dalmatica di seta, proviene un ampio frammento di tessuto di seta figurata dell'ottavo secolo attribuito all'Italia o all'Egitto, che presenta caratteristiche tecniche eccezionali. E' costituito da una seta naturale non tinta, decorata tramite l'inserimento di una trama supplementare tono su tono, con un tipico effetto a strisce che formano il disegno di una serie di grandi medaglioni, arricchiti da ornamenti vegetali simmetrici. Una caratteristica straordinaria di questo tessuto, visibile sul rovescio, è la presenza di una serie di fitte frange formate da moltissimi lunghi anelli di seta. Quest'effetto, simile ad una sorta di felpatura, è ottenuto mediante il passaggio di una trama supplementare; un tipo di lavorazione simile è testimoniata, ma sul lato esterno, solo in alcuni tessuti di lino copti. Ricordiamo che le collezioni del Museo Nazionale e le esposizioni temporanee annesse sono visitabili dalle 8,30 alle 19,30 (lunedì chiuso); il venerdì sera, fino al 29 settembre, fino alle ore 23.

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 8 [2000 - N.8]

Pioniere nel promuovere la campagna fotografica dei beni artistici, lasciò alla Biblioteca Comunale di Faenza un corpus di oltre 17.000 immagini riguardanti il territorio

Giorgio Cicognani - Ispettore onorario ai Beni Artistici e Storici

Nel febbraio del 1984 si spegneva, a Castelbolognese, il dottor Antonio Corbara, uno dei più noti studiosi d'arte della Romagna. Nato a Faenza nel 1909, Corbara fin da giovane si era interessato al mondo artistico, collaborando con Gaetano Ballardini all'ampliamento delle collezioni del Museo Internazionale delle Ceramiche. Dal 1930 si dedicò inoltre alla schedatura di tutte le opere d'arte del comprensorio faentino, allargando via via il suo raggio d'azione fino a Rimini ed oltre. Laureatosi in medicina nel 1933, dopo aver lavorato a Faenza, nel dopoguerra si trasferì a Castelbolognese dove esercitò la professione di medico condotto, ma le sue capacità in campo artistico gli meritarono ben presto la carica di Ispettore Onorario alle Antichità, compito spesso arduo e ingrato. Ebbe quindi l'incarico di predisporre il primo inventario dei beni culturali delle province di Ravenna e Forlì. Lavorò instancabilmente per anni segnalando gli abusi, le manomissioni e lo stato di abbandono di innumerevoli opere d'arte in tutta la Regione, attirandosi spesso incomprensioni e non poche inimicizie. L'amore per il bello lo spingeva spesso a percorrere in bicicletta chilometri e chilometri per raggiungere le più sperdute pievi e chiese di campagna e verificare il patrimonio artistico in esse contenute, cosa che purtroppo molti ricercatori d'oggi non fanno. Fautore convinto dell'iniziativa di promuovere la campagna fotografica dei beni artistici, ha scattato migliaia di foto, raccogliendone contemporaneamente da collezionisti e dal mercato antiquario. Pioniere di quest'importante iniziativa, creò un enorme archivio di immagini, oltre 17.000, un corpus preziosissimo di documentazione inedita, unica in Italia, riguardante un ricco patrimonio, spesso disperso a causa della seconda guerra mondiale o per l'incuria dell'uomo. Questo interessante materiale è attualmente conservato presso la Biblioteca Comunale di Faenza, con oltre mille volumi già schedati e diverse riviste a lui appartenuti. Numerosa è anche la sua corrispondenza con studiosi di fama internazionale, come Arcangeli, Berenson, Longhi, Ragghianti, Salmi, Zeri e con artisti famosi; Gio Ponti, Melandri, Morandi e Bartolini. La bibliografia dei suoi scritti, curata dopo la sua scomparsa da Melisanda Lama e di Bice Montuschi Simboli per la rivista "Romagna arte e storia" n.12 (1984), è uno strumento indispensabile per ripercorrere le difficili tappe delle sue ricerche costituendo una preziosa e puntuale guida per chi voglia conoscere il mondo delle nostre opere d'arte, spesso salvate per il suo intervento. Moltissimi gli interessi che nutriva, soprattutto per la storia delle arti figurative, dove contribuì a mettere in luce Felice Giani, del quale scoprì e valorizzò molte opere con un articolo apparso sulla rivista "Paragone" n.9 (1950). L'attrasse particolarmente la pittura riminese del Trecento, campo in cui aveva acquisito una insuperabile competenza raccogliendo numerose immagini che sono state già riordinate. Il suo è stato un lavoro costante e coerente, animato da tanta passione e pazienza, anche se a volte il suo carattere, un po' polemico, lo portava ad animati dibattiti sulle colonne dei giornali che tuttavia aggiungevano sempre interessanti precisazioni e chiarimenti in merito alla storia dell'arte e ai monumenti più sconosciuti. Nel 1994 la Signora Clara Corbara, nel decennale della morte del marito, ha donato al Museo Internazionale delle Ceramiche una splendida opera di Pietro Melandri eseguita nel 1931, raffigurante una maschera di satiro. Questo munifico gesto testimonia da un lato la grande sensibilità artistica della Signora e ci offre dall'altro un ulteriore motivo per ricordarci di lui con tanta gratitudine.

Personaggi - pag. 8 [2000 - N.7]

Da più di cinquant'anni la città discute inutilmente sull'opportunità della creazione di un Museo archeologico a Faenza

Chiara Guarnieri - Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia Romagna

Il progetto per la creazione di un Museo Archeologico a Faenza è presente nel dibattito culturale della città da più di cinquant'anni: già il Medri nel 1943 ne auspicava la creazione, idea ripresa in seguito da più parti, fino alla creazione nel 1980 di un articolato programma espositivo dei materiali faentini e del comprensorio, previsto all'interno di Palazzo Mazzolani, sito in corso Mazzini 93. In questi anni si è tornati a discutere sulla creazione di un Museo, senza purtroppo addivenire ad alcuna decisone. Nell'edificio ora sono ospitati i depositi, affidati in gestione alla Soprintendenza Archeologica dell'Emilia-Romagna, in cui è custodito il materiale archeologico di proprietà dello Stato. Il complesso dei materiali conservati a Palazzo Mazzolani è estremamente interessante e copre un arco cronologico vastissimo, che va dalla preistoria alla tarda antichità; infatti, sebbene il nucleo urbano di Faenza sia nato in età romano-repubblicana, l'asse portante della demografia pre-protostorica è la vallata del Lamone, che ci restituisce già dal paleolitico tracce della presenza umana (manufatti in selce). Di eccezionale importanza è l'insediamento di Fornace Cappuccini, nelle immediate vicinanze di Faenza: l'esplorazione archeologica, iniziata nel 1978, ha portato alla scoperta di una struttura abitativa riferibile al neolitico (5000-4500 a.C. circa) circondata da un ampio fossato, di strumenti in selce e ossidiana e di vasi della cultura della ceramica impressa. Il fossato artificiale venne poi colmato intenzionalmente in età successiva (1500-1000 a.C.) ed occupato da sepolture con abbondante materiale associato, testimoniante la lavorazione della ceramica, della pietra e dell'osso. Sul Colle di Persolino, a pochi chilometri dal precedente insediamento, è stato individuato e scavato, tra il 1957 e il 1960, un vasto agglomerato di capanne con focolari, attribuite all'età del bronzo medio e recente (1450-1100 a.C.); il sito che, favorito per la sua posizione allo sbocco in pianura della valle del Lamone, era già stato interessato da forme insediative sin dal neolitico antico, presenta inoltre, sotto i resti di una villa romana, le tracce di un edificio in ciottoli interpretato come luogo di culto probabilmente etrusco. Da ultimo, nel 1997, nelle vicinanze del centro urbano, in un'area denominata "Le Cicogne" sono stati portati in luce numerosi pozzi databili all'età del Bronzo che hanno restituito materiali perfettamente integri. Numerosissimi sono i materiali di età romana: Faenza infatti si sviluppò in età tardo repubblicana lungo la Via Emilia, tracciata nel 187 a.C., configurandosi come nodo commerciale di primaria importanza tra pianura e Appennino e costituendo probabilmente uno dei punti di approvvigionamento per la flotta militare di Augusto, stanziata nella vicina Classe (Ravenna). Per quanto riguarda la cultura materiale, sono rappresentate con particolare abbondanza tutte le classi ceramiche di età romana, dalla vernice nera prodotta in zona dal II a.C., alla terra sigillata, di cui sono conservati interessanti frammenti decorati, alle anfore e alla ceramica comune da cucina. La prosperità economica della città trova riscontro nella ricchezza delle sue abitazioni: fra il materiale di età romano-imperiale, i pezzi più significativi sono sicuramente i mosaici pavimentali rilevanti non solo da un punto di vista estetico-formale, ma anche in un'ottica puramente scientifica, in quanto costituiscono una campionatura di pavimentazioni che va dall'età augustea al VI secolo d.C. In età repubblicana prevalgono invece le pavimentazioni in cocciopesto, interrotte da brevi motivi geometrici a mosaico o da inserti di frammenti marmorei policromi. A Palazzo Mazzolani si trovano i mosaici di Vicolo Pasolini, riferibili a due ambienti: si tratta di soglie policrome, che delimitano tappeti musivi in bianco e nero, a geometrie estremamente rigorose il cui disegno si è rinvenuto anche nella sinopia di preparazione, anch'essa conservata nei magazzini. Accostabili a queste pavimentazioni i mosaici, di finissima fattura, rinvenuti nel 1995 nella domus di palazzo Pasolini, oggetto di una mostra a Faenza nel dicembre dello scorso anno. Interessante per raffinatezza compositiva è il mosaico di Via Cavour del III sec. d.C., che rappresenta una scena di caccia raffigurante un leopardo che insegue una gazzella. Attribuibile all'età tardoantica è il pavimento di via Dogana (V sec. d.C.) databile ad un momento in cui la città, dopo un periodo di decadenza in seguito al pericolo delle invasioni, assiste ad una ripresa economica in concomitanza dell'insediamento della corte di Ravenna. Si tratta di un edificio palaziale a pianta articolata: tra le pavimentazioni, tutte estremamente curate, spicca il mosaico del vestibolo, al cui centro è raffigurato Achille tra Priamo e Briseide. Appena posteriori, intorno alla metà-fine V sec. d.C., sono i mosaici della domus di Via Ubaldini. Il mosaico più tardo di Faenza è quello di Piazza Martiri della Libertà, attribuito al VI sec. d.C., appartenente ad un ambiente di vastissime dimensioni: in un tappeto geometrico policromo compaiono due riquadri, uno raffigurante pavoni affrontati ai lati di un vaso, l'altro con una scena di caccia. Da queste brevi note, nelle quali si è voluto sinteticamente dare conto della qualità e dell'importanza dei ritrovamenti archeologici conservati a palazzo Mazzolani, il cui numero è in continuo aumento, si può desumere come Faenza da tempo necessiti di un Museo Archeologico della città e del suo comprensorio, mancanza tanto più sentita anche a fronte dell'esistenza nelle limitrofe città di Imola e Forlì di analoghi musei.

Speciale siti e musei archeologici - pag. 8 [1999 - N.6]

Formata dalle opere d'arte provenienti dall'abbazia dei monaci camaldolesi, oggi si è arricchita di nuove opere

Luigi Malkowski - Dirigente della Biblioteca Classense di Ravenna

Ubicata all'interno degli spazi che costituiscono il complesso monumentale presso il quale ha sede la Biblioteca Classense, la Quadreria si è venuta formando e arricchendo nel tempo attorno al nucleo originario comprendente le opere d'arte appartenute all'abbazia dei monaci camaldolesi di Classe. E tale nucleo rappresenta anche oggi, senza dubbio, la parte non solo più cospicua della raccolta, ma anche quella più significativa da un punto di vista storico in quanto è la testimonianza dei precisi intenti di celebrazione della preminenza religiosa e culturale dell'abbazia che la committenza camaldolese intese perseguire a partire dalla seconda metà del Cinquecento (e dunque in un contesto post-tridentino fortemente connotato nel senso dell'ortodossia cattolica anche per ciò che attiene alla concezione e alla funzione dell'arte figurativa) fino alla soppressione napoleonica delle congregazioni religiose. In quest'ottica il dipinto più noto e importante della raccolta - Le Nozze di Cana di Luca Longhi dipinte nella parete dell'ex refettorio dei monaci classensi - assume un rilievo davvero emblematico, nella complessa maestosità del risultato pittorico, circa il raggiungimento da parte della committenza camaldolese di una precisa consapevolezza in ordine alle proprie finalità. Lo dimostra la galleria dei personaggi delle nobiltà e del clero della Ravenna tardocinquecentesca che si inserisce nell'illustrazione dell'episodio evangelico: l'abate di Classe, Pietro Bagnoli, committente, il Cavalier Pomponio Spreti, lo storico Girolamo Rossi insieme allo stesso Luca Longhi e ai figli Barbara e Francesco sono ritratti nell'affresco a testimonianza del lustro raggiunto dalla bottega artistica del pittore nella città e dell'importanza dell'abbazia. Al nucleo originario della collezione vanno ascritti altresì i dipinti e gli affreschi collocati nella Chiesa di San Romualdo (nella cupola della quale sono affrescate la Madonna in gloria, Angeli e Santi e il Sogno di San Romualdo di Giovan Battista Barbiani) e nell'attigua sagrestia, dove si può ammirare l'ancona di Francesco Zaganelli raffigurante La resurrezione di Lazzaro, mentre le decorazioni del vestibolo sono opera di Cesare Pronti. Al periodo di maggior splendore dell'Abbazia camaldolese, il sec. XVIII, vanno ricondotti gli affreschi e i dipinti distribuiti tra il Corridoio Grande, l'Aula Magna e le altre sale dell'antica libreria monastica, tra cui si annoverano opere di Francesco Mancini (con il grande affresco allegorico del soffitto dell'Aula Magna raffigurante il Trionfo della Divina Sapienza) e di Mariano Rossi (sua è la Fama che chiama la Virtù al tempio della Gloria nella Sala delle Scienze). Varia e di complessa ricostruzione è la provenienza di numerose altre opere d'arte facenti parte della raccolta: ed è questo un elemento che rende la Quadreria Classense una collezione del tutto sui generis, estremamente composita e di non facile definizione: alcune delle successive accessioni vanno riferite a raccolte d'arte di altri monasteri della città (in ispecie S. Vitale ), altre a case patrizie ravennati (in particolare la famiglia Spreti); proprio per questo suo carattere essa ci restituisce una campionatura di estremo interesse per la ricostruzione dell'attività pittorica ravennate dal XVI al XIX secolo - con squarci non meno interessanti sulla storia iconografica di personaggi della città illustri in campo religioso, letterario e artistico - documentata da artisti come Giovan Battista e Andrea Barbiani, Luca e Francesco Longhi, Arcangelo Resani, Cesare Pronti, per arrivare ai più vicini Attilio Runcaldier, Edgardo Saporetti, Vittorio Guaccimanni e Giulio Ruffini.

Speciale musei artistici - pag. 8 [1999 - N.5]

V.G.R. H.D.S. Italia

Il 14 Novembre 1998 a Marina di Ravenna si è inaugurato il "Museo Nazionale delle Attività Subacquee", la prima realtà del genere in Italia, sorta sotto l'egida de l'Historical Diving Society Italia (H.D.S. Italia); Associazione culturale nata nel 1994, oggi con Sede presso il Museo, e associata a l'H.D.S. UK. L'idea del Museo, dopo alcuni anni, ha trovato accoglienza presso il Comune di Ravenna che ha collaborato alla sua creazione mettendo a disposizione i locali necessari a Marina di Ravenna. Così in occasione anche del IV Convegno Nazionale sulla Storia dell'Immersione, il Sindaco di Ravenna ha inaugurato il Museo che è qui brevemente descritto. Sul fondo dell'atrio, si viene accolti dalla possente statua, nata da un'idea del mitico Duilio Marcante, del Cristo degli abissi scultura originale in gesso, opera di Guido Galletti realizzata nel 1954, la cui fusione in bronzo, posta nel fondale della baia di S. Fruttuoso, è meta quotidiana di molteplici subacquei. Da qui si accede alla Sala A dedicata alla Marina militare, arredata con varie attrezzature storiche, appartenute ai corpi speciali d'assalto della "X Mas" (gli Uomini Gamma, i Sommozzatori Marcianti e gli Incursori Piloti dei famosi "Maiali") e corredata di fotografie, disegni e libri storici, per ricostruire e ricordare la nostra storia militare sotto i mari. La successiva Sala B è intitolata al Cristo degli abissi e vi è esposto il modello in scala del Batiscafo Trieste (per gentile concessione del Museo Nazionale della Scienza e della Tecnica "Leonardo da Vinci" di Milano). La sala è dedicata alla fotografia subacquea e sono esposti storici e pionieristici oggetti e molteplici pannelli e stampe esplicative della storia dell'immersione dalle origini. Molte di queste stampe sono state ricavate da incisioni e disegni originali dal 1600 in poi. La sala è completata con la storia della medicina iperbarica e con l'esposizione di una camera iperbarica monoposto. Si accede poi alla Sala C intitolata al Lavoro subacqueo. Qui si entra nel cuore della subacquea. Dedicata alla storia dei Palombari, vi sono alcuni diorama di ambienti di lavoro, scafandri, pompe, mute, erogatori e quant'altro nell'evoluzione del tempo per il lavoro subacqueo dello sport, fino ai tempi nostri. E' corredata con vetrine contenenti molte custodie subacquee per cinepresa, tra cui quella del noto regista Folco Quilici con la quale vennero effettuate le riprese in Mar Rosso del famoso film Sesto Continente. Così pure si può ammirare, la custodia originale Bolex Paillard di Kerry Mentasti, le cui avventure nei mari di tutto il Mondo sono raccontate in vari libri. Qui sono esposte molte primordiali custodie stagne delle cineprese esistenti negli anni '40-'50 che, come per le custodie della fotosub, sono frutto della genialità e della fantasia di alcuni grandi pionieri nazionali del tempo a cui, spesso, l'industria si è poi ispirata. Viene qui esposta, un'antica fotocamera a lastre del 1881 costruita dall'inglese Thomas Bolas, con la prima custodia stagna subacquea (ricostruita da D. Cedrone, G. Bartoli e F. De Strobel) progettata per questo tipo di fotocamera a lastre nel 1891 da Louis Boutan e costruita all'epoca da Aragò, con cui lo stesso Boutan realizzò la prima fotografia subacquea. In alcune vetrine vengono esposti antichi e rarissimi libri che descrivono i continui tentativi dell'uomo di vivere sotto i Mari. Da qui si passa alla Sala D Mostre tematiche dove sono esposti vari oggetti subacquei in uso fino ai nostri tempi. Quali: scafandri ed elmi da palombaro, di varia produzione; fucili subacquei di varia fabbricazione; l'attrezzatura con la quale un gruppo storico di subacquei toscani, nel 1973-74 eseguì una spedizione nelle acque gelide dell'Antartide e in Terra del Fuoco. Il prossimo obiettivo, espresso in un plastico, sarà quello di realizzare un insediamento più grande per ampliare l'attuale struttura e potere così esporre la gran quantità di materiale già ora disponibile e quello che sarà affidato al Museo in futuro. L'H.D.S. Italia ha iniziato con questo Museo un'opera di ricostruzione e conservazione della storia delle attività subacquee, patrimonio che si prefigge di consegnare alle prossime generazioni, in memoria di quanti si sono sacrificati nel tempo per esplorare e per vivere questo Continente, in gran parte ancora sconosciuto e che tanto, con il suo silenzio impenetrabile, può riservare al futuro dell'umanità. Il Museo è stato realizzato solo grazie a contributi di privati quali: Bleu Dream, Rolo Banca 1473, Acmar, Gamie, Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna, Almax, Pro Loco di Marina di Ravenna, Sapir ed altri.

Speciale musei naturalistici della scienza e della tecnica - pag. 8 [1999 - N.4]

Maria Rosa Bagnari - Responsabile del Centro Etnografico della Civiltà palustre di Villanova di Bagnacavallo

Il Centro Etnografico della Civiltà palustre è una realtà museale con progetto dinamico che recupera la cultura materiale legata strettamente alla propria realtà territoriale, con la caratteristica di raccogliere reperti realizzati con tecniche medievali e ottocentesche, utilizzando vegetazioni spontanee. Il "progetto dinamico" consiste nelle attività del "Cantiere aperto", laboratorio tenuto in vita dagli ultimi artigiani che detengono il bagaglio tecnico inalterato di dette arti manuali. L'attività si svolge durante tutto l'anno per: la ricostruzione di manufatti (primo '900) per il completamento della raccolta, visite guidate, attività didattiche e mostre itineranti a livello nazionale. L'opera di ricerca si concretizza nell'85 con la raccolta di reperti e documentazione rappresentative del mondo rurale della Bassa Romagna ed in particolare dell'utilizzo dell'erba di valle. Tali attività erano specifiche di questa comunità, un tempo "Villanova delle Capanne", sorta nel XIV secolo sull'argine sinistro del fiume Lamone, zona acquitrinosa, che offriva materia prima naturale adatta alla costruzione di case-capanna, oggetti della quotidianità, strumenti di lavoro e arredi domestici. Villanova vive seicento anni di questa cultura, non evolvendosi come attrezzatura e tecnica, ma raggiungendo alla fine dell'800 livelli di intrecci finissimi definibili artistici. Il Centro raccoglie: (1) ricostruzioni ambientali che rappresentano luoghi e fasi della lavorazione, (2) attrezzatura originale per la lavorazione delle cinque erbe (canna, stiancia, giunco, carice e giunco pungente) e del legno nostrano (pioppo, salice), (3) raccolta di manufatti (periodo 1850-1950), (4) documentazione audiovisiva e fotografica inerente all'ambiente e al ciclo produttivo, (5) piccolo stagno. Si recupera, così, un importante patrimonio culturale altrimenti a rischio di estinzione, strettamente legato alla specificità e identità del territorio e se ne promuove la conoscenza con varie iniziative, mostre e corsi. Appuntamenti importanti: Mercatucci di primavera, Sagra della Civiltà delle Erbe palustri in settembre. Riconoscimenti: "Premio ERA per l'ambiente " 1995; "Osservatorio Opera" 1997 per la conservazione del patrimonio culturale e ambientale.

Speciale musei etnografici - pag. 8 [1998 - N.3]

Valerio Brunetti - Ispettore Onorario per i Beni Ambientali e Architettonici

Per alimentare le fosse di Castel Bolognese, città di fondazione costruita dai bolognesi nel 1388, fu scavato un canale derivato dal fiume Senio sul cui percorso sorsero, tra il XIV e il XV secolo, diversi mulini da cui prese il nome. Oggi il Canale dei Molini attraversa il territorio tra il Senio ed il Santerno e confluisce direttamente nel fiume Reno. Da sei secoli uno di questi mulini, denominato "Scodellino", posto a valle della via Emilia ad un chilometro dal centro abitato, appartiene alla comunità di Castel Bolognese e questo, occasione più unica che rara, ha permesso che il complesso, passando da affittuario ad affittuario, si conservasse nella sua struttura originaria. Gli impianti del mulino sono costituiti da due macine in pietra di differente granulometria (per ottenere farina bianca oppure farina gialla) mosse da una turbina ad acqua e da alcune "macchine" per la lavorazione delle granaglie e delle farine, anche queste alimentate dalla turbina attraverso una complessa trasmissione con cinghie in cuoio e pulegge di legno. La loro tecnologia è quella di oltre un secolo fa. Questi impianti sono inseriti, insieme all'abitazione del mugnaio, in un complesso architettonico formato da alcuni corpi di fabbrica,posti a cavallo del canale, con un piccolo porticato in facciata, databili ad epoche diverse tra il XIV ed il XVIII secolo. Fortunatamente alcuni interventi di restauro e consolidamento effettuati dalla Soprintendenza ai Beni Ambientali ed Architettonici di Ravenna negli ultimi vent'anni e la presenza in loco degli eredi di una antica famiglia di mugnai hanno permesso una buona conservazione del complesso, oltretutto inserito in una splendida cornice ambientale. Il Mulino Scodellino, per gli ambienti e le antiche attrezzature conservate, in grado di essere rimesse anche in funzione, rappresenta già oggi un autentico e raro strumento per la didattica della conoscenza di questa millenaria attività dell'uomo. Con pochi interventi potrebbe diventare un originale museo per la storia dell'evoluzione dell'arte molitoria dalle origini ai giorni nostri.

Speciale musei etnografici - pag. 8 [1998 - N.3]

Gian Paolo Costa - Responsabile del Museo Civico di Scienze Naturali di Faenza

Uno dei "luoghi museali" faentini più emozionalmente coinvolgenti è certo Casa Bendandi. Nell'abitazione-laboratorio di via Manara 17, nel centro storico di Faenza, il sismologo e autodidatta Raffaele Bendandi già negli anni Venti aveva allestito un Osservatorio Geofisico e costruiva personalmente sismografi, che commercializzava. Oggi a Casa Bendandi sono visibili, al piano terra, la ricca biblioteca tematica e, nell'ambiente successivo, tre sismografi costruiti da Bendandi, con il tamburo registratore rotante tipicamente "affumicato" a nero-fumo. Alla parete di sinistra del lungo e stretto corridoio laterale agli ambienti summenzionati, in parte trasformati in stanze-vetrina, si possono osservare giornali della comunità italo-americana che, durante il Ventennio, davano ampio risalto alle affermazioni bendandiane sulla possibilità di prevedere i terremoti. Oltrepassato anche il tinello di Casa Bendandi si raggiunge un minuscolo cortile interno. Sulla destra una scala discendente immette nella sottostante cantina interrata: un ambiente unico, con il soffitto a volta, di fattura molto antica (come testimoniano i ciottoli di fiume a spina di pesce osservabili in vari punti della muratura). Qui il padre francescano Giovanni Lambertini, recentemente scomparso, ha realizzato uno scintillante stellario. Un apparecchio "da museo" consente interessanti e suggestive verifiche della trasmissione dell'energia elettrica in atmosfera.Il primo piano di Casa Bendandi ospita un'ampia sala conferenze. Raffaele Bendandi nasce il 17 ottobre 1893 nel quartiere periferico faentino tradizionalmente denominato "Filanda Vecchia". Fin da giovanissimo si appassiona ai terremoti: li studia con un metodo e una meticolosità che non lasciano supporre un itinerario scolastico conclusosi alla VI elementare. Nel maggio 1968 dona l'abitazione-laboratorio di Via Manara alla Municipalità di Faenza; questa contraccambia deliberando un vitalizio annuo di L.1. 000. 000 per il funzionamento dell'Osservatorio Geofisico. Bendandi muore nella sua casa l'1 novembre 1979. Le recenti vicissitudini sismiche italiane (il terremoto duplice che il 26 settembre 1997 ha duramente colpito le Marche e l'Umbria) hanno confermato, una volta di più, I'imprevedibilità e la complessità del "fenomeno terremoto". Dell'opera di Raffaele Bendandi non ci rimane la scoperta sensazionale ma l'esempio di una dedizione di ricerca singolare e pressoché totale, eloquentemente materializzata e palpabile in Casa Bendandi.

Speciale casa museo - pag. 8 [1998 - N.2]

Daniele Serafini - Servizio Cultura del Comune di Lugo

Casa Rossini, ubicata in via Giacomo Rocca 14 a Lugo, fa parte di un percorso di luoghi e testimonianze che ricordano i legami del celebre musicista con la cittadina romagnola che diede i natali al padre Giuseppe Antonio e dove egli stesso soggiornò dal 1802 al 1804, ricevendo presso i canonici Malerbi la prima vera educazione musicale. Rossini ebbe sempre a cuore l'abitazione lughese di Via Rocca, restaurata alcuni anni fa su iniziativa del Lions Club, tanto da parlarne in numerose lettere con accenti di profondo affetto. Altre sono le testimonianze significative che legano il musicista a Lugo e che rientrano in un ideale itinerario rossiniano: gli organi Gatti (1750) e Callido (1797) sui quali il giovane Gioacchino si esercitava, custoditi entrambi presso la chiesa del Carmine; ritratti di famiglia (quelli dei genitori sono gli unici esistenti) e documenti autografi conservati nella residenza municipale (Rocca Estense); lo splendido settecentesco teatro che dal 1859 porta il suo nome. Recentemente il Comune di Lugo ha destinato Casa Rossini a spazio espositivo dove vengono allestite mostre di arti figurative e fotografiche di piccole dimensioni, decidendo di mantenere nella sede della Rocca il patrimonio documentario. La Casa è comunque visitabile su prenotazione, contattando il Servizio Archivi, Musei e Turismo al seguente numero telefonico: 0545/38556.

Speciale casa museo - pag. 8 [1998 - N.2]

Giancarlo Bojani - Direttore del Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza

Al Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza è stata organizzata per il 1998 una serie di avvenimenti - mostre e convegni che spaziano dalla ceramica rinascimentale a quella contemporanea. Già nei mesi di gennaio e febbraio nel museo faentino si sono svolti due avvenimenti significativi tali da preannunciare lo svolgersi di manifestazioni pubbliche nel corso dell'anno: il primo nei giorni del 31 gennaio e 11 febbraio, è stato di carattere convegnistico sul tema della Creatività nella ceramica contemporanea a conclusione della cinquantesima edizione del Premio "Faenza". Le due giornate hanno visto convergere da una parte un gruppo autorevole di critici d'arte italiani, direttori di musei e di riviste europee, dall'altra almeno centocinquanta ceramisti, galleristi, docenti da ogni parte d'Italia e dall'estero. Le discussioni, talora anche accese, hanno cercato di individuare il ruolo della ceramica nell'arte contemporanea, nelle sue espressioni creative e tecniche, nelle formulazioni della critica d'arte, nei luoghi di esposizione, nei modi della promozione, in quelli del collezionismo e del mercato. Il secondo avvenimento è stato riservato, dal 24 gennaio fino al 22 febbraio, a una figura d'artista molto popolare come Sante Ghinassi, ravennate abitante a Riolo Terme. E' un pittore su ceramica molto conosciuto e amato per i suoi ritratti di popolari, borghesi e aristocratici, di paesaggi e nature morte, di soggetti religiosi. Opere squisitamente pittoriche ma realizzate con tecniche molto sofisticate della ceramica hanno particolarmente attratto le varie centinaia di persone accorse all'inaugurazione e folti gruppi di visitatori lungo il mese dell'esposizione. La ceramica rinascimentale esibita sarà soprattutto quella della collezione dei marchesi Strozzi Sacrati. E' una raccolta affidata temporaneamente al Museo con alcuni capolavori di maiolica di Faenza, Urbino, Deruta, Firenze, Montelupo, Caltagirone, Savona, Casteldurante, lznik. Su queste opere si terrà un convegno nel mese di settembre affidato a un gruppo di specialisti di provenienza soprattutto italiana. Ad alcuni artisti della ceramica, che si caratterizzano per i rapporti fra artigianato, arte e design, sono dedicate alcune mostre personali con opere eseguite soprattutto negli anni Sessanta: il fiorentino Federigo Fabbrini,il faentino Guerrino Tramonti e il pesarese Franco Bucci. Ad un pittore del Settecento dedicatosi alle arti applicate, il lombardo Filippo Comerio, è dedicata una mostra sull'opera grafica che ha varie attinenze con le maioliche che il Comerio stesso realizzò a Faenza sull'ultimo quarto del XVIII secolo. Il materiale, inedito, è curato dal maggior studioso dell'artista, Renzo Mangili, che ha già pubblicato una importante monografia sui dipinti del pittore. E' prevista anche una esposizione di antichi tessuti della civiltà precolombiana, attualmente in una delicata fase di restauro, tessuti in procinto di essere donati ad integrazione della sezione del Museo faentino. Un'arte, quella tessile, che compete nella civiltà peruviana precolombiana con la ceramica e forse la supera perlomeno per la molteplicità delle tecniche. Per ultimo sono previste due giornate di apertura gratuita per i faentini al Museo, e una rassegna di maioliche (Ceramica in tavola) eseguite da artigiani della città ispirate ad opere del XVIII secolo conservate nel Museo della città. Infine, sarà realizzata per il periodo dal 26 settembre al 4 ottobre una mostra ,dell'antiquariato ceramico.

La vetrina dei musei - pag. 8 [1998 - N.1]

Giuseppe Masetti - Direttore del Museo del Senio

Il Museo della Battaglia del Senio documenta i principali eventi militari che accompagnano la fine della II guerra mondiale in Italia tra il1944 e il 1945. Il territorio della nostra regione si trovò infatti a quell'epoca al centro di scontri e presenze quanto mai significative per le vicende nazionali ed internazionali che ne seguirono. Se tutto ciò aveva un profondo significato etico ed ideologico agli occhi dei diretti testimoni di quegli eventi, disposti a vedere il museo come un memorial che come un centro di documentazione, va rilevato come, parlando di didattica e di giovani generazioni , il livello e gli strumenti della comunicazione, del racconto storico, cambino decisamente. Anche per i ragazzi delle nostre scuole quello di mezzo secolo fa è un passato estraneo e muto, schiacciato fra tante altre date e tante altre guerre la cui immagine è dovuta prevalentemente ai film di fiction, quasi mai al documento e alla testimonianza. L'intento didattico che sottende la nascita di questo Museo si è espresso allora su due obiettivi prioritari : da una parte sull'uso più corretto delle fonti audiovisive che meglio rappresentano quel passato, all'altro con l'intento di animare la storia, di "emozionarla", con riferimenti a voci, luoghi e persone che avessero la maggior penetrazione possibile nella dimensione soggettiva dei piùgiovanivisitatori. "E' accadutoqui""Probabilmentec'era il tuo nonno""E' comunque la storia della tua città ""Di tutto questo oggi vi sono ancora tracce visibili" Sono questi i messaggi fondamentali e prioritari delle visite guidate nel Museo alfonsinese, prioritari rispetto ad ogni altro approfondimento : i soli in grado di far parlare il museo della guerra, dove armi, bandiere e uniformi, si spogliano del loro ruolo di feticci per coprire di autenticità e di identità la carta topografica in cui si possono riconoscere i nostri paesi, le case di tutti noi.Intorno alla storia degli eserciti emerge così la storia del passaggio, della cultura materiale e delle aspettative di uomini e di donne che hanno contribuito al nostro presente. Un'attenzione particolare riservata alle copiose immagini dell'epoca, soprattutto filmiche e fotografiche, induce poi a ragionamenti più complessi sul fare storia nell'età dei mass - media, sulle troppo facili rappresentazioni celebrative, sugli effetti della propaganda di massa. Avvertenze necessarie per consumare le numerose proposte audiovisive che giocano con la memoria collettiva e per indagare qualsiasi aspetto inerente alla storia del Novecento.

Speciale didattica - pag. 8 [1997 - N.0]

Università degli Studi di Bologna Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali Tesi di: Daniela Laghi Relatore: Prof.ssa Maria Letizia Strocchi Anno Accademico 2000-2001

Daniela Laghi

Un'indagine dantesca di taglio particolare ed inedito: questa volta Dante è al centro di uno studio non solo come autore della Commedia, ma come simbolo sociale, politico e culturale di due secoli di storia italiana. Attraverso lo studio delle fasi che hanno contribuito a creare il mito, inteso in termini romantici, della figura del poeta si delineano anche i momenti salienti della storia politica di una nazione e di un popolo che ha scelto di identificarsi in Dante in diverse e significative occasioni. L'obbiettivo di questo studio è quello di raccontare quale sia attualmente, e come si sia generata, attestata e confermata durante il XIX e il XX secolo, la concrezione della memoria dantesca, attraverso testimonianze figurative e celebrative dell'uomo Dante: inevitabilmente strumentalizzato nello Stato Italia. Firenze e Ravenna sono i centri in cui è nato e si è principalmente sviluppato il culto dantesco, e questi sono i due punti di vista da cui parte la ricerca. Ripercorrendo le tappe, in particolare manifestazioni artistiche e celebrative svoltesi in onore del poeta dai primi dell'Ottocento alla metà del Novecento, si può notare come spesso la storia del culto dantesco si intrecci, e in alcuni casi si sovrapponga, alla storia politica del paese. Dante è stato identificato come simbolo della breve repubblica napoleonica, dell'unificazione e della dittatura fascista; la sua immensa portata storica e sociale è stata catalogata e strumentalizzata a seconda delle varie necessità politiche e la sue effigie ha decorato festoni e bandiere, in occasioni tra le più disparate. Tuttavia questo studio palesa anche un'altra realtà: questo grande paese, ed in particolare le due città dantesche per eccellenza, Firenze e Ravenna, non hanno saputo costruire intorno ad un così alto esempio di italianità, un assetto celebrativo e artistico veramente degno del suo insuperato genio. Oggi le Guide rosse del Touring Club Italiano registrano, come cent'anni fa, a Firenze un cenotafio entro Santa Croce, un monumento errabondo nella stessa piazza, una statua "di serie" nel piazzale degli Uffizi, una fittizia casa degli Alighieri "specchietto per turisti", un ritratto di Dante per mano di Giotto, che non raffigura probabilmente Dante e che non è attribuibile a Giotto, al Bargello, come volevano fonti poi criticamente smentite. Del "Sasso di Dante", luogo mitico dei visitatori inglesi dell'Ottocento, non rimane se non il nome di una trattoria. A Ravenna la tomba di Camillo Morigia ha preso il luogo, nel 1780, di un preesistente sepolcro, di cui mantenne parte della decorazione scultorea, e dopo diverse aggiunte e sistemazioni si confermò nell'assetto attuale dal 1921; al quale monumento, almeno dal 1798, sono stati resi gli onori nelle varie circostanze nonostante vi fosse chi, già cinquant'anni dopo la sua costruzione, ne auspicasse la demolizione. Il Museo Dantesco di Ravenna - progettato da Corrado Ricci nel 1919, inaugurato nel 1921 - chiuso, poi riaperto nel 1989, si presenta oggi come un'accolta un po' casuale e discontinua di "omaggi danteschi" di natura contemporanea, frammisti a cimeli di varia origine. In conclusione, Dante è servito in vari contesti storici alla "causa Italia": l'Italia di oggi, emancipata da servitù ideologiche vere o presunte, potrebbe perseguire, nella sua configurazione istituzionale, una meta concreta e unitariamente intesa: cioè un luogo di memoria dantesca, superiore ed estraneo a rivendicazioni campanilistiche, che convogli interessi, ricerche, istanze di comunicazione: senza contrapposizione tra Guelfi e Ghibellini, tra Firenze e Ravenna, tra vita e morte. Il materiale documentario e iconografico raccolto in questa tesi si presterebbe ad essere allestito in una piccola esposizione che potrebbe fornire una conoscenza di aspetti meno noti del culto dantesco.

Tesi e musei - pag. 8 [2003 - N.17]

Una vita dedicata all'archeologia cristiana e allo studio della basilica di Sant'Apollinare in Classe, che ha prodotto contributi ancora oggi validi per ulteriori indagini

Franco Gabici - Capo Reparto Attività Scientifiche e Museali del Comune di Ravenna

Un numero monografico dedicato alla archeologia non può non ricordare la figura e l'opera di mons. Mario Mazzotti, che agli studi archeologici ravennati ha dedicato tutta la sua vita, lasciando contributi che ancora oggi costituiscono un punto fermo negli studi. A cominciare dalla sua tesi di laurea in "archeologia cristiana", conseguita a Roma magna cum laude nel 1951 e pubblicata alcuni anni più tardi col titolo La basilica di Sant'Apollinare in Classe, ritenuta ancora oggi l'opera fondamentale per lo studio della basilica. Nato a Sant'Alberto il 12 luglio 1907, è ordinato sacerdote nel 1933 da mons. Antonio Lega, l'arcivescovo di Ravenna del quale per un certo periodo fu anche segretario. Mons. Mazzotti si impose subito all'attenzione della città con alcuni dotti contributi pubblicati sul Romagnolo, che già andavano delineando i suoi interessi. Dopo aver pubblicato una serie di articoli dedicati alle Chiese di Ravenna scomparse, nel giugno del 1937 denunciava in maniera forte lo stato di incuria e di abbandono di alcune chiese ravennati e auspicava un urgente restauro per quei monumenti che avevano reso Ravenna famosa in tutto il mondo. Successivamente, per incarico della Soprintendenza di Ravenna, avrebbe condotto restauri e campagne di scavi sia a Ravenna che fuori città "con appassionata dedizione, rara competenza, accurata indagine filologica". Parroco di Porto Fuori dall'agosto del 1937, mons. Mazzotti partecipò attivamente anche alla lotta di liberazione. Nel 1949 fu fra i fondatori della "Società di studi romagnoli", della quale fu vice presidente dal 1954 al 1956. Direttore dell'Archivio, della Biblioteca e del Museo arcivescovile ravennate, nel 1967 fu libero docente di Antichità ravennati e paleobizantine all'Università di Bologna. Fece parte della commissione preparatoria alla costituzione del Ministero per i beni culturali. E' stato inoltre il primo presidente del "Centro studi per l'antica provincia ecclesiastica ravennate" e vice presidente di "Italia Nostra". Nel 1970 gli fu conferita la medaglia d'oro dei benemeriti della cultura. Nel 1993, in occasione del decimo anniversario della morte, fu organizzata una giornata di studio in onore di mons. Mazzotti e in quell'occasione il professor Eugenio Russo auspicava che in diocesi venisse individuato un giovane sacerdote al quale far ripercorre lo stesso itinerario intellettuale di mons. Mazzotti per poterne continuare il lavoro. Il "dilettantismo", infatti, è molto pericoloso e del resto lo stesso mons. Mazzotti indicò la vera strada quando, proprio per acquisire criteri e metodologie scientifiche, si iscrisse all'università a quarantuno anni di età. Monsignor Mazzotti con la sua opera intese sempre collegare i "testi" storici e liturgici ai monumenti. Il monumento non era solamente "architettura", ma un libro aperto da leggere e da capire per penetrare a fondo nella storia della città. E gli ultimi anni della sua vita furono spesi per la tutela del patrimonio artistico e di questa sua azione, che testimonia l'amore per la città, dobbiamo tutti essergli grati.

Personaggi - pag. 8 [2001 - N.11]

La Scuola per il Restauro del Mosaico coniuga l'esperienza della tradizione artigiana con rigorosi metodi di indagine tecnologica

Cetty Muscolino - Storica dell'arte e Coordinatrice didattica della Scuola

La nascita negli anni Ottanta della Scuola per il Restauro del Mosaico presso la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Ravenna, rispecchiava l'esigenza di costituire un polo dove confluissero, per specializzarsi ed indirizzarsi verso il restauro e la conservazione, le conoscenze e le esperienze sul mosaico maturate nelle scuole d'arte e nelle botteghe artigiane.
Il percorso scolastico si articola in un quadriennio, che contempla nel piano di studi discipline teoriche e attività di laboratorio e di cantiere progettate ed individuate per garantire la graduale crescita e maturazione degli allievi. La tesi di fine quadriennio, presentando un intervento di restauro e uno specifico segmento di ricerca, riflette la capacità critica raggiunta dall'allievo e nello stesso tempo la sua abilità pratica. In venti anni di attività il corpo docente ha lavorato per travasare nella scuola i saperi maturati nei vari campi d'indagine (un formidabile arricchimento deriva inoltre dalla presenza, oltre ai professionisti esterni, di molti tecnici della Soprintendenza che hanno una vasta esperienza di cantiere di restauro). Procedendo a piccoli passi, e aggiustando il tiro, siamo riusciti a definire la figura del restauratore di mosaico, a nostro avviso ancora inedita in molte parti del mondo e anche in alcune d'Italia, perché di restauratori ce ne saranno tanti ma di restauratori esperti per i mosaici ce ne sono meno. Questo ritengo sia uno dei principali meriti della nostra Scuola e questo definisce la sua identità in maniera così specifica.
La Scuola di Ravenna, ponendosi il mosaico quale principale obiettivo di ricerca e di intervento, è potuta giungere a risultati di grande eccellenza, a sperimentazioni audaci, ad un rigore e ad una destrezza conseguibili unicamente attraverso il lavoro, lo studio, l'autocritica, l'umiltà. Quando mi fermo ad ascoltare le osservazioni di Riccardo Bissi, "il nostro mosaicista-restauratore-storico" mi rendo conto di quante più cose lui veda rispetto a molti teorici o esperti di chiara fama. È cresciuto sui ponteggi, tutti i principali restauri l'hanno visto sul campo, ed è diventato una sorta di miniera aurifera di saperi che verrebbe quasi voglia di clonarlo. Ed è proprio questa vista profonda che volevamo comunicare e trasferire ai giovani. La Scuola, pertanto, non senza difficoltà e travagli, ha coniugato l'esperienza e la conoscenza del "vecchio" mosaicista con il rigore di un metodo di indagine che si avvale di tutto quello che la moderna tecnologia mette a disposizione. E così si è proceduto nella conoscenza di questo immenso patrimonio, e la necessità di curare i nostri malati d'eccezione ci ha fatto studiare l'alterazione delle tessere vetrose, la conservazione di quelle a lamina metallica (oro e argento), più esposte al degrado per la particolarità della loro natura.
Un'attenzione particolare è stata riservata ai possibili metodi per integrare le lacune del manto musivo e per consolidare le superfici disancorate dalle malte sottostanti; sono stati analizzati gli antichi sistemi di ancoraggio e ne sono stati sperimentati nuovi meno traumatici. La redazione di tavole tematiche sui materiali costitutivi, sul degrado, sulle fasi d'intervento, e tante altre indagini e riflessioni hanno fatto maturare nuove strategie e suggerito soluzioni nate specificamente per il mosaico e non mutuate dalla pittura, come generalmente succedeva in passato.
La Scuola ravennate forte di una ventennale ricerca e sperimentazione, si pone all'avanguardia nel restauro musivo fornendo proposte concrete e metodologicamente corrette agli Istituti e agli Enti che le richiedono consulenze per progetti e interventi su mosaici antichi e contemporanei. Nell'infittirsi del panorama delle scuole di formazione, nel proliferare di corsi, nella perenne trasformazione delle Università, nella generale corsa alla ricerca di un'identità, questa Scuola si configura come una realtà esemplare e definita in maniera rigorosa. I risultati ci sembrano di alto livello, si tratta di proseguire, senza adagiarsi sugli allori. Mi auguro che la città si renda conto di questa ricchezza e faccia quanto possibile per la sua valorizzazione.

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 8 [2004 - N.19]

Architetto e noto intellettuale faentino, si dedicò per tutta la vita alla studio e alla valorizzazione della sua “prediletta Città”

Giorgio Cicognani - Giorgio Cicognani

Nel 1994 si spegneva a Faenza all’età di 86 anni l’architetto Ennio Golfieri uno dei più noti studiosi del Novecento dell’arte faentina. Aveva dedicato tutta la vita alla sua “prediletta Città” impegnandosi nella ricerca e nello studio pubblicando opere di notevole pregio storico-artistico, lasciando un grande patrimonio culturale. Profondo conoscitore di storia locale ne aveva approfondito ogni periodo, ma particolarmente il neoclassico e l’Ottocento-Novecento. Il suo interesse quotidiano non era rivolto solo agli studi faentini, ma anche allo sviluppo e alla crescita degli Istituti Culturali “punti cardini” della nostra storia e cultura; per questo nel 1989 con grande generosità aveva donato tutte le sue collezioni d’arte alla città.
Formatosi nell’ambito del colto artigianato del padre, (raffinato ebanista e pittore) dopo la laurea in architettura conseguita presso la Scuola Superiore di Architettura di Roma, si appassionò allo studio degli edifici antichi della nostra città. Esaminò, con grande passione, in particolare le opere di Giuseppe Pistocchi e già nel 1939 partecipò con una sua dettagliata relazione corredata da diapositive ad un convegno nazionale di Storia dell’Architettura che si teneva in quel periodo a Milano.
L’età neoclassica fu uno dei periodi artistici che lo appassionava di più e ne pubblicò quella che si può definire uno delle sue maggiori opere Dal Neoclassicismo ai giorni nostri, opera in due volumi a cura dell’Amministrazione Comunale Faentina.
Questo studio è una pietra miliare per chi vuole approfondire il tema dell’arte faentina di questi ultimi due secoli. Altre ricche opere furono i due volumi editi dalla Cassa di Risparmio di Faenza, sulla Casa faentina dell’800, il primo volume dedicato alla storia dei palazzi e il secondo agli arredi e alle pitture parietali. Fra Arte e Artigianato, invece ci testimonia la sua continua attenzione nei confronti delle così dette “arti minori”, passione coltivata fin da giovanissimo nella bottega del padre. Sarebbe stato suo desiderio realizzare un più dettagliato testo dal titolo Repertorio delle botteghe faentine a partire dai primi anni dell’Ottocento, ma non riuscì a realizzare questa importante opera che è rimasta a livello di appunti. Negli anni Trenta ricoprì la carica di ispettore onorario per la Soprintendenza per i beni architettonici di Ravenna, ma per il suo carattere rigido e intransigente diede le dimissioni non trovandosi in accordo con le trasformazioni che venivano proposte. Diede però sempre preziosi consigli, fornendo relazioni dettagliate e notizie interessanti a coloro che operavano nel campo dell’architettura e dell’arte, collaborò con altri studiosi faentini e non come Corbara, Arcangeli, Gnudi, ecc… favorendo la conoscenza di artisti poco valutati precedentemente come Giani, i Liverani, i Ballanti-Graziani, Melandri. In questa breve nota è assai difficile descrivere i suoi molteplici interessi che vanno dalla storia locale alla progettazione di edifici al design di arredi e oggetti vari come testimoniato dalla raccolta dei suoi disegni, conservata presso la Biblioteca Comunale di Faenza e in parte esposta in una mostra del 1996 a Palazzo Milzetti.
Ricoprì all’interno degli Istituti Culturali diverse cariche come consigliere, ispettore e fu conservatore della Pinacoteca di Faenza dal 1978 al 1980. Schivo di carattere, non era sempre facile avvicinarlo, ma se l’argomento riguardava la sua Faenza si lasciava coinvolgere con piacere e con molta puntualità e precisione rispondeva per iscritto alle notizie richieste. A dieci anni dalla morte l’Amministrazione Comunale di Faenza gli ha dedicato una via e nel mese di novembre organizzerà in collaborazione con altre Istituzioni, una giornata di studio in suo onore. A Ennio Golflieri infaticabile studioso, dobbiamo ancora una volta tanta riconoscenza e gratitudine.

Personaggi - pag. 8 [2004 - N.20]

Artista dotato di grande carica umana, svolse il ruolo di conservatore delle memorie cotignolesi

Daniele Ballanti - Ufficio Cultura Comune di Cotignola

Luigi Varoli nacque a Cotignola il 23 settembre 1889 ed iniziò la sua carriera artistica all’età di 12 anni come ceramista. Dopo aver appreso a Lugo i primi elementi del disegno da Visani si iscrisse, nel 1914, all’Accademia di Ravenna dove continuò gli studi sotto la guida di Vittorio Guaccimanni. Conseguì il diploma all’Accademia di Belle Arti di Bologna nel 1920 ed ottenne, due anni dopo, la licenza dei corsi superiori di pittura in Roma, a pieni voti. L’8 ottobre 1931, a dimostrazione della sua ecletticità in campo artistico, si diplomò contrabbassista presso la Regia Accademia Filarmonica di Bologna.
Espose in varie mostre di rilevanza nazionale e a Parigi al Salone degli Indipendenti, ottenendo importanti riconoscimenti. Diresse per vario tempo la rivista “E val”. Avviò laboratori di ceramica in molte città romagnole ed a Roma. Fece parte, più volte, di giurie in concorsi nazionali e regionali. Dirigeva, come aveva fatto per gran parte della sua vita, la scuola di disegno del suo paese nativo e da qualche anno insegnava figura al Liceo Artistico di Ravenna quando lo colse la morte il 25 settembre 1958.
Lasciamo alla penna arguta e competente di Raffaele De Grada il compito di inquadrare la figura di Varoli come artista: “… la qualità essenziale del Varoli, ciò per cui egli si è elevato come aquila sopra il pollaio della pittura di provincia è la sua capacità di trarre sempre l’immagine tipica ed eccezionale, quella che la prima volta si scopre solo all’artista e che noi chiamiamo ‘invenzione’. Per essa e con essa il mondo si accresce di un fatto nuovo, che prima non esisteva. Esisteva si la Romagna, Cotignola, la sua gente, la memoria robusta degli Sforza e la presenza di una civiltà contadina, aggregata nel lavoro e dispersa nella bizzarria dei suoi cantastorie, narratori d’organetto, bevitori, sciancati e passatempi d’osterie. Ma dopo Varoli questa realtà la vediamo in modo diverso, essa ci giunge con l’annobilimento della pittura più piena e con l’estro delle sue “maschere” in una scultura che riprende tutte le fantasie delle correnti antiche dell’espressionismo realista a incominciare da quelle che vengono dal barocco”.
Varoli aveva costituito a Cotignola, in particolare negli anni che vanno dal 1935 al 1955, un vero e proprio cenacolo artistico frequentato dalle giovani promesse dell’arte del periodo: Ruffini, Folli, Giangrandi, Panighi, Magnani, Gordini, Ghinassi, Guerrini, Liverani e numerosi altri artisti. Tutti loro hanno sempre testimoniato verso Varoli un legame strettissimo che va oltre al tradizionale rapporto allievo maestro. Quando gli allievi parlavano e parlano di lui si percepisce l’affetto, la riconoscenza, la stima ed il rispetto. Varoli ha animato la “Bassa Romagna” dal punto di vista artistico culturale; il suo studio è stato una fucina di artisti, la sua opera ha animato la vita civile cotignolese e le sue tradizioni e manifestazioni, in particolare la Segavecchia.
Cotignola conserva la casa dove è vissuto, ricca di testimonianze, ed a Varoli ha dedicato lo spazio più prezioso: nel Palazzo Sforza alcune sale del primo piano raccolgono dipinti, sculture lignee ed in ferro, ceramiche, incisioni, cartapeste e documenti che testimoniano la vita e l’opera dell’artista. A Cotignola è ancora attiva la Scuola Arti e Mestieri, dove Varoli ha avviato, per anni, centinaia di cotignolesi al disegno, alla ceramica, all’espressione creativa, al “mestiere”, all’amore per la vita e per i valori umani. Varoli, artista e persona dotata di una grande carica umana, ha svolto l’importante ruolo di “conservatore” delle memorie della comunità: nella sua casa e nel suo cortile ha raccolto e protetto opere d’arte, arredi, oggetti di uso comune ed anche reperti archeologici, parte dei quali custoditi oggi nella nuova sala archeologica comunale.

Personaggi - pag. 8 [2004 - N.21]

L'IBC e la Regione Emilia Romagna sono attivamente impegnati ad orientare le amministrazioni locali e gli enti di formazione per la valorizzazione delle professionalità che lavorano all'interno dei musei , grazie anche all'elaborazione di attività formative specifiche

Margherita Sani - Istituto Beni Artistici, Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna

Strettamente legato all'introduzione degli standard e all'approvazione dell'Atto di indirizzo ministeriale emanato nel maggio 2001 (Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei - art. 150, c. 6 Dlgs 112/1998, G.U. n. 244 del 19.10.2001), il tema delle professionalità nel settore musei ha assunto una posizione di primo piano nel dibattito attualmente in corso, che si arricchirà di nuove voci con il Convegno che, su questo argomento, ICOM Italia organizzerà a Milano il 3 ottobre 2005.
È evidente infatti che nessuna operazione che miri ad alzare il livello qualitativo degli istituti che conservano e valorizzano il patrimonio del nostro paese può prescindere da una seria valutazione, in termini sia quantitativi che qualitativi, delle risorse umane necessarie al loro buon funzionamento e dalla conseguente assunzione da parte del museo stesso e dell'amministrazione che lo governa, dell'onere di dotarsene, singolarmente o in forma associata, rivedendo e ampliando l'organico o ricorrendo a collaborazioni esterne secondo le forme contrattuali previste dalla legge.
Riprendendo quanto già contenuto nel codice deontologico dell'ICOM, il documento ministeriale ribadisce la necessità che "ogni museo sia dotato - da parte degli enti proprietari o delle amministrazioni responsabili - di personale in quantità sufficiente e con adeguata qualificazione in relazione: alle sue dimensioni, alle caratteristiche delle collezioni, alle responsabilità e funzioni del museo stesso, anche in rapporto con le altre istituzioni del territorio".
Analogamente, il nuovo Codice dei beni culturali e del paesaggio all'art. 115, c. 2 afferma che, nelle attività di valorizzazione dei beni culturali, la gestione diretta va svolta "per mezzo di strutture organizzative interne alle amministrazioni, dotate di adeguata autonomia scientifica, organizzativa, finanziaria e contabile e provviste di idoneo personale tecnico".
Dichiarazioni di principio che non possono che essere condivise, ma rispetto alle quali tuttavia si registra uno scostamento nella pratica, come testimoniano le sempre più frequenti riduzioni di organici o gli affidamenti di incarichi esterni a figure non sempre provviste dei requisiti di competenza ed esperienza. Per contrastare questa tendenza in atto e fornire contemporaneamente, per quanto possibile, linee di indirizzo che orientino i molti corsi di formazione che proliferano nel settore e che non sempre generano professionalità adeguate o necessarie, alcune regioni si sono impegnate in modo particolare per cercare di riordinare e sistematizzare la materia.
In questa sede va ricordato lo studio fondamentale condotto dalla Regione Lombardia nel 2001 Le professionalità operanti nel settore dei servizi culturali - i Musei Lombardi (www.lombardiacultura.it/museiRiconoscimento.cfm), i cui risultati sono confluiti nei Criteri e linee guida per il riconoscimento dei musei e della raccolte museali in Lombardia (Delibera Giunta Regionale n. 7/11643 del 20.12.2002), vale a dire nel documento sugli standard per i musei lombardi.
Partendo da una analisi dei processi lavorativi presenti al museo, e incrociando processi e professionalità, la ricerca giunge ad una mappatura assai analitica degli elementi di competenza richiesti all'interno del museo (suddivisi in conoscenze teoriche e disciplinari, metodologie e tecniche professionali, conoscenze e competenze generali e di base), che vengono poi aggregati nei singoli profili professionali, cinque dei quali ritenuti essenziali perché un museo possa dirsi tale: direttore, conservatore, responsabile tecnico addetto alla sicurezza, responsabile dei servizi educativi, addetto ai servizi di custodia.
Partendo invece dall'esigenza di confrontarsi con la realtà del territorio ed acquisire elementi informativi per facilitare l'adeguamento dei musei agli standard e orientare le azioni regionali in tal senso, la Regione Veneto ha promosso e pubblicato recentemente una Indagine sulle professionalità impegnate nei musei veneti (Regione Veneto, Le professionalità nei musei veneti, novembre 2004). La ricerca distingue tra figure essenziali, di supporto e consulenti esterni e ne analizza numerosità, distribuzione, responsabilità e mansioni, formazione e inquadramento contrattuale per giungere ad individuare carenze e punti di forza e formulare proposte e raccomandazioni, rivolte in primo luogo agli organi decisori del governo regionale.
Altrettanta attenzione alle professionalità operanti nei musei, sempre in una prospettiva di adeguamento a standard, ancorché non ufficialmente varati dal governo regionale, è stata data dalla Regione Marche. Rilevata l'assenza di figure adeguatamente preparate nelle strutture museali sulla base di una indagine Istat 2001 (Indagine Istat sui Musei delle Marche realizzata dal servizio statistico della Regione Marche in collaborazione con il Servizio Beni e Attività Culturali. L'indagine è stata effettuata nel 2001 con dati del 2000), la Regione ha promosso nel 2003-2004 un progetto di formazione di personale specializzato nelle diverse tipologie dei beni museali (storico-artistici, archeologici, demo-antropologici), da inserire negli organici dei musei di enti locali cofinanziando la fase di avvio del rapporto di collaborazione.
In Emilia Romagna l'Atto di indirizzo ministeriale è stato recepito con una delibera del 2003 (Delibera Giunta Regionale n. 309 del 03.03.2003 Approvazione standard e obiettivi di qualità per biblioteche, archivi storici e musei ai sensi dell'art. 10 della L.R. 18/2000), anche in ottemperanza a quanto disposto dalla Legge Regionale n. 18 del 2000.
Alla voce "Personale" il documento regionale sugli standard prevede come requisito obbligatorio che vengano assicurate in modo adeguato e con continuità almeno quattro funzioni:
• direzione
• conservazione e cura della collezioni
• servizi educativi e didattici
• sorveglianza e custodia
Si rimanda ad un momento successivo la definizione dei profili professionali di riferimento, operazione attualmente in corso a cura di un gruppo interassessorile formato da rappresentanti dell'IBACN e dell'Assessorato alla Formazione Professionale.
Il lavoro del gruppo, che per ora si concentra prioritariamente sulla descrizione dei profili professionali che riguardano le quattro funzioni riconosciute come essenziali dagli standard, si inquadra all'interno del nuovo Sistema Regionale delle Qualifiche che la Regione Emilia-Romagna sta mettendo a punto (www.regione.emilia-romagna.it/fr_formazione.htm) e con il quale intende individuare standard di professionalità minimi omogenei su tutto il territorio regionale e dispositivi di certificazione delle competenze, acquisite sia all'interno di percorsi di apprendimento formale (istruzione, formazione ecc.), che non formale (esperienza). Le qualifiche infatti sono titoli formali che evidenziano e garantiscono il possesso da parte dei singoli di tutte le competenze proprie di una figura professionale e sono perciò destinate ad assumere un valore riconosciuto nel mercato del lavoro a livello regionale.
La descrizione dei profili professionali per il settore musei segue dunque il modello descrittivo regionale basato sulle unità di competenza, anche se ciò non significa che i profili professionali così elaborati debbano necessariamente confluire in qualifiche.
In attesa che il quadro si definisca in modo più preciso, l'Istituto Beni Culturali ha intrapreso alcune azioni formative di accompagnamento agli standard e precisamente un ciclo di lezioni sui temi del regolamento e dell'assetto finanziario (ambiti I e II del documento sugli standard; cfr. www.ibc.regione.emilia-romagna.it) con una forte componente seminariale e di lavoro di gruppo, per mettere in grado i partecipanti di trasferire le conoscenze acquisite nel proprio contesto lavorativo e di tradurre immediatamente quanto appreso in documenti e procedure di lavoro.
Al di là della descrizione dei profili professionali, che di per sé può restare un'operazione con valenza puramente teorica e classificatoria, il vero nodo rimane il riconoscimento sostanziale delle professionalità, che richiede da parte regionale un intervento chiaro che orienti sia le amministrazioni locali che gli enti di formazione e da parte delle amministrazioni responsabili un impegno reale alla valorizzazione delle professionalità che si traduca in trasparenza nelle procedure di reclutamento e di avanzamento di carriera e in un genuino interesse a dotare i musei delle risorse umane necessarie perché funzionino al meglio.

Speciale professionalità nei Musei - pag. 8 [2005 - N.22]

Le leggi Rava del 1905 e del 1908 permisero la conservazione delle pinete ravennati e costituirono un precedente significativo per la legge di tutela delle antichità e delle belle arti del 1909

Antonio Patuelli

La centenaria legge 16 luglio 1905 è strettamente legata al nome di Luigi Rava che nacque a Ravenna nel 1860, fu insigne studioso, autore di numerosissime pubblicazioni di carattere storico (fu anche biografo di Luigi Carlo Farini), economico e letterario, fu avvocato, professore nelle Università di Bologna (di cui divenne libero docente a soli 23 anni), Siena e Pavia. Le sue materie di insegnamento erano filosofia del diritto, scienza delle finanze e diritto amministrativo.
Luigi era figlio di Giuseppe Rava che era stato ragioniere capo del Comune di Ravenna, collega di Alfredo Baccarini che ne guidò l’ufficio tecnico, fu a lungo consigliere comunale dal 1860, di idee liberaldemocratiche, seguì Baccarini, Domenico Farini e Gioacchino Rasponi (di cui, per modestia, nel 1877 non accettò di essere successore alla Camera), suoi autorevoli concittadini, patrioti e parlamentari illustri.
Luigi Rava fu l’erede politico di Baccarini di cui fu successore come Deputato di Ravenna dal 1891 e, poi, nel Collegio di Vergato nell’Appennino bolognese, complessivamente per ben sette legislature prima di essere poi nominato Senatore il 3 ottobre 1920 su proposta dell’ultimo Governo di Giovanni Giolitti. Rava fu nominato Sottosegretario al Ministero per le Poste ed i Telegrafi già nel 1893 dopo due soli anni dall’ingresso a Montecitorio, poi al Ministero dell’Agricoltura nel Governo Saracco del 1900. Dal 1903 al 1905 fu Ministro di Agricoltura, Industria e Commercio nel secondo Ministero Giolitti e nel 1905 nel primo Governo del giolittiano forlivese Alessandro Fortis; fu Ministro della Pubblica Istruzione dal 1906 al 1909 nel terzo Ministero Giolitti ed infine fu Ministro delle Finanze nel 1914 nel primo Governo Salandra, e subito dopo per un quinquennio, Vicepresidente della Camera dei Deputati.
Ricoprì anche numerosi altri incarichi: con Pietro Gamba, Baccarini, Pier Desiderio Pasolini, Achille e Cesare Rasponi fu fondatore della Banca Popolare di Ravenna di cui fu il primo Vicepresidente dal 1986. Dal 1992 al 1920 fu Vicepresidente della Cassa di Risparmio di Ravenna di cui fu Presidente nel 1919. Per trent’anni fu Presidente del Consiglio Provinciale di Ravenna. Rava fu anche Sindaco di Roma nel 1920-21, della cui giunta fece parte anche Corrado Ricci, fu Presidente nazionale della “Dante Alighieri” dal 1906 al 1909 e poi fu fondatore e Presidente dell’ENIT, Ente Nazionale Industrie Turistiche. Fu inoltre Consigliere di Stato fra il 1915 ed il 1930.
Al nome di Luigi Rava restano in particolare legate alcune leggi che furono le prime a protezione dell’ambiente e dei beni culturali. Le leggi Rava del 1905 e del 1908 dichiararono inalienabili e tutelati gli arenili e le pinete di Ravenna che vennero così salvate da incuria e da disboscamenti. Queste leggi volute da Rava servirono a lui ed allo Stato anche come sperimentazioni per la preparazione di un’altra legge che porta il nome dello stesso Rava, la 364 del 20 giugno 1909, frutto della cultura giolittiana, la prima legge operante su tutto il territorio nazionale per la tutela delle antichità e delle belle arti, realizzata con la collaborazione diretta di Corrado Ricci.
La legge del 1909 fu sostanzialmente la prima “protezionistica”, la base del Testo unico attualmente vigente. Il disegno di legge venne presentato dal Ministro della Pubblica istruzione nel dicembre 1906: la discussione si interruppe per la fine della Legislatura, ma Rava ripresentò nella nuova il suo disegno di legge ed ebbe l’appoggio di un vasto movimento di cultura in tante parti d’Italia che vide il sostegno anche di Benedetto Croce. Alla legge del 1909 il Senato della Repubblica ha dedicato nel 2003 un ampio volume (il Mulino editore) curato da Roberto Balzani che ne ha ben analizzato le sue sensibilità culturali e sociali e le capacità non comuni di realizzazione.
Al nome di Rava rimangono pure legate numerose iniziative di particolare tutela di beni culturali ravennati: emblematica fu nel 1896 la sua istanza, condivisa anche da Carducci e Pier Desiderio Pisolini, per la migliore conservazione dei monumenti ravennati che portò anche all’istituzione della “Speciale Soprintendenza ai Monumenti di Ravenna” diretta da Corrado Ricci che Rava nominò poi, nel 1906, Direttore generale per le Antichità e Belle Arti dell’allora Ministero della Pubblica Istruzione.
Così fu merito di Rava anche l’acquisto da parte dello Stato, nel 1916, della Casa Traversari, uno degli edifici più antichi della città. Così si deve principalmente a Rava l’acquisizione dei Chiostri danteschi alla Cassa di Risparmio di Ravenna, di cui auspicò anche l’utilizzazione per museo dantesco.
L’ampissima biblioteca di Luigi Rava fu donata dalla famiglia alla città.

Speciale centenario della Legge Rava e Beni ambientali - pag. 8 [2005 - N.23]

Le attività di restauro e conservazione sono operazioni di “tutela, rimozione di pericoli, assicurazione di condizioni favorevoli” per l’opera d’arte, come già sosteneva il grande teorico del restauro Cesare Brandi

Nadia Ceroni - Conservatore del Museo d'Arte della città di Ravenna

Che ogni intervento di restauro debba essere considerato un’azione conservativa con carattere di eccezionalità è un’opinione condivisa da tutti coloro che si occupano di gestione delle raccolte museali e pianificazione delle loro necessità. L’orientamento odierno, condiviso a livello internazionale, va nella direzione della conservazione preventiva, la nuova disciplina che raggruppa tutti gli interventi che devono essere intrapresi per migliorare lo stato di conservazione delle collezioni museali, diminuendo la necessità di interventi diretti sugli oggetti e prolungando l’efficacia di precedenti trattamenti di restauro.
Pur condividendo questa metodologia ed auspicando che dalla sua applicazione possa svilupparsi una consapevole programmazione basata su azioni di piccola entità e basso costo - evitando interventi di restauro per lo più molto costosi e comunque sempre traumatici nei confronti dei beni culturali su cui si eseguono - vorrei prendere in considerazione alcuni aspetti particolari del restauro, in quanto possibile strumento di comunicazione e sensibilizzazione del pubblico ai problemi legati alla conservazione del patrimonio culturale e occasione di condivisione delle problematiche museali con altri partners, pubblici e privati, per il loro superamento o miglioramento.
A questo proposito, in più occasioni la Pinacoteca del Museo d’Arte della città ha dato visibilità a numerosi interventi di restauro, con l’intento di comunicare all’esterno la propria vocazione istituzionale e di contribuire alla conoscenza e alla valorizzazione del patrimonio artistico cittadino.
Nel 2001, ad esempio, la mostra Dare un volto all’Innominato: misteri, scoperte, curiosità dall’arte restaurata è stata l’occasione per restaurare e successivamente esporre al pubblico numerose opere di proprietà comunale, depositate presso uffici pubblici. In quel caso gli interventi di restauro hanno costituito anche uno straordinario momento di approfondimento per la conoscenza delle opere e dei loro autori: nel laboratorio del restauratore, infatti, numeri, cifre, scritte – rimasti nascosti fino al momento del distacco delle opere dalle pareti che le sostenevano – sono ricomparsi sul retro delle cornici o sulle superfici pittoriche, contribuendo a completare la raccolta della documentazione, fondamentale per ricostruire la storia dei dipinti e dei loro artisti.
Di tutto questo ha voluto dar conto la suddetta esposizione, dedicata al pubblico eterogeneo dei non addetti ai lavori, al mondo della scuola, ai visitatori locali che hanno potuto riappropriarsi visivamente e culturalmente di un patrimonio artistico appartenente alla comunità, rimasto per lungo tempo scarsamente valorizzato.
Recentemente altre due importanti opere – Luca Longhi, La Madonna in trono con il Bambino fra i Santi Benedetto, Paolo, Apollinare e Barbara e Nicolò Rondinelli, Madonna col Bambino, Sant’Alberto e San Sebastiano - sono state riesposte in Pinacoteca dopo il loro restauro, documentato in apposite pubblicazioni, distribuite gratuitamente ai visitatori del museo, che hanno potuto conoscere le fasi operative dell’intervento e contemporaneamente acquisire notizie curiose, relative ai “pentimenti” dell’artista e al recupero di zone originali che si ritenevano perdute.
Nel piano di gestione delle proprie collezioni, prendere atto delle necessità conservative delle singole opere – tramite l’analisi e la quantificazione numerico-economica degli interventi di restauro che sono stati eseguiti nel corso degli anni - può significare anche prendere coscienza della loro frequente vulnerabilità al deterioramento e danneggiamento.
Ecco allora che un ragionamento sulle misure preventive da avviare, onde evitare quelle condizioni che possono ulteriormente favorirne il degrado, assume un’importanza fondamentale anche se di lunga e difficile soluzione.
Già nel 1989, grazie all’utilizzo di termoigrografi – che avevano registrato variazioni allarmanti di Temperatura e Umidità Relativa nella zona della Pinacoteca denominata “cellette” – si provvide all’installazione di numerose tavole di piccolo formato all’interno di climabox, nei quali la stabilizzazione dell’umidità veniva garantita dalla presenza di gel di silice. Si trattò di un intervento di conservazione preventiva che permise di salvaguardare le opere anche da eventuali atti vandalici, furti, agenti inquinanti e depositi di polveri.
In anni più recenti i termoigrografi sono stati sostituiti da strumentazioni elettroniche più sofisticate, in grado di fornire in tempo reale l’andamento e le variazioni delle condizioni ambientali, grazie all’adesione del Museo al progetto pilota MUSA, realizzato da IBC e CNR/ISAC. Si tratta di una rete intermuseale per la gestione a distanza della conservazione dei beni artistici che offre ai musei un concreto aiuto per la tutela del patrimonio culturale, contestualmente alle condizioni ambientali in cui esso viene a trovarsi.
Poiché il controllo del microclima ambientale e la sua ottimizzazione sono divenuti obiettivi prioritari, il Museo d’arte della città, in collaborazione con l’Ufficio Tecnico del Comune di Ravenna, hanno avviato le procedure necessarie all’affidamento di un incarico di progettazione destinato alla realizzazione di un impianto di condizionamento/raffrescamento che tenga conto dell’intero complesso della Loggetta Lombardesca.
In questi ultimi mesi, inoltre, grazie all’inserimento nel progetto Musa e alla sensibilità dimostrata nei confronti del tema della conservazione, un campione rappresentativo di opere esposte nella Pinacoteca di Ravenna sono state selezionate per lo studio sperimentale di un modello catalografico finalizzato alla conservazione del patrimonio artistico, avviato nel 2005 dall’Istituto regionale per i Beni Artistici, che verrà presentato al Salone di Ferrara-edizione 2006.
Nella Teoria del restauro di Cesare Brandi, di cui ricorre in questi giorni il centenario della nascita – (Siena, 8 aprile 1906) – al restauro preventivo si attribuiva il significato di “tutela, rimozione di pericoli, assicurazione di condizioni favorevoli” per l’opera d’arte. Questa definizione, che si avvicina alla moderna concezione degli interventi conservativi, dimostra l’attualità di un testo ancora fondamentale per quanti vogliano approfondire la conoscenza dei problemi e degli aspetti teorici del restauro.

Speciale restauri - pag. 8 [2006 - N.25]

Un'infrastruttura tecnologica in grado di gestire biblioteche, archivi e musei

Claudio Leombroni - Responsabile Servizio Reti, Risorse, Sistemi della Provincia di Ravenna

Nel novembre del 2004 la Giunta Provinciale approvò il progetto Camus. Progetti di una certa dimensione o di qualche ambizione sono identificati da un titolo accattivante; in questo caso il cognome dello scrittore francese sta per Cooperazione e Automazione per i MUSei. Il progetto ha tre obiettivi principali: la realizzazione di un ambiente tecnologico in grado di gestire l’automazione delle attività museali; la costruzione di un’infrastruttura capace di stimolare e supportare relazioni cooperative in analogia con l’esperienza della rete bibliotecaria romagnola; la valorizzazione degli istituti attraverso le tecnologie più innovative.
Il progetto si inserisce nel quadro di riferimento disegnato nel documento Un dominio cooperativo della cultura in Emilia-Romagna, elaborato da un gruppo di lavoro al quale ha partecipato anche la Provincia di Ravenna e recepito nel Piano Telematico Regionale 2004, il primo contenente investimenti per la cultura. Tale documento ha l’obiettivo di definire interventi, infrastrutture e ruoli a livello regionale e locale per la costruzione cooperativa di un sistema integrato della cultura, che implica l’inserimento nell’agenda degli Enti locali della cosiddetta convergenza fra archivi, biblioteche e musei.
Porre la convergenza al centro delle politiche degli Enti locali implica alcune importanti conseguenze, sia di ordine concettuale sia di ordine operativo. Innanzitutto le istituzioni culturali o le istituzioni coinvolte nella conservazione della memoria (locale o nazionale) possono ora essere considerate articolazioni di un’unica infrastruttura con ampie aree di intersezione e di sovrapposizione. Inoltre le richieste dell’utente a questa infrastruttura, nella sua generalità, possono essere descritte in termini di informazione, piuttosto che di libri, oggetti museali o carte d’archivio. In altre parole la richiesta dell’utente, complice le aspettative indotte dalle nuove tecnologie, può riguardare contenuti eterogenei e trasversali: un oggetto museale, la relativa bibliografia e la relativa documentazione d’archivio. Ciò che prima era inevitabilmente distinto o fruibile separatamente e successivamente oggi può essere potenzialmente fruito simultaneamente e in modo integrato.
In ambito locale la convergenza rappresenta concettualmente e operativamente un modo di rappresentare e gestire la memoria locale, di costruire il ‘sistema cultura’ anche per la valorizzazione e il marketing del territorio. Da questo punti di vista gli Enti locali necessitano di strumenti per gestire in modo integrato gli oggetti tradizionalmente afferenti al sistema cultura. D’altra parte le tecnologie attualmente disponibili consentono di sostenere la convergenza dell’intero spazio occupato dagli istituti culturali e di gestire secondo un approccio olistico l’intera catena distributiva che governa l’accesso all’informazione e alla conoscenza in una determinata area territoriale.
Coerentemente con questo approccio la Provincia realizzerà nei prossimi anni un’infrastruttura tecnologica in grado di gestire, oltre alle biblioteche come ora avviene, anche archivi e musei. In questa prospettiva si è richiesto alla Regione e all’IBC la realizzazione di applicativi in grado di gestire l’inventariazione degli archivi storici o la catalogazione degli oggetti museali e le relazioni possibili fra i vari domini di interesse. Un primo esempio è l’applicativo Exhbits3D, che oltre a porre a disposizione degli operatori museali alcuni semplici strumenti per la creazione di ambienti tridimensionali, reali come la riproduzione di sale espositive con un notevole grado di precisione, o immaginari come spazi espositivi virtuali dedicati a giovani autori, a percorsi museali ecc., consentirà, nella versione più recente, di collegarsi in modo trasparente a basi dati catalografiche o a basi dati di altri domini (biblioteche o archivi), di recuperare le informazioni desiderate e di associarle agli oggetti digitalizzati.
L’idea di valorizzare il nostro territorio sfruttando in modo integrato le risorse e gli ‘oggetti’ degli istituti culturali non è quindi impossibile e il progetto Camus metterà a disposizione un ambiente tecnologico adeguato e capace di contribuire alla definizione di un vero e proprio distretto della conoscenza. Le tecnologie informatiche, tuttavia, sono solo uno strumento. Non sostituiscono l’intelligenza degli operatori e la loro capacità di cooperare. Soprattutto non possono fare a meno dei necessari adeguamenti organizzativi e ‘culturali’.

Speciale musei virtuali - pag. 8 [2006 - N.26]

La catalogazione statale: elementi per un’analisi territoriale

Elena Plances; Giulio Stumpo - ICCD, Responsabile Osservatorio sulla catalogazione; Economista della cultura e collaboratore presso il Mibac

L’Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione (ICCD) cura per il Ministero per i Beni e le Attività culturali, unitamente alle regioni, la definizione delle metodologie e degli standard nazionali che regolano la catalogazione e la documentazione dei beni archeologici, architettonici, storici-artistici ed etnoantropologici finalizzata alla crescita del Sistema Informativo Generale del Catalogo (SIGEC). Il SIGEC si articola in quattro “sottosistemi”: alfanumerico, iconografico, cartografico, utente. I primi tre, detti “operazionali”, gestiscono il dato, l’ultimo lo rende disponibile; tutti e quattro contengono componenti finalizzate alla tutela della sicurezza del dato, la normativa catalografica e sistemi che consentono lo scambio dei dati. I sistemi regionali integrano, in ambito locale, gli archivi catalografici e aderiscono a modalità di scambio con il Sistema informativo del catalogo generale, di cui costituiscono una parte integrante. I contenuti digitali sistematicamente raccolti sono resi accessibili anche dal costituendo sito del Portale della Cultura italiana.
L’Accordo Stato-Regioni per la catalogazione rappresenta la base su cui si definisce la collaborazione tra le distinte Istituzioni nel comune riconoscimento che “la catalogazione del patrimonio culturale costituisce un’esigenza prioritaria cui occorre provvedere per l’intero territorio nazionale con criteri metodologici unitari e attraverso programmi coordinati, riferiti sia alle attività da svolgere che alle risorse necessarie e che a tal fine il Ministero per i beni e le attività culturali, nelle sue articolazioni centrali e periferiche, le regioni e le autonomie locali attuano forme permanenti di cooperazione strutturale e funzionale”.
A fronte della forte regionalizzazione delle attività di raccolta sistematica dei dati catalografici, che già il D.lgs. 112/98 ha determinato, la standardizzazione degli strumenti e la definizione dei processi, la condivisione delle modalità e la precisa individuazione delle specifiche finalità degli enti cooperanti si costituiscono come presupposti per la formulazione di specifiche intese territoriali e protocolli di indirizzo per l’azione ordinaria delle istituzioni che realizzano la conoscenza, la tutela e la gestione del patrimonio culturale.
Oltre agli enti amministrativi territoriali, la CEI e le Diocesi seppure con finalità proprie, contribuiscono alla crescita del Catalogo generale del patrimonio nazionale, in base a specifiche intese con il MiBAC relative alla tutela dei Beni Culturali di interesse religioso appartenenti a Enti e Istituzioni ecclesiastiche. La Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI), inoltre, ha sottoscritto con il MiBAC e l’ICCD un protocollo grazie al quale gli strumenti scientifici e i beni naturalistici sono entrati a far parte del “catalogo nazionale” attraverso anche l’elaborazione congiunta delle normative e degli standard nazionali relativi ai beni connessi alla cultura scientifica e tecnologica. L’intesa, accessibile dal sito www.iccd.beniculturali.it, ha consentito anche di realizzare un corso di formazione a distanza sul SIGEC; il programma si sta arricchendo di ulteriori moduli sulla catalogazione informatizzata secondo gli standard relativi alle distinte tipologie di beni.
La piattaforma normativa univoca per la catalogazione dei beni culturali è costituita dalle schede di catalogo, dagli authority files e dalle schede per le entità multimediali:
- le schede di catalogo sono modelli descrittivi che raccolgono in modo organizzato le informazioni sui beni, secondo un ‘percorso’ conoscitivo che guida il catalogatore, controlla e codifica l’acquisizione dei dati secondo precisi criteri. L’ICCD ha emanato modelli diversi in relazione alle diverse tipologie di beni;
- gli authority files sono archivi controllati che riguardano ‘entità’ (autori, bibliografia ecc.) in relazione con i beni culturali; le informazioni su tali entità vengono registrate in appositi modelli (schede di authority file), che presentano struttura e regole di compilazione analoghe a quelle delle schede di catalogo. Gli authority files costituiscono delle banche-dati autoconsistenti (banca-dati autori, bibliografia ecc.), parallele e allo stesso tempo interrelate con quella principale che riguarda il patrimonio culturale;
- le schede per le entità multimediali sono modelli per la descrizione e la gestione delle informazioni che riguardano i diversi tipi di documenti (fotografie, disegni tecnici, audio, video, fonti archivistiche ecc.) che corredano le schede di catalogo per completare e arricchire le conoscenze sui beni culturali. Presentano struttura e regole di compilazione analoghe a quelle delle schede di catalogo.
Le normative per la catalogazione emanate dall’ICCD, consultabili nella sezione Standard di catalogazione del sito ICCD curata da M. Letizia Mancinelli, hanno subito aggiornamenti e modifiche nel corso del tempo, per quanto riguarda sia la struttura dei dati (cioè il tracciato delle schede) che le regole di compilazione. L’attuale quadro programmatico della catalogazione statale privilegia gli obiettivi di inventariazione speditiva del patrimonio ancora non indagato; di incremento della catalogazione di beni immobili e paesaggistici per procedere alla georeferenziazione del bene e consentirne l’individuazione precisa attraverso l’analisi peculiare e la raccolta sistematica di tutti i dati che connettono il bene con altre tipologie di beni e con il territorio di riferimento. Promuove inoltre la sperimentazione delle nuove normative catalografiche.
L’ICCD ha svolto fin dalla sua costituzione nel 1975 (cfr. DPR 3 dicembre 1975, n. 805) attività di monitoraggio in funzione del coordinamento tecnico delle attività di catalogazione; l’Osservatorio viene istituito nel 2002 come struttura di supporto alle attività della Commissione tecnica paritetica nazionale Stato-Regioni, costituita in attuazione del decreto ministeriale 26 ottobre 2001, intendendo così favorire l’osservazione sull’andamento della catalogazione su scala nazionale per l’ottimizzazione delle risorse attribuite al settore e la maggiore circolazione delle informazioni. Grazie al sistema di rilevamento dei dati on line denominato INSPE (INdagine sui Sistemi PEriferici), con il contributo delle Soprintendenze, si sta incrementando una banca dati consultabile da tutti gli enti registrati. Oltre a raccogliere in maniera articolata le varie fasi del processo catalografico (proposte progettuali – progetti esecutivi – rendicontazione) lo strumento è dotato di una sezione dedicata al conteggio dello stock di schede di catalogo presenti sul territorio nazionale e di un questionario relativo alla strumentazione in dotazione. Il sistema informativo consente di indagare in maniera articolata il processo catalografico, valutando e classificando le attività, relazionandole ai prodotti e ai costi, fornendo una “risoluzione territoriale” che può arrivare fino all’edificio contenitore dei beni.
Nella fase attuale INSPE analizza l’ambito della catalogazione statale; è in corso un’iniziativa per far acquisire all’Osservatorio nazionale dati provenienti da altri enti catalogatori tramite l’adesione diretta alla piattaforma INSPE o la raccolta dei dati, fuori sistema, secondo un tracciato omologato che consenta, comunque, l’analisi complessiva della catalogazione nazionale, obiettivo che rimane prevalente. Il sistema rende disponibili agli utenti registrati statistiche e report consultabili in tempo reale; l’Osservatorio cura, inoltre, la pubblicazione di statistiche e approfondimenti tematici sul sito istituzionale e l’edizione di rapporti a stampa. In funzione delle attuali strategie del Ministero l’osservazione è svolta essenzialmente su tre parametri:
1. la crescita del numero di beni catalogati sul territorio;
2. l’allineamento alle normative e agli standard ICCD per i fini di integrazione dei dati comunque rilevati dagli enti catalogatori;
3. il livello di informatizzazione del catalogato.
Si presentano di seguito brevi osservazioni riguardanti dati complessivi sulle sei Soprintendenze che presidiano il territorio emiliano romagnolo, semplici descrizioni del dato statistico trattato esclusivamente come spunto esemplificativo delle attività svolte dall’Osservatorio. I grafici riscontrano la distribuzione delle schede sui tre settori disciplinari e rilevano la maggiore incidenza delle schede storiche e artistiche e un buon allineamento agli standard ICCD di catalogazione informatizzata. La catalogazione di beni mobili risulta prevalente per fattori di tipo economico – catalogare un oggetto d’arte (dipinto, fotografia ecc.) risulta meno oneroso rispetto alla catalogazione di un edificio architettonico, o di un centro storico – ma anche di tipo metodologico: la scheda OA (oggetto d’arte) è sicuramente più consolidata rispetto alle altre tipologie di scheda. I beni mobili, quelli dislocati sul territorio piuttosto che le collezioni museali, hanno avuto la priorità per ovvi motivi di tutela e di salvaguardia.
L’alta percentuale di schede cartacee – 62,8% a fronte di un 36,7 % di informatizzato – è un dato in forte evoluzione e destinato rapidamente a capovolgersi in considerazione della piena attuazione di progetti nazionali che stanno trasformando in digitale il catalogato cartaceo, come il progetto Art Past e le iniziative per le schede Architettoniche e Archeologiche.

Speciale catalogazione - pag. 8 [2006 - N.27]

I luoghi della Trafila garibaldina presentano una serie infinita di reliquie generate da ricostruzioni a posteriori e da leggende locali.

Giuseppe Masetti - Direttore del Centro Culturale Le Cappuccine di Bagnacavallo

La dichiarazione dell'International Council of Museum (ICOM) di Seoul 2004 nel definire i campi specifici di ricerca prevede come novità, rispetto alla precedente stesura di Buenos Aires 1992, quella di estendere le competenze del museo anche alle testimonianze immateriali dell'umanità e del suo ambiente. Un concetto ancora difficile da applicare esattamente ma forse rappresentabile meglio in circostanze come questa, del bicentenario garibaldino, in cui la Romagna, ed il territorio ravennate ancor di più, superano la media nazionale per segni di memoria, citazioni e tributo d'onori.


I momenti ed i luoghi della Trafila garibaldina, tra le Valli di Comacchio, le pinete ravennati ed i borghi collinari, sino al confine toscano, rappresentano una sorta di "museo diffuso" che supera i termini contingenti del passaggio del Generale, ed annovera una serie infinita di reliquie generate da ricostruzioni a posteriori e da leggende locali. Entrambi questi fenomeni si inseriscono bene nel culto del Risorgimento e nelle sue fortunate rielaborazioni, passate indenni attraverso tutte le stagioni della storia nazionale.

Gli eventi del 1849 hanno fatto scrivere a George Macaulay Trevelyan nel 1909 che "nella Romagna il patriottismo dei contadini era saldo come quello delle popolazioni urbane dell'Umbria, e da quel momento in poi la vita di Garibaldi fu passata di mano in mano con devozione religiosa, da un pover'uomo a un altro, fino a che egli per opera loro si trovò fuori dalla regione dove si dava una caccia più accanita che altrove".

L'esito positivo della Trafila diventava in qualche modo, nella mentalità popolare romagnola, elemento di compensazione al mancato successo della Repubblica Romana. Il nascondimento dell'Eroe è certamente uno dei pilastri della cultura politica di questo territorio che nell'adesione popolare, nell'abilità dei mestieri irregolari (barcaioli, bracconieri e pinaroli) e nella complicità dei luoghi trova i motivi di un fronte comune contro lo straniero occupante: un mito che avrebbe animato, anche un secolo dopo, il movimento resistenziale dei Garibaldini di Bulow.

Un tempo si sarebbe detto genius loci, ma oggi forse è più opportuno parlare di contesto ambientale favorevole, che ha lasciato numerose tracce di reperti e di miti, di cultura materiale ed immateriale, sospese intorno alla presenza del Garibaldi in fuga e del Garibaldi che torna in Romagna dieci anni dopo a raccogliere volontari per la sua impresa.
Il mito rimane sostanzialmente legato alla Trafila, che diventò orgoglioso testo teatrale nell'opera di Massimo Drusi, oppure a piccoli episodi come quello descritto da Olindo Guerrini nel 1907 di un Garibaldi che, tornato a Sant'Alberto nel 1859 per raccogliere i resti mortali di Anita, si alza dal pranzo ufficiale, preparato in suo onore, per andare ad abbracciare il medico del paese, colpito da orribile erisipela, ma disperato al pensiero di morire senza poter stringere la mano dell'Eroe.

Sono conseguenze di quel mito la devozione, quasi religiosa, con la quale vengono conservati presso le nostre residenze municipali alcuni piccoli cimeli garibaldini, come una camicia rossa in Comune a Conselice, oppure il conto del ristorante a Russi, dove aveva pranzato il Generale; testimonianze passate attraverso raccolte civiche e private, ed infine ai numerosi Musei del Risorgimento.

Oltre alla intitolazione di strade, piazze e busti diffusa in tutta Italia, ci sono in Romagna 118 epigrafi garibaldine scolpite sul marmo, censite accuratamente da Adler Raffaelli nel 1986, disseminate sui 96 Comuni delle tre province. Ben 58 di queste segnalano il passaggio o la presenza diretta dell'Eroe, mentre le altre 60 sono omaggi a garibaldini o riconoscimenti all'epopea risorgimentale; in tutto sono comunque più numerose della somma dei Comuni che le ospitano.

Al momento della sua morte ogni istante trascorso anni prima dal Generale in Romagna venne riscontrato con un'incisione marmorea: le case che l'ospitarono o i balconi da cui si affacciò divennero ben presto il sostegno ad una leggenda popolare che si autoalimentava nel tempo. Così apprendiamo dal marmo che il giorno 22 settembre 1859 Garibaldi fu a Massa Lombarda, poi a Lugo, dove affacciatosi sul retro della Rocca, parlò:

contro le insidie diplomatiche
e con in cuore i fatti d'Italia
incitò il popolo a libertà
suscitando una schiera di 600 volontari
.

Il giorno successivo fu di nuovo a Ravenna, a Mandriole e sostò a Bagnacavallo, ove sarebbe tornato anche nel marzo del 1860 per arringare il popolo dal balcone del Palazzo Comunale.

Ma è dai nostri archivi comunali più completi che emergono tutti i segni del lutto pubblico che attraversò il Paese alla notizia della sua morte, avvenuta a Caprera il 2 giugno 1882. Nel giro di pochi giorni partirono da Ravenna 4 telegrammi inviati ai Sindaci di tutti i Comuni. Nel pomeriggio del 3 giugno il Sottoprefetto Caldella scriveva: "Ordine S.E. Ministro Istruzione Pubblica prego disporre immediata chiusura scuole oggi segno di lutto morte illustre Generale Garibaldi seguita iersera ore otto". E il giorno successivo " S.E. Ministro Presidente Consiglio avvisa che festa Statuto sarà differita al 18 giugno".
Il 5 giugno "S.E. Ministro Istruzione Pubblica ordina lezioni scuole si riprendano martedì". Infine il 6 giugno "Funebri generale Garibaldi giovedì 8 corr.te. Prego dirmi subito numero persone che in rappresentanza corpi morali intendessero recarsi a Caprera per assegnare loro posti piroscafo che partirà domani 6 pom. da Civitavecchia".

Per il rinvio della Festa dello Statuto e la presenza di rappresentanti comunali alle esequie di Caprera si conservano presso l'Archivio Storico di Bagnacavallo, oltre che i telegrammi dell'epoca, anche i manifesti a stampa, come pure dell'immediata costituzione, fin dal 10 giugno 1882, di un Comitato Esecutivo per l'erezione di una "lapide monumentale" ad iniziativa della locale Società dei Volontari Reduci dalla Patrie Battaglie.
Il 1° luglio di quello stesso anno il Consiglio Comunale votò all'unanimità per le spese di missione dei rappresentanti inviati al funerale, per partecipare alle spese di costruzione della tomba a Caprera e per stanziare alcuni sussidi a favore di scuole ed ospizi, in memoria dell'Eroe.

Se l'ispirazione democratica era alla base di tante iniziative, concluse spesso con la deposizione di una lapide, nel 1882 anche la larga adesione pubblica ai funerali di Garibaldi registra ormai un segno dei tempi, decisamente mutati rispetto al decennio precedente o alla scelta dell'esilio. Una grave crisi economica stava attraversando il Paese ed a pochi mesi dalla sepoltura del Generale una nuova legge elettorale avrebbe triplicato a Ravenna la popolazione degli aventi diritto di voto. In questo collegio, nelle elezioni dell'ottobre 1882, sarebbe stato eletto Andrea Costa, primo socialista italiano ad entrare in Parlamento: la voce ribelle della Romagna passava dalle piazze alle Aule e il mito del leader popolare, dopo Garibaldi, trovava un nuovo testimone a cui affidare la proprie aspettative di emancipazione e di rappresentanza sociale. Ma questa non era più storia per i musei.


Speciale Epopea Garibaldina - pag. 8 [2007 - N.28]

Che adottino il rigore dello storico, l'approccio dell'archeologo o la filosofia del ricercatore/cacciatore, i veri collezionisti hanno in comune una qualità particolare: la forza dei loro desideri.

Alba Trombini - Docente di Educazione museale

Sicurezza, varietà, importanza/significato, connessione/amore, crescita e contributo. Se prendiamo in considerazione le conclusioni elaborate dal Robbins Research Institute (centro di ricerca statunitense che studia comportamenti, credenze e motivazioni dell'uomo contemporaneo) questi sono i sei bisogni primari che condividono tutti gli esseri umani, non importa a quale latitudine vivano e di quali mezzi dispongano. Ciascuno di noi - dicono gli esperti - cerca di soddisfare questa "sequenza" esatta di desideri, con una varietà infinita di soluzioni condizionate in larga misura dal contesto in cui si vive e dalla propria personalità/storia personale.
Se una situazione, un'azione, una persona, un luogo o qualsiasi altra cosa - materiale o immateriale - soddisfa almeno tre di questi bisogni, in breve tempo creerà una forma più o meno duratura e potente di dipendenza.

Si tratta di una lettura particolare delle motivazioni e dei gesti degli esseri umani, figlia di una visione prettamente occidentale e pragmatica dell'esistenza, ma ho avuto modo negli ultimi anni di verificarne la plausibilità in differenti "situazioni museali", negli studi sulla psicologia della fruizione e della relazione educativa, nelle ricerche sulle motivazioni ad apprendere e credo che, a qualche livello, possa aiutarci anche ad analizzare e introdurre il tema di questo Speciale Collezionismo da una prospettiva inusuale.

Da Cesare al Cardinale Mazarino, dai Gonzaga a Panini passando per Mazzanti, un appassionato signore che in venti anni ha raccolto quasi ventimila biglietti d'ingresso a musei e mostre da 124 paesi diversi, per comprenderne l'evoluzione in termini di stile grafico, di politiche di accesso. Cosa spinge una persona a cercare, a volte per tutta la vita e con grande dispendio di energie e risorse, a radunare nello spazio e nel tempo quantità più o meno vaste e sfumature infinite di ogni cosa possibile, dal semplice oggetto d'uso quotidiano a opere della natura o capolavori del genio umano? Attività compensativa, efficace strumento per il controllo della realtà esterna o per l'affermazione sociale, conferma di sé: queste sono solo alcune delle tante e diverse interpretazioni date nel tempo dalla letteratura, dal teatro, dal cinema, dalla psicoanalisi, dalla prospettiva antropologica.

Analizziamo ora le voci che compongono la lista di questi bisogni primari e vediamo se può aiutarci a capire qualcosa di più o di diverso non tanto e non solo sulle motivazioni profonde e meno indagate del collezionista, quanto sulla natura intrinseca e sull'essenza stessa dell'atto del collezionare.

Sicurezza, il primo gradino. Tutti noi abbiamo bisogno di sentirci al sicuro, nella sfera privata come in quella pubblica, dal punto di vista fisico, emotivo, affettivo, professionale. A volte questa necessità colora oltre misura la nostra vita trasformandola in prigione; in situazioni più equilibrate invece fornisce il nutrimento utile per affrontare il mondo e le sue sfide con determinazione e passione. Portare a sistema un pensiero dando vita a una collezione, affinare e sviscerare un'idea implementando a dismisura un corpus iniziale a volte nato per caso, contribuire alla ricerca e allo studio dell'uomo sull'uomo, sentirsi parte di una storia nella Storia: tutto questo produce sicurezza in quantità in una società che ne concede, di suo, al massimo poche gocce a persona. Basti pensare alla sensazione fisica ed emotiva che può dare l'idea di dominare un pezzetto di mondo attraverso la concretezza di un possesso materiale, affettivo e intellettuale. O alla sicurezza che porta con sé la completezza, vera o percepita come tale, di una raccolta in continua espansione e sempre più esauriente, o ancora l'esaltazione di sapere di essere in un cammino di approfondimento che non ha fine.

Varietà, il secondo passo. Paradossalmente per quanta sicurezza e stabilità ci serva per vivere bene, di altrettanta varietà, incertezza o precarietà abbiamo bisogno per progredire nel nostro cammino, per accogliere nuove prospettive, per crescere e non fossilizzarci in pensieri o azioni limitanti. L'arte del cercare e del trovare il pezzo mancante, il pezzo raro se non unico (quel pezzo che, da solo, può stravolgere e contemporaneamente confermare l'idea e la passione di una vita) o, al contrario, il ritrovamento inaspettato e fortuito di qualcosa di cui si ignorava l'esistenza con tutto ciò che si porta dietro in termini di ripensamento, di re-visione, di rielaborazione: da questo nascono gesti e sentimenti che soddisfano pienamente quel bisogno innato di stimolo e sorpresa - riflesso di un animo giovane - che ci accompagna lungo tutto il corso della vita fin dalla più tenera età.

Significato, il terzo livello. Con questo termine i ricercatori del centro di studi sopra citato si riferiscono a quel sentimento di importanza acquisita, riconosciuta in sé o in qualcosa all'esterno che accompagna molte delle nostre scelte e delle nostre azioni; si intende il valore dato a qualcosa o a qualcuno, la percezione di potere e prestigio che si accompagna al fare, avere o essere qualcosa di speciale e di unico. Tutto ciò che produce valore, importanza, autorevolezza o autorità, rarità e preziosità, unicità e specialità esaudisce in profondità il desiderio di significato nell'uomo: e, come per incanto, l'atto del collezionare riunisce e riassume in sé, nessuna esclusa, tutte queste doti.

Amore/connessione, il punto nodale. Nelle interviste che appaiono sulla stampa specializzata, nelle biografie e autobiografie che raccontano queste vite così particolari e affascinanti ed entrano nelle pieghe più nascoste della personalità di piccoli e grandi collezionisti di ogni tempo, nei quadri dipinti da scrittori e drammaturghi, registi e scienziati, fra le molteplici sfumature indagate emerge sempre e comunque un dato comune: l'intensità dell'amore per l'oggetto d'interesse. Un amore che si esprime attraverso gli stessi gesti, le stesse cure e attenzioni, gli stessi sussulti che sono destinati a persone in carne e ossa. Una connessione amorevole che dà vita, valore e dignità a cose, oggetti e situazioni che la gente comune non può comprendere, non avendo la stessa confidenza con lo strumento intellettuale della precisione e del perfezionismo specialistico e con l'intensità emotiva che distingue ogni autentico collezionista. Un amore che può prendere la forma di una relazione totalizzante, che porta alla sua massima espressione possibile quella adesione passionale che il grande filosofo Gilles Deleuze definiva come il più potente mezzo per l'apprendimento e la crescita di un essere umano.

Crescita e contributo: gli ultimi due bisogni, quelli più evoluti, maturi, legati a una maggiore conoscenza di sé e del mondo. Tutto ciò che è vivo in natura cresce e si espande; cerca nuove espressioni, infrange limiti, costruisce nuovi confini che verranno presto o tardi rimessi in discussione. Una collezione viva è per sua natura in continua evoluzione, in crescita permanente. E nella connessione simbiotica con il proprio artefice obbliga entrambi a crescere, ad accogliere nuovi elementi e - con essi - ad accettare il rischio e l'impegno di prendere in carico nuove prospettive, nuovi pensieri, nuovi modi di vedere la realtà precedente.

L'ultimo desiderio, quello che più appaga il nostro essere sociale: dare un contributo al mondo. Che sia conoscenza, bellezza, preziosità, saggezza, comprensione, unicità, poco importa il contenuto ai fini del soddisfacimento di questo bisogno così intimo e profondo. A un certo punto della nostra vita la condivisione del nostro "patrimonio" costruito nel tempo, fosse anche solo quello affettivo, diviene una priorità. Ed ecco allora le donazioni alle istituzioni pubbliche, le mostre auto-finanziate, la rinuncia a un possesso materiale esclusivo di un piccolo o grande patrimonio, il regalo alla collettività di una parte di sé, le aperture al pubblico di collezioni e raccolte fino a poco tempo prima custodite gelosamente e condivise in rare occasioni con pochissime persone. Il senso civico si radica bene in questo sentimento e si nutre dell'intensità di questo desiderio.

A conclusione di questa lettura insolita della natura del collezionismo sorge spontanea una domanda: non sarà in questa capacità di soddisfare pienamente tutti e sei i desideri primari che trae forza e potere la determinazione, la perseveranza e la passione che da sempre anima la vita di tutti i collezionisti del mondo?

Speciale collezionismo privato - pag. 8 [2007 - N.29]

Un percorso didattico al Museo Nazionale conduce alla scoperta di elementi paradisiaci per raggiungere la serenità.

Cetty Muscolino - Direttrice Museo Nazionale di Ravenna

Di tutte le ricerche che al Museo Nazionale si possono intraprendere mi sta particolarmente a cuore quella del Paradiso, perché i nostri tempi sono spesso oscuri e crimini e misfatti sono all'ordine del giorno. I giovani sognano evasioni in oasi incontaminate, mentre nelle play stations sbudellano nemici e squartano rivali. Guerre e inaudite violenze della natura flagellano popoli inermi; gli automobilisti talvolta non riconoscono i colori dei semafori...

C'è bisogno di pace e di silenzio, c'è bisogno di armonia e riconciliazione. Per questo sostare in un chiostro... ma sostare veramente facendo il silenzio dentro e dimenticando il frastuono che fuori preme... può diventare un momento felice e fertile. Uno di quei momenti che lasciano il segno.
Se poi c'è il sole e gli uccelli cinguettano va ancora meglio. Se il prato è sfolgorante del rosso delle bacche di tasso cadute sull'erba come grani di corallo... va ancora meglio. La vita incalza, le emozioni sono come un fiume impetuoso ma non ci concediamo il tempo di soffermarcisi. Credo che tutti vorremmo uno spazio più morbido e un tempo meno incalzante. Sentirci più spesso a nostro agio e meno inadeguati.

Il nostro viaggio sul pianeta è connotato da molte esperienze, più o meno gradevoli o significative, che si registrano e imprimono nella sfera emotiva forgiando il nostro carattere e determinando le scelte successive. Ma regolarmente affiorano gli interrogativi sui grandi perché della vita, quelli che ci accomunano tutti, a prescindere dalla cultura e dal ceto sociale, dal partito politico e da quella che solitamente chiamiamo fortuna o sfortuna. Perché si vive? Cosa stiamo cercando? Che significato hanno i nostri sogni e le nostre intuizioni? E le nostre fantasie? Cosa significa morire? Cosa c'è dopo la morte?
Ed ecco che la relazione fra noi e il mondo dell'arte può diventare vivificante e assolvere la funzione primaria dell'educazione, da e-ducere, nel senso di far germogliare i semi celati nel nostro intimo.

Durante le mie sperimentazioni nei musei ho visto bambini destarsi e aprirsi. Ho visto adulti trasformare il loro atteggiamento e superare i pregiudizi. Perché proprio l'opera d'arte racchiude in sé questo potere? Perché ci parla direttamente e ci stimola profondamente in maniera garbata e ci risveglia. L'opera d'arte può diventare un'opportunità. Il filo di Arianna che ci conduce con delicatezza dentro di noi e si svolge nei meandri della nostra interiorità. Quando scopriamo che noi siamo il labirinto, il Minotauro e lo stesso Teseo.

L'opera d'arte ci riporta i nostri sogni ed i desideri più profondi. Perché è sintesi di tecnologia e fantasia, di problemi e soluzioni, di desideri e vocazioni. La catalogazione delle opere d'arte, le campagne fotografiche e la diagnostica hanno contribuito al progresso conoscitivo, ma separare e dividere in categorie può far perdere il meglio della fioritura... l'opera va oltre e talvolta va incontrata liberamente.

C'è un momento dell'incontro con l'opera in cui bisogna solo respirare e lasciare libera la mente... allora succede che l'opera diventa una pista da seguire con freschezza. Non dobbiamo pensare che solo i poeti e gli artisti o pochi eletti possano intessere una relazione intima con l'arte. Un'opera d'arte racchiude molti universi e per ognuno di noi porta un dono speciale. L'arte è opera dell'uomo, ce lo racconta e ce lo rivela. È la sua storia, la sua memoria.

Come educatori a volte abbiamo preteso di dirigere troppo, imbrigliare troppo e forse talvolta, per sostenere le nostre idee, spegniamo quelle degli altri, soprattutto se bambini o persone timide ed educate. Dovremmo invece suggerire, indicare le strade. Il mattino non ha rancore. È intatto e vergine e noi possiamo scriverci la frase che più ci sta a cuore.

Paradiso non vuol dire solo cielo, terra, alberi. Possiamo guardarci attraverso le transenne traforate, sostare accanto agli acanti dei capitelli e rigenerarci in una verde terapia. Elisa, Emanuela, Federica, Ilaria e Paola vi aspettano qui al Museo per condividere con voi un po' di questo Paradiso.

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 8 [2007 - N.30]

Un consistente nucleo conservato al Museo Nazionale testimonia forme ed usi di questa particolare tipologia ceramica

Federica Cavani - Museo Nazionale di Ravenna


Un'importante sezione del Museo è riservata dal 1982 all'esposizione permanente di ceramiche che, acquisite in vario modo, sono state organizzate progressivamente in tre diversi settori: un primo nucleo, già appartenente alle raccolte classensi, di ceramiche collezionate dai monaci per valore estetico e valenza culturale; una seconda sezione dedicata alla ceramica locale; un terzo gruppo rappresentato dalla ceramica da farmacia.
Donazioni e acquisti hanno incrementato le raccolte del Museo subito dopo il suo passaggio dal Municipio di Ravenna allo Stato (1885) con pezzi singoli o piccoli gruppi che si trovavano presso collezioni locali e spesso di provenienza ravennate, come dimostrano alcune sigle di ospedali e monasteri cittadini presenti sulle ceramiche. Un consistente acquisto di ceramiche da farmacia risale ai primi anni del 1900: probabilmente comperate da un antiquario veneto provengono da una medesima farmacia e risalgono al XVIII secolo, riproducendo le classiche tipologie in uso nel nord Italia. Attualmente questo importante corredo ceramico si trova sugli scaffali di una farmacia settecentesca originariamente situata in via Mazzini a Ravenna e oggi esposta negli ambienti superiori del Museo Nazionale.
I vasi da farmacia costituiscono un capitolo importante nella storia della ceramica sia per la loro rilevanza quantitativa che per il loro uso specifico. Le farmacie, luoghi dedicati a laboriose preparazioni, alla conservazione e alla vendita, resero necessario l'uso di una grande quantità di recipienti con forma e funzioni diverse. Dal XIII secolo ci si rese conto che la ceramica era adatta a contenere medicamenti per la sua convenienza, igiene e aspetto decorativo. Inoltre la sua facilità di lavorazione ben si coniugava con la volontà di ottenere oggetti esteticamente validi e pratici: la forma del vaso permetteva un facile maneggiamento e la presenza di una carenatura superiore consentiva l'inserimento di una cordicella per fissare la copertura.
Verso la metà del Quattrocento si assiste ad uno sviluppo straordinario della ceramica da farmacia che si arricchisce di nuovi motivi ornamentali: palmette, grottesche, foglie, mitologie tratte dall'istoriato, stemmi e insegne di ospedali. Risale al 1400 anche la nascita della scritta, essa stessa decorazione, spesso realizzata dentro un cartiglio e indicante in maniera sintetica il contenuto del vaso. Sigle e stemmi compaiono sulle anse perché più visibili una volta collocati i vasi sugli scaffali.
Uno dei vasi da farmacia più noti fu l'albarello, emblema degli speziali nel Settecento. Di origine probabilmente orientale, il suo nome deriverebbe dall'arabo el barani, deve la sua forma ai recipienti di canna di bambù tagliata presso i nodi e chiusa, sopra e sotto, da membrane. All'interno di questo involucro naturale, realizzato poi in ceramica, venivano confezionati spezie e prodotti della flora esotica per il trasporto in Occidente. Confetture, unguenti ed elettuari, sostanze di media consistenza, e roob, succhi di frutta raddensati, erano infatti conservati negli albarelli, così come medicamenti solidi, pillole e confetti erano confezionati in albarelli di piccolo formato o in pillolieri.
Molti degli albarelli esposti nella sale del Museo Nazionale sono decorati con animali come il toro, gli uccelli, le serpi, le farfalle, oppure con grandi frutti, fiori e foglie, stemmi, sigle e iscrizioni latine. Alcuni oggetti, tra cui un albarello e un pilloliere, appartengono ad un servizio da farmacia realizzato per il monastero di Classe in Ravenna. Il pilloliere, con un'accentuata rete di craquelées, presenta oltre al nome del medicamento anche la data e la sigla di Classe coronata.
Albarelli e vasetti provengono dal corredo della farmacia dell'ospedale di Santa Maria delle Croci in Ravenna come si intuisce dalla rappresentazione di tre croci sopra un monte o su tre monticelli, così come alcune ceramiche, con stemma composto da una stella azzurra e dalla scritta "POMPOSIA", appartenevano all'abbazia di Pomposa. L'arredo di ceramiche di questa farmacia, un tempo vastissimo ed ora disperso, venne decorato con fiori, farfalle, uccelli esotici su un delicato smalto azzurro detto berettino. Numerose anche le ceramiche seicentesche e settecentesche, più austere nelle decorazioni, di provenienza romagnola e faentina.

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 8 [2008 - N.32]

" Prospettivo, architetto e pittore", ebbe grande successo tra i suoi contemporanei per le fantasiose decorazioni e le opere a monocromo

Nadia Ceroni - Conservatore MAR di Ravenna

Nato a Cattolica il 30 novembre 1626 da Marcantonio Baciocchi e Caterina Pronti, le notizie biografiche su questo artista, di cui ricorre il terzo centenario della morte - raccolte dallo storiografo e scrittore d'arte Lione Pascoli nelle Vite de' pittori, scultori ed architetti moderni (Roma, 1730-1736) - riportano un aneddoto secondo il quale, essendo stato condotto ancora fanciullo alla fiera di Senigallia, vedendo una bottega "tutta per entro piena di quadri" si fermò a contemplarli per ore, immemore del pranzo e dei genitori che lo cercavano.
La vocazione alla pittura portò il giovane Pronti a Bologna nella bottega del Guercino ove rimase per qualche anno a copiare "oltre l'opere sue, anche l'altre di non inferiori maestri". Dopo l'iniziale tirocinio, si trasferì a Rimini presso il convento dei padri di Sant'Agostino, ordine nel quale fece ingresso sollecitato da "tutti que' religiosi che gli stavano giornalmente attorno per fargli prendere l'abito". Al termine del noviziato, tornò a Bologna dal Guercino per completare la propria formazione artistica e imparando, pare da Girolamo Curti detto il Dentone, le regole per la spazialità illusionistica delle sue scenografie.
Verso il 1650 si stabilì a Ravenna nel convento di Sant'Agostino degli Eremitani con il nome di "padre Cesare da Ravenna" o di "Fra' Cesare Baiocchi"; morì il 22 ottobre 1708, ma della sua salma, tumulata nella chiesa di San Nicolò, attigua al convento, si è persa ogni traccia.
Proprio in questa chiesa profuse uno straordinario e prolungato impegno sia negli affreschi murali che nelle pale d'altare: soprattutto nella decorazione interna delle cappelle di Sant'Agostino e Santa Monica meritò gli elogi del celebre pittore Carlo Cignani che a sua volta, nel 1672, lasciò nella chiesa del monastero di Classe una grande tela con San Benedetto.
L'attività dell'artista si svolse prevalentemente a Ravenna - dove ricevette numerosi incarichi per pale d'altare, ritratti, affreschi decorativi e apparati scenici - ma sue opere si trovano anche a Forlì, Rimini, Cesena e in diverse località tra Romagna e Marche: una vasta produzione che sottolinea come l'arco della sua evoluzione stilistica proceda dai presupposti guercineschi delle opere giovanili agli esiti di compostezza accademica sotto l'influsso del Cignani, alla maggiore libertà inventiva delle decorazioni murali. Tele di grandi dimensioni sono conservate presso numerose chiese ed istituzioni pubbliche e private della città, tra cui il Duomo, la Chiesa dei Santi Giovanni e Paolo e quella di San Romualdo, il Museo Nazionale, il Seminario Arcivescovile, la Biblioteca Classense, la Cassa di Risparmio, la Pinacoteca del MAR. E nei dintorni si citano sue opere a Cervia nella chiesa di Sant'Antonio da Padova, a Savignano sul Rubicone nella chiesa di San Giuseppe, a Piangipane nella Palazza già dei Marchesi Spreti, a Russi nel Palazzo di San Giacomo già dei conti Rasponi.
Importanti saggi sulla figura del Pronti sono stati scritti negli ultimi decenni da Umberto Foschi, Luciana Martini, Giordano Viroli e Stefano Tumidei, con l'intento di documentare il cammino dell'artista, la sua vena fantastica e quel particolare gusto per il monocromo che caratterizza tanta parte della sua opera.

Personaggi - pag. 8 [2008 - N.33]

Abiti, gioielli, accessori di bellezza del mondo romano nelle collezioni del Museo Nazionale di Ravenna

Federica Cavani - Museo Nazionale di Ravenna

L'abito è sempre servito a riparare dal freddo E dagli sguardi altrui ma anche a trasmettere messaggi e stati d'animo, a segnare distanze e distinguere ruoli, a dimostrare appartenenze e aggregazioni, condizioni sociali e scelte di vita: percorrendo alcuni degli spazi espositivi del Museo Nazionale di Ravenna si possono osservare oggetti che parlano del costume, della cosmesi, dei profumi di donne e uomini dell'antica Roma.
La raccolta di stele funerarie esposta nel Primo Chiostro mostra una serie di ritratti che ci fornisce informazioni circa i costumi e le acconciature tra I e II secolo. Spiccati caratteri realistici compaiono nella stele dei Firmi e dei Latroni, dove un'anziana domina, con capelli ondulati ottenuti probabilmente facendo ricorso al calamistrum, un ferro incandescente, mostra un anello forse indossato grazie al valido aiuto delle ornatrices che sapientemente studiavano l'effetto d'insieme della loro padrona, pettinandola, truccandola e ingioiellandola. L'immagine lascia intuire che la donna stia indossando la tunica subucula, lunga sino ai piedi, con sopra una stola, ampia e drappeggiata, stretta in vita da una cintura e portata soprattutto dalle donne di ceto superiore. Un mantello, la palla, le lascia libera la spalla destra.
Sotto la tunica dobbiamo immaginare biancheria intima come la fascia pectoralis o mammillare, una specie di fascia per reggere il seno, come sembra suggerire un rilievo con scena di vestizione di V secolo esposto nella Sala dei reperti dal cosiddetto Palazzo di Teoderico. Qui una donna anziana seduta è intenta a cingere con una fascia una giovane seguendo probabilmente i consigli di Ovidio, che nell'Ars amatoria suggerisce che venga indossata da donne con seni piccoli. Ben conservato è il ritratto di Paccia Elpide, dall'acconciatura "a melone", di origine greca: i capelli sono divisi da una scriminatura centrale e raccolti all'indietro in ciocche ondulate e parallele che terminano in una serie di riccioli "a cavatappo" disposti in modo vezzoso vicino alle orecchie. Nella stele di Publio Longidieno, una liberta è ritratta avvolta nel ricinum, un mantello quadrato che copriva le spalle e il capo. Publio Longidieno, un faber navalis della flotta di Classe, indossa una corta tunica, l'abito maschile più comune, portato sia dai cittadini romani, sotto la toga, sia dai non cittadini.
Nel bassorilievo di Augusto la tunica è indossata da Claudio o Tiberio sotto una raffinata lorica, parzialmente coperta da un paludamentum, mantello simile alla clamide e riservato ai militari di grado più alto. Accanto al generale c'è un giovane avvolto nel solo himation, un capo di abbigliamento tipico dell'antica Grecia. Le cosiddette Salette dei reperti dagli scavi di Classe ospitano materiali per la massima parte provenienti da corredi funerari rinvenuti nella vasta zona che si estende da sud-est di Ravenna fino al sito di Classe.
Accanto a prodotti di oreficeria sono esposti interessanti contenitori per unguenti e profumi tra i quali un amphoriskos in vetro verde (IV-V sec.) di probabile importazione egiziana, un balsamario in vetro giallo a conchiglia e un vasetto di vetro blu soffiato entro stampo bivalve in forma di doppia testa, di probabile derivazione siriana o aquileiense (inizio II sec.). Un anello ritrovato presso la chiesa di San Severo a Classe, in ambra rossa trasparente, ritrae a tutto tondo, al posto del castone, un busto di donna. I capelli, alti sulla fronte, sono divisi al centro e legati in una crocchia sopra la nuca, nella tipica acconciatura di età flavia.
Dalla necropoli della Marabina proviene una bulla aurea decorata a granulazione con grappoli d'uva della fine del III secolo. Portata, secondo una tradizione ereditata dal mondo etrusco, dai fanciulli di classe elevata affinché "quando giocavano nudi, non venissero scambiati per degli schiavi e fatti oggetto di tentativi di seduzione", riporta una classica formula acclamatoria, V T F L, utere felix.
Questi sono solo alcuni dei tanti messaggi trasmessi dagli oggetti archeologici e da collezione esposti al Museo Nazionale di Ravenna, oggetti che testimoniano la storia più intima dell'uomo.

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 8 [2009 - N.34]

Lo studioso che diede grande impulso alla conoscenza dei mosaici antichi ravennati

Franco Gabici - Studioso di Storia locale

Giuseppe Bovini appartiene a quella schiera di studiosi che pur non avendo radici ravennati ha tuttavia instaurato con la città un solidissimo rapporto al punto da essere considerato un ravennate a tutti gli effetti.
Nato a Montalcino nel 1915, giunse a Ravenna nel 1950 come Ispettore presso la Soprintendenza ai Monumenti della Romagna e con l'incarico di Direttore del Museo Nazionale con il compito di riordinare il museo e in particolar modo di dare una nuova sistemazione ai chiostri di San Vitale. Il primo frutto del suo lavoro è una Guida del Museo Nazionale edita a cura della Azienda autonoma di soggiorno e turismo e successivamente ristampata dalle edizioni Pleion nel 1962. Attento studioso dei monumenti ravennati, Bovini pubblica su "Felix Ravenna" quattro articoli di argomenti ravennati e una monografia sul Mausoleo di Galla Placidia. Lo studioso polarizzò le sue attenzioni soprattutto sui mosaici ravennati promuovendo iniziative di grande livello volte a diffondere la conoscenza del nostro ricchissimo patrimonio artistico, ma soprattutto capì l'importanza del mosaico nell'economia artistica della città e proprio per non chiudere questo patrimonio unico al mondo entro le pareti delle basiliche, organizzò mostre itineranti di copie dei nostri mosaici non certo con finalità turistiche, ma per fare uscire Ravenna da una dimensione provinciale, restituendola a la sua antica dignità di capitale imperiale.
I suoi interessi per i mosaici di Ravenna risalgono al periodo del restauro di Sant'Apollinare Nuovo: in tale occasione, con la collaborazione del Gruppo dei Mosaicisti di Ravenna diretti da Giuseppe Salietti e Renato Signorini, Bovini potè raggiungere, come ha scritto Deichmann, "risultati del tutto nuovi e inaspettati circa i mosaici ravennati, in special modo riguardo alla loro tecnica". Grazie alla sua iniziativa ripresero i Corsi bizantini che dopo una quindicina di anni furono avviati con un progetto più ambizioso e di ben più ampio respiro: non più una serie di conferenze, ma veri e propri corsi accademici tenuti da studiosi italiani e stranieri e soprattutto rivolti ai giovani studiosi. I corsi, che secondo Deichmann avrebbero dovuto chiamarsi "boviniani", fecero di Ravenna "uno dei centri privilegiati degli studi internazionali di antichità tardoantiche e paleobiozantine, conferendo nel contempo all'antica capitale dell'impero d'Occidente il giusto posto che le compete nel mondo dei nostri studi".
Fra il 1955 e il 1965 Bovini dette vita al "Comitato per l'esplorazione archeologica di Classe", nato con lo scopo di presentare agli studiosi di tutto il mondo i risultati degli scavi avviati nella zona attorno all'antica basilica. Nel 1960 vinse il concorso per la direzione della Classense ma avendo vinto quasi contemporaneamente il concorso per la cattedra di Archeologia cristiana all'Università di Bologna preferì accettare quest'ultimo incarico. Nel 1963 Bovini fondò a Ravenna l'Istituto di antichità ravennati e paleo-bizantine con sede nella Casa Traversari e incorporato nella Facoltà di Lettere dell'Università di Bologna. Dopo la morte di monsignor Mesini assunse anche la direzione della rivista "Felix Ravenna". Di fondamentale importanza anche i suoi studi sulla cultura paleocristiana e in particolare dei sarcofagi paleocristiani. Giuseppe Bovini morì a Montalcino il 1 gennaio del 1975 e la città pianse la perdita di un uomo che coi suoi studi aveva dato "nuovi impulsi agli studi delle antichità ravennati e alla vita culturale di questa città" (Deichmann).

Personaggi - pag. 8 [2009 - N.36]

Il ricordo di una persona di straordinaria ricchezza interiore e artista finissimo

Franco Gàbici - Studioso di Storia locale

Fa tristezza pensare che sul lucido torchio di Giuseppe Maestri qualche ragnetto impertinente sta ora tessendo con pazienza la sua tela, come se fosse un leggero sipario che chiude una vita e una parentesi artistica. Giuseppe Maestri, infatti, ci ha lasciato da pochi mesi e la città ha perso una persona di una straordinaria ricchezza interiore e un artista finissimo. Nato a Sant'Alberto nel 1929 in una casa a ridosso dell'argine del fiume - dove suo padre Eugenio si guadagnava il pane come guardiano dell'idrovora - Giuseppe lascia poco più che ventenne il paese per trasferirsi a Vicenza e nella città del Palladio lavora in un'impresa di decoratori e di stuccatori. Ritornato in Romagna dopo cinque anni, si stabilisce a Ravenna dove apre una bottega artigiana di cornici e di antiquariato in via Baccarini all'interno della quale, nel 1965, darà vita insieme alla moglie Angela Tienghi, alla 'Bottega', che ben presto diventerà un punto di riferimento e un vero cenacolo di artisti e intellettuali.
E in questa 'bottega' Maestri ha maturato lentamente un suo percorso artistico che si dipana attraverso i colori e la fantasia. Le incisioni di Maestri hanno la suggestione del sogno, un sogno immerso nel blu sul quale si staglia sempre l'immagine di una città con tutto il suo fascino e la sua millenaria storia. Maestri riversa nella sua arte il suo spirito di bambino, che non significa ingenuità, ma rivalsa nei confronti di una realtà che non gli piace e che desidera renderla migliore attraverso la bellezza dei colori. Se la Morante scriveva che il mondo sarà salvato dai ragazzini, Giuseppe le risponde affermando che il mondo sarà salvato dalla gaiezza dei colori. 'I miei colori - era solito dire Maestri - sono una forma di protesta nei confronti di questo mondo troppo grigio e imbrigliato'.
Il critico Raffaele De Grada ha sintetizzato molto efficacemente l'artista, il suo travaglio e la sua onestà di artista: 'Maestri - scrive Grada - non ha mai amato l'improvvisazione e prima di esporre le sue incisioni ha impiegato anni e anni di preparazione raccogliendo ogni giorno dal reale anche ciò che non era visibile agli altri, riaffondando nelle memorie di infanzia e adolescenza, con una esperienza degli scavi di antiche cose preziose, con una cultura del passato che è andata via via allargandosi diventando materia vivente'.
L'arte di Maestri è un'arte sognata, spazio e tempo vengono mescolati per riunirsi in un particolarissimo cronotopo dove non stupisce vedere i pesci guizzare nel cielo o una città galleggiare sull'acqua.
Ma non si può ricordare Maestri senza fare un cenno alla sua passione per il teatro e la recitazione, alle quali si era dedicato in gioventù. Molti ricorderanno ancora il suo modo di leggere e interpretare gli autori dialettali, ma soprattutto i suoi compaesani illustri quali Olindo Guerrini e Francesco Talanti. Maestri, vera 'voce' di Guerrini, dava vita e calore a Pulinera e a Tugnazz facendoli rivivere nel presente. Maestri è stato anche un grande artista della recitazione. Sapeva passare dal tono ridanciano e irriverente al tragico e al drammatico come stavano a dimostrare le sue letture appassionate del Pentateuco del giurisprudente di Guerrini o i versi danteschi di Talanti.

Personaggi - pag. 8 [2010 - N.37]

Il generoso contributo offerto alla città di Faenza dal conte Luigi grazie alla sua grandezza intellettuale e al suo mecenatismo

Marcella Vitali - Presidente della Sezione "Italia Nostra" di Faenza

A quarantacinque anni dalla scomparsa, il ricordo del conte Luigi Zauli Naldi nella sua città è ben vivo e presente grazie all'eredità tangibile del suo amore per la cultura e del suo mecenatismo, coerente alla sua alta coscienza civica.
Appartenente ad una delle famiglie più antiche del patriziato faentino, fino dalla giovinezza si segnalava per l'interesse ai problemi artistici della città, dando generosamente il contributo della sua profonda cultura e sensibilità, distinguendosi per saggezza e moderazione. Mostrò tuttavia un temperamento battagliero nella vigilanza quotidiana per la difesa del patrimonio storico e artistico, tanto da promuovere la costituzione di una Sezione di "Italia Nostra" a Faenza; ma al tempo stesso offrì collaborazione e competenze accettando di far parte di Commissioni comunali e di Consigli Direttivi di vari Enti ed Associazioni.
Spirito critico, dotato di grande apertura culturale, i suoi interessi spaziavano dalle arti figurative alla ceramica, alla musica e alla cultura in genere, animato da curiosità e vivaci interessi. Dal 1919 al 1925 fu Conservatore della Pinacoteca, dedicandosi al suo riordino; al tempo stesso si segnalava per la costante collaborazione alla Biblioteca Comunale e a Gaetano Ballardini nella grandiosa opera della realizzazione del Museo delle Ceramiche, appoggiandolo anche nel dopoguerra nella difficile opera della ricostruzione.
All'attività e agli incarichi pubblici affiancò studi e ricerche soprattutto nell'ambito della pittura, si pensi ai contributi sulla natura morta (Carlo Magini, Nicola Levoli, Arcangelo Resani), ai saggi pubblicati su "Paragone", "Valbona", alle voci sul "Dizionario Biografico degli Italiani", infine agli articoli fondamentali sulla ceramica pubblicati fin dal 1924 su "Faenza".
Ma la grandezza intellettuale e morale del Conte Gigino, fine e appassionato collezionista, si è mostrata soprattutto con la destinazione alla città di una selezione di opere per la Pinacoteca; la biblioteca e gli archivi di famiglia per la Biblioteca Comunale; i libri di argomento artistico e il sostanzioso nucleo di ben 337 pezzi al Museo Internazionale delle Ceramiche.
In particolare la Pinacoteca Comunale di Faenza ebbe in dono 56 dipinti di varie epoche, dai moderni (Fattori, Abbati, Morandi, De Pisis) alle testimonianze dell'Ottocento faentino, oltre allo scelto gruppo di nature morte sei-settecentesche e due preziose tavolette di ambito tardogotico. Invece nella Biblioteca confluirono le raccolte bibliografiche e archivistiche della Famiglia Naldi e la biblioteca di famiglia di circa 7000 volumi, il cui fondo iniziale risale al Seicento ma che contiene anche incunaboli e cinquecentine, la raccolta faentina (alcune migliaia tra volumi e opuscoli rari), la biblioteca di letteratura italiana e straniera del fratello conte Dionigi, e il prezioso Archivio di famiglia con carte e notizie sia dei Naldi che di altre famiglie faentine.
Infine, alle molte ceramiche donate negli oltre vent'anni di Presidenza del Consiglio Residente del Museo Internazionale delle Ceramiche, con il lascito si aggiunsero numerose testimonianze di stile compendiario per il quale il conte Zauli Naldi aveva una particolare predilezione, oppure quegli esemplari di altri centri ceramici che mostrano l'influenza della maiolica di Faenza; a questo nucleo si aggiungeva un gruppo di maioliche settecentesche provenienti anche dalle raccolte del fratello e una serie di altri pezzi dall'arcaico al XX secolo.
Donazioni, tutte, che rappresentano la continuazione e il completamento ideale della collaborazione offerta generosamente in vita agli Istituti culturali faentini dal conte Luigi.

Personaggi - pag. 8 [2010 - N.38]

In ricordo della direttrice della Biblioteca Manfrediana di Faenza

Maria Gioia Tavoni - Docente di Bibliografia e Storia del libro - Università di Bologna

Stento ancora, e non poco, a rendermi conto che Anna Rosa Gentilini, amica di lunga data e direttrice della Biblioteca Comunale di Faenza, non è più. Ci ha lasciato improvvisamente nella notte fra il 21 e il 22 giugno, accomiatandosi in silenzio e, direi quasi, con quella discrezione che ben connotava la sua temprata personalità.

Nel ripercorrere con il pensiero un'amicizia e un rapporto professionale risalenti al lontano 1974, emerge in tutto il suo spessore il grande ruolo ricoperto da Anna nella vita culturale faentina durante questo lungo periodo. In primo luogo nella funzione di direttore della Biblioteca Comunale, che, nel corso degli anni, intese sempre più come servizio all'intera comunità cittadina. Quando, nel 1983, assunse tale incarico la Biblioteca faentina era da poco entrata in una fase di profondo rinnovamento, in cui venivano recepite le richieste di una maggiore e più diversificata offerta culturale provenienti da una società il cui livello di istruzione si era notevolmente innalzato. Anna seppe ben interpretare tali istanze, movendosi simultaneamente in diversi ambiti. Proseguì la fase progettuale ed avviò quella esecutiva dei lavori di ristrutturazione dell'edificio, promosse l'apertura di nuovi servizi in grado di intercettare le mutate esigenze della società, sperimentò l'avvio dell'informatizzazione, incrementò il patrimonio mediante nuove acquisizioni, curò con maggiore attenzione la redazione del bollettino della Biblioteca che si iniziò a chiamare «Manfrediana», stimolò una feconda attività editoriale, unitamente alla realizzazione di mostre e convegni sul patrimonio culturale cittadino, fino alle più recenti "sfide" poste dalla globalità dell'informazione, dall'integrazione nella società multietnica e dal progetto di una grande biblioteca, in cui potere collocare tutto il patrimonio e svolgere più degnamente i servizi offerti dall'istituto.

Andando a Faenza per lavoro nei giorni estivi, accolta a porte chiuse dai suoi più stretti collaboratori che ancora attoniti ne custodiscono le ultime memorie, ho provato una sensazione di forte impatto emotivo: la direzione era chiusa, Anna non si aggirava più fra le sale della biblioteca recando aiuto e soccorso agli studiosi che attingevano ai suoi vasti saperi. Ma quello che mi ha più colpito non è solo il vuoto lasciato dalla sua esile persona nei cui occhi brillava l'ardore di chi animato da profonda intelligenza mette le sue conoscenze a servizio di coloro che vi ricorrono, ma la consapevolezza della mortificazione cui andranno incontro gli studi faentini privati della sua profonda dedizione.

Anna ha abbracciato vari campi di ricerca e altri ancora aveva in animo di abbracciare. Parlando ripetutamente con lei, soprattutto negli ultimi mesi, ero venuta a conoscenza dei tanti progetti di studi che ancora l'animavano. Guardava alla pensione ormai prossima con occhio sereno e programmando di continuare a occuparsi della biblioteca creando un sodalizio di Amici della Biblioteca nel quale avrebbe sicuramente avuto ancora una parte di rilievo. Ma soprattutto pensava con passione alle sue prossime ricerche. Voleva terminare gli studi sugli Archi, tipografi faentini del Settecento che già aveva trattato con profonda acribìa dedicandosi in particolare alle loro edizioni illustrate; vagheggiava una storia nuova di Faenza dove il filo conduttore fossero le istituzioni. Non è un caso che la sua storia della biblioteca di Faenza fosse anch'essa ispirata a modernità di impianto: non una successione di dati ma la fisionomia della sua Grande Biblioteca attraverso i fondi costitutivi che la contraddistinguono; pari novità pertanto avrebbe destinato alla rievocazione della amata sua città i cui fili si snodano attraverso alcune personali pubblicazioni anche in collaborazione con il marito Anselmo Cassani. Che ne sarà di questi progetti? Chi raccoglierà la sua eredità?


Personaggi - pag. 8 [2010 - N.39]

Il noto critico e storico dell'arte è scomparso lo scorso 1 ottobre

Maria Rita Bentini - Coordinatrice Accademia di Belle Arti di Ravenna

Raffaele De Grada (detto Raffaellino per distinguerlo dal padre pittore) era nato a Zurigo nel 1916 e fin dagli inizi della sua attività, negli anni '30, aveva affiancato il mestiere dello storico dell'arte e di critico d'arte all'impegno politico. Ideali che prima lo avevano avvicinato a "Corrente", in antitesi a "Novecento", e lo avevano portato a essere attivo come antifascista e partigiano, mentre nel dopoguerra si erano tradotti in attiva militanza nel Partito comunista, facendo di lui un intellettuale organico e un uomo di istituzione.

Ravenna gli deve un ricordo e una lettura, benchè non facile, dal momento che nel 1970, già professore a Brera, fu chiamato in città da Comune e Provincia a svolgere il ruolo di Direttore dell'Accademia di Belle Arti e della Pinacoteca. Vi rimase solo fino al 1975. Il recente volume dedicato alla storia dell'Accademia ravennate da me curato (Centottant'anni. L'Accademia di Belle Arti di Ravenna, testi di Sabina Ghinassi, Longo editore, Ravenna, 2010) ha già affrontato la problematica lettura di questo tempo. Qual è stato il progetto per l'arte contemporanea di De Grada a Ravenna, in parallelo nell'ambito della formazione e per l'attività espositiva della Pinacoteca?

"Mi chiamarono all'Accademia di Ravenna [affermava De Grada in un'intervista di qualche anno fa a Nicoletta Colombo, esemplificando, a proposito della Scuola degli Artefici di Brera] per cercare di rinvigorire un'istituzione che era in decadenza. Chiamai alcune personalità come Giò Pomodoro, Luca Crippa ed altri, che portarono l'insegnamento accademico sul piano dell'oggetto, del design, della formazione scenografica di tipo nuovo e devo dire che i risultati furono eccellenti. Ciò però non comportava la distruzione dell'opera di coloro che insegnavano pittura e scultura; anzi, costoro furono sollecitati a dare un carattere più formativo, anche in senso pratico (per esempio come si usa il colore, come si può passare dal disegno alla formazione plastica ecc.), che aiutò molto e da quella Accademia uscirono allievi veramente capaci. Questa proposta non fu poi accettata dagli accademici, che invece preferirono trovare una collocazione ancor più accademica..."

Quello di De Grada fu un progetto "pilota"? Evidentemente sì rispetto alla sostanziale immobilità degli studi accademici previsti dagli ordinamenti nazionali. Chiamò da Milano docenti per materie che profilano subito un "nuovo corso" legato agli orizzonti contemporanei delle professioni dell'arte (dallo scultore Giò Pomodoro per l'Oreficeria a Remo Muratore per la comunicazione visiva, da Luca Crippa per la Scenografia ad Aurelio Morellato per il Restauro), e innestano nuove personalità nel corpus dei docenti storici (Tono Zancanaro a Incisione, Gino Cortelazzo a Scultura). Un progetto che svolge il compito di un decisivo rilancio dell'Istituzione, alla quale viene assegnata una nuova sede accanto alla Pinacoteca (l'Accademia si sposta alla Loggetta lombardesca e lascia l'ala del complesso classense ridisegnata da Ignazio Sarti nel 1827 al Liceo artistico), mentre arriva il riconoscimento legale con Decreto Ministeriale del 23 agosto 1974.

L'altro verso della medaglia fu l'attività espositiva in Loggetta, che appare sganciata dalle tendenze contemporanee per privilegiare orizzonti figurativi in cui la relazione col reale rivela una radice ormai superata a partire dalle neoavanguardie. Pittura in Romagna dell'800 a oggi (1974) evidenzia un tragitto senza rotture di adesione alla realtà della provincia romagnola, mentre la mostra Mattia Moreni. Dodici anni di angurie 1964-65 conclude nel '75 la sua attività curatoriale a Ravenna, affiancato da Pierre Restany. Il testimone passerà a Giulio Guberti, e la svolta è radicale. Egli affianca coi dodici numeri della rivista "La tradizione del nuovo" la stagione espositiva che dal '77 all'81 porterà a Ravenna quindici mostre con artisti e curatori attinti alla ricerca artistica più attuale.

Ma questa è un'altra storia: il "vecchio" De Grada ha lasciato il campo, e sensori più attenti a registrare le estetiche contemporanee aprono gli orizzonti culturali di una città ormai decisamente più viva grazie anche al suo contributo.


Personaggi - pag. 8 [2011 - N.40]

Per una dialettia sulla preparazione universitaria alle professioni del patrimonio

Luca Baldin - Segreterio Nazionale ICOM Italia

Nadia Barrella alla luce di una sua utile ricognizione sullo stato dell'arte in materia di insegnamento della museologia a livello universitario, nel numero di marzo 2011 di Museo In-forma si interrogava su che cosa ci si debba attendere in materia di formazione dei quadri dirigenti (e non solo) dei musei italiani alla luce della recente riforma dell'Università, voluta dall'attuale governo e dal Ministro Gelmini, citando al riguardo anche alcuni documenti d'orientamento recentemente prodotti da ICOM Italia.

Ringraziandola per aver aperto la discussione, mi permetto di riprendere il tema rilanciando un dibattito che mi sembra prima ancora che utile, urgente e necessario.

Dirò quindi subito che -fatto salvo il fatto che l'offerta formativa universitaria non ha subito sostanziali sconvolgimenti, confermando la formula voluta dal Ministro Berliguer del cosiddetto 3+2, accompagnata da possibili specializzazioni, ottenibili attraverso master di primo e secondo livello e scuole di specializzazione, e lasciando sullo sfondo i dottorati di ricerca che dovrebbero in linea di principio costituire il primo livello d'ingresso delle nuove leve della formazione universitaria - ritengo personalmente che il tema vada affrontato entro i margini di tale articolazione.

So, e ne sono perfettamente consapevole, che con questa affermazione, che può sembrare poco più che una banalità, mi pongo già in posizione eccentrica rispetto a molti colleghi e in parte anche rispetto quanto dibattuto all'interno di ICOM Italia in merito alla cosiddetta "scuola nazionale di Museum Studies", per quanto ad oggi, voglio sottolineare, non esista alcuna posizione ufficiale di ICOM Italia in materia, come testimonia ampiamente il documento presentato da Anna Maria Visser (consultabile sul sito www.icom-italia.org) in un recentissimo convegno organizzato da ICOM Italia e dall'Università di Macerata (Fermo, 15-16 aprile 2011). La verità è che nutro poca, per non dire nessuna fiducia rispetto all'ipotesi che si possa giungere in un futuro vicino o lontano all'istituzione di tale nuovo strumento formativo immaginato sul modello francese, e personalmente nutro anche qualche dubbio che nel momento in cui ci si dovesse arrivare, questo si tradurrebbe automaticamente e per forza in una buona cosa per i giovani e per la nostra professione (per personale propensione preferisco il sistema liberale di stampo anglosassone a quello burocratico-centralista francese).

Cercherò quindi di argomentare queste mie convinzioni sperando di alimentare con ciò un utile dibattito.

Per farlo credo utile partire da una domanda che attende una risposta chiara, inequivocabile, da parte sia del mondo professionale che dell'Università: di che professioni stiamo parlando? I mestieri dell'archeologo, dello storico dell'arte, dell'antropologo sono una professione? Stando alle richieste reiterate di albi professionali sembrerebbe di sì. Eppure io sono convinto che non lo siano, che vadano considerate semplici (e nobilissime) discipline scientifiche che, accompagnate da appropriate abilità e tecniche, danno accesso a diverse professioni che possono andare dalla carriera ministeriale a quella dell'insegnamento per finire con quelle tipiche degli istituti della cultura, come li definisce il Codice, ovvero archivi, biblioteche e musei.

Queste sono le professioni, e su questo mi sembra ci siamo trovati tutti abbastanza d'accordo nel 2005 nel momento in cui stendevamo la Carta nazionale delle professioni museali. Queste, quindi, sono le professioni nel campo della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale a cui dovrebbe formare l'Università al termine del cosiddetto 3+2. I "mestieri" sono quelli di funzionario della Soprintendenza, di bibliotecario, archivista o museale (evito di proposito il termine museologo, che lascerebbe intendere un legame troppo stretto con la disciplina). Se attorno a questa affermazione è possibile, credo, raccogliere un certo consenso, la prima conseguenza che ne deriva è che dovremmo trovare il coraggio di interrogarci sul ruolo e le funzioni della laurea di base e di quella cosiddetta "magistrale". Credo sia opinione oramai ampiamente condivisa che quella che originariamente si chiamava "laurea breve", fatto salvo l'accesso a poche professioni di base (pochissime nel nostro campo), è oggi anzitutto un trampolino verso la laurea magistrale. Nei tre anni di base gli studenti sviluppano quindi competenze generiche di tipo disciplinare, utili a livello di cultura di base, ma del tutto inadatte ad assicurare l'accesso alle professioni del patrimonio.

Il problema della formazione alle professioni non può che porsi quindi a livello di lauree magistrali. E qui sorge il problema, dal momento che a quel livello perdura un pregiudizio marcatamente accademico che immagina il mondo in forma di Università, capovolgendo macroscopicamente la realtà. Là dove si dovrebbe provvedere ad una specializzazione con orientamento "professionalizzante", prevalgono gli approfondimenti disciplinari, sotto forma di "indirizzi", che affinano le competenze di futuri storici dell'arte o archeologi, ma lasciano scoperte le vere professioni verso cui viceversa andrebbero indirizzate le nuove leve.

Riconsiderare quindi gli indirizzi delle lauree magistrali orientandole alle vere professioni (nel nostro caso del patrimonio) mi sembra la prima riforma attuabile a legislazione invariata.

Una riforma di questo tipo consentirebbe peraltro di dare una risposta anche alla questione giustamente sollevata da Nadia Barrella circa l'insegnamento della museologia in Italia, consentendo di immaginare un approccio più teorico nel triennio (storia della museologia, storia del collezionismo), per rimandare una una segmentazione tecnica e puntuale della materia nel biennio magistrale di specializzazione, meglio se accompagnata da una fitta attività di tirocinio negli istituti stessi.

D'altro canto, credo, abbiamo il dovere etico di tentare, almeno, di mantenere fede allo spirito originario della riforma Berlinguer, ovvero alla necessità di allineare la formazione universitaria italiana ai più affermati modelli internazionali, cercando di accelerare e non di ritardare l'ingresso alla professione delle nuove leve. Un principio sacrosanto che mi sento di sottolineare, dal momento che nutro una sorta di personale allergia per quanti si dilettano nel gioco dell'asticella che si alza sempre più, facendo della formazione non un mezzo, ma un fine, in un gioco al massacro (delle giovani generazioni) che non finisce mai.

Ma se questo fosse il disegno che fare di master e scuole di specializzazione? Semplicemente quello per cui sono nate: specializzare, anche disciplinarmente, ma su base volontaria. Premianti, ovviamente, ma svincolate da qualsiasi connessione impropria all'accesso alla professione, compito a cui deve assolvere il percorso formativo universitario basato sul triennio di base e sul biennio magistrale. Cosa che consentirebbe, tra l'altro, di assolvere il dovere eticamente irrinunciabile di non creare (o quanto meno di limitare) appannaggi sulla base del censo.

Delineato il mio pensiero, non rimane che chiedersi se in una logica di razionalizzazione cui in qualche modo spinge anche la riforma Gelmini, sia così fantascientifico immaginare di legare formazione e domanda occupazionale lavorando sull'accesso programmato e su pochi poli formativi specializzati e ben distribuiti geograficamente (nord ovest, nord est, centro, sud e isole). Se anche questo tassello andasse a posto infatti, indirettamente, credo, avremmo comunque raggiunto anche l'obiettivo di dotare l'Italia delle sue scuole di Museum Studies, senza alcuna necessità di attendere ulteriori improbabili riforme e di creare ulteriori livelli di formazione.


Contributi e riflessioni - pag. 8 [2011 - N.42]

La prima parte dell'intervista al Presidente del Centro per il libro e la lettura in merito allo stato dell'arte della lettura in Italia

Chiara Alboni, Chiara Storti - Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino

Nella prospettiva di un ripensamento generale del ruolo e dei compiti della biblioteca pubblica al tempo di Google, il 21 maggio 2012 la Provincia di Ravenna ha organizzato la presentazione del volume di Antonella Agnoli Caro Sindaco parliamo di biblioteche. Tra gli intervenuti all'interessante dibattito che ne è seguito c'era anche il prof. Gian Arturo Ferrari, per molti anni direttore generale della Mondadori e ora Presidente del Centro per il libro e la lettura, a cui abbiamo posto qualche domanda, in particolare sul delicato tema della "promozione alla lettura". In questo numero presentiamo un breve assaggio dell'intervista. Nel prossimo numero leggerete il resto.

Parliamo di lettura e stato dell'arte in Italia.
Il rapporto tra gli italiani e la lettura non pare essere idilliaco. La situazione emerge chiaramente dal rapporto commissionato alla Nielsen Company dal Centro per il libro e la lettura che lei presiede. Cosa può servire per invertire questa tendenza? Per esempio, il prestito di e-book, a suo parere, può servire?
La lontananza degli italiani dalle biblioteche è un'eredità storica molto pesante che non si può sottovalutare. Non esistono rimedi rapidi, non è una malattia da cui si guarisce con una pastiglia, bisogna fare cure lunghe, noiose, e faticose. Metà dei nostri concittadini sono completamente "estranei" al libro, non lo toccano mai nel corso della loro vita quindi il compito di "educazione al libro"coinvolge metà della nazione.
La strada giusta è a mio parere molto semplice: i lettori di libri sono una percentuale, ora non importa quanto alta, di coloro che entrano in contatto con i libri, ovverosia non è possibile diventare lettori di libri senza entrare in contatto con i libri. Sembra una cosa banale ma è la verità. Bisogna entrare in contatto con i libri prestissimo: l'assuefazione al libro e la consuetudine al libro si acquisiscono nella primissima infanzia, e anche se non tutti i neonati che vengono avvicinati al libro poi si trasformeranno in lettori veri e propri, una buona percentuale sì. Questo è il concetto fondamentale della promozione della lettura.
Altro metodo è quello di rendere i libri più simpatici alla popolazione italiana. Quelli che non leggono, non leggono principalmente per due ragioni: perché leggere è difficile e perché leggere è antipatico.
Sulle difficoltà possiamo fare poco; la difficoltà dipende dal fatto che quasi tutte le altre forme di comunicazione "culturali" sono passive, uno ascolta la musica, guarda la televisione, succedono delle cose intorno. La lettura invece è un'attività faticosa che richiede una grande concentrazione, una grande capacità di seguire il filo. La lettura di libri aggiunge a tutte queste difficoltà della lettura comune, quella che non si legge un libro in una volta sola. Quindi non potendo esaurirlo in una volta sola, lo si legge "a puntate" e si deve fare in modo di leggere una puntata quando ancora si ricorda quella precedente, perché se il lasso di tempo è troppo lungo e si dimenticano gli avvenimenti antecedenti, si verifica quel fenomeno denominato "piantare il libro".
Ma si può lavorare sull'antipatia. I libri sono antipatici in Italia perché tradizionalmente sono stati appannaggio di un'èlite dominante, quindi sono vissuti, anche non consapevolmente, come qualcosa che non appartiene alla gente normale. Appartiene ai signori: o si legge o si lavora. Se un ragazzino legge troppo, si perde nel suo mondo, non ha senso pratico. O la realtà o la lettura. Quindi per renderli meno antipatici bisogna agire precisamente su questa opposizione.
Sugli e-book sono del parere che vadano riportati alla loro dimensione reale: nel 2011 in Italia su 100 libri venduti solo 1 è un e-book, cioè l'1%. Sul totale dei libri letti, che sono più dei libri acquistati, la percentuale è 2,4; questo dipende dal fatto che molti libri fuori diritti sono gratuiti in Rete e poi c'è un fenomeno di pirateria molto diffuso. Non credo francamente che il prestito degli e-book sia una buona idea ed esige dei complicatissimi accordi per la tutela dei diritti d'autore. Penso piuttosto che le biblioteche possano avere un futuro non come serbatoi o magazzini di libri ma come centri attivi di promozione della cultura ovvero come luoghi dove si fanno delle cose belle, divertenti, piacevoli e intelligenti.


La pagina della Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino - pag. 8 [2012 - N.44]

Una vita dedicata alla cultura con passione, energia e una molteplicità d'interessi

Rosella Cantarelli - Responsabile Attività culturali Provincia di Ravenna

A maggio, dopo una lunga malattia, è venuto a mancare Gianfranco Casadio. Ho aderito con piacere alla richiesta di scrivere su questa rivista alcune righe in suo ricordo, sia perché lo conoscevo da tempo, sia perché non tutti sanno che fu proprio lui, come dirigente del Settore Cultura della Provincia di Ravenna, a ideare e dirigere per molti anni Museo in•forma. Per questo motivo mi pare doveroso portare su queste pagine un pensiero su Franco, come era solito farsi chiamare dagli amici.
Non è semplice ricordare in poche righe le tante attività che lo videro impegnato durante la sua vita. Andando a ritroso con il pensiero alla collaborazione professionale che ho condiviso con lui, prima all'Istituto Storico della Resistenza e poi in Provincia, non posso non ricordarlo per la sua energia, l'instancabile determinazione con cui affrontava uno dopo l'altro i suoi impegni, l'eclettismo che lo caratterizzava.
Vorrei partire dalle parole con cui lui stesso si presentava in una sua pagina web, qualche anno fa: "Sono giornalista, storico e critico cinematografico iscritto all'Ordine dei Giornalisti e al Sindacato Nazionale Critici Cinematografici Italiani. Vengo dalla pubblica amministrazione dove ho diretto per anni il Settore Beni Culturali della Provincia di Ravenna. In quella veste (che ho lasciato nel 2003) ho organizzato importanti eventi culturali, ho curato per il pubblico ravennate, tra il 1987 e il 2005, rassegne e mostre cinematografiche di successo e numerosi incontri con importanti registi e attori italiani a Palazzo Corradini, al cinema Jolly e in altre sale ravennati. Negli ultimi anni ho curato il Festival dei registi emiliano-romagnoli, con i relativi convegni e mostre iconografiche".
La sua grande passione era il cinema a cui, dopo la laurea al DAMS di Bologna, dedicò gli ultimi decenni della sua vita, come consulente e soprattutto come storico del cinema. Fu autore prolifico di un'ampia serie di monografie tematiche sulla storia del cinema italiano sia in ambito locale che nazionale. Ovviamente non c'è spazio per riportare qui tutta la sua bibliografia (sono oltre 60 i titoli catalogati a suo nome nella rete bibliotecaria di Romagna), ma per dare il senso di come lavorava Franco è sufficiente ricordare i suoi primi tre libri di cinema, che pubblicò con sistematica cadenza annuale, uno dopo l'altro: Il grigio e il nero (1989), Adulte fedifraghe innocenti (1990), Telefoni bianchi (1991); e tutti con l'Editore Longo di Ravenna, con cui mantenne a lungo un positivo sodalizio.
Come Dirigente della Provincia diede impulso a una serie di interventi destinati a promuovere la cultura nei suoi molteplici aspetti. Nacque con lui, nel 1997, il Sistema Museale Provinciale. In quegli anni di sviluppo delle attività culturali all'interno delle istituzioni, fu sua l'idea di stimolare la collaborazione e l'incontro a livello provinciale dei vari musei, avviando un articolato percorso di crescita che prosegue ancora oggi. Si impegnò per migliorare la qualità e la vita dei musei locali, fare crescere le piccole ma importanti realtà museali fino al raggiungimento degli standard di qualità previsti dalla L.R. 18/2000, avviando nello stesso tempo una rete di servizi a supporto dell'intero sistema museale: il sito web, le monografie sui musei, le pubblicazioni e le guide, le attività didattiche, Museo in•forma, appunto.
Non molti sanno che era un attento collezionista e un esperto di medaglistica militare, costantemente alla ricerca di pezzi rari, che si procurava nei mercatini dell'antiquariato così come presso raffinati antiquari. Amava la fotografia e la storia, una passione ereditata dal padre Alvaro Casadio, noto fotografo attivo tra gli anni '30 e '60 a Ravenna, che con il suo archivio aveva raccontato per immagini la vita del territorio e della città. Di storia si occupò a lungo e fin dagli anni '60, quando fu incaricato dalla Provincia di avviare l'attività dell'Istituto Storico della Resistenza di Ravenna, allora poco più che un deposito d'archivio. Il suo lavoro lo portò a organizzare convegni di studio ed eventi culturali; la sua passione lo spinse ad approfondire la conoscenza della storia locale del XX secolo, con particolare interesse per gli anni della seconda guerra mondiale e della lotta di liberazione nel ravennate, e a scrivere numerosi articoli, saggi e pubblicazioni.
Anche la sua attività di giornalista fu prolifica, curando rubriche e collaborazioni su varie riviste specializzate. Dal 2002 al 2010 fu caporedattore di Cinestudio, mentre negli ultimi anni proseguì la collaborazione con il mensile di storia locale Il Romagnolo. Continuò a coltivare queste sue passioni anche dopo il ritiro dal lavoro, con il solito impegno e fino a quando ciò gli fu possibile. Il suo ultimo contributo è stato pubblicato nello scorso  aprile su Il Romagnolo.

Personaggi - pag. 8 [2013 - N.47]

Prosegue l'intervista al direttore della Bayerische Staatbibliotek di Monaco di Baviera

Chiara Alboni, Chiara Storti - Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino

A Kempf, in occasione della Lectio Magistralis tenuta a Ravenna lo scorso giugno, abbiamo rivolto alcune domande sul tema delle collezioni nell'era digitali. La prima parte dell'intervista si trova sul n. 47 di Museo in-forma.

Le collezioni digitali dovrebbero essere gestite come le altre collezioni, quindi con piani organici di acquisizione frutto anche della vocazione specifica di ogni singola biblioteca oppure - trattandosi di documenti immaterial - possono essere svincolati da queste prassi? Possiamo parlare al limite di "collezioni on-demand"?
È presto detto: le collezioni digitali dovrebbero essere gestite come le altre collezioni delle Biblioteche. Questi istituti infatti si sono sempre caratterizzate per la presenza di collezioni differenti, come mappe, dischi ecc., e hanno avuto diversi modi di acquisizione, di catalogazione. Anche se oggi siamo abituati a visualizzare tutte le collezioni in un unico catalogo mainframe, l'Opac, nel passato c'erano perfino cataloghi fisicamente separati a seconda del tipo di supporto dei documenti. È quindi una chimera l'approdo ad un workflow indifferenziato per tutti i materiali di biblioteca.
Ciò che possiamo dire a proposito delle collezioni on-demand è che ora esiste una pratica molto diffusa, soprattutto tra le biblioteche di ricerca e non solo tra quelle di pubblica lettura, che in inglese è denominata patterns retrieval acquisition. L'utente stesso decide, quasi in ultima istanza, cosa viene comprato o meno: il bibliotecario offre tramite l'Opac le informazioni bibliografiche relative al materiale non ancora acquisito e lascia che a scegliere sia l'utente in base alle proprie necessità. Questa, a prima vista, potrebbe sembrare la soluzione specifica per l'acquisto delle collezioni digitali ma non lo è, poiché è un sistema soggetto a manipolazioni, e inoltre non risolve i problemi di un budget limitato. Serve ai bibliotecari a sentirsi meglio perché scarica, in qualche modo, la responsabilità della scelta sull'utente. Una pratica pericolosa, a mio avviso, più che per le biblioteche di pubblica lettura - che comunque devono tenere il ritmo delle novità del mercato editoriale - per le biblioteche di ricerca. In quest'ultime l'utente si aspetta ancora non solo collezioni attuali ma anche di lungo respiro, ovvero che testimonino il passato e siano traccia per il futuro, altrimenti il futuro sarà vuoto. Quindi anche per le collezioni digitali bisogna ripensare i termini di collaborazione tra le biblioteche ed individuare quelle deputate alla conservazione.

Dal momento che le collezioni delle biblioteche, ovvero il loro patrimonio, stanno velocemente approdando al mondo del digitale con tutto ciò che comporta, le biblioteche come istituzioni fisiche avranno ancora senso di esistere?
È sicuramente vero che già da molti anni non si costruiscono più biblioteche per la sola consultazione del patrimonio bibliografico. Almeno dagli anni '70 del secolo scorso, soprattutto le biblioteche universitarie sono organizzate fisicamente con un magazzino e piccole sale di lettura. Tutte le biblioteche, quelle di ricerca, quelle universitarie e, in particolare, quelle di pubblica lettura, sono luoghi di aggregazione sociale: offrono vari tipi di servizi a diversi strati di popolazione che si recano in biblioteca non tanto per i libri ma per incontrarsi. Io non giudico questo fenomeno, ma per me è difficile immaginare un'istituzione che si chiami ancora biblioteca senza riferimenti alle attività di informazione, comunicazione ed educazione, nel senso ampio dei termini, perché altrimenti potremmo essere assimilati a qualsiasi altro spazio pubblico. Negli Stati Uniti, ad esempio, le biblioteche pubbliche offrono le loro sale vuote a gruppi di ragazzi che giocano con i video games o altri giochi elettronici e che con i loro device si attaccano alla rete elettrica e wifi della biblioteca. Giustamente, allora, si potrebbe porre la domanda, in particolare da parte dei privati, sul perché ci sia bisogno di una biblioteca e del suo staff. Per questo motivo, se pure si ha una forte tendenza generale ad andare verso un all digital word, in cui la maggior parte dei media sarà solo digitale o multimediale, si dovrà sviluppare una nuova forma di cultura e di informazione collettive che garantiscano alle biblioteche un ruolo alternativo rispetto a quello esclusivamente sociale.


La pagina della Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino - pag. 8 [2013 - N.48]

Il centenario della nascita della "signora del mosaico" è un'occasione di riscoperta delle allieve della Scuola

Maria Rita Bentini - Docente Accademia di Belle Arti di Ravenna

Nasceva novant'anni fa, all'interno dell'Accademia Provinciale di Belle Arti di Ravenna, la Scuola del Mosaico: un evento fondamentale per la storia della città in relazione alla sua identità artistica legata al mosaico.
È questa una tradizione interrotta per secoli che rinasce all'alba del XX secolo, proprio grazie al ruolo attivo dell'Accademia di Belle Arti. Un ruolo che ancora oggi questa rinnovata Istituzione di Alta Formazione Artistica continua a svolgere, con un duplice percorso accademico specificamente dedicato al Mosaico, un Triennio di Arti Visive-Mosaico e un Biennio Specialistico di Mosaico.
Il 10 febbraio 1924 il Direttore Vittorio Guaccimanni apriva la Scuola con un bando pubblico in cui descriveva la necessità di un "corso speciale per la lavorazione del mosaico" unico nel sistema accademico italiano, affinchè i giovani potessero raccogliere la sfida di far "risorgere la tradizione di un'arte tanto nobile", in una città nella quale "meglio che altrove può formarsi il restauratore e l'artista", dunque chi conserverà sapientemente l'antico patrimonio accanto a chi saprà far germogliare quello nuovo. Nell'anno accademico 1924-25 un piccolo gruppo di allievi iniziava il nuovo percorso formativo. Qui, accanto ai "pionieri", insegnanti come Giuseppe Zampiga e Alessandro Azzaroni, comincia a crescere la giovane generazione che, reinventando l'antica tradizione, sarà capace di traghettare il mosaico dall'ambito della conservazione a quella della creazione artistica contemporanea: Alberto Salietti e Renato Signorini tra i primi, ai quali si unirà poco dopo Antonio Rocchi.
Con gli allievi, futuri protagonisti della storia del mosaico ravennate contemporaneo, c'è un rilevante gruppo di allieve. A una di esse viene dedicata in questi mesi una singolare festa di compleanno, con una serie di eventi promossi dall'Associazione Ni-Art in collaborazione col Comune di Ravenna, la Provincia, l'Accademia, il Liceo Artistico Nervi-Severini, il Museo d'arte della città, Ravennantica, AIMC. È Ines Morigi Berti, "signora del mosaico" cui è dedicata la rassegna 100 anni di mosaico, a Ravenna dal 29 marzo 2014, poi a Vienna e infine a Paray le Monial e Chartres, dove si concluderà il 18 gennaio 2015. Un volume edito dalla Ni-Art Gallery, a cura di Felice Nittolo, raccoglie contributi importanti dedicati all'artista e documenta le opere realizzate nell'arco della sua lunghissima attività.
L'Accademia di Belle Arti ha colto l'occasione per scoprire la presenza femminile all'interno della Scuola del Mosaico, con una prima ricognizione tra gli anni '20 e gli anni '30, quando già brillanti artiste cresciute nell'orbita di Guerrini nei primi anni Venti si stavano affermando, come la costumista Emma Calderini e la pittrice-decoratrice Gianna Nardi Spada. Un tempo in cui nelle aule di Mosaico, accanto a Ines Morigi (nata a Prato Carnico nel 1914, che risulta frequentante quattordicenne, nel 1928), vi sono Libera Musiani (Ravenna, 1903-1987), Ines David (Ravenna, 1909-1973), Eda Pratella (Lugo, 1919) e Maria Fabbri (Ravenna, 1919-2007). La presenza femminile in Accademia risulta pressochè assente nel corso dell'Ottocento - secondo i dati raccolti da Linda Kniffitz in un saggio dedicato all'argomento, nel 1898-99 sono solo due le donne tra i circa 90 iscritti -, mentre nel secolo nuovo si verifica un incremento sensibile, arrivando le donne, intorno al 1930, a costituire circa il 20% della popolazione accademica.
L'allieva Ines Morigi diverrà in seguito una straordinaria interprete del mosaico contemporaneo, "trasponendo", in collaborazione con notevoli artisti del XX secolo. La formazione negli anni dell'Accademia le aveva trasmesso non solo una tecnica di alta qualità, il mosaico ravennate, ma una visione che, attraversando gli ambiti della Pittura, della Decorazione, della Scultura, poteva trasformare quella tecnica in linguaggio artistico. Lo documenta un singolare mosaico come Chioccia con pulcini (collezione privata) realizzato intorno al 1930 su cartone dell'artista Cafiero Tuti, docente di Decorazione, nel quale la superficie è percorsa da un raffinato, leggerissimo merletto di pietra. Pazienza, ricercata qualità dei materiali, segno: sono le qualità di un'artista appartata ma vera.


La Pagina della Accademia di Belle Arti di Ravenna - pag. 8 [2014 - N.49]

Un anniversario importante per l'intellettuale che fu uno storico direttore della Biblioteca Classense

Claudia Giuliani - Direttrice Biblioteca Classense di Ravenna

Cento anni fa Santi Muratori, capace e brillante intellettuale ravennate, assumeva l'incarico di direzione della Biblioteca Classense di Ravenna e alla Classense la sua figura rimase indissolubilmente legata, in un binomio che reciprocamente arricchì l'uomo e l'istituzione.
Sono numerose le biografie che di Muratori narrano il percorso di studi e di lavoro, peraltro quasi prevalentemente tracciate a ritroso, a partire cioè dalla morte, avvenuta in concomitanza, forse non casuale, con il grave bombardamento che colpì la città di Ravenna il 30 dicembre 1943. Una morte che apparve in tragica sintonia con la sofferenza della città amatissima, con le distruzioni di importanti monumenti, in ultima istanza con il vertiginoso precipitare degli eventi bellici.
Santi era nato a Ravenna nel 1874 e al liceo di Ravenna, collocato allora nella Classense, aveva studiato, per poi laurearsi all'Università di Bologna. Dapprima professore di lettere nei licei di varie città, coltiva studi "ravennati" emergendo dapprima quale pubblicista erudito. Giovanile il suo più ponderoso saggio, di stampo biografico-critico, I tempi, la vita e l'opera letteraria di Jacopo Landoni (1772-1855), uscito nel 1907. Sono anni questi in cui si rafforza, grazie agli studi seri, alla grande competenza e conoscenza delle varie manifestazioni della storia locale, dall'epigrafia alla numismatica, alla storia dell'arte, il suo prestigio di studioso: arrivò a produrre circa 300 titoli nell'arco della vita.
Si manifesta fin dai primi anni della sua attività di intellettuale versatile in campo umanistico, una frequentazione consapevole con le fonti, una conoscenza degli archivi, dei manoscritti ravennati e classensi in particolare. Viene affermandosi la "stoffa" di cultore di quelli che oggi chiameremmo "beni culturali", che si andava affiancando a Corrado Ricci, con il quale intrattenne una lunga e importante amicizia, tanto da essere da Ricci salutato con presago ottimismo, quando entrò alla Classense, come bibliotecario onorario.
Accanto ad un interesse vivissimo per le istituzioni culturali, i monumenti e la città tutta, in una ricerca amorosa di salvaguardia, si mantiene vivo negli anni, in "Santino", il culto per Dante. È infatti a Muratori che dobbiamo la promozione delle Lecturae Dantis a Ravenna, la riattualizzazione dell'antico refettorio camaldolese in Sala Dantesca, nel 1921, l'istituzione dell'Opera di Dante, le celebrazioni per il VI Centenario della morte, nel 1921. Tutta la politica culturale "dantesca" a Ravenna, fortemente voluta da Corrado Ricci, è stata sostanzialmente tracciata da Santi Muratori. Entrambi hanno condiviso un progetto che ancora oggi delinea la dimensione "dantesca" di Ravenna.
La Biblioteca Classense, che diresse per trenta anni, divenne con Muratori, felicemente, il fulcro della vita culturale cittadina, grazie ad una "operosità" bibliotecaria che si espresse nella modernizzazione degli spazi, nella cura degli acquisti resa possibile da un'alta competenza bibliografica, nella analitica indagine sui temi ravennati e romagnoli che spaziò dalla più alta erudizione e consapevolezza storiografica alle "curiosità" e si concretizzò nel formidabile Catalogo Muratori, ancora oggi insostituibile punto di partenza per ogni ricerca di ambito locale.
Certamente non vanno sottovalutati sia il grande apporto dato alla conoscenza dei Fondi Classensi da Silvio Bernicoli, prima bibliotecario poi archivista, sia dagli efficaci avvalli politici che Corrado Ricci e Luigi Rava non fecero mancare alla amata biblioteca patria durante i migliori anni "muratoriani". La forza di istituzione culturale della Classense, la fama delle sue raccolte, da Muratori descritte nel suo bel saggio contenuto in Tesori delle Biblioteche d'Italia a cura di Domenico Fava, si amplificarono contribuendo a collocare la Classense fra le principali biblioteche italiane.
Difficile valutare quale fosse la progettualità culturale del Muratori bibliotecario, e forse essa si espresse maggiormente nel legame amorosissimo, e venato di suggestioni letterarie, con la "sua" Ravenna. Certamente dietro la "vulgata" del bibliotecario avvolto nella "spolverina" e racchiuso al sicuro nell'eremo di Classe, è ancora da delineare appieno l'intellettuale curioso e insoddisfatto, raffinato e istintivamente non "organico", nonostante le apparenze, che si nascose in questo "schivo e fine" rappresentante della cultura istituzionale di provincia.

Personaggi - pag. 8 [2014 - N.50]

Padre del noto Corrado e maggiore fotografo ravennate del XIX secolo, predilisse nei suoi scatti monumenti e scorci paesaggistici

Claudia Giuliani - Direttrice Biblioteca Classense di Ravenna

"A Luigi Ricci, scenografo, mio padre". Queste le parole di Corrado Ricci, eccellenza intellettuale ravennate fra Otto e Novecento, nella dedica del suo Storia della Scenografia italiana, uscito per Treves nel 1930. È al padre scenografo, all'artista dunque, che il figlio Corrado pensa e del quale vuole perpetuare la memoria, a oltre trenta anni dalla morte.
Luigi era nato da modesta famiglia nel 1823, a Ravenna, e mostrò dall'infanzia doti artistiche. Con il sostegno di alcuni benefattori, fra cui Luisa Murat, figlia di Gioacchino, e sposa del conte ravennate Giulio Rasponi, poté studiare prospettiva all'Accademia di Belle Arti di Bologna presso la scuola di scenografia di Francesco Cocchi, ornatista, architetto, scenografo di fama e fortuna europee. Al termine degli studi il giovane ravennate non trovò nella sua città natale un mecenatismo che lo sostenesse, ma grazie alla discreta fama acquisita come artista scenografo, eseguì lavori non solo a Ravenna e in tutta la Romagna, ma anche nelle Marche, nell'Umbria e nel Veneto.
Restano famose le sue scenografie per opere liriche, fra le quali Giovanna di Guzman (1861), Il Trovatore (1869), Faust (1872), come segnala in un breve profilo biografico Odoardo Gardella, grande amico della famiglia Ricci. La documentazione dei suoi disegni conservata nel Fondo Ricci alla Biblioteca Classense, per volontà del figlio Corrado, evidenzia un gusto per il pittoresco sentimentale di gusto romantico, declinato nelle vedute d'invenzione e nei bei paesaggi della pineta di Ravenna, scenograficamente adattati.
Dopo gli anni Settanta scelse di dedicarsi completamente a un'attività innovativa e, potremmo dire, alla moda: la fotografia, che forse poteva garantire maggior sostegno alla famiglia. Ma fotografo Ricci era stato già dai primi anni Sessanta, in un'epoca cioè assai precoce per la fotografia ravennate. Egli pose al centro dei suoi interessi monumenti e mosaici ravennati, e fu questa la peculiare cifra del suo lavoro che lo portò a realizzare raccolte di tavole illustrate di grande successo. La sua Ravenna è tutta di monumenti e scorci paesaggistici che egli osserva e riproduce con il suo occhio più proprio, quello del pittore scenografo, generando immagini le cui qualità formali - per dirla con Massimo Ferretti la "rinuncia alla frontalità prospettica" in primis -, rimandano a quella "tradizione romantica del vedutismo corsivo" che non si originava solo dalla consuetudine a un mestiere, quello dello scenografo, ma si rafforzava nelle innegabili vocazioni di monumenti lontani dalla magnificenza, ad esempio di una esibita romanità. San Vitale, Galla Placidia, la pineta, vivono di una taciturna vita di suggestioni pittoresche che coinvolse anche gli esiti del lavoro di ben altri fotografi e di maggior fortuna, quali gli Alinari, che si occuparono della città bizantina.
Ricci è in definitiva il maggior fotografo ravennate dell'Ottocento, con i suoi sei cataloghi - bene descritti da Paola Novara -, due dei quali usciti post mortem. Già nel 1869 Luigi Ricci fotografava i monumenti antichi ravennati, come lui stesso afferma: "... per eternare con questo potente mezzo la vera immagine, senza che la mano dell'uomo possa alterarla, e nello stesso tempo per appagare l'interessante curiosità e l'ammirazione dei lontani". Si tratta di "fotografie tanto delle parti interne, quanto delle esterne di tutti i nostri monumenti, come pure delle parti più notabili di essi, quali sarebbero tutti i mosaici, tutti i capitelli, i sarcofagi, i bassorilievi, ed altirilievi, trafori in marmo, intagli in avorio etc...", tutte "artisticamente studiate tanto pel punto di vista, quanto per l'effetto delle ombre".
Sappiamo quanto forte fosse l'interesse per la fotografia anche da parte di Corrado, che vi scorgeva il mezzo ideale per la documentazione utile allo storico dell'arte. Sarà lui a salvare l'archivio fotografico del padre, destinando le lastre negative all'Istituto Storico Ravennate, sua desiderata e incompiuta creatura istituzionale. Oggi le lastre si ritrovano alla Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio di Ravenna, e le stampe, fatte trarre da Corrado, costituiscono la parte più interessante del fondo fotografico Ricci alla Biblioteca Classense.
Va ribadito l'auspicio di una ricostruzione monografica a tutto tondo dell'operosità "visiva" di Luigi Ricci, innovativa figura di cultore dei monumenti ravennati e di artista che si volse alla sperimentazione della più importante innovazione tecnologica del secolo nel campo delle arti visive.

Personaggi - pag. 8 [2014 - N.51]

L'Archivio storico di Bagnacavallo vincitore del concorso "Io amo i Beni culturali" con un originale progetto sulla violenza di genere

Patrizia Carroli - Archivio Storico Comunale di Bagnacavallo

L'Archivio storico comunale di Bagnacavallo, congiuntamente con il Liceo Torricelli di Faenza indirizzo Scienze umane, è risultato tra i vincitori della IV edizione del concorso regionale Io amo i beni culturali - sezione Archivi - indetto dall'IBC della Regione Emilia-Romagna in collaborazione con l'Ufficio scolastico regionale, l'Assessorato agricoltura e pesca, il MODE (Museo officina dell'educazione) dell'Università di Bologna e patrocinato dall'Assemblea legislativa della Regione, con il progetto intitolato Le parole delle donne.
Il concorso, che ha come scopo quello di avvicinare i ragazzi in età scolare alla conoscenza del patrimonio culturale e alle istituzioni deputate alla sua conservazione, come musei e archivi storici, persegue tale obiettivo tramite il finanziamento di progetti che vedano la partecipazione attiva degli studenti in laboratori didattici costruiti ad hoc per favorire la conoscenza del patrimonio, considerato uno straordinario veicolo di crescita del senso civico e strumento fondamentale di sviluppo della cittadinanza attiva.
Il progetto Le parole delle donne riassume in sé questo duplice scopo: da un lato avvicinare i ragazzi agli antichi documenti conservati nell'Archivio storico bagnacavallese, dall'altro utilizzare i medesimi per portarli a ragionare su un fenomeno drammaticamente attuale, come quello della violenza di genere.
Tra la documentazione conservata in Archivio esiste una serie denominata Condemnationes, costituita da sei volumi pergamenacei datati tra il 1316 e il 1349, nei quali sono state raccolte le condanne civili e criminali emesse dal Governatore di Bagnacavallo per reati commessi contro la proprietà e le persone. A un attento studio di tali volumi a opera della professoressa Maria Teresa Pezzi, ricercatrice abituale dell'Archivio nonché docente di Lettere presso il Liceo Torricelli, ci si è accorti che tra queste spiccano numerosi atti che riguardano violenze, stupri e omicidi perpetrati a danno delle donne.
Da qui l'idea e la costruzione del progetto.
Un progetto che vedrà protagonisti gli alunni delle classi seconde del Liceo e che attraverso l'analisi di alcuni di questi documenti, scelti tra quelli che sono sembrati più significativi per accaduto, e un lavoro in classe che illustri la concezione della donna in epoca medievale nei suoi aspetti filosofici, artistici e letterari, religiosi, giuridici e psicologici, porti i ragazzi a conoscere il passato per avere uno sguardo consapevole sul presente.
Il progetto è in partenariato con due importanti istituzioni del territorio: l'associazione SOS DONNA che incontrerà gli studenti per dare loro una visione concreta, basata su una esperienza ormai ventennale, dell'attualità del problema della violenza di genere e il Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza per una visita guidata alla sezione delle ceramiche medievali e in particolare ad alcuni manufatti raffiguranti la donna.
Il progetto si concluderà con la realizzazione di un video, che vedrà gli studenti non solo recitare in prima persona, ma occuparsi anche di sceneggiatura e post produzione - sotto la guida esperta del regista Domenico Ciolfi - sotto forma di docufiction, nel quale i ragazzi potranno narrare la storia accaduta tratta dai documenti e realizzare così una sorta di spot contro la violenza di genere, mettendo a frutto le conoscenze storiche e la sensibilità acquisite.
Benvenuta, Chatellina, Maria e Santa sono solo alcune delle donne le cui vicende sono testimoniate nei documenti, attraverso i quali si intende dare loro voce per tramite delle nuove generazioni, nella speranza che anche questo piccolo progetto possa formare donne e uomini consapevoli, oggi e domani.

Esperienze di didattica museale - pag. 8 [2015 - N.52]

Il ricordo di una protagonista della storia ravennate adoperatasi perchè la cultura fosse patrimonio di tutti

Luigi Lotti - Presidente Fondazione Casa di Oriani di Ravenna

Di Giovanna Bosi Maramotti ricordo la sua affabilità e cortesia, il suo straordinario ruolo di studiosa, lo sforzo di una vita a valorizzare la cultura e in particolare quella ravennate in una proiezione non chiusa nella sfera circoscritta degli specialisti, ma aperta e coinvolgente. Mi è sempre rimasta impressa l'evidenza di una personalità eccezionale di studiosa che impegna se stessa soprattutto a favore degli altri. Faentina di nascita, di famiglia e di studi liceali, ravennate di vita, Bosi Maramotti ha personificato al massimo grado, sin dall'inizio e per decenni, una vocazione culturale autentica, il nesso tra cultura e società e il ruolo della storia di Ravenna nei secoli e nel contesto della storia italiana. Era nata alla fine del '24, aveva svolto studi superiori presso il liceo faentino Torricelli, e si era laureata a Bologna nel 1947  in Letteratura latina, cui era seguito l'immediato insegnamento negli istituti superiori, licei e istituti magistrali.
L'avvio era già indicativo di un'appassionata dedizione agli studi che l'avrebbe caratterizzata per tutta la sua operosa esistenza, cardine basilare nelle fasi successive sempre più indicative della connessione di studi personali a un sempre più rilevante sforzo di valorizzazione della cultura nella società e nella quotidianità di tutti.
È un percorso di vita che ha un continuo crescendo in tappe successive e diverse, nel crescente rilievo dei suoi sforzi di garantire la cultura in una società in prorompente ascesa economica e sociale; perché non ebbe mai una concezione della cultura isolazionista e personalistica, ma anzi come componente basilare e identificativa dei cambiamenti positivi in atto nella società contemporanea. Queste tappe sono identificabili in quattro periodi della sua esistenza. La prima è quella ravennate, dell'insegnamento e presto anche del coinvolgimento nella realtà culturale cittadina, imperniata sui due pilatri della storia bizantina e della memoria dantesca. E assieme gli studi sui protagonisti della più recente cultura, da Rava a Ricci a Muratori.
Pur senza adesioni partitiche era partecipe delle speranze della sinistra classista di un cambiamento sociale. Questa sua proiezione, unita a quella sulla cultura, la fecero emergere a Ravenna, così da essere eletta nel '68 al Consiglio comunale nelle liste del PCI; e due anni dopo ad essere designata al nuovo assessorato alla cultura nella nuova giunta di socialisti e comunisti formata dopo il lungo periodo di quelle imperniate sul PRI, sulla DC e sul PSDI: segno indubbio dell'apertura a nuove problematiche e di conseguenza a nuovi protagonisti in grado di saperle interpretare. Bosi Maramotti resse l'incarico fino al '76, quando, ormai iscritta al PCI rinnovato da Berlinguer, fu eletta alla Camera dei Deputati, ove restò per tre legislature fino al 1987.
Così, gli anni dell'assessorato a Ravenna le consentirono di approfondire non solo gli studi ravennati, ma di avviare anche il riassetto delle istituzioni, col fine di renderle fruibili a tutti; così a Roma, in sede parlamentare, e come membro continuativo della commissione Istruzione e belle arti, della quale fu anche vicepresidente, si occupò a fondo di problemi inerenti l'insegnamento e più ancora le esigenze della cultura a livello nazionale. Il quarto periodo la rivede protagonista a Ravenna e fu nuovamente dedito a potenziare il ruolo della cultura locale, cui continuò a contribuire con studi propri di grande rilievo e a potenziarne le strutture: non solo con la presidenza della Casa Oriani, che deteneva già dal '74, salvaguardandola nelle sue caratteristiche, allora non frequenti, di biblioteca di storia contemporanea, ma anche  come primo presidente della Società di studi ravennati, creata nel 1991, e soprattutto in qualità del presidente della Fondazione Flaminia, creata per sostenere le nuove diramazioni ravennati dell'Università di Bologna, la cui più importante attuazione era la Facoltà per i beni culturali; contribuendo in maniera determinante al rilancio cittadino delle iniziative culturali.
Così, per tutta la sua esistenza, ha dedicato se stessa alla cultura e alla sua fruibilità in istituzioni adeguate; contemporaneamente si è immedesimata con la storia ravennate contribuendovi personalmente con studi che ne attestano la personale rilevanza scientifica: che era straordinaria, e proprio perché tale ancor più ammirevole, perché manifestata nel quadro di un impegno soprattutto volto a favore degli altri. Aveva la convinzione profonda che la cultura fosse sempre, anche localmente, un patrimonio di tutti. Dobbiamo perciò esserle grati per il doppio merito di essere stata una grande studiosa e ad un tempo una protagonista basilare della valorizzazione di istituzioni atte a salvaguardare la cultura e con essa la storia di una società.

Personaggi - pag. 8 [2015 - N.53]

La trasgressione di essere un grande talento matematico femminile nell'ultimo scorcio dell'Ottocento

Fabio Toscano - Fisico e saggista scientifico

Tra gli ultimi decenni dell'Ottocento e la prima metà del Novecento, in Italia le donne laureate in matematica costituirono un'esigua minoranza. La prima laureata era stata, nel 1887, Iginia Massarini dell'Università di Napoli. Entro la fine del secolo seguirono il suo esempio solo altre diciotto ragazze, tra cui la ravennate Cornelia Fabri: prima donna a conseguire la laurea, nel 1891, presso la prestigiosa Università di Pisa.
Ragazza dall'indole modesta e riservata, negli anni successivi Cornelia ottenne risultati scientifici di tale rilevanza da lasciar prefigurare per lei una brillante carriera di studiosa. Ma purtroppo le cose andarono diversamente. Come quasi tutte le matematiche italiane del suo tempo, anche la giovane e promettente scienziata romagnola dovette infatti abbandonare la via della ricerca, schiacciata da tutti quei pesanti pregiudizi culturali che le impedirono, in quanto donna, di prospettare il suo futuro professionale nel mondo tradizionalmente maschile dell'università.
Nata a Ravenna il 9 settembre 1869 da una antica e colta famiglia della nobiltà cittadina, nel 1887 Cornelia era riuscita ad accedere alla Facoltà di scienze fisiche, matematiche e naturali dell'Università di Pisa dopo aver agevolmente superato il relativo esame di ammissione. Trasferitasi nella città toscana insieme alla madre e alle due sorelle minori, la timida ragazza ravennate si impose ben presto per l'abilità con cui si destreggiava tra i vari corsi (unica donna iscritta alla Facoltà, assisteva alle lezioni accompagnata dalla madre) e per un'autonomia e una creatività intellettuali che rapidamente le valsero la stima di insegnanti e compagni di studio.
A Pisa, Cornelia si laureò in matematica il 30 giugno 1891 discutendo una tesi di idrodinamica (lo studio del moto dei liquidi) svolta sotto la guida del grande Vito Volterra, uno dei più eminenti matematici dell'epoca, che anni dopo si sarebbe così espresso: «Conservo vivissima memoria della signorina Cornelia Fabri, mia allieva all'Università di Pisa intorno al 1890, la prima, e forse la migliore, fra le molte allieve che ebbi in seguito a Torino e a Roma. Ricordo che il suo esame di laurea fu un avvenimento per l'Università di Pisa, non solo in quanto per la prima volta veniva ivi ad addottorarsi una donna, ma anche perché la prova fu sostenuta in modo ammirevole dalla candidata, che riportò i pieni voti assoluti e la lode».
In seguito, dopo aver condotto alcuni ragguardevoli studi sul calcolo infinitesimale, Cornelia tornò a occuparsi di idrodinamica, ambito nel quale realizzò i suoi lavori più importanti. In particolare, in alcune memorie pubblicate tra il 1892 e il 1895 la ragazza romagnola fornì pregevoli contributi allo sviluppo della cosiddetta teoria dei vortici. Frattanto, rientrata a Ravenna dopo i quattro anni di università, riprese la consueta vita familiare e nel contempo affiancò alle ricerche di carattere accademico alcuni studi di interesse locale nei campi dell'elettricità e dell'idraulica pratica.
Nel 1895 Cornelia presentò sulle pagine dell'autorevole rivista Il Nuovo Cimento un rimarchevole articolo di idrodinamica teorica intitolato "I moti vorticosi di ordine superiore in relazione alle equazioni pel movimento dei fluidi viscosi e compressibili", nel quale illustrò nuovi ed eleganti teoremi che avrebbero potuto aprirle la strada a futuri approfondimenti. In realtà, quello fu il suo ultimo lavoro. Dopo la sua pubblicazione, infatti, un definitivo sipario calò improvvisamente sull'attività scientifica dell'allora ventiseienne ricercatrice ravennate. E ciò perché all'epoca era pressoché impensabile che il mondo accademico potesse accogliere una donna per concederle l'opportunità di intraprendere una carriera lavorativa. Tanto più se si trattava di una carriera scientifica, che secondo gli stereotipi di fine Ottocento - non solo italiani - poteva declinarsi unicamente al maschile.
Messo così a tacere il suo "trasgressivo" talento matematico, Cornelia Fabri prese a trascorrere le proprie giornate in maniera alquanto appartata, seguendo un rigido calendario di pratiche ascetiche (era da sempre molto religiosa) e dedicandosi a varie iniziative assistenziali oltre che alla cura dei beni familiari, delle sorelle e dei nipoti. Colpita da polmonite, morì a Firenze all'età di quarantasei anni, il 24 maggio 1915, quando ormai la sua esperienza di scienziata era solo un ricordo lontano e malinconico.

Personaggi - pag. 8 [2015 - N.54]

Dall'Archivio Disegni della Soprintendenza alla mostra sul mito di Piero della Francesca

Federica Cavani, Emanuela Grimaldi - SBeAP Ravenna

È in corso presso i Musei San Domenico di Forlì la mostra Piero della Francesca. Indagine su un mito promossa dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì, volta a indagare la fortuna di uno dei protagonisti dell'arte italiana attraverso la critica, la ricerca storiografica e la produzione artistica, abbracciando oltre cinque secoli di storia. I musei del territorio romagnolo hanno contribuito alla manifestazione prestando alcune significative opere: la Pinacoteca Civica di Forlì, i Musei Comunali di Rimini, la Galleria dei dipinti antichi della Fondazione e della Cassa di Risparmio di Cesena e il MIC di Faenza.
Anche la Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio per la province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini ha prestato due disegni conservati nel proprio archivio riguardanti il Tempio Malatestiano e realizzati dal riminese Mariano Mancini (1861-1928): Progetto della decorazione pittorica delle pareti interne e Progetto di ripristino delle decorazioni della cappella di San Sigismondo.
Artista versatile, fu pittore, scenografo e decoratore. Dopo la formazione in terra di origine, si trasferì a Firenze e a Roma dove si perfezionò. Nel 1887 operò in Vaticano con Ludovico Seitz e negli anni seguenti fu impegnato a Napoli e all'estero su più fronti. Realizzò inoltre numerosi dipinti a olio, prediligendo raffigurazioni di nature morte di fiori e frutta. Meno note le sue attività di restauratore, disegnatore e membro della Commissione conservatrice dei monumenti e degli oggetti di antichità e d'arte per l'allora Soprintendenza di Ravenna. A Rimini partecipò attivamente alle operazioni di restauro, con particolare riferimento al Tempio Malatestiano e alla Rocca di Montefiore Conca.
L'attività del Mancini si inserisce nei lavori condotti al Tempio dai primi soprintendenti, Corrado Ricci e Giuseppe Gerola, dal 1904 al 1925, quando si avviò un'approfondita campagna di studi e di restauri, volti alla riproposizione del presunto aspetto della chiesa alla fine del Quattrocento. Uno dei problemi sempre vivi è stato quello della ricerca dei colori all'interno dell'edificio sin dalle precoci indagini risalenti alla seconda metà del XIX secolo. Alla fine dell'Ottocento il Mancini mise in evidenza sulla parete dell'aula tinte rosse e verdi in prossimità degli archi acuti di accesso alle cappelle. La ricerca delle originali coloriture sotto le successive scialbature proseguì nel primo decennio del Novecento nella cappella di Isotta, dove Mancini scoprì tracce dell'antico trattamento pittorico a finto broccato, e si estese a partire dal secondo decennio, oltre che nella cappella delle Reliquie, anche sulle pareti della navata e nelle altre cappelle a partire da quella di San Sigismondo, dove nel 1912 furono restituite testimonianze delle originarie decorazioni, tra le quali quella ad arabeschi nel baldacchino di destra.
Partendo dalle cromie rinvenute il Mancini realizzò alcuni interessanti progetti, disegni a tempera e acquerello, nei quali formulò ipotesi per il ripristino delle finiture pittoriche scomparse, che offrirono spunto per riflessioni e dibattiti sull'opportunità della ricostruzione di dette decorazioni. In uno dei due disegni della Soprintendenza si ritrova una scenografica redazione delle superfici della navata del Tempio resa con fedeltà delle proporzioni nella partitura degli elementi architettonico-decorativi e con vivace trattamento cromatico perlopiù caratterizzato dall'alternanza dei colori malatestiani e dalla presenza al primo ordine di un finto paramento a tessuto blu lapislazzuli con decori oro. Mancini ripropose tali colori, in analogia all'omologa cappella della Madonna dell'Acqua, anche nel progetto di ripristino della parete destra della cappella di San Sigismondo in corrispondenza del panneggio sorretto da un angelo. Entrambe le soluzioni di fatto non furono realizzate e si configurano come "bizzarri progetti" che la fantasia del pittore si compiaceva di creare. Nelle sue opere, "gioiosi poemetti cromatici", coniugò i due valori essenziali di forma e colore riuscendo a restituire il senso della solidità delle cose.
L'opera del Mancini, oltre all'innegabile valore artistico, per la qualità del disegno e la padronanza della tecnica pittorica, è un testo di grande importanza documentaria per la storia dei restauri del Tempio Malatestiano, che per il gusto scenografico e per le riflessioni sulla luce e sul colore si rifà al contesto della Rimini quattrocentesca che vide lavorare per Sigismondo Pandolfo Malatesta Matteo de' Pasti, Leon Battista Alberti e Piero della Francesca.

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 8 [2016 - N.55]

Oltre un secolo di storia per la Soprintendenza ravennate, dalla guida di Corrado Ricci alla recente riforma

Federica Cavani, Emanuela Grimaldi - Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per le province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini

Sono ormai trascorsi 119 anni dalla nascita della Soprintendenza di Ravenna, istituita con Regio Decreto n. 496 del 1897, affidata a Corrado Ricci e con sede nei locali dell'ex monastero di Classe dentro. Nonostante una delle priorità del Regno d'Italia all'indomani dell'Unità fosse stata quella della tutela e della conservazione del patrimonio artistico nazionale con la creazione nel 1875 di una Direzione Centrale Scavi e Musei, già sedici anni dopo si era avvertita la necessità di un controllo sul territorio più capillare con l'istituzione di Uffici Tecnici Regionali per la Conservazione dei Monumenti. All'ufficio dell'Emilia, con sede in Bologna, fu assegnato il compito di occuparsi anche del territorio ravennate che tuttavia fu lasciato in uno stato di incuria perché difficilmente raggiungibile. Solo con l'istituzione nella città romagnola di un apposito ufficio si pose rimedio alla situazione di degrado che caratterizzava in quegli anni gli edifici paleocristiani e bizantini ravennati. Nel dicembre del 1902 l'ufficio di Ravenna fu trasferito nei locali del soppresso monastero di Sant'Apollinare Nuovo, dove vi rimase fino al 1909 quando si decise di spostarlo negli ambienti dell'ex monastero benedettino di San Vitale.
Istituite definitivamente con L. 386/1907, le Soprintendenze erano suddivise tra loro per territorio e ambito di tutela. Fin da subito si caratterizzarono come centri di alta competenza tecnico-scientifica. Sono gli anni in cui a Ravenna si avviarono i grandi restauri ai monumenti e si riconobbe all'antica pineta lo status di "monumento nazionale" per il suo valore storico e il suo legame con l'arte e la letteratura. Nel 1910 venne affidata a Giuseppe Gerola la direzione della Regia Soprintendenza ai Monumenti per la Romagna con sede in Ravenna, ma competente anche nei territori di Forlì e Ferrara. Nel 1923, con l'entrata in vigore del R.D. n. 3164 le Soprintendenze furono riunite in due gruppi, uno per il patrimonio archeologico e l'altro per quello architettonico e storico-artistico. L'accorpamento non diede buoni esiti e così, sedici anni dopo, con la L. 823/1939 si ripristinò la situazione del 1907.
Sin dalla sua istituzione la Soprintendenza ravennate ha pertanto svolto, su un ampio territorio di competenza, un'articolata e complessa azione di tutela, sia ambientale che architettonica, che si è esplicata attraverso l'individuazione dei beni con l'emanazione dei relativi decreti, la loro protezione e conservazione, il loro controllo con specifiche autorizzazioni a lavori, il loro studio e la loro catalogazione.
A partire dagli anni sessanta del XX secolo si è ampliata l'attività delle Soprintendenze: da garanti della sola conservazione fisica del bene a promotori della sua valorizzazione. La Soprintendenza ravennate si è pertanto trovata impegnata anche in un'azione attiva di promozione con la gestione diretta di importanti musei e monumenti: il Mausoleo di Teoderico, il Battistero degli Ariani, il Cosiddetto Palazzo di Teoderico, la Basilica di Sant'Apollinare in Classe e il Museo Nazionale, la cui nascita, avvenuta nel 1885, precede quella della Soprintendenza stessa.
Fino alla riforma ministeriale di cui al DPCM n. 171 del 2014 la Soprintendenza di Ravenna ha esercitato sul territorio di competenza una tutela circoscritta ai soli beni architettonici e ambientali. Il Regolamento di organizzazione del MiBACT l'ha ampliata comprendendo anche i beni storico-artistici e allo stesso tempo "ha ristretto" il territorio di competenza: da Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Ravenna, Ferrara, Forlì-Cesena, Rimini si è passati a Soprintendenza Belle Arti e Paesaggio per le province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini.
Tuttavia questo recente cambiamento, a cui si aggiunge anche la perdita della gestione diretta dei monumenti e dei musei sopra ricordati, passati per effetto del medesimo DPCM al Polo Museale dell'Emilia Romagna, nuovo ufficio dirigenziale del Ministero, è stato già superato con attuazione del DM n. 44 del 2016 che ha ulteriormente allargato la tutela delle Soprintendenze Belle Arti e Paesaggio anche ai beni archeologici.

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 8 [2016 - N.56]

Un resoconto delle due giornate di studi dedicate alle prospettive future di SBN a partire dai festeggiamenti per i trent'anni della Rete Romagnola

Chiara Storti - Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino

Era davvero tenace quel contadino romagnolo che, agli inizi degli anni '80, si recava di frequente all'Istituto universitario europeo di Fiesole per bussare alla porta di Tommaso Giordano: il suo obiettivo era conoscere la logica e il funzionamento dell'infrastruttura tecnologica del nascente progetto di Servizio Bibliotecario Nazionale.

Igino, che da sempre ha la caparbietà e il senso pratico di chi è cresciuto in campagna, ma anche un raffinato intuito coltivato durante i suoi studi classici, e curiosità e entusiasmo per tutto ciò che è "nuovo", desiderava a tutti costi far partecipare le biblioteche della piccola provincia di Ravenna alla grande impresa di SBN.

Così, nell'aprile del 1986, trascinati dall'efficiente entusiasta incoscienza di Giuliana Bassi, Licia Ravaioli e Nadia Borsi - lo storico ufficio di coordinamento - , arrivarono a Ravenna tantissimi bibliotecari europei e americani per parlare di Reti e automazione bibliotecaria1: la tenacia di Poggiali era stata premiata e il Polo RAV sarebbe stato il primo Polo ad essere collegato all'Indice.

Sono passati trent'anni, il Polo provinciale è diventato una Rete che insiste su tutto il territorio romagnolo e sammarinese, al convegno del 15 e 16 settembre2 ci sono tanti dei protagonisti di allora ma anche molti volti nuovi. SBN non è probabilmente come ce lo si era immaginato: non è un servizio dalle caratteristiche definite e univocamente riconoscibili da parte degli utenti finali, non è un servizio erogato in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale, la fornitura e circolazione dei documenti è spesso difficoltosa ed intempestiva rispetto alle esigenze informative attuali, "c'è troppo catalogo". Interessante a questo proposito la disamina di Fiammetta Sabba e Giorgia Plachesi riassunta nel loro intervento "L'Opac SBN e le esigenze informative degli utenti". Qualche possibile immediata risposta viene da Giovanni Solimine che riporta le riflessioni del "Gruppo di lavoro di lavoro ICCU sulle linee d'azione per la definizione delle politiche per l'accesso ai servizi SBN"3: uso delle statistiche per un quadro realistico dei servizi cooperativi (in particolare su prestiti e prestiti ILL) e conseguente differenziazione delle biblioteche nei livelli di adesione a SBN, di cooperazione catalografica, e di fornitura di servizi ILL/DD/EDD. La questione dell'analisi dei dati statistici viene ripresa anche da Antonella Agnoli che, durante il suo confronto con Luca Bellingeri, presenta i due volumi curati dal Cepell a consuntivo dell'esperienza del progetto sperimentale di promozione della lettura "In Vitro" a cui ha partecipato, dal 2013 al 2016, anche la provincia di Ravenna4.

Quindi "cosa sarebbe - o cosa potrebbe essere - SBN senza l'Indice?" domanda Claudio Leombroni. Potrebbe essere, ad esempio, una rete di servizi che espone e rende ricercabili le proprie risorse nel web - superando i limiti dei silos bibliotecari - tramite Wikidata5: knowledge-base collaborativa, mantenuta dalla Wikimedia Foundation; una sorta di Wikipedia di "dati strutturati" collegata alle voci dell'enciclopedia ma disponibili per tutti: Andrea Zanni e Chiara Storti illustrano le possibilità di questa piattaforma per la condivisione dei patrimoni e invitano i bibliotecari a mettere in comune le proprie competenze nel Wikidata project books6. Il recupero dei cataloghi legacy di SBN in Wikidata è l'obiettivo di Marc2Wikibase, un esperimento di Giovanni Bergamin e Cristian Bacchi relativo al riversamento di record Unimarc in Wikibase - il software di Wikidata -, senza perdita di informazioni.

Le piattaforme e i progetti wiki sono la prova di come si possa davvero realizzare il MAB soprattutto, ed è la sfida più ardua, a livello di gestione dei dati. Condividendo cioè, come ripetuto più volte da Daniele Jallà, uno stesso linguaggio, comprensibile da chiunque - umano o macchina che sia -, includendo e incrementando quella parte di contesto che dà significato al dato grezzo, come precisato da Romina Pirraglia. Il Wiki non è poi soltanto una piattaforma tecnologica ma anche e soprattutto un modello cooperativo, su cui si base la proposta di "Coming Aught" di Agnese Galeffi, Andrea Marchitelli e Lucia Sardo: un Mix&Match7 dell'Authority File di SBN, economicamente sostenibile e che coinvolga i "nuovi professionisti" delle biblioteche, non sempre dotati di un inquadramento contrattuale tale da garantire l'accesso all'interfaccia diretta dell'Authority, ma che hanno competenze che potrebbero essere messe facilmente a frutto per la razionalizzazione dell'archivio.

Per realizzare un #nuovoSBN8 si deve quindi cambiare il modus operandi, passando da un atteggiamento "esclusivo" ad uno "inclusivo", come magnificamente riassunto da Paul Weston, laddove l'"inclusività" è ciò che meglio definisce le comunità "giovani", al di là della mera questione anagrafica. I Wikipediani sono "giovani" proprio perché aprono il loro mondo alla collaborazione dei bibliotecari e degli altri professionisti GLAM9. In questo processo di cambiamento è importante tenere in considerazione anche il pubblico degli utenti perché, ricorda Michele Trimarchi, le istituzioni culturali esistono perché esiste un pubblico che ne fruisce, quindi  il dibattito su come e cosa dovremmo essere non può svolgersi solo all'interno della ristretta comunità degli specialisti del settore. La Rete di Romagna, da sempre, è impegnata nella sperimentazione di soluzioni innovative volte a migliorare la users experience, anche quando applicate a procedure di back office. Un esempio è il catalogo Scoprirete FRBR10, presentato da Silvia Dessì, che mostra i risultati di ricerca nel catalogo della Rete aggregati in Opere, facilitandone lo scorrimento e la lettura e portando alla luce le connessioni con altre Opere. Daniela Simonini racconta inoltre della messa a punto di una strategia di conservazione condivisa dei periodici tra le biblioteche maggiori della Rete, che dovrebbe dare il via alla gestione cooperativa di tutto il flusso documentale: acquisizione, catalogazione11, circolazione (in particolare rendendo efficiente il prestito intersistemico) e conservazione. Nicoletta Bacco invece ribadisce l'importanza di ampliare il coinvolgimento della rete delle biblioteche scolastiche, primo presidio di educazione al piacere della lettura. "Leggerete"12, progetto di promozione della lettura digitale di cui si occupa Valentina Ginepri, si rivolge infatti anche gli studenti e alle scuole, ma non solo. Grazie a SPIDER, finanziato e realizzato in collaborazione con l'IBACN, i cittadini emiliano-romagnoli possono usufruire di un servizio di prestito intersistemico di ebook, il cui valore aggiunto è dato dal fatto che i titoli da acquistare sono suggeriti dai singoli sistemi bibliotecari - quindi in base alle esigenze specifiche della propria utenza - ma razionalizzati da un centro che fa capo alla Rete di Romagna. Si evitano, in questo modo, duplicazioni negli acquisti e spreco di risorse. Il ruolo di coordinamento e di indirizzo della Regione, dopo i recenti cambiamenti istituzionali, è oggi più che mai cruciale per la sopravvivenza delle Reti come servizi di Area Vasta; Reti che mantengano una loro autonomia e che rispondano alle caratteristiche ed esigenze dei territori, come ribadito da Alessandro Zucchini e Monica Ferrarini; continuando a valorizzare un ruolo che questo Ente ha sempre avuto nella storia recente perché, come dice Igino Poggiali, se trent'anni fa la Regione Emilia-Romagna, nella straordinaria persona di Nazzareno Pisauri, non avesse deciso di mettere il proprio cappello all'impresa romagnola forse ora non saremmo quello che siamo o non saremmo così maturi.

A Nazzareno e a tutti coloro che credono nella libertà di pensiero - e di azione -, Claudio Leombroni ha dedicato il Convegno dei 30 anni della Rete bibliotecaria di Romagna e San Marino.

 

1 SBN e Reti di automazione bibliotecaria. Esperienze internazionali a confronto a cura di Giuliana Bassi, Nadia Borsi, Licia Ravaioli, ed. Analisi, 1987

2 Il programma del convegno Trenta anni di SBN - Trenta anni di Rete bibliotecaria di Romagna e San Marino: un'eredità per il futuro e le slides degli interventi sono disponibili sul portale http://www.bibliotecheromagna.it » Agenda » SBN: un'eredità per il futuro

3 http://www.iccu.sbn.it/opencms/opencms/it/main/attivita/gruppilav_commissioni

4 Il report finale di In vitro. Un progetto sperimentale di promozione della lettura (liberamente scaricabile al link: http://www.progettoinvitro.it/repository/invitro/Documenti/report_In_vitro_2016.pdf) e Un viaggio fra le biblioteche italiane attraverso cinque province e una regione a cura di Antonella Agnoli e Vincenzo Santoro (liberamente scaricabile in formato ePub dal sito www.progettoinvitro.it).

5 https://www.wikidata.org

6 https://www.wikidata.org/wiki/Wikidata:WikiProject_Books

7 Mix'n'Match https://tools.wmflabs.org/mix-n-match/ è un tool di Wikidata che consente, anche in game mode, di abbinare nomi di persone provenienti da archivi diversi al corrispondente elemento di Wikidata (che si ritrova quindi ad avere le caratteristiche di un "Super Authority File"); per maggiori info: https://meta.wikimedia.org/wiki/Mix'n'match/it

8 http://www.aib.it/struttura/sezioni/lazio/2013/35059-aib-rilanciare-sbn/

9 https://it.wikipedia.org/wiki/Progetto:GLAM

10 Una prima versione dello ScoprireteFRBR, online da luglio 2014, è visibile all'indirizzo http://solfrbr.provincia.ra.it ; è stato però recentemente messo a punto un suo importante re-factoring che ne modifica profondamente il funzionamento, migliorando i risultati della ricerca. Il nuovo ScoprireteFRBR sarà presumibilmente disponibile nella prima metà del 2017.

11 ll Coordinamento della Rete bibliotecaria di Romagna gestisce già una piccola sperimentazione di catalogazione centralizzata con catalogatori che si spostano nelle diverse biblioteche per trattare sia il materiale corrente che quello pregresso ma, così come auspicato da Eloisa Gennaro - nella sua presentazione di un'ipotesi per un Carta dei servizi della Rete - , tale attività dovrà essere maggiormente sistematizzata.

12 Per approfondimenti è possibile consultare il portale Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino » La Rete » Progetti » LeggeRete


La pagina della Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino - pag. 8 [2016 - N.57]

Una innovativa convenzione tra IBC e Provincia amplia i servizi del Polo romagnolo puntando alla rete MAB

Eloisa Gennaro - Responsabile Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino

Oltre 1.000.000 di prestiti, quasi 8.000 movimenti digitali, ben 31.126 nuovi utenti, 15.346 volumi collocati di cui 5.800 relativi alle biblioteche scolastiche. Sono solo alcuni dei numeri registrati nel 2016 dalla Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino, la più longeva ed estesa rete di biblioteche italiane aderente al Servizio Bibliotecario Nazionale, nata oltre 30 anni fa su iniziativa della Provincia di Ravenna e cresciuta negli anni in termini territoriali, in infrastrutture informatiche e in servizi biblioteconomici a supporto degli istituti culturali romagnoli.
A saperli leggere correttamente, numeri e statistiche (vedi http://statistiche.bibliotecheromagna.it) mostrano come la Rete in questi difficili ultimi anni abbia mantenuto i servizi tradizionali legati all'appartenenza a SBN così come tutti i nuovi servizi - in primis quelli digitali - legati ad attese ed esigenze dei cittadini. Ma purtroppo evidenziano anche una battuta di arresto. Come è noto, a partire dalla legge Delrio che nel 2014 ha riformato le Province svuotandole di competenze in vista della riforma costituzionale che avrebbe dovuto abolirle, gli effetti della crisi istituzionale ed economica che inevitabilmente ha investito questo ente si sono fatti sentire anche sulla Rete bibliotecaria, bloccando di fatto l'implementazione e lo sviluppo qualitativo dei servizi.
Nonostante tutte le difficoltà - come ha ben sottolineato Claudio Leombroni sulle colonne dell'editoriale dello scorso numero di Museo in-forma - la Provincia di Ravenna, assimilando le esperienze di cooperazione territoriale tra istituti culturali alle funzioni fondamentali di assistenza tecnica e amministrativa ai Comuni previsti dalla Delrio, ha tentato di salvaguardare l'esperienza trentennale di area vasta continuando a finanziare e gestire la Rete bibliotecaria (così come il Sistema museale provinciale), lavorando al contempo in sinergia con l'IBC della Regione Emilia-Romagna per sviluppare tale esperienza nell'ambito di un più ampio ridisegno della cooperazione regionale.
Si è così sottoscritta, alla fine dello scorso anno, una convenzione quinquennale fra IBC e Provincia di Ravenna, con la quale l'Istituto affida e finanzia alla Provincia le attività del polo SBN, ovvero il coordinamento tecnico e la gestione della Rete romagnola, che comprende anche servizi innovativi come la catalogazione centralizzata. Inoltre affida alcune attività a favore degli altri poli bibliotecari emiliano-romagnoli quali, per esempio, la gestione di un sito web di statistiche e di un sistema di ticketing virtuale per problemi su Sebina, la promozione della biblioteca digitale in continuità con il progetto Leggerete, la formazione degli operatori culturali nelle modalità di Digital day o di sedute formative on site. I servizi ai poli regionali naturalmente rappresentano una significativa novità in quanto il dispiegamento di tali servizi su un territorio extra romagnolo consente significativi risparmi.
Un ulteriore obiettivo, particolarmente rilevante per il nostro territorio, dei finanziamenti regionali consiste nello sviluppo del progetto Scoprirete, basato sulla graduale realizzazione - di concerto con l'IBC - di un unico ambiente cooperativo relativamente ai servizi di back-office condiviso dalle biblioteche, dai musei e dagli archivi storici della Romagna e di San Marino: un progetto unico in Italia! Il futuro sistema culturale territoriale integrato si baserà su un nuovo modello di governance definito in una convenzione tra l'IBC, le Province romagnole e tutti i Comuni aderenti a cui le forze politiche e tecniche lavoreranno nei prossimi mesi.


La pagina della Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino - pag. 8 [2017 - N.58]

Da fattore estetico a componente essenziale della vita dell'uomo

Federica Cavani, Emanuela Grimaldi - SABAP Ravenna

Il D.Lgs 42/2004, noto anche come Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio o Codice Urbani, si occupa anche del complesso sistema della tutela paesaggistica.
Nella parte terza, il paesaggio è definito come il "territorio espressivo di identità, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali, umani e dalle loro interrelazioni" (art. 131) e si sottolinea il ruolo fondamentale della cooperazione tra le amministrazioni pubbliche al fine di pervenire alla "definizione di indirizzi e criteri riguardanti le attività di tutela, pianificazione, recupero, riqualificazione e valorizzazione del paesaggio e di gestione dei relativi interventi" (art. 133).
I soggetti legittimati a emanare l'autorizzazione secondo le disposizioni dell'articolo 146 del Codice sono infatti le Regioni e gli Enti locali da esse delegati, con l'intervento della Soprintendenza in via preventiva tramite la formulazione di un apposito parere.
Attualmente il riferimento fondamentale del quadro normativo definito dal Codice è quello della Convenzione Europea sul Paesaggio del 2000. Tale Convenzione, entrata in vigore in Italia il 1 settembre 2006, stabilisce che con il termine paesaggio si deve intendere "una determinata parte del territorio, così come è percepito dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni". Il paesaggio diventa quasi sinonimo di territorio, rectius, contesto territoriale. Tuttavia lungo e complesso è stato l'iter che ha portato alla formulazione della nozione di paesaggio: nell'ordinamento legislativo italiano già dal 1922, con la Legge 778, si precisava che "sono dichiarate soggette a speciale protezione le cose immobili la cui conservazione presenta un notevole interesse pubblico a causa della loro bellezza naturale o della loro particolare relazione con la storia civile e letteraria. Sono protette altresì dalla presente legge le bellezze panoramiche" (art. 1). A prevalere sono i valori estetico-naturalistici riferiti a specifici aspetti del territorio, così come ribadito anche nella L. 1497/1939, dove per il loro notevole interesse pubblico sono tutelate le cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale o di singolarità geologica nonché le ville, i giardini e i parchi che, non contemplati dalle leggi per la tutela delle cose d'interesse artistico o storico, si distinguono per la loro non comune bellezza, i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, le bellezze panoramiche considerate come quadri naturali e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze. L'oggetto della tutela per la legge del 1939 era essenzialmente il "bello di natura", allo stesso modo in cui l'oggetto della tutela della L. 1089/1939 era il "bello d'arte".
Anche l'introduzione del noto articolo 9 della Costituzione ha prodotto la ricezione del termine paesaggio nel significato all'epoca corrente, come risultante di un giudizio di valore e inteso come aspetto peculiare dell'identità nazionale. A tale significato si è aggiunto, soprattutto a seguito dell'introduzione della L. 431/1985, la cosiddetta legge Galasso, l'ulteriore riferimento ad altri ambiti territoriali in virtù delle loro caratteristiche morfologiche o ubicazionali, introducendo così il concetto di aree tutelate ex lege (dettagliatamente elencate dall'art. 1 e ora recepite all'art. 142 del Codice) e demandando alle Regioni, competenti nella materia a seguito della delega delle funzioni operate dallo Stato, la redazione dei Piani Paesaggistici.
I beni paesaggistici, ai sensi del D.Lgs 42/2004, sono pertanto suddivisi in beni vincolati con provvedimento ministeriale o regionale di "dichiarazione di notevole interesse pubblico" (art. 136), e sono costituiti dalle cose immobili che hanno cospicui caratteri di bellezza naturale o di singolarità geologica, le ville, i giardini e i parchi che si distinguono per la loro non comune bellezza, i complessi di cose immobili che compongono un caratteristico aspetto avente valore estetico e tradizionale, le bellezze panoramiche considerate come quadri e così pure quei punti di vista o di belvedere, accessibili al pubblico, dai quali si goda lo spettacolo di quelle bellezze e in beni vincolati per legge (art. 142) e cioè elementi fisico-geografici (coste e sponde, fiumi, rilievi, zone umide), utilizzazioni del suolo (boschi, foreste e usi civici), testimonianze storiche (università agrarie e zone archeologiche), parchi e foreste.

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 8 [2017 - N.59]

Donna sensibile e discreta, moglie di Corrado Ricci, fu autrice di testi sul ricamo e i mestieri femminili

Bianca Rosa Bellomo

Personaggi - pag. 8 [2017 - N.60]

"Ornitologo" e papà del Museo civico di Scienze naturali

Gian Paolo Costa - Responsabile del Museo Civico di Scienze Naturali di Faenza

Ricordare la figura del Domenico Malmerendi ornitologo non è agevole per chi è tutt’altro che affascinato dall’arte venatoria: viceversa il geometra Domenico era un appassionato cacciatore, lo era suo fratello Gianetto, noto pittore, lo è (o lo è stato attivamente in gioventù) il nipote Francesco, che con grande sensibilità e generosità ha voluto donare al Museo la biblioteca dello zio con pezzi rari di indubbio valore economico all’epoca rimasta alla zia, signora Ida, in quanto esclusa dalla donazione. Se poi pensiamo che fu chi scrive a chiedere che fosse intitolato al donatore l’edificio che ospita il Museo (con la annessa sala pubblica sala Malmerendi oggi utilizzatissima e notissima in Faenza e dintorni) e non il Museo medesimo, ufficialmente un neutro Museo Civico di Scienze Naturali, nel Centro Domenico Malmerendi, in via Medaglie d’Oro, 51, a Faenza... Eppure, forse anche per l’attenzione che ho sempre prioritariamente riservato sino ad oggi alla corretta conservazione del lascito Malmerendi, conservazione resa oltremodo faticosa ed assillante dalle infelici e demenziali scelte progettuali dei due architetti progettisti di questa loro luminosa opera prima rivelatasi (oltreché inidonea per tutta una serie di motivi) antipaticamente permeabile alle acque piovane... fors’anche per questo motivo, dicevo, io il geometra (mio padre era un Suo collega e lo conosceva personalmente...) l’ho sempre sentito vicino e protettivo... Il 14 settembre 1986 i locali del Museo Civico di Scienze Naturali, realizzato ex novo al centro di una splendida area verde residuale (già parte del glorioso vivaio Paganelli in Faenza), sono inaugurati presentando al pubblico un’ampia selezione delle collezioni ornitologica (ricca di oltre 2500 esemplari) ed entomologica (570 scatole entomologiche custodiscono circa 80.000 insetti!) donate alla Città di Faenza dal geometra Domenico Malmerendi. Il frutto di oltre mezzo secolo di lavoro appassionato e continuo condotto dal Malmerendi con l’aiuto (invero preziosissimo) della moglie Ida e (saltuario) di ragazzi di studio, si materializza improvvisamente, come per incanto, in un tripudio di forme e colori rimasti per anni in una protettiva penombra in attesa delle luci della ribalta (luci allora di breve durata temporale, oggi attenuate da filtri protettivi anti UV!). È lo stesso Malmerendi, scomparso ottantenne sei anni prima, a raccontarci la storia delle collezioni, in un Suo scritto datato 15 novembre 1976 del quale si propongono alcuni passaggi. Ad appena otto anni seguivo mio padre (buon genitore ed ottimo... amico) nelle sue battute di caccia e ne ritraevo godimento nell’apprendere nozioni sugli uccelli, loro nidificazioni e costumi, loro migrazioni e modo di cacciarli. Inoltre osservavo anche farfalle ed altri insetti tanto che da più grandicello ne raccoglievo ed a modo mio li preparavo, mettendone assieme un certo numero. [] Fui assunto nel 1921 da una vecchia e grossa Cooperativa locale ove svolsi il mio compito di Direttore tecnico della sezione edile. Nonostante il lavoro gravoso nel tempo libero (poco in verità) mi dedicavo alla caccia di uccelli ed alla raccolta di insetti (1923) che preparavo alla sera e nelle ore di riposo dal lavoro, raggiungendo così, nel 1944, una raccolta ornitologica di 1652 esemplari [] La seconda guerra mondiale ci costrinse ad abbandonare la casa... e sia per le granate, sia per le truppe di occupazione e soprattutto per i cosiddetti... civili che fecero man bassa su tutto, le collezioni andarono quasi totalmente distrutte.[] Nel 1948 la passione per le scienze naturali ebbe il sopravvento e, poichè in quel periodo avevo iniziato la libera professione, mi ridedicai nel tempo libero alle mie raccolte per la sola ornitologia ed entomologia cercando soprattutto di rendere, nella preparazione tassidermica, gli esemplari nelle loro pose, dimensioni e naturalezza. Tutto ciò con la collaborazione attiva e paziente di mia moglie. A tutt’oggi gli esemplari ornitologici sono 2517 tutti preparati di cui 210 esotici [] Non mi dilungo oltre, in quanto le foto allegate danno una visione, seppur ridotta, di quanto intenderei donare alla mia città. Faenza, 15.11.1976.

Personaggi - pag. 9 [2002 - N.13]

Una guida orientativa alle attività didattiche proposte dai musei della provincia di Ravenna

Eloisa Gennaro - Laboratorio Provinciale per la Didattica Museale

Il Laboratorio Provinciale per la didattica museale - grazie al contributo della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna - ha dato vita nella primavera del 2002 a un progetto finalizzato alla predisposizione di una guida orientativa alle attività didattiche proposte dai musei della provincia di Ravenna. Lo scopo è quello di mostrare a insegnanti e studenti il diversificato ventaglio delle attività didattiche pensate per loro dalle istituzioni museali del territorio. La realizzazione del progetto ha previsto alcune fasi di lavoro. Innanzitutto la compilazione di un questionario d’indagine, sottoposto ai responsabili dei 54 musei della provincia di Ravenna per verificare lo stato della didattica museale. In particolare attraverso il questionario si è voluto verificare: l’esistenza e la consistenza di personale, le attrezzature e gli spazi adibiti alla didattica; i percorsi didattici proposti nel corso dell’anno solare e scolastico; il tipo di rapporto tra operatori museali e insegnanti e i servizi offerti direttamente a questi ultimi; la produzione di materiale didattico elaborato a corredo dei percorsi proposti. La stragrande maggioranza dei musei (70%) ha risposto al questionario, manifestando dunque un’ampia sensibilità verso il tema trattato. Laddove è emersa l’esigenza di integrare le attività didattiche, il Laboratorio si è messo a disposizione degli operatori museali per elaborare sussidi didattici e collaborare alla predisposizione di percorsi a tema, a supporto in particolare delle realtà museali più piccole. Grazie a tale collaborazione sono stati realizzati tre opuscoli didattici da diffondere nella scuola dell’obbligo, due per il Museo della vita contadina in Romagna di S. Pancrazio di Russi relativi al percorso Grano e pane e uno per il Centro Etnografico della civiltà palustre di Villanova di Bagnacavallo attinente il percorso Sono un bambino romagnolo. Attualmente è in fase di preparazione un opuscolo didattico riguardante la Casa Museo "Francesco Baracca" di Lugo. Sulla base delle risposte raccolte con il questionario, il Laboratorio ha redatto una guida alle attività didattiche. Per ogni museo sono riportate tutte le notizie utili per la programmazione delle attività: brevi informazioni su orari, modalità di prenotazione e pagamento ecc. Le attività didattiche sono presentate attraverso note sintetiche, che ne specificano i contenuti, gli obiettivi, le metodologie e i sussidi didattici messi a disposizione delle classi. Le proposte comprendono sia visite guidate alle collezioni permanenti, sia attività a tema, caratterizzate da animazioni, laboratori o giochi, sia percorsi di approfondimento. I musei sono pensati anche come parti del tessuto connettivo del territorio di appartenenza, suggerendo collegamenti e itinerari dentro alle istituzioni museali e fuori. La guida si rivolge prioritariamente al mondo della scuola, ma è destinata a ben vedere a un pubblico più vasto. La guida è diffusa da dicembre 2002 in forma cartacea ed elettronica, mediante aggiornamento del sito www.sistemamusei.ra.it e inclusione all’interno della rete museale della provincia di Ravenna. Il Laboratorio Provinciale avrà il compito di aggiornare e implementare la guida in rete, aumentando il tasso di interattività a disposizione in particolare degli insegnanti, che potranno così modellare i progetti didattici in base alle loro esigenze specifiche.

Speciale didattica museale - pag. 9 [2002 - N.15]

Un volo di colori inserito nella suggestiva cornice dalla pineta di Cervia alla scoperta dello sconosciuto mondo degli insetti

Eleonora Ricci - Responsabile della Casa delle Farfalle

La Casa delle Farfalle di Milano Marittima, inaugurata nel luglio del 2002 e già visitata da diverse decine di migliaia di persone, è una realtà sicuramente molto particolare, una delle poche del genere presenti oggi in Italia. Nata per volontà dell’Amministrazione Comunale di Cervia, della Provincia di Ravenna e dell’Assessorato al Turismo della Regione Emilia Romagna, la Casa delle farfalle è gestita dalla Cooperativa Atlantide, azienda certificata UNI EN ISO 9001, leader in Italia nel settore dell’educazione ambientale e dell’ecoturismo. La struttura, inserita nella suggestiva cornice dalla pineta di Cervia (Ra), è costituita da 2 comparti affiancati: un edificio polifunzionale di 600 mq, dove trovano posto principalmente l’area didattica ed un fornitissimo shop tematico, ed una serra climatizzata che si estende per oltre 500 metri quadrati. All’interno della serra sono fedelmente riprodotti sia il clima che l’ambiente tipici delle foreste pluviali. Questo la rende perfetta per accogliere le migliaia di bellissimi esemplari di farfalle amazzoniche, africane e indo-australiane, che ogni giorno attendono i visitatori di questo mondo ricco di magia, in cui è possibile ammirare da vicino non solo l’eleganza e la delicatezza offerte da una nuvola di ali colorate, ma anche la sorprendente varietà di piante ed animali esotici che contribuiscono, nel loro insieme, alla creazione di un vero e proprio ecosistema. All’interno di questo loro piccolo mondo, le farfalle si muovono in piena libertà, e, come in una vera foresta, si posano sui fiori o sulla frutta matura alla ricerca di cibo, lottano per conquistare il proprio territorio o il proprio compagno, stringono patti di alleanza e mettono in atto sorprendenti strategie di difesa, quasi non curanti dei visitatori che, anzi, spesso usano come appoggio, attirati in particolare dai profumi dolci dei bambini e dai loro vestiti vivacemente colorati. L’idea che ha portato alla nascita della Casa delle Farfalle non è solo quella di stupire il visitatore attraverso la visione di un ambiente particolarmente spettacolare, ma anche quella di avvicinare le persone, tramite le emozioni generate dalle forme insolite e dagli splendidi colori delle farfalle, alla scoperta del complesso, e per molti aspetti ancora sconosciuto, mondo degli insetti. Con questa precisa finalità, all’interno del centro polifunzionale che sorge a lato della serra, è stata allestita una mostra didattica dedicata proprio agli insetti e ai loro segreti, svelati attraverso un percorso a tappe, caratterizzato da poster, ricostruzioni tridimensionali, teche espositive, attività pratiche e strumenti adatti per l’osservazione microscopica. Dopo una breve chiusura invernale, servita per rinnovare ed arricchire gli allestimenti, la Casa delle Farfalle ha riaperto al pubblico il 1° marzo 2003 e rimarrà aperta fino alla fine dell’autunno. Durante il periodo di apertura è possibile visitare la struttura sia individualmente, sia prenotando visite guidate; per le scuole di ogni ordine e grado, per i gruppi e le associazioni in genere, la Casa delle Farfalle ha elaborato e attivato diversi moduli-visita, differenziati in base all’età e agli interessi dei partecipanti (per informazioni: tel. 0544/995671 - casadellefarfalle@atlantide.net).

Speciale musei nascosti - pag. 9 [2003 - N.16]

Un esempio di biblioteca popolare nata per volontà del poeta santalbertese e creata dalla locale Società Operaia di Mutuo Soccorso nella seconda metà dell’800

Franco Gàbici - Capo Reparto Attività scientifiche e museali del Comune di Ravenna

Per la prima volta nella loro storia, il 21 aprile del 1872 i santalbertesi ebbero a disposizione una biblioteca, voluta dalla locale "Società operaia di mutuo soccorso" e in particolare da Olindo Guerrini, che molto si adoprò per promuovere anche quel "mutuo soccorso" culturale ritenuto indispensabile per la crescita cosciente di una popolazione. I primi dati dimostrano ancora una volta la vitalità e gli interessi culturali di un paese che da sempre si è dimostrato attento alle novità. Nei primi otto mesi di apertura, infatti, furono 107 i santalbertesi (fra questi 21 donne) che si recarono nella sede della biblioteca per chiedere libri. La sede era in piazza, nella casa Fioretti messa a disposizione gratuitamente dal Municipio. E considerando che all’epoca Sant’Alberto contava 2740 abitanti e un alto tasso di analfabetizzazione, il dato è da considerare eccezionale. La biblioteca, intitolata a Olindo Guerrini e raccolta dal 1991 in una delle sale di Casa Guerrini, partì con una dotazione di 450 volumi, più che sufficienti per disegnare la fisionomia di una istituzione che aveva come evidente scopo l’educazione del popolo ai valori del Risorgimento che stavano sempre più consolidandosi soprattutto dopo l’unità d’Italia del 1861. Difficile oggi ricostruire le vicende della biblioteca, sia perché molte opere non sono mai state restituite (la mancata restituzione dei volumi presi a prestito è continuamente lamentata nei verbali), sia per la censura del Ventennio che si premurò di eliminare dagli scaffali volumi ritenuti "pericolosi", sia infine per i danni provocati dalle guerre. Attualmente il patrimonio bibliografico ammonta a poco più di duemila volumi e un’analisi dei titoli consente anche di ricostruire la storia della biblioteca proiettata sullo sfondo dei mutamenti sociali di un’epoca fra le più interessanti. Ma forse l’aspetto più interessante è la lettura dei “graffiti” che emergono dalle pagine dei volumi. La gente, infatti, spesso scriveva ai margini della pagine impressioni e giudizi. "Molto bello", "bellissimo" e "interessantissimo" fu giudicato il Ben Hur, che fra l’altro risulta essere il volume più "consumato", a dimostrazione che il romanzo di avventura e di appendice facevano evidentemente la parte del leone, occupando circa un terzo delle intere scaffalature. Altri giudizi, invece, dimostrano il palato fine dei lettori: "Lettore, quando tu avrai letto questo libro sarai più stupido di prima" oppure "Somaro, non sa fare che a scrivere fandonie". Va infine ricordata la presenza nella biblioteca di alcuni testi scientifici di particolare interesse, come i dieci volumi della "Biblioteca di viaggi" edita dai Fratelli Treves nel 1874 e le Letture scientifiche popolari di Ernst Mach, un ottimo esempio di divulgazione scientifica. Le vicende della biblioteca sono state recentemente raccolte in un opuscolo edito a cura della Società operaia (Claudia Bassi Angelini, Olindo Guerrini e la Biblioteca popolare di Sant’Alberto, Longo Editore).

Speciale biblioteche dei musei - pag. 9 [2002 - N.14]

La vita travagliata di uno degli edifici storici più importanti di Faenza sembra finalmente aver trovato pace nella sua prossima (?) destinazione, quale sede del ricostituendo Museo del Risorgimento

Gian Paolo Costa - Responsabile del Museo Civico di Scienze Naturali di Faenza

La ricchezza, economica e culturale, che la Città di Faenza (l'antica Faventia) raggiunse tra Sette ed Ottocento è eloquentemente attestata dai palazzi neoclassici urbani, che si sovrapposero o più spesso si sostituirono alla trama edilizia medioevale e tardomedioevale, ed oggi scandiscono i percorsi faentini intramoenia.. Scrive Marcella Vitali, in apertura del ricco volumetto monografico da Lei curato - Palazzo Laderchi - che ha visto la luce nel 1998: "Il palazzo che fu dei conti Laderchi fa parte di quel complesso edilizio monumentale, prodotto dalla civiltà neoclassica, che fortemente caratterizza il nucleo del centro storico di Faenza, anzi ne è uno degli elementi più significativi sia per la felice posizione sia per il valore dell'architettura e delle decorazioni interne". La famiglia Laderchi è una delle famiglie nobili faentine più antiche e blasonate: basti ricordare che annovera un tutore - Giacomo - dell'ultimo Signore di Faenza, Astorgio III Manfredi, ed un illustre "risorgimentale" (come attesta anche la grande lapide visibile a destra della porta d'accesso al palazzo): il conte Francesco. Quest'ultimo, nel 1847, ospitò nel palazzo avito la Guardia Civica e quando questa trovò sede in altro edificio rifiutò con sdegno il ventilato rimborso, ad opera della municipalità, dei danni arrecati dalla "soldataglia". L'attuale imponente e scenografica veste del palazzo, che segna il margine settentrionale della Piazza della Libertà antistante il Duomo di Faenza e precisamente l'angolo tra via XX Settembre e corso Garibaldi, è opera dell'architetto bolognese Francesco Tadolini, su committenza del conte Lodovico e del fratello minore Achille. Achille Laderchi, uomo di vasta cultura, venne a contatto in Francia con gli ambienti illuministico-massonici e nel suo appartamento da scapolo si trova una delle gemme del Palazzo: il Gabinetto dell'Astronomia, realizzato su progetto di Giovanni Antonio Antolini e decorato da Felice Giani nel 1797. All'interno del piano nobile della dimora cittadina dei Laderchi si possono individuare quattro nuclei: quello precedente all'intervento del Tadolini, con vari soffitti, molto belli, di scuola prospettica bolognese; la splendida (e si spera non pesantemente compromessa dall'interruzione, in corso d'opera, degli interventi di restauro iniziati alcuni anni or sono) Galleria finita di decorare il 4 giugno 1794; il già citato appartamento di Achille Laderchi; gli ambienti, infine, fatti sistemare intorno al 1840 dal conte Francesco con decorazioni di Antonio Liverani, tra le quali di particolare interesse storico la lunetta, autografa del fratello di Antonio, Romolo, che raffigura la villa dei Laderchi a Prada di Faenza (per lunghi anni convegno di patrioti, di cospiratori e di liberali) con annesso mulino a vapore, il primo apparso nello Stato Pontificio. Purtroppo sul palazzo sembra aleggiare una maledizione, forse innescata dalla decisione di Lodovico ed Achille Laderchi di trasferire (ed abbattere) l'antichissima chiesa di Santa Maria Guidonis che dall'undicesimo secolo esisteva all'angolo delle strade soprammenzionate. Da quando il palazzo, nel 1905, diviene di proprietà del Comune di Faenza si trasforma (e lo è tuttora, senza riferimenti alle benemerite Associazioni ed agli Enti che si dividono gli ambienti "affrescati" dell'edificio) in un falansterio-caravanserraglio: vi hanno sede, nel corso del XX secolo, la Sottoprefettura, gli Uffici governativi (Pretura, Uffici Erariali, Poste...), la Sede amministrativa ed il Circolo ricreativo del Fascio, una scuola, l'Assessorato alla Cultura, il Giudice di Pace ed, oggi, la Società Torricelliana di Scienze e Lettere (che invero meriterebbe ambienti più ampi), l'Ente Tutela Vini (negli ambienti del conte Francesco), il Centro Sociale "Palazzo Laderchi" (con allegre partite di briscola) ecc. ecc. E pochi giorni or sono (I settimana dell' ottobre 2001) lo scrivente ha disceso in stato confusionale le scale che in passato, per esigenze lavorative, aveva salito decine e decine di volte con baldanzosa sicurezza. Un cartello esteticamente piacevole, solidale ad una severa ed elegante porta tramite quattro robusti chiodi-spilloni infissi nel legno (spilloni ingentiliti da una azzurra capocchia) informa che nei locali dell'appartamento del conte Achille (Gabinetto di Astronomia compreso) ha oggi sede il ..... Gruppo Municipale del Palio del Niballo di Faenza! Povero conte Francesco.... la Storia si ripete (in peggio)! Ultim'ora A partire dallo scorso maggio (2001) la locale Commissione Cultura prima e il Comune di Faenza successivamente hanno fatto propria la proposta, della neonata Società di Studi Storici Faentini e della Biblioteca Comunale di Faenza, di riallestire il Museo del Risorgimento e dell'Età Contemporanea. Questo Museo avrà sede in palazzo Laderchi, nei locali già occupati dal Giudice di Pace. Sede migliore non poteva essere individuata, date le posizioni di rilievo dei Laderchi in età napoleonica e nel successivo periodo risorgimentale.

Speciale edifici storici - pag. 9 [2001 - N.12]

Grazie all'impegno del Comune di Bagnacavallo, della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Bologna e dell'IBC, le opere pittoriche e gli affreschi restaurati sono ritornati nell'antico convento francescano

Lucia Betti - Assessore alla Cultura del Comune di Bagnacavallo

Fra gli obiettivi dell'Amministrazione comunale di Bagnacavallo rientrano: conservazione, recupero, salvaguardia, qualificazione e promozione del patrimonio culturale. Simbolo di questo impegno è il lavoro di recupero e di restauro che ha interessato il polmone storico-architettonico del paese: il complesso dell'antico convento di San Francesco. La storia del convento è costellata da momenti di prosperità e rilevanza religiosa, civile, politica e culturale, e s'intreccia con le vicende che hanno segnato la vita d'Italia e d'Europa: dal periodo napoleonico, con la soppressione degli ordini monastici, alla II Guerra Mondiale, che trasformò l'ex convento, sede delle scuole pubbliche, in rifugio dei bagnacavallesi durante i bombardamenti. Dalla fine degli anni '50 ebbe inizio il periodo dell'abbandono, sia per difficoltà finanziarie sia per l'assenza di un progetto condiviso di recupero. Gli anni '80 segnarono l'inversione di tendenza. L'Amministrazione comunale elaborò un progetto per intervenire sulle parti lesionate della Chiesa e, contestualmente, un progetto inerente il riutilizzo dell'intero complesso. Per un decennio si operò con interventi coordinati e mirati a un riuso, seppur parziale, dell'edificio: a opera della Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Bologna vennero ricostruiti il tetto del chiostro e le volte sui lati sud ed est di via Cadorna, mentre il Comune concentrò i propri sforzi sulla porzione di edificio comprendente Sala Oriani, incluso il restauro scientifico delle parti lignee del refettorio. Insieme con la Soprintendenza e con il Comune, l'IBC attivò un piano d'urgenza che prevedeva interventi di consolidamento, fissaggio e pulitura del dipinto di Angelo Ventenati raffigurante le Nozze di Cana, ospitato in Palazzo Vecchio, in piazza della Libertà. Il dipinto fu affidato alle cure del Laboratorio Delta di Crespellano che riportò l'opera alla solidità necessaria in vista del futuro ricollocamento nelle sede originaria. Tra la fine degli anni '80 e l'inizio del decennio scorso s'intensificarono gli interventi su strutture murarie, coperture e volte del quadrilatero: tanti piccoli stralci che hanno consentito il progressivo smantellamento dei ponteggi. Le opere realizzate in 15 anni hanno portato alla riapertura di Sala Oriani e all'uso parziale del chiostro. I fondi ottenuti attraverso la Legge per il Giubileo extra Lazio hanno permesso di recuperare la maggior parte della struttura e di destinarla ad Ostello per la Gioventù: un nuovo spazio è andato ad aggiungersi alla parte già recuperata di Sala Oriani e delle sale attigue, già utilizzate per mostre e attività culturali. Inoltre, è stato portato a termine il restauro del chiostro, si è proceduto alla completa liberazione dai ponteggi del complesso e, nel 2000, sono state trasferite le opere pittoriche. L'operazione di smontaggio e riposizionamento in San Francesco è stata curata dal laboratorio di Isabella Cervetti di Bastia. Il recupero dei dipinti ovali riproducenti i pontefici francescani, che ornano le pareti laterali della Sala Oriani, è stato finanziato dal Comune mentre le altre opere provenienti da San Francesco, vale a dire gli affreschi strappati, con soggetti profani, sono state restaurate a cura dell'IBC. L'anno giubilare ha in tal modo visto la realizzazione del progetto chiamato Ritorno a San Francesco, grazie anche al contributo della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna. La realizzazione di questo progetto è il risultato di un'intensa collaborazione del Comune con l'IBC e la Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Bologna. Oggi si sta procedendo al completamento del recupero dello scalone monumentale e dei corridoi al pianterreno e si sta verificando la possibilità di ricollocare negli spazi originari tutte le opere pittoriche restaurate. Essendo tornato a nuova vita, l'antico convento di San Francesco deve vivere. Le iniziative che l'Amministrazione vi organizza - dagli allestimenti, agli incontri letterari e musicali, dai seminari ai corsi di formazione ai convegni - vanno in questa direzione. Anche l'individuazione delle destinazioni d'uso delle parti non ancora utilizzate ha come obiettivo quello di far battere il cuore del centro storico di Bagnacavallo.

La pagina del conservatore - pag. 9 [2001 - N.10]

Giorgio Cicognani - Ispettore onorario ai Beni artistici e storici

Il culto del Crocifisso dei Cappuccini si rivelò in modo particolare nel tempo di pubbliche calamità che, di quando in quando funestavano la Romagna. Durante la peste del 1743, il terremoto del 1781, il morbo asiatico del 1837, il colera del 1855, la siccità del 1893 e specialmente le guerre mondiali si videro a centinaia i fedeli inginocchiarsi davanti al crocifisso. Le celebrazioni giubilari del 1900, del 1925, del 1950 sono l'indice della grande venerazione che ancor oggi riscuote il miracoloso Crocifisso (molte pubblicazioni dell'epoca lo testimoniarono). La cappella che conserva la preziosa scultura fu costruita 1900 su progetto dell'architetto e pittore faentino Tommaso Dal Pozzo. L'artista seguì nei minimi particolari le decorazioni della cupola e dell'intera cappella (unica tempera di grandi dimensioni che si conserva tutt'oggi). Da alcuni anni l'opera era in cattivo stato di conservazione sia per il nero fumo sia per alcune infiltrazioni d'acqua, per questo i Padri Cappuccini in occasione del Giubileo 2000 si sono attivati per salvare e ridonare splendore alle pitture affidando alla restauratrice Rossana Gondolini un accurato e paziente restauro. Dopo mesi di lavoro e di indagini l'originale pittura è tornata alla sua primitiva lucentezza e al sicuro. La venerazione alla SS. Crocifisso ebbe origine quando il convento si trovava ancora sul colle di Persolino a tre km. circa dalla città di Faenza dove nel 1535 i Frati Minori Cappuccini l'avevano fondato. Fu appunto qui che avvenne il prodigioso fatto di Fra Battista, detto volgarmente "Battistone". Nato a Faenza nell'anno 1496 dalla nobile famiglia dei Galli Castelli o Castellini, dopo essersi applicato con profitto allo studio delle lettere se ne annoiò e passò alla milizia dove si segnalò per il valore divenendo colonnello e quindi generale. Trasportato dalla sua indole impaziente di ogni freno si diede ad ogni vizio così che molti lo odiarono e gli tesero insidie per farlo morire. Si pose allora alla testa di un gruppo di banditi e con questi seminò strage nei dintorni finchè, giunto a Firenze mentre vi predicava la quaresima P. Bernardino da Siena, cappuccino, celebre oratore di quei tempi, andò ad ascoltarlo e le sue parole lo convertirono. I propositi di cambiar vita furono immediati e decise di domandare al predicatore di entrare a far parte dell'ordine. Dopo aver chiesto perdono a quanti aveva danneggiato ed altre durissime prove, venne accolto fra i fratelli e da quel momento si sottopose a digiuni continui, discipline, veglie, privazioni di ogni genere, per combattere il suo impeto naturale. Un giorno rimproverato e severamente punito per un suo leggerissimo fallo, fece tanta violenza a se stesso per umiliarsi ed eseguire prontamente la penitenza che gli era stata assegnata, che si ruppe una vena in petto. Quando si riebbe da quel malore s'inginocchiò davanti al SS. Crocifisso e, raccolto il sangue che gli usciva copioso dalla bocca, nelle mani, l'offerse a Gesù esclamando "guardate Gesù mio quanta pena ho sofferto per voi" e il Crocifisso, staccata la mano destra dalla croce, portandola al costato gli rispose "vedi, o Battista quanti spasmi ho io sopportato per te su questa croce" e poi la mano tornò sulla croce. Di questo colloquio lo stesso Fra Battista lasciò memoria in una lettera intitolata Invito spirituale alla pietosa meditazione di Gesù salvatore nostro inoltre il fatto è autenticato dal ven. Costantino Lotti di Modigliana che fu testimone del miracolo, e da numerosi storici faentini. Il frate morì il 9 marzo 1562. Subito la fama dello straordinario miracolo si diffuse ovunque e i fedeli cominciarono ad accorrere e visitare la sacra Immagine pregando dinnanzi ad essa e ottenendo grazie abbondanti. Trenta anni circa dopo la fondazione del convento, i frati si trasferirono a Faenza perchè la zona di Persolino non era sufficientemente sicura. Avevano ottenuto dal Cardinal Rusticuzzi, vescovo di Siviglia e Abate commendatario del monastero di S. Perpetua e Felicita di Faenza l'area necessaria per fabbricarvi la chiesa ed il convento tuttora esistenti lungo la via che dal Fontanone si congiunge, alle Bocche dei Canali, a quella di Brisighella. Naturalmente, quando i Cappuccini si trasferirono, portarono con se il miracoloso Crocifisso che venne collocato dapprima nel coro, ma, dato che il troppo frequente flusso dei fedeli che accorrevano a visitare la Sacra Immagine disturbava la Sacra Salmodia dei religiosi, il Magistrato della città domandò ai Superiori del convento che fosse trasportata in chiesa. Venne quindi adattato a cappella un corretto che si trovava fra due cappelle laterali e qui, dopo grandiose feste e una devota processione il Crocifisso venne trasferito il 22 novembre 1643. Continuavano intanto a verificarsi guarigioni miracolose e il culto divenne sempre più vivo. Quantunque la cappellina venisse successivamente restaurata nel 1687 abbellita e ingrandita nel 1748 e di nuovo ancora nel 1849 e arricchita per di più con dipinti di Romolo Liverani, era però sempre più ristretta e non sufficientemente consona ad un'immagine così venerata. L'idea del Pontefice Leone XIII e del Vescovo Cantagalli, che il sec. XX sorgesse con un omaggio solenne a Gesù Redentore spinse Padre Antonio Liverani a realizzare un desiderio che sentiva da tanto tempo: quello di innalzare una nuova cappella al tanto venerato Crocifisso. Nel 1899 venne posta la prima pietra, il 24 luglio 1900 veniva collocata con grande solennità la statua. Per le feste della Pasqua del 1925, in occasione dell'anno Santo proclamato dal Pontefice Pio XI, la sacra Immagine fu traslata in processione a S. Agostino per ritornare poi presso i Cappuccini. Feste e cerimonie di vario genere vennero promosse in occasione dell'Anno Santo 1933-34 dal Pontefice per ricordare il XIX centenario della Redenzione e a Faenza vennero inaugurate le stazioni della via crucis che dall'inizio di Via Canal Grande giungono fino al Santuario, quasi a celebrare la mistica unione della città a questo luogo di meditazione. Durante l'ultima guerra sul convento e sull'annesso seminario il 24 settembre 1944 vennero sganciate ben 13 bombe che distrussero tutto eccetto la cappella del SS. Crocifisso. Nel 1946 si iniziò la ricostruzione del complesso, la consacrazione avvenne il 4 luglio 1956 e la chiesa, ricostruita e spostata dal lato opposto della cappella (per renderla più grande), divenne nuovamente meta di pellegrinaggi.

Speciale Giubileo - pag. 9 [2000 - N.9]

Gregorio Caravita - Presidente Associazione per gli scavi della città e del porto romano di Classe

Già l'ultimo Giubileo del sec. XVI (a. 1575) si era esteso a Diocesi locali; tra queste Milano e Bologna, e subito Rimini. Non poteva mancare Ravenna. Qui - previsto un folto transito di pellegrini dai territori veneziani e specie dall'Est europeo (i Paesi rimasti immuni dalla Riforma: Austria e Baviera, Croazia e Slovenia, Slovacchia e Confederazione polacco/lituana, la parte d'Ungheria non ancora travolta dai Turchi), il Comune aveva disposto un comitato "per sistemare le strade del forese, rendere sicuri i viaggi, predisporre tutte le altre cose in città". E molti ravennati si erano recati a Roma, larga parte a piedi. La peste infuriava, nel veneziano 50.000 morti. Tra i pellegrini polacchi il futuro (a. 1605) card. Maciejwski, ed il padre eremitano di S. Paolo Mikolaj poi storico della Madonna Nera: debbono essere passati per Ravenna. Ora l'estensione giubilare alla periferia cattolica è di routine. Così troviamo a Cesena - diocesi rimasta suffraganea dell'Archidiocesi ravennate, dopo lo stacco delle diocesi emiliane (più Cervia) in favore della neo Archidiocesi di Bologna - un editto tipo "calmiere" "sopra li prezzi delle robbe e delli alloggi" a tutela dei pellegrini per il Giubileo che apre il 1600, e subito analogo editto per il giubileo locale del 1601. Deve essere tempo senza inflazione, in un anno le tariffe paiono congelate: "vino bonissimo bianco e negro, insalata un soldo, un paro di pizzoni a rosto, un piatto de ravioli ben conditi di formaggio e butirro... ". Appare nel secondo editto "il zecchino d'oro di Venetia", scompare dal menù "una polpetta". Se ne ricava comunque ulteriore conferma dell'intenso transito dall'Est per l'area romagnola. Circolava qui infatti la moneta ufficiale ungherese, mutuata dal fiorino ed a sua volta copiata in più nostre città - al punto da doversene indicare il controvalore per i banchi dei cambiavalute: su 14 monete a listino si dichiara il cambio solo della "Dobbla di Spagna" ed appunto dell'Ungaro d'oro. Tradizionale traffico da 600 anni: attorno al Mille Stefano, primo re cristiano d'Ungheria, elevava e dotava per i connazionali un Ospizio a S. Pietro in Vincoli tra Cesena e Ravenna - ospizio arricchito da altro re nel 1359 con le rendite di S. Maria della Pace chiesa ungherese. Il 12° Giubileo (a. 1600, Clemente VIII) è promosso con spirito pratico - ma stiamo entrando nel Barocco: fasto, cortei di centinaia di carrozze, nobili con 600 ed 800 cavalli, luminarie, macchine teatrali, congregazioni disegnate e variopinte in processione. Diffusi buoni consigli e diete del pellegrino: lunghi digiuni, non carne, ungersi il corpo con grasso di leone..., mancia alla serva. Trionfano il Bernini, Borromini, Maderno, grandi architetti che abbelliscono Roma. Ma è anche tempo di intolleranza: la Controriforma ha appena cancellato l'antica presenza ebraica, anche a Ravenna; così pressione sugli eretici, è il tempo di Giordano Bruno. L'orribile inverno del 1598 ha ucciso animali, alberi, viti; terribile l'inondazione del Tevere; segue la carestia. Riprende il brigantaggio, né bastò il rigore del successore Sisto V con oltre 5.000 giustiziati. Si riaccendono le fazioni: proprio nell'Anno Santo a Ravenna, per un premio di palio, tra guelfi e ghibellini si contano in piazza 60 morti... Ma il concetto di Giubileo era ormai consolidato, tanto che ne fu promosso uno sin dalla Riforma per il centenario Luterano (1617). Il 13° Giubileo (a. 1625, Urbano VIII) sconta la tensione di Francia e Spagna che quasi azzera il flusso dai passi alpini; nel Sud infierisce la peste. Nella Settimana Santa giungono molti pellegrinaggi dalla Lombardia; una confraternita di 232 riminesi; dal Regno di Napoli "nobili ed ignobili". Si consigliano spettacoli meritevoli di essere visti nel viaggio in Italia: "cortei trionfali, maschere e feste, matrimoni, funerali, esecuzioni capitali... non devono essere trascurati". Il papa è cultore delle armi: ne ha ormai in Castel S. Angelo per 40.000 uomini, persino una immane armeria sotto la Biblioteca Vaticana; si fortifica la costa contro la pirateria saracena. Il 18/11/1626, consacrazione della nuova Basilica di S. Pietro. Nell'ospitalità papale di nuovo sacerdoti polacchi: non è spento il transito dalla Romea. Il 14° (a. 1650, Innocenzo X) è nel segno della pace, chiusa la guerra dei Trenta Anni. SPECIALE GIUBILEO Ma il papa ha 85 anni, delega di fatto la gestione giubilare alla cognata, la virago Donna Olimpia. Il Borromini trasforma in barocco S. Giovani in Laterano; ma salva il relitto di affresco di Giotto che celebra Bonifacio VIII ed il Giubileo di Dante. Barocco sino il comportamento delle Confraternite nelle processioni, con liti nelle precedenze: nello spirito del duello del futuro Padre Cristoforo. Tra gli eccellenti predicatori, un Padre Giovanni da Lugo. Molti anche i Ravennati a Roma. Purtroppo "in quest'anno di darsi il bianco alla basilica Portuense (S. Maria in Porto di Ravenna), e specie alla Cappella della Madonna Greca annerita per la gran quantità di lumi, furono levati gli innumerevoli voti d'argento, e tavolette dipinte che stavano appese ai muri..." - Che fine avranno fatto? Sarebbe stata una splendida testimonianza della devozione popolare ed una cronaca preziosa dell'età di mezzo. E per la verità "dare il bianco", dopo 350 anni, sarebbe stato indispensabile anche in occasione di questo a. 2000; la magnifica facciata del Morigia e la città ne avrebbero tratto gran giovamento. L'anno 1650 a Ravenna segna anche il restauro di Porta Serrata. E l'ultimo giubileo del 1600 (a. 1675, Clemente X) con quello Straordinario del 1676 è ricordato dai nostri storici per "una cometa ben grande, che causò un grandissimo secco per 7 anni...". L'avanzata turca nei Balcani è bloccata sotto Vienna, la cristianità recupera l'Ungheria - a Roma si proibiscono le lotte coi tori (nel Colosseo!), appena introdotte a modo di Spagna. Su 131 Giubilei straordinari, ben 45 cadono nel 1600, quasi con cadenza biennale. A Ravenna una "taglia di 100 scudi, segretezza, impunità... contro i banditi che mercoledì 10/3 alle 5 hanno scalato le mura della clausura delle Monache di S. Andrea per rubare..."; nulla di nuovo sotto il sole. Si conclude così il XVII secolo: età aurea del Barocco tra il secolo di Riforma e Controriforma, e quello dell'Illuminismo e della Rivoluzione francese.

Speciale Giubileo - pag. 9 [2000 - N.8]

Alba Maria Orselli - Professore ordinario di Storia del Cristianesimo antico nell'Università di Bologna

Nella stagione del Tardoantico e del primo Medioevo, cioè nei secoli che corrono dal IV al IX secolo, Ravenna ci appare nelle sue fonti (scritte, così narrative come documentarie, monumentali, iconografiche) tesa a fissarsi nell'identità di una basileousa polis/regia civitas: una identità che si persegue per mimesi della "prima Roma", la "Roma seniore" delle fonti giuridico-canonistiche, nella successione e tradizione legittima dei suoi vescovi, attraverso Apollinare, dall'apostolo Pietro archetipo dell'istituzione ecclesiastica; e della "nuova Roma", Costantinopoli, nella configurazione e nell'assetto fisico-simbolico degli spazi urbani e nella presenza per rappresentazione (nella persona dell'esarco) dell'autorità imperiale. Per la "prima " come per la "nuova" Roma, un concorso di realtà aveva determinato per tempo la loro capacità di proporsi come meta privilegiata, o almeno passaggio necessario, dei grandi itinerari devozionali. Questi noi siamo soliti designarli come "pellegrinaggi"; ma non è inutile ricordare che "pellegrinaggio" è nel senso tecnico solo il viaggio compiuto a imitazione del patriarca Abramo, uscito per comando divino dalla sua terra, dalla sua famiglia, dalla sua casa (Gen. 12,1), cioè il viaggio che ci rende definitivamente "stranieri", estranei al nostro mondo, e ci conduce a una meta escatologica: l'adesione fisica alla storia del Cristo e all'attesa del ritorno di Lui in Terrasanta, o, più tardi, l'uscita dalla dimensione del peccato e della sofferenza penitenziale con il conseguimento del grande perdono giubilare presso le tombe apostoliche. Tali realtà si riconoscono, per la "prima Roma", nella presenza delle tombe trionfali dei principi degli Apostoli, e di una folta presenza di resti martiriali (cui l'iniziativa imperiale, la cura dei vescovi, l'evergetismo del ceto clericale danno nel tempo sistemazioni via via più manifestamente organiche e magniloquenti, alla ricerca di un ordine che è ideologicamente e storicamente significativo); per Costantinopoli, che le fonti tradizionalmente connotano come tutta cristiana all'atto della sua rifondazione costantiniana, nell'acquisizione di un patrimonio di reliquie e di memorie dell'Antico e del Nuovo Testamento e della cristianità più antica: secondo la nostra moderna interpretazione, evidenza di un meccanismo di legittimazione del potere stesso dell'imperatore, e della dimensione urbana in cui quel potere si manifesta e in qualche modo si incarna. Di realtà simili ci mancano però chiare evidenze per Ravenna, almeno nelle fonti dei suoi secoli alti. La leggenda che narra di Giustiniano giovinetto, profugo a Ravenna per sfuggire ai tumulti costantinopolitani che lo hanno reso orfano, e cui la saggia nutrice consiglia di rifugiarsi sotto la protezione dei santi ravennati, presso le loro tombe (ciò che determinerà la fondazione delle loro insigni basiliche), può ancora correre lungo uno schema stereotipico, dalla Aedificatio Ecclesiae Classensis, uno scritto anonimo di poco posteriore alla fine del XII secolo, al Liber de Constructione aureae aedis divi Vitalis martiris del cinquecentesco Giovan Pietro Ferretti, ripreso da Girolamo Rossi nel l. III delle sue Storie Ravennati: ad Apollinare o a Vitale, all'uno o all'altro dei due santi protettori (insieme "geminorum lumina oculorum" della cristianità ravennate secondo la nota espressione di Pier Damiani) si rinvia indifferentemente- o piuttosto, in rapporto all'ambito di produzione della fonte, alla cultura e alle finalità del suo autore. Ed è, ad ogni modo, tradizione documentata posteriormente al tempo che qui consideriamo. Un parallelo possibile tra Ravenna e Roma, un possibile riconoscimento di Ravenna come polo devozionale e prima ancora ecclesiologico, che la assimili, non nel profilo storico ma in quanto punto di riferimento, alla Roma di Pietro, può venirci incontro da alcune pagine di Gregorio Magno, dalle lettere del luglio 599 all'arcivescovo di Ravenna Mariniano e al notarius Castorio (Reg. IX,178 e 179), in cui si concede a Massimo vescovo di Salona (in Dalmazia: poco più tardi la sede si traslerà a Spalato, poi sempre tradizionalmente gravitante nell'orbita giurisdizionale ed ecclesiologica della Chiesa Romana), reo di simonia e altre colpe e scomunicato, di fare piena confessione e penitenza, con giuramento, "ante corpus sancti Apollinaris". Un atto che, in alcuni altri casi simili, il medesimo epistolario gregoriano ci mostra doversi compiere in Roma, "ad beati Petri sacratissimum corpus". Se il "decentramento" ravennate dell'atto di sottomissione di Massimo poté in parte anche essere dovuto alle difficoltà allora esistenti, per cause belliche, per le comunicazioni di terra tra Ravenna e Roma, resta la piena assimilazione, sul piano ecclesiologico e nei suoi riflessi disciplinari, della tomba del protovescovo ravennate ai limina apostolorum romani. Infine: il Pontificale Ravennate di Agnello (25) conserva per noi la tradizione di un viaggio devozionale in senso proprio, attribuendolo al tempo dell'episcopato di Pietro I, il cui profilo in certa misura coincide con quello storico del Crisologo, e dunque rinvia all'età dei grandi dibattiti cristologici. Con quella temperie teologica e culturale la pagina che qui si evocherà appare perfettamente congruente, al punto da lasciarci sospettare che siamo di fronte all'estratto di un dossier di argomento cristologico messo insieme, in vista delle riunioni conciliari, per affermare la compresenza nel Cristo della pienezza delle due nature. Protagonista del racconto è un "anziano" del deserto, un vecchio eremita che si consuma nel desiderio di vedere il Signore nell'aspetto della sua incarnazione, cioè nella certezza anche della sua umanità. Sarà esaudito, dopo un lungo viaggio nel quale avrà per compagni due leoni (scorta misteriosa quanto docile, per quell'Adamo rinnovato che è il monaco santo, con il quale le forze della natura tornano ad essere in pace come nei giorni dell'Eden); sarà esaudito a Ravenna, sospinto qui da una visione che gli indicherà il luogo preciso, l'ardica della chiesa Petriana, in cui troverà dipinta l'immagine agognata - e avendola contemplata, potrà morire in pace. Speciale Giubileo La tradizione dell'eremita tardoantico ci proietta dunque, per Ravenna, precisamente nella dimensione del cammino devoto e fiducioso di colui che a Roma "viene a veder la Veronica nostra" (Par. XXXI, 104), cioè, secondo altre parole di Dante stesso, "quella immagine benedetta la quale Jesu Cristo lasciò a noi per essemplo de la sua bellissima figura" (Vita Nuova XL,1).

Speciale Giubileo - pag. 9 [2000 - N.7]

L'insieme di reperti di epoca romana recuperati in loco e reimpiegati nella struttura architettonica della Pieve uniti a quelli collocati un tempo nell'antiquarium della chiesa, fanno di San Giovanni Battista in Ottavo un vero e proprio museo archeologico

Paolo Casadio - Storico dell'arte Sopritendenza del Friuli Venezia Giulia Sede di Udine

L'interesse archeologico della Pieve del Thò (San Giovanni Battista in Ottavo), presso Brisighella, e del sito sul quale sorge è dovuto a due fatti: a) la presenza (al pari di quanto si constata in altre pievi dell'entroterra ravennate istituite in luoghi nei quali il culto cristiano si era radicato già nei secoli dell'Alto Medioevo) di materiale romano di spoglio inglobato nelle strutture architettoniche; b) l'esistenza in seguito agli scavi condotti nell'edificio soprattutto tra il 1951 e il 1967 (con riprese di minor importanza sino al 1979-1980) di una raccolta di frammenti e manufatti di varia natura e datazione recuperati durante i lavori e collocati - fino a qualche anno fa - negli ambienti (adibiti ad antiquarium ) ricavati al di sotto dell'attuale pavimento della chiesa. a) Gli elementi archeologici di maggior rilevanza usati nell'erezione della chiesa romanica (che doveva essere compiuta nel 1100) sono: una colonna in marmo rosa di Verona (quinta della fila di sinistra) e otto in granito orientale su una delle quali (quarta della fila destra) è incisa una iscrizione che ricorda gli imperatori Valente, Valentiniano e Graziano (376-378). Inoltre alcune basi di colonne e sette capitelli in parte rilavorati la datazione dei quali si scala dal I secolo a. C. (grande capitello usato come acquasantiera) al III-IV secolo (quattro capitelli, sulla quarta e sulla quinta colonna della fila sinistra e sulla terza e sulla quinta colonna della fila destra) e al V-VI secolo (due capitelli sulla terza e sulla sesta colonna di sinistra, sul primo dei quali è scolpita una croce). Nelle strutture murarie sono stati inglobati frammenti di epigrafi (nella controfacciata, lato nord forse appartenente a un sargofago e sulla parete di fondo della navata destra). A questi cospicui elementi reimpiegati si devono aggiungere elementi dell'arredo liturgico fisso appartenenti alla fase storica della chiesa precedente l'erezione dell'attuale (che va collocata tra la fine dell'XI e l'inizio del XII secolo). Si cita in particolare il bassorilievo che funge ora da paliotto dell'altar maggiore raffigurante Cristo seduto tra due angeli, due palme e due agnelli riferito all'VIII-IX secolo murato forse nel XVI secolo al di sopra della porta di ingresso e due frammenti appartenenti ad un pulvino (con una croce tra elementi fitomorfi) già murati sull'arco di accesso alla canonica e databili al VI-VII secolo. b) La raccolta di reperti recuperati durante gli scavi e ricoverata nell'antiquarium è attualmente in restauro da parte della Soprintendenza Archeologica di Bologna (restauratrice Ardea Fabbri, direzione scientifica dr.ssa Chiara Guarnieri). I risultati di tale lavoro potranno fornire indicazioni per un nuovo progetto espositivo dei pezzi. Va ricordato che gli scavi condotti tra il 1951 e il 1967 vennero eseguiti secondo la prassi allora corrente, ossia senza procedere alla ricognizione per unità stratigrafiche normalmente seguita oggi insieme alla registrazione dell'andamento del lavoro su diario di scavo. L'assenza di tale documentazione rende non facile una esposizione del materiale che voglia proporre una lettura didatticamente chiara dei reperti e non un semplice allestimento antologico dei pezzi. Lo scavo individuò la presenza di un insediamento romano nel sito sul quale sorse la chiesa, forse una villa della quale si è trovata traccia della sua pars fructuaria . Si rinvennero infatti otto dolii al di sotto della attuale navata destra a 2,20 metri di profondità e altri quattro nella attigua corte interna presso il pozzo. A tale momento dovrebbe appartenere anche il pozzo con drenaggio messo in luce in corrispondenza della terza arcata interpretato da taluni come piccolo forno o fornace (ma da altri come "celletta per cure termali"). Ad un livello più alto della celletta venne messa in luce una tomba con un inumato priva di corredo e un muro formato da mattoni romani e da sassi regolari che si sviluppa per una lunghezza quasi pari alla navata. Si tratta di elementi cronologicamente precedenti il primitivo edificio di culto cristiano messo in luce al di sotto dell'abside attuale usato forse come cripta della chiesa eretta in età romanica (alla fine del sec. XI - inizi sec. XII) e colmato con materiale eterogeneo forse solo nel XVI secolo quando la costruzione venne aumentata di due arcate e assunse l'aspetto attuale. La lettura di tale ambiente (riferito da taluni al VI secolo) è controversa: l'esame della tessitura muraria (che ingloba anche materiale romano come una tabula lusoria inserita nel muro a sinistra dell'ingresso originario) non esclude che l'absidiola semicircolare della cripta possa esser stata aggiunta in un momento successivo ad un originario impianto a semplice aula rettangolare con annessa una stanza di disimpegno a pianta quadrata ("camera della colonna"). La cripta doveva avere una copertura a volte sorretta da sei colonne come è dimostrato dal ritrovamento di alcune basi sul pavimento originario. Anche se le opinioni a tal proposito non sono concordi si dovrebbe escludere la continuità d'uso tra impianti architettonici romani e il primitivo edificio di culto cristiano: va poi ricordato che i pezzi ritrovati nello scavo (usati come materiali di riempimento) non sono necessariamente originari del sito. E' possibile che nella zona -forse già in epoca preromana- fossero vivi culti dedicati a divinità delle acque salubri assorbiti poi nel sistema religioso romano e "santificati" successivamente dall'innestarsi del culto cristiano. A tal proposito è stata richiamato come spia significativa il toponimo "in Feroni" associato alla chiesa negli antichi documenti che potrebbe essere eco di un antico culto a Feronia. Oltre ai dolii sopra ricordati, i reperti più significativi provenienti dallo scavo sono: un frammento di stele con iscrizione agli Dei Mani, una macina da frantoio, elementi romboidali di pavimentazione in cotto, mattoni manubriati, lacerti di intonaci affrescati, un elemento in marmo bianco a forma di grata o feritoia, frammenti di vetri e di anfore e frammenti appartenenti a un pluteo del IX secolo con intrecci e grappoli d'uva e croce greca. Insieme ai materiali romani e altomedioevali gli scavi portarono alla luce anche manufatti più recenti (ceramiche e materiali da ricollegarsi al riempimento eseguito nel 1570-1572 per innalzare il pavimento della chiesa).

Speciale siti e musei archeologici - pag. 9 [1999 - N.6]

Alcuni appunti di Raffaello Biagetti sull'opera dell'architetto italo-austriaco presente nel Museo dell'Arredo Contemporaneo di Russi
Se immaginiamo l'architettura come metafora dell'esistenza o come era dell'antichità metafora dell'universo intero, ci sembra che oggi l'architettura non possa essere pensata se non come la somma di frammenti, somma di luoghi non continui ma disegnati piuttosto da percorsi più o meno inaspettati, più o meno avventurosi, di volta in volta reinventati". Così Ettore Sottsass definisce l'architettura, come specchio della frammentarietà dell'esistenza contemporanea, somma di eventi in cui è forse inutile mettere ordine. Nato a Innsbruck il 14 settembre 1917, egli si trasferisce a Trento al seguito del padre architetto e allievo di Otto Wagner, poi nel 1928 a Torino dove nel 1939 si laurea in architettura. Sono per lui anni di inquietudine, all'impeto creativo che preme per esprimersi non è certo la retorica dell'insegnamento accademico ad offrire uno sbocco. Sottsass desume dai propri studi antropologici il legame magico-rituale, l'appartenenza psicologico-affettiva che unisce l'uomo al proprio ambiente e si dirige, solitario, verso un mondo espressivo in cui sensazioni e stati d'animo siano indiscussi protagonisti. Le sue intuizioni sul colore e sulla luce, individuati come elementi primari di progettazione, le sue intuizioni sui materiali, ai quali restituisce un significato autonomo, trovano conferma definitiva durante il primo viaggio negli Stati Uniti, nel 1956. A New York collabora con lo studio di George Nelson. Si accosta alla pittura informale di Pollock, De Kooning, Gorky. Riconosce, in questa esperienza, il forte senso di libertà espressiva. Nel 1958 collabora con l'Olivetti, questa consulenza gli permetterà di estendere la propria concezione progettuale su oggetti destinati all'uomo e seguirne il processo tecnologico: nasce in quel periodo la macchina da scrivere Valentina. Sottsass esegue allestimenti di varie mostre, progetta lampade, specchi, tappeti, inventa mobili molto particolari, sperimenta materiali poveri e preziosi, lui stesso scrive: "Se questa fatica porterà a qualcosa non lo so: non si sa se stiamo facendo la stessa vita e la stessa fine degli ignoti che muoiono esangui senza sorriso e senza primavera alla periferia di tutte le città del mondo o se un giorno potremo dire che è stata dura ma che adesso sappiamo meglio cos'è un tramonto". Nel 1993 mio figlio Alberto mi consigliò di incaricare Ettore Sottsass per l'ampliamento del Museo dell'Arredo Contemporaneo di Ravenna. Oggi sono orgoglioso di averlo fatto, sorge fra Ravenna e Russi un'architettura straordinaria che dà prestigio al nostro territorio. Ai gentili lettori consiglierei di consultare un volume appena pubblicato Sottsass Associati 1980-1999. Frammenti (edizione Rizzoli).

Speciale musei artistici - pag. 9 [1999 - N.5]

Gian Paolo Costa - Responsabile del Museo Civico di Scienze Naturali di Faenza

La storia del Museo Civico di Scienze Naturali di Faenza, temporalmente non lunghissima ma quantomai intensa (e travagliata), è segnata da alcune date. Il 14 settembre 1985 il Museo naturalistico faentino si presenta per la prima volta al pubblico. Nelle sale espositive del fabbricato costruito ad hoc negli anni 1979-1980 viene esposta, fino al 13 ottobre 1985, un'ampia selezione delle collezioni ornitologica ed entomologica donata alla Sua Città dal geometra Domenico Malmerendi. La "raccolta Malmerendi" era divenuta formalmente di proprietà pubblica l'8 ottobre 1980, pochi mesi dopo la scomparsa del donatore (ormai ottantenne) che aveva comunque vinto la sua decennale battaglia: le collezioni sarebbero rimaste nella Sua Faenza, in Romagna, a costituire ad un tempo uno strumento scientifico di grandissimo valore per lo studio dell'ambiente naturale romagnolo ed il nucleo di aggregazione di un Museo che si propone oggi, alle soglie del Terzo Millennio, quale Istituto museale di assoluto rilievo. Il Centro "Domenico Malmerendi", sede del Museo, sorge all'interno di un'area verde in passato parte di un vivaio localmente molto noto, Orto Paganelli, oggi allestita a Giardino Botanico: sono a dimora oltre 200 specie vegetali individuate da cartellini identificativi di colore verde (specie spontanee in Romagna), di colore bianco (specie spontanee in Italia) e di colore nero (specie esotiche s.l.). Tra gli alberi residuali del vecchio Orto Paganelli è da segnalare una monumentale Sequoia sempervirens. Nel Giardino si trova la capannina meteorologica che ospita i moderni sensori elettronici di rilevamento dell'Osservatorio Meteorologico "Evangelista Torricelli", aggregato al Museo e con sede nel Centro "D. Malmerendi". Il Museo Civico di Scienze Naturali di Faenza pur essendo aperto al pubblico solo in occasione di mostre temporanee o visitabile su prenotazione ha registrato nell'anno 1998 più di seimila visitatori ed altrettante presenze di giovani utenti dei servizi didattici (visite tematiche e laboratori) promossi dalla convenzionata Associazione culturale PANGEA. Sono attualmente esposte al pubblico: · l'ornitofauna italiana s.l. (stanziale, svernante, di passo): tutti gli esemplari esposti provengono dalla "collezione ornitologica Malmerendi"; · la fauna a mammiferi del territorio faentino (gli animali tassidermizzati sono giunti in Museo nell'ultimo decennio - anni '90 - a seguito di investimenti stradali, ingestione di bocconi avvelenati, di atti di bracconaggio); · la paleofauna di Oriolo di Faenza (resti fossili di animali vissuti 8-900.000 anni or sono: rinoceronte, ippopotamo, bisonte ed elefante - l'eccezionale cranio, disarticolato ma completo, del Mammut di clima caldo Mammuthus meridionalis scoperto il 22 giugno 1987 -); · la paleofauna di Brisighella, individuata dal brisighellese Tonino Benericetti a metà agosto 1985 ed oggetto di un estenuante lavoro di ricerca e di raccolta non ancora ultimato; sono state individuate a tutt'oggi oltre cinquanta specie di mammiferi e di rettili "africani" vissuti localmente cinque milioni e mezzo di anni or sono; · lo scheletro compilato di Orso delle Caverne (Ursus spelaeus) che fino al termine del secondo conflitto mondiale era custodito presso la sede dell'Istituto Italiano di Speleologia a Postumia; All'esterno del Museo, per motivi di ingombro e soprattutto di peso (55 quintali!), è conservato un blocco calcareo con impronte di dinosauri proveniente dall'Altipiano del Cansiglio e "recuperato" dalla diga foranea nord di Porto Corsini (Ravenna) il 24 luglio 1996, su segnalazione del geologo ravennate Sandro Venturini. Infine, dal 22 dicembre 1998 (Solstizio d'Inverno) fa bella mostra di sé, sulla facciata del Museo, un orologio solare ceramico di grandi dimensioni realizzato in memoria del faentino Ennio Golfieri, per oltre mezzo secolo figura di assoluto rilievo sulla scena culturale di Faenza. L'architetto Ennio Golfieri disegnò il quadrante solare in questione nell'anno 1927, studente alla Regia Scuola Superiore di Architettura a Roma.

Speciale musei naturalistici della scienza e della tecnica - pag. 9 [1999 - N.4]

Gian Paolo Costa - Direttore del Museo Civico di Scienze Naturali di Faenza

L'Associazione Culturale M.A.T.E.R. di Russi (Macchine Agricole Tradizione Emiliano Romagnola) nasce nel 1995 con la finalità statutaria di "riscoprire le radici" attraverso la rivisitazione dei "mestieri di un tempo", in particolare di quelli più direttamente legati alla cultura contadina della Romagna solatia di Pascoliana memoria. Gli oltre cento fra soci e simpatizzanti della Associazione possiedono oltre un centinaio di macchine agricole, tra le quali si segnalano per rarità un trattore Landini del 1925 con raffreddamento a vasche ed un locomobile (motore a vapore su ruote) del 1910, sempre della Giovanni Landini, ancor oggi funzionante ed utilizzato nelle manifestazioni pubbliche animate dalla M.A.T.E.R. per azionare, come un tempo, trebbie fisse da aia. Le trattrici d'epoca, con ruote metalliche in un pezzo unico in fusione di ghisa, e da amatore, le macchine agricole e gli strumenti da lavoro in disponibilità della M.A.T.E.R. , nonché gli stessi soci della Associazione, costituiscono una sorta di Museo territoriale vivente della Cultura agricola ravennate, in grado di consentire periodici viaggi a ritroso nel Tempo alla volta di anni, non esageratamente lontani, nei quali in campagna i faticosissimi lavori della mietitura, della trebbiatura e della aratura, per esempio, si svolgevano in un'aura sacrale. Tra gli altri si possono rivisitare proprio i lavori di trebbiatura e di aratura, studiati e riproposti in ogni dettaglio coreografico ed operativo dalla M.A.T.E.R., assistendo, per quanto riguarda l'aratura, all'utilizzo sia dei buoi e sia di trattori d'epoca Landini (Giovanni Landini, n. 1859 - RE), Bubba (Pietro Bubba, n. 1849 - RE), Orsi (Pietro Orsi, n. 1852 - MN). Il M.A.T.E.R., assistendo, per quanto riguarda l'aratura, all'utilizzo sia dei buoi e sia di trattori d'epoca Landini (Giovanni Landini, n. 1859 - RE), Bubba (Pietro Bubba, n. 1849 - RE), Orsi (Pietro Orsi, n. 1852 - MN). L'Epopea della nascente meccanizzazione della agricoltura italiana venne vissuta intensamente anche nel ravennate: proprio a Ravenna l'officina Baroncelli realizzò, alle soglie del conflitto mondiale 1915-1918, la prima trattrice italiana con motore a scoppio. La M.A.T.E.R. ha sede in Russi, c/o Antonio Moretti (0544-580570).

Speciale musei etnografici - pag. 9 [1998 - N.3]

Gian Paolo Costa - Direttore del Museo Civico di Scienze Naturali di Faenza

La collezione "Martinelli" di trattrici agricole (e motori d'aereo) è ricca di oltre venti trattori funzionanti, tra i quali Landini ("Super", "Velite" ed altri modelli), Orsi ("Artiglio" e "Super"), John Deere, Fordson, Breda, ed è frutto dell'appassionato lavoro di raccolta, protrattosi per un ventennio, di Ciro Martinelli. Ciro Martinelli (1924-1984), carpigiano (MO) di umili origini, è una figura indubbiamente singolare. La passione per l'aviazione in primo luogo e per la meccanica in genere era talmente forte in Lui da indurlo a battezzare Orville uno dei due figli maschi (Orville Wright fu il primo aviatore della Storia il 17 dicembre 1903). Ideatore e depositario di ben tredici brevetti internazionali nel settore delle macchine per maglieria divenne titolare della ditta COMET di Faenza; a partire dalla metà degli anni '60 iniziò a raccogliere in particolare trattori d'epoca e motori d'aereo che, ove necessario, restaurava di persona smontandoli e rimontandoli integralmente. l l figlio Gian Carlo, che di recente ha trasferito l'intera raccolta paterna in un ampio ricovero appositamente costruito a Pietramora (Brisighella), ricorda ancora l'emozione giovanile provata nel vedere il padre avviare, in pochi minuti, un Landini a testa calda fermo da più di quindici anni! Della "collezione agricola" fanno parte anche una grande trebbia ed una pressa per paglia della ditta Hofherr Schrantz. Per quanto riguarda i motori d'aereo, questi sono dieci, risalgono alla Seconda Guerra mondiale e sono veri e propri monumenti tecnologici: basti citare l'imponente Pratt & Whitney ventotto cilindri (completo di elica) originariamente montato su un B 29 - una "Fortezza Volante" - o il Rolls Royce che motorizzava gli Spitfire o, ancora, il Daimler Benz di cui erano dotati i rivali Messerschmitt. L'industria bellica italiana è rappresentata da un motore Fiat stellare a quattordici cilindri. Gian Carlo Martinelli ha in animo di aprire al pubblico, in un prossimo futuro, la sua raccolta ed è allo studio un progetto espositivo; si pensa di corredare i pezzi che gli spazi disponibili permetteranno di esporre adeguatamente con documenti cartacei (molti già in possesso) e con filmati d'epoca che si conta di reperire in futuro.

Speciale musei etnografici - pag. 9 [1998 - N.3]

Daniele Serafini - Servizio Cultura del Comune di Lugo

Con il '98 è iniziata la seconda fase della vita del Museo Baracca, dopo il trasferimento del '93 dalla sede storica della Rocca Estense alla casa natale del pioniere dell'Aviazione italiana. Nel maggio scorso il Museo ha infatti ufficialmente acquisito e collocato nel cortile di Casa Baracca un significativo reperto, su iniziativa dell'Associazione Amici del Museo Baracca si tratta del FIAT G 91 Y, aereo da ricognizione e da caccia costruito nel 1957 dall'ingegnere Gabrielli, dono dell'aeronautica Militare al Museo, la cui presenza intende rimarcare, unicamente allo SPAD VlI di Francesco Baracca del 1917, la centralità dell'idea del volo come tecnica ma anche come elemento qualificante e "mito" della modernità. Aspetto del resto già sottolineato dal giovane Baracca, nel 1912 allorché da Reims, dove studiava per il conseguimento del brevetto da pilota, scrisse al padre una lettera che conteneva una straordinaria intuizione: "(... ) ora mi accorgo di aver avuto un'idea meravigliosa, perché l'aviazione ha progredito immensamente ed avrà un 'avvenire strepitoso". Parole gravide di significato e di premonizione, se si pensa che si era veramente agli albori dell'avventura nei cieli. Proprio questa circostanza, unicamente alle 34 vittorie conseguite e alla morte prematura, ha contribuito alla formazione e al consolidamento di quel "mito Baracca" che il Museo cercherà di documentare in modo sempre più puntuale attraverso lettere, documenti, cimeli ed immagini, accentuando in tal modo, all'interno del percorso cittadino legato a Baracca, il proprio ruolo di supporto alla ricerca storica ed all'approccio scientifico nella ricostruzione di quel periodo. A questo scopo, e per rendere fruibili tutti i documenti ed i cimeli che fino al '90 si potevano ammirare nella Rocca Estense, verrà realizzato, nel corso del '98 e del '99, un secondo stralcio di lavori che investirà il primo ed il secondo piano del corpo di fabbrica che dà su via Baracca, ivi compresa l'installazione di un ascensore. Contestualmente Casa Baracca sarà dotata di un supporto audiovisivo che consentirà ai visitatori di avere un quadro complessivo della vita e della personalità dell'asso dell'Aviazione Italiana.

Speciale casa museo - pag. 9 [1998 - N.2]

Giorgio Cicognani - Ispettore onorario ai Beni Artistici e Storici

Balilla Pratella nel 1943 così scriveva: Luigi Varoli, pittore, artiere solitario, mago, grande maestro. Nessuno è mai riuscito strappargli dagli occhi il velo azzurro delle illusioni e dei sogni. Varoli insegna ai piccoli con cuore di padre e con fantasia di incantatore antico. Dipinge da pittore geniale scolpisce il legno, batte il ferro, plasma la creta e la cartapesta; suona,esperto alcuni strumenti .... ha le radici nella sua terra e nel suo paese...Forse vi è ben poco da aggiungere a queste parole per conoscere questo Maestro e Artista. Egli ha amato Cotignola a tal punto che nessun incarico riesce ad allontanarlo dalla sua casa e dalla sua gente. La sua abitazione ricavata dalle scuderie di Palazzo Sforza diventa ben presto una casa-scuola, uno studio all'aperto per i giovani allievi. Il giardino del pittore si trasforma in una specie di cenacolo della cultura cittadina. Nel 1962 la signora Anna Cortesi, moglie dell'artista, donò l'immobile e tutte le sue opere con grande generosità al Comune di Cotignola (come da atto notarile del 12 ottobre 1962). La casa e il suo bel cortile si trasformano in un museo di memorie cittadine. Questo piccolo atelier è pieno di opere d'arte, di cimeli storici, artistici, archeologia. Nel giardino si trova l'importantissimo monumento funebre di Caio Vario (uno dei più notevoli monumenti funerari dell'epoca romana) ed altre testimonianze archeologiche di diverse epoche.Attualmente l'abitazione ospita la locale Scuola di Musica mentre i quadri, le ceramiche e le altre opere dell'Artista sono stati trasferiti nel vicino Palazzo Sforza dove è stato allestito un Museo a lui dedicato. Sarebbe opportuno invece che le opere ritornassero, nella loro sede per ricostruire il fascino di un ambiente nato per essere un piccolo centro di cultura. L'operazione non presenterebbe alcuna difficoltà, ma anzi sarebbe i un dovuto omaggio a Varoli (Cotignola 1889-1958), così da rispettare le sue volontà testamentarie. Nel cuore di Cotignola si rivivrebbe un fascino antico (le emozioni, di insegnamenti non solo riferiti al passato, ma anche per le future generazioni. In questa nostra Italia dove così rari sono questi complessi casa-museo è auspicabile che ben presto anche la dimora di Cotignola possa tornare al suo uso originario. A Palazzo Sforza può rimanere il Museo a lui dedicato raccogliendo testimonianze e tesori d'arte della città.

Speciale casa museo - pag. 9 [1998 - N.2]

Nadia Ceroni - Conservatore della Pinacoteca Comunale di Ravenna

Una delle possibilità, per le istituzioni museali, di acquisire e di incrementare il proprio patrimonio artistico, è rappresentata dalle donazioni. Il collezionismo privato ravennate, infatti, ha inciso notevolmente sulle vicende costitutive della locale Galleria dell'Accademia di Belle Arti - attuale Pinacoteca Civica - fin dalla sua nascita nel 1827. Al nucleo di opere di proprietà comunale - formatosi sulla base del patrimonio artistico appartenuto alle corporazioni religiose soppresse durante il periodo napoleonico - si aggiunse un cospicuo gruppo di opere depositate da privati cittadini che, come attesta l'epigrafe di Pietro Giordani, "per amor della patria tolsero dalle case i più pregiati quadri e li depositarono nella Pinacoteca". Negli Atti dell'Accademia, doni e depositi di opere d'arte e di gessi si succedono per tutto il secolo scorso. Entro la prima metà del Novecento, invece, i nuclei più significativi furono quelli donati da Enrico Pazzi, Corrado Ricci e Vittorio Guaccimanni, che svolsero un ruolo fondamentale per l'ordinamento didattico dell'Accademia e il riordinamento storico-artistico della Pinacoteca. Questa tradizione delle donazioni ha subito un particolare incremento dopo il 1970, in seguito al trasferimento dell'Accademia e della Pinacoteca da via Baccarini all'attuale sede in via di Roma, presso l'ex monastero di Santa Maria in Porto. L'avvio di una periodica attività espositiva, caratterizzata da mostre monografiche o collettive, ha reso possibile la formazione di una significativa collezione d'arte contemporanea, costituitasi grazie alle donazioni di artisti temporaneamente ospitati negli spazi museali della Loggetta Lombardesca e di Santa Maria delle Croci. A queste occasioni, collegate ad avvenimenti espositivi programmati, si aggiungono anche frequenti acquisizioni di opere in seguito a donazioni e lasciti testamentari da parte di privati cittadini. Ai numerosi esempi di mecenatismo, per lo più di provenienza locale, si aggiunge oggi il legato disposto dalla signora Angela Massaroli, vedova Gritti, nata a Santerno il 13 aprile 1902 e deceduta a Ravenna il 17 luglio 1993. Il testamento olografo, redatto il 15 giugno 1990, conteneva le seguenti disposizioni: "Lascio alla Pinacoteca di Ravenna i quadri e le ceramiche da essa scelti in via S. Agata 13 e in via delle Nazioni 121 a Marina di Ravenna; i miei gioielli custoditi nella cassetta di sicurezza presso il Credito Romagnolo di Ravenna e i Buoni del Tesoro custoditi presso tale Banca coi quali in parte fosse fatta una vetrinetta per custodirli, i due candelieri d'argento con impugnatura in malachite e il portasigarette d'argento con la malachite che trovasi nell'armadio dell'ingresso sportello destro". La donazione, quindi, si presenta particolarmente interessante ed anomala per il museo ravennate, comprendendo non solo quadri, ma anche ceramiche e gioielli che sono stati acquisiti al patrimonio artistico della Pinacoteca. Tra i quadri si sottolinea in particolare, la presenza di due opere del pittore ravennate Giovanni Naglia, mentre le ceramiche sono per lo più riconducibili al faentino Pietro Melandri. Un discorso a parte meritano i gioielli, per loro natura maggiormente legati a occasioni affettive e personali: 11 pezzi di elegante fattura, databili intorno al primi anni del Novecento, che la signora Massaroli ha voluto donare alla Pinacoteca, preoccupandosi anche della loro museificazione. Si tratta di un gesto particolarmente significativo che riconosce, nel museo ravennate, l'istituzione deputata alla conservazione, gestione e valorizzazione dell'intero patrimonio storico-artistico di pertinenza comunale. Angela Massaroli ha lasciato di sé un segno qualificante e di prestigio, offrendo al pubblico godimento oggetti di natura privata e famigliare. Si ripete ancora una volta, quel gesto di mecenatismo che già abbiamo visto all'inizio dell'Ottocento - alla luce di un nuovo senso civico. "Dalla famiglia alla comunità, dalla tesaurizzazione alla storia" è quanto afferma Andrea Emiliani a proposito degli strumenti offerti dallo Stato Italiano (Legge 512/82), :affinché il cittadino possa divenire un "mecenate degno, almeno in parte, della importanza significativa di altri tempi. Ciò che è indispensabile davvero è che ogni cittadino sappia recuperare la strada utile e necessaria che porta la sua coscienza culturale fino al contatto con la vita dell'arte, con la grandiosa entità che in Italia si chiama patrimonio artistico".

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 9 [1998 - N.1]

Ivana Anconelli - Laboratorio "Giocare con l'arte" Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza

Quando mi viene chiesto di fare degli articoli su libri o riviste per la didattica, quasi sempre la mente va a ritroso nel tempo al giorno in cui fui chiamata a dirigere questo laboratorio e con nostalgia ripenso alla "giovinezza passata" ma soprattutto a tutte le mie alunne che dal lontano 1982 hanno frequentato i miei corsi di aggiornamento didattico per la ceramica. Quante ? Non saprei dire, ma provenienti da tutte le parti e dall' estero. Dapprima con curiosità e poi via via con passione esse hanno assorbito quello che io "andavo a raccontare" come un assetato davanti ad una fontana d'acqua fresca, portando fuori dal nostro museo per diramarlo in tutta Italia il metodo Bruno Munari, il mio maestro. Tanti volti forse più di mille, tante menti ricche di creatività e amore per l'infanzia. Tante ancora presenti, come Laura ed Elisabetta, che hanno continuato nel tempo a mantenere i collegamenti e gli aggiornamenti ampliando il loro laboratorio della "ceramica grafica" al mosaico, tante invece perse come portate via dalle "ali del tempo", ed è proprio a queste che i miei pensieri ogni tanto corrono ; cosa faranno ? Avranno avuto possibilità poi di poter mettere in pratica quello che avevamo imparato ?Io spero di sì, la voglia di fare, di operare era tanta. Quindici anni sono passati e anno dopo anno il mio bagaglio di esperienza e di professionalità è cresciuto sia col lavoro che col contatto diretto con tutte le mie "allieve". Perché sì io avrò "raccontato" ma loro in cambio mi hanno donato allegria, dedizione, interesse e un caleidoscopio enorme di caratteri diversi, crescendo insieme nella conoscenza. Di tutto questo devo ringraziare il mio direttore prof. Giancarlo Bojani che mi ha dato l'opportunità di tale esperienza.

Speciale didattica - pag. 9 [1997 - N.0]

Marina Mannucci - Scuola Materna Privata e Doposcuola - Ravenna

Dal 1995 conduco presso la mia scuola "Il Girotondo" corsi sperimentali di didattica museale : Di volta in volta il percorso di studio viene in parte programmato da me e in parte "inventato" assieme ai bambini. Scopo di queste iniziative è abituarli a sentirli interpreti della storia e farli riflettere sul concetto di bene culturale. Mi sono posta l'obiettivo specifico di trovare con gli alunni che frequentano il corso una chiave di lettura per le opere d'arte e di educarli a questo rapporto. L'obiettivo generale è invece far capire ai ragazzi che, grazie alla forza intuitiva dell'esperienza concreta, qualunque realtà può essere studiata da diverse prospettive e punti di vista. Durante le esperienze compiute in questi anni, anziché fornire dati e nozioni da assimilare meccanicamente o passivamente,ho preferitoimpostare il discorso di approccio all'opera d'arte attraverso la presentazione di una serie di domande a cui gli alunni dovevano rispondere solo sulla base delle proprie conoscenze e intuizioni. In questo caso con l'aiuto dell'insegnante si risolve per lo più in un'opera di supporto e di indirizzo. E così i bambini, impegnati nella ricerca di soluzioni per i quesiti che si presentano spontaneamente nel corso delle visite all'interno di musei, chiese o palazzi antichi, vengono stimolati a pervenirvi attraverso strade diverse.In questo modo si sviluppa un rapporto originale fra lo studio della storia dell'arte e l'esperienza reale dei ragazzi che non pervengono a scoperte eccezionali, ma stabiliscono rapporti di relazioni mediante intuizioni e ragionamenti individuali.Ogni bambino, quindi partecipa coi propri mezzi cognitivi all'esplorazione dell'argomento scelto e sente di contribuire personalmente alla conoscenza generale dell'oggetto preso in esame : questo meccanismo origina negli alunni un profondo senso partecipativo e di soddisfazione.

Speciale didattica - pag. 9 [1997 - N.0]

Le case dei letterati romagnoli faranno parte di un percorso illustrato in un cd e in una pubblicazione

Dante Bolognesi - Direttore Fondazione Oriani

Da non molti anni si sta assistendo ad una attenzione crescente verso le case museo degli scrittori. Le iniziative italiane (la nascita dell'associazione delle "dimore della poesia italiane", di parchi letterari, i convegni) ed europee (ad esempio, il progetto Castalia, "reseaux européen de lieux de mémoire d'écrivains", promosso a Nantes) avevano spinto Vittore Branca a vedervi una incoraggiante occasione per accompagnare il processo di unificazione europea, per ora tutto economico e monetario, con la valorizzazione del sentimento di appartenenza, con la "costruzione della coscienza di un'Europa, anzi di un'umanità unite nella cultura dell'anima". Il visitatore, vedendo i libri, i mobili, le atmosfere diversissime ma illuminanti intellettualmente e moralmente, racchiuse nelle dimore degli scrittori, spesso lontane dai grandi circuiti del distratto e onnivoro turismo di massa, non poteva non provare un fecondo "brivido spirituale". A dire il vero molti di questi progetti così ambiziosi non hanno avuto lo sviluppo desiderato e si sono via via persi nel meandro delle procedure burocratiche della Comunità europea o nelle esiguità delle risorse disponibili. Resta il fatto che, come mostra anche una breve incursione nella rete Internet, stanno moltiplicandosi le dimore di scrittori e artisti aperte al pubblico in una molteplicità di esperienze e di proposte museali. Anche in Romagna sono numerose le "case degli scrittori" disseminate nel territorio: già il catalogo dei musei regionali, edito recentemente dall'Istituto per i beni culturali, mostra la ricchezza di tali istituti, di cui una mappa, sempre promossa dall'IBC, con assai minore attenzione filologica, conferma il profondo radicamento nel tessuto regionale. Esse documentano doviziosamente taluni modi di essere della produzione letteraria italiana, e romagnola, fra otto e novecento. Si tratta di percorsi molto diversi l'uno dall'altro così come assai diverse possono essere nella loro identità e tipologia le case museo. Si è comunque in presenza di fenomeni di singolare rilievo per la storia recente della vita culturale italiana e regionale, nelle sue interrelazioni complesse con il costume, l'ideologia grazie alla compresenza di documenti di diversa natura, dai libri alle carte, dai mobili alle suppellettili, dalle fotografie alle sculture… Dunque, una grande risorsa nel già ricco panorama delle istituzioni museali su cui ci si è interrogati sulle prospettive e sulle modalità di una valorizzazione che sappia conciliare le odierne esigenze del turismo culturale con la discrezione rivolta a salvaguardarne l'identità. Fino ad oggi le case museo della Romagna si sono presentate isolatamente, giustamente attente alla irripetibilità e alle specificità dell'esperienza che esse raccontano e testimoniano. Ma pensiamo che riproporre un percorso sistematico fra questi luoghi possa garantire, oltre ad una più ampia conoscenza dell'offerta culturale del territorio, una nuova consapevolezza delle specifiche identità culturali di una regione. Da Monti a Pascoli, da Panzini a Moretti, da Oriani a Guerrini e Saffi i luoghi della memoria costituiscono dei punti di ancoraggio degli scrittori nello spazio ove hanno vissuto, da cui hanno tratto in qualche modo ispirazione: nel loro operare, si sono incontrati, hanno fraternizzato o polemizzato fra di loro, si sono confrontati con il pensiero e le opere dei predecessori, hanno lasciato testimonianza nelle loro dimore di queste esperienze. Di qui la proposta della casa museo "Il Cardello" della Fondazione Oriani di avviare un discorso comune fra le case museo romagnole, al fine di proporre un percorso letterario sistematico fra i luoghi della memoria degli scrittori, per affinità epocali, ideali, temperamentali. Proposta immediatamente accolta, oltre che dagli istituti, dal servizio cultura della Provincia di Ravenna: la realizzazione di un CD interattivo e di una pubblicazione potrà diventare la prima tappa di un percorso unitario che si spera possa garantire alle case museo nuove prospettive di sviluppo.

Speciale case dei letterati - pag. 9 [2003 - N.17]

Proposte per un percorso archeologico turistico

Valerio Brunetti

Il territorio della provincia di Ravenna si propone al turismo archeologico con due importanti e noti siti archeologici: la grande villa romana di Russi, scoperta nel 1938, e l'antico porto di Classe a Ravenna, individuato nel 1974. Si tratta di aree di notevole interesse, sulle quali, pur proseguendo gli scavi, sono già stati svolti interventi di restauro e valorizzazione. L'alta provincia ravennate, che già gode di alcuni poli di forte interesse turistico come Faenza ed i centri termali di Brisighella e Riolo Terme, potrebbe offrire un'ulteriore attrattiva con la realizzazione di un percorso archeologico attraverso la visita di significative "emergenze" archeologiche, alcune un po' dimenticate altre totalmente sconosciute, sparse nelle vallate del Lamone e del Senio, portate alla luce nell'arco di tempo che va dai primi agli ultimi anni del secolo scorso. Nell'agro faentino troviamo il primo monumento: è il sepolcro romano di S.Barnaba, localizzato a valle della via Emilia nell'omonima località. È collocato a pochi passi dall'attuale argine destro del fiume Lamone e sorgeva lungo l'antica via che da Faenza conduceva a Ravenna. Si tratta del basamento di un grande monumento funerario di età imperiale, a pianta quadrangolare, realizzato con grossi blocchi di spungone, una pietra calcarea locale. Fu individuato nel 1902 ed è l'unica testimonianza superstite di questa tipologia funeraria nel faentino. È stato restaurato e circondato con un muretto di protezione. Superata Faenza, salendo la via Faentina in direzione di Firenze, a pochi chilometri dalla città incontriamo sulla destra il colle di Persolino. Qui sorge la scuola agraria Caldesi nel cui fondo sono stati rinvenuti a metà del secolo scorso, insieme ad altre testimonianze, i resti di un edificio sacro con stipe di tipo etrusco. Le murature sono state restaurate e sono visibili in loco. Sempre lungo il percorso della Faentina, oltre la cittadina di Brisighella in località Strada Casale, in un terreno posto tra l'antica strada e la ferrovia , nel 1970 sono stati portati alla luce alcuni ambienti appartenenti ad un più ampio edificio di età romana augustea, frequentato anche successivamente. L'impianto, che viene variamente identificato sia come mansio che come villa, è costituito da muri in ciottoli, mattoni sesquipedali e frammenti laterizi, con pavimenti in opus spicatum e soglie in pietra. Le strutture sono state restaurate e si conservano all'interno di una piccola area delimitata da un terrapieno. Proseguendo nella vallata, in località Monte del Tesoro, posta sul crinale tra il Lamone ed il rio Ebola sempre in comune di Brisighella, nel 1996 è stato portato alla luce un originale edificio di culto altomedievale, realizzato in pietra locale e costituito da un vano rettangolare orientato ad est, con abside semicircolare. Le murature si conservano per un altezza massima di due metri. Sorgeva probabilmente lungo il tracciato della Faentina che in quei secoli aveva abbandonato l'insicuro percorso di fondo valle. Il complesso è oggetto di un intervento di conservazione e restauro. Abbandonato il Lamone entriamo nella vallata del Senio dove, tra i centri di Castel Bolognese e Riolo Terme ed a poche decine di metri dalla strada Casolana, sorgeva l'antica pieve di S.Angelo in Campiano. In seguito alla presenza di alcuni importanti resti murari in alzato, negli anni ottanta sono state svolte alcune campagne di scavo che hanno permesso di individuare la cripta dell'edificio, diverse fasi costruttive tra il IX e il XIX secolo e i resti dell'antica facciata che permettono di identificare in questa pieve la più estesa tra quelle ravennati. L'intero complesso, ubicato in una splendida posizione panoramica, è in attesa di restauro. A queste testimonianze all'aperto, raggiungibili con una certa facilità attraverso la viabilità ordinaria, si possono aggiungere i due importanti ed affascinanti siti archeologici ipogei delle grotte della Tanaccia a Brisighella e del Re Tiberio a Borgo Rivola, purtroppo non facilmente accessibili a causa della morfologia dei luoghi che le accolgono. La presenza di queste testimonianze su un circuito turistico già collaudato a livello regionale come il "mare e collina", le rende fruibili, oltre che dal pubblico locale, anche dai numerosi visitatori che frequentano la nostra provincia. Questo deve stimolare gli enti locali a collaborare con la Soprintendenza Archeologica per il loro recupero e valorizzazione, promuovendo ed incentivando anche progetti come Adottiamo un monumento che possono coinvolgere proficuamente le scuole e le associazioni del volontariato culturale.

Speciale archeologia - pag. 9 [2001 - N.11]

Alla collezione risorgimentale della biblioteca si affiancherà quella di Mario Guerrini, recentemente donata alla cittadinanza, in un percorso di mostre tematiche che si estende dalla repubblica Cisalpina alla prima guerra mondiale

Claudia Giuliani - Conservatore Istituzione Biblioteca Classense

La raccolta di cimeli risorgimentali conservata presso la Biblioteca Classense data la sua costituzione ad oltre un secolo fa. Essa nacque dalla volontà di aderire all'intento celebrativo dell'eroico periodo risorgimentale propagatosi sull'intero territorio nazionale dopo l'Unità d'Italia, nonché dal timore di disperdere memorie cariche del pathos derivante dalla vera e propria venerazione tributata ai protagonisti, martiri o vincitori, della vicenda dell'indipendenza italiana. I Ravennati che avevano partecipato ai moti, alle guerre d'indipendenza, nonché alle vicende garibaldine, in primis naturalmente alla trafila dell'eroe successiva alla Repubblica Romana, fecero dono alla amministrazione comunale dei ricordi in loro possesso, fossero essi armi, divise, buffetteria, opere grafiche e dipinti o carteggi e documenti personali, testimonianze tutte di sentita partecipazione popolare, a cui si andarono ad aggiungere documentazioni, per lo più cartacee raccolte dai quei "tutori" delle memorie documentarie ravennati, quali furono Primo Uccellini prima e Silvio Bernicoli poi. La raccolta peraltro strettamente si intreccia con le collezioni classensi, in particolare ai manoscritti, agli autografi e al monumentale carteggio di Luigi Carlo Farini, di enorme importanza per la storia del Risorgimento ravennate, lasciato alla Classense per volontà dell'onorevole Luigi Rava. L'afflato di civica buona volontà dei donatori non si tradusse mai in un istituto museale dedicato al Risorgimento cittadino, senz'altro a causa delle conflittualità legate alla interpretazione della memoria storica del Risorgimento. Alcune esposizioni in occasione di eventi quali l'Esposizione Regionale Romagnola del 1904, le onoranze in morte di Garibaldi del 1932 e la celebrazione del centenario dell'unità nel 1959 hanno comunque permesso alla cittadinanza la visione dei ricordi risorgimentali, in un'ottica assai legata allo spirito di culto ed esaltazione sentimentale che fu proprio dei Musei del Risorgimento sorti in tutte le città d'Italia dopo gli anni ottanta del secolo XIX. Già nell'allestimento della prima sezione del Museo del Risorgimento che si realizzò all'interno della Biblioteca Classense solo nel 1997, dedicata precipuamente alla vicenda garibaldina a Ravenna, e al culto che ne derivò, si volle dare un segnale di novità in direzione di una più attuale dimensione museografica, in grado di lasciar spazio alla analisi critica e all'interpretazione degli eventi storici, in particolare al disvelamento dell'intento di sacralizzazione delle vicende storiche fondanti della nuova nazione italiana insito proprio della costituzione dei Musei del Risorgimento. Lavori di inventariazione e restauro eseguiti a tappeto sui materiali documentari del museo ci permettono oggi una piena fruizione di beni la cui prima destinazione ad un Museo del Risorgimento inteso come tempio sacro della nazione, si piega alla funzione di testimonianza storica allargata alla conoscenza di un epoca che fu sì di lotte eroiche e martìri, ma assai più di vita quotidiana e varietà di condizioni sociali, di vicende pubbliche e private di grande valenza conoscitiva per le scuole e il grande pubblico. Lo sforzo espositivo che si va a realizzare oggi nei prossimi allestimenti della collezione municipale Classense, a cui si affiancherà la Collezione Mario Guerrini recentemente donata alla cittadinanza, si propone di valorizzare la raccolta, rendendola visibile, pur in un percorso di mostre tematiche, nella sua interezza, la cui consistenza cronologica si estende dalla Repubblica Cisalpina alla prima guerra mondiale.

Speciale nuove adesioni - pag. 9 [2003 - N.18]

Il corso di laurea in Tecnologie per la conservazione e il restauro dei beni culturali (Tecore) propone interessanti iniziative didattiche e di ricerca per gli studenti in materia di scienza della conservazione e restauro, avvalendosi anche di collaborazioni internazionali

Rocco Mazzeo - Presidente del corso di laurea in Tecnologie per la conservazione e il restauro dei beni culturali

Il corso di laurea in Tecnologie per la conservazione e restauro dei beni culturali (www.tecore.it) istituito nell'a.a. 2001-2002 dalla Facoltà di scienze matematiche, fisiche e naturali, ha sede in Ravenna e si svolge in collaborazione con la Facoltà di conservazione dei beni culturali. A decorrere da questo a.a. è attiva la laurea specialistica in Scienze e tecnologie per la conservazione e restauro dei beni culturali, che rappresenta il naturale prolungamento della laurea triennale verso una maggiore specializzazione nel settore della scienza della conservazione. A discipline di carattere scientifico, che provvedono ad impartire allo studente quelle conoscenze necessarie all'impiego di metodi e tecnologie d'avanguardia nel settore della diagnostica e del restauro dei beni culturali, si affiancano discipline di carattere umanistico necessarie a contestualizzare il bene culturale sul quale si opera e a meglio interpretare i risultati e le metodologie analitiche impiegate. A completamento delle attività didattiche, sono a disposizione degli studenti, per lo svolgimento di tirocini e tesi di laurea, Laboratori di diagnostica (Laboratorio di diagnostica dei beni culturali, Laboratorio di microscopia ottica, a scansione ed FTIR, Laboratorio di chimica analitica, Laboratorio di archeometallurgia, Laboratorio di spettroscopia Raman, Laboratorio di bioarcheologia, Laboratorio di tomografia RX ed NMR ed il Laboratorio di analisi termiche ed EGA), in cui vengono svolte ricerche avanzate nel settore delle scienze e tecnologie applicate ai beni culturali con particolare riguardo al settore dei bronzi all'aperto, dei materiali archeologici, delle superfici policrome e del materiale lapideo ed un Laboratorio didattico di Restauro di nuova attivazione presso la nuova sede del corso di laurea agli ex-Asili, in via Tombesi dall'Ova 55. Sono state anche stipulate convenzioni per attività di didattica, tirocinio e ricerca con istituzioni statali, quali la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia Romagna, e con aziende di restauro private, tra cui i Laboratori di Restauro di Giovanni Morigi, Marco Sarti ed Ada Foschini. Ad integrazione delle attività didattiche è stato attivato un Master di I livello in Studio e restauro di materiale archeologico aperto a 15-20 laureati in discipline umanistiche e scientifiche, parzialmente finanziato dal Fondo Sociale Europeo ed organizzato in collaborazione con la Fondazione Flaminia, che avrà luogo in Ravenna. Giova ricordare, inoltre, la serie di 12 seminari (www.tecore.unibo.it alla voce seminari) denominati I martedì di Tecore che da marzo a maggio saranno tenuti i martedì alle 16.00 presso la Casa Matha in Ravenna. Il filo conduttore dei seminari, organizzati in stretta collaborazione con la Pinacoteca di Bologna, sarà il metodo, la diagnosi, il restauro e la conservazione di dipinti presentati con esempi di straordinario valore scientifico tra cui la Croce di Giotto in Santa Maria Novella, la Madonna dei Fusi di Leonardo, la Cappella degli Scrovegni a Padova, i dipinti della National Gallery di Londra, la Madonna del Cardellino di Raffaello attualmente in restauro nei laboratori dell'Opificio delle Pietre Dure di Firenze, i dipinti bolognesi del 600 e 700 e le opere contemporanee di De Nittis, Fumi e Cattelan. Nelle giornate del 28 e 29 Maggio 2004, presso la sede di Tecore, avrà luogo un Seminario Internazionale su Conservazione e restauro di dipinti murali dell'estremo oriente: quando oriente ed occidente s'incontrano e si confrontano / Conservation restoration of far Asian mural paintings: when east and west encounter and exchange. Il seminario organizzato, grazie al contributo del Settore Relazioni Internazionali dell'Università di Bologna e della Fondazione Flaminia, in collaborazione con l'Istituto per la Conservazione e Valorizzazione dei Beni Culturali (ICVBC)-CNR di Firenze e lo Xi'an Centre for the Conservation of cultural relics di Xi'an (Cina) sarà non solo l'occasione per esporre i risultati scientifici di una ricerca svolta in collaborazione con i colleghi cinesi e volta a caratterizzare lo stato di conservazione e le tecniche di manifattura di dipinti murali d'epoca Yuan (XII sec d.C.) ma anche un momento di discussione e confronto su aspetti metodologici relativi all'etica, alla diagnostica ed all'operatività del restauro di superfici policrome, affrontati in contesto occidentale ed orientale.

Speciale restauro - pag. 9 [2004 - N.19]

Seguendo le linee di indirizzo regionali, la Provincia intende intervenire, attraverso il Piano museale, per una crescita stabile ed omogenea dei musei del territorio

Eloisa Gennaro - Eloisa Gennaro

Pur essendo ormai condivisa la funzione del museo come luogo di diffusione di cultura, in grado di proporre diversi e qualificati servizi alla città, la vivacità dell’offerta museale è spesso rallentata, tuttavia, da limiti di ordine organizzativo e finanziario. Per valorizzare in modo ottimale il patrimonio culturale è innanzitutto necessario consolidare la rete di cooperazione tra tutti i soggetti chiamati a svolgere tale funzione.
Non è un caso che il Programma regionale degli interventi in materia di biblioteche, archivi storici, musei e beni culturali per il triennio 2004-2006 consideri prioritaria la collaborazione tra i diversi soggetti, sottolineando proprio come il contesto in cui ci si trova ad operare sia oggi caratterizzato da una perdurante incertezza sul piano istituzionale e dalla crescente riduzione delle risorse finanziarie.
In tale ottica, la Provincia di Ravenna ha stanziato per il 2004 consistenti risorse aggiuntive – pur nell’ambito delle compatibilità finanziarie date – in modo da implementare le attività del Sistema Museale, alla luce sia degli standard di qualità da perseguire sia dell’ampliamento del Sistema a seguito dell’ingresso di ulteriori 15 musei.
Con il Piano museale 2004 vengono finanziati svariati investimenti, sulla base dei progetti presentati da 25 musei, pubblici e privati. Va certamente apprezzata la molteplicità degli istituti museali, omogeneamente dislocati su tutto il territorio provinciale – 10 nell’area lughese, 8 nell’area faentina, 7 nell’area ravennate – e per la stragrande maggioranza caratterizzati dalle limitate dimensioni: si tratta di realtà che offrono servizi talora inadeguati e lontani dal traguardo degli standard ma che, proprio per questo, meritano di essere assecondate in un percorso graduale di crescita. A fronte dei non facili obiettivi da raggiungere, conforta la complessità delle proposte provenienti dai musei, anche quelli piccolissimi, che desiderano evidentemente dare maggior vivacità alle loro prestazioni e servizi. Il Piano museale tiene conto di sollecitazioni, obiettivi e indirizzi elaborati in sedi diverse: le Linee guida internazionali (codice ICOM), le Direttive statali e regionali sugli standard e, soprattutto, le Linee di indirizzo contenute nel “Programma regionale degli interventi”, lo strumento con cui la Regione definisce la propria azione nei confronti degli istituti culturali per mezzo dell’erogazione di finanziamenti a favore delle Province e dell’IBACN.
In particolare, il Programma evidenzia quelli che sono gli obiettivi e le azioni prioritarie da perseguire attraverso i Piani museali provinciali:
• messa a norma degli impianti di antifurto, climatizzazione e illuminazione, nonché installazione di adeguate dotazioni tecniche;
• abbattimento di barriere architettoniche e altre misure a favore dei visitatori diversamente abili;
• realizzazione di progetti volti a migliorare l’informazione, l’accoglienza e l’assistenza al pubblico;
• potenziamento dei servizi didattico-educativi per scolaresche e singoli visitatori;
• studi di fattibilità per nuove istituzioni o per lo sviluppo di quelle esistenti.
Il Piano 2004 è stato elaborato tramite compilazione di apposite schede di progetto, redatte dalla Provincia previa concertazione con i musei e sentito il parere dell’IBACN. Ogni scheda contiene l’elenco degli interventi (arredi, impiantistica, hardware, promozione, catalogazione, restauro), le priorità assegnabili al progetto, l’importo dei contributi concessi (distinguendo tra fondi provinciali e fondi regionali), la quota residua a carico dell’ente.
Tenendo conto delle nuove Linee triennali sopra citate e delle proposte formulate dai singoli musei, la Provincia intende finalizzare in via prioritaria i propri interventi in chiave di una crescita stabile ed omogenea dei musei del territorio, ponendo un occhio di riguardo alle situazioni più svantaggiate. Sono inoltre realizzate alcune azioni di sistema, destinate al potenziamento della strumentazione tecnologica e della comunicazione al cittadino.
Lo speciale di questo numero della rivista è dedicato a illustrare alcuni dei progetti presentati, nella convinzione che valorizzare i musei rappresenta una delle principali opportunità di sviluppo culturale ed educativo nonché di miglioramento della qualità della vita per la collettività.

Speciale Piano Museale - pag. 9 [2004 - N.20]

La questione degli standard va affrontata con la consapevolezza che il raggiungimento di livelli qualitativi minimi rappresenta una condizione necessaria, che non deve penalizzare le piccole realtà

Eloisa Gennaro - Responsabile U. O. Beni Culturali della Provincia di Ravenna

La Provincia di Ravenna, nel rinnovare le convenzioni con i Comuni e gli enti titolari di musei per il Sistema Museale Provinciale, ha accolto pienamente i principi espressi dalla normativa statale e regionale che, a partire dai concetti fissati dal Codice deontologico dell’ICOM, insiste sull’individuazione e l’applicazione di standard di qualità finalizzati al miglioramento dei servizi e delle prestazioni offerte dai musei.
Se infatti la convenzione sottoscritta nel 1997 subordinava l’accesso al Sistema Museale e ai finanziamenti provinciali all’esistenza di alcuni requisiti minimi – quali il regolare funzionamento e l’apertura al pubblico, anche solo su prenotazione – la nuova convenzione prevede come condizione di accesso al Sistema l’adozione degli standard e degli obiettivi di qualità approvati nel marzo del 2003 dalla Giunta Regionale, articolati in otto ambiti di funzionamento dei musei:
• status giuridico (statuto, regolamento, carta dei servizi);
• assetto finanziario (documenti programmatici e consuntivi);
• strutture del museo;
• personale;
• sicurezza del museo;
• gestione e cura delle collezioni;
• rapporti con il pubblico e relativi servizi;
• rapporti con il territorio.
La Provincia, in vista di tale importante innovazione, non intende sottrarsi al suo ruolo di coordinamento e di supporto nonché di interfaccia rispetto all’ente regionale. Partendo dall’utile strumento costituito dal questionario in rete di auto-valutazione predisposto dall’IBC, è possibile avere sott’occhio le criticità e i punti di forza delle istituzioni museali del territorio e conseguentemente individuare gli opportuni strumenti di supporto, in modo da sopperire per quanto possibile alle carenze. Tuttavia, per completare rapidamente il quadro sullo stato dell’arte e orientare in modo razionale le scelte del Sistema, è necessario avvalersi della collaborazione da parte di tutti i musei del ravennate che, come già in altre occasioni, dovranno fornire con tempestività i dati richiesti. Occorre affrontare con sollecitudine le problematiche connesse agli standard, fermo restando che la complessità degli interventi necessari rispetto alla situazione esistente appare non del tutto compatibile con la scadenza fissata dalla sopra citata delibera regionale, in conformità all’art. 10 della L.R. 18/2000.
La questione degli standard di qualità deve essere affrontata cercando di contemperare due contrapposte esigenze. Da una parte quella di qualificare ulteriormente il patrimonio culturale e la sua fruibilità, nella consapevolezza che il raggiungimento di determinati livelli minimi rappresenta una condizione imprescindibile perché le istituzioni culturali possano svolgere con pienezza la loro stessa funzione. D’altra parte, occorre evitare che gli standard finiscano paradossalmente per penalizzare in qualche modo le piccole realtà, assai diffuse nel nostro territorio, che rappresentano un patrimonio da salvaguardare e da promuovere.
Da tali considerazioni emerge il bisogno di una politica equilibrata incentrata sugli standard, da intendersi non tanto come adempimento burocratico rispetto alla scadenza stabilita, con l’inevitabile disagio che ne consegue, quanto come percorso di crescita qualitativa del patrimonio museale locale. In tale ottica, il Sistema Museale Provinciale deve proporsi sempre più come luogo di scambio e condivisione delle migliori esperienze, anziché come strumento di mera verifica degli adempimenti; dovrà compiere quindi tutte le azioni possibili, supportando i musei e segnatamente quelli più piccoli nel processo di adeguamento agli obiettivi di miglioramento.
Anzitutto occorre distinguere gli obiettivi a carattere strutturale, per i quali occorrono consistenti investimenti finanziari, da quelli che richiedono essenzialmente un supporto di tipo tecnico-scientifico. In relazione ai primi, la Provincia unitamente alla Regione cerca di orientare gli investimenti nella direzione di una crescita collettiva, nell’ambito della pianificazione di cui alla L.R. 18/2000, pur nella consapevolezza di quanto siano limitate le risorse complessivamente a disposizione degli enti rispetto agli obiettivi; in particolare i musei risultano mediamente già attrezzati sotto il profilo dell’impiantistica di sicurezza, mentre emergono maggiori carenze nella strumentazione finalizzata alla conservazione preventiva delle collezioni. Il Sistema Museale deve fornire inoltre un adeguato supporto in fase di applicazione dei requisiti non strutturali, secondo le modalità definite in sede di Comitato Scientifico. Così, sono stati organizzati gruppi di lavoro e seminari su specifici obiettivi (regolamenti, bilanci, carta dei servizi ecc.), in modo da mettere in condivisione le conoscenze e le buone pratiche, affiancando ed estendendo le attività formative già predisposte in tal senso dall’IBC. L’adozione della carta dei servizi, in particolare, rappresenta un passaggio fondamentale per raggiungere un elevato standard di qualità nelle relazioni con il pubblico, favorendo in tal modo la più ampia fruizione del patrimonio culturale.
Analoga rilevanza assumono, nell’ambito degli standard, gli strumenti di comunicazione e di informazione: la Provincia ha da tempo avviato una politica di promozione dei musei attraverso la pubblicazione di guide e opuscoli illustrativi, da diffondere anche on line. Un obiettivo di medio-lungo periodo è quello di costruire un vero portale dei musei del territorio, mettendo in rete i siti già esistenti nonché promuovendo adeguatamente i servizi offerti da tutti i musei; si potranno realizzare nel tempo strumenti di interazione sempre più sofisticati, dalla distribuzione di una newsletter alla predisposizione di visite virtuali ai musei.
La Provincia inoltre può favorire la realizzazione delle attività didattiche a beneficio anche di quei piccoli musei che non dispongono di un laboratorio didattico. Alla luce di quanto prescritto negli standard è già stata avviata, in via sperimentale, la pianificazione annuale di tali attività in sede di Comitato Scientifico del Sistema; i musei, da alcuni anni, possono avvalersi del Laboratorio Provinciale per la realizzazione dei supporti didattici.
Restano, infine, gli obiettivi più ambiziosi e di maggior complessità, legati in particolare ad una maggiore qualificazione del personale. Pochi enti possono disporre di idonee risorse umane; in molti casi, i requisiti minimi in relazione all’apertura al pubblico vengono rispettati grazie al ruolo dell’associazionismo locale e/o al servizio civile volontario secondo modelli gestionali tutto sommato soddisfacenti, ferma restando ovviamente la necessità di un minimo di formazione dei soggetti incaricati. Partendo dal presupposto che gli standard costituiscono, più che una normativa esatta e prescrittiva, una sorta di manuale per il miglioramento dei servizi, la sorveglianza della struttura può anche essere affidata al volontariato, ma potendo contare su un adeguato apparato didascalico e informativo predisposto a cura del personale tecnico-scientifico. Se la qualità dell’accoglienza al pubblico è un aspetto da non sottovalutare, ancor più complessa appare la questione relativa al vertice direzionale: l’annosa questione della professionalità del direttore di un museo assume, nelle piccole realtà, connotazioni del tutto particolari, che richiedono un maggior approfondimento sotto il profilo anche delle possibili soluzioni gestionali in forma associata. Ogni museo dovrà inoltre trovare soluzioni adeguate per definire le figure di conservatore e di responsabile della didattica, eventualmente accentrate in un’unica persona: è soprattutto in questo caso che si raccomandano soluzioni comuni a più istituzioni, anche facenti capo a diversi enti proprietari. La Provincia può assumere il compito di rafforzare le iniziative a carattere formativo: il Sistema, oltre a presentare primariamente corsi mirati a sviluppare specifiche competenze in relazione ai servizi educativi, intende fornire agli operatori culturali del territorio strumenti per conoscere meglio i propri visitatori e per valutarne il grado di soddisfazione; per adottare strategie di comunicazione e migliorare il flusso delle informazioni riguardanti il proprio patrimonio; per utilizzare strumentazioni tecnologiche innovative e ottimizzare gli interventi nel campo della sicurezza, della prevenzione, della documentazione sulle collezioni.
È del tutto chiaro, a questo punto del percorso, che tutti i soggetti interessati debbano produrre un ulteriore sforzo per realizzare gli obiettivi fissati, definendo momenti periodici di verifica a livello sia politico che tecnico, nella convinzione che il risultato finale possa dipendere anche dalla intensità e continuità del confronto.

Speciale standard museali - pag. 9 [2004 - N.21]

Tra le opere di paesaggio conservate alM.A.R. risaltano le incisioni di Vittorio Guaccimanni, sensibile ed attento osservatore della pineta

Nadia Ceroni - Conservatore Museo d'Arte della città di Ravenna

Il paesaggio, come genere pittorico, venne praticato in maniera sistematica a partire dal XVI secolo, quando uno scenario naturale autonomo, più o meno fantasioso e d’invenzione, venne ammesso fra i possibili soggetti della pittura. Prima considerato come genere minore, divenne poi elemento indispensabile per la narrazione di gesta, passioni e stati d’animo fino ad essere considerato soggetto autonomo e sperimentale. Prediletto dagli inpressionisti nella seconda metà del XIX secolo, l’amore per il paesaggio caratterizza, nei primi anni del XX secolo, la poetica dei fauves e focalizza le attenzioni di numerosi protagonisti del Novecento italiano – tra cui Morandi, Carrà, De Chirico, Sironi, Rosai, De Pisis – fino ad approdare alla nuova interpretazione in termini emozionali, come puro colore-luce, offerta da svariati rappresentanti del linguaggio informale.
Un aspetto particolare di questo genere artistico è rappresentato dall’ambiente naturalistico delle pinete, ben documentato nella collezione moderna del Museo d’Arte della Città, che raccoglie ed espone numerose opere rappresentative del paesaggio ravennate. Ai quadri di Moradei, Miserochi, Bacchetti, Mazzetti – solo per citarne alcuni – si aggiungono le acqueforti di Vittorio Guaccimanni, valente artista ravennate, direttore ed insegnante di figura nella locale Accademia di Belle Arti.
Delle 145 incisioni, che costituiscono l’intero nucleo grafico, una cinquantina sono dedicate al tema delle pinete e del relativo habitat, in cui si muovono pochi animali e ancora più rare persone.
Di varie dimensioni, spesso nella duplice versione nera e a colori, rappresentano un aspetto della produzione artistica dell’artista ravennate che, pur impegnato in varie tecniche – pittura ad olio, all’acquerello, a pastello – nell’incisione fu maestro a Gaspare Gambi. In relazione alle disposizioni testamentarie del defunto conte Vittorio Guaccimanni, l’intero corpus – 80 acqueforti nere e 65 colorate – venne depositato nell’Accademia dalla Signora Adalgisa Caserta nel 1938. La raccolta, attualmente non esposta al pubblico, a causa degli insufficienti spazi espositivi destinati al patrimonio museale permanente all’interno della Loggetta Lombardesca, ci permette di conoscere il nostro artista anche quale sensibilissimo incisore, oltre che pittore, disegnatore e miniaturista di grande raffinatezza.
Spiace constatare come a questo artista – ben documentato a Ravenna non solo al museo, ma anche in collezioni private e nella Quadreria della Biblioteca Classense – non sia stata dedicata una strada a futura memoria della sua attività e di quella del fratello Alessandro, entrambi allievi dell’Accademia.
Al nucleo delle incisioni, nel 1988 fu dedicata una mostra, allestita nella chiesa di Santa Maria delle Croci ma, come suggerisce Giordano Viroli “data la statura del personaggio, par lecito attendersi la realizzazione di un catalogo dedicato alla sua opera pittorica, che consenta a Guaccimanni di ricevere finalmente l’attenzione che gli spetta”.
Alla tematica delle pinete si collega anche un’altra opera conservata nella collezione antica del museo. La storia di ogni quadro riserva spesso curiosità e informazioni che una lettura superficiale non permette di valorizzare e far conoscere adeguatamente. È il caso del Redentore di Paris Bordon, artista veneto del XVI secolo, allievo del grande Tiziano. L’opera in questione, che apparteneva al mercante veneziano Andrea Cornaro, nel 1766 pervenne ai monaci camaldolesi di Classe. Dopo le soppressioni delle corporazioni religiose, passò alla famiglia Rasi e nel 1922 giunse per disposizione testamentaria al Comune di Ravenna tramite la signora Sofia Baccarini, vedova dell’ingegnere Claudio Rasi.
In un suo articolo del 1928 – intitolato Le vicende di un quadro famoso – Silvio Bernicoli riferiva che il dipinto era pervenuto ai monaci quale risarcimento per l’insolvenza di varie partite di pinoli acquistati dal nobile veneziano presso il monastero di Classe.
Da questo cenobio, possesore di pinete e di terreni vastissimi, il Cornaro si faceva spedire grandi quantità di pignoli, fagiuoli e formentone. Trovandosi a corto di denaro, ma con grande disponibilità di oggetti preziosi da museo, propose ai monaci di valersi di questi beni per colmare il proprio debito.
Piccole vicende artistiche che contribuiscono a rendere ancor più indissolubile il legame delle pinete ravennati con la storia e la cultura di Ravenna.

Speciale centenario della Legge Rava e Beni ambientali - pag. 9 [2005 - N.23]

La società ravennate Panebarco & C. propone un nuovo sistema software per le visite museali virtuali

Marianna Panebarco - Panebarco & C.

Le odierne tecniche di modellazione tridimensionale rendono possibile la riproduzione dello spazio con rese di fotorealismo fino a poco tempo fa impensabili. Tale circostanza apre la strada alla realizzazione di visite immersive in real time (il visitatore si muove in assoluta libertà negli spazi riprodotti come accade nei videogiochi di ultima generazione) delle eccellenze storico artistiche italiane, visite fruibili dal computer domestico connesso ad internet a banda larga.
Da una profonda riflessione su questi due concetti fondamentali – tridimensionalità e tempo reale – nasce Exhibits3D, un sistema software ideato e realizzato dalla società ravennate Panebarco & C. che permette di gestire e creare ambienti tridimensionali nei quali effettuare visite immersive on e off line in tempo reale. Exhibits3D trasforma il museo e qualsiasi altro luogo di rilevanza storico-artistica in una potente macchina comunicante on line, visibile in tutto il mondo 24 ore su 24.
Exhibits3D consta di due ambienti: Exhibits Studio ed Exhibits Player.
Exhibits Studio è un prodotto di facile utilizzo indirizzato agli operatori culturali che con questo strumento possono cogliere le opportunità offerte dalle nuove tecnologie per la realizzazione e la distribuzione di contenuti multimediali. Il punto di forza è la sua grande flessibilità e l’uso intuitivo; operatori culturali non necessariamente competenti nel settore informatico possono così gestire spazi e allestimenti virtuali e creare contenuti multimediali originali e all’avanguardia. Questo software è scalabile per difficoltà e offre tre principali livelli di utilizzo.
Exhibits Player è invece l’interfaccia di navigazione che consente all’utente di visitare on o off line, in maniera immersiva ed in tempo reale, gli spazi creati con Exhibits Studio. Le modalità di visita sono due: visita libera e percorsi guidati. Con le visite libere l’utente esplora l’ambiente ricostruito in totale libertà, scegliendo tempi e ritmi di fruizione, soffermandosi e approfondendo i punti che più gli interessano; questa è la vera e propria visita immersiva in tempo reale: le azioni del mondo reale (camminare, girarsi, puntare lo sguardo) sono attivate tramite puntatore e tastiera, e restituiscono all’utente remoto la sensazione di trovarsi e muoversi nel luogo fisico.
I percorsi guidati sono invece pianificati dall’operatore culturale e pongono in rilievo determinate parti del modello tridimensionale in base a scelte tematiche, didattiche, estetiche o di promozione. Sostanzialmente l’operatore stabilisce tutte le tappe del percorso; l’utente che seleziona una visita viene condotto automaticamente di fronte a punti prescelti, e qui si attiva l’interazione, ovvero può decidere se soffermarsi approfondendo la conoscenza del punto d’interesse proposto.
Attualmente Exhibits3D è utilizzato nel portale Internet Culturale del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali, nell’ambito di un programma di valorizzazione delle eccellenze storico-artistiche italiane tramite le nuove tecnologie, di cui le visite con Exhibits3D sono il fiore all’occhiello (la pagina è al terzo posto nella classifica delle pagine più visitate dell’intero portale). All’indirizzo www.internetculturale.it sono già visitabili 4 percorsi, tra cui spiccano quelle alla prestigiosa Biblioteca Medicea Laurenziana progettata da Michelangelo e a un’insolita Basilica di San Francesco a Ravenna, virtualmente affrescata in omaggio a Dante (progetto realizzato dal Ministero in convenzione con l’IBACN e la Provincia di Ravenna).
Infine sono in fase di realizzazione la ricostruzione della Vicenza Palladiana, un tragitto dedicato a Genova e alla figura di Paganini e uno all’interno del Conservatorio San Pietro a Majella di Napoli. Per il Comune di Bologna è stata realizzata la visita a Piazza Maggiore ed al Monumento dei Caduti della guerra partigiana per conto dell’IBACN; oltre a due mostre temporanee già on line (Le Arti della Salute e Marco Palmezzano) è in fieri la ricostruzione del Museo Civico San Rocco di Fusignano, mentre per la Provincia di Ravenna sono in fase di realizzazione le visite a 4 musei aderenti al Sistema museale provinciale. Tutte queste realtà, oltre ad avere pubblicato on line le visite, hanno anche adottato il software di gestione Exhibits Studio. Tutti i percorsi si trovano anche sul sito www.exhibits.it.

Speciale musei virtuali - pag. 9 [2006 - N.26]

Dieci anni di iniziative, idee e progetti per valorizzare i musei del territorio, puntando sempre più alla qualità dei servizi.

Eloisa Gennaro - Responsabile Ufficio Beni Culturali Provincia di Ravenna

Il decennale del Sistema rappresenta l'occasione ottimale per un bilancio complessivo di ciò che è stato fatto. La pubblica amministrazione deve abituarsi a compiere analisi approfondite rispetto ai propri servizi, valutando il grado di raggiungimento degli obiettivi prefissati, cercando di individuare le eventuali criticità, ponendo le basi per un ulteriore sviluppo delle proprie potenzialità.

L'idea primitiva di una rete di musei del territorio si concretizza nel 1992, quando sulla scia della legislazione nazionale e regionale, la Provincia di Ravenna dà vita al Progetto Beni Culturali. La Legge 142/1990 attribuisce infatti per la prima volta alle Province specifici compiti di valorizzazione dei beni culturali, mentre la L.R. n. 20 del 1990 le incentiva in modo esplicito a promuovere la conoscenza e la valorizzazione dei musei locali ma soprattutto a favorire il coordinamento e il potenziamento delle attività e dei servizi di tali musei, in particolare attraverso la stipula di convenzioni con gli enti proprietari; senza dimenticare che la Regione destina maggiori trasferimenti proprio a progetti di sistema.

Il Progetto Beni Culturali vede la realizzazione di un'approfondita indagine conoscitiva sul territorio finalizzata a censire tutto il patrimonio culturale e a individuare musei poco conosciuti da valorizzare, e inoltre ad ipotizzare un sistema territoriale integrato per la progettazione e la gestione dei servizi. Tale studio di fattibilità rappresenta dunque la premessa alla costituzione del Sistema Museale, con l'obiettivo primario di valorizzare le realtà più piccole e svantaggiate.

Il territorio presenta infatti un'offerta museale ricca e capillarmente diffusa, con oltre 50 musei che si caratterizzano per l'eterogeneità delle raccolte, strettamente legate alla storia e alla cultura locale, e per le piccole e medie dimensioni. Si tratta evidentemente di un patrimonio che richiede un ampio sforzo di programmazione e di coordinamento per via della spiccata frammentazione organizzativa, della localizzazione estremamente diffusa e della differenziazione delle raccolte, che può portare a una dispersione dell'utenza e a una difficile gestione dell'offerta in relazione alla domanda.

Il Sistema nasce ufficialmente nel novembre del 1997 con l'intento di valorizzare meglio questo articolato patrimonio, che da un sistema territoriale integrato non può che trarre vantaggi.
La dimensione provinciale consente infatti, da una parte, di programmare su larga scala e coordinare il percorso per il raggiungimento degli standard di qualità; dall'altra, di realizzare le economie necessarie per raggiungere questi obiettivi, superando i limiti strutturali e finanziari delle singole istituzioni.

In considerazione dell'ambito territoriale assai esteso, il Sistema Museale si pone obiettivi di coordinamento, promozione e supporto agli enti aderenti, più che di erogazione diretta di servizi; conseguentemente viene gestito in economia direttamente dal Settore Cultura della Provincia, secondo una formula snella e poco onerosa rispetto ad altre forme giuridiche teoricamente utilizzabili, più adatte a realtà amministrative dedicate alla gestione dei servizi.
Il Sistema si caratterizza dunque per essere una rete cosiddetta 'leggera': la Provincia è il soggetto centrale, il cui ruolo propulsore è finalizzato a pianificare le iniziative in modo organico, favorendo le collaborazioni e le opportune sinergie, ferma restando l'autonomia delle singole realtà.
Elemento significativo è dato dal fatto che le attività di sistema sono elaborate e discusse collettivamente dal Comitato Scientifico, composto dai responsabili di tutti i musei, che possono confrontarsi e collaborare su tematiche di natura sia gestionale che scientifica. Il Comitato rappresenta anche la sede di coordinamento per le attività dei gruppi di lavoro di volta in volta attivati su temi e obiettivi specifici, in modo da mettere in condivisione le conoscenze e le buone pratiche.

Negli anni si sono moltiplicate le iniziative in tal senso e si è sviluppato il metodo dello scambio di conoscenze, risorse, idee; gradualmente il Sistema ha favorito una maggiore disponibilità al dialogo tra i singoli musei, in un percorso di crescita progressiva.
In ultima analisi, è stata rafforzata in questo modo la riqualificazione complessiva dell'intero processo di produzione museale - a beneficio soprattutto delle realtà più piccole che non potrebbero assolvere adeguatamente a tutte le funzioni (valorizzazione delle raccolte, comunicazione e marketing, didattica, editoria, conservazione, catalogazione). Tutto questo ha richiesto ovviamente tempi lunghi e frequenti pause di riflessione, dovute in un certo senso alla natura stessa del Sistema, che come si è detto è sprovvisto di compiti gestionali ed è quindi in grado di orientare i comportamenti, più che di determinarli.

In ogni caso l'evoluzione è stata lenta, ma costante. A partire dal 2004 hanno aderito al Sistema ben 37 musei, 17 in più rispetto alla prima convenzione: questo rappresenta un dato significativo, al quale va aggiunto un altro indicatore assolutamente positivo, costituito dall'andamento favorevole - nel lungo periodo - delle statistiche sull'afflusso di visitatori ai musei del Sistema.

Le prospettive future del Sistema Museale sono legate soprattutto ad un'attuazione compiuta degli standard di qualità: a tale finalità occorre destinare le risorse provinciali e regionali distribuite nell'ambito dei Piani museali annualmente approvati dalla Provincia, al fine di sostenere le realtà museali del territorio e segnatamente quelle più piccole.

Occorre inoltre favorire la diffusione di nuovi strumenti per la valorizzazione del nostro patrimonio, in stretto raccordo con il contesto di riferimento.

Uno dei vantaggi più interessanti che offre la rete è quello di riuscire a realizzare collegamenti stabili non solo tra i singoli musei ma anche tra i musei e le altre organizzazioni (culturali, sociali, economiche); in tale ottica, la Provincia ha già cominciato a sviluppare collaborazioni, che i musei piccoli difficilmente riuscirebbero ad attuare autonomamente.
A tale proposito ricordiamo il progetto "Network Turistico Culturale" avviato nel 2004 d'intesa con il Ministero e l'IBC; la realizzazione dell'Atlante dei beni archeologici in collaborazione con la Facoltà di Conservazione; la creazione di itinerari letterari in collaborazione con il Settore Turismo e la Camera di Commercio; l'Open Day in collaborazione con le Biblioteche e gli Archivi della Romagna.

Si tratta di iniziative finalizzate a far conoscere capillarmente il patrimonio culturale non solo presso la cittadinanza e il pubblico scolastico (che rappresentano l'utenza privilegiata dei nostri musei "locali") ma anche nei confronti dei turisti che animano di norma la sola riviera e la città di Ravenna, contribuendo all'incremento dei flussi di visitatori al di fuori delle rotte più tradizionali, attraverso percorsi inusitati che attraversano tutto il territorio provinciale. Sinergie come queste consentono di elevare ulteriormente la qualità dei progetti di valorizzazione e, insieme, di reperire nuove fonti di finanziamento (contributi, fondazioni ecc.) legate ad una politica complessiva di promozione territoriale.

Ma la sfida più suggestiva è costituita dalla implementazione dei servizi on line destinati sia agli operatori dei musei, sia ai cittadini e ai potenziali visitatori, grazie alla realizzazione di un vero e proprio portale dei musei all'interno della rete civica provinciale. Il nuovo portale, in via di realizzazione, potrà mettere in rete i documenti, le idee, i servizi, a beneficio di tutto il territorio.

Più in generale, il Sistema Museale deve tendere verso un modello di "rete coesa" in grado cioè di definire un quadro di iniziative organico e sempre più integrato con i soggetti presenti sul territorio. In effetti tale prospettiva è stata in passato frenata, come si è detto, dalla dimensione stessa del Sistema Provinciale, che mette in rete un numero elevatissimo (27) di enti proprietari diversi, molti dei quali di piccole dimensioni; ciononostante, sono state realizzate con sempre maggior continuità iniziative definite in sede di Comitato scientifico che hanno visto i diversi attori collaborare in modo proficuo.

D'altra parte la mission, la vocazione di una rete tra musei di ambito provinciale, non è quella di gestire ma di affiancarsi e di dare forza a tutte le realtà di interesse culturale. Diversamente da una rete locale di musei, un sistema provinciale ha una forza superiore e una visione più ampia e oggettiva, legata all'ambito più vasto che consente di svolgere meglio il ruolo di coordinamento e di cerniera tra il livello regionale di programmazione e il livello gestionale, riconducibile alle singole realtà museali; inevitabilmente, può scontare tale dimensione sotto il profilo delle iniziative concrete da realizzare data la difficoltà di assumere in tempi rapidi decisioni condivise da tutti i musei.
In ogni caso il Sistema può e deve sviluppare ulteriormente il proprio ruolo in quanto è in grado di mettere in rete risorse, competenze, servizi evoluti. Occorre perfezionare i servizi erogati, ma anche le tecniche di misurazione della loro qualità.

Abbiamo elaborato, in questa ottica, la Carta dei servizi per i musei; intendiamo ora definire anche una vera e propria Carta dei servizi del Sistema Museale in cui indichiamo a nostra volta gli standard delle prestazioni che i nostri utenti si attendono. Un altro piccolo, ma significativo passo in avanti che dobbiamo fare tutti per acquisire una mentalità sempre più rivolta all'utente e alla qualità dei servizi.

Speciale decennale del Sistema Museale Provinciale di Ravenna - pag. 9 [2007 - N.30]

L'antica arte del mosaico deve diventare uno degli insegnamenti caratterizzanti dell'Accademia

Enrico Manelli - Direttore dell'Accademia di Belle Arti

Le Accademie di Belle Arti sono la culla delle tecniche artistiche da conservare e tramandare a chi desidera acquisirle, e sono inoltre il luogo in cui, tali tecniche ,vengono sperimentate e modificate per mantenersi al passo con i tempi ed i nuovi modi di sentire estetici.
Ciascuna Accademia aveva le proprie specializzazioni e tradizioni; Ravenna ha il mosaico ma, nonostante ciò, pur avendo l'Accademia sempre coltivato questa sua antica tradizione sin dalla fondazione avvenuta nel 1928, è solo con la tardiva riforma di questo millennio, che essa vede il mosaico assurgere al rango di vera "arte maggiore", dal momento in cui la scuola viene istituzionalizzata, con la creazione sia di un triennio che di un biennio di specializzazione.
Il mosaico nasce, come tecnica decorativa per pavimentazione o murale, in epoche in cui rappresentava un'innovazione tecnica rispetto ad altre. Nelle culture classiche in cui il gusto e l'amore per la bellezza si ripercuotevano anche sulle produzioni di uso comune, il mosaico ben presto si arricchisce di tecnica pittorica raffinatissima tanto che nel II secolo a.C. Plinio, scherzando diceva "Ora si vuol anche dipingere con le pietre!". Nel tempo la ricerca pittorica e artistica è stata marginalmente approfondita o perduta così il mosaico è diventata un'arte minore se non addirittura un prodotto meramente artigianale, scelta forse condizionata da motivi economici, dato che il mosaico è sempre stato costoso sia per materiali che per difficoltà e tempi d'esecuzione.
Anche l'Accademia di Ravenna, pur avendo tramandato a molti tale arte e pur avendo intessuto reti di collaborazione con molti grandi artisti, collaborazioni che hanno portato alla creazione di un gran numero di laboratori di mosaico, non è riuscita a far fare "il salto" a tale tecnica artistica. Ravenna peraltro esporta una tecnica esecutiva particolare, essendo il mosaico ravennate non liscio, bensì costituito da tessere con diversi spessori che vanno quindi a sottolineare il gioco di luci sulle superfici, creando effetti d'ombra. Tale studio sull'esecuzione del pezzo finito, richiede, a mio avviso, grande capacità e sensibilità artistica, non altrettanto richiesta da mosaici puramente ornamentali a superficie liscia.
L'arte del mosaico non ha nulla da invidiare ad altre forme di espressione artistica quali pittura, scultura e scenografia, pertanto ne andrebbe incentivato e sviluppato l'insegnamento come disciplina di pari grado, a maggior ragione in questa città ed in questa Accademia che ne rappresenta la massima espressione. L'arte del mosaico non va ridotta a sola produzione seriale, ma deve essere riportata al suo antico lustro con la creazione di pezzi unici da chi ha scelto tale tecnica come propria modalità espressiva, scelta che comunque, in seno ad un'Accademia viene accompagnata comunque dall'approfondito studio delle altre materie artistiche.
Al di là comunque delle valutazioni puramente caratteriali sulla scelta del mezzo espressivo, vanno fatte anche delle considerazioni di ordine pratico che non possono prescindere dalla ricaduta lavorativa degli studenti che in questa Accademia si formano. Una preparazione di alto livello in qualsiasi materia porta, gioco forza, ad una più facile affermazione dell'individuo nel settore di sua competenza, in particolar modo in una materia così di nicchia ma con potenziali ripercussioni importanti. Inutile inoltre ricordare che lo sviluppo conservativo di questa forma d'arte e la sua divulgazione ad opera di grandi maestri non può che dare lustro a questa Accademia che verrebbe quindi scelta per queste sue peculiarità.

La Pagina della Accademia di Belle Arti di Ravenna - pag. 9 [2008 - N.32]

l'Asssociazionismo museale in Italia: una risorsa per crescere

Pier Domenico Laghi - Dirigente Settore Cultura della Provincia di Ravenna

Il Sistema Museale della Provincia di Ravenna nel 2008, con deliberazione del Consiglio provinciale, ha aderito a ICOM Italia, la sezione italiana dell'International Council of Museums, per dare attuazione ai compiti di valorizzazione dei musei appartenenti al Sistema stesso e per avvalersi di competenze, iniziative e informazioni di elevato livello.
L'adesione all'ICOM non ha inteso privilegiare un'associazione rispetto alle altre; piuttosto, tenuto conto della molteplicità delle realtà dei musei aderenti alla rete, è stata scelta l'adesione all'Associazione che promuove e sostiene l'istituzione, lo sviluppo e la gestione professionale dei musei di tutte le categorie. La scelta di aderire ad un'associazione museale, tuttavia, non si esaurisce nei pur importanti obiettivi strumentali di acquisire e mettere a disposizione del sistema e di ogni museo aderente i servizi che l'ICOM propone; l'adesione ha un valore strategico di lunga prospettiva, finalizzata ad aumentare le opportunità di sviluppo coordinato dei singoli musei e del Sistema, all'interno di reti che si sviluppano in ambito nazionale e internazionale.
La storia dell'associazionismo museale italiano parte dalla metà del secolo scorso. Daniele Jalla, Presidente di ICOM Italia, nel corso di un'intervista rilasciata ad Antropologia Museale (n. 9/2004), ne traccia una rapida sintesi nella parole che seguono: "L'epoca d'oro dell'associazionismo museale, in Italia, sono stati gli anni del dopoguerra. Allora ebbe un ruolo centrale l'Associazione Nazionale dei Direttori e Funzionari dei Musei di Enti Locali, che promosse la legge 1080 del 1980 per il riconoscimento dei musei non statali. Le relazioni tra le persone, in quel periodo, erano molto più strette e intensa la collaborazione tra Enti locali e Stato. In tutta la fase della ricostruzione non c'è stata opposizione, quanto piuttosto una collaborazione molto solida, almeno al livello degli alti funzionari del Ministero e dei direttori dei musei. L'ICOM nasce più o meno in quegli anni, ma è solo una componente dell'associazionismo museale italiano. In seguito, si è avuto un processo di progressiva partenogenesi che ha dato vita all'ANMLI; dall'ANMLI è nata l'Associazione Nazionale Musei Scientifici. Altri fenomeni sono molto più recenti, come la nascita dell'AMEI, di AM-SIMBDEA, di AMACI, dell'Associazione dei musei universitari. ICOM Italia è - e si considera - una delle associazioni, non "l'Associazione" dei musei italiani. Questo vuol dire che non intende affatto svolgere un ruolo egemonico, quanto piuttosto di contribuire a far sì che si realizzi un'intesa fra le diverse Associazioni. L'esistenza di una pluralità di associazioni, alla fin fine, non penso che sia un male, anzi! Esistono delle specificità, legate a diverse tipologie di musei, che sarebbe un peccato trascurare, perché le loro problematiche sono relativamente diverse."
La pluralità delle associazioni museali è comunque già una sintesi, per molti aspetti organica, della pluralità della situazione museale italiana, diversificata per dimensione, tipologia, modello gestionale, professionalità degli operatori, tipologia di reti museali, normativa regionale. La dimensione provinciale, peraltro, rispecchia fedelmente questa pluralità. La pluralità, qualora non sia orientata alla frammentazione e all'isolamento, è una ricchezza, racchiude in sé un potenziale di contaminazione e cambiamento.
Ma in questa prospettiva quali possono essere le strategie e le prospettive di azione? Come possono declinarsi e convergere gli interessi settoriali e gli aspetti tecnico-scientifici particolari? Quali sono i temi e gli elementi metodologici che possono contribuire a rendere più efficace l'azione delle diverse e plurali associazioni museali? Le risposte non possono che essere articolate a più livelli e secondo linee di azione diversificate ma coordinante.
Il primo livello è quello delle comunità professionali degli operatori museali. Nel corso degli anni abbiamo assistito a una crescita qualitativa e quantitativa della rete dei direttori e dei conservatori, che costituisce di fatto una comunità scientifica di professionisti, in grado di interagire con autorevolezza in diversi ambiti. Nel 2005 è stata proposta la Carta nazionale delle professioni museali; la Regione Emilia-Romagna ha censito nel Repertorio delle qualifiche regionali profili attinenti la promozione ed erogazione dei servizi culturali, definendo inoltre, nell'ambito degli standard museali, le figure di professioni museali. Un quadro positivo e per molti aspetti incrementale, che però non esaurisce le problematiche relative alle professionalità degli operatori museali. Purtroppo dobbiamo rilevare anche che "la professionalità dei museali non è tuttora riconosciuta ed è sempre più confusa con una congerie di altre specialità nuove, nuovissime o inventate, mentre nei fatti il lavoro del museale si va diversificando e ampliando costantemente e sempre nuove figure compaiono sulla scena dei beni culturali e dei musei" (Gianluigi Daccò, in Terza Conferenza Regionale dei musei lombardi. Atti del convegno, Milano 29 novembre 2004). D'altra parte la riduzione delle risorse a disposizione degli enti locali non agevola, neanche nella pratica, il percorso di definizione di organici specificatamente orientati a profili tecnici e professionali specialistici come quelli museali.
In questo quadro il ruolo delle associazioni museali diventa fondamentale per approfondire, confrontare e coordinare su vasta scala il contributo degli operatori e attivare tavoli di confronto e approfondimento a livello nazionale e regionale. Solo una comunità scientifica che sta in rete può dar sostanza e contenuti ai profili professionali, agire sui percorsi di alta formazione, elaborare strategie di profilo alto, che diano corpo "culturale e scientifico", oltre agli aspetti più propriamente contrattuali e sindacali.
Un secondo livello attiene alla prospettiva di superamento della frammentazione del sistema museale italiano. L'associazionismo museale può dare un contributo importante per contenere tale situazione, portare a sintesi almeno nazionale problematiche comuni a piccole realtà, sostenere la spinta a stare in rete e fare "massa critica". Molti musei nascono spontaneamente dal basso e tendono a diventare monadi disperse sul territorio. È compito quindi dell'associazionismo, specie nei territori nei quali non sono attive reti o sistemi museali territoriali, aiutare gli associati a superare la spinta al localismo, a volte esasperato, per raggiungere almeno livelli minimi di contatto, scambio di esperienze, confronto operativo nell'ambito del medesimo territorio provinciale e regionale.
Un terzo livello riguarda il confronto, l'elaborazione e la messa in rete delle eccellenze, la condivisione dei modelli innovativi e vincenti rispetto delle diverse funzioni museali. Partecipare e condividere un'esperienza associativa di livello nazionale permette di non riproporre esperienze superate, di rivisitare esperienze innovative e renderle più funzionali alle esigenze della singola realtà e del singolo territorio. Identità, modelli, strumenti sono un patrimonio su cui riflettere, da elaborare e condividere: partecipare ad una comunità più ampia facilita questo lavoro.
ICOM Italia, insieme ad ANMS, SIMBDEA, ANMLI, AMACI e AMEI ha promosso la costituzione di una Conferenza permanente delle associazioni museali italiane per la concertazione tra tutti gli organismi che operano nell'ambito e a favore della museologia in Italia. È questa la prospettiva strategica dell'associazionismo museale: non prospettare un'associazione unica ma, assumendo a valore la pluralità, un'associazionismo che si coordina, confronta e definisce un unico obiettivo di considerare i musei come elemento cardine sia nella tutela e nella valorizzazione del nostro patrimonio culturale sia nella comunicazione sociale e come strumento di conservazione e, ove necessario, ripristino, del capitale sociale.

Speciale Associazioni Museali Italiane - pag. 9 [2008 - N.33]

Il movimento in Romagna annovera numerosi personaggi, a paritre da uno straordinario genitore come Boccioni 

Beatrice Buscaroli - Storica dell'Arte, Docente di Storia dell'arte contemporanea, Università di Bologna - Ravenna

Francesco Balilla Pratella aveva una casa, a Lugo, che si trovò stretta tra due binari ferroviari. Il rumore non mancava, né il movimento, né la velocità. La casa del principale musicista futurista era destinata a divenire una delle "centrali" del movimento futurista in Romagna.
"Primo a parlarmi di futurismo e a Lugo fu l'amico e poeta Luigi Donati" - scrive Balilla Pratella nella sua Autobiografia - "informandomi di come il poeta Tomaso Filippo Marinetti, italianissimo, di genitori milanesi, di sentimento patrio e di linguaggio (...) avesse ideato e promosso a Milano, e nell'anno prima 1909, quel movimento di arte e di vita, ch'egli battezzò 'futurismo', che tutti conoscono" (F. Balilla Pratella, Autobiografia, Milano 1971).
Dopo il primo incontro col fondatore del futurismo, Balilla Pratella e Marinetti si frequentarono spesso, a Milano o a Lugo, dove il secondo si tratteneva volentieri per "due o tre giorni".
"Fumava incessantemente, ininterrottamente, sigarette una dietro l'altra, a tavola, in letto, nel bagno, parlando e discutendo di continuo...".
"Era un bell'uomo, benché completamente calvo; di contegno signorile e volutamente corretto; ben vestito e alla moda (...). Tutte le donne lo ammiravano e molte lo amavano".
Tra i primi futuristi romagnoli spiccano da subito i due nobili fratelli Arnaldo e Bruno Ginanni Corradini di Ravenna. Nomi troppo lunghi, avrebbe detto Giacomo Balla, che li ribattezzò, semplicemente Ginna e Corra. Veloci, scattanti, come Fòlgore, Bot, Volt, Dinamo... Discendenti da un nobile capostipite di origine ungherese, i due erano figli di un famoso avvocato penalista, Tullo Ginanni Corradini, poi sindaco di Ravenna che, in una causa che divenne celebre, aveva difeso una fanciulla rea di avere ammazzato a pugnalate un seduttore troppo focoso, in chiesa, accanto all'acquasantiera. La donna era detta "Sina d'Vargöun".
Con un interludio orchestrale, Visione tragica, dedicato a questa vicenda, la "Rosellina dei Vergoni", "scene de la Romagna bassa per musica", Balilla Pratella conquistò Marinetti che scese a Imola per ascoltare l'intermezzo del musicista, eseguito tra un atto e l'altro di Tosca, il 20 agosto 1910. Marinetti cercava un musicista da assoldare alla causa futurista, e lo trovò: ne nacque un'amicizia, una lunga corrispondenza e l'adesione di Pratella al futurismo.
Il lughese firmò diversi manifesti, Umberto Boccioni firmò la copertina per la raccolta di spartiti intitolata Musica futurista. I nonni di Umberto Boccioni erano di Morciano di Romagna. Nato per caso a Reggio Calabria, ritornò in Romagna a soli venti giorni. "Purosangue romagnolo" lo definì Aldo Palazzeschi, "vulcanico, esplosivo".
Il futurismo romagnolo annovera personaggi strambi, eccentrici, geniali. Ha uno straordinario genitore come Boccioni. Anarchico, rumoroso, rissoso, come tutte le varianti locali del movimento ufficialmente nato a Parigi il 20 febbraio del 1909, il futurismo romagnolo reclutò pittori, scultori, poeti, musicisti, scrittori, ceramisti e un suo "gruppo", intitolato naturalmente a Umberto Boccioni, formato a Imola da Mario Guido Dal Monte nel 1927.
Poi ha Marinetti, che va e viene, sempre in treno a inaugurare le mostre e a tener viva quella fiamma. Molti artisti non erano nati futuristi e non morirono futuristi. Come in tutte le varianti locali, regionali, periferiche del movimento. Eppure qui visse il solo autore di un'opera musicale sinceramente futurista, l'Aviatore Dro, qui nacque la ceramica futurista, firmata a fuoco da Marinetti in persona. "Marinetti", avrebbe scritto (Enzo) Benedetto nella rivista che, dopo la seconda guerra e dopo l'abiura generale che conobbe il movimento (prima della mostra di palazzo Grassi del 1986), "non esercitava imperio, era aperto alle idee degli altri e ricopriva il ruolo di animatore e vertice per consenso spontaneo ed ammirato dai futuristi" (Benedetto, Convegni, in "Futurismo oggi", XVI, n. ¾, marzo-aprile 1984).
E arrivarono, uno dopo l'altro, poeti e scrittori, pittori e ceramisti, come se fosse naturale seguire un richiamo che chiudeva l'Ottocento e gettava le vite di ognuno nel pieno della contemporaneità, della vita, della lotta. Con il manifesto di Ginna e Corra, intitolato L'Arte dell'avvenire (1910), Arnaldo dichiarò che intendeva trasferire i suoi "stati d'animo" in pittura. Durante un lungo periodo di disturbi nervosi che lo afflissero nel periodo in cui frequentava l'Accademia di Belle Arti di Ravenna, Arnaldo Ginna, appassionato di occultismo, spiritualismo, alchimia, cercò di raffigurare il suo stato mentale, in un quadro intitolato Nevrastenia. È il 1908, e Ginna produce un lavoro che lui stesso definisce "un primo quadro veramente astrattista". La pittura astratta non è ancora nata ufficialmente, e l'opera, come notava Mario Verdone, "precede cronologicamente il primo acquerello astratto" di Kandinsky (M. Verdone, Ginna, catalogo di mostra, Ravenna 1985).
Il faentino Giannetto Malmerendi aveva incontrato direttamente Boccioni, al quale mostrò le sue opere. Marinetti lo incoraggiò, e dunque fu assoldato. "Lei è dei nostri! sulla grande strada!", lo incitava Boccioni. Attraversò il futurismo con convinzione ed eleganza. Ne uscì presto, subito dopo la guerra, con un Autoritratto che è già una dichiarazione di poetica. Più tardi, a Imola, Mario Guido Dal Monte debuttava come futurista nel 1926: avrebbe fondato una casa d'arte come quella di Depero e fornito la sua città di arredi, mobili, scene, costumi, abiti futuristi...
"I primi avvisi del futurismo mi giunsero molto in ritardo", confessava Leonardo Castellani, sedotto al futurismo da un orologiaio cesenate "sulla porta del caffè Garaffoni", nel 1914. "Noi a Cesena faremo cose da pazzi". Pittore, ceramista, scrittore, Castellani fu autore di testi che piacquero a Marinetti, prose e poesie pubblicate in Due quaderni (T. Mattioli, "Il carattere non è altro che lo stile di un uomo". Per Castellani futurista, in Romagna Futurista, catalogo di mostra a cura di B. Buscaroli con A. Ortenzi, Milano 2006).
Armando Cavalli, Francesco Meriano, altro cesenate che da simbolista divenne paroliberista, il forlivese Luciano De Nardis sono gli scrittori di questa Romagna, che, come ha scritto Davide Rondoni, "offrirono la loro poesia con una strana, inquietante libertà, come di chi stia camminando su un vuoto eppure ha cara la propria terra" (D. Rondoni, Tre scene, per la poesia, in Romagna Futurista).

Speciale Futurismo in Romagna - pag. 9 [2009 - N.34]

Le trasformazioni dei luoghi, i modi diversi in cui nel tempo si sono formati i paesaggi sono lo specchio delle società che le producono 

Gabriele Gardini - Dirigente del Settore Cultura della Provincia di Ravenna

Oggi le società industriali soffrono di palesi crisi di identità dovute allo sradicamento dei valori fondativi, perché viviamo in un mondo che va distruggendo ovunque i rapporti su cui si costruivano. L'identità non è solamente uno stato, ma anche e soprattutto, un processo nel quale lo spazio, il tempo, il lavoro e la memoria sono gli elementi portanti. La globalizzazione tende ad eliminare le diversità, a cancellare le identità, a costruire un mondo basato sull'indifferenza al luogo. Ogni luogo assorbe quel che vi accade e ne conserva memoria, così che strati su strati di storia si sovrappongono e s'intrecciano sopra e sotto terra.
Le trasformazioni dei luoghi, i modi diversi in cui nel tempo si sono formati gli spazi, sono dunque lo specchio delle società che le producono. Nel convincimento che la conoscenza del proprio passato sia necessaria alla costruzione del futuro garantendo la conservazione delle testimonianze materiali della sua cultura. Il paesaggio deve essere considerato un aspetto di questa memoria, non limitato alla visione estetica ma esteso alla cultura materiale, all'organizzazione dello spazio antropizzato, all'inserimento contestuale delle strutture. Non soltanto le opere dell'uomo ma anche le valenze estetiche e simboliche associate ai fenomeni ambientali rientrano ovviamente in questa dimensione formale. La percezione del paesaggio si compone di caratteri distintivi, condivisi a livello collettivo, che qualificano i luoghi e li contraddistinguono, rafforzando il senso di appartenenza degli abitanti.
Le stesse opere d'arte presenti nel territorio assumono un valore più ampio se considerate parte del paesaggio. Nelle architetture, nelle sculture, nelle pitture, nei prodotti dell'artigianato, s'intrecciano continui rapporti con l'ambiente, con le risorse naturali, con i caratteri morfologici dei luoghi in cui sono collocate. Non si tratta, semplicemente, di riconoscere la provenienza dei materiali o le usanze costruttive diffuse a livello locale: è la collocazione stessa dell'opera, il suo ambiente vitale, che ne condizionano la lettura e orientano i nostri apparati percettivi. L'unica dimensione entro la quale sembra possibile comprendere e rispettare la complessità dell'oggetto osservato è quella storico-culturale, come manifestazione sintetica delle culture che si sono succedute sul territorio. Il concetto di paesaggio culturale offre un riferimento che abbraccia le più eterogenee manifestazioni della vita collettiva, depositate sul territorio e rilevabili nelle fonti.
Nel trattare il problema del rapporto tra museo e paesaggio si ritiene necessario tener conto che la conservazione e la tutela dei beni culturali e ambientali è un fatto di interesse sociale che impegna tutti coloro che sono preposti alla loro gestione a diffonderne la conoscenza e a potenziarne l'utilizzazione pubblica; l'esplicitazione del rapporto tra qualità dei prodotti culturali conservati e il loro contesto storico ed ambientale originario va considerata come presupposto fondamentale del processo di musealizzazione.
È sulla scorta di tale constatazione che si ritiene che il museo sia un luogo in cui i prodotti culturali in esso contenuti vengano assunti, al di là ed oltre il loro proprio valore in assoluto, quale documentazione, la più significante, della storia dei singoli territori di appartenenza. Volendo elencare e programmare tali operazioni bisognerebbe incominciare da quella fondamentale di carattere informativo e cioè l'istituzione in ogni museo di una prima sezione che indichi i margini e le caratteristiche ambientali del territorio in cui esso si colloca, e ne racconti al pubblico la storia con riferimento ai documenti di cui dispone. Inoltre tale sezione dovrebbe raccontare anche la storia dell'approdo al museo di tutte le testimonianze in esso contenute, sia quelle estranee che quelle pertinenti al suo territorio.
Un museo come racconto storico capace di suscitare nei cittadini una piena presa di coscienza della condizione presente dei luoghi e delle popolazioni che vi si sono insediate quale prodotto del continuo succedersi di eventi evolutivi o involutivi verificatisi nel contesto territoriale di pertinenza: una presa di coscienza cioè che interpretando il presente quale momento di un percorso continuo ed ininterrotto dal passato al futuro risulti utile a costruire quest'ultimo, obiettivo questo fondamentale di ogni museo cittadino.
Tale fondamentale funzione che il museo dovrebbe assolvere costituisce il punto nodale del nostro discorso; essa infatti non può, ovviamente, essere svolta dalla raccolta di documenti e notizie storiche sia pure esposte e commentate nella maniera più efficace, senza la presenza di concrete testimonianze, le massime possibili, ed in ogni campo, di ciò che lungo il racconto storico del mutare delle condizioni socio-culturali le collettività residenti andavano producendo.
In un paese dove la vera nozione di arte e di patrimonio artistico risiede nella sedimentazione, nello strato e nello spessore, nella relazione che l'opera, ogni opera espressiva, istituisce con il suo ambiente e il suo paesaggio. Il patrimonio culturale italiano è rappresentativo delle identità civiche, le quali costituiscono il telaio dell'armatura culturale, poiché costituiscono «l'unico principio per cui possono i trenta secoli della storia italiana ridursi a esposizione evidente e continua» secondo le parole di Carlo Cattaneo.
D'altronde, questo valore è esattamente quello che il turismo internazionale viene cercando nelle strade, nelle chiese, nelle campagne - prima ancora che nei musei - di questa penisola. È dunque fondamentale una politica museale orientata verso tale funzione di presidio territoriale per una tutela attiva del patrimonio culturale, considerata, come nel documento ICOM approvato lo scorso anno a Mantova, «quell'opera di conservazione e comunicazione del patrimonio culturale che i musei possono svolgere non solo rispetto alle loro collezioni, ma nei riguardi del territorio di riferimento e appartenenza, se questo viene affidato alle loro cure e posto tra le loro responsabilità», individuando «un diverso modello di gestione tanto della tutela quanto della valorizzazione» prefigurando innanzitutto dei musei aperti: alla ricerca e alla conservazione, alla gestione e alla valorizzazione non solo delle proprie collezioni, ma dei beni culturali e ambientali che li circondano.

Speciale Musei e Paesaggio - pag. 9 [2009 - N.35]

Si moltiplicano le attività del Centro Internazionale di Documentazione del Mosaico del Mar di Ravenna

Chiara Pausini, Letizia Sotira - CIDM - Mar di Ravenna

L'indiscusso protagonista del panorama culturale ravennate dell'autunno 2009 sarà senza dubbio il mosaico, grazie alle tante iniziative promosse dal Comune di Ravenna, in collaborazione con l'Associazione Internazionale Mosaicisti Contemporanei e il Centro Internazionale di Documentazione sul Mosaico.
Sul fronte dell'antico, dopo la catalogazione delle decorazioni musive dei monumenti Unesco di Ravenna e di altri centri dell'Alto Adriatico completata nel 2007, il Centro Internazionale di Documentazione del Mosaico ha ampliato i propri orizzonti trasferendo il campo di ricerca in Oriente. La Banca Dati Mosaico è stata aggiornata con più di 150 nuove schede descrittive e bibliografiche, già disponibili on line all'indirizzo www.mosaicoravenna.it, dedicate agli straordinari mosaici di alcuni complessi monumentali situati in due importanti centri del Mediterraneo orientale: la chiesa di San Giorgio a Salonicco, le chiese di Santa Sofia e di San Salvatore in Chora a Istanbul.
Lo studio e la catalogazione dei mosaici di Istanbul sono parzialmente confluiti nella realizzazione del terzo volume della serie mosaicoravenna.it, dal titolo L'imperium e l'oblatio nei mosaici di Ravenna e Costantinopoli. L'uscita editoriale da un lato dà conto di una parte del recente lavoro di ricerca condotto dai borsisti dell'Università di Bologna e della Scuola per il Restauro del Mosaico di Ravenna; dall'altro, unisce i mosaici di Ravenna e quelli dell'antica Costantinopoli, espressioni artistiche che, pur appartenendo a periodi diversi e presentando stili e materiali eterogenei, sono fortemente legati da un filo conduttore: la rappresentazione del potere, nei suoi aspetti rituali e materiali, e l'inscindibile legame tra politica, religione e edilizia, manifestato attraverso il gesto dell'offerta. L'opera contiene le schede catalografiche di alcuni dei mosaici ravennati e costantinopolitani, ed alcuni contributi sui relativi aspetti iconografici, restauri e materiali.
Oltre a queste iniziative, legate allo studio e alla valorizzazione delle antiche decorazioni musive, prosegue l'impegno del Cidm sul versante del mosaico contemporaneo. In primo luogo continua l'attività di raccolta e di aggiornamento della Banca Dati Mosaicisti Contemporanei, consultabile sempre sul sito e ormai pienamente aperta a un contesto internazionale; si tratta di un work in progress, destinato a presentare al pubblico un panorama il più possibile aggiornato ed esaustivo dell'attuale realtà legata alla produzione del mosaico contemporaneo in Italia e all'estero. Ad integrare le informazioni disponibili on line, relative all'attività di ogni atelier, è stata aperta al pubblico, al piano terra del Mar, la Sala Archivio del Cidm: al suo interno sono raccolti volumi dedicati al mosaico antico e contemporaneo, oltre che materiale bibliografico eterogeneo (cataloghi, brochures, articoli di giornali, riviste) e pubblicazioni multimediali pertinenti ad ogni mosaicista interessato a farsi conoscere.
Nel seguire la propria vocazione di centro di documentazione, il Cidm sta inoltre avviando progetti su altri fronti, destinati ad offrire ulteriori gradi di approfondimento allo studio del mosaico. Particolare attenzione è rivolta alla tradizione locale, attraverso l'acquisizione e la valorizzazione di materiale documentario ritenuto particolarmente prezioso per la storia del mosaico ravennate in epoca moderna. Di particolare interesse è la raccolta dei documenti d'archivio di Romolo Papa, protagonista indiscusso della rinascita del mosaico nel secondo dopoguerra e membro del Gruppo Mosaicisti dell'Accademia di Belle Arti di Ravenna, nucleo di artisti sorto nel 1948 sulle fondamenta della storica Bottega del Mosaico: si tratta di diari di lavoro, accompagnati da campionari, veline, documenti autografi, donati al Centro di Documentazione dagli eredi di Papa, grazie alla mediazione e all'interesse di Felice Nittolo, curatore del volume Romolo Papa 1993 - 1996. Diari di bordo. Questo prezioso materiale, suddiviso in ordine cronologico, sarà archiviato e studiato in maniera approfondita nel corso dei prossimi anni. L'obiettivo è quello di sviluppare un grande archivio, successivamente disponibile anche in formato digitale, di tutto il materiale artistico e documentario legato al mosaico moderno e contemporaneo, pervenuto al museo in tempi e circostanze diverse.
Tra i progetti a breve termine si ricorda la partecipazione del Cidm al primo Festival Internazionale del Mosaico Contemporaneo, in programma dal 10 ottobre al 20 novembre 2009, con una serie di iniziative di grande interesse.
Ha aperto il Festival l'esposizione curata da Claudio Spadoni Nuove opere musive al MAR, con la presentazione di opere di artisti mosaicisti ravennati di fama internazionale, da Ines Morigi Berti a Dusciana Bravura. Spadoni cura anche una mostra di nuove opere musive, in ideale continuazione del progetto di Giuseppe Bovini dal quale è nata la collezione dei "Mosaici Moderni": Artisti e mosaici contemporanei: Carmi e Sartelli. Gli studenti dell'Accademia di Belle Arti di Ravenna realizzano un mosaico dal bozzetto di Eugenio Carmi, mentre Germano Sartelli crea, per la prima volta, un'opera con mosaico. Nelle sale del Cidm, è inoltre allestito il Cantiere Chagall, cantiere di restauro aperto al pubblico in orari prestabiliti dell'opera "Senza titolo" di Marc Chagall, tradotta in mosaico da Antonio Rocchi. Sono esposti i materiali storici della ditta Orsoni di Venezia: tessere, campionari, pizze, crogiuoli e altri preziosi materiali usciti dall'illustre fornace veneziana vengono esposti in maniera permanente nelle sale attigue al cantiere Chagall, accanto a quelli già appartenenti al Cidm, provenienti da alcune storiche botteghe ravennati. Ricordiamo infine la presentazione del DVD video Fare mosaico, a cura del Cidm. Il video, indirizzato principalmente a insegnanti e studenti delle scuole medie e superiori, illustra due dei principali metodi impiegati nella realizzazione di un'opera musiva, attraverso suggestive riprese effettuate dalla Ditta P-Bart presso il laboratorio della Cooperativa Mosaicisti di Ravenna, attualmente Gruppo Mosaicisti Ravenna di Marco Santi.
Gli eventi qui presentati sono una conferma del fatto che il Centro Internazionale di Documentazione del Mosaico, che in giugno ha compiuto il suo sesto anno di attività, si muove sempre di più nella direzione di una valorizzazione del mosaico a trecentosessanta gradi, contribuendo costantemente a rafforzare l'identità culturale di Ravenna, e proiettandola sempre di più in una dimensione di ampio respiro, anche in vista dell'ambiziosa candidatura a capitale della cultura europea per il 2019.

Speciale Mosaico - pag. 9 [2009 - N.36]

L'impegno dell'IBC per diffondere la conoscenza delle opere grafiche e del loro valore storico, artistico, documentario e antropologico

Giuseppina Benassati - Istituto Beni Culturali - Soprintendenza per i beni librari e documentari

Se pensiamo che la Biblioteca Classense di Ravenna conserva alcune tra le più antiche immagini xilografiche prodotte in Europa - tra di esse i famosi Tarocchi quattrocenteschi rinvenuti dal bibliotecario Andrea Zoli nel verso delle coperte di antichi codici della biblioteca - e che il Museo delle Cappuccine di Bagnacavallo è uno dei luoghi di aggregazione di rilievo nazionale per la valorizzazione e la conservazione della produzione grafica contemporanea, il quadro si fa esaustivo, sia dal punto di vista storico che disciplinare. Non va trascurato che proprio a Ravenna, dagli anni Settanta, 'La Bottega' fondata da Giuseppe Maestri è stata luogo di promozione e fucina per la creazione di opere grafiche, e che hanno a lungo soggiornato autori del calibro di Tono Zancanaro.
Gran parte del patrimonio grafico conservato nelle istituzioni culturali è composto di fogli sciolti, anche se non mancano suite esemplate dai prestigiosi casi di Rossini e Piranesi, appartenenti al Mar e alla sua Pinacoteca e alla Classense.
Il patrimonio grafico in fogli sciolti delle istituzioni culturali della provincia ravennate è noto grazie a una campagna di censimento e catalogazione avviata dalla Soprintendenza per beni librari e documentari dell'IBC a metà dagli anni '80 del Novecento e tutt'ora in corso. Le opere conservate nelle biblioteche Classense di Ravenna e Manfrediana di Faenza, nonché quelle del Museo d'Arte della città di Ravenna e delle Cappuccine di Bagnacavallo (per la collezione storica), sono consultabili on line e disponibili al pubblico nel catalogo IMAGO <http://imago.sebina.it/SebinaOpacIMAGO/Opac>.
IMAGO è un catalogo specialistico di oltre un milione di informazioni bibliografiche su opere grafiche conservate nel territorio regionale; implementato e mantenuto dalla Soprintendenza, accoglierà, nell'arco del 2010, l'opera di revisione e di messa a disposizione dell'intero corpus, comprensivo delle immagini digitalizzate, della Manfrediana (ora presente con la sola Collezione Sabbatani).
Oltre al citato catalogo sono da menzionare due titoli della collana "IBC Immagini e Documenti. Imago", ove vengono trattate le collezioni esistenti sul territorio ravennate, il volume miscellaneo L'arti per via. Percorsi nella catalogazione delle opere grafiche (Bologna, Compositori, 2000), e la ricca monografia dedicata a La collezione Sabbatani. Capolavori della storia dell'incisione dal XV al XX secolo (Bologna, Compositori, 2002), edita per rendere nota un'importante collezione di opere grafiche donata alla Biblioteca Manfrediana dagli Eredi Sabbatani. Da ultimo il volume Stampatori e botteghe d'arte in Emilia Romagna edito nel 2009 per i tipi di Compositori, nel mettere a fuoco l'attività della stampa d'arte ha posto in luce l'esperienza veramente esemplare del citato Giuseppe Maestri, titolare di una bottega-laboratorio-studio-galleria la cui importante incidenza sulla cultura locale, e non solo, speriamo divengano presto oggetto di indagini e studi approfonditi.
Da non dimenticare che l'attività catalografica dell'IBC si è rivolta, nel corso del tempo, anche al Museo Giuseppe Ugonia di Brisighella; l'operato dell'omonimo peintre-graveur è infatti consultabile nel catalogo dell'IBC dedicato al patrimonio museale, raggiungibile dal dal sito istituzionale, alla 'voce' Banche dati e cataloghi all'indirizzo: http://bbcc.ibc.regione.emilia-romagna.it/samira/.
Difficile stendere questa nota senza menzionare la proficua collaborazione che da oltre venticinque anni si intrattiene con le istituzioni culturali tutte. Il lavoro sulla grafica intrapreso dalla Soprintendenza ha sicuramente condotto a una maggiore consapevolezza del valore storico, storico-artistico, documentario e anche antropologico, di opere tratte da matrici intagliate ed incise dal Quindicesimo secolo ai giorni nostri. Le opere grafiche delle collezioni ravennati sono entrate in un catalogo di scala regionale, inteso come luogo virtuale di studio, catalogazione e gestione di informazioni sui singoli documenti e sulle collezioni di pertinenza. Il lavoro attento e analitico sui singoli fogli ha fatto crescere l'esigenza della restituzione dei contesti di pertinenza, delle collezioni di cui sono parte. Grazie a un'evoluzione della prassi del catalogare -affinata grazie all'acquisizione di sempre nuove conoscenze disciplinari scaturite dall'esame diretto delle opere e dai continui adeguamenti di un software di catalogazione, Sebina, che ha accompagnato un lavoro ormai più che ventennale- si è passati ben oltre il trattamento dei dati specifici dei fogli incisi (artisti inventori, disegnatori, incisori, soggetti, temi e classi raffigurate, tecniche, carte e filigrane, stati e tirature); si sono implementate informazioni su collezioni e raccolte di appartenenza, si sono creati legami con opere differenti (disegni, libri, periodici). Il lavoro di analisi ha condotto a sintesi storiche, alla definizione di profili più ampi nei quali collocare gli studi specialistici sulla grafica.
Ciò che si è consolidato nel tempo non è stato un lavoro condotto con l'uso di sterili tecnicismi, ma una prassi catalografica che, individuato nello standard il mezzo per la rappresentazione dei dati, ne ha fatto lo strumento per la creazione di cataloghi integrati ove 'legami' tra differenti tipologie di materiali propongono 'letture' nuove di opere grafiche, documenti e collezioni. L'allargamento di campo della visione ha significato l'accoglienza e la conseguente restituzione del portato informativo di tutte le opere grafiche, non solo di quelle contraddistinte da un elevato valore storico-artistico. L'approccio specialistico, la visione interdisciplinare, l'uso di strumenti di catalogazione condivisi con il mondo bibliotecario, hanno sicuramente agevolato un processo di gestione, elaborazione e messa a disposizione di dati che è anche divenuto strumento per riflessioni intorno al significato che, oggi, hanno la redazione di un catalogo, di un catalogo ragionato e di un repertorio di opere grafiche. La gestione quotidiana di un catalogo di oltre un milione di dati, continuamente rivisti e raffinati alla luce delle catalogazioni di sempre nuovi fogli, ha dimostrato che lo strumento cartaceo dei grandi repertori è reperto storico, non più summa delle conoscenze. Consapevolezza scomoda, greve di un'implicita sfida a poteri consolidati e a conoscenze obsolete. Noi di IMAGO lavoriamo con un unico obiettivo: diffondere la conoscenza sulla grafica a partire dal lavoro diretto sulle carte.

Speciale grafica - pag. 9 [2010 - N.37]

Il rinnovo della convenzione del Sistema Museale, nella primavera del 2010, rappresenta un'occasione da cogliere per accrescere i servizi e la qualità dei musei

Eloisa Gennaro - Responsabile ufficio Beni culturali Provincia di Ravenna

La nuova convenzione per l'adesione al Sistema Museale della Provincia di Ravenna, approvata con deliberazione del Consiglio Provinciale n. 141 del 22 dicembre 2009, va ricordata anzitutto per la crescita ulteriore del numero dei musei aderenti, che sono passati da 37 a 40.
In realtà i nuovi musei entrati in rete sono ben sei: il Museo Nazionale dell'Età neoclassica in Romagna di Faenza, il Museo Nazionale di Ravenna, il Piccolo Museo delle bambole e altri balocchi di Ravenna, il Museo didattico del territorio di S. Pietro in Campiano, il Museo della Civiltà rurale della Bassa Romagna di Savarna e il Museo della "Vita nelle acque" di Russi. Il conto torna considerando che tre musei non hanno potuto rinnovare per ora la convenzione, in attesa di raggiungere i requisiti necessari.
Il Sistema Museale si continua a caratterizzare per una grande frammentarietà: vi aderiscono musei di lunga tradizione e di recente istituzione, musei piccolissimi e musei a dimensione nazionale se non internazionale, musei gestiti in economia o totalmente esternalizzati. Sono musei di ogni tipologia: musei storici e artistici, naturalistici e scinetifici, archeologici e specializzati, ecomusei e case museo, giardini botanici e planetari. Colpisce inoltre la titolarità dei 40 musei aderenti, che appartengono a 30 diversi soggetti pubblici e privati (due musei allo Stato; 24 musei a 15 Comuni; 9 musei ad altrettante Associazioni private; tre musei a Fondazioni; un museo a un'istituzione scolastica e uno a una singola persona fisica). Per una descrizione in dettaglio del nostro Sistema rimandiamo alla consultazione del portale dei musei (www,sistemamusei.ra,it).
Con la nuova convenzione, il nostro Sistema si arricchisce sotto il profilo quantitativo ma anche qualitativo.
Due sono le fondamentali novità: l'introduzione di alcuni requisiti minimi per entrare nel Sistema; l'apertura della convenzione ai musei di proprietà dello Stato. La prescrizione dei requisiti "di base" appare doverosa dopo che la politica di promozione e valorizzazione provinciale e regionale dell'ultimo lustro è stata fortemente incentrata a premiare i musei che si sono gradualmente adeguati agli standard di qualità individuati nel 2003 dalla Regione Emilia-Romagna; facciamo riferimento, in particolare, ai Piani museali finanziati in questi anni e al percorso di riconoscimento dei Musei di qualità (che ha premiato finora 10 musei su 40).
La nuova convenzione prevede all'art. 2, comma 2 che possono entrare nel Sistema solo quei musei in possesso di uno statuto o regolamento, che abbiano un direttore e che siano aperti al pubblico in maniera continuativa, seppure per poche ore settimanali: in questo modo si è voluto porre l'accento sull'importanza della gestione del museo, aspetto oggi essenziale che si aggiunge al valore delle collezioni possedute o al pregio del contenitore che le ospita. Regolamento e direttore del museo rappresentano infatti i requisiti fondamentali affinchè ogni museo possa assolvere alle proprie funzioni istituzionali, efficacemente tracciate nella nota definizione data dall'International Council Of Museum (ICOM), e in buona misura ripresa alivello nazionale dal Codice per i beni culturali e del paesaggio; requisiti che rappresentano peraltro la precondizione necessaria per il graduale raggiungimento del complesso degli standard di qualità regionali.
La possibilità di accogliere in rete i musei statali è la seconda novità. Crediamo che le istituzioni, locali e nazionali, possano avvalersi reciprocamente delle sinergie conseguibili grazie alla collaborazione tra soggetti, competenze, regole ed esperienze diverse. In tale ottica la Provincia ha sottoscritto la convenzione con la Direzione Regionale per i beni culturali e del paesaggio dell'Emilia Romagna, mettendo in rete il Museo Nazionale di Ravenna e il Museo Nazionale dell'età neoclassica in Romagna (Palazzo Milzetti) di Faenza: due musei di richiamo nazionale, in grado di contribuire alla qualità complessiva dell'offerta museale, che si misura soprattutto sulla presenza di adeguate e alte professionalità e sulla capacità di erogare servizi innovativi (più che sulla titolarità delle collezioni).
Il nostro Sistema, arricchito nel modo appena descritto, si pone l'obiettivo di essere utile a tutti i 40 musei aderenti, prioritariamente al piccolo, ma anche al grande museo. E cerca di farlo in modo differenziato, a seconda delle diverse esigenze, attraverso una convenzione strutturata come uno strumento 'leggero' di coordinamento e promozione che, laddove opportuno, fornisce tutto il supporto possibile, tecnico, scientifico, finanziario, amministrativo e metodologico, mettendo a disposizione dei musei risorse economiche, umane e strumentali.
Sotto questo profilo il testo della nuova convenzione si pone in forte continuità con le finalità e le azioni previste nella precedente convenzione. Obiettivo del Sistema Museale è quello di supportare i musei del territorio nel percorso di crescita e di raggiungimento degli standard di qualità, nonchè di promuovere capillarmente la loro conoscenza presso il pubblico più ampio possibile; in particolare, saranno finanziati gli investimenti selezionati assieme all'IBC, con un'attenzione particolare agli enti più piccoli.
Il Comitato scientifico del Sistema rappresenta il luogo ottimale per il confronto sulle idee e i progetti e per la sintesi delle varie istanze provenienti tra le macro-aree geografiche che compongono il territorio provinciale. Dal confronto nascono le azioni di sistema finanziate nell'ambito dei Piani museali: progetti come le audioguide o il portale dei musei potranno essere consolidati e affiancati da ulteriori innovazioni, nei prossimi anni, di cui tutti potranno beneficiare a costi ridotti a patto di saper unire le competenze disponibili e condividere le sempre più limitate risorse.
Pur in un quadro di drastiche riduzioni negli stanziamenti per la cultura, occorre moltiplicare gli sforzi per raggiungere gli standard di qualità nelle nostre istituzioni. A questo proposito, la sfida più suggestiva è costituita dalla valorizzazione delle professionalità (il direttore, ma anche il conservatore, l'educatore, l'addetto alla sorveglienza e all'accoglienza...), la cui competenza nonchè adeguata presenza nei musei è indispensabile per far funzionare tali istituzioni. A tal fine, la strada obbligata è quella di implementare i servizi associati e la cooperazione, non solo tra singoli musei ma anche tra musei e altri istituti e luoghi culturali del territorio, in primis biblioteche e archivi.
L'evolversi della normativa nell'ultimo decennio ha permesso alle Province di allargare le proprie competenze in materia di valorizzazione dei beni culturali, un'opportunità che la Provincia di Ravenna ha saputo cogliere iniziando a sviluppare nuove forme di collaborazione. Il Sistema Museale intende essere una rete nelle rete, e incentiva i musei ad aderire a altre reti tematiche, locali e nazionali: è il caso della rete di Ecomusei nazionale, delle case museo romagnole, dei musei della resistenza regionale. Promuove iniziative trasversali come ad esempio quella con il servizio biblioteche e archivi e con il settore turismo della Provincia o tra musei e scuola, affinchè si allarghino le occasioni di confronto e di conoscenza su iniziative di valorizzazione e di ricerca.
Un territorio provinciale, in ultima analisi, che non rinuncia, pure in tempi difficili come quelli che stiamo attraversando, a riservare ampio spazio per le politiche culturali, in controtendenza con un contesto nazionale che non sembra rendersi conto che la cultura rappresenta un elemento identitario fondamentale per tutti noi oltre che - diciamolo pure - un "prodotto" in grado di dare notevole impulso alla nostra economia.


Speciale Rinnovo Sistema Museale - pag. 9 [2010 - N.38]

La Provincia di Ravenna lavora alla sinergia tra la Rete Bibliotecaria e il Sistema Museale Provinciale a partire dal web 2.0 per realizzare una visione unitaria del patrimonio culturale e del territorio

Claudio Leombroni - Responsabile Servizio Reti Risorse Sistemi - Provincia di Ravenna

La Provincia di Ravenna ha mosso i primi decisivi passi verso la convergenza tra istituti culturali a partire da Internet. Più precisamente la rete civica Racine, una particolare applicazione di quella tecnologia che la Provincia sviluppò fra 1995 e 1997, è stata l'occasione per disegnare i primi tratti identitari del Sistema Museale Provinciale, nato proprio alla fine del 1997. Ancor prima della sua formalizzazione, la presenza dei musei e delle pinacoteche del nostro territorio in un'area specifica del web ne ha evidenziato i confini, l'identità territoriale e le caratteristiche; ne ha valorizzato storia e patrimonio; ne ha agevolato la percezione, almeno nel visitatore del web, come di qualcosa sufficientemente unitario e articolato per essere qualificato come rete.

La presenza dei musei nel web della rete civica era distinta da quella delle biblioteche. Nel corso del tempo la capacità delle nuove tecnologie di attraversare confini disciplinari o concettuali, di facilitare la convergenza fra domini di interesse eterogenei, ha creato le condizioni per progetti comuni. A questo risultato ha condotto anche un elemento, spesso sottovalutato o incompreso, ma fortemente connesso alle tecnologie dell'informazione: le aspettative degli utenti.

Dal punto di vista dell'utente che utilizza strumenti e ambienti informatici non hanno infatti molto senso le tradizionali distinzioni fra istituti culturali. O, altrimenti detto, l'utente (nelle varie dimensioni di cittadino, studioso, studente ecc.) si aspetta di avere a disposizione una infrastruttura in grado di soddisfare indistintamente le proprie esigenze informative e di rispondere a domande complesse, magari trasversali a biblioteche, musei e archivi.

Sulla base di questa consapevolezza nel 2007 la Provincia di Ravenna promosse - d'intesa con l'IBACN della Regione Emilia Romagna - il progetto Camus (Cooperazione e Automazione per i Musei). Il progetto presuppone un tipico scenario di riferimento per le politiche degli Enti locali che può essere così abbozzato: 'musealizzazione' di una determinata area territoriale; valorizzazione delle tradizioni anche mediante la digitalizzazione di oggetti e testimonianze orali; definizione di interconnessioni con la bibliografia e le testimonianze archivistiche relative a quella determinata area; implementazione di un sistema di marketing e valorizzazione turistica; fruibilità in termini di politiche educative e di crescita della qualità delle risorse umane.

È il caso di ricordare, se è consentita una qualche punta di orgoglio, che le intuizioni di fondo del progetto e le tecnologie utilizzate sono state poi adottate dallo stesso Ministero per i Beni e attività culturali per arricchire i contenuti dei propri portali. Quelle tecnologie hanno consentito di realizzare diversi percorsi espositivi virtuali (Pinacoteca - Mar di Ravenna, Pinacoteca Comunale di Faenza, Museo Civico Le Cappuccine di Bagnacavallo, MUSA - Museo del Sale di Cervia, Museo del Castello - Rocca di Bagnara di Romagna, percorso sulle "eccellenze artistiche" all'interno di nove diversi musei locali, Ecomuseo di Villanova di Bagnacavallo, Museo della Frutticoltura di Massa Lombarda e Museo della Vita Contadina in Romagna di San Pancrazio), con l'implementazione dell'interrogazione del catalogo delle biblioteche per estrarre le bibliografie relative ai singoli oggetti museali. La fase di implementazione è attualmente in corso, grazie anche a una borsa di studio appositamente attivata dalla Provincia, e quanto realizzato sarà presto disponibile nell'ambito del sito web del Sistema Museale Provinciale (www.sistemamusei.ra.it).

Contestualmente, sul versante della Rete Bibliotecaria, la Provincia di Ravenna ha attivato nel 2010 "Scoprirete" (http://scoprirete.bibliotecheromagna.it), il nuovo catalogo web 2.0, più amichevole, e personalizzabile dall'utente in base ai propri interessi e alle proprie esigenze, rispetto al più tradizionale Opac. La ricerca è semplice e offre al tempo stesso un elevato grado di flessibilità: permette di ricercare nell'intero catalogo oppure nei vari tipi di materiali e rispetto all'Opac la novità è rappresentata dalla ricerca diretta nelle immagini. I risultati sono arricchiti da riassunti, copertine ed è possibile accedere a informazioni aggiuntive presenti in GoogleBooks.

"Scoprirete" offre funzionalità di collaborative web: commenti, rating, recensioni, tagging sul documento, liste di lettura condivise, recommendation (chi ha letto questo ha letto anche). Presenta inoltre i contenuti dei cataloghi con modalità innovative fra le quali:

·              condivisione in Facebook di documenti e liste;

·              raffinamento delle ricerche mediante aggregatori, come ad esempio autori e date di pubblicazione;

·              guarda lo scaffale, che permette di entrare "virtualmente" nelle biblioteche;

·              fra i tag - espressioni relative a concetti pertinenti ai documenti - tradizionalmente gestiti solo dagli addetti al lavoro, sono presenti anche quelli immessi dagli utenti.

Il passo successivo è quello di consolidare il sito e l'infrastruttura tecnologica sottostante nell'ambito di un Portale Provinciale della cultura ("ScopriRa"), nel quale realizzare l'effettiva convergenza biblioteche-musei del territorio, riservando al prossimo futuro la convergenza anche con la nascente rete archivistica.

Ciò presuppone che gli operatori dei musei, delle biblioteche e degli archivi si sentano parte di una comunità che travalica le specializzazioni degli istituti e delle professioni. Lo svolgimento di un Open day delle biblioteche, musei e archivi, giunto quest'anno alla sesta edizione, e di cui si dà conto nelle pagine di questo stesso Speciale, è un primo significativo momento per facilitare la convergenza culturale oltre che quella tecnologica, per molti aspetti meno problematica.


Speciale Convergenza Musei Biblioteche e Archivi - pag. 9 [2010 - N.39]

A partire dalla trafila di Garibaldi, il patriottismo risorgimentale ha caratterizzato a lungo una terra fortemente impegnata a intendere fino in fondo l'anima della Nazione

Roberto Balzani - Docente di Storia contemporanea - Università di Bologna

A dare sostanza all'identità culturale della Romagna hanno contribuito, fra Ottocento e Novecento, tante narrazioni e tante memorie: cose remote, come le avventure e le tragedie dei Comuni e delle Signorie (e qui abbiamo approfittato - noi, romagnoli - di testimonial impareggiabili, quali Dante e Machiavelli); e cose più recenti, trasformate, in una forma abbastanza originale e affascinante di racconto collettivo. Il Risorgimento è una parte, forse la più significativa, di questo racconto.

Partiamo dal rocambolesco e tragico passaggio di Garibaldi, nell'agosto 1849. La trafila assomma in sé più aspetti straordinari: la natura mista (popolare e borghese) della compagine che aiuta il Generale; il piccolo tour romagnolo compiuto nel volgere di circa 20 giorni; il dramma romantico - Anita che muore -; l'immediata aura leggendaria che circonda l'intera vicenda, tanto da dar vita a stazioni di un'autentica via Crucis laica, che sopravvivono ancor oggi. A Cesenatico, dove il Generale è ricordato tutti gli anni ai primi d'agosto, come un santo patrono laico. A Mandriole e a Ravenna, dove l'ultimo asilo di Anita e il Capanno rappresentano luoghi della memoria tutelati - è il caso del Capanno - addirittura da oltre 140 anni. A Modigliana, dove la casa di don Giovanni Verità è insieme museo del Risorgimento e tappa della trafila.

Garibaldi, insomma, cuce lo spazio e connette in senso cooperativo il Risorgimento regionale. Una traccia, la sua, che consente di trapiantare il disegno della Nazione nel territorio della piccola patria. Un meccanismo precocissimo, già in funzione dopo l'Unità, che si perfeziona con i monumenti e una prima manutenzione dei luoghi intorno agli anni Ottanta dell'Ottocento. Da allora, cambiano le forme della politica, ma l'impronta lasciata dalla "grande fuga" resta.

Dunque, Garibaldi cuce il territorio e rende la terra "patriottica" in via definitiva, mettendo involontariamente a sistema i tanti impulsi alla ribellione convulsi e frammentati dei decenni precedenti - quelli raccontati e stigmatizzati da Massimo d'Azeglio nel suo pamphlet forse più famoso: Degli ultimi casi della Romagna, anno di grazia 1846. Sentiamolo, Massimo d'Azeglio: "i casi di Romagna, per quanto di poco momento, sono pur sempre un episodio della questione dell'indipendenza Italiana, questione che tanto più fervidamente viene agitata nel segreto de' cuori e de' colloqui, quanto più severamente le è vietato palesarsi in liberi discorsi ed in libere dimostrazioni".

Anche d'Azeglio salda la lettura di tanti moti disperati, di tante reazioni clamorose e inutili per ottenere, prima della Nazione, un'amministrazione decente. Questo il filo rosso della ribellione, che solo in un secondo momento, con la Giovine Italia, viene davvero politicizzata in senso nazionale e italiano. Si percepisce, scorrendo gli annali del periodo antecedente la primavera dei popoli, un senso di spreco d'energie, di dissipazione in imprese disperate, da folli o da grandi ingenui, talvolta da banditi. L'organizzazione interviene dopo, nel delicato biennio 1848-49, quando alla formazione subentra l'azione, alla generica educazione patriottica una capacità di legare le volontà e gli individui finalmente matura.

La storia di almeno tre generazioni s'intreccia col Risorgimento. Qui in Romagna essa definisce un racconto pubblico, oltre a segnare una discontinuità forte di classe dirigente. Che ci fosse la discontinuità era naturale; che il racconto riuscisse a resistere alla fase monumentale e celebrativa durata fino al 1911, giusto un secolo fa, un po' meno.

Perché è accaduto? In primo luogo, perché la natura narrativa dell'identità regionale, si prestava a includere questo tipo di memoria. In secondo luogo, perché il Risorgimento romagnolo aveva basi ritenute leggendarie: Maroncelli allo Spielberg con Pellico; l'impossibile "marcia su Roma" del generale Sercognani nel 1831; la trafila garibaldina del 1849. Ed era, poi, fenomeno largo, coinvolgente quote di popolazione ampia, nelle città, nei paesi e non solo. E, ancora, è accaduto perché si trattava di un'opera aperta. I romagnoli, il Risorgimento, non l'hanno considerato finito con il 1861. Il "fare gli italiani", in una terra fortemente infiltrata dal democratismo e dal radicalismo, non poteva ritenersi progetto compiuto, ma programma parallelo a quello del quotidiano amministrare.

Per questo, il patriottismo risorgimentale ha poi accompagnato tutto il resto: dalla nascita dei partiti di massa all'interventismo, alla Resistenza, senza soluzione di continuità. È questo che bisogna spiegare. E che Aurelio Saffi cercò di spiegare a Giuseppe Mazzini, senza riuscirci, in un duro duello epistolare, nel giugno del 1869.

Mazzini: "Caro Aurelio, ora senti e non irritarti. Tu non hai l'intuizione della Monarchia e dell'Italia; e non l'hai perché, superiore ai più per molte facoltà, non hai tendenza iniziatrice. In te il Pensiero predomina. E differente in tutto da lui, andresti, per tendenza contemplatrice, dove va Alberto Mario: aspettare che la Monarchia proclami la repubblica".

Saffi: "Mio caro Pippo, io non nego l'azione; ma non la credo efficace, non atta a riuscire, se non esce, come frutto maturo, dall'albero che si chiama Nazione, se si crede improvvisarla per fatto di frazioni di partiti, si chiamino queste frazioni dal tuo nome, o da quello di Garibaldi, o da altri nomi minori. Eccoti tutta intera la mia confessione".

Intendere fino in fondo l'anima della Nazione, superando la frammentazione degli impulsi e dei moti: a questo impegno è legata la nostra storia. Non piccola; non angusta; non localistica. Direi piuttosto europea, nel respiro, negli intenti, nei riflessi. Saffi rivendicava con orgoglio il superamento della grande dissipazione di uomini e di energie, che aveva contrassegnato il Risorgimento in Romagna prima dello sforzo organizzato e sistematico del 1849 e del 1860. Non si poteva tornare indietro. Ora occorreva ripartire dal basso e "ripetere al minuto, in forma domestica, alla borghesia, al popolo, all'intero paese, ciò che ha in sé, ciò che può avere per costituire solidamente l'avvenire, movendo dal fondamento noto e sicuro del municipio alla organizzazione dell'ignoto, che molti temono, al nesso della comune rappresentanza nazionale".

Tale è il modo in cui, noi romagnoli, siamo diventati italiani. Ed è bene che non ce lo dimentichiamo.


Speciale 150° Anniversario dell'Unità d'Italia - pag. 9 [2011 - N.40]

Tre diversi principi evocativi: verso una nuova finalizzazione dell'allestimento contemporaneo

Aldo De Poli - Docente do Composizione architettonica e urbana - Università di Parma

Una volta che è stato deciso come e cosa deve essere esposto, in una stretta collaborazione tra il progetto museologico del curatore e il progetto museografico dell'allestitore, vengono messe in atto specifiche tecniche di allestimento, con il fine di promuovere un percorso narrativo ed emozionale. Un poco alla volta, i materiali presenti della collezione vengono ricollocati in una sequenza accattivante, in cui pannelli illustrativi, documenti originali e oggetti unici diventano i capisaldi percettivi di uno spazio avvolgente e policentrico.
All'inizio, le potenzialità espressive della collezione subiscono un doppio esame critico: si stabiliscono gerarchie convenzionali tra le sezioni, si provocano volute antinomie concettuali e percettive mettendo in contrapposizione valori immateriali con oggetti fisici, si attribuisce un forte valore simbolico ad alcune specifiche opere o a particolari ambiti allestitivi. Superato il rigore filologico, il percorso di visita viene così definito scenograficamente, non solo per informare e per educare, ma anche per provocare sorpresa e per stupire. I capolavori più celebri vengono collocati alla fine del percorso; nulla viene più mostrato in modi rozzi e diretti; si organizzano delle piacevoli sequenze visive, dove l'attenzione vigile dello spettatore viene variamente coinvolta in modo da procurare un senso di attesa e di progressiva scoperta.
Il percorso diventa sinuoso, si avvale di colori e di materiali diversi, si arricchisce di nicchie, di trasparenze e di una varietà inconsueta di piani, si piega e si frammenta per rendere mutevoli le viste prospettiche e i centri di attenzione. Attraverso decise cesure spaziali, talvolta, il percorso si interrompe e persino si sdoppia, attraverso repentini cambi di visuale o vistosi salti di quota, introdotti per rappresentare dei decisivi fattori di spaesamento visivo e narrativo.
I pochi testi scritti, che restano visibili, siano essi messaggi o titoli, interagiscono continuamente con il percorso. Non sono più didascalie funzionali al singolo oggetto, ma diventano voce narrante, slogan e testimonianza. Attraverso dei totem da toccare o delle installazioni sonore da ascoltare, le parole acquisiscono, addirittura, un spessore materico, che viene a rinforzare la percezione collettiva di uno spazio già dilatato e tridimensionale.
Tre diversi principi evocativi.
Nel cercare di dar ordine ad un mondo molto articolato di operatori, che vede l'impegno progettuale tanto di direttori, curatori o promotori, quanto di architetti, designer, decoratori, grafici e così pure di esperti di mezzi di comunicazione multimediale, con una riduttiva sintesi, si propone qui una classificazione che si limita a tre criteri di allestimento. A ciascun modello operativo corrisponde un principio spaziale diverso, quindi una filosofia, che coinvolge alla fine la stessa definizione di museo. In questo breve saggio si indicano tre diverse tendenze d'oggi. La prima tendenza riguarda un allestimento basato su sequenze di documenti e di oggetti originali, con il fine di mettere in risalto l'unicità della collezione. La seconda tendenza riguarda un allestimento basato sulla potenzialità evocativa di pochi e condivisi principi astratti, espressi principalmente dalla riunione intenzionale di oggetti molto diversi. L'allestimento si presenta come un'istallazione d'arte, collocata in modo da provocare inattesi eventi estetici, caricati di un alto contenuto simbolico e comunicativo. La terza tendenza riguarda un allestimento basato sulla ricostruzione verosimile di una porzione di un ambiente di vita, o addirittura di un ambiente urbano o di un convincente paesaggio naturale.
I tre valori culturali che vengono qui messi in gioco ed esibiti nel progetto di allestimento, sono rispettivamente la Produzione, la Società e il Luogo. Utilizzando altri termini, vengono spazialmente interpretati l'Oggetto, l'Uomo e il Territorio.
Con il fine di indicare dei casi dimostrativi di stretta attualità, si fa riferimento solo a musei da poco riaperti al pubblico in Italia, e alle più importanti mostre dell'anno 2011, promosse nell'ambito di Italia 150 a Torino o in altre città.
La prima tendenza: esporre la Produzione.
È un allestimento basato sulle relazioni logiche ed evocative espresse da sequenze di documenti riferibili ad una certa epoca o ad un certo contesto culturale. Il principio di organizzazione spaziale prevede delle sequenze di oggetti originali di simile aspetto, appesi alle pareti o collocati in vetrine o posati su pedane, intervallati da documenti più preziosi, esposti in una posizione isolata. Come fattore di unificazione contano molto le tonalità di un prevalente colore neutro delle pareti della sala.
Un primo esempio recente è la mostra Italiani. Modenesi.150 anni di unità a Modena, aperta al Foro Boario di Modena e un altro è la nuova sezione sulla pesca lagunare riallestita al Museo di Storia Naturale di Venezia.
La seconda tendenza: esporre la Società.
È un allestimento basato sulla potenzialità evocativa di principi astratti, espressi da riunioni di oggetti decontestualizzati, ma caricati di un alto contenuto simbolico. Il principio di organizzazione spaziale prevede la presenza di piccole piazze chiuse, caratterizzate dalla presenza di una vistosa installazione. L'ambientazione scenografica permette una progressiva scoperta dell'opera esposta in modo da generare sorpresa. Come in una scena teatrale predomina un'indistinta oscurità, in cui si trovano immersi i collage di segni e i gruppi di oggetti.
Un esempio è la mostra sul romanticismo, L'anima e la musica, aperta all'Ospedale di Santa Maria della Scala a Siena e un altro è la mostra organizzata al Salone del Libro di Torino per i 150 anni del libro italiano, che rappresenta il nucleo originario di un futuro Museo nazionale del Libro.
La terza tendenza: esporre il Luogo.
È un allestimento basato sulla ricostruzione di un ambiente di vita e sulla simulazione di un luogo reale, si tratti di un lembo di paesaggio urbano o di un ambiente naturale. Il principio di organizzazione spaziale prevede la simulazione virtuale di spazi di vita o la ricostruzione, ad una dimensione reale, di luoghi anche lontani nel tempo e nello spazio. La disposizione dei diversi centri di attrazione visiva segue un rigido ordine prospettico: in primo piano sono collocati i documenti più significativi, in un secondo piano c'è un elemento plastico della natura o un oggetto meccanico di grande scala, sullo fondo, su un avvolgente schermo, si stagliano grandi panorami fissi o scorrono dinamiche immagini in movimento. Tali simulazioni convenzionali richiamano luoghi e miti dell'immaginario collettivo. Viene ricostruito tanto ciò che è andato perduto, quanto ciò (l'utopia, il desiderio, il sogno) che non è mai esistito.
Un esempio di valore artistico è la ricostruzione della sala Lucio Fontana, nel Museo del Novecento a Milano. Un esempio di valore storico è rappresentato dalle sezioni Chiesa e Emigrazione nella mostra Fare gli Italiani, aperta a Torino nell'ambito di Italia 150.
Quale futuro per il progetto del Museo?
Cercando, alla fine, un più generale principio di interpretazione si può affermare che la progettazione di un percorso di visita narrativo ed emozionale, che favorisca un'intensa percezione multisensoriale, si dimostra essere un obiettivo facilmente perseguibile. Un tale obiettivo va raggiunto grazie ad un'attenta politica di "edutainment" globale, in grado di presentare opportunità remunerative per l'impresa e di coinvolgere la partecipazione di nuove categorie di visitatori. Cosa ben diversa resta comunque la configurazione ottimale del museo del futuro, sia nei termini di gestione delle raccolte, sia di organizzazione architettonica di un nuovo spazio espositivo. Le varie sperimentazioni in corso dimostrano, tuttavia, come, da più parti, si stia attualmente sperimentando un certo modello italiano di museo, attento alle esigenze del nostro tempo. Si lavora per un museo aperto che sia in altri modi educativo; per un museo gerarchico che assegni compiti diversi alle diverse sezioni e per un museo radicato nel territorio che interpreti la stretta relazione tra collezione/luogo e tra patrimonio/identità locale.

Speciale nuovi allestimenti museali - pag. 9 [2011 - N.41]

Numerosi elementi sul territorio intrecciano la storia della città

Gabriele Gardini - Dirigente Settore Cultura Provincia di Ravenna

La morfologia naturale, è ben noto, condiziona l'avvicendamento degli insediamenti umani, influenzando la nascita delle città, la configurazione dei paesaggi, cioè in gran sintesi l'intero assetto del territorio. Ma questa vicenda, non è priva di complessità, contraddizioni e conflitti, i cui esiti si accumulano nel deposito continuo di strati successivi, dei quali la forma odierna è il risultato visibile.
Il nostro territorio si è formato attraverso avanzamenti creati dai fiumi con il trasporto e deposito dei sedimenti e l'incessante lotta con il mare: dalle divagazioni abbandonate, dai meandri colmati di limi, dai paleoalvei successivi. A ciò si aggiunga che nella continua lotta con le correnti dei flutti e dei venti, si formavano successivi allineamenti di cordoni dunosi, provvisori tra i diversi limiti marittimi e terrestri. Proprio questi fasci di dune contribuivano a intercludere degli specchi salmastri di laguna sia rispetto alle acque del mare, sia riguardo a quelle dolci dei corsi d'acqua. In questo spazio d'acqua e terra modellato dalle incessanti vicende fisiche e naturali si è inserita l'azione dell'uomo e della collettività organizzata. In questo luogo dove è sorta Ravenna, favorevoli condizioni di posizione tra il bacino economico padano e il mare realizzarono sulle ostili condizioni del sito, l'originaria localizzazione portuale.
Le ricerche archeologiche e i rilievi aereofotogrammetrici ci indicano che furono proprio i dossi emergenti tra acque e paludi le aree su cui fu costruita la città consentendo la penetrazione di popoli marittimi e la formazione di itinerari mercantili verso l'interno. Ravenna si sviluppò tra le foci di fiumi e un ramo meridionale del Po, il flumen Padennae finchè i suoi abitanti mantennero questa configurazione geomorfologica nel tempo attraverso il collegamento con il grande fiume a dispetto dell'accumulo di depositi alluvionali portati dai torrenti appenninici. Il Padenna collegato al Po fu l'asse portante del sistema idrografico che assieme ai corsi minori rappresentò la stretta relazione tra acque e terre che connotò per secoli la nostra città. Del suo ramo principale ne è rimasta l'impronta, fra le strade nel percorso nord-sud come le vie Rossi e Zanzanigola, Cairoli e Mentana, Ricci e Guidone, Mazzini e Baccarini. Mentre il Flumisello scorreva tra le odierne vie San Vitale e Cavour; un terzo corso, menzionato come Lamisa ricordato anche da Agnello, avanzava nell'area dell'oppido, lambendo il complesso dell'episcopio.
Sul Padenna che delimitava la città antica ad est furono costruiti i primi ponti per oltrepassare il corso d'acqua e collegare le diverse isole della città: il ponte Piscariae o San Michele, il ponte Marino, il ponte Cipitello, il ponte coperto o Apollinare, il ponte di via Muratori: di questi ponti sono stati individuati vari resti di murature di età altomedievale, mentre il ponte di Augusto presso l'attuale via Salara con un archinvolto in pietra d'Istria del periodo imperiale attraversava il Flumisello. In questo ambito occorre segnalare l'innovativa ricerca di Enrico Cirelli,con la pubblicazione Ravenna archeologia di una città che per la prima volta applica la tecnologia GIS per ordinare in maniera sistematica e scientifica tutte le informazioni relative ai ritrovamenti archeologici della città. Una delle tesi è che il porto sede della flotta romana fosse nell'area oggi occupata dall'ospedale con la Porta Aurea, arco trionfale davanti al porto e che la zona archeologica del podere Chiavichetta a Classe fosse il nucleo dei magazzini lungo i canali di collegamento con il porto militare. Mentre il porto commerciale della città conosciuto come Porto Coriandro si trovava invece nella zona dell'attuale darsena di città continuando a operare anche in epoca medievale: in adiacenza al mausoleo di Teodorico dove verrà posto più tardi posto un faro, rappresentato nei dipinti rinascimentali come nel San Girolamo leggente nel deserto della collezione Contini-Bonacossi agli Uffizi e nella Trasfigurazione di Cristo di Giovanni Bellini al Museo Nazionale di Capodimonte.
Nel periodo in cui divenne capitale, nel V secolo, era già in corso l'impaludamento dei fiumi e dei canali, con un processo graduale seguitando anche nel Medioevo ad essere il terminale dei commerci provenienti dal Medio Oriente e dal nord Africa, approvvigionando di merci l'entroterra padano attraverso il canale navigabile Padareno. Ma l'allontanamento graduale della costa Adriatica e lo spostamento del ramo principale del Po verso nord privarono la città della sua funzione più importante: il collegamento con il mare. Ironia della sorte il tombamento dei canali fu compiuto da Venezia (che aveva nel frattempo preso il posto e funzione di Ravenna nel mare Adriatico dopo la sua decadenza), con la trasformazione della morfologia della città, da città d'acqua a città di terra, causandone le successive e frequenti esondazioni fluviali. Iniziò l'epoca delle peregrinazioni dei porti ravennati alle foci dei fiumi per il piccolo cabotaggio durato un millennio. Il più attivo era il porto Candiano a sud di santa Maria in Porto Fuori, corrispondente all'originaria foce del Padenna, ancora attivo come modesto approdo nel XV secolo, poi connesso alla città nel 1651 dal canale navigabile Pamphilio che terminava con una piccola darsena e un arco trionfale dedicato al Papa Innocenzo X: l'odierna Porta Nuova. Successivamente a metà del Settecento il cardinal Alberoni fece costruire un nuovo canale navigabile fino alla Baiona dove sorse porto Corsini.
La ricerca del mare per acquisire nuovi traffici e commerci, anche in presenza di declino economico e funzionale, è sempre stata presente nel nostro territorio: ricordiamo di Faenza che costruì nel Settecento il canale naviglio Zanelli per collegare la città al mare; mentre Cervia, con un'economia imperniata sulla produzione di sale, prima aveva costruito il porto canale dalle saline al mare, poi addirittura la stessa città sarà traferita sul mare abbandonando il sito originario al centro delle saline: un'operazione vantaggiosa per i commerci lungo la costa e la futura prosperità della città.
La presenza di elementi che rimandano alla memoria marittima sono presenti oltre che nel sottosuolo, nella stele funeraria del faber navalis Publio Longidieno intento con l'ascia alla costruzione di una nave, nella stele del timoniere Apelle e in quelle dei classarii nel Museo Nazionale, nel mosaico di Sant'Apollinare Nuovo che rappresenta il porto di Classe, ma questo tramando c'è anche nei marmi greci delle colonne e dei capitelli provenienti dall'isola di Prokonnesos nel Mar di Marmara oppure nella pietra d'Istria o meglio nella pietra d'Orsera imbarcata nei porti di Rovigno e Parenzo, tipica della città nella decorazione dei palazzi cittadini, che ricorda il legame con l'altra sponda dell'Adriatico.
Ripercorrendo il rapporto uomo-acqua-territorio si constata come, fino al recente passato, l'importanza della comunicazione sull'acqua fosse una componente fondamentale e successivamente questo rapporto con il suo entroterra si sia deteriorato con lo sviluppo delle comunicazioni terrestri: il dissolversi della direttrice adriatica (anticamente la via Popilia) e il prevalere dell'asse della via Emilia. Non si deve dimenticare come le vie d'acqua fossero veicolo non solo di merci, ma anche di idee e conoscenza: il porto approdo di uomini provenienti da esperienze diverse assunse il ruolo di luogo d'incontro, d'assimilazione e di scambi fra più culture che nel confronto trovavano occasioni per migliorare ed evolversi. La città ha sempre cercato il collegamento con il mare, ma non si può non percepire la carenza di una cultura marinara e di uno spirito mercantile. Tra i possibili motivi contrari all'affermarsi di una portualità si considerano limitazioni di tipo ambientale come un litorale carente di fondali adatti all'approdo, ma affermava Paolo Fabbri "considerazioni del genere, non tengono conto che quando una serie di stimoli, siano sufficientemente forti, le società possono, con proprie tecnologie, sormontare molte delle sfavorevoli circostanze che dall'ambiente derivano ed adattarle ai propri fini".

Speciale Musei e acque - pag. 9 [2012 - N.43]

Un resoconto del Convegno Nazionale dell' ANMLI sul cambiamento del ruolo sociale del museo nei centri urbani

Anna Maria Visser - Direttivo ANMLI

Il convegno nazionale ideato e promosso dall'ANMLI - Associazione Nazionale Musei Locali e Istituzionali, curato da Anna Maria Montaldo e Anna Maria Visser, si è svolto a Ferrara il 30 e 31 marzo scorsi: due giorni di riflessione e dibattito su un tema fondamentale per i musei italiani e segnatamente per i musei civici, al fine di valutare come i nostri "vecchi" musei, fondati in gran parte nell'Ottocento, possano affrontare i tempi "nuovi" e il cambiamento della società. In sostanza si tratta di coniugare i valori della tradizione con quelli dell'innovazione, partendo dalla storia per passare al confronto critico sul ruolo attuale del museo nella vita civile, sulle sue modalità di comunicazione e di interazione con il visitatore. Già da alcuni anni l'ANMLI ha avviato in tal senso un percorso di ricerca, con il progetto "Museo civico. Tradizione e Innovazione", ed ha promosso una serie di giornate di studio su base regionale e territoriale. Il convegno di Ferrara ha inteso allargare il dibattito a livello nazionale, nel tentativo di trovare una sintesi e di fornire indicazioni concrete per rinsaldare il legame fra le città e i loro musei. La crisi finanziaria ed economica e le trasformazioni sociali generano incertezza e difficoltà. Difficoltà di visione e di strategia, ancor prima e ancor più che difficoltà di organizzazione e di gestione. Come sarà nel prossimo futuro il museo cittadino e che ruolo avrà? Di questo si è discusso nel convegno.
Dopo la prolusione di Andrea Emiliani, studioso eminente dei musei, che ha tracciato le coordinate entro le quali la dinamica storica dei musei si è mossa, nella prima sessione si sono svolte le relazioni di carattere generale su quattro temi fondamentali: l'assetto istituzionale del museo inteso come "comunicatore" al servizio della comunità; la funzione educativa del museo, per la "costruzione" della cittadinanza; la presenza simbolica dell'architettura museale nelle città storiche; l'impatto delle tecnologie e le modalità attraverso le quali cambiano la vita urbana.
Se la prima sessione ha avuto un profilo più di carattere teorico, con la seconda sessione sono state presentate sperimentazioni di nuovi approcci e di nuove attività, spaziando da musei di importanti città d'arte a centri più defilati e meno noti. Sono da segnalare in particolare: la Galleria degli Uffizi con il progetto "la città degli Uffizi", consistente in mostre e attività organizzate con centri minori, limitrofi a Firenze e anche oltre, valorizzando opere conservate nei depositi; Palazzo Madama a Torino che ha ridefinito la missione del museo, passando da iniziative convenzionali ad attività che stimolano la partecipazione del pubblico e lo scambio comunicativo fra curatori e visitatori; la Galleria Comunale d'Arte di Cagliari che ha realizzato attività inclusive e iniziative specifiche per avvicinarsi ai giovani e al grande pubblico. Molti altri sono stati poi i casi presentati.
La parola, nella terza sessione, è passata ai politici e agli amministratori, stretti fra ricerca del consenso, adempimenti istituzionali e riduzione delle risorse; sono intervenuti inoltre i rappresentanti delle più importanti associazioni museali italiane, che hanno portato ciascuno il proprio punto di vista.
Il convegno è stato ricco, denso e partecipato. L'ANMLI ha volutamente focalizzato l'attenzione sui "cittadini", che sono i veri detentori del museo. Non bisogna solo rincorrere il turismo di massa con grandi mostre ed eventi orientati al consumo culturale, ma bisogna curare le comunità locali per produrre cultura legata alla città e al territorio. Il convegno ha dimostrato quanta vitalità ci sia in tanti musei, che non è opportunamente conosciuta e valutata. Questa è la risposta più valida alla crisi: con poche risorse, ma valorizzando la fantasia e la capacità progettuale del "capitale umano" si ottengono risultati sorprendenti e fruttuosi. I musei italiani reagiscono alla crisi e sono proiettati verso il futuro.
Per il programma completo del convegno, notizie sull'ANMLI e sul progetto "Museo civico. Tradizione e Innovazione", vedi www.anmli.it.

Appunti dai convegni - pag. 9 [2012 - N.44]

Una tesi di laurea ha applicato al MAR di Ravenna l'innovativa metodologia in merito alla gestione dei rischi per il patrimonio culturale messa a punto dall'ICCROM

Nadia Ceroni - Conservatore Museo d'Arte della Città di Ravenna

Ancora una volta i recenti avvenimenti su scala italiana hanno palesato la vulnerabilità dell'intero patrimonio culturale, dei monumenti, delle collezioni e dei luoghi dove vengono custoditi i Beni Culturali. L'attuale scenario globale, nazionale e internazionale, impone nuove sfide e integrazioni nel campo della loro conservazione. Problematiche che sollevano importanti interrogativi circa la nostra reazione e il nostro comportamento in tempi duri e di difficili decisioni, mettendo in evidenza la necessità di pianificare e implementare le misure rivolte alla tutela del patrimonio.

E allora, a quale scienza bisogna far riferimento oggi per la ricerca della salvaguardia del nostro patrimonio? O in caso di emergenza, durante un terremoto o un'alluvione, come affrontare calamità naturali le cui ricadute sul patrimonio culturale ed anche sull'ecosistema possono determinare reazioni irreversibili?

Sono queste le problematiche affrontate da Carla Pianese nella sua tesi di laurea intitolata "Risk management per le collezioni museali", Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali, Corso di laurea magistrale in Storia e Conservazione delle opere d'arte, relatore Prof. Salvatore Lorusso, anno accademico 2010/2011.

La gestione del rischio è il processo mediante il quale si misura e si stima il rischio. È basato su una sequenza di cinque fasi - 1) stabilire il contesto, 2) identificare, 3) analizzare, 4) valutare, 5) trattare i rischi - dalle quali si sviluppano strategie che possono dare origine a tre esiti differenti: evitare il rischio, ridurne l'effetto negativo, minimizzarne in parte o in toto le conseguenze.

La metodologia, messa a punto dal Centro Internazionale di Studi per la Conservazione e il Restauro dei Beni Culturali (ICCROM) in collaborazione con l'Istituto Canadese di Conservazione (CCI) e l'Istituto di Conservazione Olandese (ICN) è stata applicata al Museo d'Arte della Città di Ravenna e rappresenta uno dei primi casi di studio sulla gestione dei rischi in ambito nazionale. La conservazione preventiva, troppo poco considerata in Italia, è invece ampiamente riconosciuta nella maggior parte dei paesi europei come strategia di azione prioritaria e il Risk Management costituisce un approccio interdisciplinare innovativo.

Lo studio ha coinvolto 310 opere della Collezione Antica del MAR, per lo più su tela e tavola, sia esposte permanentemente sia collocate nei depositi.

Dopo aver delineato il contesto economico e gestionale dell'istituzione museale, Carla Pianese ha identificato i possibili rischi a cui sono esposte le opere prese in esame, riflettendo anche sul loro significato storico e identitario. L'applicazione ha dimostrato che attraverso il Risk Management è possibile migliorare le strategie di conservazione delle collezioni museali, purchè l'attenzione sia indirizzata verso la globalità dei manufatti e non al singolo oggetto. Sviluppando opportuni accorgimenti per ridurre i rischi e pianificando l'analisi dei costi-benefici, sarà possibile destinare un'adeguata ripartizione delle proprie risorse nella direzione più efficace per la conservazione.

Lavori scientifici come questo, frutto della costante collaborazione del Museo d'Arte della Città con l'Università di Bologna, arricchiscono il museo, la capacità d'analisi e di conoscenza del patrimonio e di nuovi modelli di gestione.

Le tesi che hanno trattato la storia della struttura architettonica, delle collezioni, degli interventi conservativi, dell'attività espositiva e delle scelte gestionali del MAR sono già più di trenta e sono consultabili presso la Biblioteca d'Arte del museo.


Tesi e musei - pag. 9 [2012 - N.45]

L'Ecomuseo delle Erbe Palustri inaugura il prossimo 12 maggio una nuova sede a Villanova di Bagnacavallo

Giuseppe Masetti - Direttore Musei Civici di Bagnacavallo

La nuova sede al n. 1 di via Ungaretti è un ex edificio scolastico al centro della zona scolastica e sportiva di Villanova, in grado di offrire all'Ecomuseo una superficie espositiva di oltre mille metri quadrati a poca distanza dalla precedente sede.
Il Museo della Civiltà Palustre è attivo fin dal 1984, a opera della meritevole omonima Associazione culturale di volontari locali; definito Ecomuseo in anni più recenti, per il forte rimando al contesto ambientale che l'ha generato e all'apporto della comunità territoriale, si presenta oggi con la più esatta denominazione di Ecomuseo delle Erbe Palustri per evidenziare la propria vocazione a rappresentare la storia di una tipica lavorazione artigianale e di un determinato ambiente naturale che ne ha consentito lo sviluppo tra Ottocento e metà del Novecento.
Oggi quel contesto ambientale non è più visibile a Villanova, ma solo nelle zone umide retrodunali che caratterizzano la costa adriatica fra Ravenna e Venezia. L'Ecomuseo nella sua nuova sede si fa carico così di spiegare in premessa anche l'evoluzione storico-ambientale di quel paesaggio generativo e di descrivere gli eventi che prima allontanarono, poi riavvicinarono il contesto vallivo, da cui gli abitanti di questa operosa borgata traevano la materia prima delle loro manifatture, cioè le erbe palustri, variamente impiegate per realizzare graticci, stuoie, sporte e impagliati diversi, un tempo diffusi in vari campi dell'artigianato. Prima che le materie plastiche e l'uso duttile dei metalli invadessero il nostro panorama le manifatture in canna e legno erano fondamentali non solo negli usi domestici, ma anche per accompagnare la fabbricazione dei laterizi e realizzare i soffitti a volta, nella coltura dei bachi da seta, nella pesca delle anguille, per ombreggiare i cumuli delle saline cervesi e per costruire le gabbie dei volatili che si vendevano numerose sui mercati romagnoli. Agli inizi del Novecento solo il comparto delle gabbie prevedeva un magazzino permanente di ventimila pezzi, e negli anni Sessanta la lavorazione delle borse in paviera raggiungeva i duecentomila pezzi all'anno.
Il percorso di visita all'interno della nuova sede ecomuseale si suddivide in due livelli: al pian terreno oltre la reception si accede alla Sala didattica per un momento di prima accoglienza, con una proiezione di otto minuti che sintetizza le vicende storiche, ambientali e produttive che descrivono il territorio di appartenenza, che hanno generato il sapere e l'economia locale secondo la più classica definizione di Georges Henri Rivière.
Seguono tre ambienti di diversa misura per descrivere, ciascuna anche con programmi multimediali, la cartografia storica del luogo e le sue trasformazioni idrogeologiche, una proiezione immersiva di dieci metri lineari, proiettata in loop, per di riportare agli occhi del visitatore l'ambiente vallivo che ha generato questa economia e che attualmente non è più visibile nei dintorni. Infine le due aule maggiori, sempre al pian terreno, sono destinate a ospitare il laboratorio domestico, con le periodiche dimostrazioni dal vivo della lavorazione delle erbe, o in via permanente l'assetto di un monolocale in cui la famiglia viveva riunita intorno al fuoco, con mansioni diverse a seconda dell'età e delle abilità, ma sempre impegnata in qualche fase produttiva, compreso l'uso graduale dei cascami vegetali per alimentare il camino. Qui sarà l'attore Ivano Marescotti, originario di Villanova e figlio di operai della manifattura palustre, a fungere da testimonial in una proiezione video che affida anche alla sua esperienza personale l'ambiente evocato.
Lungo il passaggio che porta alle scale una grande vetrina protegge e ospita una significativa campionatura dei manufatti più articolati realizzati con le erbe vegetali, mentre dalla parte opposta una pannellatura di cinque metri lineari descrive le primissime testimonianze di questo curioso borgo rurale.
Salendo le scale per accede al secondo piano, s'incontrano altri apparati didattici incentrati sulla rappresentazione della storica Rotta del fiume Lamone del 1839, che allagando oltre ottomila ettari di terreno riportò per oltre un secolo la palude in prossimità di Villanova. In mancanza di documenti iconografici, di fronte a poche mappe dedicate, si è ricorso a pannelli sonori che diffondono le relazioni su tale disastro redatte dall'ingegnere idraulico e dal parroco della frazione.
Al secondo piano si accede alle singole aule dedicate alle principali erbe palustri lavorate, partendo dal salice e dal pioppo, adatte costruzione delle prime gabbie e sedie rustiche, per passare alla canna palustre, usata per coperture, graticci e scope, proseguire con il giunco, usato per stuoie e sporte e arrivare infine alla carice, adatta ai manufatti più delicati e preziosi della cesteria e degli impagliati. Ogni sezione contiene sia le raccolte seriali di manufatti che grandi fotografie storiche e recenti, per mettere in relazione l'uomo e gli oggetti e dare un tempo a questa narrazione molto tecnica.
In un ampio spazio centrale si mostrano inoltre gli utilizzi specifici per altre economie cui erano destinati i prodotti di Villanova: le bolaghe, o ceste da pesce, per contenere le anguille di Comacchio, le stuoie ombreggianti per consentire l'asciugatura lenta del sale dolce di Cervia o dei mattoni nelle fornaci, i cannicci o arelle per i soffitti ricurvi o i graticci per l'allevamento dei bachi da seta. Tutti strumenti di un mondo che ricorreva poco ai metalli. Qui un tavolo touch-screen interattivo consente al visitatore un approccio ipertestuale, che a partire dal poster illustrante l'operosa borgata al lavoro, consente di scegliere e approfondire le varie fasi di trattamento delle erbe: dalla raccolta in valle alla selezione per qualità, all'essiccatura e destinazione alle molteplice lavorazioni.
L'ultima aula di questa serie è dedicata alle imbarcazioni con cui ci si recava in valle. agli espedienti popolari per eludere i controlli padronali e alle soluzioni abitative che ancora oggi si avvalgono delle proprietà isolanti della canna. Accurati diorami di capanni e di ambienti vallivi sono abbinati ad alcuni campioni di pannelli, oggi tornati in grande considerazione nel campo della bioedilizia e del contenimento energetico. In pratica si tratta di una finestra sulle potenzialità odierne di una risorsa naturale, di un sapere storico ed un know how che vale la pena di conoscere in profondità per le sue numerose e varie applicazioni.
Uno spazio ludico e distensivo - dopo molti contenuti - è dedicato ai giochi in uso nel villaggio, fatti con poverissime materie prime e molta fantasia, che stimolano un'inventiva ormai scomparse dall'orizzonte delle attenzioni rivolte agli ospiti più piccoli. Sono i giochi di un tempo, comuni a tanti ambiti, pensati per l'aria aperta dei cortili o per i piccoli spazi domestici, ma sempre accessibili a tutti.
L'ultimo ambiente del percorso di visita è dedicato alla commercializzazione dei prodotti in erba palustre. Il prezioso campionario dei trenta tipi di intrecciato, si unisce all'abaco delle sporte e delle forme sulle quali venivano singolarmente realizzate, grazie alla gelosa competizione delle singole operaie. Solo per dare una dimensione spaziale dell'export che raggiunsero queste manifatture si può dire che nel periodo più attivo furono presenti in prestigiose fiere internazionali e sui mercati inglesi, tedeschi e mediterranei.
Il percorso si conclude con il passaggio a un'area di ospitalità e ristoro con cinquanta posti, usata anche come laboratorio mattutino per le scuole, basata sulla valorizzazione dei prodotti eno-gastronomici più tipici e naturali espressi dal territorio bagnacavallese.
Con l'inaugurazione del 12 maggio si conclude un percorso avviato oltre tre anni fa, che ha visto il prezioso coinvolgimento del Parco del Delta del Po, della Regione Emilia-Romagna, sia attraverso l'IBC che tramite l'assegnazione dei Fondi Europei per lo sviluppo rurale, della Provincia di Ravenna e di un'importante Fondazione bancaria.

Speciale Allestimenti Museali - pag. 9 [2013 - N.46]

Non solo depositi per la conservazione ma fondi formidabili ai quali attingere per azioni e attività del museo

Anna Maria Visser Travagli - Master MCM MuSeC - Università di Ferrara

Deposito o riserva - mutuato dal francese rèserve - sono termini entrati nell'uso di recente, in sostituzione del più tradizionale termine magazzino. I primi evocano ambienti idonei e attrezzati per la conservazione preventiva e la gestione delle collezioni museali, mentre il terzo evoca piuttosto uno spazio di fortuna, inadatto e carente, dove regnano polvere e confusione. Ancora troppi in Italia sono i musei in questa deplorevole condizione, che l'attuale crisi acuisce; è assai difficile, allora, che amministratori e decisori stabiliscano di investire in strutture, che non danno alcuna visibilità e la cui utilità è riconosciuta quasi solo dagli addetti ai lavori.
Qual è allora, davvero, la funzione dei depositi e come socializzarne il valore?
Il primo compito di un museo è la conservazione. Questa consiste nel mantenere le opere in condizioni tali da assicurarne la durata nel tempo; nel procedere periodicamente alle dovute operazioni di manutenzione; nel realizzare i necessari interventi di restauro. Congiunta alla conservazione è la sicurezza: ambientale, strutturale, d'uso, anticrimine e antincendio. L'Italia che ha sviluppato una vera e propria cultura del restauro e della conservazione a livelli di eccellenza nel mondo, tarda, paradossalmente, a realizzare e adeguare gli spazi per i depositi, che sono essenziali, sono il vero "cuore" del museo. Eppure, è dal 2001, con l'emanazione del decreto degli standard di qualità dei musei, che sono disponibili norme e linee guida specifiche, contenute negli ambiti dedicati alle strutture, alla sicurezza, alla cura e gestione delle collezioni e al personale, dove sono indicate le figure professionali necessarie per la gestione del museo. Per non parlare poi di norme di riferimento internazionali, relative al museum collection management, che è in continuo sviluppo. Depositi per la conservazione dunque, in coerenza con l'etica museale e in ottemperanza alle norme, ma non basta!
La riserva (è meglio usare questo termine se facciamo riferimento a dipinti, sculture, oggetti d'arte, che normalmente non sono esposti) costituisce un fondo formidabile al quale attingere per azioni e attività del museo, come prestiti, mostre, attività per il pubblico. Un caso esemplare è la Galleria degli Uffizi di Firenze, dove la riserva, appunto, - così ama chiamarla il direttore - è attrezzata come una galleria parallela, in cui i dipinti sono sistemati come se fossero in una quadreria nobile, tutti chiaramente leggibili.
Ma, perchè ci sono tante opere e tanti oggetti nei depositi?
Non è necessariamente un dato negativo. Non bisogna dar peso, a mio parere, ai ricorrenti articoli di stampa proposti da un giornalismo approssimativo, che si compiace nel denigrare sistematicamente l'amministrazione dei beni culturali: tesori nascosti, abbandonati nei depositi, sottratti alla fruizione. Si dimentica che i più famosi e visitati musei del mondo hanno strutture imponenti per i depositi e i laboratori di restauro e ricerca; basti ricordare a tal proposito il British Museum di Londra. Nello squilibrio fra opere esposte e opere conservate nei depositi bisogna ricordare che ci sono raccolte, come, ad esempio, quelle numismatiche e naturalistiche, che non ha senso esporre nella loro interezza, e poi ci sono opere i cui materiali costitutivi sono troppo delicati per essere esposti in permanenza, come disegni, stampe, sete, tessuti ecc. Non tutto deve o può essere esposto, ma è innegabile che, purtroppo, nella gran parte dei musei italiani fra esposizione permanente e conservazione nei depositi non c'è un rapporto fisiologico, ma un rapporto patologico. Questo è un dato negativo, al quale bisogna porre rimedio, se vogliamo ammodernare i musei italiani e renderli efficienti.
Perché questa situazione? Credo che le cause principali siano due.
I musei di antica tradizione esponevano tutto - basti ricordare le wunderkammer e le quadrerie storiche - mentre con la "rivoluzione" museografica moderna le opere sono state selezionate, diradate, collocate solo ad altezza d'occhio in modo da facilitare la visione. Questo fenomeno ha da un lato portato alla realizzazione di musei-capolavoro, come il Museo di Castelvecchio a Verona realizzato da Carlo Scarpa, ma nel contempo ha "prodotto" la necessità di depositi imponenti, in cui collocare le opere "scartate".
Inoltre bisogna ricordare che il museo è un istituto potenzialmente sempre in crescita, come la biblioteca e l'archivio. Il patrimonio cresce con acquisti - pochi! - con depositi e lasciti, ma soprattutto aumenta per la dilatazione che ha assunto il processo di patrimonializzazione dal secondo dopoguerra ad oggi, che ha fatto entrare nei musei tipologie di oggetti del tutto nuove o reperti derivanti dalla trasformazione dei criteri e dei metodi di indagine; basti pensare agli scavi archeologici stratigrafici.
Carente è dunque lo spazio, sia per l'esposizione permanente che per i depositi, mentre aumentano le collezioni. Che cosa fare?
Non bisogna certo tornare ad assiepare le sale, come un tempo (anche se qualche sperimentazione museografica in tal senso si vede, ma ha un significato diverso), ma bisogna considerare tutto il patrimonio museale in osmosi fra esposizione e depositi. Possono esserci diverse soluzioni.
La prima: rendere evidente, trasparente direi, nel percorso museale il deposito, con gli oggetti ben ordinati e collocati. Penso all'impatto straordinario che ha sui visitatori il deposito vetrato circolare di reperti etnografici, collocato all'ingresso del museo parigino du Quai Branly dell'architetto Jean Nouvel.  Bisogna abbattere il "diaframma" che divide l'esposizione permanente dai depositi: ciò che non si vede è come se non esistesse. Bisogna allora promuovere, se è possibile, aperture straordinarie dei depositi, con visite guidate e visite a tema: depositi aperti, come fa da alcuni anni la Galleria Borghese di Roma.
Seconda soluzione: mostre, non grandi mostre che sono ormai obsolete, ma mostre di museo, che valorizzano le opere dei depositi, in simbiosi con altre opere e documenti anche da altri musei,  biblioteche, archivi, raccolte private ecc. L'importante è il progetto culturale, per cui queste mostre costano poco e rendono molto in termini di crescita culturale e civile. Tutte le grandi istituzioni museali del mondo propongono continuamente mostre di questo tipo.
Terza soluzione: optare per l'esposizione a rotazione delle collezioni nelle sale permanenti. Fermo restando che i capi d'opera e le opere più importanti devono restare esposte in permanenza, bisogna attrezzare gli allestimenti in modo che possano accogliere con periodicità il rinnovamento dell'esposizione.
Così il museo può diventare dinamico sia in senso scientifico che di comunicazione e rinnovare la sua offerta alla comunità e ai visitatori.
In una situazione di crisi come l'attuale è possibile che ogni museo possa disporre di un proprio deposito modernamente attrezzato? O è meglio pensare a strutture condivise fra più istituti di una stessa città o di uno stesso territorio, in una logica di sistema e di rete? La crisi stimola ciascuno a uscire dal proprio specifico e a pensare a nuove architetture istituzionali e a nuovi sistemi di governance, per poter condividere risorse e personale. Quello che non si riesce a fare da soli, si può fare se si è uniti.
Un modello può venire da quanto è stato fatto per il terremoto; sotto l'urgenza della necessità di ricoverare le opere colpite dal sisma del 20 e 29 maggio 2012, la Direzione regionale dell'Emilia Romagna (MiBAC) ha creato nella Reggia di Sassuolo un ampio ed efficiente deposito e un laboratorio di restauro al servizio dell'intera area terremotata del ferrarese e del modenese. Perché non pensare a qualche cosa di analogo, naturalmente al di fuori dell'emergenza, anche per altri territori; per Ravenna e per la Romagna potrebbero essere un buon banco di prova.

Speciale Depositi museali - pag. 9 [2013 - N.47]

Immagini devozionali fiamminghe dal XVI al XVIII secolo in mostra alla Biblioteca Classense di Ravenna

Claudia Giuliani - Direttrice Biblioteca Classense di Ravenna

La Biblioteca Classense di Ravenna, in occasione di questo Natale 2013, presenta al pubblico la raccolta di immagini devozionali fiamminghe di Vittorio Pranzini, rinnovando l'attenzione in passato spesso manifestata nei confronti di un collezionismo privato, di ambito ravennate, ma non solo, che va ad arricchire la conoscenza e lo studio dell'iconografia di età moderna.
Le stesse ricche collezioni pubbliche classensi, di grande pregio anche in ambito grafico, hanno avuto origine da vari collezionismi: in particolare la collezione delle quattrocentesche xilografie di argomento sacro, la cui sopravvivenza si deve prima al giurista Jacopo Rubieri che nel XV secolo le utilizzò per illustrare i propri manoscritti, poi, alla fine di una lunga vicenda, a Pietro Canneti, abate di Classe nei primi anni del Settecento e importante esponente di quel collezionismo camaldolese che seppe raccogliere e organizzare una grande biblioteca.
I Camaldolesi classensi coltivarono un vivo interesse per la propria iconografia, come dimostra la bella raccolta di immagini devozionali incollate in album, denominata appunto Iconografia camaldolese, che si pone fra le principali documentazioni di imagèrie sacra di pertinenza dei monaci della religione romualdina.
Tante le testimonianze dell'arte incisoria europea fra le mura classensi, in libro o sciolte, sacre o profane, come le stampe della collezione Morigia o le novecentesche, recenti raccolte dei giochi di percorso a stampa e di carte da gioco, entrambe nate dal collezionismo privato.
Oggi, dunque, abbiamo la possibilità di rinnovare questa felice collaborazione tra pubblico e privato con un'esposizione che offre la visione di immagini sia sciolte che legate in volume: la raccolta Pranzini si costituisce di fogli, prodotti dalle maggiori botteghe di stampatori fiamminghi fra XVI e XVIII secolo e raggruppati per tematica iconografica, e di un manoscritto in due tomi, illustrato con incisioni a bulino dei fratelli Wierix di Anversa e di celebri incisori francesi, realizzate fra XVI e XVII secolo, a testimonianza di una propensione per le immagini religiose "in piccolo" che si diffonde velocemente in tutta Europa, incisioni devotamente raccolte da un francescano e rilegate con le carte manoscritte dei due volumetti, ulteriore, interessantissima testimonianza di una convivenza di stampe e testo manoscritto, viva dal XV secolo.
I due libretti francescani della collezione Pranzini dialogano felicemente con un manufatto classense, prodotto dalla devozione camaldolese tra XVI e XVII secolo, il manoscritto 76, di tipologia affine, anch'esso illustrato con bulini afferenti al gusto fiammingo.
La visione diretta di queste belle immagini gradevolmente colorate, consente riflessioni di vario genere e spessore.
Si presta ad un primo approccio didattico sulle tecniche incisorie, sulle coloriture e sulle peculiarità di manufatti finalizzati alla regola, alla preghiera o alla meditazione e largamente diffusi attraverso l'Europa.
Si offre alla riflessione sulle complesse valenze simboliche dell'iconografia sacra di varia tipologia.
Infine, si presta ad approfondimenti sull'attività di quegli incisori fiamminghi, le cui opere ebbero straordinario successo anche in Italia, che, dalla seconda metà del Cinquecento, contribuirono a diffondere in Europa temi iconografici e caratteristiche di stile e di gusto, in gran parte derivate dalle opere dei maggiori artisti dell'epoca.
Per queste ragioni, oltre alla considerazione della rarità di occasioni espositive in Italia relative a documenti di questo genere, riteniamo che questa mostra classense costituisca un'importante occasione di valorizzazione e conoscenza di un patrimonio eccellente, allestito attraverso un percorso didattico, corredato di importanti esemplificazioni delle raccolte pubbliche classensi, propedeutiche alla visione, e che dimostri una volta di più la vitalità del tessuto culturale cittadino e il suo volgersi al patrimonio storico e artistico europeo.

La pagina della Rete Bibliotecaria di Romagna e San Marino - pag. 9 [2013 - N.48]

Sistemi culturali territoriali integrati, nuove architetture di governance e qualità delle persone: i cambiamenti da attuare per non sprecare le opportunità che la crisi ci offre

Claudio Leombroni - Responsabile Servizio Sistemi informativi e Reti della conoscenza

In questo numero di Museo in-forma diamo conto di un significativo ampliamento del sistema museale. Nonostante la difficile congiuntura, diciamo pure la crisi del nostro tempo, è un segnale positivo, che avvalora le prospettive del sistema esposte nel convegno ravennate del 3 marzo 2014. In quell'occasione ebbi modo di dire che l'intersezione di crisi economica, crisi dei bilanci pubblici e crisi istituzionale delle Province non doveva essere interpretata come il collasso delle esperienze cooperative in ambito museale e bibliotecario caratterizzanti il nostro territorio da oltre due decenni, ma piuttosto come un'opportunità; un'opportunità per cambiare, per estendere la cooperazione oltre i limiti che abbiamo conosciuto: in senso verticale incrementando quantità e qualità dei servizi cooperativi per i musei e le biblioteche; in senso orizzontale integrando in unico sistema cooperativo gli istituti della cultura.
Che le crisi siano, contrariamente al senso comune, foriere di opportunità ce lo dice l'etimologia greca del termine, che richiama la capacità di giudizio, la scelta. Scegliere vuol dire sondare le opportunità, le alternative; vuol dire immaginare un futuro desiderabile, vuol dire esplorare. In questo senso la crisi, come ebbe a dire Einstein, costituisce la più grande benedizione per le persone e per le nazioni, perché reca con sé il progresso. Chi attribuisce alla crisi fallimenti personali, difficoltà pubbliche o private violenta il proprio talento, le proprie capacità, attribuisce più valore ai problemi che alle soluzioni e conseguentemente cancella la consapevolezza che senza crisi non ci sono sfide, non c'è merito e spesso solo difesa dello status quo e conformismo.
Assenza di crisi, dunque, equivale a immobilismo. "For all crises bring progress", sempre richiamando Einstein. Ed Einstein scriveva a ragion veduta, poiché aveva di fronte a sé le dure conseguenze della crisi economica - e non solo - del 1929.
Anche oggi stiamo vivendo gli effetti di una crisi iniziata all'incirca ottanta anni dopo la crisi che aveva conosciuto la generazione di Einstein; una crisi visibile in tanti aspetti della nostra vita e naturalmente anche nelle politiche per la cultura, nei risicati bilanci dei nostri istituti, nelle conseguenze politico-istituzionali del tentativo di controllare i flussi di spesa da parte dello Stato interpretabili come neo-centralismo ed estromissione della cultura o di quote significative di essa dal perimetro della spesa pubblica.
Una eccellente riflessione sulla crisi che stiamo vivendo, peraltro con diversi profili straordinariamente convergenti con le proposte cooperative avanzate negli ultimi due convegni annuali organizzati dal Sistema museale, è il recente libro di Fabio Donato dal titolo La crisi sprecata: per una crisi dei modelli di governance e di management del patrimonio culturale italiano pubblicato dall'editore Aracne di Roma alla fine dello scorso anno.
Donato parte da una considerazione di fondo, ossia che la crisi che stiamo vivendo non è una crisi ciclica, ma strutturale. È una tesi peraltro già argomentata in un altro saggio che mi sembra costituisca più in generale una indispensabile premessa al volume in argomento e di cui consiglio la lettura: mi riferisco a The financial crisis and its impact on the current models of governance and management of the cultural sector in Europe pubblicato nel n. 1 del "Journal of cultural management and policy" del 2011. Una crisi strutturale comporta la necessità di andare oltre le politiche di speding review e di avviare una profonda modifica degli assetti istituzionali, una reingegnerizzazione complessiva del sistema. Per il settore culturale significa innanzitutto irrobustire i legami con l'economia e cercare nuove forme di sostenibilità. Il rapporto tra economia e cultura non è mai stato facile, al di là dei luoghi comuni sul turismo culturale o sul marketing territoriale. Gli scenari disegnati da un noto pamphlet come Infarktkultur, che ha avuto una notevole eco anche per il suo carattere provocatorio, ha un fondamento non trascurabile soprattutto per gli effetti della crisi su un settore non abituato a confrontarsi con la sostenibilità economica in nome di pretese di valore. Eppure le cifre sono assai crude: i finanziamenti pubblici si sono ridotti di oltre il 20% - ma nel settore MAB, come purtroppo sappiamo, la percentuale è assai superiore - le sponsorizzazioni del 30% circa, i contributi delle fondazioni di origine bancaria del 35%. Si tratta di una situazione molto grave, ma i cui effetti più gravi non si misurano tanto nella chiusura fisica delle strutture, quanto piuttosto nella perdità di creatività, di progettualità: una condizione che Donato efficacemente connota con l'espressione "dead museum walking".
La terapia, o se vogliamo il cambiamento che dobbiamo imprimere al settore nel nostro paese per non sprecare le opportunità che la crisi ci offre, consta di tre interventi: sistemi culturali territoriali integrati, nuove architetture di governance e qualità delle persone, che potremmo declinare con l'adagio le persone giuste nei posti giusti. Questi tre elementi sono accomunati dall'obiettivo dell'equilibrio economico, della sostenibilità, che significa anche mettere in comune i costi, individuare le dimensioni territoriali adeguate per conseguire economie di scala significative e per potenziare le capacità per produrre ricavi.
A questo punto l'analogia con il lavoro avviato nel nostro territorio mi pare evidente. La crisi impone soluzioni territoriali ovvero calzate sui territori. Soluzioni nazionali o regionali più invasive o invadenti di una auspicabile intelligente regia che si sostanzi nell'abilitare o nell'assecondare pratiche virtuose sono inefficaci. L'equilibrio economico della cooperazione richiede soluzioni differenziate a seconda dei territori, geometrie variabili a seconda dell'adeguatezza delle soluzioni. Nel nostro caso l'idea di rendere più efficace ed efficiente la cooperazione all'interno della Rete bibliotecaria di Romagna estendendone l'entità e su di essa costruire un sistema culturale integrato che includa i musei (a partire dall'esperienza sistemica ravennate) e gli archivi trova nel libro di Donato più di una conferma. La stessa constatazione è valida per l'architettura di governance che abbiamo immaginato 'multiscala' e che non potrà non tenere conto del nuovo scenario istituzionale imperniato sulla centralità amministrativa comunale. In questo contesto l'architettura di governance traduce l'adeguatezza dell'area di cooperazione in relazione al servizio secondo la logica di allocare i servizi in base alla convenienza economica. In sostanza esistono servizi la cui efficacia ed efficienza può essere individuata, a seconda dei casi, nel singolo museo, in un sistema urbano, in servizi a livello di unione comunale o di area vasta. Ed è evidente che a quest'ultimo livello devono essere collocati i servizi che richiedono adeguate economie di scala.
Un sistema culturale integrato nei termini che abbiamo indicato negli ultimi due convegni del sistema museale richiede anche persone adeguate, come prevede il terzo intervento auspicato da Donato. Non è questione di giovani o vecchi, anche se un problema di elevata età media del personale dei nostri istituti esiste. È innanzitutto problema di competenze. Come diceva Einstein la vera crisi è data dall'incompetenza. Abbiamo bisogno di competenza, passione e voglia di cambiare, di immaginare il futuro.
Il sistema museale del futuro, parte di un sistema culturale integrato, dovrà essere capace di attirare competenze; e potrà farlo se saremo in grado di fondare il progetto su bibliotecari, 'museanti' e archivisti capaci di esplorare il cambiamento.

Speciale nuove adesioni al Sistema Museale Provinciale - pag. 9 [2014 - N.49]

Per non lasciarsi sfuggire opportunità economiche e creative

Romina Pirraglia - Sistema Museale Provincia di Ravenna

L'intera struttura del MiBACT avrà a disposizione per il 2014 soltanto lo 0,19% del bilancio dello Stato (nel 2008 era lo 0,28% e nel 2013 lo 0,20%). La spesa della Pubblica Amministrazione per consumi finali di ricreazione, cultura e culto è stata nel 2013 appena lo 0,19% del totale di 6.055 milioni di euro. Appare significativo sottolineare che, nel 2011, dei circa 4600 musei italiani, meno del 26% ha ricevuto contributi pubblici.
Se d'altra parte le Fondazioni bancarie continuano ad essere forti partner della cultura, avendo riservato nel 2011 305,3 milioni di euro a interventi nell'ambito di arte, attività e beni culturali, la fetta specificatamente riservata ai musei è di gran lunga minoritaria. Le erogazioni di privati e di enti non commerciali a favore di istituzioni genericamente afferenti al settore dei beni culturali nel 2013 hanno segnato invece un considerevole calo del 37% rispetto al 2011, riducendosi a 6,8 milioni di euro. Anche le erogazioni liberali di imprese e di enti commerciali sono diminuite e in ogni caso ad esse (28,5 milioni di euro) va sottratta la percentuale riservata allo spettacolo (56,26%) così che meno della metà risulta destinato a beni e attività culturali (43,74%). In generale i finanziamenti privati, le sponsorizzazioni, le erogazioni liberali e i lasciti in favore dei musei sono poco frequenti, tanto che nel 2011 solo il 15,2% degli istituti museali ne ha beneficiato [dati Fondazione Symbola e Unioncamere 2014, MiBACT 2013, Istat 2011].
Inoltre, va sottolineato come i finanziamenti pubblici e privati favoriscano le grandi strutture che, nell'articolata realtà del nostro Sistema Museale, si contano sulle dita di una mano. Tale "discrimine" storicamente non ha agito nell'assegnazione dei Fondi europei, per cui di quest'ultimi potrebbero più facilmente beneficiare le tante piccole e medie realtà che caratterizzano la nostra rete.
In un simile quadro di risorse finanziarie sempre più risicate e comunque da distribuire su tutto il territorio nazionale, per di più con un occhio di riguardo prestato ai grandi siti museali, apparirebbe quantomeno ingenuo disdegnare un approccio "utilitaristico" ai fondi messi a disposizione dall'Unione Europea. In primo luogo perché si tratta di fondi che, se aggiudicati, vanno impiegati esattamente per il progetto coinvolto, senza dispersioni; in secondo luogo, meramente, perché si tratta di risorse consistenti; infine, perché tali risorse aggiuntive rappresentano una delle poche possibilità per intraprendere politiche culturali innovative.
Per i Fondi europei quest'anno si inaugura il nuovo settennio e, sebbene molti aspetti siano ancora in corso di definizione, in questa sede si vuole fornire una sintetica panoramica delle opportunità disponibili. Innanzitutto esistono due grandi filoni di finanziamenti comunitari: quelli a gestione indiretta e quelli a gestione diretta.
I primi, detti anche Fondi strutturali, mirano ad attuare il principio di coesione economica e sociale all'interno dell'UE. Sono definiti "indiretti" in quanto non vengono erogati dalla Commissione Europea al beneficiario, ma passano attraverso la mediazione di autorità nazionali, regionali o locali, che a loro volta li gestiscono attraverso i Programmi Operativi. Spetta infatti a queste ultime programmare gli interventi, emanare i bandi, selezionare i progetti migliori, gestirli ed erogare loro le risorse finanziarie europee (all'Emilia-Romagna spetteranno circa 2 miliardi di euro) integrate con risorse nazionali e regionali (200-300 milioni).
Sintetizzando, il settore culturale può essere finanziato dalla UE tramite: il Fondo Europeo di Sviluppo Regionale (FESR) finalizzato ad ottenere un vantaggio competitivo durevole per l'intero contesto regionale destinatario; il Fondo Sociale Europeo (FSE) che, oltre a mirare ad accrescere competitività e produttività regionali attraverso creazione e utilizzo della conoscenza, si propone anche di migliorare gli attuali livelli di occupazione, di qualità lavorativa e di coesione sociale; infine, tramite i fondi per la Cooperazione territoriale europea (CTE) la quale, sotto varie forme, insegue l'obiettivo principale della costruzione di uno spazio comune di integrazione europea. Non a caso infatti essa si articola in programmi di Cooperazione transfrontaliera, transnazionale e interregionale nei quali i musei, analogamente a quanto avvenuto in passato, potrebbero essere facilmente coinvolti.
Tutti i programmi CTE 2014-2020 sono al momento in fase di evoluzione e alcuni ancora in fase di negoziato con la Commissione UE, ma è comunque possibile fornire alcune indicazioni significative su quelli di nostro potenziale interesse. I Programmi transfrontalieri, ad esempio, ambiscono a un miglioramento della qualità della vita e dell'inclusione sociale, investendo nelle competenze, nell'istruzione e nell'apprendimento permanente: più nel dettaglio, l'Emilia-Romagna (con le sole province di Ravenna, Forlì-Cesena, Rimini e Ferrara) potrà essere coinvolta soltanto nel neo-istituito Programma Italia-Croazia, che però conterà su una disponibilità finanziaria di ben 201 milioni di euro. Passando invece ai Programmi di cooperazione transnazionale, va segnalata in particolare la seconda "novità", ossia il Programma Adriatico-Ionico, che vede il coinvolgimento dei territori di sette Paesi (Slovenia, Grecia, Croazia, Albania, Bosnia-Erzegovina, Montenegro, Serbia) oltre a quello dell'Italia con otto regioni; tra di esse figura l'Emilia-Romagna, che tra l'altro è stata nominata autorità unica di gestione per questo nuovo programma che disporrà di 83 milioni di euro.
In una fase di definizione più avanzata, sono invece i programmi prosecuzione dei corrispettivi del precedente settennio. Tra di essi vi sono i programmi transnazionali Mediterraneo e Central Europe: entrambi, nelle differenti aree coinvolte, mirano alla cooperazione anche nell'ambito della promozione e protezione delle risorse culturali e naturali. Per completezza va infine menzionato il programma di cooperazione interregionale Interreg Europe, sebbene più difficilmente vedrà il coinvolgimento di istituzioni museali.
I Fondi a gestione diretta invece, sono gestiti direttamente dall'UE tramite le Direzioni competenti e sono distribuiti in programmi tematici. Per essi è previsto l'obbligo di cofinanziamento - in una quota variabile -  da parte dei beneficiari. La competizione è senz'altro maggiore, in quanto aperta a tutti i Paesi dell'Unione, ma in generale la complessità dei progetti candidabili è inferiore rispetto a quelli che concorrono per i fondi strutturali. 
I musei nello specifico potrebbero essere coinvolti in Horizon 2020, per il quale sono stati stanziati oltre 70 miliardi di euro. Le parole chiave di Horizon 2020 sono ricerca e innovazione. È prevista una specifica sezione "Social Sciences and Humanities", in cui la principale sfida proposta - quella di rendere le società odierne più inclusive, innovative e riflessive - vede le istituzioni museali (così come quelle bibliotecarie) tra i candidati più appropriati a raccoglierla.
Si segnala inoltre Creative Europe, il nuovo programma quadro 2014-2020 della UE che dispone di un budget complessivo di 1,46 miliardi di euro per supportare il settore culturale e quello degli audiovisivi. Infine, i musei naturalistici o dotati di parchi annessi che sapranno elaborare soluzioni, metodi e approcci sperimentali per attuare le politiche comunitarie ambientali e climatiche potranno concorrere per gli oltre 3.400 milioni di euro del riedito Life.
L'obiettivo ultimo di tutti i programmi, che fa da fil rouge alla totalità dei bandi comunitari per la cultura, rimane sostanzialmente quello dell'entrata in vigore del Trattato di Maastricht, riproposto dall'art. 167 dell'attuale Trattato di Lisbona, ossia di contribuire "allo sviluppo delle culture dei diversi Stati membri mettendone in evidenza il patrimonio culturale comune". La prima e ambiziosa strategia europea per la cultura è individuabile in una Comunicazione del 2007, aggiornata nel 2012, che si prefigge di valorizzare diversità culturale e dialogo interculturale promuovendo la cultura come catalizzatore di creatività e quale elemento essenziale nelle relazioni internazionali dell'UE. Non a caso solitamente per ciascun progetto presentato è richiesta la partecipazione di almeno tre partner di Paesi diversi. Per quanto riguarda l'ambito museale le affinità possono riguardare tipologie istituzionali, oppure di collezione, o ancora realtà anche molto distanti possono essere coinvolte in fasi diverse.
Provando a semplificare, partendo dagli obiettivi tematici, una volta convertita un'idea (o la strategia di risposta a un problema) in progetto, gli step da realizzare sono quattro: trovare una "chiamata" adatta al progetto per cui si richiedono finanziamenti, trovare i partner adeguati, registrare l'organizzazione capofila, sottomettere la proposta. Il "metodo europeo" richiede professionalità, progettazione, rendicontazione, indicatori e partnership. Il Sistema Museale fin dalla fase di progettazione offre consulenza e supporto ai musei della rete per la partecipazione a bandi comunitari.

Speciale Progetti europei per i musei 2014-2020 - pag. 9 [2014 - N.50]

Note sulla fotografia contemporanea nelle collezioni italiane

Roberta Valtorta - Direttrice Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo

Nel 1999 due volumi pubblicati dalla Scuola Normale Superiore di Pisa dal titolo Per Paolo Costantini. Indagine sulle raccolte fotografiche facevano il punto sulle raccolte fotografiche italiane. La ricerca, condotta da Tiziana Serena, si muoveva in modo sistematico nell'affollato e frammentato scenario degli archivi italiani. Fu un contributo importante, che diede un quadro articolato della situazione di allora, e insieme una rappresentazione della fragilità delle istituzioni italiane in materia di fotografia.
Come quindici anni fa, oggi le raccolte fotografiche nel nostro paese sono moltissime e variegate per tipologie e dislocazione all'interno di musei dei più vari orientamenti, gallerie d'arte pubbliche (dalla GAM di Torino, al Castello di Rivoli, alla GAM di Bologna - poi MAMbo, al MART di Rovereto, al MADRE di Napoli), archivi di enti pubblici (per esempio la Cineteca di Bologna), talvolta conservati presso biblioteche (valga per tutte l'esempio della Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia, che conserva l'opera di Luigi Ghirri), fondazioni derivate da grandi aziende private (per esempio la Fondazione Pirelli, la Fondazione Dalmine, o la Fondazione 3M), banche (per esempio l'Unicredit, la Cassa di Risparmio di Modena, la Deutsche Bank), università, case editrici, archivi privati gestiti dagli eredi di importanti fotografi.
La difficile situazione italiana dà segni di cambiamento a partire dagli anni Settanta, quando le forti spinte ideali per la rifondazione di una intera società impongono un radicale rinnovamento dell'arte. La fotografia, sollevata dal medium televisivo dal dovere di documentare e rigenerata dall'azione delle neoavanguardie, entra allora nei circuiti dell'arte. Un fenomeno grande: in sintonia con il fiorire di studi di tipo semiologico, antropologico, sociologico che legittimano la fotografia, gli artisti diventano fotografi e i fotografi diventano artisti, e l'attenzione di numerosi storici dell'arte e critici converge su di essa, vista come arte, segno complesso, metodo di indagine linguistica. Il 1979 vede due eventi decisivi: da un lato, l'imponente rassegna internazionale Venezia '79. La fotografia, che incoraggia l'ambiente fotografico italiano e dà impulso ad attività editoriali ed espositive; dall'altro, il convegno modenese La fotografia come bene culturale, che pone per la prima volta la questione della tutela, della conservazione, dello studio della fotografia.
Negli Stati Uniti e in molti paesi europei collezioni fotografiche importanti erano già state costituite tra la metà dell'Ottocento e gli anni Sessanta del Novecento. In Italia nel 1975 con l'istituzione del Ministero per i Beni culturali e ambientali, le raccolte dell'antico Gabinetto fotografico nazionale confluiscono nell'Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione, mentre dalla fusione del Gabinetto Disegni e Stampe e della Calcografia nasce l'Istituto Nazionale per la Grafica: due istituzioni preposte alla conservazione della fotografia antica di tipo documentario che in anni recenti hanno preso in considerazione anche la fotografia contemporanea. Concreti e coerenti segnali di apertura verso la fotografia autoriale moderna e contemporanea vengono invece in quegli anni dal Centro Studi e Archivio della Comunicazione dell'Università di Parma, che avvia le sue collezioni per proseguire fino ai giorni nostri.
Nell'insieme, però, da allora fino agli anni Novanta, lo scenario italiano mostra solo il continuo venire alla luce di archivi e fototeche presso enti locali e musei dedicati a discipline diverse e, qua e là, l'iniziativa di aziende private (3M, Dalmine, Pirelli, AEM, Ansaldo, FIAT). A questo si aggiungano gli archivi di maestri della fotografia del Novecento gestiti privatamente, come si diceva, tra i quali quelli di Ugo Mulas, Giuseppe Cavalli, Franco Pinna, Federico Patellani (depositato presso il Museo di Fotografia Contemporanea di Cinisello Balsamo nel 2000), Paolo Monti (depositato presso il Civico Archivio Fotografico del Castello Sforzesco di Milano solo nel 2008). Assente una struttura museale pubblica dedicata alla fotografia (ne esiste invece una privata, il Museo Alinari di Firenze, dal 2006 Museo Nazionale Alinari di Fotografia), siamo di fronte a un patrimonio disperso sul territorio, impossibile da conoscere e da valorizzare. Il ritardo italiano, dovuto all'incapacità di collegare il patrimonio a una funzione sociale e civile, fa sì che solo nel 1999 la fotografia venga accolta per legge tra i beni culturali. Dopo un primo momento di attenzione nei vivaci anni Settanta, il problema è dunque riconsiderato solo con l'avvento dell'immagine digitale: ciò indica che la lenta cultura italiana consente a un'arte di accedere agli spazi istituzionali solo quando essa appartiene ormai alla storia.
In questa situazione è tuttavia possibile osservare che, dalle origini della fotografia ai giorni nostri, un tema lega tra loro produzioni fotografiche, attività espositive ed editoriali, decisioni istituzionali: quello del paesaggio. La fotografia italiana delle origini infatti è stata riproduzione delle opere d'arte e rappresentazione del paesaggio e la missione di diverse istituzioni è stata la documentazione del patrimonio artistico e paesaggistico; inoltre grandi maestri, tra i quali Paolo Monti e Mario Giacomelli si sono dedicati proprio al tema del paesaggio (e ricordiamo qui le campagne condotte da Monti nei centri storici per l'IBC della Regione Emilia-Romagna); infine, l'insegnamento della fotografia si è diffuso prima che altrove nelle Facoltà di Architettura. Ma il fenomeno più rilevante prende avvio alla fine degli anni Settanta quando fotografi importanti come Gabriele Basilico, Mario Cresci, Luigi Ghirri, Guido Guidi, Mimmo Jodice, lavorano così intensamente sul paesaggio da portare gli storici a ipotizzare una "scuola italiana di paesaggio", generata dal progetto ghirriano Viaggio in Italia (le fotografie sono oggi conservate presso il Museo di Fotografia Contemporanea), e proseguita fino ai giorni nostri, spesso grazie a progetti di committenza promossi tra gli anni Ottanta e Novanta da Comuni, Province, Regioni, mentre profonde trasformazioni postindustriali cambiano il volto dell'Italia.
Il progetto che presenta maggiori ricadute di tipo istituzionale è Archivio dello spazio, serie di campagne fotografiche svoltesi dal 1987 al 1997 nell'ambito del progetto Beni Architettonici e Ambientali della Provincia di Milano, aventi come oggetto le architetture storiche presenti nel territorio intorno a Milano, fortemente segnato dall'industrializzazione e dal successivo cambiamento postindustriale. È importante sottolineare che dalla collezione di fotografie derivata da questo progetto è nato per iniziativa di due enti locali, la Provincia di Milano e il Comune di Cinisello Balsamo, il Museo di Fotografia Contemporanea, inaugurato nel 2004 a Cinisello Balsamo, città dell'hinterland milanese deindustrializzato. Si tratta del primo museo finanziato pubblicamente in Italia dedicato alla fotografia contemporanea, che conta un patrimonio di ben 2 milioni di immagini.
A ulteriore conferma del legame tra fotografia, paesaggio e istituzioni, vi è il fatto che lo stato italiano si è posto, seppur tardivamente, in ascolto dei progetti di committenza in corso ormai da vent'anni nel paese, e nel 2000 il Ministero per i Beni e le Attività culturali ha finalmente guardato alla fotografia contemporanea: in occasione della Conferenza Ministeriale d'apertura alla firma della Convenzione europea del Paesaggio presso la Galleria degli Uffizi di Firenze, ha promosso insieme a Linea di Confine per la Fotografia Contemporanea, centro che oggi conta un importante collezione, la mostra Luoghi come paesaggi. Fotografia e committenza pubblica in Europa negli anni Novanta. In seguito, nel 2003 e nel 2007, il Ministero ha realizzato due progetti di committenza sul paesaggio italiano in trasformazione, Atlante italiano 003. Ritratto dell'Italia che cambia e Atlante 007. Rischiopaesaggio. Le fotografie realizzate fanno ora parte delle collezioni fotografiche della sezione Architettura del MAXXI di Roma.

Speciale Fotografia e Musei - pag. 9 [2014 - N.51]

Un'approfondita riflessione del Presidente di Icom Italia sulla recente riforma del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo

Daniele Jalla - Presidente ICOM I

Una riforma per decreto
Dopo decenni di proposte e di attese, di indagini e di dibattiti parlamentari, di proposte e disegni di legge, la 'riforma' dei musei statali è giunta, inattesa, nell'agosto del 2014, compresa all'interno del decreto della quinta riorganizzazione del MiBACT.
Avviata nel 2013 dal ministro Massimo Bray per attuare le misure di revisione della spesa, la cosiddetta spending review, e per accorpare le competenze amministrative in materia di turismo, la riorganizzazione è stata ripresa e portata a termine dal ministro Dario Franceschini dopo il suo insediamento nel febbraio 2014. Nella presentazione fatta dal ministro a giugno 2014, la riorganizzazione è stata presentata come "l'opportunità per intervenire sull'organizzazione del Ministero e porre rimedio ad alcuni problemi che da decenni segnano l'amministrazione dei beni culturali e del turismo in Italia [...]lungo sei linee di azione: 1) una piena integrazione tra cultura e turismo; 2) la semplificazione dell'amministrazione periferica; 3) l'ammodernamento della struttura centrale; 4) la valorizzazione dei musei italiani; 5) la valorizzazione delle arti contemporanee; 6) il rilancio delle politiche di innovazione e di formazione e valorizzazione del personale MIBACT".
Per quanto concerne la "valorizzazione dei musei italiani" la riorganizzazione intendeva ovviare "un punto dolente dell'amministrazione dei beni culturali in Italia, [...] la sotto-valutazione dei musei [statali]: privi di effettiva autonomia, essi sono tutti, salvo casi sporadici e non legati a un disegno unitario, articolazioni delle Soprintendenze e dunque privi di qualifica dirigenziale". Elementi cardine di questa 'riforma' venivano indicati: la creazione di un "sistema museale nazionale"; la costituzione di una nuova Direzione generale Musei; il conferimento a venti musei di rilevante interesse nazionale del massimo status amministrativo, scegliendone i direttori tramite selezione pubblica; la creazione in ogni Regione di Poli museali regionali, "incaricati di promuovere gli accordi di valorizzazione previsti dal Codice e di favorire la creazione di un sistema museale tra musei statali e non statali, sia pubblici, sia privati" (Franceschini 2014).
La novità di questi propositi ha fatto passare in secondo piano la scelta di attuarli attraverso un decreto di riorganizzazione. Una scelta del tutto legittima sul piano giuridico, ma anche l'indiretto segnale che si è trattato di una scelta imposta, sul piano politico e tecnico, dall'alto e dall'esterno, suscitando, anche per questo, non poche reazioni di perplessità, quando non di aperta contrarietà, sia da parte di alcune componenti degli stessi apparati ministeriali, sia da alcuni esponenti della cultura italiana.
Poche le voci a favore, fra cui quella di ICOM Italia che si è espressa apprezzando e condividendo lo spirito della riorganizzazione del Ministero, soprattutto per l'ambito che più lo riguardava: quello dei musei.
La posizione di ICOM Italia
ICOM Italia, dopo essersi espressa favorevolmente "a caldo", ai primi di agosto del 2014 (ICOM Italia 2014/1), e aver inviato a settembre alcune osservazioni di merito sul decreto (ICOM Italia 2014/2), a novembre ha approfondito l'esame del decreto in un Seminario, confermando il giudizio positivo sullo 'spirito' della riforma e spingendosi ad affermare che le modificazioni introdotte nella normativa statale in materia di musei avevano un valore "epocale", motivando il proprio accordo per tre ragioni in particolare:
1. Per la giustificata soddisfazione di vedere finalmente accolta la definizione di museo dell'ICOM e, al tempo stesso, di trovare presi a riferimento il suo Codice etico per i musei e i suoi standard internazionali.
2. Perché il riconoscimento dello status di istituto ai musei statali segna una svolta radicale nella loro storia, coincidendo con la scelta di attribuire loro diversi gradi di autonomia gestionale e tecnico-scientifica.
3. In quanto la proposta di creare un Sistema museale nazionale 'aperto' abbatte una storica barriera fra i musei dello Stato, quelli degli Enti territoriali e i musei privati (ICOM Italia 2014/3).

1. Il nuovo museo statale
La definizione di museo
La definizione di museo dell'ICOM è stata integralmente ripresa dal D.M. 23 dicembre 2014, con l'aggiunta finale delle parole "promuovendone la conoscenza presso il pubblico e la comunità scientifica" (art. 1). Questa scelta è importante da più punti di vista.
Completa in primo luogo un faticoso percorso verso il definitivo riconoscimento al museo statale italiano dello status di istituto, recepito dalla normativa solo pochi anni fa dall'art. 101 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, per cui il museo è diventato, al pari dell'archivio e della biblioteca, un "istituto della cultura", anche se con una definizione, non molto diversa da quella presente nel Testo unico del 1999, secondo cui il museo è "una struttura permanente che acquisisce, conserva, ordina ed espone beni culturali per finalità di educazione e di studio". Le critiche a questa formulazione, che esclude il 'diletto' dalle finalità e la 'ricerca' dalle funzioni del museo, non avevano trovato ascolto da parte ministeriale, se non con l'inserimento nel 2008 della parola "cataloga" dopo "acquisisce".
Sancisce in secondo luogo l'allineamento formale del nostro Paese a una concezione del museo diffusa a livello internazionale, fondata sulla definizione proposta dall'International Council of Museums. Contenuta in un atto governativo, costituisce anche la premessa affinché essa sia fatta progressivamente propria dall'insieme delle pubbliche amministrazioni.
Il riferimento alla definizione dell'ICOM costituisce infine la base per dotare i musei di quei requisiti minimi individuati al punto 1 del Codice etico per i musei in: uno status giuridico, strutture, risorse finanziarie e personale. Gli stessi che costituiscono quattro dei cinque ambiti "di dotazione" del museo previsti dall'Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei del 2001, la cui struttura si era ispirata agli standard dell'ICOM.

Finalità e funzioni dei musei statali
Le finalità generali dei musei statali sono individuate nella "tutela del patrimonio culturale e nella promozione dello sviluppo della cultura e della ricerca scientifica e tecnica". Espletano, ai sensi dell'art. 101, comma 3 del Codice, un servizio pubblico e il loro funzionamento è ispirato ai principi di "imparzialità, buon andamento, trasparenza, pubblicità e responsabilità di rendiconto (accountability)" (art. 2).
Svolgono, "funzioni di tutela e valorizzazione delle raccolte in loro consegna, assicurandone e promuovendone la pubblica fruizione" (art.1). Meglio sarebbe stato individuarle piuttosto in "conservazione e comunicazione delle loro collezioni", ispirandosi all'accorpamento delle funzioni presenti nella definizione di museo dell'ICOM (ricerca, acquisizione, conservazione, esposizione, comunicazione), secondo il cosiddetto modello CC (Conservation/Communication) ripreso peraltro, con diversa terminologia, dallo stesso Atto di indirizzo che prevede tra gli ambiti "di prestazione" del museo la "cura e gestione delle collezioni" e "i servizi e rapporti con il pubblico", con implicito riferimento al modello CC, introducendo tuttavia un terzo ambito, quello dei "rapporti con il territorio", assente nel Codice etico per i musei, come riconoscimento della specificità della maggior parte dei musei italiani. In questo modo invece, anche solo a livello terminologico, si rischia di confondere la funzione dei musei e quello delle Soprintendenze, in contrasto con la distinzione operata dal decreto tra le funzioni assegnate agli istituti di conservazione e comunicazione del patrimonio culturale e quelle degli enti di tutela territoriale.

Il museo come istituto
L'identità del museo come istituto è data dal possesso di uno statuto, di un bilancio e di un'organizzazione. A ciascuno di questi elementi costitutivi del museo è dedicato un articolo del D.M. (artt. 2, 3, 4).
Lo statuto, da elaborare in coerenza con l'Atto di indirizzo del 2001 e con il Codice etico per i musei dell'ICOM, è individuato come "il documento costitutivo del museo": ne definisce innanzitutto la missione, diversa da museo a museo e quindi da individuare e da trasformare in una "dichiarazione di missione" specifica per ciascuno, gli obiettivi, da interpretare forse come le funzioni, e l'organizzazione.
Il bilancio è costituito dal "documento di rendicontazione contabile che evidenzia la pianificazione e i risultati della gestione finanziaria e contabile delle risorse economiche a disposizione del museo", indipendentemente dal fatto che il museo goda di autonomia finanziaria o meno. Redatto "secondo principi di pubblicità e trasparenza, individuando tutte le diverse voci di entrata e di spesa", a esso è attribuita anche la funzione di consentire "la valutazione dell'adeguatezza dell'assetto economico, la regolarità della gestione e la confrontabilità, anche internazionale, delle istituzioni museali", come già previsto nell'Atto d'indirizzo.
Per quanto riguarda l'organizzazione dei musei, è definita la presenza di quattro aree funzionali, sostanzialmente simili a quelle individuate nella Carta nazionale delle professioni museali del 2005, anche se con qualche elemento di confusione.
Nell'organizzazione, oltre alla direzione, su cui torneremo, le aree sono quella della "cura e gestione delle collezioni", in cui sono correttamente comprese le attività di studio e ricerca, ma - nella versione definitiva - anche la didattica (il che non ha alcun senso); quella dei "servizi e rapporti con il pubblico" che includono funzioni che più sensatamente sarebbe stato il caso di attribuire alla direzione (come il fundraising, il marketing e le pubbliche relazioni); quella amministrativa per la gestione delle risorse finanziarie e umane, senza peraltro citare esplicitamente le funzioni legali, e affidandole invece un'altra funzione tipicamente direzionale, quella delle relazioni pubbliche; e infine l'area tecnica, con competenza sulle strutture, gli allestimenti e la sicurezza.

Il direttore
Il direttore del museo è, secondo il D.M., "il custode e l'interprete dell'identità e della missione del museo, nel rispetto degli indirizzi del Ministero" ed è "responsabile della gestione del museo nel suo complesso, nonché dell'attuazione e dello sviluppo del suo progetto culturale e scientifico", eliminando così ogni ambiguità sulla sua funzione al tempo stesso scientifica e amministrativa.
Il bando per la "selezione pubblica dei direttori dei musei italiani" del gennaio 2015, ha ulteriormente articolato i compiti del direttore indicando che egli "programma, indirizza, coordina e monitora tutte le attività di gestione del museo, ivi inclusa l'organizzazione di mostre ed esposizioni, nonché di studio, valorizzazione, comunicazione e promozione del patrimonio museale; cura il progetto culturale del museo, facendone un luogo vitale, inclusivo, capace di promuovere lo sviluppo della cultura; [...] stabilisce l'importo dei biglietti di ingresso, [...] gli orari di apertura del museo in modo da assicurare la più ampia fruizione; [...] assicura elevati standard qualitativi nella gestione e nella comunicazione, nell'innovazione didattica e tecnologica, favorendo la partecipazione attiva degli utenti e garantendo effettive esperienze di conoscenza; assicura la piena collaborazione con la Direzione generale Musei, il segretario regionale, il direttore del Polo museale regionale e le Soprintendenze; assicura una stretta relazione con il territorio, anche nell'ambito delle ricerche in corso e di tutte le altre iniziative, anche al fine di incrementare la collezione museale con nuove acquisizioni, di organizzare mostre temporanee e di promuovere attività di catalogazione, studio, restauro, comunicazione, valorizzazione; autorizza il prestito dei beni culturali delle collezioni di propria competenza per mostre od esposizioni sul territorio nazionale o all'estero; [...] autorizza, sentito il soprintendente di settore [perché?], le attività di studio e di pubblicazione dei materiali esposti e/o conservati presso il museo" (Bando 2015).

La fine di un'eclissi
È la fine di un''eclissi' durata più di un secolo, sancita dall'adozione di una legge di tutela generale agli inizi del Novecento che aveva comportato la regressione dei musei statali a "raccolte governative", a luoghi accessibili mediante il pagamento di una tassa governativa, trasformata in tariffa poco meno di vent'anni fa. Musei-ufficio incorporati nelle Soprintendenze, privi di un direttore, di un regolamento d'organizzazione, di un proprio bilancio, di una qualsivoglia autonomia tecnico-scientifica e organiz-zativa. Delle "universitas rerum", delle "collezioni aperte al pubblico", e non delle "universitas rerum et bonorum", cioè degli istituti, come ovunque nel mondo e come erano stati riconosciuti dalla legislazione nazionale sui musei non statali e dalle leggi regionali dagli anni Settanta in poi.
L'opposizione a questa situazione ha una lunga storia, a partire dagli anni Sessanta quando, nell'ambito della Commissione Franceschini, emerse l'opportunità di adottare "particolari disposizioni [...] per l'organizzazione e per il funzionamento dei Musei" in un momento in cui i "musei non statali" avevano conquistato questo status con l'approvazione della L. 1080/60. Le stesse esigenze furono ribadite nel 1990 nel Documento finale della Prima conferenza nazionale dei musei, dando vita a una breve quanto intensa stagione di proposte legislative coerenti con le sue conclusioni, su iniziativa di Giuseppe Chiarante e Luigi Covatta.
Seguirono, negli anni successivi, le proposte di autonomia, limitate ai maggiori musei statali elaborate dal ministro "tecnico" Antonio Paolucci, oggetto di un ampio dibattito, ma rimaste allo stato di progetto. Ne risentirono le previsioni del D.lgs. 368/98 che prevedeva la possibilità di dotare talune Soprintendenze di un'autonomia speciale e la facoltà del Ministero di costituire o partecipare a associazioni, fondazioni o società. Il D.P.R. 414/2000 andò oltre, individuando un'organizzazione periferica costituita anche da "musei e altri istituti di conservazione dotati di autonomia", all'origine della costituzione di alcune Soprintendenze speciali per i poli museali di Venezia, Firenze, Napoli, Roma (Jalla 2003).
Meriterebbe soffermarsi più a lungo sulla nascita e l'evolversi delle aspirazioni all'autonomia gestionale e scientifica dei musei statali e sulle risposte tardive e parziali che esse hanno avuto nell'ultimo mezzo secolo, se non altro per evidenziare in che misura la 'riforma' attuata nel 2014 soddisfi in realtà le aspirazione espresse da molti decenni non solo da parte della comunità museale e delle sue organizzazioni, ma anche dall'intero stesso Ministero, suscitando dunque un certo stupore per le reazioni suscitate.

Un nuovo scenario
A emergere è soprattutto un nuovo scenario che, dalla parificazione dei musei statali allo status degli altri musei, pubblici e privati, consente loro di profittare dell'esperienza maturata negli ultimi vent'anni in ambito regionale e locale e, al tempo stesso, pone all'insieme dei musei un punto di riferimento ineludibile, sollecitando l'insieme delle pubbliche amministrazioni ad adeguarsi a un modello comune, nazionale in quanto condiviso da tutte le componenti della Repubblica.
Le regole individuate per i musei statali sono grossomodo le stesse adottate dalle Regioni impegnate nell'accreditamento dei musei sulla base dei criteri definiti dall'Atto di indirizzo del 2001 che, come si è visto, riprendeva e adattava alla situazione italiana gli standard internazionali individuati dal Codice etico dell'ICOM.

2. Quale autonomia per i musei statali?
Come ha illustrato con chiarezza su «Aedon» Lorenzo Casini, docente di diritto e consigliere giuridico del ministro Franceschini, con la volontà di superare 'l'anomalia italiana' rispetto allo status giuridico dei musei statali, "la riforma ha previsto quattro ipotesi: il museo-ufficio, il museo dotato di autonomia speciale, il polo museale regionale, il museo- fondazione" (Casini 2015). Rispetto a questi ultimi, tre in tutto e già esistenti (il Museo Egizio di Torino, il MAXXI di Roma e il MEIS di Ferrara), il D.M., pur senza indicarli nominativamente, prevede che le sue disposizioni si applichino "in quanto compatibili, anche ai musei statali dotati di personalità giuridica, quali le fondazioni museali o i consorzi" (art.19). I loro statuti dovranno pertanto recepire le sue prescrizioni.

I musei dotati di autonomia speciale
I venti musei dotati "di autonomia speciale" (ma la lista non è chiusa), che corrispondono alla forma dei musei "ad autonomia limitata", sono istituti privi di personalità giuridica, ma dotati di propri organi cui spetta il compito di "garantire lo svolgimento della missione del museo; verificare l'economicità, l'efficienza e l'efficacia dell'attività del museo; verificare la qualità scientifica dell'offerta culturale e delle pratiche di conservazione, fruizione e valorizzazione dei beni in consegna al museo" (art 9). Sono organi di questi musei: il Direttore, scelto, com'è noto attraverso una selezione pubblica; il Consiglio di amministrazione, curiosamente presieduto dal direttore/dirigente del museo, che dovrebbe dipenderne; il Comitato scientifico, nuovamente presieduto dal direttore che deve supportare e a cui dovrebbe formulare proposte e aperto alla partecipazione degli enti territoriali; e infine il Collegio dei revisori dei conti.
Non sembra cioè esservi una chiara distinzione fra organi di governo e di gestione, come nel caso delle "istituzioni" previste per i servizi privi di rilevanza economica dal TUEL, quanto piuttosto un affiancamento del direttore da parte di organi amministrativi e scientifici con funzioni di supporto e di controllo delle sue decisioni. Se a questo si aggiunge che questi musei devono agire "in coerenza con le direttive e altri atti di indirizzo del Ministero" (art. 11) e sono sottoposti alla vigilanza della Direzione generale Musei che ne approva i bilanci e i conti consuntivi (art. 14), sembra emergere la volontà di bilanciare l'autonomia 'speciale' assegnata a questi istituti con un sistema di limitazioni, interne ed esterne, dei poteri del direttore, forse nel timore di un'interpretazione dell'autonomia in senso personale e autoreferenziale. Del resto, questi venti musei restano sempre, come scrive Casini, degli "uffici ministeriali e l'autonomia non comprende (ancora) il personale: ma la strada dell'autonomia è stata intrapresa" (Casini 2015).

I musei ufficio
Esclusi i venti musei dotati di autonomia speciale, tutti gli altri musei manterranno lo status di "museo-ufficio" "non dirigenziale" e parte dei "poli museali regionali". È questa la più rilevante novità nell'organizzazione dei musei statali per due ragioni: in primo luogo perché ogni museo sarà dotato di uno "statuto" (così definito dal D.M., in applicazione al D.P.C.M., anche se si tratta di atto con valore regolamentare), di un proprio bilancio, di un'organizzazione, di una carta dei servizi e soprattutto di un direttore, tali da definirne la natura di istituto; e in secondo luogo perché anziché far parte, in modo indistinto, tanto sul piano scientifico quanto sul piano organizzativo, delle Soprintendenze, questi musei faranno ora parte dei Poli museali regionali (statali), 'alleggerendo' i compiti delle Soprintendenze (Casini 2015), ma soprattutto distinguendo all'interno dell'organizzazione periferica del Ministero gli enti preposti alla 'protezione' del patrimonio culturale dagli istituti dello Stato che ne assicurano la conservazione e comunicazione.
Questa separazione ha suscitato molto allarme, temendo che essa avrebbe indebolito il ruolo delle Soprintendenze e dunque dell'esercizio della tutela. Al netto dell'impoverimento degli organici dell'intero apparato statale e delle risorse sempre più scarse a disposizione, è vero il contrario: una distinzione dei ruoli, in sé, li rafforza entrambi, come provano del resto l'ambito archivistico e quello bibliotecario, entrambi storicamente caratterizzati da una differenziazione delle strutture proposte alla tutela - le Soprintendenze, statali e regionali - dagli istituti di conservazione e comunicazione/consultazione dei beni affidati alla loro custodia, gli archivi e le biblioteche. A contraddire ulteriormente questa tesi è anche il compito affidato ai direttori dei poli museali di operare "in stretta connessione con gli uffici periferici del Ministero e gli enti territoriali e locali, anche al fine di incrementare la collezione museale con nuove acquisizioni, di organizzare mostre temporanee, e di promuovere attività di catalogazione, studio, restauro, comunicazione, valorizzazione" (art. 34, lettera i) del D.P.C.M.).
I musei statali tornano così a essere musei in senso pieno, con uno status non diverso da quelli degli enti locali, tenuti a osservare gli standard previsti dall'Atto di indirizzo, come tutti gli altri musei, per lo meno nelle Regioni in cui essi sono stati recepiti e posti alla base di processi di accreditamento. Cade, in altre parole, uno steccato che li aveva esclusi (sul piano formale, almeno) dalla partecipazione ai sistemi regionali e locali. Essi tuttavia, pur individuati nella loro specificità, non agiranno indipendentemente, ma, come si è visto, in quanto parte di "poli museali regionali".

I "poli museali regionali"
Articolazioni della Direzione generale Musei, che ne nomina i direttori, i 17 poli museali regionali comprendono "gli istituti e i luoghi della cultura presenti nel territorio di competenza, ivi inclusi le aree e i parchi archeologici aperti al pubblico e/o suscettibili di essere aperti al pubblico gestiti dalle Soprintendenze Archeologiche", che in una prima ipotesi non afferivano invece ai Poli (art. 15).
Ai Poli spetta il compito di elaborare "i progetti relativi alle attività e ai servizi di valorizzazione, ivi inclusi i servizi da affidare in concessione, al fine della successiva messa a gara degli stessi" (art.15) e di provvedere "a definire strategie e obiettivi comuni di valorizzazione, in rapporto all'ambito territoriale di competenza, e promuovono l'integrazione dei percorsi culturali di fruizione, nonché dei conseguenti itinerari turistico-culturali" (art. 34) e (Casini 2015). Del tutto diversi dai precedenti, i nuovi Poli museali costituiscono l'avamposto decentrato dello Stato cui è affidata la creazione del Sistema museale nazionale aperto alla partecipazione di tutti i musei.
Il disegno è molto ambizioso: portatori di una concezione del museo, delle sue finalità e missioni, dei suoi modi di esistere, definita dal D.M., i Poli sono chiamati a realizzare l'obiettivo, tacito, ma evidente ai suoi estensori, dell'Atto di indirizzo di diffondere sul piano nazionale gli standard internazionali più avanzati, indipendentemente dall'appartenenza dei musei allo Stato, alle Regioni, agli Enti locali o dalla loro natura privata. Obiettivo sinora non raggiunto, nonostante i tentativi successivi di individuare i "livelli uniformi di qualità", previsti dal Codice del 2004, vuoi per la non applicazione degli standard in ambito statale, se non a livello di studio e ricerca, vuoi per un'applicazione da parte delle Regioni "a macchia di leopardo" e utilizzando metodi di accreditamento parzialmente diversi.
È una possi- bilità reale, a condizione che i Poli museali non si propongano come 'fortini' chiusi e sia evidente, innanzitutto alla Direzione generale Musei, che essi non agiranno in un deserto, ma in una realtà in molti casi assai più avanzata quanto ad applicazione dell'Atto di indirizzo e a concezione e visione del museo come istituto, con la forza di un 'late comer' che può far tesoro dell'esperienza altrui. Molto conterà, per questo, il ruolo di guida e indirizzo della Direzione generale Musei e la volontà e capacità del Ministero di stabilire accordi sul piano nazionale con la Conferenza delle Regioni, l'ANCI e l'UPI affinché la creazione dei sistemi museali segua criteri omogenei in tutte le regioni e avvenga già nell'ambito di un'intesa nazionale sulle modalità complessive di costituzione del Sistema museale nazionale.

3. Il "sistema museale nazionale"
La creazione di un "sistema museale nazionale" dà un valore prospettico ai quattro cardini della 'riforma': il riconoscimento della natura di istituto dei musei e i conseguenti livelli di autonomia tecnico-scientifica attribuiti ai musei statali, l'individuazione di standard minimi cui essi devono attenersi, la creazione dei "poli museali regionali" e la nascita della Direzione generale Musei.
Sebbene limitata per ora al campo museale, questa scelta rappresenta una netta e chiara inversione di tendenza rispetto alle politiche messe in atto dallo Stato in campo patrimoniale per tutto il secolo scorso. È l'espressione di una chiara volontà politica di superare la logica di separazione/contrapposizione fra Stato, Enti locali e, dagli Settanta del Novecento, Regioni. Propone, e ne sia dato merito al ministro Franceschini, non solo una prospettiva di cooperazione/collaborazione interistituzionale, ma un concreto progetto di integrazione.
Anche solo limitando l'analisi agli ultimi cinquant'anni, a partire dunque dagli anni Settanta del Novecento, la reazione statale alla nascita delle Regioni fu la costituzione del Ministero per i beni culturali e ambientali. Nei decenni seguenti, la rivendicazione regionale di ridistribuzione delle competenze non trovò ascolto e diede anzi luogo a una situazione di conflitto, salomonicamente risolto dalla riforma del titolo quinto della Costituzione con la separazione delle competenze di tutela e valorizzazione, attribuendo le rispettive potestà legislative l'una allo Stato in via esclusiva, l'altra alle Regioni, in modo concorrente. Il Codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004 prospettava come antidoto alla debolezza intrinseca di questo modello il ricorso alla "leale collaborazione interistituzionale", senza però trovare, per tutto il decennio successivo, attuazione alcuna, vuoi per disinteresse da parte statale, vuoi per incapacità da parte regionale (Jalla 2003).
Si è trattato di una logica e di una volontà al tempo stesso politica e burocratica, espressione di un pensiero, tuttora radicato, volto ad affermare la superiorità intrinseca dello Stato rispetto agli Enti territoriali, il cui agire non ha, d'altra parte, aiutato a confutare questa visione. Al di là di vere o presunte malefatte attribuibili alle Regioni e agli Enti locali, si pensi solo all'incapacità delle Regioni di operare, fin dagli anni Settanta, in modo coordinato sul piano normativo, finanziario e tecnico, e alla conseguente disparità delle loro politiche in campo culturale.
La 'riforma' prospettata dal ministro Franceschini attraverso la proposta di creare un Sistema museale nazionale ha tutte le potenzialità, anche se per ora tutte sulla carta, per superare questa situazione. Offre la possibilità di creare, su impulso dei Poli museali regionali, dei sistemi 'misti' su scala regionale; pone come condizione alla partecipazione a tali sistemi, il possesso di requisiti minimi comuni a tutti gli istituti, assumendo l'impegno di adeguare agli standard previsti dall'Atto d'indirizzo in primo luogo i musei statali; propone il Ministero come guida di tale processo, in modo omogeneo sul piano nazionale, su una base pattizia che non lede l'autonomia delle singole Regioni, ma le sollecita ad adeguarsi a un modello condiviso e praticato da quelle più avanzate.
Se questa è la volontà politica non è detto che la sua attuazione avvenga senza risentire, anche molto pesantemente, da un lato dell'eredità della lunga separazione e differenza fra i corpi tecnici chiamati ad attuarla, nessuno dei quali forse preparato a cooperare a un progetto di vera e propria integrazione. Un progetto reso ancor più difficile dalla carenza di risorse economiche, dall'inadeguatezza, quantitativa e qualitativa, delle risorse umane, dall'interferenza, a tutti i livelli, di logiche politiche e di potere più abituate alla competizione che alla collaborazione.

Norme e politiche
Le norme costituiscono solo una delle componenti delle 'politiche': se le norme ne definiscono i limiti e gli obiettivi, la loro attuazione dipende dal contesto istituzionale ed economico, dagli apparati incaricati di applicarle, dai mezzi (non solo economici) investiti per attuarle, dagli obiettivi che si propongono di raggiungere.
Il Sistema museale nazionale si propone "la messa in rete dei musei italiani e l'integrazione dei servizi e delle attività museali" (art. 7).
Il primo passo, tutto interno al Ministero, comporta il non facile scorporo dei musei dalle strutture di cui hanno sinora fatto parte, la redazione dei loro statuti e regolamenti, la dotazione di risorse umane, economiche e strumentali, l'individuazione di profili professionali oggi non previsti formalmente nei ruoli del Ministero, dai conservatori ai responsabili dei servizi educativi e della sicurezza. Un'operazione non facile, da realizzare sulla base di standard e criteri comuni sul piano nazionale, ma anche con attenzione alle specificità delle situazioni e stimolando soprattutto il coinvolgimento attivo di tutto il personale. A condurlo sarà la nuova Direzione generale Musei da cui, come si è detto, dipenderà in gran parte il successo della 'riforma'. Conterà altrettanto la professionalità degli apparati periferici, incaricati di svolgere compiti in parte nuovi e la cui attesa è anche di ricevere, in tempi rapidi, una formazione e un aggiornamento in ambiti che non fanno parte della loro formazione ed esperienza.
Il successo della riforma è anche subordinato ai mezzi che saranno investiti perché è difficile pensare che dall'autonomia e dal conseguente miglioramento della qualità dei servizi non emergano inizialmente maggiori costi e di conseguenza la necessità di disporre di maggiori risorse.
Rispetto al contesto, peserà in primo luogo la capacità, innanzitutto politica, del Ministero di dare vita a un quadro istituzionale partecipato, in primo luogo dalle Regioni e dagli Enti locali, ma anche dai professionisti museali e dalle loro organizzazioni. La creazione di un sistema museale nazionale non può infatti prescindere dalla trasformazione delle Province in enti di secondo livello che si riflette molto negativamente sulla situazione dei musei, delle biblioteche, delle reti, degli istituti di proprietà o finanziati principalmente dalle Province. O dal fatto che agli Enti locali non sono più riconosciute le funzioni che pure esercitano ordinariamente con il conseguente rischio di una cancellazione degli stessi trasferimenti economici a loro favore (Leombroni 2014).
Per quanto il protocollo d'intesa firmato a maggio fra ANCI e MiBACT (Protocollo ANCI MiBACT) costituisca un positivo segnale di dialogo fra Ministero ed Enti locali, i nodi da sciogliere, anche con le Regioni, sono molti, tanto sul piano istituzionale quanto economico, implicano riflessioni e interventi legislativi di carattere generale, un ripensamento e adeguamento della legislazione regionale che individui, di concerto con lo Stato, i criteri e le modalità attraverso cui attuare "l'integrazione dei servizi e delle attività museali".

Dai Poli museali regionali ai Sistemi museali regionali
Se molto dipenderà dagli accordi a livello nazionale, la vera partita si giocherà sul piano regionale.
Terminato il non facile, come si è visto, assestamento dei Poli museali regionali (statali), bisognerà infatti dare avvio alla formazione dei 'sistemi museali regionali' e cittadini che costituiscono l'articolazione del Sistema museale nazionale, e a cui potrà partecipare "tramite apposite convenzioni stipulate con il direttore del Polo museale regionale territorialmente competente, ogni altro museo di appartenenza pubblica o privata, ivi compresi i musei scientifici, i musei universitari e i musei demoetnoantropologici, che sia organizzato in coerenza con le disposizioni del presente capo, con il D.M. 10 maggio 2001, recante Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei e con il Codice etico dei musei dell'International Council of Museums (ICOM)" (art. 7).
La loro costituzione sarà "promossa e realizzata dai direttori dei poli museali regionali" sulla base di "modalità di organizzazione e funzionamento del sistema museale nazionale stabilite dal Direttore generale Musei, sentito il Consiglio superiore "Beni culturali e paesaggistici".
Per quanto non imminente, questa fase - ancor più delicata e complessa della prima, se non altro per la pluralità di soggetti e situazioni che coinvolge - è comunque considerata prossima e ad essa tutti gli attori in campo devono giungere preparati, sul piano politico, normativo, economico e culturale. Puntare all'integrazione dei servizi e delle attività tra musei che hanno vissuto sin qui in buona parte indipendentemente l'uno dall'altro, con l'obiettivo non solo di migliorare la qualità del servizio, ma di realizzare economie di scala che rendano più sostenibile la loro gestione complessiva, è un obiettivo tanto fondamentale quanto arduo. Implica l'assunzione di una visione sussidiaria della cooperazione, la messa in opera di strumenti normativi adeguati, la disponibilità a condividere le risorse, una disponibilità al dialogo e alla reciproca comprensione, alla collaborazione e alla cooperazione tutt'altro che scontati.
Si può anche non eccepire sul fatto che la costituzione dei sistemi museali regionali sia promossa dai direttori dei Poli sulla base delle modalità stabilite dalla Direzione generale Musei del Ministero perché questo consente di stabilire regole valide su tutto il territorio nazionale. Ma una volta promosso, il processo d'integrazione non sarà possibile se l'insieme degli attori non sarà coinvolto in modo paritario, puntando sui punti di forza di ciascuno e operando congiuntamente per ridurre i punti di debolezza, attraverso una regia comune e condivisa.
I Poli museali regionali comprendono musei statali collocati in aree diverse del territorio di competenza e quindi destinati a far parte di sistemi cittadini o sub-regionali composti in prevalenza da musei civici e privati. Sarà determinante la condivisione dei criteri attraverso cui definire i confini di questi sistemi, le loro modalità di direzione, organizzazione, funzionamento, in generale e in particolare, i servizi e le attività da integrare. In alcune Regioni tali sistemi esistono già, sovente promossi da Province che non ne garantiscono più l'esistenza. Talora questi sistemi sono prodotto di una delega esplicita da parte delle Regioni, in altre no. Sono nate le Città metropolitane che in alcuni casi possono coincidere con sistemi cittadini, in altri no.
In una situazione così complessa e diversificata, la creazione di sistemi museali regionali va colta come un'occasione per ridefinire ambiti territoriali omogenei, partendo dalle reti esistenti, dalle collaborazioni in essere, dalla conoscenza diretta dei contesti, delle risorse, delle dinamiche sociali e culturali. E questo è un compito che spetta innanzitutto ai professionisti del patrimonio, da non delegare se possibile ad altri, ma da proporre coinvolgendo le amministrazioni pubbliche locali, valorizzando competenze ed esperienze acquisite sul campo confrontandosi con altri portatori di interesse, agenzie, centri di ricerca ugualmente impegnati, in questa fase, alla definizione di ambiti di gestione associata, di "aree vaste".

Musei, archivi e biblioteche
Se il modello proposto per i musei incarna un progetto politico, perché non estenderlo ad archivi e biblioteche, moltiplicando per tre la sua logica?
L'ampliamento all'insieme degli istituti della cultura ne dilaterebbe gli effetti, partendo dai vertici ministeriali - le Direzioni generali Archivi, Biblioteche e Istituti culturali musei - che potrebbero elaborare di concerto standard comuni ai tre istituti e standard differenziati in base alle loro differenze, riflettere insieme - coinvolgendo anche le altre Direzioni e gli Istituti interessati - sul Catalogo del patrimonio culturale, sui profili e sulla formazione comune dei professionisti del patrimonio. La logica del Sistema museale nazionale potrebbe essere replicata per gli archivi e le biblioteche, da cui dipendono il Sistema Archivistico Nazionale e il Sistema Bibliotecario Nazionale che hanno tuttavia caratteristiche diverse l'uno dall'altra e non hanno lo stesso carattere organico del Sistema museale nazionale in via di formazione.
A livello regionale, anziché assegnare "gli archivi o le biblioteche non aventi qualifica di ufficio di livello dirigenziale [...] a un museo dotato di autonomia speciale o a un Polo museale regionale" (art. 20), scelta criticabile e da superare, perché non avviare la costituzione di sistemi integrati tra musei, archivi e biblioteche?
Da tempo ICOM Italia propone da un lato il coinvolgimento dei musei nella tutela, riallacciandosi a quanto previsto dall'Ambito 8 dell'Atto di indirizzo, nella prospettiva che essi possano costituire dei "presidi attivi di tutela territoriale", dall'altro la creazione di "sistemi integrati" su scala locale fra archivi, biblioteche e musei, nella convinzione che questa sia l'unica prospettiva realmente sostenibile nella maggior parte dei territori e anche che da essa possa scaturire un'integrazione non solo gestionale fra i tre istituti.
Le associazioni degli archivisti e dei bibliotecari - ANAI e AIB - hanno criticato la riorganizzazione del Ministero, sentendosi penalizzate dalle scelte compiute. Il ministro Franceschini ha annunciato che se il 2014 era stato l'anno dei musei, il 2015 sarebbe stato quello degli archivi e delle biblioteche. Sotto la sigla MAB - Musei Archivi Biblioteche - AIB, ANAI e ICOM Italia hanno proposto al ministro Franceschini di "avviare un confronto con le Direzioni generali competenti affinché si possano individuare modelli di sistema nazionale omogenei nei tre settori, ripensandoli in funzione di direzioni verticali per settore che assicurino omogeneità di criteri e standard di gestione degli archivi, delle biblioteche e dei musei sul piano nazionale, definendo comuni linee nel rapporto fra tutela e valorizzazione e individuando per ciascun sistema gli elementi di specificità che li caratterizzano. Questo confronto è anche volto a stabilire parametri comuni nella distribuzione delle risorse finanziarie e umane afferenti a livello nazionale e territoriale ai tre sistemi".
Al momento in cui scriviamo attendono una sua risposta, mentre sono impegnate a proporre questo modello su scala regionale. Un modello che nuovamente può iniziare a essere costruito dal basso, definendo insieme dimensioni e caratteristiche dei sistemi integrati, individuando le risorse necessarie a farli funzionare, le modalità di organizzazione e facendosi portatori di proposte concrete alle Regioni, alle sezioni regionali dell'ANCI e alle strutture periferiche del Ministero.



Speciale Riforma del MiBACT per i musei - pag. 9 [2015 - N.52]

Nella deriva delle grandi mostre si rende necessario che i musei italiani ritrovino la forza e la capacità dialogica dell'offerta culturale

Michele Trimarchi - Docente di Economia della Cultura, Università di Bologna

Come definire un museo nel 2015? Non è soltanto l'anno dell'Expo, del negoziato sul Grexit, dello sfilacciamento dei partiti, del concorsone per direttori dei musei statali. Quando le acque si saranno calmate (o saranno passate a nuove forme di turbolenza) sarà ricordato come l'anno in cui si ridiscute il diritto della proprietà intellettuale, si comincia ad accettare un mondo senza banconote, si esce lentamente dalla sbornia blockbuster degli impressionisti usati per épater le bourgeois della provincia italiana. Alcune cose non saranno più come prima.
Aperto da poco il MUSE, un hub multidimensionale in cui natura, scienza e tecnologia provano a raccontare una storia fondata sulla curiosità; aperta da pochissimo la Fondazione Prada, una lezione narrativa e critica che chiede complicità a un pubblico eterogeneo ma accomunato dal desiderio di meravigliarsi consapevolmente. In più di una città i musei provano a ripensare se stessi, quanto meno imbastendo un tentativo di dialogo con la società contemporanea, che ogni mattina vede e apprezza milioni di colori sul proprio desktop, naviga ipertestualmente tra aree disciplinari fino a poco tempo fa estranee o addirittura ostili, prova un fastidio crescente per le etichette che ingabbiano quel sistema magmatico che chiamiamo cultura, spesso equivocandolo per mera erudizione.
Pur senza scomodare Valéry e Marinetti (e chissà quanti altri) è tempo di riconoscere che i musei rischiano di esaurire la propria motivazione di fondo. Non è per caso che questa fase di incertezza e nostalgia coincida con gli anni nei quali si revoca in dubbio lo stesso valore dello Stato-nazione. Non sono i barbari a minacciare la civiltà; al contrario, è il paradigma nel quale siamo cresciuti a risultare obsoleto e privo di significato.
Di errori ne abbiamo commessi anche troppi; tuttora continuiamo a misurare il valore dei musei in base al numero di visitatori, tipico riflesso dell'ansia da prestazione che continua senza motivo ad attanagliare la cultura: il confronto dimensionale non dovrebbe avere alcuna cittadinanza nel sistema dell'arte. Attaccati alla credenza che il pubblico della cultura sia omogeneo e compatto continuiamo a mantenere criteri espositivi ottocenteschi e a inzeppare le ultime sale di effetti speciali e gadget per turisti un po' allocchi, ignorando che l'80% delle cose acquistate dai visitatori contengono conoscenza critica e non intrattenimento superficiale (la società è sempre più avanti delle analisi che se ne fanno).
L'incapacità di accorgersi che le cose evolvono, e che una raccolta di opere d'arte dovrebbe preoccuparsi di risultare intelligibile quanto meno sul piano percettivo, ha generato la fiumana delle grandi mostre, il cui intendimento mondano è stato gonfiato dalla stampa e ogni tanto dagli stessi professionisti della cultura che volevano misurare il proprio valore in numero di pagine, incassi del botteghino e pullman nei parcheggi. Come il loggionista gode per l'acuto e ignora il fraseggio, la stagione delle grandi mostre di tutto si è occupata meno che della forza dialogica delle opere esposte. Come tutti i canti del cigno - che in questo periodo stanno abbondando - la deriva degli 'eventi' (parola del tutto priva di significato) ha finito per incancrenire una fissità tematica e disciplinare che sempre meno rappresenta una società complessa, e una domanda culturale che in modo del tutto coerente chiede solo di poter migrare intensamente tra aree, strati e linguaggi, confermando che la cultura è lo snodo di fondo per esplorare in profondità il nostro eco-sistema, per esprimere la nostra weltanschauung, per comprendere i nostri desideri.
È tempo di accorgerci che le Muse stanno sempre più strette nelle maglie rigide che la borghesia manifatturiera ha costruito intorno a loro, e che Mnemosyne ha scelto, con grande acutezza, di volgere lo sguardo verso il futuro. Non più custode di un passato da tenere a mente in modo un po' meccanico con l'illusione di salvare l'umanità, la madre delle Muse guarda avanti, e chiede con forza che i Musei costruiscano la propria offerta in modo che essa stessa valga la memoria del futuro. Senza elaborazioni critiche, ragionamenti, emozioni e discussioni anche vivaci lasceremo alle generazioni future soltanto oggetti dei quali il significato pregnante e dinamico rischia di essere via via dimenticato. Il punto dolente sul quale è il caso di riflettere per estrarre il valore dalla cultura è quella che potremmo definire 'sostenibilità cognitiva': se perdiamo di vista la capacità dialogica dell'offerta culturale la priviamo delle stesse ragioni della sua esistenza, e poco a poco verranno meno le motivazioni a sostenerne l'esistenza, la diffusione, la circolazione.
La questione gira intorno alla necessità di elaborare chiavi di lettura, opzioni interpretative, stimoli critici. Il neofita è un esperto del futuro, ma qualcuno dovrà pur occuparsene in modo maieutico e costruttivo: non serve a granché ingozzarlo di nozioni aneddotiche e di dati da quiz televisivo; è invece fondamentale coinvolgerlo in un dialogo indefinito che lo incoraggi a costruire la propria cassetta degli attrezzi in cui l'apprezzamento e l'apprendimento camminano insieme. Questa piccola ma importante rivoluzione passa attraverso l'abbandono delle etichette e dei compartimenti stagni nei quali la cultura è stata confinata per troppo tempo. E richiede che nessuno si aspetti il nostro viaggio nel tempo per farci tornare coevi delle opere che ammiriamo; al contrario, ci aspettiamo che l'offerta dei Musei renda esplicite e chiare le molteplici evocazioni che molte opere d'arte hanno generato nei secoli che ci separano da loro. Posso ancora guardare la Gioconda senza ricordare immediatamente Duchamp e Basquiat, le cento pubblicità che ne abusano, le narrazioni e le illazioni che vi si agitano intorno?
Nell'anno dell'Expo - un'altra manifestazione che replica un format un po' obsoleto, più fiera dell'est che reticolo di intuizioni progettuali - l'offerta culturale potrebbe semplicemente ritrovare tra le pareti e i depositi dei Musei la miriade di evocazioni che sul cibo, sul suo significato carnale, onirico, simbolico e allegorico hanno costruito un palinsesto culturale molteplice, connesso e capace di fertilizzarsi indefinitamente. Si pensi al vino che tanta letteratura, poesia, musica, scultura e pittura ha ispirato e formato. E come il vino, il pane (altro nutrimento esoterico per antonomasia), la frutta, le carni e tutto il mondo che ne custodisce e ne tramanda la crescita, la trasformazione, la socialità e il desiderio.
Ecco la scommessa per i Musei, negli anni in cui le grandi mostre andranno a diluirsi nella memoria (prima o poi gli impressionisti finiranno...), le torri d'avorio saranno lasciate a vantaggio del tessuto urbano, i visitatori vorranno partecipare attivamente, la comunità territoriale chiederà di riconoscere se stessa negli spazi museali.
Non si tratta di progettare l'ennesima mostra sul cibo: magari in anni olimpici potrebbe venire in mente a qualcuno di organizzare una grande mostra sul corpo e i gesti degli atleti, dimenticando che si tratterebbe di opere già esposte e diffuse ma coperte dalla muffa dell'erudizione rituale. La sfida è con le aspettative e i desideri della società contemporanea, per sua natura ipertestuale, cross-mediale, cosmopolita e ibrida. Soprattutto, fertile. È una sfida da non mancare.

Speciale Musei per Expo 2015 - pag. 9 [2015 - N.53]

La riforma finalmente riconosce il direttore come custode e interprete dell'identità e della missione del museo

Gianni Bonazzi - Dirigente Ufficio di Gabinetto del MiBACT

Delle tante riorganizzazioni del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo che si sono succedute a partire dalla riforma Veltroni del 1998, quella voluta da Dario Franceschini (regolamento di organizzazione Dpcm 171/2014) è di certo la più incisiva, fors'anche la più traumatica per gli assetti organizzativi e amministrativi consolidati.
Quali che siano le osservazioni critiche che le si possono fare non può non riconoscersi che la supporta una 'visione' del ruolo e delle funzioni del Ministero; a differenza di quanto fatto da alcuni suoi predecessori non si tratta, infatti, di un semplice rimescolamento delle carte, a volte solo nominalistico ('antichità' al posto di 'archeologia'), ma di una profonda trasformazione che cerca di coniugare in un unico disegno alcune linee portanti che, affacciatesi a partire dagli anni '90, hanno agito sempre più nel governo del patrimonio culturale e che possiamo così sintetizzare: ruolo del privato (dal singolo all'associazione non profit alla grande impresa); ruolo delle regioni e degli enti locali nella costruzione di programmazioni condivise; accentuazione delle funzioni di valorizzazione e fruizione, non più ancillari alla tutela, ma, fermo restando lo stretto aggancio al Codice dei beni culturali, aperte a linguaggi e significati attenti a favorire la più ampia inclusione sociale e diffusione dei valori sottesi al patrimonio stesso, attraverso in particolare l'istituto 'museo'. Da un lato, con un processo di semplificazione l'esercizio della tutela è riportato nella pienezza della potestà delle Soprintendenze, superando le vischiosità connesse ai compiti prima attribuiti alle Direzioni regionali ora diventate Segretariati regionali, ridotti di funzioni e livello; dall'altro, i musei cessano di essere mere strutture interne della Soprintendenza e sono posti al centro dei processi di valorizzazione. Il museo è il perno intorno a cui ruota il nuovo modello organizzativo, che pone l'accento sulla valorizzazione; all'istituzione museale è riconosciuto il ruolo di fondamentale punto di mediazione ed elaborazione valoriale tra patrimonio culturale e società.
La riforma delinea così, si perdoni la semplificazione, due assi portanti: uno, la tutela, già tradizionalmente ben strutturato negli istituti (soprintendenze) e nelle norme (leggi di tutela); l'altro, la valorizzazione, sul quale puntare forte, approntando strumenti normativi e gestionali idonei. L'ambizione sottesa è quella di far crescere finalmente un sistema museale nazionale; un insieme, cioè, di musei e luoghi della cultura che, nel rispetto delle specifiche individualità, risponda a standard gestionali e di qualità condivisi e diffusi, e che sia in grado di proporre, pur nella particolarità di un sistema diffuso su tutto il territorio nazionale, un'offerta concorrenziale, non tanto in termini quantitativi (numero di visitatori) quanto valoriali, a livello internazionale. Per i musei statali viene, così, disegnato un sistema articolato in 18 musei di rilevante interesse nazionale, a cui si affiancano in ambito archeologico le Soprintendenze speciali per il Colosseo e per Pompei, e in 17 Poli museali regionali, che raccolgono i restanti musei di pertinenza statale. I Poli museali sono finalizzati alla costituzione di un sistema museale integrato in rapporto all'ambito territoriale di competenza, composto dai musei statali ma anche da quelli delle altre amministrazioni pubbliche, nonché di altri soggetti pubblici e privati. L'insieme dei musei così delineato costituisce il sistema museale nazionale finalizzato alla messa in rete dei musei italiani e alla integrazione dei servizi e delle attività museali. Condizione essenziale perché un museo, quale che ne sia l'appartenenza, possa farne parte è che esso sia organizzato in coerenza con le disposizioni generali sui musei statali, dettate con il Decreto ministeriale 23 dicembre 2014, con l'Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei (Decreto ministeriale 10 maggio 2001) e con il Codice etico dell'Icom. Il citato Decreto ministeriale del 2014 "Organizzazione e funzionamento dei musei statali" precisa e articola quanto dettato nel regolamento di organizzazione. Nel riprendere la definizione di museo adottata dall'Icom, i compiti fondamentali del museo sono individuati nella triade: ricerca, conservazione, comunicazione. Per rispondere alla sua missione il museo è dotato di autonomia tecnico-scientifica, di un proprio statuto, che ne definisce l'identità dichiarandone missione, obiettivi e organizzazione, e di un bilancio, nonché di un assetto gestionale articolato in aree funzionali e di un direttore, che del museo è il custode e l'interprete dell'identità e della missione. Infine, il servizio pubblico di fruizione erogato dai musei statali e i relativi standard sono definiti e resi pubblici attraverso la carta dei servizi.
Giunge così a compimento un lungo processo fatto di dibattiti, analisi e proposte che, fuori e all'interno del Ministero, da anni spingeva a che il museo, inteso come istituzione culturale complessa, trovasse un suo pieno riconoscimento. L'inizio di tale processo, non limitato solo alla riflessione culturale ma volto anche a cercarne la trasposizione in concrete forme amministrative, può essere fatto risalire ai lavori della Commissione paritetica Ministero-Enti territoriali chiamata, in attuazione dell'art. 150 del D.lvo 112/98, a individuare "i musei o altri beni culturali statali la cui gestione rimane allo Stato e quelli per i quali essa è trasferita, secondo il principio di sussidiarietà, alle regioni, alle province o ai comuni". Fu grazie ai lavori di quella Commissione che si ebbe la definizione, quale indispensabile precondizione di ogni possibile trasferimento, dei criteri tecnico-scientifici e degli standard di qualità per lo sviluppo dei musei italiani, poi adottati con il ricordato Atto di indirizzo del 2001. Il dibattito interno e il confronto internazionale portarono, poi, a ulteriori approfondimenti la cui traccia è rinvenibile, tra la tanta letteratura che si è andata accumulando di pari passo all'esplodere a livello globale del 'fenomeno museo', anche nei lavori intorno ai temi museo/pubblico/territori/strumenti di valutazione ecc. elaborati nell'ambito dell'Ufficio studi del Ministero. Oggi, che il pendolo regionalista sembra aver esaurito la sua spinta oscillante, è qui da ricordare il recente ritorno allo Sato delle funzioni in materia di tutela dei beni librari ex Dpr 3/72 in virtù della L. 125/2015, la riforma voluta da Franceschini mira a ridare impulso dinamico e propositivo a un Ministero che sembrava aver smarrito negli ultimi anni, soffocato dalla scarsità delle risorse finanziarie e da sostanziale trascuratezza politica, anche una certa spinta ideale.
Se quelli sopra descritti sono i tratti costitutivi dei musei statali, specifiche disposizioni e un particolare assetto organizzativo è riservato ai 18 musei di rilevanza nazionale, che vengono dotati di autonomia scientifica, finanziaria, contabile e organizzativa. L'autonomia speciale, che non attiene al personale, è esercitata per il tramite di quattro organi fondamentali: il direttore, il consiglio d'amministrazione, il comitato scientifico e il collegio dei revisori dei conti. Si tratta di un'autonomia e di un assetto che ricalcano quelli attribuiti fin dalla L. 352/97 alla Soprintendenza speciale di Pompei e poi agli altri istituti dotati nel tempo di autonomia speciale (ad es. le due Biblioteche nazionali centrali di Firenze e Roma). Ciò che muta in maniera significativa è la composizione di tali organi, ad eccezione del collegio dei revisori dei conti. Da componenti quasi del tutto interni al Ministero, ad eccezione del rappresentante designato dalla Conferenza permanente Stato-Regioni nel consiglio di amministrazione e nel comitato scientifico, si passa a una composizione che oltre al direttore prevede per il consiglio di amministrazione la presenza di quattro componenti di cui uno individuato d'intesa con il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca scientifica e uno d'intesa con il Ministero dell'economia e delle finanze; mentre per il comitato scientifico oltre al direttore è prevista la presenza di quattro esperti di cui uno designato dal Ministro, uno dal Consiglio superiore Beni culturali e paesaggistici, uno dalla regione e uno dal comune ove ha sede il museo.
A rimarcare la volontà di avvalersi di una maggiore e migliore varietà di competenze e approcci professionali nella gestione dei musei di rilevanza nazionale, sottolineandone, quindi, ulteriormente il carattere di eccezionalità rispetto al restante corpus ministeriale, va rilevato come la stessa selezione dei direttori sia avvenuta con una procedura del tutto nuova, tanto da doverla definire con una specifica disposizione di legge. Si è ricorso, infatti, a una procedura concorsuale a carattere internazionale al termine della quale gli incarichi di direzione dei 18 musei di rilevante interesse nazionale sono stati affidati, salvo un caso, a professionalità esterne ai ruoli del Ministero, alcune delle quali di provenienza estera.
Se si è preferito parlare di riforma e non di semplice riorganizzazione ministeriale è perché questa è stata accompagnata, in una visione unitaria, da alcune importanti misure organiche volte al rilancio della cultura, per ricordarne solo alcune: favorire, attraverso i benefici fiscali introdotti dall'ArtBonus, le erogazioni liberali in denaro da parte di privati a sostegno della cultura e dello spettacolo (L. 106/2014), semplificandone i meccanismi ed estendendone la platea; credito d'imposta per il cinema e l'audiovisivo e per gli esercizi ricettivi nel settore turistico; incremento del bilancio del Ministero che, a legge di stabilità in discussione, dovrebbe comportare rispetto al 2015 una crescita dell'8% per il 2016 e del 10% per il 2017, invertendo un trend negativo ormai pluriennale; incremento del personale con l'assunzione di 500 unità dei profili tecnici, con concorsi da avviare nei primi mesi del 2016, per compensare l'impoverimento degli organici, con ciò ottenendo un'eccezione cultura al blocco delle assunzioni.

Speciale Direttori Museali - pag. 9 [2015 - N.54]

Alcune best practice internazionali e qualche suggerimento per i musei che non rinunciano a giocare un proprio ruolo anche nella dimensione digitale in rapida evoluzione

Stefania Boiano, Giuliano Gaia - Fondatori di www.musei-it.com

L'accelerazione tecnologica rappresenta una delle sfide più importanti per i musei, perché i cicli sempre più ravvicinati delle rivoluzioni tecnologiche vanno a impattare sui veri protagonisti della scena culturale oggi: i consumatori.
Il consumatore contemporaneo, o meglio il consum-attore come viene definito in molti studi, è al tempo stesso fruitore e creatore di contenuti. È abituato a una società dai ritmi sempre più incalzanti, sottoposto a una moltitudine di stimoli sensoriali e comunicativi, tra cui deve scegliere con grande rapidità, e tende a portare queste abitudini dentro al museo.
Raramente ha la voglia e la possibilità di focalizzarsi completamente su un solo stimolo; se viene colpito da un'opera d'arte, vuole immediatamente salvarla e condividerla con la sua "audience". Di fatto, è al tempo stesso dentro e fuori al museo: vi è fisicamente dentro, ma una parte della sua mente è legata al mondo esterno, mondo esterno che però egli trascina dentro al museo, condividendo in tempo reale foto e impressioni raccolte durante la visita.
La geniale definizione di Zygmunt Bauman della società odierna come "liquida" è perfettamente adattabile al museo: un museo oggi è forzatamente liquido, proprio perché liquida è l'attitudine dei suoi consumatori. Le pareti non contengono più le opere: divenute immagini virtuali nello smartphone del visitatore, esse fluttuano per lo spazio della rete, sempre più alterate, sia dai filtri grafici applicati dall'utente, sia da reinterpretazioni più o meno fantasiose, con l'aggiunta di scritte, battute ed effetti speciali di ogni tipo, oramai alla portata di tutti grazie alla facilità di trasformazione offerte dalle app più diffuse.
Gli stessi confini del museo si fanno labili: spazio museale di cultura e rapporto con il visitatore sono oramai non solo il luogo fisico, ma anche il sito web, la pagina Facebook, il profilo Instagram, la voce su Wikipedia.
Come stanno reagendo i musei a questo nuovo, imprevisto scenario? Certamente con fatica. Il Museo, per sua natura ama le stabilità, le profondità, i tempi lunghi, e non i ritmi rapidi, mutevoli e superficiali dell'oggi. Conciliare queste due dimensioni è però una sfida imprescindibile, e non solo per fini promozionali, ma anche e soprattutto come obiettivo culturale. Se il museo abbandona la dimensione digitale, o la vede come una dimensione esclusivamente pubblicitaria e di marketing, di fatto si condanna all'irrilevanza in una sfera sempre più importante della vita contemporanea.
Esistono alcuni esempi virtuosi in questo senso. Il Cooper-Hewitt Museum di New York, ad esempio, ha abbracciato la necessità del visitatore di essere protagonista progettando per lui una vera e propria "penna elettronica" con la quale può interagire con tutte le installazioni multimediali del museo e indicare le opere che lo interessano, per salvarle e poterle rivedere su web successivamente alla visita.
In un caso oramai divenuto celebre, il Metropolitan Museum di New York è andato a cercare in rete le foto più belle scattate dagli utenti all'interno del museo e ne ha fatto il cuore della propria campagna promozionale "It's Time We MET".
Agendo per sottrazione, il RijksMuseum di Amsterdam, permettendo ogni giorno agli utenti di fotografare le opere dentro al museo e incoraggiandone la condivisione, ha potuto invitarli  per un giorno a disegnare i quadri invece che fotografarli, stimolando il recupero di una dimensione più riflessiva della visita, e ottenendo una vasta eco sui social media, realizzata però grazie all'audience raccolta e fidelizzata nel corso degli anni precedenti.
Il MoMA di San Francisco ha previsto uno sconto sul biglietto di ingresso ai visitatori che mostrano di aver scaricato sul proprio smartphone i podcast del museo, riconoscendo quindi che il valore aggiunto offerto da una pre-fruizione dei contenuti del museo prima della visita va incentivato anche a livello economico.
E in Italia? Come sempre, la situazione è molto differenziata, a volte anche all'interno del museo stesso, in cui l'adozione di un mezzo di comunicazione piuttosto che un altro è spesso dettata dalla sensibilità e dai gusti di un dirigente o di un collaboratore più che da un preciso piano strategico. Una nostra ricerca pubblicata a settembre 2015 su www.musei-it.com sui social media e sull'ottimizzazione per il mobile di diciannove musei milanesi ha mostrato un panorama molto eterogeneo, con poche istituzioni presenti in modo coerente su tutti i mezzi. Tra queste, va segnalato ad esempio l'exploit su Instagram della neonata Fondazione Prada, che in pochi mesi è riuscita a raggiungere un seguito molto più vasto di musei più grandi e da più tempo sui social, ulteriore conferma della "liquidità" e mutevolezza degli scenari digitali.
Come affrontare quindi una situazione così complessa e in rapida evoluzione?
Innanzitutto con lo studio e l'osservazione. Un museo oggi deve innanzitutto sforzarsi di comprendere bene le mutazioni del presente, studiando i comportamenti del proprio pubblico di riferimento dentro e fuori il museo, e aggiornandosi sulle tecnologie più diffuse, anche per evitare errori che possono rivelarsi molto pesanti in termini sia economici che di immagine. Molto utile in questo senso è il confronto costante, sia in rete che dal vivo, con le esperienze internazionali, oggi molto più facilmente a disposizione di un tempo.
Un altro punto chiave è l'apertura al pubblico, intesa non soltanto (o non solo) in senso fisico, ma soprattutto in senso concettuale e attitudinale. I Social Media sono un dialogo, e funzionano bene se da parte dello staff museale c'è una vera volontà di apertura e di condivisione delle sfide e degli obiettivi quotidiani col proprio pubblico. Molto apprezzati ad esempio sono i "dietro le quinte", tutto ciò che racconta la vita quotidiana della macchina museale. Questo cambio di atteggiamento costa sicuramente tempo e fatica, ma è in grado di stimolare un rapporto molto più stretto e fidelizzato col proprio pubblico di riferimento, con vantaggi sostanziali sul medio-lungo periodo.
Essenziale però per un dialogo efficace è la consapevolezza della propria mission. Se i collaboratori a tutti i livelli non hanno perfettamente chiara la ragion d'essere del museo, e il messaggio che intende portare nel mondo, la pagina Facebook andrà per la propria strada, chi risponde alle mail per un'altra, e il museo perderà molte occasioni di poter essere culturalmente rilevante.
Infine, occorre mantenere la fiducia in se stessi. In un mondo sempre più liquido, in cui a volte gli stessi utenti sembrano smarrirsi, la funzione dei musei come isole sicure di un sapere profondo, e come legame con i valori universali della creatività umana, può essere sempre più importante. Cambiano i mezzi e le attitudini ma non le spinte fondamentali dell'essere umano, e la propensione all'arte, alla storia e alla bellezza continua ad essere potente anche nell'era digitale.

Speciale Musei nell'era della mobilità digitale - pag. 9 [2016 - N.55]

Tre giorni e due notti di maratona creativa con MuseoMix, approdato in Italia grazie alla nascita della comunità nazionale

Elena Bertelli - BAM! Strategie Culturali

Iniziamo con le date da segnare in agenda: 11-13 novembre 2016, il weekend durante il quale in sedici musei del mondo (tra cui, per la prima volta, ci sono quattro italiani) si svolgerà Museomix.
Detta in poche parole, si tratta di un laboratorio creativo e multidisciplinare, un format nato in Francia sei anni fa per ripensare il modo di vivere il museo: tre giorni di lavoro intellettuale e manuale, sempre di squadra, per sviluppare proposte innovative e creare prototipi, da far testare al pubblico. Comunicatori, designer, maker, programmatori informatici, esperti delle collezioni e mediatori culturali, lavorano insieme nel museo con l'obiettivo di trasformarlo in una sorta di officina in cui si progettano e realizzano strumenti innovativi di mediazione, utili a migliorare la fruizione e coinvolgere nuovi pubblici.
Ma cosa succede al museo, durante i tre giorni di Museomix?
Il primo giorno, innanzitutto i museomixer, i partecipanti, vengono guidati in una visita approfondita degli spazi e delle collezioni. Non solo, nei mesi che precedono Museomix, il museo avrà preparato dei "terreni di gioco", ovvero dei percorsi tematici per focalizzare l'attenzione dei presenti su determinate peculiarità dell'edificio o della collezione, sui quali i museomixer potranno ideare progetti da sviluppare nei tre giorni di maratona.
Terminata la visita al museo e l'illustrazione dei terreni di gioco ci si riunisce in plenaria e i museomixer che durante la visita hanno avuto idee su prototipi da sviluppare sono chiamati a presentarle con un pitch al resto dei presenti. Ogni idea ritenuta valida raccoglierà attorno a sé una squadra, che si metterà subito al lavoro per concretizzarla. Ogni squadra sarà formata da sei persone con sei diverse professionalità: un esperto di comunicazione, un grafico/designer, un artigiano/maker, un programmatore informatico, un esperto delle collezioni e un mediatore culturale. Il primo giorno sarà tutto dedicato allo sviluppo del concept, con l'obiettivo di arrivare al secondo giorno con un progetto da sviluppare concretamente.
Conclusa la fase di design, durante il secondo giorno e nella prima metà del terzo giorno le équipe sono interamente concentrate nella produzione del prototipo: tra chi materialmente costruirà l'oggetto progettato, servendosi del fablab, del laboratorio di bricolage e del magazzino tecnologico, detto techshop (installati per l'occasione all'interno del museo) e chi dovrà elaborarne il racconto e il brand o svilupparne la parte elettronica/software. Tra un pasto all'interno del museo e un momento di svago, tutta la macchina organizzativa si attiva per arrivare a installare i prototipi e accogliere il pubblico, chiamato a sperimentarli, l'ultimo giorno, dalle ore 16 del pomeriggio.
Anche se ogni équipe lavora in autonomia, ogni giornata prevede un momento di riunione plenaria (convocata tassativamente alle ore 18) che consente a ogni singola squadra di presentare agli altri museomixer il proprio lavoro. Le plenarie sono anche un modo per mettersi in contatto con gli altri Museomix in corso nel resto del mondo: in questa occasione infatti vengono proiettati video di sintesi, girati durante la giornata in ogni museo e caricati sul canale "Mixroom" di Youtube: un momento di networking per sentirsi parte di un gruppo internazionale e uno stimolo a non cedere davanti alla stanchezza e continuare la maratona!
Alle ore 16 della domenica, terzo e ultimo giorno di Museomix, i prototipi saranno installati e il personale del museo accoglierà i pubblici che faranno da 'cavie' lasciandosi guidare alla scoperta e all'utilizzo delle nuove tecnologie. Museomix termina alla sera, con un aperitivo finale. I prototipi, il cui processo di realizzazione sarà già stato pubblicato sul sito di museomix.org e messo a disposizione della rete in Creative Commons, resteranno a disposizione del pubblico ancora qualche giorno, prima di essere smontati.
Questo aspetto singolare del format serve a far riflettere sui reali obiettivi dell'evento, che non ruotano tanto attorno allo sviluppo di uno strumento per il museo, ma hanno più a che fare con l'innesco di un nuovo modo di vivere il museo: un approccio collaborativo, l'apertura a nuovi pubblici e professionisti che vivono insieme al museo un percorso (che va ben oltre i tre giorni di novembre!) di crescita e riflessione sulle sue potenzialità.
Spiegato il meccanismo, se dovessimo elencare le peculiarità di Museomix potremmo sintetizzarle nel seguente elenco:
- un museo aperto, pronto ad accettare la sfida;
- una collezione da scoprire;
- i terreni di gioco: percorsi tematici da seguire e da cui lasciarsi ispirare;
- una connessione Wi-Fi molto potente;
- spazi da dedicare a funzioni nuove per il museo (un fablab, uno spazio per il bricolage, spazi di lavoro per le équipe, aree per lo svago e il consumo dei pasti, sala delle plenarie, una "mixroom" con gli strumenti per l'équipe che lavora alla comunicazione dell'evento);
- un'organizzazione precisa dei tempi e delle fasi di lavoro;
- molta comunicazione esterna e interna prima e durante museomix;
- cibo, giochi e segnaletica per orientarsi da subito nel nuovo assetto del museo;
- l'interazione con il pubblico sia durante i tre giorni di lavoro delle équipe, sia durante la fase conclusiva di test dei prototipi.
Ormai diffuso in molti paesi -  dalla Francia, al Belgio, dal Messico all'Inghilterra, dalla Svizzera fino al Canada - nel 2016 Museomix è approdato anche in Italia, grazie alla nascita della community italiana. Tutto è iniziato a ottobre 2015, durante un workshop tenuto da Fabrice Denise (presidente Museomix France) e da Juliette Giraud (tra i fondatori di Museomix) nell'ambito della conferenza internazionale "The Creative Museum", organizzata dall'IBC della Regione Emilia-Romagna. In quell'occasione i partecipanti si sono attivati per far nascere un gruppo attivo per divulgare Museomix nel nostro Paese, interfacciarsi con la community internazionale e attorno al quale raccogliere le candidature dei primi musei disposti a farsi 'remixare'. Da quel momento in poi, BAM! Strategie Culturali, società specializzata in audience development e marketing culturale, ha dato vita, in collaborazione con IBC e NEMO - Network of European Museum Organizations, a una serie di strumenti di community management per far conoscere Museomix e attivare una community nazionale.
In particolare da novembre 2015 sono attivi: il sito www.museomix.it, il gruppo Facebook MuseoMix Italia, che ha superato i 500 iscritti, un account Twitter (@museomixIT), una newsletter e un profilo Flickr essenziali per approfondire il format, accedere a contenuti tradotti dal francese da volontari della community, a strumenti utili per preparare la propria candidatura e partecipare alle attività dei quattro musei candidati alla prossima edizione.
Da ottobre ad aprile, la community italiana ha lavorato su tutto il territorio nazionale, coinvolgendo realtà come i Musei Civici di Reggio Emilia, Nemech - New Media for Cultural Heritage e Puglia Musei e, allo scadere del termine fissato a livello internazionale di invio delle candidature erano appunto quattro i musei italiani che avevano presentato il proprio dossier: il Museo Tolomeo di Bologna, il Museo Carlo Zauli di Faenza, il Museo del Risorgimento e della Resistenza di Ferrara e il CAOS di Terni. Dopo un periodo di valutazioni, con il supporto della community globale, tutti sono stati dichiarati ammissibili e hanno iniziato a preparare l'evento di novembre.
Attualmente questi musei e le community locali nate attorno a essi stanno lavorando sodo, supportati dalla community italiana e altre community internazionali, principalmente su due fronti:
- quello organizzativo, che prevede incontri con diversi professionisti di vari settori, da quello museale, delle tecnologie, della logistica fino alla ristorazione, per definire ogni dettaglio dell'evento di tre giorni di novembre, raccogliere sponsorizzazioni e ampliare sempre più la community;
- quello comunicativo e promozionale; compito dei musei è infatti quello di attirare i museomixer partecipanti, che si possono candidare rispondendo alle call aperte su museomix.org da metà giugno a metà luglio e che verranno riaperte, con tutta probabilità, a settembre.
Lo strumento principale per attivare le collaborazioni e attirare l'attenzione attorno a Museomix è l'aperomix: aperitivi per conoscersi e far vivere un assaggio di esperienza di Museomix. In luglio ne sono stati organizzati due, uno al CAOS di Terni e uno al Museo Zauli di Faenza, mentre il Tolomeo di Bologna ha azzardato un "GelatoMix" per prendere per la gola i bolognesi e a Ferrara si è già passati a una fase più operativa, con frequenti incontri organizzativi della community, ospitati ogni volta in diversi spazi della città.
Le attività sono frenetiche anche in estate e i musei candidati non mancano di inventiva. Ora non resta che seguirli e partecipare, sperimentare Museomix e iniziare a immaginare a quali altri musei proporre l'adesione per la prossima edizione.
https://twitter.com/museomixIT


Speciale MuseoMix Italia - pag. 9 [2016 - N.56]

Due imbarcazioni romagnole quali esempio di tutela di beni demoetnoantropologici

Federica Cavani, Emanuela Grimaldi - SABAP Ravenna

Come ormai noto a seguito della riorganizzazione ministeriale avviata con il DPCM n. 171/2014 la Soprintendenza di Ravenna ha acquisito competenze anche in materia di beni storico-artistici, iniziando pertanto a occuparsi, nel proprio territorio di competenza, anche di tutela dei beni demoetnoantropologici. A seguito del successivo DM n. 44/2016, l'Istituto centrale per la demoetnoantropologia, nato ormai dieci anni fa, è stato incluso nel Servizio VI della Direzione Generale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio con lo scopo di coordinare le attività di tutela svolte in questo ambito dalle strutture periferiche del MiBACT, valorizzare i beni culturali demoetnoantropologici, promuovendo altresì attività di studio, ricerca e divulgazione di tale patrimonio.
In questa ottica si sta muovendo la Soprintendenza di Ravenna, "erede" diretta del cospicuo lavoro di tutela effettuato nell'ambito dei beni culturali mobili del territorio romagnolo dall'ex Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici, Etnoantropologici di Bologna, Ferrara, Forlì-Cesena, Ravenna e Rimini, operante praticamente senza soluzione di continuità dagli inizi del XX secolo.
Tra i vari beni demoetnoantropologici di competenza figurano due interessanti imbarcazioni, l'Assunta, tipica lancia da pesca romagnola e la Saviolina, lancione tradizionale della marineria della costa romagnolo-marchigiana. Ancor prima dell'entrata in vigore del Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio, che all'art. 10 comprende tra i beni culturali "le navi e i galleggianti aventi interesse artistico, storico od etnoantropologico", uscirono il 3 febbraio 1997 e il 21 settembre 1998, grazie alla grande sensibilità dell'allora Soprintendente Andrea Emiliani, i due decreti di tutela delle predette imbarcazioni.
L'Assunta, di proprietà della famiglia Marini dal 1975, fu costruita nel 1925 nei cantieri di Cattolica e attualmente può vantare di essere la più antica lancia romagnola conosciuta e tuttora navigante. Caratterizzata da una vela in cotone con i colori e i simboli della famiglia Garbin, proprietaria dell'imbarcazione all'epoca del suo impiego come barca da pesca, veniva utilizzata prevalentemente dal solo "lanciere" che poteva, vista la versatilità, dedicarsi a svariati tipi di pesca. Ormeggiata nel porto canale di Cervia è ancora armata e attrezzata come nel lontano 15 agosto 1925, quando fu calata in mare per la prima volta. Un accurato intervento di conservazione fu eseguito dal suo proprietario nel 1993-1994, a cui seguirono, nel 2001, un restauro conservativo sotto l'attenta supervisione dell'Istituto di Archeologia ed Etnologia Navale di Venezia e dell'allora Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici, Etnoantropologici di Bologna e, nel 2008, il rifacimento dell'albero, non più sicuro per la navigazione.
In questa ottica di attenzione sempre maggiore verso i beni demoetnoantropologici e verso il recupero delle tradizioni marinare, importante è la partecipazione dell'Assunta, portacolori della Tenza di Cervia, alla manifestazione Cursa di Batell, rievocazione storica della regata ricordata in un documento del 1741, che si svolge ogni anno nella città del sale nel giorno che precede l'Ascensione.
Una storia altrettanto interessante caratterizza la Saviolina: costruita a Gabicce dal maestro d'ascia Francesco Cola e varata nel 1928 col suo primo nome di Nino Bixio, fu commissionata dai fratelli Michelini, abili pescatori locali; il nome che ancora oggi la identifica le deriva invece da Severo Savioli, imprenditore turistico riccionese, che la trasformò da peschereccio in imbarcazione da diporto. Attualmente di proprietà del Comune di Riccione e gestita dal Club Nautico, risulta essere il più antico lancione tuttora navigante in Adriatico. Barca tradizionale destinata alla pesca, nella versione grande della lancia, da subito fu soprannominata dai pescatori La bicicletta per le sue caratteristiche di agilità, velocità e stabilità.
Per ben due volte fu oggetto di naufragio: nel settembre del 1944 quando fu affondata assieme a quasi tutte le barche presenti nel porto canale di Riccione, affinché non venissero requisite dalle truppe tedesche in ritirata, e nel 1964, in porto, durante la terribile tempesta dell'8 giugno. A seguito di alcuni inevitabili interventi conservativi succedutisi negli anni, da un po' di tempo la Saviolina è oggetto di una serie di attività legate alla cultura e alla tradizione del nostro mare che contribuiscono a renderla "viva" e fruibile da quanti, amanti del mare o meno,  vogliano avvicinarsi alla tradizione nautica italiana.

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 9 [2017 - N.58]

A partire dalla nozione di paesaggio culturale, una approfondita riflessione sulle trasformazioni che si impongono ai musei del futuro

Daniele Jalla - Già Presidente ICOM Italia

Nei tre anni di preparazione della Conferenza generale di ICOM Milano 2016 si è sviluppata una riflessione che ha finito per coinvolgere entrambi gli elementi del tema della Conferenza: i paesaggi culturali quanto i musei. L'approfondimento teorico della nozione di paesaggio culturale ha infatti finito per investire anche quella di museo, portando alla conclusione che la prospettiva entro cui operare in futuro sia l'inverso di quella da cui eravamo partiti. Ed è per questo che nel titolo di questo articolo i paesaggi culturali sono posti al primo posto e i musei al secondo1.
Cosa cambia? Anziché domandarci solo - come abbiamo fatto - in che modo i musei possono aprirsi al territorio, al contesto, alla comunità e cosa possono fare per il paesaggio, possiamo ora partire dal presupposto che oggi, a tutte le latitudini e longitudini, la salvaguardia dei paesaggi culturali, nella loro molteplicità e diversità, costituisce una priorità di carattere generale e che è questo a sollecitare, se non a imporre, un ripensamento complessivo di tutti gli strumenti a disposizione a questo scopo, musei compresi2.
Nelle pagine che seguono, dopo una riflessione sulla nozione di paesaggio culturale, sulle ragioni per cui esso costituisce una priorità ineludibile e su quali suoi aspetti siano, o possano, divenire parte del patrimonio culturale, saranno esaminate le modalità di protezione e trasmissione del patrimonio culturale e, in questo quadro, le trasformazioni che si impongono ai musei se essi si propongono di svolgere, insieme ad altri soggetti e istituzioni, un ruolo attivo nella salvaguardia del paesaggio.
Cos'è il paesaggio?
In questi anni ci siamo innanzitutto sforzati di lasciarci definitivamente alle spalle quella visione di paesaggio propria del senso comune che, in accordo con le origini del termine, continua comunque ad associarlo a qualcosa di bello, specie se naturale, da ammirare e preservare così com'è: i "paesaggi da cartolina" continuano a piacerci forse più degli altri, ma dobbiamo anche essere coscienti - e contribuire a diffondere la consapevolezza - che essi costituiscono solo una minima, per quanto importante, parte degli innumerevoli paesaggi esistenti.
Prendendo spunto dalla definizione di paesaggi culturali proposta dall'UNESCO, abbiamo fatto nostro il superamento della distinzione fra paesaggio naturale e paesaggio culturale, riconoscendo che essi, nella loro varietà, rappresentano "l'opera combinata della natura e dell'uomo" e sono "espressione di una lunga e intima relazione fra l'umanità e il suo ambiente naturale"3.
Della Convenzione europea per il paesaggio del 2000 che propone di considerare il paesaggio "una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni", abbiamo accolto e condiviso l'approccio e dunque l'idea che il paesaggio non esiste indipendentemente dalla sua percezione sociale e culturale4.
Per questo abbiamo tenuto a distinguere il territorio dal paesaggio5, anche se nell'uso comune tendiamo a utilizzare i due termini come se fossero equivalenti. Il territorio è la dimensione fisica e materiale del paesaggio, con i suoi tratti peculiari di carattere naturale e/o antropico. E il paesaggio non è solo l'immagine di un territorio, anche se il termine si è a lungo riferito - e continua a riferirsi - a un dipinto, a un disegno, a un'immagine fotografica di un dato paesaggio, perché il termine paesaggio in verità "si riferisce sia al modo di vedere l'ambiente circostante sia a questo stesso ambiente" e "il fascino dell'idea stessa di paesaggio sta nel fatto che unisce i fattori all'opera nella nostra relazione con l'ambiente che ci attornia".
Questa visione del paesaggio ci ha portato a convenire che il paesaggio è il presente così come lo percepiamo e anche che i paesaggi "che siano o non siano dotati di un valore estetico, costituiscono il contesto della nostra vita quotidiana; ci sono familiari6 e la nozione di paesaggio unisce l'umanità alla natura, riconoscendone la loro interazione con l'ambiente"7.
Tutti questi elementi, presenti nella Risoluzione approvata al termine della Conferenza generale di Milano 2016, si ritrovano anche in diversi documenti e testi di preparazione della Conferenza stessa8.
Perché il paesaggio è una priorità?
Il paesaggio è la grande priorità dei nostri tempi, se non una vera e propria emergenza. Lo è da tempo, a dire la verità, e anche la storia dell'ICOM dimostra in quante occasioni i professionisti museali si sono preoccupati per le conseguenze che le grandi trasformazioni della nostra epoca avevano sul patrimonio culturale. E non solo9.
I cambiamenti del clima, la crescita della popolazione, le migrazioni, i conflitti, le nuove tecnologie stanno modificando in modo sempre più radicale e rapido il paesaggio del globo. Se ciascuno di noi pensa al continente, al paese, alla città o alla regione in cui vive, ha l'immediata misura di quanto intensamente e profondamente il paesaggio che lo circonda sia cambiato anche solo nell'ultimo mezzo secolo. Non c'è angolo del mondo che si presenti com'era per la generazione precedente e, nel solo spazio di tempo della sua vita, le generazioni nate dopo la Seconda guerra mondiale sono state protagoniste e testimoni di un'accelerazione sempre più rapida del contesto - globale e di prossimità - in cui vivevano e vivono.
Il ritmo e l'entità di queste trasformazioni rafforzano l'esigenza di confrontare le politiche del patrimonio con la dimensione presente e globale della realtà entro cui si collocano, con le contraddizioni e i conflitti che contraddistinguono - sempre e comunque - il paesaggio di cui il patrimonio culturale è parte.
Paesaggio e patrimonio culturale
Il patrimonio culturale è parte integrante del paesaggio che lo circonda. Presente di un passato più o meno lontano, memoria, materiale e immateriale, di altri tempi, il patrimonio non è altro che quella parte di un tutto che ogni tempo e ogni società stabiliscono di voler proteggere e conservare per il valore simbolico che esso ha, nel suo insieme e nelle sue singole parti, come testimonianza immateriale o materiale di una civiltà, allo scopo di trasmetterla alle generazioni future10.
Il processo di trasformazione di una 'cosa' in 'oggetto patrimoniale'11 passa inevitabilmente attraverso la sua enucleazione, separazione ed estrazione dal contesto12 di cui è parte, indipendentemente dal fatto che si tratti di un atto fisico (come avviene per gli oggetti materiali e mobili 'musealizzati') o di un atto mentale (come avviene tanto per beni immobili che per quelli immateriali). È un'operazione che i professionisti del patrimonio, gli studiosi o anche solo le persone che ne condividono la cultura, nel caso del patrimonio materiale, compiono in primo luogo attraverso lo sguardo: è quel processo che corrisponde all'individuazione e all'identificazione di un oggetto come 'bene patrimoniale' a partire dalla visione che essi hanno del patrimonio culturale in senso generale.
Quando l'oggetto fisico (cioè materiale, o tangibile nella sua definizione internazionale), per essere protetto ed esposto alla vista in quanto oggetto patrimoniale, viene fisicamente isolato dal suo contesto (attraverso una recinzione, se in situ, da un edificio o da una vetrina, se in museo) e identificato come tale (attraverso un cartello, una targa, un'iscrizione, una didascalia, ecc.) a essere coinvolti nel processo di patrimonializzazione sono anche i non specialisti: il pubblico, i visitatori e più in generale le società. Lo stesso avviene per i beni immateriali quando essi sono anche semplicemente qualificati come 'beni' e non più solo come cose: l'esempio forse più evidente è dato dal cibo e dalle culture alimentari che, da 'oggetti di affezione'13 (individuale, familiare, di gruppo, sociale o territoriale) e di trasmissione diretta e informale (come tradizione tramandata oralmente o in forma scritta), hanno iniziato a essere considerati oggetti patrimoniali a tutti gli effetti, cui applicare forme di protezione e salvaguardia di natura patrimoniale.
L'enucleazione, separazione, estrazione dei beni dal loro contesto sono associate a una cristallizzazione dello stato in cui essi si trovano (o a cui sono riportati attraverso un restauro), in nome della più che giustificata esigenza di conservarli nella loro integrità e di quel tanto di sacro connesso alla loro qualificazione di 'beni culturali'. Ma non è forse questo a privare il patrimonio di quella vitale confusione con il paesaggio culturale di cui è parte? Non finisce per confinarlo in un mondo a parte? Non contribuisce ad allontanarlo dal sentire comune, privandolo di quella familiarità che ne ha assicurato la conservazione e la trasmissione da una generazione all'altra, indipendentemente da qualsiasi forma di tutela legale14?
La domanda che tuttavia si pone è se esistono realistiche alternative a fronte a un patrimonio continuamente minacciato dallo sviluppo, dall'ignoranza dei suoi caratteri originari e dai suoi valori, dagli interessi economici, dal crescente divario fra necessità di conservazione e risorse destinate a questo scopo. Nel richiamo a dare priorità al paesaggio crediamo si possa individuare una prospettiva diversa, se essa corrisponde alla ricerca di modelli e di pratiche di protezione e conservazione del patrimonio culturale che tengano nel dovuto conto la necessità di ridurre al minimo necessario l'enucleazione, estrazione e separazione dal contesto dei beni e il loro confinamento in spazi, fisicamente o mentalmente separati dal paesaggio culturale di cui fanno, organicamente o residualmente, parte. È una prospettiva che ha come obiettivo mantenere, per quanto possibile, il patrimonio nel suo contesto di appartenenza, promiscuo quanto vitale, perché caratterizzato da quell'inestricabile intreccio di passato e presente che ne costituisce il tratto più caratteristico. Si tratta di una prospettiva concettuale prima ancora che operativa, ma che deve potersi tradurre in pratiche concrete, diffuse e coerenti con i presupposti di partenza. Vediamo in che senso, analizzando criticamente il processo di produzione (o costruzione) del patrimonio culturale.
Il processo di produzione del patrimonio
La logica 'patrimoniale' è, al di là delle intenzioni di chi ne è attore, al tempo stesso: esclusiva (perché estrapola dal loro contesto una selezione di oggetti in base a criteri di carattere 'scientifico'); autoritaria (perché è affidata a specialisti, formalmente investiti del potere di determinare il valore culturale dei beni) e frammentata (perché differenziata in base alle tipologie dei beni e ai saperi scientifici che attengono ad essi). Se tutto questo è vero, allora l'alternativa sta innanzitutto nella massima riduzione possibile dell'enucleazione (estrazione, separazione) dei beni dal loro contesto; nel rovesciamento (radicale, per non dire totale) della logica autoritaria che connota il processo di individuazione e identificazione del patrimonio; e infine nella ricomposizione del patrimonio a unità, in quanto insieme integrato di relazioni tra le cose e le persone, nel tempo e nello spazio che ne costituiscono il o i contesti di appartenenza.
Non sono affatto proposte o idee nuove né in ambito nazionale né in ambito internazionale: sono pensieri che circolano da almeno quarant'anni senza che essi siano però riusciti a imporsi, ostacolati da fattori normativi, ma soprattutto culturali e di potere, solo molto recentemente messi in discussione - ma, come vedremo, solo sul piano dei principi - sul piano internazionale.
La Convenzione sulla Protezione del Patrimonio Mondiale, culturale e naturale dell'Umanità dell'UNESCO risale al 1972 ed è espressione di una visione del patrimonio culturale non solo esclusivamente materiale, ma suddivisa in patrimonio culturale e naturale, a loro volta, ripartiti in categorie, peraltro superate anche solo nel linguaggio, di carattere formale, fondate come sono sulla forma tangibile dei beni: i monumenti, gli agglomerati, i siti in un caso, i monumenti naturali, le formazioni geologiche e fisiografiche, i siti naturali o le zone naturali nell'altro15.
Una correzione a questi evidenti limiti si è avuta nel 2003 con l'approvazione, sempre da parte dell'UNESCO, della Convenzione per la Salvaguardia del patrimonio culturale immateriale che ha sì ampliato la sfera del patrimonio culturale a un nuovo insieme di beni: quelli immateriali appunto, ma tenendoli distinti da quelli materiali16.
Ancor prima, nel 1992, l'UNESCO aveva cambiato il proprio approccio al patrimonio culturale con l'approvazione delle Linee guida per il riconoscimento e la protezione dei paesaggi culturali17 e la loro inclusione nella World Heritage List. Per quanto innovative nel merito e nel metodo, le Linee guida non hanno però prodotto una retroazione sull'impianto generale della Convenzione del 1972, limitandosi a dar vita a una nuova categoria di beni: i paesaggi culturali, appunto, che l'ICOM ha posto al centro del suo confronto nel 2016 a Milano per chiedersi quale ruolo possono e devono avere i musei nella loro protezione e valorizzazione.
Esce da questa logica un documento recente, del 2005 ed entrato in vigore solo nel 2011, approvato a Faro (in Portogallo): la Convenzione quadro del Consiglio d'Europa sul valore dell'eredità culturale per la società18.
La Convenzione di Faro (2005)
La Convenzione di Faro propone un approccio innovativo al patrimonio culturale, tanto nella sua definizione quanto rispetto alla sua individuazione. Per la Convenzione, il patrimonio culturale è costituito da "tutte le risorse ereditate dal passato che le popolazioni identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione" e "comprende tutti gli aspetti dell'ambiente che sono il risultato dell'interazione nel corso del tempo fra le popolazioni e i luoghi". La nozione di "risorse", che include tutti gli aspetti dell'ambiente, non solo non distingue il patrimonio materiale da quello immateriale, ma soprattutto affida l'identificazione del patrimonio alle popolazioni e più in specifico alle "comunità patrimoniali" e cioè a "un insieme di persone che attribuisce valore ad aspetti specifici del patrimonio culturale, e che desidera, nel quadro di un'azione pubblica, sostenerli e trasmetterli alle generazioni future".
Si riconosce esplicitamente che, prima che per legge, il patrimonio culturale è individuato sul piano sociale e in base al valore attribuito, evolutivamente nel tempo, da parte di una collettività (non necessariamente nazionale) che proprio questa condivisione di valori trasforma in comunità, patrimoniale per l'appunto19.
Ma si prevede anche che le comunità patrimoniali operino 'nel quadro di un'azione legale', l'unica a poter dare legittimità e continuità a un'opera che richiede norme, mezzi, apparati per essere efficace e duratura nel tempo: da questo punto di vista non vi è nulla di utopico in una logica rovesciata rispetto ai modelli tradizionali, ma saldamente fondata su un principio ovvio, quanto sottovalutato: la tutela più efficace del patrimonio non è mai stata assicurata prioritariamente dall'esistenza di norme, mezzi e apparati, pure essenziali, ma dal consenso sociale, più o meno diffuso, sul suo valore, l'unico in grado di garantirne la conservazione e ancor più la trasmissione. L'interesse pubblico del patrimonio culturale o corrisponde a una sua pubblica appartenenza o resta una nozione astratta e in fin dei conti inutile.
Dalla Carta di Siena alla Carta di Siena 2.0
Questo approccio che costituisce un lascito indiscusso della "nuova museologia" assai prima che venisse approvata la Convenzione di Faro, ha orientato, in preparazione della Conferenza, la stesura della Carta di Siena su musei e paesaggi culturali. La Carta propone un'apertura dei musei al contesto e alla comunità, un'estensione delle responsabilità dei musei al paesaggio culturale, un'attenzione per il presente oltre che per il passato, una logica partecipata nella gestione del patrimonio culturale20.
Nel redigerla si è fatto tesoro del confronto che intorno a questi temi si era sviluppato all'interno dell'ICOM, puntando l'attenzione sul dibattito museologico e museografico attorno al problema del rapporto fra musei e contesto.
Ne è emersa una rilettura della storia dei musei che ha portato a individuare tre età del museo, riflettendo sul fatto che gli orizzonti della museologia, nel determinarne l'ambito teorico e pratico, hanno via a via definito veri e propri 'paesaggi museali', diversi nel tempo e nello spazio: dei 'territori', fisicamente e idealmente delimitati, popolati e animati dalle figure che hanno contribuito a crearli, a modificarli, a viverli.
Assumendo il rapporto tra musei e contesto come criterio per identificare questi paesaggi, si arriva alla conclusione che questi sono stati fondamentalmente tre: un primo è quello limitato al museo e alle sue collezioni, un secondo è esteso al patrimonio culturale e infine un terzo, focalizzato su una prospettiva 'visitor oriented' e su un rinnovamento della comunicazione museale.
Ognuno di essi corrisponde anche a un'età del museo: un'età ideale, perché ognuna si sedimenta in luoghi e in istituti che durano ben più del suo tempo, cosicché in ogni epoca convivono più paesaggi museali: alcuni già 'fossili', altri tuttora 'viventi', mentre altri paesaggi, nuovi e diversi, si presentano, come realtà o come tendenza, all'orizzonte.
Le tre età del museo21
a) La prima età del museo o il paesaggio del museo e delle collezioni
Per lungo tempo e sino a oltre la metà del Ventesimo secolo, l'orizzonte della museologia è rimasto circoscritto nello spazio delimitato delle collezioni e dell'edificio destinato ad accoglierle.
È stato un tempo molto lungo, che lo si faccia iniziare dalle Inscriptiones di Samuel Quiccheberg del 1565 o dalla Museographia di Caspar Friedrich Neickel del 1727, o ancora dalla non molto successiva nascita del museo moderno, nella seconda metà del XVIII secolo22.
Questo orizzonte, contestato solamente da poche voci, come quella di Antoine-Chrysostome Quatrèmere de Quincy nel 1796 e da poche altre tra la fine del XIX e la prima metà del XX, ha definito il paesaggio della museologia per tutta la prima età del museo moderno23.
Si è trattato di un paesaggio inscritto, ma anche racchiuso nello spazio - fisico e ideale - del museo e delle sue collezioni, popolato da addetti sempre più specializzati e distinti dagli altri attori del patrimonio - archivisti e bibliotecari, addetti alla tutela dei monumenti e degli altri beni conservati in situ, studiosi accademici - e anche, ma quasi marginalmente, dai visitatori.
Questo paesaggio ha coinciso con il solo contesto museale e con un confronto, teorico e pratico, incentrato sulle finalità e funzioni dei musei, sulla loro organizzazione interna, sulla conservazione, cura e presentazione delle collezioni. Pur distinguendosi e allontanandosi sempre più dalle logiche del collezionismo, la museologia e la museografia non hanno però mai preso sino in fondo le distanze dai suoi orizzonti, nel momento stesso in cui hanno fatto propria la scelta di separare i beni museali dal loro contesto di origine, creando consapevolmente il museo come un mondo a parte e dando vita a un nuovo contesto: il contesto museale24.
Se consideriamo l'ambito museale come un paesaggio culturale a tutti gli effetti, viene spontaneo paragonare il suo rapporto con il contesto con quello che ha il giardino con l'ambiente naturale: come il museo, il giardino è uno spazio artificiale, riservato principalmente (anche se non esclusivamente) alla vista, in cui sono raccolte specie estratte dai loro habitat, disposte secondo un ordine, determinato dal proprietario o dal giardiniere, per soddisfare un bisogno spirituale. La forma di giardino più prossima al museo è certamente quella dell'orto botanico, che ha finalità di studio ed educazione oltre che di diletto, e che infatti fa parte a tutti gli effetti del campo museale.
Il carattere mobile dei beni museali, la possibilità di disporli secondo criteri e con modalità molto diverse tra loro, suggerisce anche un altro confronto: quello con un mazzo di fiori recisi, simile al museo nella relazione tra contesto di provenienza, contesto di conservazione e modalità di presentazione dei suoi elementi.
Il fascino del prodotto dell'opera di decontestualizzazione, delocalizzazione e di costruzione di nuovi insiemi che corrisponde al museo come al giardino o al bouquet di fiori, è indiscutibile. Come non è in discussione la sua legittimità, assunta senza riserve a fondamento del collezionismo che accoglie ed esalta sino in fondo il carattere fittizio del suo prodotto: la collezione. Al contrario la museologia e la museografia si sono poste con un'attenzione crescente nel tempo, la questione della necessità di risarcire la rottura perpetrata attraverso la de-contestualizzazione propria del suo modo di patrimonializzare i beni, attraverso diverse forme di ri-contestualizzazione.
La cattiva coscienza dei museologi ha per questo prodotto una riflessione ricorrente sul rapporto fra museo e contesto e lo studio e la messa in atto di molteplici dispositivi per ricreare, almeno virtualmente, un legame tra beni museali e contesti di origine. Nella maggior parte dei casi questi sono rimasti e permangono come espressione di un modo di agire tutto interno al museo e alle sue logiche, in una prospettiva esclusivamente 'museum oriented' che caratterizza quasi per intero il paesaggio culturale del museo nella sua prima età25.
b) La seconda età del museo o il paesaggio del patrimonio culturale
Solo nel momento in cui la critica al 'museo-collezione' è divenuta così radicale da porne in discussione l'esistenza stessa e quando essa ha assunto il carattere di movimento esteso su scala internazionale, si è entrati - agli inizi degli anni Settanta del secolo scorso - nella seconda età del museo, caratterizzata da un nuovo tipo di paesaggio museale: un paesaggio programmaticamente esteso oltre la soglia del museo per comprendere l'intero patrimonio, culturale e naturale, presente al suo esterno. Sono così nate nuove figure, come gli ecomusei, i musei 'diffusi', i musei 'territoriali', accomunati tra loro dalla volontà di raccordare il museo al suo contesto patrimoniale, territoriale, comunitario.
Alla decontestualizzazione e delocalizzazione dei beni propria della teoria e pratica museale del passato si è cercato di sostituire, per quanto possibile, la conservazione 'in situ' e al museo è stato assegnato il compito di pensare e operare in una prospettiva sempre più 'context oriented', assumendo una diretta responsabilità su siti, monumenti, porzioni di territorio, urbano e rurale, naturale e antropizzato, caratterizzati da un valore 'patrimoniale'. Quando non ha assunto la forma di un 'context museum', di una porzione di spazio dichiaratamente musealizzata, il museo non si è più limitato a valorizzare le proprie collezioni, ma ha esteso la sua responsabilità al patrimonio diffuso, assumendo la forma di 'centro d'interpretazione' del suo contesto storico, culturale e naturale.
È mutata anche la composizione della popolazione attiva in questo nuovo paesaggio, perché il museo della seconda età è stato anche un museo fondato sulla partecipazione della comunità, non più vista solo come destinataria delle attività del museo, locale in primo luogo, ma come protagonista del processo di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale. In campo museale è cioè avvenuto quanto stava accadendo in un ambito più vasto: alla 'democratizzazione della cultura' che aveva ispirato l'attività educativa del museo della prima età, si è sostituita una prospettiva fondata sulla 'democrazia della cultura' che nel museo ha coinciso con il coinvolgimento attivo della comunità nella sua gestione26.
Alla tradizione degli 'amici del museo' si è abbinata l'opera di volontari che, all'interno come al di fuori dei musei, hanno iniziato ad affiancare sempre più numerosi i professionisti nel loro lavoro o hanno dato vita ad attività e musei assumendone la gestione e contribuendo a creare su scala mondiale un nuovo panorama museale.
Il rapporto di questo nuovo paesaggio museale con il contesto non è più paragonabile a quello del museo della prima età: alla similitudine fra museo e 'giardino' o 'mazzo di fiori recisi' va sostituita quella con le specie protette o i parchi naturali, con porzioni di territorio più o meno estese sottoposte a uno speciale regime di protezione, giuridica e materiale, che le trasforma in 'isole patrimoniali' da proteggere, conservare, rendere accessibili al pubblico, distinte dal resto del territorio.
Negli anni Settanta si è anche affermata una nuova visione del patrimonio, estesa a beni considerati sino ad allora minori o comunque non degni di particolare protezione: questo allargamento di prospettiva ha portato sempre più spesso a parlare di museo e territorio, identificandolo, al di là dei fatti e delle idee, con il patrimonio, continuando però a rivolgere l'attenzione più al passato che al presente, più alla comunità di una volta che a quella attuale in una dimensione prevalentemente locale27.
Ma soprattutto questo nuovo paesaggio museale è restato nei fatti un paesaggio marginale e minoritario: ha interessato una parte soltanto dei musei, senza investire le grandi istituzioni, scalfendo solo in minima parte i 'musei collezione' esistenti, ancorati a una visione prevalentemente se non totalmente non solo 'museum oriented', ma anche 'collection oriented'28. Non per questo le idee e le pratiche della nuova museologia, possono dirsi sconfitte e anzi in Italia hanno trovato un terreno fertile di crescita a partire dal momento in cui altrove sopravvivevano attraverso esperienze sempre più isolate29.
c) La terza età del museo o il paesaggio del nuovo museo
Si è entrati così, nell'arco di un decennio o poco più, in una terza età del museo che, rispetto alla prospettiva patrimoniale e territoriale della seconda età, si caratterizza per l'attenzione nuovamente rivolta al museo in quanto tale e per una visione, per quanto innovativa rispetto al passato, 'museum oriented'.
Non è stato affatto un ritorno al passato. Gli anni Settanta non hanno solo messo in discussione il rapporto tra musei e contesto, ma anche il loro ergersi a tempio, lo scarso peso attribuito al pubblico, la natura 'collection-oriented' e non 'visitor-oriented' di molti di essi, la loro fissità, la carenza della loro comunicazione rispetto a pubblici diversi da quelli del passato.
La critica al museo degli anni Settanta ha spinto i musei a riflettere sul loro ruolo sociale, a rinnovarsi, a riorganizzarsi sulla base di standard di qualità, ad aggiornare la presentazione delle collezioni, a sviluppare la comunicazione, a dare nuovo impulso all'offerta educativa e didattica. I risultati, positivi in termini di credito, di attenzione e anche di successo di pubblico sono di fronte agli occhi di tutti e possiamo affermare che, dagli anni Ottanta in poi, il diffuso pregiudizio negativo nei confronti del museo come luogo polveroso e noioso, è andato sempre più regredendo.
Dell'aggiornamento del museo ha fatto certamente parte la nuova attenzione al suo rapporto con il contesto tanto rispetto alla presentazione e interpretazione delle collezioni quanto del suo rapporto con i visitatori, gli utenti, e quelli che con brutta espressione sono definiti 'non pubblici'.
Pur in una dimensione 'museum oriented', questa terza età del museo è stata ed è ricca di spunti critici nei confronti del passato e di proposte innovative per il futuro e sarebbe un errore considerarla come una fase involutiva rispetto alle tendenze degli anni Settanta, nonostante le degenerazioni mediatiche e commerciali che pure la connotano.
A queste ultime tendenze, acuite da uno stato di crisi economica che riduce il sostegno pubblico e pone al primo posto il successo economico dell'attività dei musei, si oppone la realtà e la prospettiva di una quarta età del museo caratterizzata da un paesaggio museale sempre più integrato con il paesaggio culturale nel suo insieme.
La quarta età del museo o il paesaggio del territorio e della comunità
La natura stessa del paesaggio culturale impone che il suo governo sia oggetto di politiche complessive orientate al suo sviluppo (sostenibile) che comprendano per questo la salvaguardia dei suoi caratteri originali, nella loro molteplicità e diversità.
In un pianeta sempre più globalizzato e sempre più alle prese con fenomeni che, su scala mondiale, si presentano anche come minacce al futuro della stessa umanità, i paesaggi culturali, intesi nella loro più ampia accezione, vanno assunti come risorsa fondamentale per costruire un futuro sostenibile. Quest'affermazione coinvolge tutti i paesaggi culturali, compresi quelli da modificare radicalmente in quanto minaccia e non risorsa per il futuro: paesaggi da restaurare, riparando per quanto possibile i danni prodotti dallo sviluppo, quelli da salvaguardare o quelli da proteggere nella loro integrità.
Rispetto a questa prospettiva globale i musei possono offrire molti e diversi contributi.
1.
Nel mantenere e sviluppare la loro funzione storica di istituto e di luogo di conservazione, ricerca e comunicazione delle testimonianze materiali e immateriali dell'umanità e del suo ambiente, possono in primo luogo sviluppare, assai più di quanto abbiano fatto e facciano, la loro capacità di porre in stretta relazione gli oggetti museali (principalmente tangibili, mobili, esponibili) con i loro contesti di provenienza (e cioè con i paesaggi culturali di cui essi sono prodotto ed espressione) rivolgendo la loro attenzione su questi ultimi anziché sugli oggetti stessi, come molti di essi del resto fanno, e non da ora.
In questo senso un indirizzo museografico innovativo (ma anche attuato da molti musei nel mondo) consiste nel passare da un ordinamento fondato sull'esposizione di oggetti contestualizzati a modelli espositivi centrati sull'esposizione di contesti, ricorrendo agli oggetti come testimonianze materiali dei paesaggi culturali posti al centro della riflessione scientifica e della scena espositiva.
Pur restando nel solco di una concezione tradizionale del museo, i musei hanno anche il dovere di confrontarsi, assai più che in passato, con il paesaggio culturale che li circonda almeno in due direzioni: da un lato contribuendo, attraverso la loro attività di incremento e presentazione delle collezioni, con oggetti che testimonino la contemporaneità, individuandoli nel contesto in cui agiscono e non ripiegandosi su stessi e sul passato, dall'altro confrontandosi con le visioni patrimoniali del pubblico, delle collettività cui appartengono, della società del proprio tempo.
Forse non tutti i musei, per la loro natura di 'opera chiusa' storicizzata, possono partecipare attivamente alla costruzione di un patrimonio culturale in continua evoluzione, ma va anche segnalata la scarsa propensione di quei musei che pure potrebbero farlo, nell'acquisire testimonianze recenti, che sono spesso preda di un collezionismo invece assai attento alle molte e svariate espressioni della cultura materiale del secolo scorso.
A tutti, invece, tocca il compito di sviluppare un costante confronto con le visioni patrimoniali delle comunità di cui sono espressione, all'insegna di un diritto alla differenza e al pluralismo culturale che considera patrimonio non solo quanto gli esperti, ma la società individua come tale, nei modi che ha a disposizione, non sempre i migliori, ma non per questo da non osservare, capire, interpretare.
Confrontarsi con le visioni patrimoniali della società e dei pubblici cui si rivolgono per i musei significa esprimere la propria funzione educativa in forme radicalmente diverse dal passato: non ponendosi più, cioè, nella posizione di chi, dall'alto delle sue competenze scientifiche, insegna, ma cercando anche di imparare, dai visitatori in primo luogo, ascoltando, confrontando la propria visione con quelle, diverse, confuse, ma radicate di chi si reca al museo30 e quelle, assai ancora più difficili da cogliere, di chi nei musei non va.
In questi anni abbiamo più volte utilizzato il termine 'interpretazione' per indicare l'attività di comunicazione del museo nel senso datogli da Freeman Tilden nella seconda metà degli anni Cinquanta: "L'interpretazione è un'attività educativa che vuole svelare il significato delle cose e le loro relazioni attraverso l'uso di oggetti originali, l'esperienza personale e degli esempi piuttosto che attraverso la sola comunicazione di informazioni concrete"31.
"L'interprete - scrive George Steiner - è un traduttore di lingue, culture e convenzioni di rappresentazione. Per sua natura è un esecutore, qualcuno che 'mette in atto' il materiale che ha davanti a sé per dargli una vita intelligibile. [...] L'interpretazione è comprensione attraverso l'azione, immediatezza della traduzione"32.
Al museo tocca, se vogliamo essere coerenti con l'approccio proposto dalla Convenzione di Faro, non solo di interpretare le collezioni, compiendo un'opera di mediazione più che di educazione, ma anche di confrontarsi sempre di più con le visioni patrimoniali della società contemporanea33.
2.
Anche solo limitandosi ad applicare il Codice etico per i musei dell'ICOM secondo cui i musei "assicurano la conservazione, l'interpretazione e la valorizzazione del patrimonio naturale e culturale dell'umanità", essi possono - in base alla loro natura e capacità - estendere la propria responsabilità ai beni che li circondano, parte di un contesto più o meno vasto, del paesaggio culturale cui le loro collezioni pertengono.
Anche in questo caso non si tratta di una novità, perché esistono da tempo, come si è visto, musei che hanno iscritto questa responsabilità nella propria missione, come gli ecomusei e i musei diffusi (ma non necessariamente solo essi), integrando la prospettiva 'museum oriented' e quella 'context oriented', non più vissute in opposizione, ma sentite come dimensioni complementari dell'agire museale. Un agire esteso al territorio e che coinvolge la comunità non solo nella sua conoscenza, conservazione, valorizzazione, ma anche nell'individuazione di quanto è o può essere definito patrimonio, e ne raccoglie e interpreta i bisogni, le aspettative, gli stimoli, le proposte.
Gli ecomusei, i musei diffusi e gli altri musei che, al di là delle loro differenze, hanno dato vita a nuova e diversa forma di museo, per il fatto stesso di non essere più racchiusi all'interno di un edificio, ma di abbracciare un intero territorio, diventano un diverso tipo di istituto quando il loro oggetto non è più limitato al patrimonio a cielo aperto, ma lo considera in quanto parte del paesaggio culturale inteso come "il paese che abitiamo e che ci circonda con le immagini e le rappresentazioni che lo identificano e lo connotano".
Rispetto a un paesaggio in cui passato e presente convivono in quell'inestricabile insieme che corrisponde al "quadro della nostra vita quotidiana", in cui tutto è paesaggio indipendentemente dal fatto che sia o non sia dotato di un valore estetico, con le contraddizioni e i conflitti che lo caratterizzano, i musei che scelgono di percorrere, con maggiore o minore determinazione ed apertura, non sono chiamati soltanto a gestire oltre alle proprie collezioni, alcuni beni immobili selezionati, ma anche a individuare quanto merita di essere salvato, quanto va e può essere cambiato, quanto va e può essere innovato.
3.
Spingendoci sino in fondo in questa prospettiva, possiamo pensare infine che i musei possono anche mutare radicalmente forma. Assumere l'identità di 'centri di responsabilità patrimoniale' mantenendo la loro identità di istituto, ma cessando di essere un luogo e coincidendo innanzitutto con l'équipe che ne anima l'attività.
Un centro di responsabilità patrimoniale infatti continua a svolgere tutte le funzioni tradizionali del museo: di acquisizione, di conservazione, di documentazione e ricerca, di esposizione e comunicazione del patrimonio, in modo diretto o in collaborazione con gli istituti e i luoghi della cultura del proprio territorio, partecipando, sulla base della conoscenza del patrimonio raccolta e prodotta, alle scelte che investono il governo del territorio, configurandosi anche come luoghi di ascolto e interpretazione dei bisogni e delle volontà delle comunità patrimoniali di riferimento.
Possiamo continuare a chiamarli musei, se vogliamo, consapevoli però che si tratta di un nuovo tipo di istituto del patrimonio che non solo integra le funzioni del museo con quelle dell'archivio e della biblioteca di conservazione, ma soprattutto raccoglie, sviluppa e comunica la conoscenza del paesaggio culturale nella sua interezza. E che, in questa sua azione, è un istituto che si propone di preservare il valore di promiscuità del patrimonio, la vitale coesistenza tra patrimonio e paesaggio, comprese le sue dissonanze e contraddizioni. Che cerca di ridurre l'isolamento dei beni, che evita la loro sacralizzazione (per quanto laica) in monumenti, che limita le barriere e gli steccati (fisici e mentali) che separano il patrimonio da quanto non è considerato tale. Nella sua opera di patrimonializzazione, è un istituto che si sforza di preservare la familiarità dei beni, materiali e immateriali che elegge, in nome e per conto della comunità patrimoniale di riferimento, come risorsa da conservare e trasmettere.
Assunto come 'collezione', il paesaggio culturale è a pieno titolo una collezione vivente, da gestire e conservare nella sua vitalità non solo perché è per sua natura in costante mutamento ed evoluzione, ma perché del paesaggio fanno parte anche le persone che lo abitano e vivono e la sua stessa esistenza è determinata dalla percezione che ne hanno e dalla loro partecipazione a tutte le fasi del processo di patrimonializzazione.
Agendo sul e nel paesaggio, i compiti di un centro di responsabilità patrimoniale vanno oltre l'individuazione, la protezione e la gestione del patrimonio culturale e abbracciano tutti gli aspetti del contesto in cui operano: le sue contraddizioni, i suoi conflitti, le scelte di sviluppo. Insieme e in collaborazione con tutti gli attori del governo tecnico del patrimonio, cui offrono la visione e il sapere specialistico di chi conosce in particolare il patrimonio culturale nella sua globalità e complessità.
Questi 'centri di responsabilità patrimoniale', cui - come si è detto - si può continuare ad assegnare, con qualche forzatura, ma anche in linea con il significato mutevole nel tempo del termine, il nome di musei, possono essere immaginati sia come frutto di un'azione spontanea di gruppi o associazioni presenti nel territorio, liberi da vincoli, ma anche resi fragili dal carattere volontario della partecipazione, sia come veri e propri uffici pubblici, costituiti dalle amministrazioni responsabili di un territorio, nel quadro di una logica normativa di cui al momento non esistono segni34.
Da un centro di responsabilità patrimoniale ci si può attendere soprattutto la capacità di invertire la tradizione - diffusa in tutto il mondo al di là delle differenze degli ordinamenti statali - di logiche 'patrimoniali' esclusive, autoritarie, frammentate per affermare un approccio al patrimonio e ai suoi oggetti inclusivo, partecipato, unitario.

Questi tre scenari non sono antitetici o contraddittori tra loro e comunque coesistono nella quarta età del museo in cui sono presenti musei della prima, seconda e terza età dei musei.
Ognuno di questi scenari, anche se in modi diversi propone una forma di relazione con il paesaggio culturale. Ad accomunarli è una visione evolutiva del museo, aperta al cambiamento, al presente, al contesto. Una visione consapevole dei limiti strutturali di un'istituzione che, per quanto mutata dalle sue origini moderne, fatica a liberarsi del tutto dall'originaria vocazione di spazio e istituto separato dal contesto, distinto da altri istituti analoghi (come gli archivi e le biblioteche). Un istituto che si trova al centro di un campo museale ed espografico sempre più ampio quantitativamente e sempre più diversificato al suo interno, ancora dominato dalle partizioni disciplinari che lo suddividono in ambiti e tipologie e soprattutto centrato sulla collezione intesa come insieme di oggetti materiali, mobili ed esponibili. E dunque una visione che cerca di superare il limite originario del museo e che - nel proporre che esso si confronti con il contesto in cui si colloca - si apre all'innovazione, alla sperimentazione, alla ricerca di nuove forme di esistenza e di un nuovo ruolo nelle società contemporanee.
Questa visione del museo, partendo dalla riflessione sui paesaggi culturali e da una profonda rivisitazione della nozione di patrimonio culturale, si propone di ridefinire l'identità stessa del museo centrandola - anziché sulla collezione - sul patrimonio, materiale e immateriale, nella sua globalità e interezza, estendendo così il suo campo d'azione a tutti gli 'oggetti patrimoniali', materiali e immateriali che ne fanno parte evolutivamente nel tempo.
Ne deriva uno sconfinamento del museo in altri ambiti: quello dei monumenti e dei siti, dei documenti e dei testi a stampa, dei beni intangibili e la speranza che da questa confusione di competenze possa emergere un nuovo tipo di istituto del patrimonio a un tempo archivio, biblioteca e museo, centro di ricerca e di studio, ma anche di ascolto e di interpretazione delle comunità patrimoniali, custode dell'eredità del passato, ma anche attore nel presente perché vigile al futuro35.
È una speranza, ma è anche una proposta che si può tradurre in azioni e in fatti, a legislazione immutata, al momento, ma anche nella prospettiva che essa muti e si adegui ai bisogni e alle necessità di una società ben diversa da quella che l'ha prodotta36.

Note

1 La 24a Conferenza Generale di ICOM si è tenuta a Milano dal 3 al 9 luglio 2016. Su proposta del Comitato nazionale italiano il tema della Conferenza è stato Cultural landscapes and museums. "Una questione centrale per l'Italia - abbiamo scritto nel promuoverla - ma anche una prospettiva strategica per i musei del Terzo Millennio in tutto il mondo. Un'occasione e una sfida per il rilancio e il rinnovamento della loro missione e per il rafforzamento del loro ruolo culturale e sociale". Alla Conferenza hanno partecipato oltre 3.400 professionisti provenienti da 129 paesi di tutti i continenti. È stata certamente la Conferenza generale meglio riuscita degli ultimi decenni e al suo termine è stata approvata un'importante Risoluzione finale che, senza timore di eccedere nella valutazione, ha restituito alla migliore museologia italiana il ruolo che meritava.
2 La "salvaguardia" è cosa diversa dalla "protezione" che si applica ai soli beni materiali attraverso divieti (di distruzione, modificazione, commercio, esportazione, ecc.) e obblighi (di autorizzazione da parte degli enti competenti). La nozione è stato introdotta dalla Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale (Parigi, 17 ottobre 2003) dell'UNESCO dove per salvaguardia "s'intendono le misure volte a garantire la vitalità del patrimonio culturale immateriale, ivi compresa l'identificazione, la documentazione, la ricerca, la preservazione, la protezione, la promozione, la valorizzazione, la trasmissione, in particolare attraverso un'educazione formale e  informale, come pure il ravvivamento dei vari aspetti di tale patrimonio culturale.
3 http://whc.unesco.org/en/culturallandscape/. Questo URL e gli altri riportati di seguito sono stati verificati il 22/08/2017.
4 Convenzione europea del Paesaggio (Firenze 20 Ottobre 2000), http://www.coe.int/en/web/landscape/home.
5 D. Jalla, Common Ground. Grappling with the key terms of Milano 2016, in "ICOM News" / "Nouvelles de l'ICOM" / "Noticias del ICOM", 68, 3-4, december 2015, https://issuu.com/internationalcouncilofmuseums/docs/icomnews68-3-4-ang.
6 Considerare 'familiari' i paesaggi culturali in cui viviamo e di cui siamo parte, rinvia a quell'idea di patrimonio culturale su cui, nell'ormai lontano 1974, Andrea Emiliani scriveva, affermando che "il patrimonio, almeno come lo intendiamo oggi, è sempre vissuto con noi e fra noi, entità concreta del luogo e del paesaggio, della sopravvivenza e del lavoro; ed ha finito per confondersi vitalmente con le nostre giornate, le nostre occupazioni, i nostri progetti." (A. Emiliani, Una politica per i beni culturali, Einaudi, Torino 1974, p. 27).
7 N. Mitchell, M. Rössler, P.-M. Tricaud, World Heritage Cultural Landscapes. A Handbook for Conservation and Management, World Heritage Centre UNESCO, Paris 2009, p. 17, http://whc.unesco.org/documents/publi_wh_papers_26_en.pdf.
8 31st General Assembly of ICOM Milan, Italy, 2016, Resolution No. 1: The Responsibility of Museums Towards Landscape, http://icom.museum/the-governance/general-assembly/resolutions-adopted-by-icoms-general-assemblies-1946-to-date/milan-2016/.
9 D. Jalla, Musei e "contesto" nella storia dell'ICOM (1946-2014): una prospettiva di analisi in preparazione della 24a Conferenza generale del 2016, https://www.academia.edu/16082823/Musei_e_contesto_nella_storia_dell_ICOM_1946-2014_una_prospettiva_di_analisi_in_preparazione_della_24a_Conferenza_generale_del_2016._2016_ .
10 "Il processo di sviluppo storico è un'unità nel tempo, per cui il presente contiene tutto il passato e del passato si realizza nel presente ciò che è essenziale, senza residuo di un inconoscibile che sarebbe la vera essenza" (A. Gramsci, Lettere dal carcere, Einaudi, Torino, 1947, p. 169).
11 Per 'oggetto patrimoniale' propongo di intendere ogni elemento minimo del patrimonio culturale, dotato di una riconoscibile e riconosciuta identità propria, ogni sua unità, indipendentemente dalla sua natura materiale o immateriale. Non "una realtà in sé, ma un prodotto, un risultato o un correlato ... ciò che è posto o gettato in faccia (ob-jectum, Gegen-stand) da un soggetto che lo tratta come differente da sé, anche quando considera sé stesso come oggetto", se ci richiamiamo - estendendola - alla definizione di oggetto museale proposta dai Concetti chiave di Museologia che lo distingue dalla cosa, "che intrattiene al contrario con il soggetto un rapporto di contiguità o strumentale" e aggiungiamo noi, affettiva. Se "un oggetto museale è una cosa musealizzata, una cosa che, in generale, può essere definita come qualsiasi tipo di realtà", un oggetto patrimoniale è una cosa patrimonializzata, investita cioè di un valore patrimoniale (culturale) preminente rispetto ad altri suoi valori, passati e presenti e per questo sottoposta a una speciale protezione (materiale o immateriale, e anche giuridica) e conservata in vista di una sua trasmissione.
12 Contesto mi sembra essere il termine più appropriato per definire l'insieme di elementi e circostanze che circondano un fatto o una situazione. Nel suo uso primario (linguistico), il termine definisce anche la relazione tra una parte del testo e la sua interezza. Se consideriamo il museo come testo, la pienezza del suo significato può essere colta solo individuando le sue molteplici relazioni con il contesto, non solo tangibile, in cui si trova, e che determinano il significato e il ruolo non solo delle sue collezioni, ma anche del museo come istituzione. I contesti di cui i musei fanno parte e all'interno del quale si trovano sono molteplici e interdipendenti: spaziali, temporali, economici, ideologici, politici, sociali e di pertinenza del patrimonio. La relazione tra il museo e il suo contesto è quindi espressione di una complessa dialettica che, nella sua forma più semplice, ha un orientamento bidirezionale che va dal contesto al museo e al museo al contesto. Poiché il museo riceve e dà, prende e ritorna, assorbe e rilascia, provoca uno scambio complesso di beni e valori che definiscono il suo ruolo e la sua funzione, che si differenziano nel tempo e nello spazio.
13 "Oggetti d'affezione", non tanto nel senso dato all'espressione proposta da Man Ray per indicare i suoi ready made, ma quelle cose e memorie che un individuo conserva in primo luogo per il loro valore simbolico. È una prima forma di patrimonializzazione, privata come quella che investe i 'beni di famiglia', diversa, nelle origini e negli scopi quella che origina una collezione. Devo lo stimolo a riflettere sugli oggetti di affezione a Pietro Clemente, "Un fiore di pirite". Introduzione ai nostri "oggetti di affezione", in P. Clemente e E. Rossi, Il terzo principio della museografia, Carocci, Roma 1999, pp. 151-158.
14 J.-P. Babelon, A, Chastel, La notion de patrimoine, Liana Levi, Paris 1994, p. 108.
15 Convention Concerning the Protection of the World Cultural and Natural Heritage, http://whc.unesco.org/en/conventiontext/.
16 Convention for the Safeguarding of the Intangible Cultural Heritage, http://www.unesco.org/culture/ich/en/convention.
17 UNESCO World Heritage Centre, Background document ON UNESCO World Heritage Cultural Landscapes, prepared by Dr M. Rössler, 2001, www.fao.org/.../WorldHeritage_CulturalLandscapes_MechtildRoessler.pdf.
18 Convention on the Value of Cultural Heritage for Society,  2005, http://www.coe.int/en/web/culture-and-heritage/faro-convention.
19 "Si l'on veut distinguer la collectivité, comme collection d'individus ayant des intérêts et des caractères communs, de la communauté, qui en désignerait l'ensemble, sous une forme plus globale, dotée d'une personnalité unique, on pourrait dire que le patrimoine fait d'une collectivité une véritable communauté. Il transforme les populations en Peuples et les territoires en Nations" (Se si vuole distinguere la collettività, come  collezione di individui che hanno interessi e caratteri comuni, dalla comunità che ne designerebbe l'insieme, in una forma più globale, dotata di una personalità unica si potrebbe dire che il patrimonio culturale fa di una collettività una vera comunità. Trasforma le popolazioni in Popoli e i territori in Nazioni). M. Melot, Qu'est-ce qu'un objet patrimonial?, in "Bulletin des bibliothèques de France (BBF)", 5, 2004, pp. 5-10 (http://bbf.enssib.fr/consulter/bbf-2004-05-0005-001).
20 Disponibile online in inglese, francese, spagnolo, e naturalmente in italiano, sul sito di ICOM e su quello di ICOM Italia (http://www.icom-italia.org/) nella sezione 'Documenti'. Nello stesso sito si trova anche (solo in italiano) la Carta di Siena 2.0 approvata dalla Conferenza permanente delle Associazioni museali italiane a Cagliari il 20 ottobre 2016.
21 Questa parte del testo riprende, con alcune variazioni, l'intervento svolto a Brescia nell'incontro preparatorio alla Conferenza generale di Milano 2016 Museums, territorial systems and urban landscapes del 27-28 novembre 2015.
22 S. Quiccheberg, Inscriptiones ... (tradotto in inglese in The first treatise of museums. Samuel Quiccherberg's Inscriptiones, 1565, The Getty Research Institute, Los Angeles 2013) e C. F. Neickel, Museographia, Michael Hubert, Liepzig 1727 (tradotto in italiano: C.F. Neickel, Museographia. Guida per una giusta idea ed un utile allestimento dei Musei, CLUEB, Bologna 2005).
23 A. Quatremère de Quincy, Lettres sur le préjudice qu'occasionneroient aux arts et à la science, le déplacement des monumens de l'Italie, le demembrement de ses écoles, et la spoliation de ses collections, galeries, musées, etc. (1796), disponibile anche in italiano: Lo studio delle arti e il genio dell'Europa, Nuova Alpha Editoriale, Bologna 1989.
24 Si veda la voce Contexte nel Dictionnaire encyclopédique de muséologie, sous la direction de André Desvallées et de François Mairesse, Armand Colin, Paris 2011, pp. 582-583.
25 Sulla nozione di 'museum oriented' e sulle seguenti ('context oriented' e 'context museum') si veda D. Jalla, Musei e contesti nella storia dell'ICOM, cit.
26 "La democratizzazione della cultura, dominante nell'Europa e nel Canada dell'Europa postbellica fino agli anni Sessanta, si concentra sul" valore civilizzatore delle arti "e privilegia l'accesso del grande pubblico alle più alte forme della cultura europea. Attraverso questa lente, il ruolo del governo è estendere l'accesso alle opere culturali a un pubblico di massa che non ha accesso immediato a loro per carenza di reddito o di istruzione (Evrard, 1997). [...] La democrazia culturale, nel frattempo, è emersa nel dibattito politico culturale europeo negli anni settanta, in gran parte come una critica di democratizzazione della cultura, vista come un approccio omogeneizzante di elitismo "top-down" alla cultura che ignorava espressioni e pratiche culturali al di fuori del canone principale (Matarosso e Landry, 1999; Baeker, 2002). Si va così oltre l'accento all'accesso alle opere culturali per incorporare l'accesso ai mezzi di produzione e distribuzione culturale" (M. Gattinger, Democratization of Culture, Cultural Democracy and Governance, School of Political Studies, University of Ottawa, 2011, http://www.cpaf-opsac.org/en/themes/documents/CPAF_2011_AGM_Democratization_of_Culture_Cultural_Democracy_Governance_Mar082012_000.pdf).
27 Nathalie Heinich, definisce questo fenomeno 'une inflation patrimoniale', un'inflazione patrimoniale. N. Heinich, La Fabrique du Patrimoine, Édition de la Maison des Sciences de l'Homme, Paris 2009, pp. 15-34.
28 F. Mairesse, La belle histoire aux origines de la nouvelle muséologie, in "Publics et musées", 17-18, 2000, pp. 42-43.
29 Si veda la proposito il recentissimo libro di Hugues de Varine, L'écomusée au singulier et pluriel. Un Tèmoignage sur cinquante ans de muséologie communautaire dans le monde, l'Harmattan, Paris 2017 (di imminente traduzione in italiano).
30 È quanto Michael Baxandall definisce "il bagaglio culturale di idee non sistematiche, di valori, e ... di obiettivi" del visitatore, ammonendo che "il curatore non può rappresentare una cultura" ma - che nella posizione mediana tra il produrre degli oggetti e l'osservatore, il suo compito è di creare "condizioni stimolanti e non fuorvianti nello spazio che si situa tra l'attività che gli compete [...] e quella di ha prodotto gli oggetti. Il resto pertiene all'osservatore". M. Baxandall, Intento espositivo, in I. Karp e S. D. Lavine, Culture in mostra. Poetiche e politiche dell'allestimento museale, CLUEB, Bologna 1995, pp. 15-26.
31 Nei suoi celebri "sei principi dell'interpretazione" di Freeman Tilden, afferma: "1) "Ogni interpretazione di un paesaggio, di un'esposizione, d'un racconto che non faccia appello, in un modo o nell'altro a un tratto della personalità o dell'esperienza del visitatore è sterile. 2) La sola informazione non è interpretazione. Questa una rivelazione fondata sull'informazione. Le due cose sono totalmente differenti anche se ogni interpretazione presenta delle informazioni. 3) L'interpretazione è un'arte che ne combina molte altre, che la materia prima sia scientifica o architettonica. Ogni arte può essere più o meno insegnata in qualche misura. 4) L'interpretazione cerca di provocare più che di istruire. 5) L'interpretazione deve tentare di presentare un tutto piuttosto che una parte e rivolgersi alla persona nella sua interezza piuttosto che a una delle sue caratteristiche. 6) L'interpretazione per i bambini (cioè fino all'età dei dodici anni) non deve essere un'edulcorazione di quella che si propone agli adulti. Deve seguire una via del tutto diversa. Darà i suoi migliori risultati obbedendo a un programma distinto". F. Tilden, L'interprétation de notre patrimoine (1957), in Vagues. Une anthologie de la nouvelle muséologie, vol. 1, W-M.N.E.S., Mâcon-Savigny-le-Temple 1992, pp. 250-1.
32 G. Steiner, Vere presenze, Garzanti, Milano 1998, p. 21.
33 Da questo punto di vista, la conoscenza che abbiamo dei pubblici dei musei è insufficiente se, oltre a misurarne la soddisfazione, non è in grado di ragguagliarci sull'impatto cognitivo della visita di un museo o di una mostra, o di fornirci informazioni sulla visione patrimoniale dei visitatori e sui cambiamenti che la visita ha o non ha prodotto.
34 Può venire spontaneo chiedersi, in Italia, se questo istituto non esista già e non sia costituito dalle Soprintendenze territoriali. No, purtroppo. Non solo perché non sono enti condivisi con le amministrazioni locali, perché agiscono su ambiti territoriali di scala (regionale o subregionale) troppo vasti per consentire quella vicinanza alle comunità che ne consentirebbe la partecipazione, ma soprattutto perché la loro competenza si limita alla protezione e non include anche la valorizzazione e gestione - diretta o indiretta - del patrimonio culturale. Per questo, da ben più di un decennio, ICOM Italia ha puntato piuttosto su una prospettiva 'museocentrica' assegnando ai musei il ruolo di 'presidi territoriali di una tutela attiva' che, nella proposta di considerarli 'centri di responsabilità patrimoniale, a mio parere, si rafforza e trova un coerente sviluppo. Possibile, per quanto lontano, nel quadro di un nuovo modello di tutela che si ispiri a valori e modi di operare che in questo saggio ho cercato di individuare.
35 Nella stesura di questo testo, al di là delle citazioni riportate in nota ho potuto avvalermi della moltitudine di contributi, di stimoli di idee ricevuti nei convegni, nei seminari, negli incontri con professionisti museali e studiosi di molte parti del mondo, ma vorrei esprimere soprattutto la mia gratitudine nei confronti delle colleghe e dei colleghi di ICOM Italia con cui ho condiviso la preparazione e organizzazione, faticosa ma anche esaltante della Conferenza generale di ICOM Milano 2016.
36 Questo testo riprende, con modifiche e aggiunte, quello in corso di pubblicazione in lingua inglese nel numero di Museum International dedicato al tema della 24a Conferenza internazionale di ICOM Museums and cultural landscapes.


Speciale Paesaggi culturali e musei - pag. 9 [2017 - N.59]

Il ruolo delle reti museali nello sviluppo del SMN, vero elemento innovativo della Riforma Franceschini tuttora in fase di elaborazione

Daniele Jalla

Speciale Reti e sistemi museali - pag. 9 [2017 - N.60]

Una piccola porzione di necropoli romana nel giardino di Palazzo Sforza a Cotignola

Giovanna Montevecchi e Claudio Cavalcoli - La Fenice Archeologia e Restauro s.r.l.

L’amministrazione comunale di Cotignola, di concerto con la Soprintendenza ai Beni Archeologici dell’Emilia Romagna e con la Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici di Ravenna, Ferrara e Forlì, ha pensato di restituire ai cittadini una porzione di storia proveniente dal proprio territorio: in tal senso si è deciso di rendere fruibile la stele dei Varii ed altri reperti a carattere funerario, esponendoli nel giardino di Palazzo Sforza, nel centro storico di Cotignola. Sarà così ricostruita, a cura della società La Fenice Archeologia e Restauro di Bologna, una piccola porzione di una necropoli romana collocando idealmente i materiali archeologici lungo un asse viario; in epoca antica, infatti, le sepolture erano sistemate lungo le vie di transito, al fine di richiamare la memoria dei defunti alla pietà dei viandanti. Il documento di maggiore rilievo dell’esposizione è sicuramente la stele dei Varii, rinvenuta presso Cotignola nel 1817 sotto il ponte della via Gabina sul Fosso Vecchio, alla profondità di m 10,215 dal piano di campagna forse ancora in situ, cioè nella sua posizione originaria. Dopo molte vicissitudini, fra cui i danni causati dagli eventi bellici, ora, finalmente, dopo un ultimo intervento conservativo, il monumento si appresta ad essere nuovamente visibile al pubblico. La stele rientra nella tipologia definita ‘a pseudoedicola’ ed è caratterizzata da una partizione dello spazio in nicchie con ritratti alternate ad un’iscrizione dedicatoria, in questa sono riportati il nome del proprietario, Caio Vario, della sua sposa, una ‘liberta’, cioè una donna originariamente schiava poi resa libera, e del loro figlio; di estremo interesse è l’indicazione delle misure dell’area sepolcrale che fungeva da recinto funerario ed in cui la stele era inserita. Nell’area espositiva sarà collocata anche un’altra epigrafe, incisa sullo spessore di una lastra in calcare biancastro in cui è riportata l’invocazione agli Dei Mani, protettori del mondo degli Inferi, e il nome di colui per cui la stele fu posta: Caio Rufruno Severo. Infine si è ritenuto opportuno documentare un’altra tipologia funeraria, di carattere piuttosto modesto, con l’esposizione di una tomba alla‘cappuccina’, di provenienza locale; la sepoltura, interrata, era caratterizzata da una copertura in tegole e coppi disposti a protezione del corpo del defunto. La soluzione adottata per l’esposizione dei reperti descritti è scaturita da un percorso progettuale costituito da due fasi distinte. In un primo progetto si è tenuto conto principalmente di una esposizione dei pezzi rispondente ad una migliore comprensione della loro antica collocazione e del loro utilizzo; tale ipotesi prevedeva una ricostruzione, pur se in dimensioni ridotte, di una zona cimiteriale con strada basolata centrale e strutture funerarie poste ai lati, ricostruzione protetta da una struttura in legno, vetro e rame collocata al centro del cortile di Palazzo Sforza. In una riunione per l’esame del relativo progetto definitivo, alla presenza del Soprintendente per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna, fu posto l’accento sull’occupazione del suolo, ritenuta eccessiva, e sull’importanza che la nuova struttura veniva ad assumere rispetto alla facciata di Palazzo Sforza. Fu quindi privilegiata una soluzione più tradizionale che prevede la progettazione di una struttura espositiva per alcuni reperti (stele di Caio Vario, lastra sepolcrale e tomba alla ‘cappuccina’). La nuova struttura è prevista in elementi tubolari in acciaio inossidabile ad andamento curvilineo, con raggio di curvatura di m 2,00, calandrati, con rivestimento in lastre di acrilico colato incolore, impianto di deumidificazione, illuminazione ed allarme volumetrico. La nuova sistemazione è pensata lungo il muro di recinzione di Palazzo Sforza, direttamente prospiciente la pavimentazione in ciottoli esistente, così da non impedire la visione della facciata sul cortile. È previsto anche l’allestimento, all’esterno della struttura, di cinque pannelli didattici illustrativi dei reperti esposti.

Speciale musei all'aperto - pag. 10 [2002 - N.13]

L’intensa attività editoriale del museo ravennate nei "quaderni didattici" a tema

Linda Knifftz - Bibliotecaria

Il Museo Ornitologico e di scienze naturali produce da anni pubblicazioni scientifiche sulle proprie collezioni. Recentemente si è pensato ad una produzione di opuscoli più divulgativa rivolta ad un’utenza scolastica, che permettesse un approccio ai materiali conservati nel Museo più strumentale e ludico. Le collezioni naturalistiche hanno avuto infatti un ruolo molto importante per lo studio e la conoscenza della natura. Senza le raccolte di tanti appassionati avremmo delle lacune enormi nella documentazione della realtà geologica, floristica e faunistica del territorio, e dei cambiamenti che si sono succeduti nel tempo. Il quaderno didattico Alla scoperta degli animali (testi di L. Kniffitz e A. Ronchi, disegni di Bonzi) è stato concepito a corredo di una visita guidata incentrata sulle caratteristiche fisiche degli esemplari, che in natura sono difficilmente osservabili. La modalità a quiz permette la divulgazione di alcune conoscenze di base sulla fauna sollecitando l’immaginazione e l’operatività dell’alunno nel concepire delle risposte, grazie anche al linguaggio accattivante della grafica. Il secondo quaderno, Alla scoperta dei dinosauri, degli stessi autori, è dedicato a un argomento di grande attualità: i dinosauri vissuti nell’era mesozoica, che costituirono le forme di vita dominanti sulla terra per quasi 140 milioni di anni, e che improvvisamente, per cause non del tutto note, si estinsero. Per stimolare la curiosità alcuni quiz sono stati celati in piccoli racconti, mentre la grafica, pur ricorrendo all’impostazione tipica della vignetta, ricostruisce fedelmente l’aspetto di questi grandi rettili. La pubblicazione più recente, Sulle ali del Museo, degli stessi autori, è incentrata sulla collezione ornitologica, ed è proposta in una veste insolita: 100 schedine, confezionate in una scatola, con le immagini di altrettanti uccelli locali. Una sorta di gioco con cui si vuole stimolare la capacità di osservazione dei ragazzi. Il corpo degli uccelli appare, a prima vista, uniforme: due ali, un becco, due zampe, penne, ma attraverso una lunga evoluzione si sono verificate variazioni vistose dovute all’adattamento ai vari ambienti. Ogni schedina reca un’immagine fotografica e tre quiz, le cui risposte sono fornite sul retro. Alla fine di ogni visita effettuata al museo, ciascun utente riceverà una schedina, più schedine si collezionano più si impara divertendosi.

Speciale didattica museale - pag. 10 [2002 - N.15]

Una nuova proposta didattica del Museo d’Arte della Città di Ravenna

Nadia Ceroni - Conservatore del Museo d'Arte della Città

Con l’avvio del nuovo anno scolastico riparte anche l’attività didattica della Pinacoteca di Ravenna, recentemente trasformata in istituzione e rinominata "Museo d’Arte della Città". Ai percorsi tematici, già disponibili per gli ultimi anni delle materne e la scuola dell’obbligo, si aggiunge ora una nuova occasione per visitare il museo ravennate e conoscere da vicino le sue collezioni permanenti. Il percorso prende in esame numerose opere d’arte antiche, moderne e contemporanee nelle quali sono stati raffigurati vari alimenti di ieri e di oggi. Cibi, bevande e tavole imbandite fanno da contorno o diventano veri e propri protagonisti nei quadri dipinti dal XV al XX secolo. Il tema affrontato, nella sua evoluzione iconografica, si collega direttamente a quello dell’educazione alimentare e vuole offrire ai ragazzi e agli insegnati ulteriori spunti di riflessione e stimoli critici per conoscere il cibo anche sotto l’aspetto artistico. L’arte e l’alimentazione possono quindi diventare un’occasione per imparare divertendosi. Il rapporto di collaborazione tra la scuola e il museo, infatti, continua ad essere al centro degli interessi dell’attività didattica della nuova istituzione museale, che pubblica anche sussidi didattici di supporto ai percorsi. La nuova proposta, pertanto, sarà presto affiancata dalla pubblicazione del relativo “quaderno” che, oltre la parte storico-artistica, comprenderà anche una parte ludica, per giocare con gli alimenti, inventare menù e disegnare piatti con la fantasia. Per informazioni e prenotazioni di visite guidate: tel.0544-482041.

Speciale didattica museale - pag. 10 [2002 - N.15]

Attori di legno e di stoffa in mezzo alle saline di Cervia

Stefano Giunchi - Direttore Artistico di "Arrivano dal mare!"

Il Comune ha consegnato i locali del Museo al Centro Teatro di Figura "Arrivano dal Mare!", durante l’edizione 2001 del Festival Internazionale dei Burattini e delle Figure. L’edificio, una vecchia scuola trasformata da un originale progetto dell’architetto Giorgio Ricci, si trova a Villainferno, in via Beneficio II Tronco, nel cuore delle Antiche Saline Etrusche, all’interno dei futuri percorsi ambientali. Si arriva al Museo dalla strada "cervese" che collega Forlì al mare, oppure dal casello autostradale di Cesena, scendendo verso la Statale Adriatica. Un modo divertente di raggiungere il Museo è l’attraversamento delle Saline in bicicletta, magari muniti di un binocolo per osservare i balletti degli aironi rosa sulla superficie di acqua salata. Nel Museo è già attiva la Biblioteca/Videoteca, fornita di 5000 fra volumi, video, riviste e documenti specializzati sulla cultura e le tecniche dell’animazione nello spettacolo. La Biblioteca inventariata e in parte catalogata è aperta al pubblico, con l’assistenza di personale esperto, martedì, giovedì, venerdì pomeriggio e sabato mattina. Nel Museo è presente la Sala "F. Alfieri", un’ambiente polifunzionale dedicato ai laboratori interattivi e, in particolare, all’attività teatrale con persone disabili. La parte estensiva del Museo non è ancora aperta al pubblico, in attesa che il Comune di Cervia finisca l’ultimo stralcio dei lavori, da tempo finanziato, relativi alla messa a norma secondo gli standard museali Provinciali. Un ultimo intervento riguarda i mobili e le installazioni: su questo è in corso una trattativa per ottenere da parte della Cooperativa "Arrivano dal Mare!" i fondi e l’affidamento diretto da parte del Comune, per avviare e concludere rapidamente i lavori. L’attività del Museo (mostre, seminari di studio, raccolta di materiali) pur fra queste notevoli difficoltà, intanto procede. La parte storica del Museo è costituita da alcuni fondi di grande valore culturale e storico: vi sono burattini padani di fine ‘800, antichi copioni e attrezzi di scena, fondali dipinti, marionette del ‘700 e ‘800, pupi siciliani e teste di legno metà ‘800. Vi sono numerose "baracche" tradizionali, complete delle relative "mute" di burattini, provenienti da diverse aree culturali europee e italiane. Uno dei fondi più preziosi è costituito da un intero "teatrino" d’ombre giavanesi di fine ‘800, completato da un’intera collezione di sagome di cuoio, intagliate e dipinte a mano. Nel Museo è accolto il fondo "Fabio Alfieri", cioè l’intero materiale realizzato in vita dal burattinaio forlivese. Gemma delle collezioni è il fondo "Cervellati", costituito da molti materiali documentali appartenuti al celebre studioso e collezionista bolognese, nonché la sua "baracca" e la sua straordinaria "muta" di burattini ottocenteschi. Altro fondo prestigioso è il fondo "E. Luzzati", composto da decine di burattini realizzati dal grande illustratore-scenografo. Alle testimonianze sul repertorio tradizionale si affiancano moltissimi materiali dedicati alle tendenze del Teatro di Figura contemporaneo, con pezzi provenienti da ogni parte del mondo. Vi è inoltre una raccolta di stampe d’epoca, di cartoline e francobolli, di foto e di diapositive di argomento teatrale, di oggettistica, poster, locandine, dépliant ecc. sulla vita delle compagnie di teatro di figura di tutto il mondo. Per ora solo una parte dei materiali e visitabile su prenotazione (tel. 0544.965876; e-mail info@arrivanodalmare.it; www.arrivanodalmare.it)

Speciale musei nascosti - pag. 10 [2003 - N.16]

Un importante patrimonio librario, dichiarato di "eccezionale interesse storico ed artistico" dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali

Benedetto Gugliotta - Collaboratore del Centro Dantesco per le iniziative culturali

Il Centro Dantesco dei Frati minori conventuali, fondato nel 1964 da p. Severino Ragazzini, svolge la propria attività nella interminata scia di quella tradizione che da più di sette secoli salda Dante ai francescani. Oltre alle ben note vicende relative alla custodia delle spoglie dell’Alighieri da parte dei Frati, bisogna notare che il Poeta riconobbe così particolare affezione al Poverello di Assisi da dedicargli un intero canto del Paradiso. Alla vigilia delle celebrazioni per il VII Centenario della nascita del Sommo Poeta p. Ragazzini si adoperò per l’acquisizione di codici, incunaboli, edizioni a stampa delle opere di Dante e su Dante, allo scopo di creare una specialistica biblioteca capace di "dare voce a un sepolcro", di permettere cioè che Dante continuasse a lanciare all’umanità il suo messaggio. Accanto alla biblioteca si sviluppò anche un museo tematico in continuità con quello realizzato nel 1921 da Corrado Ricci al primo piano del chiostro attiguo alla Tomba del Poeta. Il nucleo della biblioteca, via via accresciutasi per l’impegno dei frati e la collaborazione del Ministero della Pubblica Istruzione, di vari Enti e Associazioni locali, è costituito da sei preziosi codici danteschi del sec. XIV, tra i quali il Vernon e il Phillips, e dalle più antiche edizioni a stampa (secc. XV-XVIII) delle opere dell’Alighieri, tra cui l’editio princeps della "Commedia" impressa a Foligno l’11 aprile 1472, e quella di Iesi (per altri Venezia), dello stesso anno, della quale si conoscono in tutto 6 esemplari al mondo; di questo fondo è stato pubblicato nel gennaio 2001 presso l’Editore Longo di Ravenna il catalogo curato da p. Gino Zanotti. Alle antiche si aggiungono le edizioni pubblicate dal 1800 ad oggi, le varie traduzioni in lingua straniera, le diverse Lecturae Dantis, la serie dei maggiori periodici danteschi e la pubblicistica fiorita sulle opere e il pensiero del sommo Poeta, oltre a edizioni di pregio e diverse curiosità bibliografiche. Nel 1997 Maria Manuela Farneti e i figli Leone e Maria Paola Pachucki hanno donato al Centro Dantesco la biblioteca e l’archivio di famiglia in cui sono raccolte importanti memorie del letterato bertinorese Paolo Amaducci (1856-1946), appassionato sostenitore della dipendenza della Divina Commedia dal De Quadragesima et quadraginta duabus hebraeorum mansionibus di san Pier Damiano. Accanto al preminente fondo dantesco, la cui consistenza è stimata in circa 12.000 tra volumi e opuscoli, si sta progressivamente costituendo una significativa sezione dedicata alle principali opere su san Francesco, il francescanesimo e, più in generale, sulla cultura e la spiritualità medievale. Un’ulteriore sezione comprende volumi d’arte e di interesse locale. L’importanza di questo patrimonio librario, dichiarato di "eccezionale interesse storico ed artistico" dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali, ha consentito a una biblioteca di così recente costituzione di potersi proporre agli studiosi e ai ricercatori come uno dei centri più completi e qualificati per la documentazione sul nostro maggiore Poeta. La biblioteca, in seguito ad una convenzione con la Provincia di Ravenna, è recentemente entrata nella Rete Bibliotecaria di Romagna e dunque nel Servizio Bibliotecario Nazionale; è così iniziato l’adeguamento del catalogo e dei servizi agli standard della Rete. Alla consultazione in loco si è ora aggiunto il prestito esterno e quello interbibliotecario, l’accesso gratuito ad Internet per ragioni di studio e ricerca e la possibilità di fornire ricerche bibliografiche e di usufruire di banche dati su CD Rom. Per favorire l’accesso al non comune patrimonio bibliografico il Centro ha allestito una piccola foresteria della quale potranno usufruire studenti e ricercatori non residenti nel territorio previ accordi con la direzione.

Speciale biblioteche dei musei - pag. 10 [2002 - N.14]

Il fabbricato, costruito nel 1781 su disegno del Camillo Morigia come sede delle Scuole pubbliche di Ravenna, fu poi occupato per 69 anni dall'Istituto musicale "Giuseppe Verdi"

Andrea Maramotti - Responsabile della Biblioteca dell'Istituto Musicale "Giuseppe Verdi"

La costruzione della nuova sede delle Scuole Pubbliche fu approvata con un chirografo di Pio VI del 1781: il cardinal legato Luigi Valenti Gonzaga - alla cui iniziativa doveva ricondursi l'impresa - si valse della collaborazione dell'architetto ravennate Camillo Morigia, che curò il progetto. Dal 1910 la palazzina di Via Pasolini 23 fu poi occupata dall'Istituto musicale "Verdi", trasferitosi nello stabile di Via di Roma nei primi mesi del 1979. E a tutt'oggi attende una ristrutturazione e una destinazione che la riconsegni alla città, facendola rientrare nel circuito istituzionale della fruizione. C'è attesa per queste scelte, che tanti cittadini sentono come improcrastinabili, per il valore storico-architettonico del manufatto, che valse al Morigia anche un'ode latina di Giovan Battista Orioli (Ad nobilissimum & ornatissimum virum Camillum Morisium…), e per le diverse finalità ipotizzate, anche se, in tal senso, il nodo sembra sciolto. Quanto al primo, in riferimento alla concezione del lavoro, sono stati stabiliti legami con esempi dell'architettura britannica del tempo, in particolare con la casa del generale Wade, opera di Richard Boyle. Le varianti introdotte nel progetto del Morigia paiono motivate da una semplicità forse anche suggerita da ragioni economiche. Non sapendo però con certezza se Morigia conoscesse quei caratteri della coeva architettura inglese, si può in ogni caso ipotizzare una comune derivazione dal classicismo veneto del primo Settecento, che il ravennate sicuramente conosceva. Sulle finalità possibili credo che l'elenco degli obbiettivi non sarebbe mancato. I settecento metri quadrati (poco più) dell'immobile hanno ospitato per quasi settanta anni il "Verdi", dunque una parte importante di storia cittadina. In quelle aule, alcune delle quali affacciate su un cortile interno, sono passati i numerosi docenti e i tantissimi allievi che hanno rappresentato la vita musicale ravennate, e non è fuori luogo ricordare come Ravenna e il proprio Istituto musicale presentino una relazione profonda, legami consolidati, di lunghe radici. Il "Verdi" nacque infatti come "Accademia Filarmonica" nel 1826, e se Angelo Mariani ne fu l'allievo più illustre, formandosi nell'ambiente di due maestri come Casalini e Nostini, non dovette essere estraneo alle lezioni dei Filarmonici neanche Gioachino Rossini, che ebbe un rapporto significativo, ricostruito storicamente in modo puntuale, con esponenti della società ravennate, nei primi anni dell'Ottocento, e che in queste zone compose pagine importanti del suo catalogo strumentale giovanile. È infatti Silvio Busmanti, consigliere e vice-segretario dell'Accademia dei Filarmonici nella seconda metà dell'800, ad annotare che essa "die' i primi rudimenti a Gioacchino", cosa che dimostra inoltre come l'Accademia preesistesse - e da tempo - al suo atto costitutivo. Nel '26 si sa quale astro era Rossini. Sarebbero tanti i nomi da ricordare, molti dei quali appartengono, anch'essi, alla storia. Fermandosi al periodo della sede di Via Pasolini basterebbe pensare a Francesco Balilla Pratella, che fu direttore dell'Istituto dal 1927 al '45, il cui nome, se entra nella storia della musica per la partecipazione al Futurismo, non è meno noto per il grande lavoro compiuto nel campo dell'etnofonia e dello studio delle tradizioni popolari. E si potrebbero ricordare alcuni titoli: Etnofonia di Romagna, Saggio di gridi canzoni cori e danze del popolo italiano, Primo documentario per la storia della etnofonia in Italia, Saggi di comparazione etnofonica. Al "Verdi" Pratella detta anche un nuovo regolamento, col quale s'introduce l'insegnamento della storia della musica. Il maestro romagnolo svolse inoltre un ruolo significativo come promotore e animatore della vita musicale cittadina. "Basti ricordare - come ha scritto Pier Paolo D'Attorre - il rapporto con il patrimonio monumentale ravennate ai fini di una moderna ambientazione dell'evento musicale, avviato già nel 1928 con i due concerti di musiche italiane per coro (150 voci) e orchestra (40 elementi) eseguite in S. Apollinare nuovo, e proseguito nei decenni successivi." Il primo direttore del "Verdi", già nella "nuova" sede, era stato Mario Guagliumi, docente di pianoforte per lunghi anni, dal 1906 al '52. Nel 1913 si era infatti ritenuto necessario incaricare un musicista della direzione, fino a quel momento affidata a un funzionario del Comune. Un'altra scuola rimasta celebre fu quella di Angelo Zanzi, insegnante dal 1890 al 1926 degli "Strumenti a fiato d'ottone", e senz'altro da ricordare fu il magistero di Amleto Fabbri, titolare della cattedra di violoncello istituita nel 1912. La figura di Fabbri occupa un posto centrale fra le personalità che hanno conferito fama e lustro all'Istituto: per oltre quaranta anni si formarono al suo insegnamento numerosi violoncellisti che si distinsero nella professione musicale. Nel 1976, col riconoscimento del pareggiamento, si apre una fase nuova: l'Istituto viene finalmente equiparato ai Conservatori di Stato; oggi conta 185 studenti, ed è sede di una biblioteca specializzata. Sulla destinazione dell'immobile il corso delle cose registra una significativa novità proprio da quest'anno. L'Università ha infatti individuato l'"ex Verdi" come un nuovo spazio: ospiterà il corso in Civiltà dell'Europa orientale e del Mediterraneo e l'Ufficio di Uniadron, l'organizzazione che unisce gli atenei del bacino adriatico e ionico (v. Gli studenti di Civiltà mediterranea all'ex Verdi, "Il Resto del Carlino", 116, n. 157, 9 giugno 2001, pp. 1 e 3). Il progetto, che coinvolge Comune, Fondazione Flaminia e Università, prevede l'inizio dei lavori di ristrutturazione entro l'anno. Non si può che esprimere soddisfazione e piacere per l'istituzione di nuove sedi universitarie; l'Università rappresenta un punto di fondamentale importanza per la città e per il suo futuro, e va dotata di luoghi e strutture che siano in grado di soddisfare tutte le necessità di una realtà in crescita. Rimangono aperte altre situazioni non indifferenti al problema "spazi", e si pensa, ad esempio, all'ordinata raccolta, in unica sede, di una documentazione la cui conservazione ha primario rilievo storico culturale: mi riferisco agli archivi - cartacei, fotografici, di registrazioni e di altri materiali - relativi alla secolare storia degli spettacoli e dei teatri ravennati.

Speciale edifici storici - pag. 10 [2001 - N.12]

Un esempio di collaborazione fra investimenti pubblici e privati che puntano al recupero dell'ottocentesco edificio comunale quale possibile sede museale

Maria Rosa Bagnari - Responsabile del Centro Etnografico di Villanova di Bagnacavallo

Il Centro Etnografico della Civiltà Palustre, da anni impegnato in politiche di salvaguardia e valorizzazione del patrimonio storico-culturale di Villanova di Bagnacavallo, da tempo aveva posato gli occhi e le intenzioni sul primo edificio pubblico costruito a Villanova, uno dei macelli delle Ville, antico nome delle frazioni. Nel 1886 la Giunta Municipale di Bagnacavallo chiede all'Ingegnere Comunale di redigere il progetto di un macello a Villanova. In una delibera della Giunta, del Regio Sindaco A. Capra, datata 20 novembre 1889, si attesta che "… renderebbesi conveniente possedere un pubblico macello degli animali, che potesse servire non solo per le borgate: Glorie e Villanova, ma anche per la borgata di Traversara…" e si legge l'invito, all'ingegnere dell'ufficio, a studiare la possibilità di erigere un pubblico macello, i cui lavori di costruzione vengono assegnati solo nel luglio 1901. A memoria degli ultimi macellai villanovesi che operarono in questa struttura e come risulta anche dai vari disegni trovati nel fascicolo dell'archivio storico comunale "I Macelli delle Ville", il macello di Villanova subì nel tempo vari lavori di modifica. Il complesso consisteva inizialmente in un'ampia corte, sita in via Superiore, a ridosso dell'argine del fiume Lamone, di proprietà delle "Opere Pie Bedeschi pei cronici", alla quale fu necessario abbinare due aree limitrofe minori, di privati villanovesi. La facciata anteriore, dalle belle finestre ad arco, realizzata con mattoni di cotto a vista, presentava in alto, ai lati della scritta "MACELLO" due medaglioni in terra cotta, rappresentanti un bue ed un maiale, che furono tolti negli anni '50. La struttura edile comprendeva un elegante atrio con cancellata, la sala del mattatoio boario e una sala per il macello delle pecore e dei suini, munita di ampia "furnasëla", stalletta o stanza dei condannati, dove sostavano una notte le bestie destinate al macello. Sul retro dell'edificio, l'ampio arco, protetto da una tettoia, serviva in passato come uscita di servizio e portava alla "cunsérva", ambiente esterno seminterrato e protetto da spessa copertura di terra e vegetazione, dove si conservavano le carni con blocchi di ghiaccio. All'inizio del Novecento, il macello ospitava anche "la caratëla", uno speciale servizio di lettiga trainata a mano, utilizzata per il trasporto degli ammalati gravi dal domicilio all'Ospedale di Bagnacavallo. È possibile ammirarne un modello simile presso il Museo della Civiltà Palustre di Villanova. Il macello cessa di funzionare nel 1969 e viene successivamente alienato dal Comune di Bagnacavallo. L'atto di cessione riporta la data 6 aprile 1983 e le firme dell'allora sindaco Ubaldo Gulminelli e degli acquirenti. L'edificio è recuperato nel 2000, grazie alle ripetute sollecitazioni dell'Associazione Culturale Civiltà delle Erbe Palustri, tramite un accordo tra pubblico, l'attuale sindaco del Comune di Bagnacavallo, Mario Mazzotti, e privato, il proprietario dell'edificio. Sono conservati oggi, all'interno dell'ex macello, reperti appartenenti al parco stabile del Museo di Villanova, non esposti nella sede museale, reperti del parco itinerante, utilizzati per mostre, manifestazioni e laboratori ed erbe palustri da utilizzo per il "Cantiere Aperto". Questo lavoro è una prima opera di normalizzazione del Centro Etnografico, che attualmente sta progettando uno spostamento della sede museale.

La pagina del conservatore - pag. 10 [2001 - N.10]

Franco Gabici - Capo Reparto Attività Scientifiche e Museali del Comune di Ravenna

Esiste a Ravenna un documento eccezionale che ricorda il primo Giubileo del 1300. Si tratta di una campana in bronzo, alta circa mezzo metro, che si conserva nel Museo Arcivescovile e che, come si legge nel bordo inferiore, fu donata alla chiesa e all'ospizio di Primaro da Bonifacio VIII, il pontefice che proclamò il primo giubileo della chiesa cattolica. Scrive il Fiandrini nella sua cronaca manoscritta l'anno 1598, alla vigilia del XII Giubileo del 1600: "In quest'anno fu eretta la parrocchia di S. Clemente dell'isola di Primaro. Questa chiesa è assai antica. Ma in luogo discosto e deserto, giace sul lido del Mare Adriatico, lungi da Ravenna 12 miglia. Era nei tempi addietro Ospitale, fabbricato dai ravennati in benefizio di quelli che portavansi a visitare i luoghi santi di Roma. Sussisteva ancora ai tempi dell'arcivescovo Simeone, che finì di reggere la chiesa ravennate nell'anno 1228 - dopo quel tempo mancò affatto". In realtà la chiesa con l'annesso ospizio esisteva anche in tempi successivi, come testimonia il dono della campana da parte di Bonifacio VIII. La chiesa di Primaro, della quale oggi non resta più alcuna traccia, si trovava proprio su uno dei percorsi devozionali che conducevano a Roma e che prevedevano fermate a Pomposa, Comacchio, Primaro e ovviamente Ravenna. Un'altra curiosità è legata all'antica basilica vaticana, distrutta per consentire la costruzione di San Pietro, la basilica giubilare per eccellenza. Una delle sue cinque porte, ognuna delle quali contrassegnata da un nome, era chiamata "ravenniana" perché, come scrive Armando Ravaglioli in Roma romagnola: "destinata, forse per evitare litigi, al passaggio del trasteverini, i quali erano definiti insieme con i transpadani in genere, ravennati". Nel 1650, anno del XIV Giubileo, molti ravennati, forse anche come atto di ringraziamento per la cessata carestia, si recano a Roma. Annota il Fiandrini nella sua Cronaca manoscritta: "Correndo questo l'anno santo, molti ravennati mossi dalla devozione si portarono a Roma per visitare li luoghi santi". In questo stesso anno vengono tolti dalle pareti della cappella della Madonna Greca in Santa Maria in Porto i voti d'argento e le tavolette dipinte e vengono imbiancate le pareti, annerite "per la gran quantità di lumi accesi". In questo stesso anno il comune e l'arcivescovo autorizzano il cardinale Alderano Cybo a trasferire le ossa di Sant'Apollinare da Classe alla chiesa di San Romualdo. Ancora nel 1650 il cardinale Cybo provvide al restauro della Porta Serrata nella speranza che in futuro venisse chiamata col suo nome, ma in realtà i ravennati continuarono a chiamarla Porta Serrata. Nessuna traccia nella cronaca del Fiandrini del Giubileo del 1700, mentre è ricordato quello straordinario del 1689, anno che fece registrare la caduta della neve alla fine di marzo, due terremoti e scarsità di raccolto: "Alli 6 di ottobre fu creato papa il card. Ottoboni veneziano col nome di Alessandro VIII, e fu applaudita tale elezione nella pubblica piazza con le solite allegrezze". Fra il XVII e il XVIII Giubileo ne furono indetti 11 straordinari. A Ravenna si ha notizia del Giubileo del 1728, indetto dal 18 gennaio al 1 febbraio e "le Chiese da visitarsi secondo la forma di detto Breve saranno la nostra S. Metropolitana, o quella dello Spirito Santo, o S. Apollinare". Particolarmente legato a Ravenna fu il XVIII Giubileo di Clemente XII, un pontefice al quale si deve la diversione dei Fiumi Uniti e la costruzione del "porto Corsini". I Ravennati, in segno di riconoscenza, gli innalzarono sulla pubblica piazza una statua, opera dello scultore Pietro Bracci. La statua, per ordine del Consiglio comunale, fu rimossa nel luglio del 1867. Un documento conservato nell'Archivio storico ricorda anche un giubileo straordinario del 1736, anno in cui a Ravenna viene costruito il Ponte Nuovo sui Fumi Uniti. La prima pietra viene posta il 10 giugno e dopo poco più di sei mesi, il 22 dicembre, la costruzione è terminata. Alla fine dell'anno il convento di San Nicolò ospita il famoso letterato veneziano Apostolo Zeno. Alla vigilia del Giubileo del 1750 l'arcivescovo Guiccioli consacra la nuova basilica Metropolitana e il 28 febbraio 1751, prima domenica di Quaresima, "avendo il Pontefice esteso in forma speciale il giubileo dell'anno santo a tutto il mondo cattolico", l'arcivescovo ordina una solenne processione e "tutti andarono a visitare le quattro chiese destinate, cioè il Duomo, S. Apollinare Nuovo, lo Spirito Santo e S. Domenico". Il Papa aveva prescritto 14 visite a queste chiese, "ma da mons. Arciv. furono ridotte per chi portavasi processionalmente a sole 7 visite". Nel 1775, anno del XIX Giubileo, viene eletto papa, dopo un conclave di quattro mesi, il cesenate Pio VI e per tre sere tutte le campane della città suonano a festa per festeggiare l'evento. Scrive il Fiandrini che in quell'anno "si diede principio a Ravenna a due grandi opere di ornamento di questa città, cioè della facciata di marmo della chiesa di S. Maria in Porto, e delle case in faccia al Monastero di S. Vitale".

Speciale Giubileo - pag. 10 [2000 - N.8]

Mario Pierpaoli - Storico ravennate

Girolamo Rossi (1539-1607), storico e cronista scrupoloso dei fatti ravennati, nella sua monumentale storia parla quattro volte dei giubilei, tre per accenni e una volta per esteso. All'anno 1300 ricorda che "papa Bonifacio per primo chiamò secolare l'anno seguente, detto giubileo". Senza altri riferimenti passa poi ai fatti cittadini di questo anno. Nell'anno 1390, in tempo di grave carestia, papa Bonifacio IX apre il terzo giubileo, che il Rossi ricorda così: "Avendo Bonifacio aperto il terzo anno giubilare, tutta l'Europa si mosse dalle proprie sedi e dirigendosi verso Roma con una folla infinita e continua di gente invase tutte le strade e la città stessa per l'intero anno, tanto che si scrive che ogni giorno circa 400 persone passavano da Ravenna per conseguire un bene così prezioso". E' questo il primo riferimento alla nostra città durante un giubileo. Per il giubileo del 1500 abbiamo soltanto il ricordo che papa Alessandro VI inaugura l'anno secolare, "notevole per i nuovi accadimenti e per lo sconvolgimento di tutta l'Italia". E siamo al giubileo dell'anno 1575 promosso da papa Gregorio XIII. Il Rossi vi partecipa all'età di 36 anni e ci lascia notizie di testimonianza diretta. Già nel 1574 "i Ravennati, per la loro insita devozione, al fine di assistere i pellegrini che sarebbero affluiti a Roma, designarono quattro senatori, che con l'arcidiacono Ostasio Ginanni provvedessero a sistemare le strade fuori città, a rendere sicuri i viaggi e a predisporre tutte le altre cose in città; i quadrunviri erano il capitano Cesare Rasponi, i cavalieri Bonifacio Spreti e Bernardino Mengoli, il giureconsulto Leonardo Morigi". Arcivescovo di Ravenna era allora il cardinale Giulio Feltrio Della Rovere e preside della provincia il bolognese Filippo Sega, il quale all'inizio del 1575 veniva sostituito dall'orvietano Lattanzio Lattanzi. Nell'anno del giubileo molti Ravennati andarono a Roma e tanti anche a piedi. Poiché non tutti avevano potuto andare in pellegrinaggio e anche per richiesta dell'arcivescovo Giulio, papa Gregorio, con lettera del 20 gennaio 1576, concesse a tutti i fedeli della città e diocesi di Ravenna e a tutti i pellegrini che arrivassero a Ravenna la possibilità di ottenere l'indulgenza plenaria, come se avessero visitato le quattro basiliche romane nell'anno stesso del giubileo. Per questo pellegrinaggio locale così prosegue estesamente la relazione del Rossi (secondo la mia traduzione): "Dopo la confessione dovevano visitare devotamente quattro chiese, e cioè la metropolitana e altre tre chiese, che dovevano essere indicate dall'arcivescovo o dal suo vicario, per quindici giorni continui o intervallati; per comodità dei diocesani bisognosi, malati, vecchi, donne incinte, monache, vedove, altre persone legittimamente impedite, congregazioni e anche per altri motivi, come sembrasse opportuno all'arcivescovo o al suo vicario, i giorni potevano essere ridotti, anche a uno soltanto, e fissati per qualsiasi chiesa si volesse o di una rocca o di un castello o di altro luogo di questa diocesi. Lì dovevano recitare cinque volte il Padre Nostro e l'Ave Maria, per ottenere il perdono dei peccati, e devotamente pregare Dio per la conservazione della pace tra i principi cristiani, per l'estirpazione delle eresie e per la diffusione della santa Chiesa Romana. Per questo tra i sacerdoti, che l'arcivescovo o il suo vicario avessero designato per ricevere le confessioni nelle chiese stesse, potevano scegliersi quelli, dai quali, secondo il rito assolti col salutare sacramento della confessione, fossero liberati da qualsiasi accusa o interdetto. Tutto questo potevano di nuovo ottenere anche quelli che fossero stati a Roma. A Ravenna, indetta una solenne processione di tutti gli ordini, queste norme furono spiegate il 13 febbraio e l'arcivescovo Giulio alla Basilica Ursiana aggiunse da visitare le chiese di S.Apollinare Nuovo, S.Giovanni Evangelista e S.Vitale. E' incredibile a dirsi con quanto entusiasmo e con quanto affollamento di cittadini e di diocesani furono accolte. Per tutto il corso dell'anno i contadini e una moltitudine quasi infinita del resto della diocesi, in lunghe file, affluivano in quelle chiese, preceduti dal vessillo della Croce. In città poi tutti gli ordini di persone consacrate e le congregazioni dei laici, con grande devozione, riempivano le strade da ogni parte, cittadini, uomini, donne, bambini e vecchi; parecchi giovani nobili, indossando una grossolana veste di lino che lasciava scoperti soltanto gli occhi, e molti a piedi scalzi, portavano avanti l'immagine di Cristo Crocifisso e sul far della sera, a due a due, procedevano verso queste chiese; al calare delle tenebre ciascuno teneva in mano una torcia accesa, offrendo grande spettacolo di religiosità. Lo stesso vescovo Maremonti, il vicario, seguendo fino a notte tarda ora quelli ora le suddette congregazioni popolari, mentre recitavano i salmi di Davide, faceva crescere meravigliosamente la devozione".

Speciale Giubileo - pag. 10 [2000 - N.7]

Alle "Cappuccine" di Bagnacavallo si concentrano archeologia, arte antica, moderna e contemporanea ma il punto di forza è costituito dal gabinetto delle stampe

Renzo Foschini - Capo Servizio del Centro Culturale "Le Cappuccine" di Bagnacavallo

Di proprietà del Comune di Bagnacavallo, il Centro è stato aperto nel 1976 nell'ex Convento delle Suore Cappuccine, con la Biblioteca Comunale "Giuseppe Taroni" (fondo storico e moderno), la Sezione Archeologica, la Sezione Etnografica, la Galleria d'Arte Moderna, la Pinacoteca, cui si sono venute ad aggiungere nel tempo nuove sezioni: Archivi Storici, Sezione Scientifico-Naturalistica, Fototeca, Gabinetto delle Stampe Antiche e Moderne, Archivio Morelli. Sezione staccata del Centro Culturale Polivalente è il Centro Etnografico della Civiltà Palustre di Villanova. Le opere d'arte, i reperti archeologici e, in genere, i pezzi che costituiscono le varie raccolte hanno provenienze diverse: i nuclei più consistenti sono quelli del Patrimonio delle Opere Pie Raggruppate, delle chiese chiuse al culto e in seguito distrutte o riutilizzate, di donazioni private. Il filo conduttore fondamentale è quello della pertinenza delle opere alla città per motivi storici, artistici, documentari. La Sezione archeologica. Vi sono conservati i ritrovamenti della necropoli romana: i capitelli con dedica alle divinità Quies, Salus e Feronia, la lapide di Caio Mansuanio Consorzio e l'epigrafe di Q. Gracco Rufo. La Pinacoteca. La Pinacoteca comprende una collezione di opere antiche datate fra il XV e il XVIII secolo, una serie di dipinti moderni e contemporanei e una raccolta di sculture. Nella sezione antica sono presenti, fra le altre, opere dei Ramenghi, di Lilio, di Mitelli, del "Mirandolese". Attribuita a Bartolomeo Ramenghi (Bagnacavallo, 1484 - Bologna, 1542) è la pala con la Madonna col Bambino e i santi Michele, Francesco, Pietro e Giovanni. Altra opera del Ramenghi è lo Sposalizio mistico di Santa Caterina. Si tratta di un quadro di piccolo formato, destinato alla devozione privata. La Sacra Conversazione coi santi Domenico e Caterina da Siena è invece assegnata al "Bagnacavallo junior", Giovan Battista Ramenghi (Bologna, 1524-1601). Il clima è tipicamente controriformista, come nel caso della Pala del Rosario conservata nella chiesa del Carmine. Di Andrea Lilio (Ancona, 1555 - Ascoli Piceno, 1610) il Museo conserva un Compianto di Cristo con santi, datato 1596; di Ferraù Fenzoni (Faenza, 1562 - Roma, 1645) Bagnacavallo custodisce una Adorazione dei Pastori. Della scuola di Agostino Mitelli (Bologna, 1609 - Madrid, 1660) sono interessanti i Due paesaggi con rovine. Opere probabilmente del "Mirandolese" sono altri due paesaggi con rovine, di dimensioni maggiori. I dipinti di Pietro Paltronieri detto "il Mirandolese" (Mirandola, 1637 - Bologna 1741), provenienti dal Convento di San Francesco, raffigurano antiche rovine e scene apocalittiche di tono preromantico, secondo il gusto dell'epoca. Nella sezione di Arte Moderna è presente un cospicuo numero di opere. In una sorta di cerniera tra il primo scorcio del secolo e l'immediato dopoguerra si colloca la grande collezione donata dalla vedova di Enzo Morelli (Bagnacavallo, 1896 - Bogliaco del Garda, 1976), importante illustratore e pittore del '900. Il vasto patrimonio conservato a Bagnacavallo comprende una quarantina di sue opere, in tecniche diverse, 36 cartelle con quasi 2000 fra disegni, acquerelli e tempere, un considerevole nucleo di libri d'arte, pubblicazioni sul pittore e un certo numero di opere di artisti contemporanei. Una parte importante delle sue raffigurazioni paesistiche riguarda Assisi, città in cui visse dal 1923 al 1940, ma la produzione più cospicua è quella dedicata all'Oltrepò pavese, il lago di Garda (Bogliaco) e a Bagnacavallo. Interessantissimo è il dipinto Memorie di affetti nel quale temperature chagalliane ci danno una visione poetica di Bagnacavallo mentre l'artista bambino, dopo la morte della madre, lascia la terra natia accompagnato dal padre, con la figura materna che segue la loro partenza dall'alto contornata da un cielo annuvolato di verde azzurro. La sezione contemporanea propone opere di artisti italiani (tra i quali figurano Brindisi e, con una serie consistente, Guidi e Treccani) e un gruppo di dipinti che si riferisce alla vicenda artistica romagnola dal dopoguerra ad oggi. Virgilio Guidi (Roma, 1891 - Venezia, 1984), uno dei maggiori artisti contemporanei, fu uno dei primi maestri ad esporre al Centro Culturale di Bagnacavallo, al quale ha lasciato alcune sue opere, tra cui il Grande volto e Marina. Di Ernesto Treccani (Milano, 1920), tra i fondatori nel 1938, del gruppo di "Corrente" che si legava alle avanguardie europee (cubismo, astrattismo etc.), nel Museo si trovano opere dagli anni '50 al '90: Tre figure nel verde mostra un gusto realistico per la figura, ma anche tendenze informali; altrettanto si può dire per La Siepe e per Requiem per una strage, dedicato al massacro di Capaci. Di Remo Brindisi (1918-1996) è il dipinto raffigurante una "grande testa", dal titolo Velleitario. Brindisi uscito dalla Scuola d'arte di Urbino, rimase legato nelle opere giovanili a un impianto descrittivo; su questa matrice ancora realistica innestò poi cadenze espressioniste, dando vita a un suo linguaggio neo-figurativo. Di Medardo Rosso è in mostra una Testina molto rappresentativa dell'opera del maestro e di Giacomo Manzù si segnala la Crocifissione, un bassorilievo in bronzo di piccole dimensioni. Il Gabinetto delle stampe antiche e moderne. Partendo dalla collezione di stampe antiche donata da Emilio Ferroni, a Bagnacavallo è nato un Gabinetto delle Stampe divenuto nel tempo punto di riferimento per l'incisione a livello nazionale attraverso una fiorente attività espositiva. Acquaforte, acquatinta, stampa a bulino, etc.: tutte le tecniche sono rappresentate nella vasta collezione del Gabinetto, le cui opere vengono esposte a rotazione nelle sale dell'ala dedicata all'incisione. La ricca raccolta (oltre mille) di incisioni antiche, dal XVI al XIX secolo, comprende opere di Dürer, Della Bella, Aldegrever, Piranesi, Hogarth, Bartolozzi, Longhi e Rosaspina. Il Gabinetto cura le edizioni del Repertorio degli Incisori Italiani (seconda edizione, 1997, con 750 artisti viventi presenti, di cui conserva opere), promuove numerose iniziative relative all'incisione, mostre e pubblicazioni. La pubblicazione del Repertorio ha portato ad un importante incremento del già cospicuo fondo di grafica incisoria contemporanea, superando le 5000 opere.

Speciale musei artistici - pag. 10 [1999 - N.5]

Gian Paolo Costa - Responsabile del Museo Civico di Scienze Naturali di Faenza

Non è questa la sede per rivisitare, anche solo per sommi capi, il complesso excursus storico (ormai trentennale) del Parco Naturale Attrezzato Carnè ("Gino Gatta"), un singolare esempio di parco pubblico extraurbano che con il passare degli anni è divenuto oggetto di un utilizzo didattico-cultural-turistico particolarmente intenso, ai limiti dello sfruttamento, rivelatosi tuttavia, anche alla luce dei monitoraggi effettuati negli anni più recenti, eco-compatibile (efficace neologismo molto in voga qualche anno or sono). Il Parco nasce il 26 settembre 1973, giorno nel quale gli allora Presidente dell'Amministrazione Provinciale, Sindaco del Comune di Brisighella e Sindaco del Comune di Faenza firmano la Convenzione per la gestione del "Parco Carnè". La Provincia di Ravenna, il Comune di Brisighella ed il Comune di Faenza hanno acquistato un'area di eccezionale valore naturalistico sulla Vena del Gesso romagnola, con l'intenzione di farne, come si è detto, un Parco pubblico extraurbano: il podere Carnè. La casa-toponimo, ca' Carnè appunto, è ubicata pressoché al centro del podere, che ha una superficie di circa 26 ettari, ed è un esempio ben conservato di tipica casa rurale di bonifica collinare di epoca fascista. L'area in oggetto viene successivamente recintata e... ma a questo punto saltiamo doverosamente, come premesso, ai giorni nostri. Nel marzo 1997 i tre Enti proprietari affidano la gestione del Parco Carnè e del vicino Parco Carsico della Grotta Tanaccia (grotta di grande importanza archeologica "turisticizzata" a partire dall'anno 1987) alla Società d'Area dei Comuni di Brisighella, Casola Valsenio, Riolo Terme. Sono attualmente in corso lavori consistenti, iniziati nel marzo 1998 ed ormai prossimi alla conclusione che in primo luogo arricchiranno il Centro Visitatori di una "capanna scout", a breve distanza da Ca' Carnè ma ben "mimetizzata", e di una "sala didattica" ricavata dalla ristrutturazione del fienile, ristrutturazione rispettosa degli elementi identificativi della originaria destinazione d'uso del manufatto. Nella sala didattica sarà possibile, per chi lo desidera e per le scolaresche, accedere ad ulteriori informazioni su quanto di particolarmente interessante è possibile osservare (in permanenza o occasionalmente) in un raggio di meno di tre chilometri in linea d'aria dalla "sala didattica" (che ospiterà sussidi multimediali e reperti naturalistici). Qualche esempio. Geologia e paleontologia · La Vena del Gesso - la materializzazione stratigrafica di più ambienti di succedutesi 6 milioni di anni fa. · La fauna a mammiferi di Cava Monticino di Brisighella, vissuta 5,5 milioni di anni fa. · Le fluttuazioni del clima nel passato che i fossili testimoniano (l'Orso delle Caverne del Rio Cavinale...). Speleologia · Canali di erosioni, doline, inghiottitoi, abissi, risorgenti nel Parco Carnè e nelle immediate vicinanze. Ornitologia · I rapaci diurni osservabili nel cielo del Carnè: Poiana, Gheppio, Sparviero..... Botanica · Specie rare presenti: Typha minima, Staphylea pinnata (Borsolo) ...... Questi sono solo alcuni temi di indubbio interesse e fascino, che potranno essere affrontati anche monograficamente con esposizioni specifiche annuali.

Speciale musei naturalistici della scienza e della tecnica - pag. 10 [1999 - N.4]

Giancarlo Monari - Esperto in allestimenti espositivi e comunicazione visiva

Ad un decennio di distanza dall'apertura del Museo della frutticoltura di Massa Lombarda mi rivolgo una domanda: "come mi riproporrei ad una rivisitazione della rassegna?". Imbarazzante. Mi appare subito evidente la necessità di andare oltre ad esemplificazioni e giudizi sommari, dando il via a riserve di ordine metodologico sulla struttura edilizia che ospita la rassegna e su alcuni contenuti che, pur rapportati alle vicende delle colture dei frutteti che ne seguirono, non appartengono in modo specifico alla storia dell'esperienza innovativa dei frutticoltori massesi. Il Museo presenta luci ed ombre: spazi stretti ed abbondanza di contenuti, carenza di settori per la formazione-ricerca e comunicazione, non ha depositi né "frutteti-catalogo"; carenze già evidenziate nel corso dell'inaugurazione del centro nel 1989 ed in una mia precedente relazione del 1982 (v. Il Museo di frutticoltura di Massa Lombarda, 1989, pp. 116-117). Si può dedurre che il Centro va ridimensionato espandendolo anche verso altri contenitori secondo specifiche tematiche? E' un'aspirazione auspicabile con la consapevolezza di avere alla base una profonda interazione tra i sistemi culturali presenti nel comprensorio basso-ravennate e le relative Amministrazioni pubbliche. Partendo dalle risorse esistenti in ambito comunale, indico tre possibili interventi corrispondenti a diversi livelli di funzionalità ed impegno economico: ¡ a suo tempo Lucio Gambi indicò un diverso contenitore indubbiamente pertinente: il vecchio magazzino dell'Azienda Agricola Bonvicini. Sarebbe una soluzione con esiti interessanti che porterebbe ad un piano di recupero archeologico e a buone soluzioni espositive e concettuali: una sorta di "neo-pop" tecnologico-scientifico tra diorami flessibili in cui i reperti e la struttura edilizia resterebbero sempre i protagonisti della storia; ¡ una forse più facile alternativa da concretizzare, può essere un intervento edilizio nella residua area museale, già prospettato nella sopra citata relazione del 1982, che consentirebbe, seppure con qualche limitazione, di dare respiro all'attuale contenitore mediante l'alleggerimento di alcune sezioni e l'organizzazione degli spazi operativi aperti agli incontri quotidiani e normati a livello di accessibilità e sicurezza; - altra alternativa, entro un'ottica di minima, può essere l'alleggerimento del piano terra grazie alla tecnologia informatica, per condensare in poche postazioni multimediali le vicende dell'acqua e del paesaggio della piantata, quelle del podere e della famiglia fino all'assetto sociale della campagna... ma questi sistemi vanno oculatamente dosati e compenetrati con qualche ambientazione tridimensionale, fotodidascalie e reperti e, in particolare, con l'insostituibile presenza di una voce narrante ( v. Cetty Muscolino in " Museo Informa" , n° 0, p. 6), in quanto la civiltà dell'immagine elettronica non esprime suggestioni né costituisce la risposta a tutti i possibili risvolti della rassegna; le immagini dei reperti e la narrazione elettronica risultano umiliate ed appiattite tra contorni fluttuanti in limbi gelatinosi. Uno spazio che conserva coinvolgenti testimonianze di povertà e speranze, lotte e realizzazioni merita di essere affidato alla sola martellante presenza informatica? O invece è auspicabile la presenza di un multivideo con il sottofondo cantilenante di una festa sull'aia e quella dei canti che cadenzavano il "gran rumore" e lo scariolamento dei braccianti? Chiudo queste riflessioni che molti potranno considerare "retro" e concludo sulle potenzialità della terza proposta. Una volta compressi i vari contenuti tematici nei vani laterali e posteriori del piano terra, si recuperano la cucina con l'attigua saletta ed il vano stalla. La cucina, corredata da supporti d'informazione generale (pannelli, proiettori, lettori VHS) può diventare il punto di convergenza e riflessione. L'attigua saletta può trasformarsi in diorama interattivo con gli elementi basilari del territorio: acqua, colmata, piantata; può inoltre trovarvici collocazione anche un gioioso multivideo. La stalla ed i suoi annessi possono diventare il fulcro operativo con biblioteca, archivio e spazio incontri. Un piccolo intervento edilizio, una torre di 15~20 metri quadrati di superficie, collegata al fabbricato, consentirebbe il miglioramento dei flussi d'utenza e di normare l'intero edificio; tunnel prefabbricati in policarbonato collocati nell'area possono, a loro volta, surrogare la scarsità dei depositi e divenire espositori di elementi di "grossa taglia" (ruote di Pelton, turbine, paratie, celle frigo, ecc.) senza per questo diminuire la loro compresenza con l'interno. In chiusura rammento che la ricerca d'ammodernamento museale è stata accelerata in anni recenti che hanno visto un aggiornamento di tecnologie, di linguaggio, di fruibilità e flessibilità d'uso degli spazi.

Speciale musei etnografici - pag. 10 [1998 - N.3]

Anna Colombi Ferretti Soprintendenza ai beni Artistici e Storici di Bologna, Ferrara, Forli', Ravenna e Rimini - Soprintendenza ai beni Artistici e Storici di Bologna, Ferrara, Forli', Ravenna e Rimini

Nell'ottobre 1796 l'architetto faentino Giuseppe Pistocchi venne costretto a lasciare il cantiere della costruzione di Palazzo Milzetti e fu imprigionato nella fortezza di San Leo per filo-giacobinismo. A questo momento di grandi rivolgimenti politici si può datare l'inizio della sfortuna in patria di questo grande personaggio. Morto il conte Nicola Milzetti, che si era rivolto al Pistocchi per avviare la costruzione del palazzo, suo figlio Francesco intraprese la carriera politica trovando l'appoggio nella massoneria, di cui a Faenza gli esponenti di maggior rilievo erano i Laderchi. Il giovane Milzetti, conseguentemente, chiamò a proseguire la fabbrica del suo palazzo proprio il maggior rivale del Pistocchi, Giovanni Antonio Antolini di Castelbolognese, che era già al lavoro in altri palazzi faentini sotto il patrocinio dei Laderchi. Dopo alterne vicende il palazzo fu ultimato nelle sue decorazioni nel 1805. Lo scalone, il vasto atrio ottagonale chiamato Tempio di Apollo, la Sala delle Feste e gli altri ambienti affacciato su via Tonducci sono spazi di solenne respiro, tutti rivestiti da un apparato decorativo di stupefacente bellezza e ricchezza. Di questo si deve l'esecuzione ad artisti che si possono considerare i maggiori responsabili della meravigliosa stagione vissuta a Faenza in età neoclassica. In primo luogo Felice Giani, pittore di nascita piemontese ma di educazione romana e bolognese, noto per le molte decorazioni eseguite non solo a Faenza ma in altre città, tra cui Forlì, Bologna, Roma. il modo con cui fluiscono nella sua fantasia le idee decorative assomiglia ad un torrente in piena, non del tutto imbrigliato dalla mano, che dà forma sulle pareti di Palazzo Milzetti, a scene di colore brillante e segno velocissime, pur essendo nutrite di studio sui repertori di antichità (come i volumi dell'Accademia Pompeiana), alle quali quasi due secoli di vita non hanno tolto nulla. colore brillante e segno velocissime, pur essendo nutrite di studio sui repertori di antichità (come i volumi dell'Accademia Pompeiana), alle quali quasi due secoli di vita non hanno tolto nulla. Il fulgore cromatico è infatti un pregio particolare delle decorazioni a tempera, fragili per molti aspetti ma non soggette a offuscamento. Da una ventina d'anni il Palazzo appartiene allo Stato ed è gestito dalla Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Bologna. Al momento attuale i visitatori (che possono accedere al percorso di visita tutte le mattine dei giorni feriali e il giovedì pomeriggio, semplicemente suonando il campanello al n. 15 di via Tonducci) possono ammirare soprattutto gli ambienti, di per sé splendidi. Oltre alle pitture a tempera, vi sono infatti finissimi bassorilievi in stucco bianco, alcuni del riminese Antonio Trentanove e per il resto dei famosi plasticatori faentini Ballanti Graziani, abituali collaboratori del Giani. Dal punto di vista dell'arredo e dell'allestimento musicale l'assetto del Palazzo non è ancora completato. Vi sono mobili, in parte faentini (pochissimi di per:pertinenza del Palazzo, altri delle Opere Pie) e in parte ,bolognesi, provenienti da Palazzo Pepoli Campogrande. Ma le prospettive sono quelle di completare in tempi serrati il potenziamento della custodia e gli impianti occorrenti per poter trasformare il Palazzo in un vero museo e depositarvi opere che possano rimanere esposte.

Speciale casa museo - pag. 10 [1998 - N.2]

Sauro Casadei - Responsabile della Pinacoteca Comunale di Faenza

Per il sistema museale faentino il 1998 sarà un anno di grande rilievo. Dopo un periodo non breve di riflessione, nell'anno appena trascorso l'Amministrazione Comunale ha definito il progetto globale di ristrutturazione e rilancio delle collezioni d'arte e archeologia, sciogliendo la dibattuta questione della sede definitiva in cui collocare i percorsi espositivi e i servizi museali. Per illustrare il progetto e i primi risultati a cui è pervenuto il Comitato tecnico-scientifico che sta definendo le linee guida del progetto culturale, si è tenuto, il giorno 11 febbraio, un seminario di studio aperto al pubblico che ha visto la partecipazione delle tre Soprintendenze territoriali, dell'I.B.C. regionale e dei rappresentanti dell'Amministrazione Comunale. Oltre a questo lavoro che proseguirà fino alla completa elaborazione teorica e pratica del piano museale, la Pinacoteca sta già attuando un ricco programma di iniziative didattiche ed espositive scaglionate sull'intero anno. Da gennaio a novembre si tengono, con cadenza mensile, otto Concerti d'arte strutturati in due momenti: l'esecuzione di brani musicali a cura di docenti della Scuola Comunale di Musica G. Sarti:e l'illustrazione di un capolavoro delle collezioni della Pinacoteca. Inoltre verranno allestite quattro mostre, alla Galleria Voltone della Molinella, sui seguenti temi: - Ritratti e autoritratti dal XVI al XX secolo; - Fornaci e fornaciai nel Rinascimento a Faenza. - Oltre il Cenacolo. Anni Venti e Trenta. - La Domus di Palazzo Pasolini a Faenza. In questo modo, l'avanzamento dei progetti museali di ampio respiro verrà supportato da un' azione di divulgazione delle potenzialità didattiche delle collezioni d'arte, propedeutiche e all'assetto stabilmente strutturato dei servizi museali.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 10 [1998 - N.1]

Nadia Ceroni - Conservatore della Pinacoteca Comunale di Ravenna

Tre musei, aderenti al Sistema Museale della Provincia di Ravenna, hanno partecipato alla mostra antologica dedicata al pittore Orazio Toschi. Allestita nella Sala delle Esposizioni dell'Accademia delle Arti del Disegno di Firenze, dal 5 al 28 febbraio 1998, la mostra è stata voluta e organizzata da Jole Toschi Daddi e Cecilia Daddi Pistolesi, rispettivamente figlia e nipote del pittore, curatrici dell'Archivio Orazio Toschi a Firenze. Le Pinacoteche Comunali di Ravenna e Faenza, unitamente alla Biblioteca Comunale Palazzo Trisi di Lugo, hanno concesso in deposito temporaneo numerose opere del pittore lughese, eseguite e datate tra il 1906 e il 1956. Intitolata La nuvola e il pastore. Pittura e grafica di Orazio Toschi (188 7-1972), la mostra comprendeva numerose pitture ad olio, pastelli e colori e disegni dell'artista, trasferitosi a Firenze nel 1938. Diplomatosi nel 1906 all'Accademia di Belle Arti di Ravenna, dove furono suoi maestri Domenico Baccarini e Vittorio Guaccimanni, Toschi crebbe nel gruppo di artisti aderenti "al cenacolo baccariniano", illuminati dallo spirito di Alfredo Oriani e di Antonio Beltramelli. Espose in varie Biennali veneziane e Quadriennali romane. Pittore di paesaggi e di soggetti religiosi,Toschi tende a schematizzare la forma con intenti lirici, tradendo così la sua indole spirituale e pensosa.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 10 [1998 - N.1]

Valentino Montanari - Coordinatore didattico Centro Tessellae

Il Comune di Ravenna - Servizio Diritto allo Studio, Sperimentazione. Didattica Università - e la Sovraintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici delle Provincie di Ravenna, Ferrara, Forlì e Rimini, hanno istituito di recente un Centro di sperimentazione didattica denominato "Tessellae" sito a Ravenna in Via Galla Placidia n° 2. L'iniziativa è finalizzata a sviluppare e promuovere attività di sperimentazione didattica delle tradizioni artistiche e storiche del mosaico e della musealizzazione. Si rivolge prevalentemente alle scuole dei comuni di Ravenna ,Russi e Cervia, ma anche a classi ospiti nella nostra città sede privilegiata di Turismo Scolastico Un centro così concepito è candidato a diventare un punto di riferimento e di confronto con altre realtà poste in luoghi museali d'Italia e sede permanente per la realizzazione di moduli di attività legati al progetto europeo "Le Classi del Patrimonio". Obiettivi ed articolazione della didattica - Il centro intende offrire a studenti e docenti l'opportunità di approfondire conoscenze teoriche e tecniche su valori storico artistici del mosaico ravennate, della necropoli, delle steli classensi, delle collezioni esposte presso il Museo Nazionale, sperimentando concretamente e creativamente metodologie e tecniche con materiali musivi in laboratori appositamente attrezzati ed effettuando visite guidate alle collezioni del Museo. A tale scopo sono state elaborate proposte didattiche indirizzate a classi della scuola dell'obbligo e superiori italiane e straniere, di docenti articolate in lezioni teoriche e pratiche in visite guidate attivita' di laboratorio, nonché di moduli di attività da sperimentare nella scuola. La proposta didattica teorica si articola in lezioni specifiche di storia dell'arte e di lettura dei significati filosofici delle immagini raffigurate a mosaico nei monumenti di Ravenna usando quegli strumenti audiovisivi e multimediali che i docenti e gli esperti coinvolti nella gestione del centro mettono a disposizione .In particolare si prevede l'utilizzo di un ipertesto sviluppato con il sistema Multimedia Toolbook in ambiente Windows: offre una grande potenzialità come ambiente d' apprendimento, in quanto segue una rigorosa metodologia di studio che richiede cognizione, riflessione e organizzazione intellettiva; inoltre la sua caratteristica struttura non lineare consente di presentare in modo particolare efficace i collegamenti fra i contenuti . Strutture e strumentazioni. Sala didattica - La sala dispone di 30 posti ed è adibita alla realizzazione di lezioni teoriche , corsi di aggiornamento per docenti, conferenze. Biblioteca e centro di documentazione - La biblioteca è finalizzata alla raccolta e conservazione di libri, riviste ,video casette ,Cd-Rom, diapositive, fotografie documentazioni prodotte in ambito scolastico. Cura in particolar modo l'aggiornamento dei materiali attinenti alle tematiche linguistiche, filosofiche ed artistiche riguardanti il mosaico trattate dai programmi didattici del Centro. Raccoglie e archivia Raccoglie e archivia su apposite schede elettroniche, dati e notizie di eventi significativi nell'ambito della ricerca musiva moderna, antica e del restauro (mostre, convegni, artsti del passato e contemporanei). Laboratorio del mosaico - l'esperienza di laboratorio nel corso della quale vengono prodotti piccoli mosaici è fondamentale per gli studenti in quanto permette di ricreare, scoprire e manipolare i materiali, svelando i segreti della tecnica degli antichi maestri mosaicisti. Consente di produrre messaggi, usando codici non linguistici, con cui comunicare l'esperienza manipolativa e creativa, attraverso un itinerario che procede alla scoperta "emotiva" di combinazione del colore, dei valori cromatici e del ritmo delle linee, privilegiando non tanto il prodotto finale bensì le fasi del lavoro personale e di gruppo che portano alla sua realizzazione. Responsabili del progetto : Donatella Mazza , Anna Maria Iannucci Coordinatori didattici: Wladimiro Bendazzi Valentino Montanari Alain Riffaud Cetty Muscolino Anna Lina Morelli

Speciale didattica - pag. 10 [1997 - N.0]

La casa natale del poeta, sede del Comitato Montiano che promuove incontri di studio su Vincenzo Monti, ospita anche il Centro Visita della Riserva Naturale di Alfonsine

Giovanni Barberini - Responsabile Casa Monti

Ad Alfonsine, in via Passetto, sorge la casa natale del poeta Vincenzo Monti (1754-1828), massimo esponente del neoclassicismo italiano, traduttore di Omero e di Voltaire, studioso e riformatore della lingua italiana, uomo di cultura a tutto tondo che visse in un periodo storico scosso da avvenimenti politici eccezionali - la Rivoluzione Francese, l'arrivo in Italia di Napoleone Bonaparte, la Restaurazione - e che rifletté, con la parola e il pensiero, il succedersi di tali trasformazioni. Monti fu amico intimo del Foscolo, fu ammirato da Manzoni e Leopardi, frequentò i salotti letterari di Roma, Milano, Parigi e ottenne la cattedra di Eloquenza all'Università di Pavia. La casa dove nacque il poeta fu restaurata in un primo tempo dal Comune di Alfonsine nel 1954, in occasione del bicentenario della nascita; una seconda fase di ristrutturazione, grazie all'interessamento dell'industriale Marino Marini, si concluse nel 1978; nel 1998 se ne è poi portato a temine il recupero. In essa sono presenti diversi vani: la Sala dei documenti, la Sala della culla, la Saletta montiana, una Sala per le conferenze e una Sala studio dotata di biblioteca. Al piano terra, due sale riservate al Centro Visita della Riserva Naturale di Alfonsine e al Centro di informazione e documentazione sull'Educazione Ambientale. La casa è poi collocata in un bel giardino dove, nel periodo estivo, si svolgono letture poetiche e altre attività culturali di natura storico letteraria. Casa Monti è anche la sede del Comitato Montiano che, da più di vent'anni e con il sostegno dell'Amministrazione comunale di Alfonsine, opera come ente promotore degli studi su Vincenzo Monti ed è stato l'artefice di numerose iniziative di rilievo, attraverso il coinvolgimento dei maggiori studiosi montiani come Gennaro Barbarisi, Arnaldo Bruni, Andrea Dardi, Luca Frassineti, Anna Maria Balbi Facchini e altri ancora: dalla "Rassegna Montiana" del 1978, alla pubblicazione di volumi di alto valore scientifico, all'organizzazione di premi letterari e di altre iniziative sempre inserite nell'ambito della valorizzazione della letteratura. Il prossimo anno, in occasione del 250° della nascita di Monti, Alfonsine e Casa Monti saranno al centro di numerose iniziative di studio incentrate soprattutto su una serie di convegni organizzati, oltre ad Alfonsine, anche a Roma, Milano, Pavia, forse Parigi, le città dove soggiornò in prevalenza il poeta, sotto la direzione scientifica del Professor Gennaro Barbarisi. Per prepararsi bene a quella data, Casa Monti si è recentemente dotata, con il contributo della Provincia di Ravenna e dell'I.B.C., di ulteriori attrezzature didattiche e ci si prepara alla ideazione di itinerari didattici di natura storico letteraria rivolti anche alle scuole medie inferiori e superiori, da affiancare a quelli naturalistici e ambientali già in essere. Essendo stato Vincenzo Monti il maggior poeta neoclassico ed essendo egli nato in Provincia di Ravenna, non sarebbe peregrino intensificare il ruolo di Casa Monti in quanto centro di studi e irradiazione poetica al livello della Provincia, con l'organizzazione di letture, conferenze, presentazioni di libri e dibattiti sulla poesia: è intenzione dell'Amministrazione e del Comitato Montiano intraprendere questa strada

Speciale case dei letterati - pag. 10 [2003 - N.17]

Grazie ad un ritrovamento casuale è stata fatta una delle maggiori scoperte archeologiche dell'Italia Settentrionale

Maria Grazia Maioli - Direttore del Centro Operativo Archeologico di Ravenna Ispettore della Soprintendenza Archeologica dell'Emilia Romagna

Quando, nel 1993, lavori edili per la costruzione di un garage interrato per un condominio cominciarono a mettere in luce, in via D'Azeglio a Ravenna, i primi mosaici pavimentali del palazzetto bizantino, ben pochi pensavano che da quel rinvenimento occasionale sarebbe derivata una delle maggiori scoperte archeologiche dell'Italia Settentrionale; indipendentemente dalla qualità e dall'abbondanza delle pavimentazioni musive (più di 1500 metri quadrati di pavimenti, in maggior parte policromi) lo scavo, condotto dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia Romagna sotto la direzione della scrivente, ha permesso di intravvedere per la prima volta la realtà abitativa della Ravenna romana e bizantina, con le sue abitazioni e le strutture viarie, ed i suoi problemi, dovuti soprattutto alla presenza dell'acqua di falda e alla subsidenza, cioè all'abbassamento naturale del terreno; per quanto riguarda l'area scavata infatti, molto estesa ma parziale rispetto alla planimetria completa delle strutture, gli edifici si dispongono ai lati di una strada pavimentata in basoli di trachite e dotata di marciapiedi: la strada è riferibile al I secolo a.C. e venne dotata di una grande fognatura in laterizio all'inizio del II sec. d.C.: questa strada venne ricostruita, rialzandone il piano, ben 3 volte, con il contemporaneo innalzamento anche dell'impianto fognario; la case e gli edifici che la fiancheggiavano vennero anch'essi adattati mano a mano che l'umidità si faceva sentire, rialzando le pavimentazioni, aggiungendo impianti di riscaldamento e, alla fine, demolendo l'edificio per ricostruirlo a quota più alta, sul riempimento formato dalle macerie di quello precedente. Queste continue ricostruzioni hanno portato alla formazione di un pacco stratigrafico di notevole altezza che, nella zona scavata, raggiunge lo spessore di m. 7,50 dalla quota attuale, senza raggiungere però terreno completamente vergine; le fasi di abitabilità, demolizioni e ricostruzioni, sono molto complesse: in un punto, ad esempio, sono presenti fino a sette piani pavimentali principali sovrapposti, legati ognuno ad una fase edilizia diversa. La strada basolata, come anche le strutture, è orientata esattamente come la cosiddetta Ravenna Quadrata, il settore della città romana con le strade rettilinee incrociantesi ad angolo retto, area alla quale si accedeva tramite l'ingresso monumentale di Port'Aurea; non si ha una datazione esatta per l'edificazione di questo quartiere cittadino ma, dai dati archeologici ricavati dallo scavo di via D'Azeglio, esso esisteva già prima dell'età augustea, quindi prima della creazione del porto militare a Ravenna; non è questa certamente la sede per un esame approfondito dei dati planimetrici e topografici ricavati dallo scavo; basti dire che sono stati individuati e scavati almeno parzialmente, per quanto era possibile dati i confini del cantiere, una grande casa di abitazione, una domus, dotata di atrio, di epoca augustea, con fasi più antiche e pavimentazioni in mosaico policromo, un'altra domus di epoca adrianea con mosaici in bianconero, un complesso termale databile al III secolo, ambienti di edifici diversi databili al III-IV secolo, ed infine il grande complesso databile al IV-V secolo, di destinazione ancora incerta, dal quale proviene il mosaico cd. del Buon Pastore; tutti questi edifici conservavano i rapporti topografici già detti, affiancando l'asse stradale che, pur nelle sue modificazioni, risulta sostanzialmente inalterato. Una modifica sostanziale della topografia urbana si ebbe invece fra la fine del V ed il VI secolo con la costruzione del cd. Palazzetto Bizantino; questo, la cui edificazione si svolge in almeno tre fasi distinte, fino alla fine del VI-VII secolo, blocca infatti con il suo atrio trasversale la sede stradale che da questo momento diventa sostanzialmente l'ingresso privato dell'edificio: la trasformazione da pubblico a privato di una struttura importante come una strada, fatto impensabile in epoca romano imperiale, è una indicazione di un cambiamento totale nella legislazione e nel comportamento, come dovette avvenire all'inizio dell'epoca bizantina. La parte di palazzetto messa in luce è costituita da 14 ambienti più due spazi aperti, cortili o giardini; degli ambienti scavati, quattro erano pavimentati in tarsie di marmo, gli altri in mosaico geometrico policromo; al centro della stanza 10, un importante salone di ricevimento, era un quadro a mosaico, un emblema, con la scena della Danza dei Geni delle Stagioni accompagnati da un suonatore di siringa; il riquadro, di alto interesse anche perché un unicum nelle composizioni decorative, è formato da tessere in materiali di pregio, paste vitree di colori diversi e foglia d'oro, il che è una ulteriore testimonianza dell'importanza e della ricchezza del proprietario dell'edificio, presumibilmente un funzionario della corte bizantina di cui non è possibile, almeno per il momento, ipotizzare il nome. L'importanza del rinvenimento ha determinato anche le decisioni cui si è giunti per la tutela del complesso; data l'impossibilità di acquisire l'area di scavo, destinata alla costruzione di un condominio, in accordo con il Comune di Ravenna e con la proprietà, si è proceduto allo scavo integrale della zona, con finanziamenti dello Stato e con il contributo sostanziale della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna; modificando la posizione della zona destinata a garage, è stato costruito un ambiente ipogeo in cui sono stati ricollocate le pavimentazioni del palazzetto bizantino e tutte le strutture ad esso collegate, come la strada e le murature; l'ambiente è completamente stagno, per controbattere i problemi causati dalla presenza dell'acqua di falda, ed è stato dotato di tutti gli impianti necessari per la conservazione ottimale dei mosaici, compreso un impianto di climatizzazione che, purtroppo, attualmente non è ancora funzionante; in accordo con la Curia di Ravenna, l'ingresso per i visitatori è stato posizionato nella vicina chiesa di S.Eufemia, collegata all'ambiente ipogeo da percorsi interni. Il complesso di via D'Azeglio è la prima delle strutture facenti parte del Parco Archeologico di Classe; tutte le altre strutture e pavimentazioni recuperate, in mosaico ed in marmo, verranno infatti inserite nell'esposizione del Museo Archeologico di Classe, in corso di costruzione nell'insieme degli edifici dell'ex Zuccherificio classicano; all'interno dell'edificio principale infatti il piano interrato è destinato ad essere il "Museo dei Mosaici" e vi verranno esposti non solo i pavimenti dallo scavo di via D'Azeglio, ma anche altri venuti alla luce da tempo e fino ad oggi conservati nei magazzini senza che ne fosse possibile la fruizione. L'allestimento del Museo di Classe avrà purtroppo tempi piuttosto lunghi a causa di problemi soprattutto burocratici; per quanto riguarda invece il complesso di via D'Azeglio, esso ha già avuto una apertura temporanea in occasione di manifestazioni del 2000; si auspica che esso, chiuso per problemi di adeguamento alle norme di sicurezza non appena la struttura è stata passata alla proprietà e alla gestione del Comune di Ravenna, possa essere nuovamente fruibile a breve, dopo quegli interventi necessari per il rispetto della normativa vigente, minimi ma purtroppo non eseguiti in quanto, per il momento, non finanziati.

Speciale archeologia - pag. 10 [2001 - N.11]

Una raccolta di cimeli nata nel 1921, in occasione del sesto centenario della morte del Sommo Poeta, voluta da Corrado Ricci

Luigi Malkowski - Segretario dell'Opera di Dante

Ravenna per il mondo è la città del mosaico, meta imprescindibile del turismo culturale e religioso, grazie alla grande suggestione delle decorazioni musive delle sue chiese paleocristiane, patrimonio dell'Unesco. Da tempo la città sentiva l'esigenza di un luogo pubblico che favorisse lo studio e l'approfondimento delle tematiche, degli spunti e delle curiosità che scaturiscono da questa espressione artistica. L'Istituzione Museo d'Arte della Città ha costituito una nuova sezione al suo interno, il Centro Internazionale di Documentazione sul Mosaico, uno spazio complementare ai luoghi dell'arte musiva per eccellenza: le basiliche bizantine, gli antichi mosaici pavimentali o le opere pubbliche contemporanee; un centro di ricerche che valorizzi ciò che identifica Ravenna nella storia dell'arte e nell'immaginario internazionale. Presso il Museo trova già sede l'Associazione Internazionale Mosaicisti, e viene ospitata permanentemente, d'intesa con gli enti proprietari (Provincia, Camera di Commercio e Rotary club), la Mostra dei Mosaici Moderni, straordinaria iniziativa del professor Giuseppe Bovini (il fondatore, nel 1963, dell'Istituto di Antichità Ravennati e Bizantine), che, coinvolgendo alcuni fra i più grandi artisti del novecento, ha permesso la costituzione di una raccolta di mosaici realizzati su bozzetto. Questo nucleo di opere sottolinea il legame peculiare creatosi a Ravenna fra i mosaici antichi e la loro riscoperta in chiave moderna, interpretando l'arte contemporanea attraverso le originali tecniche di fattura dei mosaicisti bizantini. Il Centro si prefigge una serie di obiettivi: diventare il luogo della valorizzazione a livello internazionale del mosaico; conservare la collezione delle opere musive del Museo d'Arte della Città; favorire la ricerca e lo studio sul mosaico internazionale antico e moderno, relativamente alla storia, all'ermeneutica, alle influenze stilistiche, e ai restauri; fornire informazioni esaustive sul "fare mosaico": tecniche, materiali, procedimenti stilistici, botteghe, artisti, scuole, formazione; costituire un archivio delle attività che riguardano il territorio e gli artisti ravennati; sviluppare una didattica multimediale con documenti visivi che alludano all'aspetto e alla riproducibilità tridimensionale dell'opera d'arte, permettendo modi di apprendimento alternativi alla visione diretta, ma non meno suggestivi. Il Centro sarà collocato al piano terra della Loggetta Lombardesca, utilizzando i servizi accessori di accoglienza al pubblico e le sale espositive in comune con tutta la struttura museale. Per questa iniziativa, nel gennaio 2003, si è costituito un Comitato Promotore con la partecipazione del Comune di Ravenna - Museo d'Arte della Città, dell'Istituto Beni Culturali dell'Emilia Romagna, delle Facoltà di Lettere e di Conservazione dei Beni Culturali, degli Istituti didattici (l'Accademia di Belle Arti, il Liceo Artistico e l'Istituto per il Mosaico), delle Soprintendenze, della Scuola del restauro per il mosaico, della Fondazione del Parco Archeologico di Classe, dell'Associazione Internazionale Mosaicisti. Collaborano con il Comitato degli esperti in multimedialità che tradurranno in un sistema di architettura informatica le risorse derivate dalla raccolta delle informazioni, ed elaboreranno uno specifico information retrieval. Il 28 giugno 2003 il Comitato ha prodotto un Protocollo di intesa, siglato da tutti gli Enti, che ha approvato il progetto di massima del Centro e ha dato conto degli apporti e delle collaborazioni che ciascuno attiverà nell'interesse della realizzazione del progetto. Sono previsti, inoltre, percorsi espositivi più tradizionali, rivolti soprattutto all'arte del XX e XXI secolo. Al patrimonio museale già posseduto si sono aggiunti recentemente tre mosaici: uno tratto da un'opera di Balthus, La chambre turque, e due da quadri di Michelangelo Antonioni, Le montagne incantate, realizzati da mosaicisti ravennati. Balthus e Antonioni hanno firmato il retro delle opere concedendo una sorta di paternità. Si è inoltre ottenuta la disponibilità degli artisti che hanno partecipato a mostre organizzate dal Museo, a voler tradurre alcune loro opere a mosaico, lasciandone un esemplare alla Loggetta. Recentemente gli allievi dell'Accademia coordinati da Daniele Strada hanno realizzato La casa di Giosetta di Giosetta Fioroni, e un "tappeto natura" da un progetto di Piero Gilardi, dando così una sorta di seguito alla felice iniziativa ideata da Bovini cinquanta anni fa.

Speciale nuove adesioni - pag. 10 [2003 - N.18]

Una notevole strumentazione tecnica e diagnostica è disponibile per le attività di ricerca e didattica della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali

Salvatore Lorusso, Cesare Fiori, Mariangela Vandini, Chiara Matteucci - Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali Alma Mater Studiorum Università di Bologna - sede di Ravenna

Presso il Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali è presente il Laboratorio diagnostico per i beni culturali. Il Laboratorio ospita numerose apparecchiature per lo studio e il controllo del sistema: manufatto di interesse storico-artistico/ambiente di conservazione. Le apparecchiature sono trasportabili in situ, aspetto oltremodo funzionale per lo studio dei manufatti, in particolare per quelli inamovibili. Gli strumenti - acquisiti mediante fondi della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali, della Fondazione Flaminia e del Dipartimento stesso - sono collocati in un unico ambiente al piano terra di Palazzo Strocchi, sede del Dipartimento. Il loro impiego, infatti, permette di affrontare le varie problematiche che si riferiscono alla caratterizzazione dei materiali costituenti i beni culturali, alla valutazione del loro stato di conservazione nonché all'analisi e al controllo dei fattori macro e micro-ambientali relativi agli ambienti esterni e interni in cui i manufatti sono collocati e/o conservati. Le suddette apparecchiature, coinvolgendo gli interessi dei componenti non solo del Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali, ma anche di altri Corsi di Laurea a integrazione e completamento di strumentazioni disponibili in altri Dipartimenti, costituiscono un fondamentale e irrinunciabile aspetto di carattere tecnico-diagnostico-materico nell'ambito sia delle attività di ricerca del Dipartimento sia delle attività didattiche della Facoltà. Ciò costituisce l'obiettivo a cui tendere per una corretta e completa formazione di carattere non solo storico-umanistico, ma anche tecnico-sperimentale del "conservatore" e dell'"operatore" nel settore dei beni culturali. In particolare le apparecchiature presenti nel laboratorio sono sia per il controllo dell'ambiente sia per il controllo del manufatto. Circa le tematiche oggetto delle finalità di ricerca e didattiche, queste sono riconducibili alle seguenti cinque tipologie. Metodologie e tecniche analitiche appropriate per la caratterizzazione dei beni culturali. Caratterizzazione mediante metodologie e tecniche analitiche, anche diagnostiche, dei materiali costituenti i beni culturali, in rapporto alle condizioni ambientali (micro e macro) di conservazione e ai fenomeni di inquinamento di origine antropica e/o naturale. Inquinamento atmosferico e degrado di monumenti e ambienti storico-artistici. Definizione dello stato di conservazione del bene, definizione del modo in cui il degrado si manifesta, analisi delle cause che lo hanno prodotto. Monitoraggio micro e macroclimatico in ambienti confinati: Musei, Biblioteche, Archivi. Studio della "fascia di benessere" dei materiali costituenti i manufatti di interesse storico-artistico e dei fruitori, in relazione agli scambi indoor-outdoor in edifici storici e museali. Diagnostica. Caratterizzazione mediante tecniche diagnostiche dei materiali costituenti i beni culturali, in rapporto alle condizioni ambientali (micro e macro) di conservazione e ai fenomeni di inquinamento di origine antropica e/o naturale. Valutazione della idoneità dei prodotti impiegati per il restauro, la conservazione e la manutenzione dei beni culturali. Raccolta di notizie storiche da fonti bibliografiche e di archivio circa la preparazione e le modalità d'uso dei prodotti impiegati per i vari interventi tecnici nel settore dei beni culturali. Raccolta dei dati tecnico-scientifici utili a comprendere la natura e il comportamento dei prodotti dal punto di vista chimico, fisico, microbiologico nonché tossicologico e di carica inquinante.

Speciale restauro - pag. 10 [2004 - N.19]

Un prodotto multimediale proporrà, in chiave virtuale, la ricostruzione del rapporto tra il Sommo Poeta e la città

Claudia Giuliani - Claudia Giuliani

Il museo dantesco ravennate, situato a stretto contatto con il sepolcro del poeta, si propone come un luogo di culto del poeta, anche e proprio in virtù della sua contiguità con un luogo di memoria e celebrazione. La tomba di Dante, meta di visite e veri e propri pellegrinaggi, spesso spiritualmente ed emotivamente “partecipati” dai cultori della poesia e della lingua italiana, si conclude di frequente con la “salita” al museo. Altrettanto frequenti le visite di gruppi scolastici, spesso anche della prima infanzia, che trovano accoglienza per lo più nei contigui spazi del Centro Dantesco Francescano e della sua biblioteca, ove vengono effettuati visite guidate e percorsi didattici.
Il Museo, nato nel 1921 nell’ambito delle celebrazioni per il sesto centenario del poeta, si configura ancora oggi come “fotografia” di quel culto, nato in anni impregnati di alta sensibilità civile, di vera religione della patria e contemporaneamente di orgoglio municipale. Le commemorazioni dantesche a Ravenna ebbero inizio con le illustri letture di Vincenzo Monti nel 1798, ma solo con l’anniversario del 1865 il culto di Dante si era visto strettamente unificato con la nuova patria, ed è in tal direzione che nel secondo decennio del Novecento si vennero raccogliendo ed esponendo ad opera di Corrado Ricci ricordi e testimonianze, spesso provenienti dal mondo dell’emigrazione italiana all’estero, che oggi si trovano come “cristallizzati” nell’esposizione originaria, in spazi anche architettonicamente predisposti alla accoglienza di tali “cimeli”.
Accanto al doveroso rispetto nei confronti di una realtà museale così fortemente storicizzata, vero e proprio monumento del culto dantesco in chiave patriottica, si viene oggi evidenziando l’esigenza del pubblico odierno di una proposta museale e didattica capace di maggiori coinvolgimenti, tanto più necessari in un momento in cui la didattica scolastica pare riservare una posizione di minor privilegio allo studio del testo dantesco. La conciliazione di tali diversi intenti pare raggiungibile attraverso la creazione di un prodotto multimediale che proponga al pubblico, in chiave virtuale, una ricostruzione del rapporto fra Dante e Ravenna, rivedendo il soggiorno del poeta nella città suo “ultimo rifugio”, e le figure salienti di questa fase biografica, e soprattutto ricercando negli elaborati artistici ravennati visibili al tempo di Dante, ed in particolare nel mosaico, l’influsso che certamente essi ebbero nella elaborazione dell’immaginario poetico dantesco. Attraverso testi e immagini dinamicamente connessi in un percorso ipertestuale sarà possibile proporre alle scuole, ma anche ai visitatori adulti, vicende storiche e letture poetiche, la romantica vicissitudine del trafugamento delle ossa, e la attuale grandezza della poesia dell’Alighieri, da “godere” al là della dimensione della celebrazione retorica.

Speciale Piano Museale - pag. 10 [2004 - N.20]

La pineta di Ravenna, a metà tra il bosco-parco e la testimonianza di vegetazioni scomparse

Massimiliano Costa - Ufficio Parchi e Zone Umide della Provincia di Ravenna

Prima delle bonifiche avviate dagli antichi Romani, proseguite nel Medioevo e terminate tra il XVIII e il IXX secolo, la pianura Padana si presentava come un’estesa foresta planiziale, su suoli umidi alluvionali. Questo antico bosco era dominato dalla farnia (Quercus robur), quercia tipica delle pianure continentali europee, e dal carpino bianco (Carpinus betulus), albero parente del nocciolo, amante dei climi freschi e diffuso in Europa dalle aree di pianura fino alla media montagna.
Questa associazione forestale, tipica della pianura Padana, è denominata Querco-Carpinetum boreoitalicum. Di essa rimangono piccoli relitti sparsi nell’alta pianura lombarda, piemontese, veneta e friulana, tutti profondamente alterati nella struttura forestale dagli usi del passato e dalle ridotte dimensioni, che non garantiscono la conservazione del microclima idoneo a questo tipo di foreste.
Il più esteso complesso di foreste planiziali della pianura Padana si trova, tuttavia, a Sud del fiume Po, lungo le coste di Ravenna, tra il fiume Reno e Cervia. Sono i tre relitti dell’antica pineta di Ravenna: San Vitale, Classe, Cervia. Boschi in cui alla foresta padana è stato imposto il pino domestico (Pinus pinea). I primi ad introdurre questa specie originariamente presente soltanto lungo il litorale tirrenico, furono gli antichi Romani, pare a partire dal VI secolo d.C. Il pino fu importato sulle coste adriatiche come fonte di legname e come albero da frutto, per i preziosi pinoli ricchi di grassi vegetali di facile conservazione. Le attuali pinete di San Vitale, Classe e Cervia sono, però, di epoca medioevale, poiché il territorio su cui attualmente sorgono questi boschi era, in epoca Romana, occupato dal mare. Sotto questa coltre di pini di impianto artificiale vegetano i residui dell’antico bosco padano di latifoglie, conservati proprio grazie all’importanza locale della foresta di conifere piantata dall’uomo. Il bosco attuale, però, non è più il Querco-carpinetum boreoitalicum, poiché il si è perso il microclima fresco e umido della pianura Padana, mantenuto proprio dalle vaste estensioni forestali.
Il bosco naturale attuale è descritto come “aggruppamento a Quercus robus e Quercus pubescens”, in cui alla farnia si associa la roverella (Quercus pubescens), quercia di climi più caldi e asciutti. Il carpino bianco c’è ancora, ma non è più dominante; fa parte delle specie di corteggio, tra cui troviamo acero campestre (Acer campestre), pioppo bianco (Populus alba), olmo campestre (Ulmus minor) e il raro carpino orientale (Carpinus orientalis), parente levantino del carpino bianco, la cui diffusione ad Ovest raggiunge il limite proprio lungo le coste adriatiche.
Nelle zone più umide il bosco cambia e divengono dominanti specie igrofile, come frassino ossifillo (Fraxinus oxycarpa), ontano nero (Alnus glutinosa) e salice bianco (Salix alba), mentre sulle dune fossili il terreno arido determina la dominanza del leccio (Quercus ilex), quercia sempreverde tipica dei boschi mediterranei.
Diverse sono la storia e l’assetto forestale delle pinete litoranee, quelle di impianto recente. Sono state realizzate negli ultimi 100 anni, e spesso solo poche decenni fa, utilizzando un albero esotico alla flora italiana, il pino marittimo (Pinus pinaster), naturalmente presente sulle sponde del Mediterraneo occidentale. Inoltre, questi boschi non sono stati aggiunti ad un bosco preesistente, ma sostituiti ad una vegetazione per struttura del tutto diversa, snaturandola profondamente. La formazione in questione, che può essere definita “macchia adriatica” è un cespuglieto tipico dei litorali tra Ravenna e Trieste, costituito da olivello spinoso (Hippophae rhamnoides), Ginepro comune (Juniperus communis), fillirea (Phillyrea angustifolia), agazzino (Pyracantha coccinea).
Le pinete storiche conservano gelosamente al loro interno specie di floristiche di grande pregio, tra cui vanno ricordate: apocino veneto (Trachomitum venetum) pianta delle steppe asiatiche che raggiunge ad Ovest il litorale nord-adriatico, canna di Ravenna (Erianthus ravennae) elofita emblematica e caratteristica dei litorali mediterranei, violetta d’acqua (Hottonia palustris) idrofita dalle belle fioritura lilla pallido, eliantemo jonico (Helianthemum jonium.) endemismo dell’Italia peninsulare che raggiunge in Romagna il limite Nord di distribuzione.

Speciale centenario della Legge Rava e Beni ambientali - pag. 10 [2005 - N.23]

Il restauro conservativo della biblioteca di Alfredo Oriani alla casa museo Cardello

Dante Bolognesi, Carlotta Zanasi - Direttore della Fondazione Casa Oriani, Laboratorio Post-Scriptum di Bologna

Nella monastica stanzetta al primo piano del Cardello sono conservati, sulla scrivania e nei quattro singolari scaffali pensili, i 630 volumi che costituivano la personale biblioteca di Alfredo Oriani (1855-1909).
Come ha scritto Ennio Dirani, la sezione più ricca della biblioteca è quella letteraria, con i maggiori classici italiani, da Dante al Carducci, e i grandi narratori europei dell’Ottocento. Segue poi la sezione storica, con opere di Carlo Botta, Cesare Cantù, Giuseppe Ferrari, L.C. Farini, Taine, Michelet, Renan, Mommsen, e la sezione filosofica, dominata dalle opere di Hegel, in italiano e in francese; infine, quella politico-sociologica, molto ricca, con classici quali Machiavelli, Locke, Montesquieu ed i maggiori dell’Ottocento, tra i quali il più rappresentato è Proudhon.
Le complesse vicende del Cardello, soprattutto durante la seconda guerra mondiale, hanno fatto sì che molti dei volumi siano in uno cattivo stato di conservazione. Grazie al finanziamento dell’Istituto regionale per i Beni culturali, negli scorsi anni è stato avviato un primo intervento di restauro che è stato affidato alla ditta Post-Scriptum di Bologna: gli interventi di restauro conservativo dei volumi in brossura sono stati svolti in diverse sessioni di lavoro,tra il 1997 e il 2003.
Il termine “brossura” deriva dal francese brochure e indica un tipo di legatura rustica senza supporti di cucitura, con coperta in cartone o cartoncino incollata direttamente al dorso del volume.
Tale tipologia di volume nasce probabilmente in Inghilterra verso la metà del sec XVII e si diffonde nel sec XVIII e XIX con l’aumento della richiesta di carta dovuta alla ripresa dell’editoria e alla diffusione dei periodici. Per quanto riguarda la fabbricazione della carta, i passi significativi per la sua industrializzazione si svolgono a metà dell’Ottocento con l’inizio dell’uso della cellulosa derivata dal legno e non più dagli stacci di canapa e cotone. I volumi in brossura sono quindi particolarmente delicati sia per le caratteristiche tecniche prima citate che per la bassa qualità della carta a pasta legno spesso acida, a causa della presenza della lignina, e quindi maggiormente soggetta a un degrado chimico-fisico. Le carte dei volumi tra otto-novecento sono spesso caratterizzate dalla loro perdita di elasticità,imbrunite o sbiancate, macchiate dal foxing, rigide o feltrose a seconda del tipo di degrado che hanno subito.
Il restauro delle brossure custodite nel Cardello è stato quindi complesso e articolato: le carte e le copertine dei volumi, tutte in cartoncino leggero, erano fortemente imbrunite e indebolite a causa del processo di ossidazione, i dorsi nella maggior parte dei casi erano in frammenti attaccati al corpo del libro o totalmente mancanti. Alcuni volumi erano scuciti e l’indorsatura fortemente indebolita tanto che alcune pagine erano mancanti; in tal caso la mancanza è stata segnalata inserendo fogli di carta giapponese bianca. I volumi sono stati tutti collazionati (controllo della numerazione delle carte) e scuciti cercando di recuperare scrupolosamente i frammenti delle coperte attaccati sul dorso; per agevolare l’operazione i dorsi sono stati velati con velo giapponese e colla Tylose MH 300 prima della scucitura. Le carte sono state pulite inizialmente a secco con pennelli a setole morbide e gomma wishab, poi per via acquosa con acqua demineralizzata e deacidificate con una soluzione semisatura di idrossido di calcio. Alla soluzione deacidificante è stata aggiunta una percentuale di Tylose MH 300 per ricollare le carte. Dopo l’asciugatura su appositi essiccatoi le carte e le coperte sono state restaurate e rinforzate con carta e velo giapponese, i frammenti dei dorsi sono stati ricomposti e integrati con carta giapponese leggermente colorata seguendo il tono del colore delle coperte. Strappi e indebolimenti sulle pagine sono stati risarciti con veline molto sottili e trasparenti e le lacune sono state integrate con carta giapponese di adeguata grammatura. I volumi sono stati poi ricuciti con filo di cotone, rispettando la struttura della cucitura originale,e indorsati con due strati di carta giapponese. Infine sono state rimontate le coperte attaccando i dorsi delle copertine al volume, con struttura a tubo in carta.

Speciale restauri - pag. 10 [2006 - N.25]

Un prototipo di visita virtuale alla Pinacoteca di Ravenna

Nadia Ceroni - Conservatore Museo d'Arte della città di Ravenna

Non è la prima volta che la Pinacoteca del Museo d’Arte della città di Ravenna aderisce ad un progetto sperimentale, con l’intento di condividere gli obiettivi culturali e le novità tecnologiche, proposti da enti pubblici e privati, destinati a migliorare la conservazione e la valorizzazione del proprio patrimonio artistico.
Risale al 2001 la realizzazione del progetto denominato Virtual Gallery – un particolare software ideato da Daniele Panebarco per la visita tridimensionale ed interattiva di musei, pinacoteche e quadrerie attraverso Internet – per il quale la Pinacoteca di Ravenna mise a disposizione planimetrie dei propri spazi espositivi, fotocolor di numerose opere selezionate per l’occasione e relativi testi.
Si scelse in particolare di lavorare su opere d’arte non esposte al pubblico, con l’intento di costruire una visita virtuale al “museo nascosto”, vale a dire a quel patrimonio artistico che per ragioni di spazio non è abitualmente fruibile da parte dei visitatori perché collocato nei magazzini del museo o depositato presso uffici pubblici quali la Prefettura, la Questura, il Tribunale e la Residenza Municipale della Città. Nel prototipo che si realizzò – i cui costi erano a carico della Provincia di Ravenna e della Regione Emilia-Romagna – gli oggetti non erano più esposti fisicamente, ma divenivano immagini artificiali accessibili mediante il computer.
Le potenzialità del software si rivelarono ben presto duttili per altri usi e scopi: non solo la possibilità di dare visibilità sul web al patrimonio artistico permanentemente esposto nelle sale museali, ma anche a nuclei indisponibili, a loro volta aggregabili per argomenti che potevano costituire la base per ulteriori mostre virtuali permanenti o temporanee. Ci si rese conto anche della possibilità di poter realizzare iniziative da condividere con altri musei, simulando esposizioni in luoghi inesistenti nella realtà, ma proprio per questo intriganti e accattivanti nella loro artificialità.
Si ragionò sull’utilità – civile e più precisamente civica – di creare iniziative culturali virtuali in quanto occasioni vantaggiosissime per l’abbattimento di costi elevati, normalmente sostenuti con denaro pubblico e privato; sulla possibilità di costruire ulteriori relazioni con il proprio territorio, con altri musei e, soprattutto, con un bacino di utenza vastissimo. Si ragionò sulle potenzialità, per un museo virtuale fatto solo di immagini, di diventare più ludico e interattivo nei confronti dei propri fruitori; sulle modalità, per un istituzione museale, di fare cultura anche attraverso l’informatica e di porsi in un rapporto più dinamico di colloquio e di scambio con partners, visitatori e studiosi.
Fermo restando che le applicazioni informatiche suscitano sempre una grande curiosità nel pubblico – soprattutto quello giovanile – e che i musei in grado di offrire ai visitatori innovazioni tecnologiche all’avanguardia sono ancora complessivamente pochi, un grosso limite alla diffusione di queste tecnologie è chiaramente rappresentato dalle risorse, non solo economiche ma anche umane. Gli investimenti necessari, infatti, possono essere consistenti e occorre comunque prevedere una fase di formazione per il personale che dovrà utilizzare gli strumenti informatici messi a disposizione.
La versione finale del software di Panebarco – Exhibits3D – prevedeva infatti la possibilità di rendere dinamiche le esposizioni virtuali, mettendo in grado l’operatore museale di aggiornare e sostituire in prima persona i quadri della galleria preventivamente scansionati o fotografati con camera digitale. Gli standard museali e la definizione dei profili professionali potranno sopperire a tale mancanza, introducendo figure destinate a svolgere attività nuove, soprattutto nel campo della comunicazione e della “esibizione”.
Nelle intenzioni dell’autore, questo software – in grado di costruire musei virtuali, spazi espositivi on line e “visite immersive alle collezioni” – avrebbe potuto offrire alle istituzioni culturali un inedito modello concettuale la cui applicazione avrebbe contribuito a trasformarle da “custodi di contenuti in emittenti di contenuti a livello planetario”.

Speciale musei virtuali - pag. 10 [2006 - N.26]

Testimonianze garibaldine al Museo Civico di Castel Bolognese

Valerio Brunetti - Responsabile del Museo Civico di Castel Bolognese

Nel 1982, in occasione del primo centenario della morte di Giuseppe Garibaldi, si tenne a Castel Bolognese la mostra "I Garibaldini. Per una storia del Risorgimento a Castel Bolognese".
Questa iniziativa rappresentò sicuramente il primo momento di ricerca sul fenomeno della partecipazione dei volontari castellani, sia dei garibaldini che di quelli delle campagne risorgimentali, che fu straordinaria per un paese che contava allora poche migliaia di abitanti. Basti solo ricordare i circa centodieci volontari nella prima Guerra di Indipendenza e gli otto castellani al seguito dei fratelli Cairoli a Villa Glori, a Roma nel 1867.

Insieme ad un'attenta analisi storica, la mostra portò alla luce più di centoventi cimeli riguardanti i garibaldini di Castel Bolognese, gran parte dei quali provenienti dalle famiglie di origine che li avevano conservati fino a quel momento. Oltre a numerosi documenti cartacei, tra cui anche un originale spartito di un valzer intitolato A Garibaldi, erano stati individuati diversi ritratti dell'epoca, fotografie e dipinti, medaglie al valore, divise originali, addirittura un fucile ad avancarica appartenuti ai patrioti castellani. Un patrimonio che avrebbe potuto costituire un'eccellente raccolta risorgimentale.

A distanza di un quarto di secolo parte di questi cimeli non sono più reperibili, spesso dispersi tra eredi che non vivono più sul territorio comunale. Fortunatamente alcuni di questi, ed anche altri, nel corso degli anni sono confluiti attraverso donazioni nelle collezioni del Museo Civico di Castel Bolognese, all'interno della sezione storica locale.

Del garibaldino Luigi Tampieri oggi si conservano la sua foto incorniciata con due medaglie al valore, il fazzoletto da collo, il berretto rosso, le ghette bianche ed una coccarda tricolore con il ritratto di Garibaldi. Dell'allora ventenne Angelo Gramigna, tra gli eroi di Villa Glori, vi sono la foto originale, il diploma e la medaglia di benemerito della liberazione di Roma. Di Sebastiano Fanelli, garibaldino e pittore, si conserva un bel ritratto a pastello su carta di Garibaldi. Oltre ad una medaglia commemorativa dell'incontro di Teano, ad una "tessera" garibaldina e un tricolore sabaudo appartenuto ad associazioni garibaldine locali, si conserva una fotografia di Garibaldi che riporta una dedica alla "carissima sorella mia" Jessie White Mario.
Questa scrittrice inglese, che aveva sposato il patriota italiano Alberto Mario, è stata una delle figure femminili più rappresentative del risorgimento italiano. Profonda ammiratrice degli ideali di Garibaldi, lo aveva seguito, come giornalista e come infermiera, nelle sue principali avventure italiane. Durante la spedizione dei Mille in Sicilia aveva incontrato il patriota castellano Antonio Pezzi alias Giuseppe  Santandrea, che dopo essere stato liberato dal carcere di Favignana dove era detenuto per aver partecipato alla sfortunata spedizione Pisacane, si era arruolato tra i garibaldini. Purtroppo il Pezzi rimase ferito a Milazzo e morì tra le braccia di Jessie. Del Pezzi la White conservò la sciabola, a testimonianza, forse, di un rapporto personale che probabilmente andava oltre la semplice conoscenza fatta su un campo di battaglia. È lei a testimoniare, alla sua morte, la vera identità (si era arruolato sotto il falso nome di Santandrea); successivamente ne parlerà anche nei suoi libri. Dopo l'Unità d'Italia si stabilisce a Firenze. Qui conosce il castellano Giacomo Tacconi, al quale nel 1889 dona la sciabola con queste parole: "Pezzi è morto a Milazzo sulle mie ginocchia, conserva la sciabola in suo ricordo".

Nel 1989, cent'anni dopo, il figlio Antonio Tacconi donava al Museo castellano il cimelio, che così giungeva nel paese natio del suo eroico proprietario il cui vero nome appare oggi sul monumento che la città di Milazzo ha dedicato ai suoi liberatori.


Speciale Epopea Garibaldina - pag. 10 [2007 - N.28]

Il caso della collezione Brunori, esempio di un collezionismo artistico poliedrico, donata al MIC nel 1999.

Jadranka Bentini - Direttrice del MIC

Forse non tutti sanno che il Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza è nato e cresciuto quasi esclusivamente sulle donazioni, con esse ha tesaurizzato nei cento anni della sua vita migliaia e migliaia di oggetti e di sculture attestandosi oggi come una realtà assolutamente originale nel panorama dei musei a carattere tipologico per il suo spessore patrimoniale e per il suo carattere di luogo non solo deputato alla tutela della ceramica, ma alla sua stessa promozione sia in termini produttivi che educativi.

Fra le donazioni che hanno contraddistinto l'ultimo quarto del secolo appena trascorso, accanto alla Fanfani, più nota perché più consistente e dotata di lasciti a valenza multipla, vi è la Brunori giunta al Museo nel 1999 attraverso le disposizioni testamentarie di Marisa Gasparini in memoria del marito Gabriele Brunori. Quest'ultimo era ben noto quale restauratore di ceramiche, oltre che mercante d'arte, non solo nel mondo della ceramologia e del collezionismo, collezionista egli stesso e in rapporti stretti con lo storico direttore del museo faentino, Gaetano Ballardini, fin dagli anni '50, poi con Giuseppe Liverani e con il conte Luigi Zauli Naldi consigliere e presidente del Museo; con Faenza la frequentazione era stata dunque assidua in virtù della sua professione e delle sue capacità di mediazione per l'acquisto di opere oggi esposte nel percorso permanente

Se la donazione delle opere più importanti e significative della raccolta a distanza di dieci anni dal decesso del marito (era morto nel 1986), getta una luce rivelatrice sulla affezione a questo nucleo così prezioso e attesta insieme l'onestà morale e la fiducia verso il valore che la memoria possiede nel presente, l'atto della Signora Gasparini ha concesso al Museo di aprirsi verso oggetti artistici non ceramici, instaurando un nuovo corso per le acquisizioni. Del lascito fanno parte infatti mobili, quadri, sculture, vetri, avori, coralli, smalti, disegni, tappeti accanto a preziose maioliche, a porcellane, a terraglie e a terrecotte di grande valore. Una esposizione integrale del lascito è stata allestita nel Museo dal momento della presa in carico fino a tutto il 2004: si è trattato della attestazione dell'identità della raccolta Brunori Gasparini nella sua configurazione pluridisciplinare con carattere forte di raccolta di arte decorativa, ma anche dotata di presenze di grande rilevanza che si vanno via via studiando.

Se le maioliche settecentesche, soprattutto bolognesi, faentine, imolesi, pesaresi hanno apportato pezzi non ripetitivi rispetto a quelli già presenti e le maioliche di Castelli e di Montelupo hanno rafforzato i nuclei già esistenti, sono le sculture a destare ammirazione: prima fra tutte la bellissima "Fuga in Egitto" di Giuseppe Maria Mazza. Resa nota in un articolo sulla Faenza da Giancarlo Bojani, si tratta di una prova del plasticatore e scultore bolognese dove è forte il richiamo alla tradizione pittorica entro cui si era formato. La destinazione originaria del rilievo, recentemente restaurato ed esposto al pubblico, sembra essere quella privata a decorazione di ambienti per la liturgia domestica o per accoglienza in dimore patrizie.

Sempre del Mazza, firmato e datato 1673, figura nella raccolta Brunori un piccolo S. Giovanni Battista, forse identificabile con quel "S. Giovanni Battista di terra cotta" citato in un inventario di Pietro Ercole Fava del 1745 che il giovane Mazza realizzò insieme ad altre numerose statuine durante il suo soggiorno nella accademia artistica del palazzo Fava di via Galliera a Bologna.

Indubbiamente la piccola terracotta costituisce un tassello importante per la storia della scultura bolognese del primo Settecento, al pari di un'altra scultura fittile del lascito Brunori: il gruppo satiresco da tavolo riportato come "Clodion", firmato nel retro, attualmente in fase di studio. Claude Michel Clodion fu scultore e plasticatore di rara maestria: originario di Nancy, attivo nella Francia classicista e rococò, la sua produzione e il suo stile dettarono una moda precisa frequentata e imitata da molti.

Queste le punte della raccolta Brunori, oggi oggetto di una catalogazione sistematica con approfondimenti critici per la sua parte non ceramica, cui è bene menzionare fra i numerosi dipinti, il bel quadro seicentesco attribuito al Tiarini, in verità di altro autore; ancora il prezioso cofanetto eburneo del secolo XV che spicca fra un gruppo di formelle di avorio seicentesche.

Speciale collezionismo privato - pag. 10 [2007 - N.29]

Sacerdote e architetto, ha lasciato una nutrita bibliografia in cui prevalgono gli studi sull'iconografia religiosa

Giorgio Cicognani - Conservatore ai Fondi antichi Biblioteca Manfrediana di Faenza

Fra pochi mesi ricorre il decennale della scomparsa di monsignor Antonio Savioli: sacerdote, architetto e ottimo insegnante. "Don Antonio", per gli amici, nasce nel 1915 a Fusignano da una modesta famiglia di muratori che abitava vicino alla famiglia Zalambani, una numerosa famiglia che contava ben diciasette figli, aveva uno zio prete, don Giovanni. Frequenta la scuola dell'obbligo e quella comunale di disegno sotto la guida del pittore lughese Avveduti, e contemporaneamente amico suo sarà l'artista Raoul Vistoli. La presenza di don Zalambani lascia un segno indelebile nel cuore del giovane Savioli che entrerà in seminario a Faenza per continuare i suoi studi classici e umanistici secondo la tradizione faentina. La sua formazione sarà principalmente artistica, votata soprattutto al disegno, alla creatività, ma anche al colore e alla musica (quella di Arcangelo Corelli, concittadino, che ha sempre amato).
Nel 1940 ordinato sacerdote, inizia ad allestire presepi a misura d'uomo esprimendo la sua originalità. La guerra, purtroppo, si abbatte su Faenza e don Savioli assieme ad altri sacerdoti si trasforma in "operaio" per soccorrere feriti e sfollati, portare cibo ai bisognosi. Terminata la furia bellica si dedica agli studi: prima al Liceo Artistico di Ravenna, poi alla Facoltà di Architettura di Firenze. Laureato nel 1966 discutendo la tesi con Leonardo Savioli, è stato poi insegnante in tre seminari: a Faenza, al Maggiore di Firenze e al seminario regionale di Bologna. All'Istituto "Ballardini" di Faenza fu docente di religione, ma anche maestro d'arte sacra per tanti artisti famosi come Biancini, Gaeta, Rontini.
Infaticabile studioso e anche scrittore ci lascia una ricca bibliografia di circa mille titoli fra volumi, articoli di giornale, opuscoli vari.
Nel 1959 hanno inizio i suoi primi studi sulla religiosità popolare, soprattutto sull'iconografia mariana e sulle tradizioni in Romagna. Questa minuziosa indagine è continuata nell'arco di un'intera vita e, grazie al suo impegno, sono state allestite mostre, schedati migliaia di pezzi e pubblicati numerosi cataloghi (fra i più noti quelli sulla iconografia ceramica e sulle incisioni della Beata Vergine delle Grazie di Faenza).
Nel 1961 ebbe la sua intuizione artistica più felice con l'attribuzione della tavola delle Cappuccine di Bagnacavallo, La Madonna del Patrocinio, ad un grande maestro del Rinascimento, poi identificato da Roberto Longhi in Dürer, opera ora conservata nella collezione Magnani Rocca di Traversetolo. Alla riproduzione a colori e alle prime segnalazioni sulla stampa locale seguì la conferma di Longhi sulla rivista Paragone. Ricordo la sua gioia quando l'accompagnai a Bagnacavallo presso le suore di clausura ed ebbi l'emozione di vedere in anteprima, nel coretto, attraverso la grata, la preziosa immagine custodita in un bauletto ed avvolta in una coperta.
È stato detto che "... don Savioli fu prete, uomo di cultura e architetto dal tratto umile e buono". Aggiungerei un pioniere degli studi ceramologici legati all'arte sacra. Nel campo dell'architettura e della scuola ha saputo valorizzare la creatività e la sensibilità dei giovani, ha donato sempre esperienze e progetti con una semplicità e una modestia unica. Ma l'impegno più grande che l'ha visto completamente coinvolto è stato il restauro della cattedrale di Faenza, fatta erigere dal vescovo Federico Manfredi nel 1474. Un lavoro impegnativo iniziato da paziente ricerca, poi approfondita da studi, e varie pubblicazioni. È stato un vero "direttore dei lavori" dalla progettazione alla realizzazione, al reperimento dei finanziamenti e vari sostegni. È grazie a don Savioli se ora possiamo ammirare nel suo primitivo splendore questo importante monumento faentino.
Dal 1981 al 1996 è stato prefetto della Biblioteca "Cardinale Cicognani" al seminario di Faenza, protonotario della cattedrale ed è stato insignito della medaglia d'oro dal Ministero per i beni Culturali nel 1996. Si è spento presso la Casa del Clero di Faenza nel 1999 lasciando importanti donazioni alla Biblioteca del Seminario, al Museo Diocesano di Faenza e alla Biblioteca "Piancastelli" di Fusignano.

Personaggi - pag. 10 [2008 - N.32]

Il ricordo ravennate per il pittore, architetto e storico dell'arte aretino, a cinquecento anni dalla nascita

Nadia Ceroni - Conservatore Mar di Ravenna

"Condotto poi da Rimini a Ravenna feci una tavola nella nuova chiesa della badia di Classi, dell'ordine di Camaldoli, dipingendovi un Cristo deposto di croce in grembo alla nostra Donna. E nel medesimo tempo feci per diversi amici molti disegni, quadri, ed altre opere minori che sono tante e sì diverse che a me sarebbe difficile il ricordarmi pur di qualche parte ed a' lettori forse non grato udir tante minuzie".

Così scriveva l'artista nella sua autobiografia - contenuta ne Le vite de' più eccellenti pittori, scultori e architetti, ediz.1568 - a proposito del suo soggiorno ravennate e della tavola centinata, oggi conservata nella Pinacoteca del Museo d'Arte della Città, intitolata Deposizione di Cristo dalla croce.

Citato nelle Guide di Ravenna da F. Beltrami (1791), F. Nanni (1821) e G. Ribuffi (1835 e 1885), dalla chiesa di San Romualdo del monastero di Classe il dipinto passò all'Accademia di Belle Arti dove Corrado Ricci lo collocò tra i migliori quadri di varie scuole nel riordinamento della collezione ravennate del 1897: "Cristo deposto, tavola di Giorgio Vasari con la cornice intagliata da Baccio d'Agnolo fiorentino".

Vasari, che si trovava a Rimini nell'ottobre del 1547 per eseguire l'Adorazione dei Magi per la chiesa di Santa Maria di Scolca, verso la metà di gennaio dell'anno successivo - dopo aver ricevuto da Carlo Marcheselli la commissione dell'Estasi di San Francesco per l'omonima chiesa - si recò a Ravenna, impegnandosi con l'abate di Camaldoli per l'esecuzione del suddetto dipinto.

La complessa composizione, che impegnò l'artista per circa due mesi, pur presentando frammenti tipici del repertorio vasariano, lascia spazio a ipotesi di collaborazione in direzione di Prospero Fontana (P.G. Pasini e V. Fortunati) a cui si attribuisce un intervento sulle figure del fondo e sul paesaggio.

Il dipinto è stato restaurato in varie occasioni: nel 1779 dal pittore padovano Francesco Zannoni, nel 1895 da Venceslao Bigoni, nel 1947 da Dante de Carolis e nel 1979-81 da Ottorino Nonfarmale per cura dell'Istituto per i Beni Culturali della Regione Emilia Romagna.

La composizione ravennate riscosse notevole successo nell'ambiente romagnolo, che ricevette nuovi stimoli e incentivi per liberarsi dalla diffusa temperie di un raffaellismo imperante: i faentini Marco Marchetti e Nicolò Paganelli, il forlivese Francesco Menzocchi e il ravennate Luca Longhi non rimasero estranei all'influsso vasariano. Lo stesso Vasari, tornato una seconda volta a Ravenna, a seguito della sua diretta conoscenza del Longhi, si attribuisce dichiaratamente il merito d'averlo accresciuto nel mestiere "ragionando delle cose dell'arte".

In occasione del quinto centenario della nascita (Arezzo, 1511), al Vasari sono dedicate numerose iniziative: incontri, conferenze, letture e mostre per celebrare "un artista polivalente come pochi", la cui instancabile attività - e della sua bottega - si è svolta in varie città italiane: Arezzo, Bologna, Firenze, Napoli, Pisa, Roma. Un genio versatile e di grande talento che contribuì alla trasformazione urbanistica di Firenze per volere di Cosimo I de' Medici: la costruzione degli Uffizi rappresenta il suo capolavoro architettonico per celebrare il potere del Principe. Organizzatore di vaste imprese decorative (Salone dei Cinquecento in Palazzo Vecchio a Firenze, Salone della Cancelleria a Roma, affreschi per il Convento di Monteoliveto a Napoli) nel 1542 diede inizio agli affreschi della propria casa ad Arezzo. Scrive infatti Vasari che "essendosi fornita di murare la mia casa d'Arezzo, ed io tornatomi a casa, feci i disegni per dipingere la sala, tre camere e la facciata, quasi per mio spasso di quella state: nei quali disegni feci, fra l'altre cose, tutte le provincie e luoghi, dove io aveva lavorato".

Anche il Museo d'Arte della Città ha partecipato agli eventi celebrativi invitando a Ravenna lo scorso 13 ottobre il Direttore della Casa Museo Vasari, Dr. Michele Loffredo, che ha illustrato in una conferenza pubblica le tappe salienti della vita e della copiosa attività dell'artista.


Personaggi - pag. 10 [2011 - N.42]

Un sacerdote e studioso dotato di profonda cultura e umanità che ha ancora molto da insegnare

Marco Mazzotti - Biblioteca Comunale di Faenza

Da pochi mesi è trascorso il trentesimo anniversario della morte di mons. Giovanni Lucchesi (Faenza, 9 ottobre 1913 - 6 dicembre 1981), fra i più qualificati esponenti del clero romagnolo del XX secolo per via della variegata formazione culturale e per gli studi condotti in tutte le discipline religiose, come evidenzia una bibliografia ricca di circa 450 titoli.
Nel 1925 entrò nel Seminario di Faenza, dove ricevette la prima formazione classicista e teologica. Nel 1936, subito dopo l'ordinazione sacerdotale, venne inviato a Roma per approfondire gli studi di Archeologia Cristiana, conseguendo la licenza nel 1939 e il dottorato nel 1943. Nel dopoguerra fu chiamato a svolgere il proprio ministero in Cattedrale (canonico nel 1951 e prevosto nel 1967) e in Seminario, in qualità di docente e responsabile della nuova biblioteca dedicata al benefattore cardinale Gaetano Cicognani. Dalla Cattedrale e dal Seminario, che costituirono l'oggetto di minuziose ricerche e la propria "base logistica", Lucchesi proseguì la feconda e celebre tradizione erudita ecclesiastica faentina, che aveva avuto in Francesco Lanzoni e Giuseppe Rossini i più autorevoli rappresentanti. Coltivò gli studi locali simultaneamente a quelli di archeologia cristiana, storia ecclesiastica, agiografia e liturgia, che gli conferirono una fama di livello internazionale. In campo agiografico collaborò intensamente con la Bibliotheca Sanctorum (per la quale compilò oltre 200 voci), ma pure con l'Enciclopedia Cattolica, il Dictionnaire d'histoire et de géographie ecclésiastiques e altri periodici specializzati. Apportò innovativi contributi nel settore delle antichità ravennati, approfondendo le tematiche relative agli edifici di culto, le prassi liturgiche, il repertorio agiografico e san Pier Crisologo, dibattendo spesso con l'amico mons. Mario Mazzotti. Si occupò di patrologia e medievistica, accreditandosi come uno dei massimi studiosi di San Pier Damiani.
Ricoprì il ruolo di membro e consulente in diverse congregazioni e commissioni deputate all'attuazione delle riforme introdotte dal Concilio Vaticano II, impegnandosi con passione nella delicata fase transitoria dalla vecchia alla nuova liturgia, che implicò l'abbandono di numerose suppellettili sacre destinate, da allora, ad acquisire un valore sempre più storico-culturale. Lucchesi contribuì non solo all'elaborazione di una rinnovata pratica liturgica, ma pure del concetto di bene culturale ecclesiastico, oggi ben "metabolizzato" grazie al riconoscimento di una specifica valenza pastorale, alle campagne di catalogazione e all'apertura di musei d'arte sacra intesi anche come espressione dell'identità territoriale. L'interesse per la tutela dei beni culturali fu dal Lucchesi vissuto anche in veste di ispettore onorario per le belle arti. Partecipò attivamente alla vita di diversi enti e associazioni, in primo luogo il Centro studi e ricerche sull'antica provincia ecclesiastica ravennate, di cui fu socio fondatore e presidente.
La personalità di mons. Lucchesi appare ancora più ricca e vivace se si considera la vena creativa, poetica, musicale, ironica e la passione sportiva. Del resto, come osservò l'amico fraterno e successore Antonio Savioli, «tanta molteplicità d'interessi in lui non era ferma a livello genericamente culturale, ma sempre in funzione di arricchimento religioso e spirituale, con una visione finalistica superiore dello studio e della fatica culturale». Ne conseguiva che il sapere, lungi da qualsiasi atteggiamento elitario, dovesse sempre costituire un servizio, come si sforzò di fare tramite l'attività didattica, i numerosi articoli apparsi sulla stampa locale e le quotidiane consulenze elargite a chiunque nella Biblioteca del Seminario.
Il tutto vissuto con una sorprendente umiltà che Lucchesi ci dimostra essere non solo ricchezza di vita, ma anche il miglior metodo di ricerca storica.

Personaggi - pag. 10 [2012 - N.44]

Un ritratto del liutaio romagnolo del Novecento, importante ricercatore, sperimentatore e innovatore a 60 anni dalla morte

Valerio Brunetti - Responsabile Museo Civico di Castel Bolognese

Nicola Utili nasce a Castel Bolognese nel 1888. Fin da giovanissimo manifesta una innata passione per gli strumenti a corda. A dodici anni inizia a costruire un po' tutti i modelli più diffusi come chitarre, violini, mandolini. In breve tempo si fece fama di costruttore di eccellenti strumenti, attirando sul suo lavoro una vasta clientela non solo locale. A sedici anni, nel 1904, partecipa all'Esposizione regionale romagnola di Ravenna dove ottiene un diploma di "Menzione Onorevole". In questo primo periodo, quando la sua produzione si ispirava ai modelli classici della liuteria italiana, si diede al recupero di antichi strumenti con un metodo di sua invenzione, molto efficace, chiamato "Rinforzo armonico", che gli permise di avere tra le mani preziosi strumenti come Stradivari, Maggini, Amati.

Ottimo conoscitore dei legni per strumenti, dal servizio militare nella prima guerra mondiale porta a casa uno spezzone di trave rinvenuto presso un palazzo di Castenedolo, giungendo, nel dopoguerra, ad acquistare l'intera trave facendola smontare dall'edificio su cui era posta.

Ben presto abbandona la produzione degli strumenti tradizionali, anche se molto richiesti, soprattutto dal mercato americano, avviando la sua professione all'arte pura del liutaio, sperimentando e rinnovando, giungendo a produrre un proprio modello esclusivo di violino che lo porterà a distinguersi dalle altre produzioni del momento molto legate al passato. Era riconoscibile principalmente per le punte arrotondate e l'unico filetto di ebano sul contorno della cassa. Ripeteva spesso al figlio Poliuto che "l'artista è un creatore e per questo deve scegliere la sua strada ed andare fino in fondo se non vuole essere solo un falegname di liuti". Aveva approfondito gli studi di acustica con una propria teoria sulla "stabilità armonica" conseguente all'uso di determinati legni e vernici, inventando e costruendo strumenti di misura ed attrezzi originali, oggi conservati presso il Municipio di Castel Bolognese e il locale Museo civico, donati in diversi momenti dai figli Maria e Poliuto. Aveva messo a punto vernici segrete per trattare i suoi violini, che molti reputavano simili a quelle di Stradivari. Di certo con gli Stradivari aveva una certa confidenza tanto da contestare pubblicamente, sugli organi di stampa, la validità di certe attribuzioni di autenticità date ad alcuni strumenti del liutaio cremonese. Anche a lui era stato proposto di realizzare "copie" di Stradivari ma si era sempre rifiutato. Aveva partecipato ad importanti rassegne di liuteria e fatto mostre in Europa e negli Stati Uniti. Era amico di Francesco Balilla Pratella e teneva rapporti con importanti musicisti come Zandonai, Mascagni, Caffarelli. Amava il suo paese ed aveva sempre allontanato le numerose proposte avute per trasferirsi in mercati più vantaggiosi. La sua indiscussa sensibilità artistica era affiancata da notevoli capacita tecniche. Oltre alla liuteria si dedicava alla costruzione di autentiche opere d'ingegno come un sistema di sollevamento e scomparsa per la scala di accesso alla torre civica. È stato sempre partecipe della vita sociale e politica della suo paese.

Dopo la seconda guerra mondiale che aveva portato alla distruzione della torre civica e quasi raso al suolo Palazzo Mengoni, l'attuale municipio, ha progettato e realizzato anche un modello per la sua ricostruzione che prevedeva l'integrazione della scomparsa torre al centro del palazzo ricostruito, progetto che però non venne realizzato. Per il municipio ha disegnato i lampioni in ferro battuto esistenti nel chiostro.

Muore a Castel Bolognese nel 1962. Nel 2003 è stato pubblicato il suo manoscritto liutario "Liuteria tecnofisicacustica" che raccoglie i risultati di mezzo secolo di ricerche, sperimentazioni ed innovazioni del liutaio romagnolo del Novecento.


Personaggi - pag. 10 [2012 - N.45]

Restaurato il "Pugile" dell'Accademia di Belle Arti realizzato nel 1939 per la "Mostra degli Istituti d'Istruzione Artistica" a Roma

Maria Rita Bentini - Docente Accademia di Belle Arti di Ravenna

Un grande mosaico è stato di recente recuperato nell'ambito del corso di Restauro tenuto dalla prof.ssa Notturni nel Biennio Specialistico di Mosaico, con un'indagine conoscitiva che ha portato a rintracciarne la storia e gli autori. Appare nel corposo volume Accademie Patrimoni di Belle Arti (a cura di G. Cassese, Roma, 2013) che ha affiancato Patrimoni da svelare per le Arti del futuro. Primo convegno di studi sulla salvaguardia dei beni culturali delle Accademie di Belle Arti in Italia svoltosi dal 13 al 15 giugno scorso all'Accademia di Belle Arti di Napoli, promosso dal MIUR-AFAM e sotto l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica.
Il punto di vista nuovo, comune alle due iniziative, è la considerazione di un bene culturale speciale, quello costituito dalle Accademie italiane (le venti statali unitamente alle cinque storiche comunali, tra cui Ravenna), non solo in quanto dotate di un patrimonio storico-artistico rilevante - complessi architettonici, archivi, biblioteche, gipsoteche, quadrerie, raccolte di sculture, collezioni di disegni e stampe, fondi fotografici -, ma patrimonio tout court in sè, in continuo divenire e accrescimento in virtù dell'esperienza creativa comune di docenti ed allievi. Sono corredi didattici variegati e complessi, frutto di donazioni, lasciti dei maestri, premi: opere spesso non legate da qualità di capolavoro, ma che "nutrono" e a loro volta "sono nutrite". Un insieme dunque non necessariamente museificabile, da tutelare mantenendone la vitalità, per quella circolazione di modelli, motivi, visioni, che struttura l'apprendimento delle arti visive nel terreno di coltura distintivo delle Accademie di Belle Arti fin dalla loro nascita.
Il capitolo dedicato a Ravenna (curato da me e da Giovanna Montevecchi) ha evidenziato un patrimonio notevole, la cui unitarietà tuttavia, frutto di una storia particolare con l'alternarsi di "vocazioni" diverse a partire dall'origine neoclassica (1827), non si legge nè nell'attuale sede - dove restano i cartoni musivi e alcuni gessi -, nè al Museo d'Arte della città di Ravenna, benchè si conservi qui il nucleo di maggiore pregio del corredo di fondazione - ora riunito nel quadriportico al primo piano - composto da modelli in gesso e da busti marmorei, alcuni di Canova e di Thorwaldsen. La stessa gipsoteca, arricchitasi fino agli anni '30 anche grazie a Corrado Ricci, è in deposito presso il Liceo Artistico, ha pezzi al Museo Nazionale, alla Biblioteca Classense, in magazzini comunali.
Il Pugile rinvenuto nelle aule dell'Accademia allarga ulteriormente le maglie di questo patrimonio. L'opera musiva, realizzata con tecnica diretta utilizzando paste vitree e smalti, era stata posta su tre lastre di calcestruzzo; date le dimensioni (186,5 x 95,5 cm), l'ingente peso aveva causato il disallineamento delle lastre con conseguente perdita di tessere nelle uniture. L'intervento di restauro non ha previsto drastici interventi per la riduzione di peso, visto che l'opera sarebbe rimasta in situ. Dopo la pulitura e il rilievo grafico, le uniture sono state riposizionate, integrando le lacune, mentre la cornice lignea in cattivo stato di conservazione è stata sostituita da un telaio angolare di acciaio, lasciando un bordo rifinito con impasto cementizio.
Dalle ricerche archivistiche unite al progetto di restauro nell'AA. 2010-11, è emerso che l'opera venne realizzata per la Mostra degli Istituti d'Istruzione Artistica, allestita dal 1 ottobre al 15 novembre 1939 a Roma, a Palazzo delle Esposizioni, sotto gli auspici della Direzione Generale delle Antichità e Belle Arti. Come scrive il ministro Giuseppe Bottai nell'introduzione, la rassegna offre alla vigilia della riforma dell'Istruzione artistica un "vastissimo panorama" (Scuole d'arte, Istituti, Accademie) per mostrare l'identità di Istituzioni in cui si pratica "l'inscindibile unità del lavoro della mano e della speculazione fantastica, il concorde e necessario procedere del cervello e della mano".
Ravenna si presentò per l'occasione solo con opere della Scuola del Mosaico: nella seconda sala compaiono copie degli antichi mosaici, dal Buon Pastore del Mausoleo di Galla Placidia alla Teodora di San Vitale, mosaici da cavalletto (Nature morte) e, unico soggetto contemporaneo con figura, questo Pugile. Dagli Atti dell'Accademia si apprende che Renato Signorini e Libera Musiani ne furono i creatori su progetto pittorico di Cafiero Tuti, docente di Decorazione, dovendo rappresentare l'eccellenza in un tema classico-contemporaneo. L'opera, dalla cromia verdastra per evidenziare la monumentale anatomia, raffigura un pugile a riposo: l'atleta, seduto, è avvolto in un ampio mantello giallo-arancio e ha le mani ricoperte dai caestus come nell'iconografia romana. Il suo volto ricorda quello di Carnera, icona degli ideali di regime.

La Pagina della Accademia di Belle Arti di Ravenna - pag. 10 [2013 - N.48]

Una notevole testimonianza dell'edilizia privata di età romana nell'Italia settentrionale da tutelare e valorizzare

Federica Cavani, Emanuela Grimaldi - SABAP Ravenna

A seguito della nuova riorganizzazione del MiBACT prevista dal DM 44 del 23/01/2016 la Soprintendenza di Ravenna, a partire dall'11 luglio 2016, ha acquisito competenze anche in materia archeologica, mutando la sua denominazione in Soprintendenza Archeologia, Belle Arti e Paesaggio per le province di Ravenna, Forlì-Cesena e Rimini. A fronte di tale cambiamento anche la villa romana di Russi è passata sotto la tutela e gestione della Soprintendenza ravennate. Si tratta di un'area archeologica che, grazie al suo buon livello di conservazione e alle numerose attività di ricerca e studio, conservazione e manutenzione programmate dall'ex Soprintendenza per l'Archeologia dell'Emilia Romagna, spesso in sinergia con l'Università di Bologna e gli Enti locali, rappresenta un importante esempio di villa urbano-rustica di età romana. Attestata a partire dalla tarda età repubblicana rimase in uso fino alla fine del III o del IV secolo d.C., quando venne distrutta da un incendio. Dopo un periodo di abbandono, intorno al V secolo alcuni settori furono interessati da limitate attività costruttive che si protrassero fino al suo utilizzo come cava di materiali edilizi e luogo di sepoltura. Tra il IX e il XVI secolo il vicino fiume Lamone la ricoprì progressivamente di una spessa coltre di argilla, garantendone nei secoli successivi "un'efficace protezione". A partire dal 1938, anno della sua fortuita e casuale scoperta, nella villa di Russi si sono riportati in luce vari ambienti, da quelli termali a quelli propriamente residenziali (1951-1954), da quelli produttivi (1956) a quelli esterni dell'orto e del frutteto, fino al 1996 quando si sono indagati i tre pozzi individuati all'interno della struttura. A questa intensa attività di scavo si è così affiancata un'attenta attività di restauro e consolidamento che ha determinato il riposizionamento dei mosaici in situ e il rifacimento di parte degli alzati. La villa romana di Russi, nata essenzialmente con fini agricoli, nel corso del I secolo a.C. e della prima età imperiale, in concomitanza con lo stanziamento della classis praetoria a Ravenna, divenne anche una delle residenze di quella nobilitas costituita da senatori e patrizi che vedeva nella regione il serbatoio economico e, in parte, politico dello stato romano. L'impianto della villa, nella sua fase di massima espansione, doveva avere un'estensione più ampia rispetto a quella attualmente visibile. La pars rustica adibita alle attività produttive e allo stoccaggio dei prodotti occupava un'area estesa posta a nord-est del peristilio centrale in continuità con la parte residenziale. Quest'ultima si doveva presentare, soprattutto nelle sue fasi più importanti, in parte decorata con mosaici pavimentali, ripetitivi e omogenei, a motivi geometrici prevalentemente in bianco e nero. Alle pareti affreschi a imitazione di lastre marmoree si alternavano a decorazioni più complesse con tralci vegetali, fiori e volatili. Un muro di recinzione, ornato di lesene e realizzato nel corso della prima metà del II secolo d.C., racchiudeva al suo interno, oltre agli impianti residenziale e rustico, un'ampia area adibita a frutteto, scenario per quanti passeggiando nell'ambulacro si dirigevano verso le terme, luogo di igiene e al contempo ambiente dedicato allo svago e al divertimento, che ci attesta ancora una volta la presenza in Cisalpina della classe agiata e dirigente dell'epoca.

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 10 [2016 - N.57]

Pittore, valente incisore, docente e direttore, e uomo di cultura impegnato nella tutela del patrimonio artistico ravennate

Gioia Boattini - Sistema Museale della Provincia di Ravenna

"Vittorio Guaccimanni [...] ha fra gli altri, il merito grandissimo, comune a pochi dei nostri, di aver colto e reso il paesaggio ravennate, pinete e acquitrini, bassure e orizzonti, pianura e marina, verdi silenzi e solitudini animate".
Con queste parole Santi Muratori nel 1928 descriveva la produzione artistica del ravennate Vittorio Guaccimanni, auspicando la realizzazione di una mostra che ne esponesse le opere, assieme a quelle del fratello Alessandro, anch'egli artista.
Nato nel 1859 da una famiglia aristocratica, Vittorio Guaccimanni fu allievo di Arturo Moradei, il pittore fiorentino che nel 1870 si trasferì a Ravenna dopo aver vinto la cattedra di Pittura presso la locale Accademia di Belle Arti. L'influenza del realismo, venato di un pacato sapore intimista, del maestro toscano si riflette nei primi orientamenti artistici di Guaccimanni, così come l'introduzione, da parte di Moradei, di quei soggetti (paesaggi, contadini, tramonti sui canali, pinete) che connoteranno la pittura di genere a Ravenna per tutto il Novecento.
Noto in città per i suoi interessi politici, non ancora ventenne Guaccimanni prese parte a quella spedizione anticlericale che, guidata dall'allora sindaco di Ravenna Silvio Guerrini, nella notte fra il 15 e il 16 luglio 1878 atterrò la Madonna che si ergeva sulla colonna di piazza del Duomo.
Artista dello spiccato talento di disegnatore, all'inizio della sua carriera si dedicò ai ritratti e ai dipinti di battaglie e di cavalli, in cui sperimentò varie tecniche, dalla pittura a olio all'acquerello, al pastello. A proposito di questa sua produzione, e del particolare apprezzamento che riscosse, si ricorda quello che scrisse sulle pagine del Corriere della Sera una penna autorevole come quella di Ugo Ojetti: "Guaccimanni è un disegnatore di cavalli e soldati che ormai, morto il Fattori, non ha l'eguale in Italia".
Fin dall'inizio degli anni Ottanta partecipò a importanti esposizioni nazionali e internazionali, durante le quali riportò numerosi riconoscimenti e premi, e che furono occasione per tessere contatti e conoscenze: Milano, Roma, Torino, Monaco, Parigi, Vienna, Dusseldorf, Venezia, Bruxelles, Buenos Aires e Londra, nel 1916, quando prese parte alla Esposizione Internazionale d'Incisione Italiana.
Date le sue doti nel campo della grafica, grande interesse e impegno dedicò all'incisione, in particolare a quella all'acquaforte, spesso arricchita con interventi all'acquatinta. Ed è in questo campo che forse maggiormente si rivela la sua raffinatezza di artista e il suo racconto, così delicatamente partecipe, diviene più lirico e suggestivo: i soggetti dei suoi fogli sono i temi prediletti, indagati anche attraverso altre tecniche e quasi sempre tratti dalla realtà locale, quali monumenti, scene militari, ritratti, paesaggi, raffigurati con grande sensibilità e fine osservazione, e resi con straordinario effetto pittorico.
Particolarmente affascinanti sono le molte acqueforti dedicate alla pineta ravennate, in cui la vegetazione assume un ruolo centrale, assurgendo al rango di vero e proprio monumento, imponente ed evocativo, che come tale va protetto e salvaguardato. Colpisce la sintonia dimostrata in questo con un suo illustre concittadino, il giurista e politico Luigi Rava, che nel 1905 legò il suo nome alla prima legge di tutela paesaggistica d'Italia, indirizzata, appunto, alla "conservazione della Pineta di Ravenna".
Oltre che valente artista, Vittorio Guaccimanni è stato un apprezzato maestro, che ha avuto un ruolo importante nella formazione degli allievi dell'Accademia di Belle Arti di Ravenna, della quale è stato a lungo docente e, dal 1902, anche direttore. Fu sotto la sua direzione che venne istituito il primo corso di mosaico e che si realizzò quell'apertura, in linea con il cambiamento culturale diffusosi nella seconda metà dell'Ottocento sul modello del movimento inglese delle Arts & Crafts, alle arti industriali e applicate e che vide l'affiancarsi, all'interno delle aule accademiche, di artisti e artigiani, verso una rivalutazione delle cosiddette 'arti minori'.
Guaccimanni fu una delle personalità di spicco del panorama culturale della Ravenna del suo tempo, in costante e amichevole contatto con Corrado Ricci, e come questi attivamente impegnato nel campo della tutela e della valorizzazione del patrimonio storico-artistico cittadino.
Morì, quasi ottantenne, il 3 giugno del 1938.

Personaggi - pag. 10 [2017 - N.58]

Castel Bolognese: un Museo all'aperto per lo "scultore degli angeli"

Valerio Brunetti - Responsabile Museo Civico di Castel Bolognese

Angelo Biancini, nato a Castel Bolognese, è stato uno dei protagonisti della scultura italiana del novecento e il principale riformatore negli ultimi cinquant’anni dell’arte della ceramica a Faenza, città dove ha sempre svolto la sua attività di artista e insegnante presso l’Istituto d’arte che, fondato da Gaetano Ballardini nel 1916, è divenuto una delle più importanti officine artistiche italiane del settore ceramico. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1988 quando aveva quasi 77 anni, alcuni importanti eventi, come le mostre di Brisighella, Poppi e Castel Bolognese, hanno celebrato questo estroverso artista romagnolo, le cui opere si conservano nei più importanti musei e collezioni e che qualcuno definiva anche lo scultore degli angeli per la grande varietà di forme con cui amava rappresentarli. La mostra di Castel Bolognese, svoltasi tra l’ottobre e il dicembre 1994 ed ambientata nella centrale piazza Bernardi e nella grande chiesa di S. Francesco, doveva rappresentare una traccia concreta per la realizzazione di un Museo Biancini a cui l’amministrazione comunale aveva iniziato a lavorare a pochi anni dalla sua morte. Nella ex-chiesa di S. Maria, gioiello architettonico del settecento, era stato individuato il contenitore ideale per attuarlo. I costi proibitivi per il recupero del monumento in tempi brevi ma soprattutto il grande successo che l’installazione all’aperto delle grandi opere di Biancini aveva suscitato nei visitatori e nei castellani durante l’esposizione, hanno portato a pensare la realizzazione di un museo all’aperto dedicato all’artista. Grazie alle numerose opere messe a disposizione dalla famiglia Biancini pezzi unici, prove di fusione, multipli che sono andate ad affiancarsi ad altre che negli anni si erano stratificate nell’ambiente castellano, è stato realizzato un percorso artistico che coinvolge alcuni degli spazi più qualificanti del paese, come gli accessi al centro storico, la piazza e il loggiato del Municipio, la chiesa di S. Sebastiano. Le opere, principalmente sculture a tutto tondo di notevoli dimensioni, sono state collocate su appositi basamenti inseriti in piccole aiuole rialzate, corredate di verde e di propria illuminazione. Alle opere preesistenti, tra cui l’albero in bronzo del monumento allo sminatore, i derelitti del cortile del Municipio, il pannello in memoria di Armando Borghi, oggi si affiancano tante nuove opere, alcune delle quali rappresentano tappe fondamentali nel percorso dell’artista. Troviamo, solo per citarne alcune, una replica della Madre del legionario alla chiesa di San Sebastiano, opera del 1935; il Campanaro con civetta, enigmatico bronzo del 1957 collocato sulla via Emilia; il Montone, moderna scultura del 1972, presso le scuole Bassi. In piazza, insieme ad altre opere, anche una prova per il Don Minzoni del monumento di Argenta.

Speciale musei all'aperto - pag. 11 [2002 - N.13]

L’attività didattica del Centro Etnografico della Civiltà Palustre ha prodotto le originali mostre-laboratorio itineranti che hanno toccato i più importanti centri dell’Emilia-Romagna

Maria Rosa Bagnari - Responsabile del Centro Etnografico di Villanova di Bagnacavallo

Nel 1985 il Centro Etnografico della Civiltà Palustre inizia la sua opera di ricerca e recupero, legata al mondo della valle e alle attività specifiche svolte a Villanova di Bagnacavallo. Solo nel 1987, dopo due anni d’esperienze di laboratori svolti, su richiesta, nelle scuole elementari e medie, si è iniziato a ragionare sui criteri espositivi da adottare, impostando un programma didattico di base. Il primo obiettivo è stato la realizzazione della raccolta, che privilegia i reperti che evidenziano il rapporto dell’uomo con il mondo della valle, con particolare attenzione ai manufatti realizzati usando le vegetazioni spontanee di queste zone, costruiti con tecniche d’intreccio medievali e ottocentesche. Il principio di esposizione del materiale didattico vuole sfatare l’idea di realtà museale vetusta, scartando a priori il nome Museo, senza sigillare tutti gli oggetti sotto teche e senza percorsi monotoni e disseminati di cartelli esplicativi invadenti. Il secondo obiettivo, focalizzato sulla scuola, è stato quello di individuare con la collaborazione degli insegnanti le carenze informative in materia di "cultura del territorio". I luoghi nei quali avviene l’informazione didattica, pur non essendo adeguati, non mancano di fornire all’utente percezioni sensoriali, quali un odore particolare e un colore predominante che carpiscono l’attenzione ancora prima delle ricostruzioni ambientali. Il dialogo con il gruppo o la scolaresca propone una sintesi di argomenti utili come chiave di lettura, adottando un linguaggio semplice e facilitando l’apprendimento con audiovisivi ed illustrazioni. Con rispetto assoluto per la raccolta, si sono creati luoghi d’istruzione che rappresentino la quotidianità in modo vivo, autentico e dinamico. Nella sezione denominata la câmbra d’in ca il visitatore può prendere in mano gli oggetti e osservare da vicino le trame. In questo classico ambiente domestico villanovese si offre anche l’opportunità di provare l’antico telaio verticale per la costruzione delle stuoie e di tentare la costruzione delle funi vegetali, con l’assistenza del Cantiere aperto, un gruppo di artigiani anziani che detiene il bagaglio inalterato delle tecniche di manipolazione dell’erba palustre. Seguiti dal responsabile della didattica essi prestano la loro opera volontaria in modo che s’interrompa la visita d’istruzione con un importante momento libero, ricreativo, di contatto e di solidarietà fra le generazioni, che il bambino porta con sé. In questi momenti della visita si propone l’antropologia come materia viva e non come semplice esercizio della memoria. I progetti didattici si realizzano sia dentro, che fuori della sede museale: all’interno della scuola, nella zona rurale o palustre ravennate, sulla pubblica piazza ecc.. I percorsi possiedono i caratteri della sperimentalità e rispondono alle richieste della scuola, dalla materna fino all’università: recentemente il Centro ha collaborato, su richiesta della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali di Ravenna, al progetto La nave di Magan, un cantiere archeologico navale sperimentale che prevede la ricostruzione di una nave realizzata con 7 tonnellate di canna e 15 km di fune di erba palustre fatta a mano. Il progetto ha preso il via in seguito al ritrovamento, nel Sultanato di Oman, di alcuni frammenti di calafatature di imbarcazioni risalenti al 2300-2100 a.C. Sin dai primi tempi il Centro ha prestato molta attenzione a quella fascia di pubblico che difficilmente si accosta ai musei, con una serie di progetti rivolti al week end della famiglia. Il programma didattico di base, invita il bambino a sostenere una piccola lezione informativa alla famiglia e in seguito ad accompagnare i genitori a visitare il Museo. La Sagra della Civiltà delle erbe palustri, iniziativa a scopo evocativo e contenitore di una vastissima gamma di laboratori, viene come momento celebrativo di un anno di ricerca, e attira un vasto pubblico sia nazionale che estero. Un particolare progetto triennale porta il titolo Il Museo viene da te: si tratta di mostre-laboratorio itineranti, che dal 1996 al 1998, sono state portate nei più importanti centri commerciali dell’Emilia Romagna, insieme ad enti quali la Publitimeanimazioni di Milano. Da tutto ciò si potrebbe dedurre che questo centro sia una realtà affermata e consolidata, invece nuovi progetti vengono realizzati da una piccola associazione di volontari, spinti dai principi del bioregionalismo, che sperano in un futuro di poter operare all’interno di un ecosistema museale.

Speciale didattica museale - pag. 11 [2002 - N.15]

Due ambienti suggestivi nel centro di Cotignola dove Magnani e Varoli, ceramista e pittore dei paesaggi e dei gatti il primo e pittore, ceramista, scultore e musicista il secondo, solevano incontrare i giovani per infondere in loro la passione per l’arte

Mario Baldini - Presidente Associazione Culturale "Primola"

Che abbiano spiccato il volo i colombi della colombaia di Magnani? Nel cortile interno della sua Casa, la colombaia, che ha realizzato insieme all’amico Dovilio, e i suoi colombi di ceramica raccontano un suo sogno. Nell’itinerario di Cotignola, città di artisti, la Casa di Arialdo è una meta poetica. Perché Magnani, artista dei paesaggi e dei gatti, aveva l’anima del poeta e lo sguardo del fanciullo, che sapeva stupirsi, anche quando, da vecchio, la malinconia e gli anni gli prendevano il cuore. Possiamo entrare? Magnani dondolando ti accoglieva calorosamente, con la sua espressione malinconica ed affettuosa, un personaggio umorale con una profonda interiorità, e nello stesso tempo timido fino a mostrare, nei momenti difficili, le proprie fragilità. Benvenuti nella casa dei clown. Magnani vi ha vissuto fino al 1999, quando è morto. La sua casa è tappezzata di clown, che ritrovi in tutte le sue opere, nelle ceramica, nei ritratti e nei paesaggi, nei quadri e negli armadi. I loro profili sono l’alter ego dell’artista che soleva partire alle cinque del mattino con la sua auto e il suo cavalletto per dipingere l’alba di un paesaggio. Magnani voleva bene ai bambini e gioiva quando li vedeva appassionarsi all’arte. Si interessava sempre su ciò che facevano nella vicina Scuola Arte e Mestieri, quella scuola, dove lui, negli anni della gioventù, fu accolto e avviato all’arte da Varoli, padre e maestro, senza il quale, sarebbe rimasto - così diceva di sè - un "povero disgraziato". Da Casa Magnani, passando nel giardino Bacchettoni dove sorgeva un antico Palazzo distrutto dalla Guerra, si incontra Casa Varoli, la casa del Maestro, in cui si sono ritrovati e formati gli artisti di un’intera generazione della nostra provincia: Umberto Folli, Giulio Ruffini, Gaetano Giangrandi, Renzo Bandoli, Primo Costa, Sante Ghinassi, Fioravante Gordini, Antonio Guerrini, Aristodemo Liverani, Ettore e Domenico Panighi, Giovanni Savini, Olga Settembrini, Renzo Morandi, il musicista Genunzio Ghetti e tanti altri. In questa casa, aperta a tutti, Varoli sapeva infondere passione e curiosità su tutti i versanti. Era una casa rinascimentale delle arti e della cultura: musica, pittura, ceramica, scultura, cartapesta, archeologia, poi politica e libertà. Negli anni delle leggi razziali del fascismo, in questa casa hanno trovato la salvezza anche gli ebrei. Di fronte al cortile di Casa Varoli, al primo piano del Palazzo Sforza, il Comune di Cotignola ha realizzato il museo Varoli, che espone le opere del Maestro lasciate al comune. Le maschere, i ritratti, le ceramiche e le molteplici opere realizzate utilizzando gli strumenti poveri di cui disponeva. Vale la pena di visitare questo museo, perché si respira il clima culturale di un’artista che fu una personalità davvero straordinaria per l’intera storia della nostra provincia. Balilla Pratella nel 1943 scriveva di Varoli: "nessuno è mai riuscito a strappargli dagli occhi il velo azzurro delle illusioni e dei sogni... ha salvato e salva i giovani artisti solitari della Romagna." Nel cortile del Palazzo Sforza, si può infine visitare la Stele funeraria di Caio Vario, recentemente restaurata e valorizzata tramite una serie di pannelli realizzati dal Comune di Cotignola e dai Beni Archeologici dell’Emilia Romagna. Un monumento di un liberto di alto pregio architettonico ed epigrafico che rappresenta una testimonianza del passato romano di Cotignola di grande interesse archeologico.

Speciale musei nascosti - pag. 11 [2003 - N.16]

Il fondo principale della biblioteca è costituito dalla donazione di Maria e Bianca Brandolini sorelle del grande ornitologo, naturalista e cacciatore, Alfredo

Linda Kniffitz - Bibliotecaria

La collezione libraria del Museo Ornitologico e di Scienze naturali di Ravenna deriva per buona parte dal lascito delle sorelle Brandolini, Maria e Bianca, che donarono al Comune, nel 1967, la collezione di uccelli imbalsamati, corredata di repertori specialistici, del fratello Alfredo, grande ornitologo, naturalista e cacciatore. La collezione è stata poi accresciuta con donazioni e acquisti di numerose opere specialistiche di varie branche delle scienze naturali. Alfredo Brandolini, agronomo e possidente terriero, aveva collezionato numerose specie di uccelli italiani, in particolare gli esemplari del ravennate, e alcune specie esotiche, soprattutto africane. Con altrettanta passione aveva creato una raccolta di volumi con l’intento di costituire un supporto allo studio e alla catalogazione della collezione ornitologica, ma anche col gusto del collezionista di rarità librarie: nella biblioteca si trovano alcune fra le prime opere a stampa di argomento ornitologico: l’Histoire de la nature des oyseaux di Belon (1555), la Historia Animalium di Gessner (1583), l’opera di Aldrovandi Ornithologiae e l’Uccelliera di Olina. Fin dalle prime edizioni i volumi vengono corredati di illustrazioni per facilitare la ricerca tassonomica, oppure si stampano serie di incisioni sciolte a guisa di repertori inconografici, come le due belle serie a bulino, di Henry Leroy (1579 - post 1651), dal titolo La volière des oiseaux. L’opera viene recensita dai repertori più noti (Nagler, Le Blanc) come un’unica serie, ma in realtà consta di due serie numerate separatamente: la prima formata da 7 stampe più il frontespizio, ove sono descritte varie specie ornitologiche raggruppate con criteri eterogenei, e senza rispettare le proporzioni, la seconda di 6 stampe con varie specie di volatili fra tralci vegetali e fiori. Particolarmente ricchi di immagini sono i libri sulla caccia, libri che esemplificano non tanto o non solo le caratteristiche fisiche delle prede più ambite, ma anche le varie tecniche praticabili per raggiungere la cattura. La riforma linneana ha facilitato lo studio sistematico degli uccelli, promuovendo la compilazione di repertori di avifauna e dando impulso a raccolte pubbliche e private: tra il XIX e l’inizio del XX secolo si stampano le opere dei principali ornitologi, quasi tutti presenti in biblioteca. La raccolta Brandolini si distingue anche per lo spazio dato alle opere di studiosi locali: se si guarda in particolare alla cultura ravennate della prima metà del ‘700, si rileva come all’interno della famiglia Ginanni, nell’arco di due generazioni, si compiano degli importantissimi approfondimenti dei fenomeni naturali. Giuseppe Ginanni, pubblica nel 1737, l’opera Delle uova e dei nidi degli uccelli, che contiene anche due saggi di Osservazioni e dissertazioni sopra varie spezie di cavallette: l’opera non contiene elementi di novità, lo schema tassonomico, impostato su tre classi, è ancora quello proposto dall’Aldrovandi. Dopo la sua morte, avvenuta nel 1753, il nipote Francesco dà alle stampe due opere postume sulle piante del mare Adriatico e sui testacei marini dal titolo Opere postume del conte Giuseppe Ginanni. Fa inoltre pubblicare il volume Produzioni naturali che si trovano nel Museo Ginanni, catalogo del museo curato da Giuseppe, in cui si riserva la cura delle note, aderendo agli schemi tassonomici del Linneo. A proprio nome Francesco Ginanni fa stampare nel 1759 Delle malattie del grano in erba, dopo aver condotto ricerche di patologia vegetale per quattro anni, in veri e propri campi sperimentali, differenti per caratteri pedologici, nell’interesse di una società che fondava il suo sostentamento sulla produzione cerealicola. La Istoria civile e naturale delle pinete ravennati, uscita postuma nel 1774, rimane tuttora, dopo più di due secoli, il punto di partenza e di riferimento per qualsiasi studio sulle pinete ravennati: un’opera di larghe vedute che coniuga storia civile, ricerca scientifica e tutela paesaggistica, seppure non scevra da posizioni conservatrici, che giunge a comporre un moderno studio integrato dell’ambiente. Pagine particolarmente sentite sono quelle dedicate alla raccolta dei pinoli, attività che porta al popolamento temporaneo delle pinete da parte di povera gente, costretta a condurre una vita dura e senza prospettive. Questa biblioteca, raccolta documentaria non grande ma specializzata, costituisce un catalogo bibliografico di una materia straordinaria: la natura vivente. Attraverso le ricerche compiute nell’arco di secoli sull’universo vegetale e animale possono scaturire infiniti spunti di ricerca o di revisione, nuovi strumenti di lavoro relativi a un paesaggio, a un ambiente, a una fisionomia animale e vegetale, a uno scenario vivo che ci riguarda e che dobbiamo custodire con affetto responsabile.

Speciale biblioteche dei musei - pag. 11 [2002 - N.14]

A due anni dalla chiusura il Museo, dopo gli interventi di ristrutturazione, si presenta con una superficie espositiva raddoppiata che permetterà di accogliere tutti i cimeli storici riferiti all'eroe lughese che finora si trovavano dispersi in altre sedi

Daniele Serafini - Servizio Cultura del Comune di Lugo

Dopo due anni di chiusura per lavori di ristrutturazione riapre nel mese di maggio a Lugo il Museo "Francesco Baracca". I lavori hanno consentito di consolidare l'edificio, in particolare il tetto e la facciata, e di abbattere le barriere architettoniche, mediante la messa in opera di un ascensore che collega i tre piani del palazzo, riedificato in stile liberty agli inizi del Novecento. Questo intervento raddoppia la superficie espositiva del museo che potrà finalmente ospitare un numero significativo di cimeli, arredi, documenti: un ricco patrimonio che dal 1924 al 1990 era stato collocato nelle precedente sede museale all'ingresso della Rocca estense e che con il trasferimento del 1993 a Casa Baracca (casa natale dell'Asso dell'Aviazione) non aveva potuto trovare adeguata sistemazione. Il nuovo allestimento conferma la centralità dello SPAD VII S 2489 (a cui il cantautore Francesco De Gregori ha dedicato un bel brano nel suo ultimo album "Amore nel pomeriggio"), l'aereo di fabbricazione francese (1917) restaurato nel '93 con un intervento di tipo filologico, posizionato nella sala alla destra dell'androne d'accesso in modo da evocare l'idea del volo. Lo SPAD VII rappresenta senza dubbio un inestimabile cimelio tecnologico dell'aviazione mondiale, essendo uno dei pochi esemplari che si possono ammirare, oltre a quelli presenti al Museo di Vigna di Valle nei pressi di Roma e al Musée de l'Air et de l'Espace di Parigi. L'allestimento prevede una sezione documentaria dedicata agli albori dell'aviazione, di cui Baracca è stato uno dei pionieri; una sala riservata alla dimensione privata dell'eroe con la ricostruzione della camera da letto e la presentazione di alcuni effetti personali; una stanza che documenta medaglie, attestati, riconoscimenti ricevuti nel periodo che va dal '15 al '18; una sezione incentrata sulla formazione e persistenza del "mito" di Baracca, attraverso lettere, giornali, pubblicazioni, oltre ad un filmato realizzato in collaborazione con Union Comunicazione e ad una postazione da cui sarà possibile navigare nel nuovo sito Web del museo (ricchissimo di notizie, immagini, materiali e di link con i più importanti musei dell'aviazione al mondo), che verrà presentato in occasione dell'inaugurazione prevista per la prima metà di maggio. Sono inoltre in corso contatti con la Scuderia Ferrari al fine di poter collocare nel museo una delle vetture di Maranello, in modo da sottolineare il legame, ampiamente documentato attraverso la storia del cavallino rampante, tra la famiglia Baracca ed Enzo Ferrari e tra due diverse epoche dell'avventura tecnologica del secolo scorso. L'imminente riapertura del museo coincide con una forte ripresa di interesse sulla figura di Francesco Baracca. Negli ultimi mesi sono infatti usciti vari servizi giornalistici su riviste italiane e straniere, favoriti anche dalla vittoria della Ferrari nel Mondiale di Formula Uno. Il monumento a lui dedicato (1936), opera dello scultore faentino Domenico Rambelli, è stato al centro di un programma televisivo andato in onda su RAI 3. Recentemente, infine, due studiosi genovesi, Irene Guerrini e Marco Pluviano, hanno dato alla stampe un bel libro Francesco Baracca, una vita al volo. Guerra e privato di un mito dell'aviazione (edizioni Paolo Gaspari, Udine, 2000), frutto di una ricerca decennale, che indaga sapientemente sulla nascita dell'ideale del "cavaliere del cielo" a partire dagli inizi della sua folgorante carriera sino alla morte durante la battaglia del Piave il 19 giugno 1918.

La pagina del conservatore - pag. 11 [2001 - N.10]

Giovanni Montanari - Archivista arcivescovile

Questo Giubileo dell'Anno 2000 potrebbe passare alla storia come uno degli Anni Santi più significativi non solo per la Chiesa Cattolica e per la cristianità, ma per le vicende del mondo. In effetti, la centralità di Roma e la riconquista di una posizione prominente dell'Europa almeno dal punto di vista della storia culturale, sembrano rappresentare per il mondo intero, una fortunata stagione di civiltà. Mai come in questo Giubileo, infatti, non solo Roma ma le altre città d'arte in Italia, e le capitali europee sono state visitate da tanti milioni di pellegrini e di turisti: si tratta di uno degli aspetti della globalizzazione, ma l'Anno di questo Giubileo contiene pure altri nodi intricati della fine del secolo: la questione medio-orientale, le guerre civili africane, i mutamenti nel Sud-Est asiatico e nel mondo della Cina. La dialettica della civiltà in Europa e nel mondo, causa problemi a non finire per le Nazioni Unite e mette a dura prova anche la potenza più forte degli Stati Uniti d'America. La facilità con cui non pochi osservatori hanno visto, in questo Giubileo, una forte affermazione del Papato nella persona di Giovanni Paolo II e una tenuta ben consolidata dell'istituzione più antica dell'Occidente (la Chiesa cattolica), è controbilanciata da note critiche non solo di parte protestante, ma anche di osservatori cattolici. Ciò che pare resistere ad ogni critica è la capacità principale della cristianità. Cioè, con parola usata, il Vaticano. Chi conosce il Vaticano sa che i palazzi Apostolici, oltre il Papa stesso, ospitano quattro istituzioni di governo della cultura e di analisi mondiale della civiltà: la Segreteria di Stato, l'Archivio Vaticano, la Biblioteca Vaticana, i Musei Vaticani. Un arsenale culturale di queste dimensioni, in un certo senso erede della Curia imperiale romana, non fatica a tastare il polso del mondo. La diplomazia pontificia che, massimamente, fa capo alla Segreteria di stato, è una delle diplomazie internazionali dotate di maggiore continuità e coerenza nella analisi e "intelligenza" degli affari umani nella storia. La geografia moderna, la produzione di grammatiche delle lingue asiatiche ed africane per le Missioni cattoliche sono state imprese di officine tipografiche romane confluite, in Vaticano, nella Poliglotta vaticana. Tutto questo, e molto altro, potrebbe spiegare il fenomeno della resistenza del Papato, che indice Anni Santi da sette secoli. Ma l'Anno Santo di Pio XII, il Giubileo del 1950 (il più rimarchevole prima del presente), quali caratteristiche dimostra? Per chi scrive, già studente di teologia sotto un arcivescovo della taglia di quell'ecclesiastico conciliare che sarà il Cardinale di Bologna Giacomo Lercaro, i ricordi sono molti. Ma ai ricordi personali della prima visita a Roma, da Ravenna, in quel discrimine temporale che era ancora l'immediato dopoguerra, preferisco sostituire alcune riflessioni di aggiornamento. La guerra aveva devastato l'Europa: Roma stessa era stata bombardata, e una delle sette basiliche del Giubileo, san Lorenzo fuori le mura, giaceva ancora colpita, come cantiere di ricostruzione. Ricostruzione fu la categoria italiana, la categoria europea, soprattutto per la Germania e per l'Italia: le Nazioni traviate dalle dittature che in maniera tanto criminale, contro i diritti dell'umanità avevano scatenato il conflitto. Oggi, nonostante le emotive spinte interpretative di segni opposti, si può dire che la Chiesa dell'Anno Santo di Papa Pacelli stava protagonista di grande mediazione verso i reali ideali della giustizia e della pace. A Roma si guardava, anche da parte delle maggiori potenze europee, come alla città della civiltà, nonostante il recente passato del ventennio della dittatura complice perfino della Shoah. L'Anno Santo di questa Roma fu segnato dalle grandi speranze della democrazia, della libertà, della giustizia. Il motto papale: "la pace è opera della giustizia" (opus iustitiae pax) in tre parole latine sacrosante tornò ad avere un significato mondiale. Le giornate dei Ravennati a Roma, guidato dall'Arcivescovo Lercaro, consentirono un rinnovato ritorno di Ravenna a Roma. Alle presunte parate imperiali del regime succedettero sfilate di processioni di fede. L'unità della Nazione si consolidava nelle sue vere radici umane e cristiane.

Speciale Giubileo - pag. 11 [2000 - N.9]

Scopritore del maestro fiorentino Biagio d'Antonio, con la sua attività di ricerca e di studio ha contribuito a far luce su diverse attribuzioni rimaste incerte per anni

Giorgio Cicognani - Ispettore ai Beni Artistici e Storici

Storico, studioso d'arte, ma soprattutto documentalista d'eccezione, con un drenaggio sistematico degli archivi cittadini riuscì a comporre il quadro pressoché completo dell'attività dei pittori a Faenza in epoca rinascimentale, impresa poi pubblicata nello splendido testo La pittura faentina dalle origini alla metà del Cinquecento. Uscita dapprima a puntate sulla rivista "Valdilamone", tra il 1933 e 1934, l'opera venne raccolta nel 1935 in un agile ma robusto volume, la cui parte forse più entusiasmante (l'identificazione cioè della personalità artistica di Biagio d'Antonio) era già prontamente registrata nel 1934 da Roberto Longhi. Il grande critico non mancò poi di darne conto nell'Officina ferrarese uscita appunto in quell'anno, a riprova del fervido dialogo scientifico esistente fra i due, che di fatto pone Carlo Grigioni su una ribalta di prim'ordine, annullando il pregiudizio contemporaneo che lo vorrebbe relegato in una dimensione oscuramente provinciale. Carlo Grigioni, nato a Forlì nel 1871, moriva il 23 giugno 1963 all'età di 92 anni. Faenza è la sua seconda patria, e qualcuno lo ricorda ancora qui, all'archivio della Cattedrale e alla Biblioteca Comunale, curvo su antichi protocolli, intento a trascrivere. Così lo ricordava Mons. Antonio Savioli: "… il suo è un viso da archivio, se così si può dire: due piccoli occhi aguzzi per vedere a fondo in quei misteri scoloriti, un naso appuntito per meglio fiutare le notizie, una trasparenza tranquilla e quieta, come si addice ad uno storico imparziale". Il dr. Grigioni si laureò in medicina e chirurgia a Bologna nel 1894, esercitando la professione prima a Forlì, poi a Ripratansone di Ascoli e di nuovo in Romagna a S. Mauro. Durante la prima guerra mondiale fu capitano medico di campo al Corso, poi all'ospedale militare di Milano. Nella capitale lombarda, nel 1917, entrò a far parte del Touring Club come redattore delle Guide d'Italia, dedicandosi definitivamente all'attività letteraria. Nella sua lunga carriera consultò archivi dovunque da Napoli a Milano, particolarmente quelli delle Marche, Romagna e Roma, schedando migliaia di documenti che utilizzò poi in saggi e studi. La devozione di Grigioni alla nostra città traspare nella bellissima dedica apparsa sul già citato volume La pittura faentina dalle origini alla metà del Cinquecento dove è scritto: "Al genio di Faenza inesausto nei secoli questo libro è devotamente dedicato". A seguito delle sue ricerche, che scoprirono tra l'altro la presenza del grande maestro fiorentino Biagio d'Antonio, gli studiosi E. Golfieri e A. Corbara riuscirono a far piena luce sulle opere di questo importante pittore fino ad allora troppe volte confuso con altri maestri dell'epoca. Ci sembra opportuno segnalare che recentemente è stata pubblicata una splendida monografia del pittore fiorentino a cura di Roberta Bartoli che ricostruisce completamente il suo "iter artistico". Il Grigioni diede anche un contributo più che decisivo alla storiografia ceramica. Chi abbia la pazienza di sfogliarsi le annate della rivista "Faenza" si accorgerà che il lavoro intrapreso da lui fin dai primissimi numeri, continua con impressionante stillicidio. Pubblicazione di notevole spessore è la sua monografia intitolata: Marco Palmezzano, pittore forlivese. Nella vita, nelle opere, nell'arte, edita a Faenza nel 1956, ma l'opera che ha maggiormente prediletto lo studioso è indubbiamente Pietro Barilotto pubblicata nel 1962. Il Grigioni, durante la vita, ha collaborato a moltissime testate di riviste e giornali testimoniando così il suo amore verso la storia locale e l'intera Romagna. Queste brevi notizie non rendono giustizia all'infaticabile ricercatore che ha dedicato tutta la sua esistenza allo studio dell'arte contribuendo a far luce su diverse attribuzioni che per tanto tempo erano rimaste incerte.

Personaggi - pag. 11 [2000 - N.8]

Un convegno internazionale e una serie di celebrazioni collaterali a Faenza su Fra Sabba da Castiglione (1480-1554) per la conclusione dei lavori di restauro al complesso della Chiesa della Commenda

Anna Rosa Gentilini - Direttore della Biblioteca Comunale di Faenza

Si terrà a Faenza, nella Sala del Consiglio Comunale, il 19 e 20 maggio 2000, un convegno internazionale di studi sui vari aspetti della figura di fra Sabba da Castiglione. Fra Sabba, nato a Milano da nobile famiglia, con ogni probabilità nel 1480, dopo gli studi giuridici (interrotti) a Pavia e dopo un soggiorno a Mantova, entrò nell'Ordine dei Cavalieri Gerosolimitani di S. Giovanni Battista (poi Ordine di Malta) nel 1505. Da quella data al 1508 fu a Rodi, avamposto cristiano nella lotta contro i Turchi. Già appassionato ricercatore ante litteram di archeologia, riuscì a procurare, dal suo soggiorno egeo, a Isabella d'Este di Mantova, diversi marmi antichi. Nel 1508, dopo una sosta a Napoli, si trasferirà a Roma dove per sette anni farà vita curiale e avrà modo di coltivare i suoi molteplici interessi culturali che a Rodi aveva dovuto sacrificare. Nel 1515 venne chiamato alla Commenda di Faenza, incarico che accettò per meglio dedicarsi a quegli studi che tanto amava, lontano dalla mondanità, dagli intrighi delle corti e dalla vita militare. La Chiesa della Commenda (S. Maria Maddalena), detta anche "Magione", situata nel Borgo Durbecco sulla via Emilia, risaliva al XII secolo e, all'arrivo di fra Sabba, versava in cattive condizioni di manutenzione poiché i precedenti commendatori non l'avevano scelta per propria abitazione e avevano utilizzato le rendite per altri scopi. Fra Sabba fu un amministratore molto oculato e attento: promosse lavori di totale rifacimento del complesso facendo costruire, a lato della chiesa, l'elegante chiostro rinascimentale, chiamò ad affrescare l'abside della chiesa Girolamo da Treviso, scelse la chiesa come luogo della sua sepoltura e sulla parete di sinistra fece scolpire una epigrafe funebre incorniciata da un grande affresco a chiaro scuro di Francesco Menzocchi. I suoi interessi di studio e di collezionista diedero origine ad una biblioteca, purtroppo oggi dispersa, e ad una raccolta di cimeli artistici, i cui pezzi superstiti sono conservati alla Pinacoteca Comunale di Faenza (busto di San Giovannino, urna cineraria d'alabastro, il San Girolamo penitente, il tavolo intarsiato da Fra Damiano da Bergamo). Figura con molte sfaccettature quella di fra Sabba: allo stesso tempo tardo umanista cristiano e "riformista" in prima linea nella lotta contro l'eresia, collezionista, esteta e fustigatore della corruzione civile e religiosa dei suoi tempi. Suo testamento morale e intellettuale sono i Ricordi, raccolta di precetti didascalici indirizzati al pronipote e pubblicati nella versione definitiva nel 1554 a Venezia da Paolo Gerardo; l'opera ebbe un notevole successo con venticinque edizioni fino al 1613, data oltre la quale non venne più pubblicata. Fra Sabba morì il 16 marzo 1554. Occasione di questa serie di manifestazioni è la conclusione di un lungo lavoro di restauri architettonici alla Commenda, iniziati nell'ottobre 1998 dall'Amministrazione Comunale di Faenza. Le celebrazioni che vengono ora proposte dal Comune di Faenza, con la partecipazione della Provincia di Ravenna, comprendono un convegno, organizzato dalla Biblioteca Comunale, inserito nel programma delle iniziative Bologna 2000, che intende analizzare le molteplici attività di fra Sabba, una mostra, organizzata dalla Pinacoteca Comunale alla Commenda, dei volumi superstiti, delle edizioni dei Ricordi, della sua collezione artistica e una Messa solenne in Cattedrale con le parti mobili in musica del XVI secolo curate dalla Scuola di Musica "G. Sarti" di Faenza. Il convegno, la cui ideazione è dovuta, oltre che alla Biblioteca Comunale, alla Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di Bologna e al Dipartimento di Arti Visive dell'Università di Bologna, vedrà la partecipazione di studiosi di alto livello nelle diverse discipline tra cui: per gli aspetti storici Alberto Tenenti, Adriano Prosperi, Michel Fontenay; per gli aspetti letterari Paolo Trovato, Gian Mario Anselmi; per la parte artistica Giovanni Romano, Clifford Brown, Dora Thornton, Anna Colombi Ferretti, Massimo Ferretti; per la storia architettonica Anna Maria Jannucci. Gli atti del convegno verranno pubblicati.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 11 [2000 - N.7]

La raccolta archeologica è attualmente l'unica aperta in grado di documentare le fasi del popolamento della vallata del Senio dall'età paleolitica al periodo post-medievale

Valerio Brunetti - Responsabile del Museo Civico di Castel Bolognese

Oltre alla sezione artistica, che comprende quasi esclusivamente opere di autori locali, attivi tra il XVI e il XX secolo, il Museo Civico di Castel Bolognese offre altre due sezioni: quella archeologica con reperti che coprono quasi un milione di anni di storia del territorio castellano e quella storica, con oggetti appartenenti a vari aspetti della vita comunitaria. La raccolta archeologica, che conta centinaia di reperti è attualmente l'unica aperta, in grado di documentare le fasi del popolamento della vallata del Senio, dall'età paleolitica al periodo postmedievale. Accanto ad una piccola sezione con fossili della zona, i materiali archeologici accompagnano il visitatore ad una lettura delle vicende umane che hanno interessato Castel Bolognese: attraverso pannelli illustrati, in corso di allestimento, è possibile cogliere gli aspetti più significativi di ogni periodo storico documentato. Le sezioni preistorica e protostorica comprendono numerose tipologie di utensili in pietra del Paleolitico e ceramiche, corna di cervo, macine da insediamenti del Bronzo e del Ferro. La parte romana, con monete, ceramiche, vetri, oggetti in metallo ed osso, testimonia il fitto popolamento del territorio comunale, attraversato dalla via Emilia e ancora oggi centuriato. Assieme ad alcuni corredi funerari, costituiti da vasellame, sono state ricostruite due tombe, una "alla cappuccina" ed una "a cassa"; provengono, invece, da una necropoli gota un orecchino a dado ed una coppia di fibule femminili in argento con appliques dorate, dei primi anni del V secolo. La sezione medievale, sicuramente quella che caratterizza il museo, contiene numerosi reperti: monete, vetri, oggetti in metallo, tra cui uno sperone in bronzo finemente cesellato, ma soprattutto ceramiche che documentano le principali produzioni romagnole tra XIV e XIX secolo, provenienti da scavi e da recuperi urbani. Oltre alle forme ben note, come piatti, ciotole e boccali, sono presenti due originali piastrelle decorative, in maiolica del Quattrocento. Non mancano curiosità come una serie di ciotole carcerarie con i bordi segnati da tacche e numerosi proiettili in pietra o "palle da cannone" di vari diametri, testimonianza dell'origine militare della città. La sezione storica evidenzia un'estrema varietà di oggetti, riuniti in gruppi per affinità tecnologiche o culturali. Troviamo una serie di campane in bronzo, integre e danneggiate, di cui una del 1335 ed un'altra, ottocentesca, con un raro bassorilievo di locomotiva a vapore. Tra i materiali "devozionali" si conservano crocifissi in legno, ferro e bronzo, medaglie, rosari in pasta vitrea ed un inusuale cilicio in metallo del XVIII secolo. Sono presenti, inoltre, targhe in ceramica, tra cui una Madonna con Bambino del 1631 ed un'altra con emblema francescano, datata 1720. Documentano il fervore risorgimentale dei Castellani alcune interessanti memorie, tra cui un berretto ed una sciabola di soldati garibaldini ed una foto di Giuseppe Garibaldi. Completano la sezione altri materiali, tra cui ceramiche domestiche, frammenti lapidei, mortai in pietra ed una piccola raccolta di monete pontificie ed italiane dal XVII al XX secolo.

Speciale siti e musei archeologici - pag. 11 [1999 - N.6]

Le preziose raccolte di Piancastelli e Guidi costituiscono uno dei nuclei principali del museo castellano

Valerio Brunetti - Responsabile del Museo Civico di Castel Bolognese

In seguito ad importanti scoperte archeologiche effettuate sul territorio comunale nella seconda metà degli anni Settanta, nel 1983 venne realizzato ed aperto l'Antiquarium di Castel Bolognese. Nel 1988 all'interno di Palazzo Mengoni, residenza municipale, fu ordinata una piccola pinacoteca dedicata al pittore castellano Giovanni Piancastelli, ideatore e primo direttore della Galleria Borghese a Roma. Nel 1999 queste raccolte sono state unite in un'unica nuova sede, dando vita al Museo Civico di Castel Bolognese. La struttura è divisa in tre sezioni - artistica, storica ed archeologica - che si presentano notevolmente ampliate in quanto ad opere esposte rispetto alle precedenti sistemazioni. Nella sezione artistica sono esposti, in prevalenza, dipinti, disegni e smalti, di proprietà comunale e in deposito da enti e privati, che coprono un arco cronologico dal XVI al XX secolo. Sono presenti quasi esclusivamente artisti locali scomparsi, la cui documentazione è uno degli obiettivi principali che persegue il Museo. Vi sono medaglie e placchette di Giovanni Bernardi, scultore ed incisore attivo nel XVI secolo, alcuni ritratti ed una veduta della piazza di Castel Bolognese di Sebastiano Fanelli, che fu combattente nelle guerre risorgimentali, oltre che pittore. Due gli scultori in ceramica presenti: Mario Morelli con un pannello in ceramica raffigurante i segni dello zodiaco, opera degli anni Trenta, ed Angelo Biancini con una grande Annunciazione in ceramica, alcuni piccoli bronzetti ed un grande gesso dorato di figura materna del 1935. Altri artisti locali presenti con loro opere sono Giovanni Antonio Antolini, Cassiano Balducci e Fausto Ferlini e, tra i non castellani, Guglielmo Pizzirani. L'intera raccolta verte principalmente su due grandi nuclei di opere degli artisti castellani Giovanni Piancastelli e Giuseppe Guidi. Del primo sono presenti oltre quaranta disegni a penna ed una decina di olii, tra cui ritratti e soggetti religiosi; del secondo, autore quasi totalmente inedito nella realtà artistica romagnola, attivo nei primi decenni del secolo, sono presenti numerose acqueforti e disegni ed una ventina di smalti su rame estremamente originali. Di questa tecnica il Guidi fu attento innovatore. Gran parte di questi artisti sono conosciuti a livello internazionale e loro opere sono presenti nelle più importanti collezioni.

Speciale musei artistici - pag. 11 [1999 - N.5]

Gianluca Medri - Presidente Società Torricelliana di Scienze e Lettere di Faenza

Il Museo Torricelliano è nato dalla raccolta di cimeli e carte torricelliane che costituì il nucleo dell'Esposizione Faentina del 1908, promossa dalla Società del Risveglio Cittadino e organizzata dal Comune per celebrare il terzo centenario della nascita del grande fisico Evangelista Torricelli (nato a Roma da Giacoma Torricelli faentina e Gaspare Ruberti bertinorese). La raccolta comprendeva modelli degli strumenti del Torricelli, riprodotti da quelli conservati a Firenze, disegni che mostravano l'applicazione di principi torricelliani, fotografie di autografi e di quadri attinenti il Torricelli e autografi autentici, acquistati dal Comune di Faenza. Dopo la chiusura dell'Esposizione, la raccolta fu depositata nella Pinacoteca fino all'aprile del 1920 e poi trasferita nella Biblioteca Comunale diretta da Piero Zama, che solo nel 1923 poté allestire una mostra degli oggetti. Dal 1924 il Museo del Risorgimento ed il neonato Museo Torricelliano ebbero sede comune. Gli oggetti del Museo più importanti furono inviati alla Prima Esposizione Nazionale della Storia della Scienza che si tenne a Firenze nella primavera del 1929. Finalmente, in occasione della Terza Settimana Faentina (29/6/1933), si ebbe l'inaugurazione delle nuove sedi separate del Museo del Risorgimento e del Museo Torricelliano. Nel 1940, per la guerra, i cimeli furono depositati in casse. Nel 1944 il Museo fu ripristinato in una saletta della Biblioteca e fu colpito dai bombardamenti (il globo terracqueo del Coronelli bruciò per una bomba). Solo nel 1951 fu riaperto al pubblico. Il 9/11/1974 fu inaugurata la sede della Società Torricelliana di Scienze e Lettere, in due sale di Palazzo Laderchi (in Corso Garibaldi 2). La gestione della Biblioteca e del Museo Torricelliano fu affidata alla Società Torricelliana. Direttore del Museo e della Biblioteca attualmente è la Prof. Anna Trotti Bertoni. La prima sala contiene la maggior parte della Biblioteca Torricelliana (oltre duemila tra volumi e riviste culturali e scientifiche), e reperti museografici. La seconda sala contiene i cimeli più importanti; questa è la sala di lettura, attrezzata con un personal computer (dotato di modem e stampante laser) collegato a INTERNET (URL: http://me.unipr.it/torricelliana/torricelliana.html., E-mail: torricelli@mbox.queen.it). La dotazione comprende una settantina di oggetti di valore scientifico e storico e una vasta collezione di stampe e diplomi, di proprietà della Società Torricelliana o del Comune di Faenza: -barometri del XIX e XX secolo e il modello del barometro di Torricelli; modelli dei cannocchiali di Torricelli; strumenti scientifici vari dei secoli dal XVII al XX; modello di dirigibile progettato da Vincenzo Pritelli; -iconografia torricelliana completa; manoscritti autografi di Torricelli e di scienziati contemporanei (depositati in cassetta di sicurezza); -due astrolabi (depositati in cassetta di sicurezza) donati dal C.te Luigi Zauli Naldi: - Anello orario (Annulus horoscepticus universalis, in ottone fabbricato da Edmund Culpepper nel sec. XVIII, con astuccio d'epoca; - Astrolabio piano in ottone, di fabbricazione italiana (sec.XVI). -globo celeste del Coronelli del diametro di 110 cm, costruito nel 1688 in dieci copie, con indicazione delle stelle e costellazioni e didascalie in italiano, latino, francese, greco antico e arabo.

Speciale musei naturalistici della scienza e della tecnica - pag. 11 [1999 - N.4]

Michele Gianbarba - Studio Legale Gianbarba di Ravenna.

Il ritrovamento di reperti di interesse storico, etnografico o archeologico può creare legittimi dubbi al cittadino circa il corretto comportamento da seguire. Invero la disciplina ordinaria in materia di ritrovamento del "tesoro" (tale è in diritto "qualsiasi cosa mobile di pregio, nascosta o sotterrata, di cui nessuno può provare di esserne proprietario", art. 932 c.c.) prevede che esso appartenga al proprietario del fondo in cui si trova o, nel caso sia stato scoperto dal non proprietario, per una metà a questi e per l'altra al proprietario del fondo. Per ciò che concerne i ritrovamenti delle cose di interesse artistico, storico, archeologico ed etnografico (le categorie dei beni indicati nell'art.1 della l. 1089/1939) la disciplina è invece ben differente. In primo luogo deve essere evidenziato che la legge assegna esclusivamente allo Stato l'attività di ricerca di tali categorie di beni, con la conseguenza che tale attività in parola debba essere svolta anche direttamente e materialmente dallo Stato in quanto l'amministrazione può ammettere alla ricerca altri soggetti pubblici o privati in regime di concessione, ma anche in questo caso la ricerca condotta da terzi resta in ogni sua fase sottoposta all'indirizzo e al controllo dello Stato. Il ritrovamento di cose di interesse storico, artistico e archeologico da parte del privato può pertanto avvenire legittimamente solo a seguito di una attività di ricerca legittimamente concessa dallo Stato oppure per caso fortuito, ossia per fatto meramente accidentale e non intenzionale. Nel momento in cui si verifica il ritrovamento si determina l'automatico acquisto della proprietà in favore dello Stato delle cose ritrovate che abbiano un valore storico, artistico, etnografico e archeologico e il cittadino non può appropriarsene senza incorrere inevitabilmente in un comportamento penalmente rilevante. Per colui che ha effettuato materialmente ed inconsapevolmente la scoperta si rende inoltre necessario il rispetto di determinati comportamenti che la legge (nella fattispecie l.1089/1939 e R.D. 363/1913) espressamente impone. Anzitutto sarà necessario fare la denuncia all'autorità competente individuata nel sovrintendente o nel sindaco, in secondo luogo, lo scopritore è obbligato a custodire la cosa, ad assicurare la conservazione materiale del bene a provvedere alla sua sicurezza per prevenire eventuali trafugamenti, potendo anche richiedere l'intervento della forza pubblica. Colui che ha effettuato la scoperta è altresì obbligato a non manomettere il bene, lasciandolo nelle condizioni e nel luogo (compatibilmente con le esigenze di custodia) in cui è stato rinvenuto. A fronte di tale impegno, viene previsto un obbligo dello Stato di rimborsare le spese che siano state sostenute per la custodia o la rimozione. Inoltre la legge prevede il diritto ad un premio a favore del proprietario del fondo ove è stato effettuato il ritrovamento, del ricercatore o dello scopritore, che spetta autonomamente a ciascuno di loro anche, se ricorrono i presupposti, cumulativamente alla stessa persona che rivesta più qualità. Il premio è ragguagliato al valore delle cose ritrovate e può essere determinato in un ammontare non superiore al quarto del valore del bene e può essere liquidato anche in natura, ossia con l'attribuzione di una parte degli oggetti rinvenuti. La determinazione del premio avviene da parte dell'Amministrazione, con la possibilità per il privato, se non ritiene equo il premio determinato, di ricorrere ad un apposita commissione. La disciplina in parola è tale quindi da imporre uno scrupolo e una cautela particolare a colui che effettua un ritrovamento. Ciò è tanto più vero ove si consideri che chi rinviene casualmente un oggetto non sempre è in grado di percepire immediatamente se esso presenti o meno quell' "interesse" storico, artistico, archeologico ed etnografico che fa scattare la normativa illustrata, alla quale ci si deve necessariamente attenere. Per le stesse ragioni, problematiche e dubbi possono presentarsi anche nel caso di acquisto da privati delle cose di interesse artistico, storico, etnografico. In particolare sia pur con la consapevolezza che talvolta effettuare i dovuti controlli non è agevole - si pensi agli innumerevoli mercatini dell'antiquariato sparsi in tutta Italia -, in caso di perplessità sarà utile controllare se il cedente abbia effettuato la denuncia di ritrovamento alle autorità competenti e sarà importante verificare altresì se si stato notificato il vincolo di cui all'art. 3 della menzionata L.1089/1939 sul bene in questione. In tal caso il cedente è tenuto a notificare all'amministrazione la cessione, affinché questa sia posta in condizione di avvalersi eventualmente del diritto di prelazione previsto dalla legge che consente all'amministrazione di acquistare il bene e di essere preferito ad altri acquirenti. E' quanto mai opportuno, in ogni caso, che il cedente rilasci le dichiarazioni sulla provenienza del bene e sul regime al quale esso è assoggettato e le ricevute del prezzo incassato.

L'opinione del legale - pag. 11 [1998 - N.3]

Michele Giambarba - Studio Legale Giambarba di Ravenna

La normativa più recente, invero, tende a stimolare la sinergia fra il settore pubblico e quello privato, chiamando il privato a compiti di intervento attivo per la cura e la manutenzione del bene stesso. In questa direzione ha notevole importanza la normativa in materia di agevolazioni (contenuta segnata:mente nella legge 512/1982: si ricorda che fra i proponenti: del disegno di legge vi era l'allora senatore Renato :Guttuso) che si pone quale importante strumento non :solo di conservazione ma anche di acquisizione, incremento e valorizzazione del patrimonio artistico culturale italiano, non solo di proprietà pubblica ma anche di proprietà privata. Tale normativa viene dettata nella convinzione che l'arte e la cultura, essendo attività che comportano inevitabilmente costi e spese non solo nel momento della produzione, ma anche in quello della conservazione, della custodia e della fruizione, non possano essere considerate avulse dal sistema economico e pertanto, in forza dei valori di cui sono portatrici, debbano essere incentivate sotto tutti i profili possibili. A tal fine la legge ha previsto varie forme di incentivi per i proprietari di beni artistici e culturali ai quali vengono forniti strumenti tali da assicurare una più agevole conservazione; sono stati poi favoriti, mediante agevolazioni fiscali, tutti coloro che effettuano donazioni in denaro allo Stato, agli enti pubblici e alle fondazioni culturali affinché acquisiscano e valorizzino beni di interesse culturale e attività connesse. La normativa in parola ha permesso infatti l'esenzione dalle imposte dirette degli immobili destinati ad uso culturale e la deducibilità dal reddito delle spese sostenute per la manutenzione, la protezione, il restauro delle cose sottoposte al vincolo di cui alla legge 1089/1939 e ha consentito la deducibilità delle erogazioni liberali costituenti forme di mecenatismo con finalità culturali.E' stata anche prevista una riduzione dell'imposta di registro per il trasferimento di immobili di interesse artistico o archeologico e l'esclusione dall'attivo ereditario, ai fini della imposta di successione, di alcuni beni di interesse artistico e storico. E' stata inoltre introdotta e disciplinata una ipotesi di cessione di beni culturali allo Stato in quanto i debitori di imposte dirette o di successione hanno la possibilità di offrire beni di interesse culturale di corrispondente valore in pagamento dell'imposta di successione e delle imposte dirette. Si è così fornita all'Amministrazione una nuova facoltà di acquisto che, a differenza di altre previsioni legislative, non ha carattere autoritario. E' interessante osservare che a tale scopo sono essere offerti sia beni già sottoposti al vincolo di cui alla legge 1089/1939 sia beni di interesse culturale non ancora notificati, sia opere d'arte contemporanea. Le agevolazioni in questione, peraltro, trovano un interessante: complemento nella legge c.d. Bassanini in :quanto essa ha introdotto un notevole snellimento delle :procedure amministrative in genere e con evidenti vantaggi anche nel settore che qui interessa. In conclusione la normativa oggi esistente contiene da un lato una serie di strumenti idonei ad incentivare l'acquisizione da parte degli enti pubblici di beni culturali in.senso lato e, dall'altro, una serie di istituti che consentono una incisiva valorizzazione e una miglior fruizione del patrimonio culturale, pubblico o privato che sia.

L'opinione del legale - pag. 11 [1998 - N.2]

Enzo Fantini - Direttore del Centro Dantesco

Il Centro Dantesco dei Frati Minori Conventuali di Ravenna è stato fondato nel 1964 da P. Severino Ragazzini (1920-1986). Nel 1989 il prezioso patrimonio, per gentile:concessione della Cassa di Risparmio di Ravenna, viene adeguatamente collocato nell'antico convento francescano attiguo alla tomba di Dante. Il Centro Dantesco si articola in Biblioteca, Museo, Attività varie. La Biblioteca dispone di circa 10000 pezzi, molti dei quali antichi e rari, distribuiti in alcune sezioni: Dante (prevalente), Ravenna, Francescanesimo, Libri d'arte, Antico Archivio del convento (in fotocopia), 260 microfilms di codici danteschi. Il Museo, disposto su tre lati del chiostro, è dotato di oltre 2000 pezzi (non tutti esposti), La collezione dantesca si articola nelle seguenti sezioni: Illustrazioni e dipinti, Medaglie e placchette, Piccole sculture in bronzo, Filatelia dantesca internazionale. Numerose sono le opere provenienti dall'estero e particolarmente dall'Est-Europa. Fra le attività godono particolare prestigio nel settore delle rassegne internazionali d'arte le annuali mostre a tema dantesco, che vengono allestite al piano terra del chiostro. Tutte le mostre sono accompagnate da pregevole catalogo e sono: Mostre personali e collettive (interessanti i gruppi nazionali); la Biennale Internazionale Dantesca (concorso della medaglia e piccola scultura in bronzo) giunta alla XIII edizione, con la partecipazione media di 250 scultori provenienti da più di 30 nazioni; realizzazione di medaglie dantesche in tiratura molto limitata, affidata ad artisti di chiara fama in Italia e all'estero. La collezione conta 31 medaglie. Il Museo è aperto tutti i giorni (escluso il lunedì) ed osserva il seguente orario: autunno-inverno ore 9 -12; primavera-estate ore 9 -12 e 15 -18.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 11 [1998 - N.1]

Valerio Brunetti - Responsabile dell'Antiquarium

L'Antiquarium Comunale di Castel Bolognese nasce nel 1983 con l'obiettivo di essere, oltre ad un centro di documentazione e conservazione, uno strumento per la conoscenza delle origini e delle vicende storiche del territorio comunale e della media valle del Senio. Le sue raccolte, prevalentemente archeologiche, sono costituite da varie sezioni organizzate cronologicamente: geologia del territorio, preistoria e protostoria, periodo romano, periodi medievale e post-medievale. E' presente una piccola sezione con bronzi, monete e medaglie di varie epoche e alcuni cimeli risorgimentali. Periodicamente vengono realizzate mostre tematiche e cicli di conferenze. L'Antiquarium è regolarmente aperto la prima domenica del mese dalle ore 10 alle ore 12. Per visite a richiesta o informazioni: tel. 0546/652466.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 11 [1998 - N.1]

Dante Bolognesi - Direttore della Biblioteca Oriani

Il Cardello si trova sulle colline di Casola Valsenio ed è l'edificio in cui Alfredo Oriani (1852 -1909) trascorse gran parte della sua vita e scrisse tutte le opere. Non è nota l'epoca in cui fu costruito ma si sa che è stato la foresteria dell'Abbazia benedettina di Valsenio, la cui esistenza è documentata a partire dal 1126. Il Cardello è menzionato per la prima volta in un documento del 1419. Dopo alterne vicende fu acquistato nel 1855 da Luigi Oriani, padre di Alfredo. La famiglia Oriani vi si trasferì stabilmente nel 1866 e ne fu proprietaria fino al 1978, quando Luigia Pifferi Oriani, vedova di Ugo, unico figlio di Alfredo, con testamento pubblico lo ha lasciato in eredità all'Ente "Casa Oriani" unicamente ai terreni circostanti. L'attuale assetto dell'edificio risale al restauro del 1926. L'interno del Cardello costituisce un raro e splendido esempio di abitazione signorile romagnola dell'Otto-Novecento e sotto questo aspetto può essere considerato un vero e proprio museo. E' doveroso segnalare due piccoli locali che il restauro del 1926 ha integralmente rispettati: la camera da letto in cui Oriani morì il 18 ottobre 1909 e lo studio con i circa 600 libri della sua biblioteca privata. Nelle adiacenze dell'edificio fu costruita negli anni 1923 -1924, su disegno dell'architetto Arata, la vasta area monumentale che ospita il sepolcro di Alfredo Oriani. Attorno al Cardello si estende un vastissimo e lussureggiante parco, ricco di quasi tremila piante, dichiarato dal Ministero per i Beni Culturali e Ambientali "zona di notevole interesse pubblico" (D.M. 16 giugno 1975). Il Cardello è aperto tutti i giorni festivi, da aprile a ottobre, dalle ore 10 alle 12 e dalle ore 15 alle 19. In luglio e agosto anche i venerdì dalle 16 alle 18.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 11 [1998 - N.1]

Giorgio Cicognani - Direttore del Museo del Lavoro Contadino

Ricorre quest'anno il 20° anniversario della apertura al pubblico del Museo del Lavoro Contadino che ha sede nella maestosa Rocca di Brisighella . Vi sono custoditi, per per le vallate del Lamone, del Marzeno , del Senio, gli attrezzi di una civiltà che ai nostri giorni, l'ondata vorticosa del progresso scientifico - tecnologico e le conseguenti trasformazioni sociali, hanno ormai completamente travolto. Una cultura, tuttavia, ancora in grado di proiettarsi nel futuro e il cui ricordo merita di sopravvivere. Una visita nelle varie sale ci porta col pensiero al tempo in cui la vita scorreva più povera, faticosa, disagiata ma non meno sana, onesta e felice. Indubbiamente oggi il progresso, in un certo senso, ha reso più facile la vita, ma contemporaneamente ci ha fatto schiavi di una miriade di rivoluzionarie invenzioni e di suggestive comodità delle quali non potremo più fare a meno. Nel passato però l'acqua dei nostri fiumi era più limpida, l'aria più respirabile, il nostro equilibrio mentale non subiva i danni dell'odierno frastuono e del traffico convulso. L'alimentazione più sana, anche se talvolta insufficiente alle necessità individuali e le famiglie erano più unite e rispettose delle esigenze dei giovani, come degli anziani, in questa nostra società elementi deboli, spesso privi di ogni tutela. Il Museo ha svolto un'intensa attività anche nel campo della ricerca delle tradizioni della lingua, della casa, attraverso la pubblicazione della collana dei "Quaderni" che hanno via via illustrato diversi aspetti della vita dei tempi passati e della storia del territorio. Da pochi mesi è uscito pure un opuscolo dedicato alle scuole primarie che, oltre ad illustrare le meraviglie delle sezioni esposte all'interno del Museo, offre indicazioni per approfondire alcune tematiche di aspetti di vita e antiche lavorazioni onde ravvivare nella mente dei più giovani l'amore per la terra nativa e suscitare in essi, con poche note e opportuni consigli, il desiderio di attingere, e in seguito di approfondire, interessi cognizioni sulla vita e il lavoro delle passate generazioni,I ragazzi potranno trarre profitto da tale stimolo e orientamento, interrogando, ad esempio, i nonni e i più anziani del luogo, su fatti, abitudini, costumi, divertimenti, fiabe, leggende, superstizioni, proverbi e modi di dire della loro fanciullezza.Potranno altresì esercitarsi su carte topografiche fornite in fotocopie dai rispettivi Comuni alla ricerca di confini, strade, sentieri, corsi d'acqua, villaggi e chiese, fabbriche, piantagioni, monti, boscaglie, ruderi di castelli..... imparando così a riconoscere la simbologia geografica,Potranno infine perlustrare sotto la guida di insegnanti, biblioteche, chiese e musei, monumenti, iscrizioni lapidarie, chiedendo informazione sul nome delle vie e sulla toponomastica del territorio, Il Museo sorto nel 1975, con l'acquisto da parte della Comunità Montana dell'Appennino Faentino di Brisighella della raccolta di attrezzi di Elvio Cornacchia, su ideazione e restauri di Giorgio Cicognani e Isolde Oriani che ne hanno curato l'allestimento scientifico, conta oggi 2300 pezzi.

Speciale didattica - pag. 11 [1997 - N.0]

Enrica Pretolani - Insegnante alla Scuola Elementare Statale G. Pascoli di Ravenna

La visita ad un museo , la visione di una mostra possono essere occasione di attività didattiche formative e stimolanti. Nuvolandia ne è una piccola prova. Nuvolandia è il titolo di una mostra allestita a Casa Vignuzzi dai bambini della classe II a tempo pieno della scuola elementare pascoli di Ravenna . Rappresenta l'atto finale, la socializzazione dei "prodotti finiti" dopo un intenso lavoro di programmazione e collaborazione con il territorio.Tutto è nato così: noi insegnanti della classe abbiamo aderito ad un progetto dal titolo "Arte e Natura" proposto dal Comune di Ravenna e insieme alla responsabile Francesca Marcarino, abbiamo abbiamo messo in atto una strategia didattica che ha coinvolto varie discipline ed ha affinato abilità a diversi livelli: dal gusto estetico al piacere della scoperta scientifica, fino al capire e creare arte. Che ci sia un rapporto intrinseco tra arte e natura è risaputo, ma rendere consapevoli 17 bambini di 7 anni è un'altra storia. E' partito un percorso didattico articolato in diversi momenti: 1)Visita alla mostra: lo spunto iniziale è stato la visita alla mostra di arte contemporanea dell'artista Vincenzo Izzo, scenografo e fotografo, allestita presso S.Maria delle Croci. Di forte impatto emotivo la mostra ci presentava una scala sospesa, nella quale ogni gradino racchiudeva un pezzetto di cielo. Lo sguardo dei bambini, salendo sulla base della scala, veniva catturato da un'immagine di nuvole proiettato nel muro. Appoggiati alle pareti sottili e leggeri tavoli sostenevano diversi piccoli quaderni in cui, attraverso una tecnica particolare, erano rappresentate nuvole cariche di pioggia, nuvole all'alba e al tramonto. 2) Esperienza grafico-pittorica: i bambini, a scuola hanno rielaborato con la tecnica dell'acquerello e sale, le emozioni e le suggestioni suscitate dalle opere durante la visita. 3)Incontro con l'artista a scuola: la curiosità dei bambini è stata ampiamente soddisfatta grazie alla disponibilità dell'autore che non solo ha risposto a tutte le domande, ma ha fornito le condizioni ideali perchè essi stessi potessero creare a loro volta "opere d'arte" personalizzate.4)A caccia di nuvole con la macchina fotografica: insieme a Vincenzo Izzo i bambini sono stati accompagnati ai giardini pubblici dove hanno potuto fotografare soggettivamente le nuvole. 5) Elaborazione linguistica: le esperienze vissute hanno permesso ai bambini di esprimersi in libertà e creatività riuscendo a produrre anche piccole poesie o filastrocche sul tema delle nuvole. 6) Esperienza manipolativa: i bambini hanno rielaborato l'idea dei quaderni dell'artista confezionandone a loro volta di piccoli e colorati in cui hanno apposto fotografie, didascalie, collages e disegni. 7)Allestimento della mostra: con il materiale prodotto abbiamo cercato di ricreare l'atmosfera di Vincenzo Izzo. Gli elaborati sono stati disposti così: gli acquerelli appesi con mollette ad un filo come panni stesi ad asciugare, le poesie scritte su fogli a forma di nuvole poste su leggii e i quaderni su basi di legno. Completava il percorso della mostra una serie di diapositive sulle nuvole scattate dai ragazzi e l'artista. L'esperienza fatta è stata estremamente gratificante per noi e soprattutto stimolante per i bambini che hanno vissuto così un nuovo modo di conoscere e "fare" arte.

Speciale didattica - pag. 11 [1997 - N.0]

La casa natale di "Stecchetti", che ha conservato l'originale architettura settecentesca, ospita la Biblioteca della Società Operaia di Mutuo Soccorso fondata dal poeta santalbertese il 21 aprile 1872

Franco Gàbici - Capo Reparto delle Attività scientifiche e museali del Comune di Ravenna

Da quando Guido Guerrini, figlio del poeta Olindo, lasciò al Comune di Ravenna la sua casa di Sant'Alberto per destinarla a centro di attività culturali, Casa Guerrini è diventata un importante punto di riferimento per la Delegazione di Sant'Alberto. La casa, che durante il passaggio del fronte della seconda guerra mondiale fu anche sede del comando tedesco, è stata acquisita dal Comune una ventina di anni fa, ed è stata ristrutturata nel 1983 conservando l'originale architettura settecentesca e lasciando intatta la tipologia di alcune stanze (la bellissima cucina, ad esempio). Casa Guerrini ospita due biblioteche: la Biblioteca di quartiere distribuita in due stanze (patrimonio bibliografico di circa settemila volumi) e la Biblioteca della Società Operaia di Mutuo Soccorso (poco più di due mila volumi) che lo stesso Olindo Guerrini fondò il 21 aprile 1872 quando era bibliotecario all'Università di Bologna. Prima sede della biblioteca fu casa Fioretti nella piazza centrale. Fanno parte del corpus della biblioteca anche l'emeroteca e due postazioni internet aperte al pubblico e una "sezione ragazzi" con ludoteca. Al piano di sopra è stata predisposta una capiente saletta per le riunioni (vi si può ammirare anche un bel busto in gesso di Olindo Guerrini), mentre la "sala del camino" viene utilizzata per l'allestimento di mostre di pittura e di fotografie. Collabora con la Circoscrizione un gruppo di giovani volontari che gestisce il servizio prestiti della biblioteca, le postazioni internet e il progetto Pig (Punto informazione giovani). Casa Guerrini è un centro culturale polivalente che programma iniziative per tutto l'arco dell'anno. In particolare, durante il periodo invernale si organizzano conferenze, corsi (storia, archeologia, astronomia, musica, lingue) e laboratori, mentre nel periodo estivo viene proposta una rassegna cinematografica all'aperto nel giardino di Casa Guerrini. Molto intensa anche la collaborazione con le scuole medie inferiori, con le quali si organizzano laboratori e "tornei" fra classi per incentivare gli studenti alla lettura. Dallo scorso anno, inoltre, la Biblioteca di Casa Guerrini ha inaugurato una interessante collana di opuscoli monografici, I Quaderni della Biblioteca, editi a cura del Centro stampa del Comune di Ravenna. I Quaderni raccolgono scritti e curiosità su Olindo Guerrini, argomenti di storia locale (fra questi ricordiamo una monografia di Sant'Alberto di mons. Mario Mazzotti e un saggio sulle torri civiche del paese di Bruno Taroni), ma anche argomenti di interesse generale (gli ultimi due quaderni sono dedicati a Kafka e al poeta russo Osip Mandel'stam). Casa Guerrini, con le sue molteplici attività, si propone come struttura aperta e luogo di incontro per quanti operano in un territorio che da sempre si è connotato per la sua straordinaria vitalità intellettuale. Casa Guerrini, pertanto, è il simbolo concreto di un desiderio di far cultura e di quella voglia di penetrare a fondo nelle "radici" di un paese che non ha mai smesso di "voler conoscersi", come recitava il progetto varato dalla Coperativa culturale, che proprio quest'anno festeggia i venticinque anni. E il tutto sotto l'egida di Olindo Guerrini, vero nume tutelare delle attività culturali dei santalbertesi e che riassume in sé la saggezza della cultura paesana ma anche quella dimensione "nazionale" che ha fatto conoscere Sant'Alberto e le sue attività anche a livello nazionale. Considerata la casa dei santalbertesi, centro di aggregazione e luogo dove si fa cultura, Casa Guerrini è dunque il fiore all'occhiello di questa comunità. Ma è soprattutto una istituzione sentita e sostenuta da tutta la gente, che non manca di contribuire al suo funzionamento e alla sua vitalità.

Speciale case dei letterati - pag. 11 [2003 - N.17]

Un luogo pubblico che favorirà lo studio e l'approfondimento di questa antica espressione artistica

Linda Kniffitz - Museo d'Arte della Città di Ravenna

In occasione delle celebrazioni del sesto centenario della morte di Dante, nel 1921, Corrado Ricci, figura di eccezionale spessore culturale e indiscussa autorità in ambito cittadino, promosse l'istituzione di un luogo in cui potessero essere conservate ed esposte al pubblico le testimonianze del culto tributato nei secoli alla memoria del poeta. La venerazione, quasi sacrale, delle reliquie dantesche trovò la sua prima manifestazione pubblica ed ufficiale alla fine del XVIII secolo, quando la costruzione del nuovo tempio dantesco, progettato dall'architetto Camillo Morigia, coincise con il risorgere della fortuna del poeta in seno alla comunità letteraria italiana ed europea; a partire da quel momento commemorazioni e celebrazioni si susseguirono con frequenza, attirando sulla città le attenzioni dell'intero paese. I doni recati al sepolcro dantesco durante queste cerimonie non potevano essere conservati all'interno del piccolo mausoleo morigiano: Corrado Ricci, in accordo con il Soprintendente Ambrogio Annoni, volle la realizzazione di uno spazio espositivo in cui questi oggetti commemorativi fossero raccolti accanto alla cassetta di legno nella quale i Frati Minori Conventuali avevano custodito per secoli le spoglie di Dante e all'urna in cui le stesse erano state esposte nel giugno del 1865, in occasione del sesto centenario della nascita del poeta. L'11 settembre 1921 avvenne l'inaugurazione del Museo, allestito a cura dello stesso Annoni in quattro sale al primo piano del complesso conventuale francescano; la gestione del museo venne affidata all'Opera di Dante, istituzione dantesca per eccellenza, a tutt'oggi nota all'intero mondo culturale e la cui attività nell'ambito della conoscenza del poeta e della Commedia si svilupperà nei decenni successivi fino ad oggi, in particolare attraverso le ormai tradizionali Lecturae Dantis, che hanno ospitato i nomi più significativi della cultura letteraria e della dantistica a livello mondiale. A partire dagli anni sessanta i Frati Minori Conventuali proposero la fondazione di un centro di studi danteschi che, attraverso la sua ricca biblioteca e le attività espositive e culturali, desse voce "al muto sepolcro" del poeta. Dal 1989, anno della definitiva riapertura dopo i lavori di ristrutturazione edilizia del complesso conventuale, un Centro dantesco ed un Museo dantesco, dunque, si dividono gli attigui locali situati al primo piano del chiostro della cisterna. Uno spazio espositivo, il primo, che testimonia dell'indefessa volontà di promuovere eventi culturali ispirati dalla figura e dall'opera di Dante, una collezione in fieri che si riflette nell'esposizione temporanea dei pezzi più significativi e si affianca ad una biblioteca dantesca di indiscusso valore scientifico, punto di riferimento indispensabile per gli studiosi italiani e stranieri; un museo, il secondo, che porta impresso il segno incancellabile della circostanze della sua fondazione, il centenario del 1921, e del gusto tardo liberty a cui possono essere ricondotti molti degli oggetti che vi sono esposti, che profonde un impegno costante nella conservazione dei manufatti che vi sono raccolti, primi fra tutti le casse in legno che hanno ospitato le ossa di Dante. Una comune volontà ha portato all'integrazione dei due spazi museali, che, pur nati in diverse circostanze storiche, sono animati dallo stesso intento di rendere testimonianza del legame che unisce la memoria di Dante alla città che ne ospita le spoglie. Ed è una memoria viva, un legame culturale che, inaugurato dallo stesso Dante nelle numerose terzine in cui le suggestioni paesaggistiche della Romagna e i richiami iconografici ai mosaici bizantini si mescolano ai nomi di illustri ravennati, non poteva trovare monumento più consono di questo Museo, il quale - insieme alla preziosa raccolta dantesca conservata nella Biblioteca Classense, comprendente codici, incunaboli, cinquecentine e moltissime edizioni e traduzioni della Commedia, e all'attività di ricerca e di diffusione della cultura dantesca svolta dall'Opera di Dante - costituisce l'omaggio più autentico che Ravenna offre al poeta.

Speciale nuove adesioni - pag. 11 [2003 - N.18]

Il Laboratorio di Restauro del MIC di Faenza, nato negli anni Ottanta, affronta tutte le diverse problematiche conservative legate alla produzione ceramica

Anna Maria Lega - Coordinatore della Sezione Restauro MIC Faenza

È dagli anni Ottanta che il MIC si è dotato di un Laboratorio di restauro al suo interno, che si occupa sia della conservazione ordinaria delle collezioni che degli interventi di restauro. Il museo di Faenza raccoglie ceramiche di ogni tipo, provenienti sia da scavi archeologici che da collezioni che da contesti architettonici e, di conseguenza, le problematiche conservative che si possono presentare sono quanto mai diversificate e richiedono quindi interventi mirati ad ogni singolo caso. Inoltre, qualora si debba provvedere a un'integrazione di parti mancanti, il tipo di ripristino da adottarsi può rispondere a logiche differenti. Nel restauro di una maiolica del Quattrocento che, per quanto oggi sia considerata preziosa, rappresenta il risultato di una produzione seriale, le soluzioni da adottarsi nell'integrazione possono essere ben diverse da quelle che impone il restauro di un'opera unica di un artista contemporaneo. Questo confrontarsi con una molteplicità di situazioni ha portato le restauratrici del MIC a maturare un'esperienza che da qualche anno è messa a disposizione anche di committenti esterni, sia pubblici che privati. È ad esempio in atto una collaborazione con il Museo di Fano, per il quale è stato effettuato un progetto conservativo riguardante l'intera collezione ceramica, del quale sono già state attuate alcune fasi. Oltre a queste specifiche attività del Laboratorio, il MIC organizza, dal 1997, dei corsi di aggiornamento per restauratori di ceramica, l'ultimo dei quali ha riguardato il restauro dei materiali ceramici in architettura. Dal 2002 inoltre ha preso avvio la pubblicazione di una collana dedicata al restauro della ceramica, il cui primo volume, Pratiche conservative sullo scavo archeologico. Principi e metodi, pubblicato con la casa editrice "All'insegna del Giglio" di Firenze, è stato scritto da Corrado Pedeli e Stefano Pulga, che avevano precedentemente curato per il MIC un corso di aggiornamento sull'argomento.

Speciale restauro - pag. 11 [2004 - N.19]

Al CNR-ISTEC di Faenza la conservazione e il restauro sono oggetto di attività di studio, formazione e comunicazione

Bruno Fabbri - CNR-ISTEC Faenza

L'opera dell'Istituto di Scienza e Tecnologia dei Materiali Ceramici (CNR-ISTEC) di Faenza è volta allo studio e alla ricerca nei settori della ceramica, dei materiali lapidei e dei mosaici, sia in ambito storico-archeologico, per ricostruire le tecniche di lavorazione e indagare i luoghi di produzione dei manufatti, sia in quello della conservazione, per valutare i meccanismi di degrado, qualificare i materiali per il restauro, verificare la durata degli interventi. I principali temi di ricerca, in ambito storico-archeologico sono: la maiolica italiana e la tecnologia di applicazione e cottura degli smalti; le materie prime e la tecnica di lavorazione della graffita; la tecnologia e le caratteristiche funzionali della ceramica grezza; le ceramiche a vernice nera e rossa da scavi in Nepal. Nel campo della conservazione l'attività riguarda i settori relativi a: i materiali per il restauro delle ceramiche e del mosaico; i sistemi protettivi per ceramiche a rivestimento vetroso. Alcuni studi in corso hanno la duplice veste storico-archeologica e di conservazione: il parco storico urbano nell'area del palazzo imperiale di Istanbul; il cotto nell'architettura e nella statuaria dell'Italia settentrionale; la ceramica domestica e nell'architettura mediorientale. Vengono utilizzate le principali metodologie di indagine scientifica: microscopia ottica in sezione sottile, fluorescenza di raggi-X, diffrattometria di raggi-X, spettrofotometria di emissione al plasma, microscopia elettronica a scansione, analisi termiche, ecc. Accanto alla ricerca, si sviluppano le attività di formazione e di comunicazione. La formazione si realizza con corsi universitari e supporto allo svolgimento di tesi di laurea. Particolarmente rilevante è, a Faenza, il corso master in Scienza e Conservazione dei Materiali nei Beni Culturali, in collaborazione con le Facoltà di Chimica Industriale e di Conservazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna. L'attività di comunicazione si esplica con l'organizzazione di convegni e la pubblicazione di articoli e volumi a tema, come Il restauro della ceramica o il recente L'avventura della ceramica

Speciale restauro - pag. 11 [2004 - N.19]

L'Istituto d'Arte "Ballardini" propone un corso di alto livello per il restauro della ceramica

Rino Casadio - Docente di Restauro ISA Ballardini Faenza

Il corso di perfezionamento in Arte del restauro della ceramica è stato istituito nel 1980, in sostituzione del preesistente magistero attivo fin dal 1960. Lo spirito del corso è sempre quello di un tempo: curare il materiale che costituisce il bene ceramico, indipendentemente dalla provenienza e dalla tipologia, per garantirne la futura esistenza. Inoltre si vuole favorirne la leggibilità in sede espositiva, considerando che l'operazione di restauro è momento privilegiato per un'approfondita conoscenza del documento: questo avviene, sia a livello progettuale che in fase operativa, anche con il concorso di altri esperti specializzati (storici, archeologi, esperti delle tecniche di fabbricazione, ecc…). Nel corso della formazione, gli studenti apprendono le metodologie tecnico-restaurative, le conoscenze storico-artistiche riguardanti i vari periodi dalla preistoria all'età contemporanea e le informazioni relative alla conoscenza delle problematiche connesse alla "cura del materiale" ed alla "cura dell'immagine". Chi si occupa di restauro deve possedere una buona preparazione culturale ed un'eccellente manualità, per evitare danni e per operare con cognizione di causa e saper trasmettere quei dati sulla conoscenza del bene che sempre emergono nel corso di un intervento di restauro. Caratteristica del corso è la frequenza di studenti provenienti da varie nazioni che produce interscambio culturale, offrendo la possibilità di conoscere aspetti peculiari e tecniche delle ceramiche dei vari paesi. Il corso si avvale anche della collaborazione con altre istituzioni che mettono a disposizione oggetti originali, offrendo la possibilità agli studenti di mettere in pratica concreti interventi di restauro.

Speciale restauro - pag. 11 [2004 - N.19]

Il nuovo Centro culturale di Massa Lombarda rappresenterà il luogo di integrazione tra Biblioteca, Collezione Venturini e Pinacoteca

Linda Errani - Linda Errani

L’idea di progettare il nuovo Centro culturale nasce sia dalla volontà di recuperare e rivitalizzare i luoghi e le strutture pubbliche, sia dalla scelta di valorizzare e rendere sempre più fruibile il patrimonio artistico, storico e museale di Massa Lombarda, mettendo in rete e potenziando le istituzioni e i servizi culturali e promuovendo la diffusione delle nuove tecnologie. Il Centro verrà realizzato restaurando il Pueris Sacrum un edificio particolarmente legato alla storia sociale e civile della città alla quale sarà così riconsegnato con un diverso utilizzo pubblico quale luogo di incontro tra persone, generazioni e culture diverse, oltre che come spazio dinamico della comunicazione e dell'informazione, delle idee e dei saperi.
L’edificio ha per molti anni ospitato la scuola materna ed è un interessante esempio di costruzione liberty, circondato da un esteso giardino alberato. L’obiettivo è quello di riunire ed integrare in un unico luogo servizi culturali diversi ma strettamente correlati. Qui infatti troveranno sede sia la biblioteca “Carlo Venturini” e la biblioteca per bambini “Il Signor Oreste”, in cui saranno potenziati i tradizionali servizi e allestite nuove attività come la sezione multimediale con laboratori tecnologicamente attrezzati, sia il Museo “C. Venturini” e la Pinacoteca Comunale, individuando ed allestendo nuovi percorsi espositivi che valorizzino il patrimonio conservato e lo rendano fruibile ai cittadini, in piena coerenza con gli obiettivi di conservazione, valorizzazione, promozione e fruizione perseguiti dalla LR 18/2000.
Una struttura quindi caratterizzata dalla:
• molteplicità: nelle nuove sale, infatti, si troveranno i classici della letteratura ma anche dvd, cd, settimanali, tavoli di consultazione, postazioni on line e tv satellitari;
• flessibilità: sarà uno spazio definito ma capace di adattarsi alle richieste degli utenti;
• trasparenza: ovvero spazi aperti, in comunicazione, in grado di dare la sensazione a chi la frequenta di trovarsi in un luogo in cui consultare in solitudine testi ma contemporaneamente di socializzazione e di convivialità;
• integrazione: tra le diverse istituzioni culturali, realizzata attraverso un sistema di relazioni spaziali tra biblioteca, museo e pinacoteca che stabiliscono uno scambio continuo e permanente tra gli utenti di tutte le attività presenti e il patrimonio conservato garantendo, in tal modo, una migliore fruibilità.
La nuova struttura manterrà la forma tipica delle costruzioni coeve all’edificio con capriate in ferro e la parte centrale con copertura trasparente per valorizzare il grande cortile interno, attorno al quale sono organizzati gli ambienti e da cui traggono luce. Nell’organizzazione degli spazi, sia esterni che interni, è stata seguita una logica progettuale di tipo integrato, in modo che, partendo dalle diverse esigenze delle varie attività, risulti comunque possibile un uso dinamico e differenziato dei locali.
La sala di consultazione e lettura della biblioteca sarà situata nel cortile centrale, mentre le funzioni più “specializzate” saranno sistemate nei locali disposti lungo il perimetro del corridoio anulare attorno al cortile ed integrate da una sala multimediale predisposta per lo svolgimento di varie attività: proiezioni, lezioni di classi intere in biblioteca, corsi, piccole attività di intrattenimento teatrale, occasioni di incontro con animatori, iniziative che coinvolgono nonni e ragazzi, rappresentazioni di favole ecc.
In questa ottica, lo spazio di distribuzione, date le sue peculiari caratteristiche – ampie dimensioni, illuminazione indiretta, funzione distributiva che raccorda tutte le attività in un percorso obbligato e continuo – acquista una precisa valenza formativa e didattica nei confronti di qualunque fruitore della biblioteca e diventa così lo spazio adatto per allestire l’esposizione della Collezione Venturini. In questo modo la raccolta riacquista integrità, non solo per quel che riguarda la reale continuità fisica ma anche e soprattutto per quel che riguarda la corretta ricostruzione di una collezione ottocentesca.
L’edificio consentirà dunque di realizzare un sistema di relazioni spaziali, in cui Biblioteca, Collezione Venturini e Pinacoteca si integrano per stabilire un dialogo continuo, unitario e permanente tra i fruitori di tutte le attività, le discipline presenti e il patrimonio conservato.
Il progetto sarà realizzato attraverso la consulenza di una Commissione tecnico-scientifica appositamente istituita e che ha già contribuito in maniera fattiva fornendo dati determinanti per l’organizzazione e l’uso degli spazi e promuovendo il coinvolgimento dei cittadini nell’intervento secondo la logica del “cantiere evento”.

Speciale Piano Museale - pag. 11 [2004 - N.20]

Considerazioni in materia di strutture, sicurezza e didattica

Daniele Serafini - Responsabile Museo Francesco Baracca di Lugo

Questa riflessione su standard e obiettivi di qualità, fissati in sede regionale, non vuole essere tanto una considerazione critica sugli standard stessi come strumento normativo e “impositivo”, quanto piuttosto un’occasione per analizzare il posizionamento del nostro Museo rispetto a parametri di qualità e funzionalità. Una sorta di autovalutazione che consenta di evidenziare lo stato delle cose, delineando luci ed ombre, innovazioni e ritardi.
La chiusura del Museo Baracca al pubblico dalla primavera del 2000 all’estate del 2001 ha consentito di intervenire in due settori importanti: quello che concerne strutture e sicurezza e che fa riferimento in particolare al pubblico. L’abbattimento delle barriere architettoniche, tramite messa in opera di un ascensore in un palazzo di fine Ottocento, sede del museo, è stato un intervento che, senza violare l’identità architettonica degli spazi, ci ha permesso di garantire l’accesso ai portatori di handicap, introducendo al contempo nuove misure di sicurezza rispettose della normativa nazionale.
La nostra seconda azione si è concentrata su: a) catalogazione dei materiali e b) leggibilità del percorso espositivo, leggasi “informazioni e segnaletica esterna ed interna”. Tutti i cimeli, documenti e oggetti del museo (oltre seicento) sono stati catalogati, fotografati e trasferiti su supporto magnetico: sono consultabili su appuntamento presso i nostri uffici ed entro un anno si pensa di metterli in rete in modo che possano essere disponibili on line. Nella primavera prossima, inoltre, uscirà un catalogo cartaceo con la documentazione completa, comprese le immagini, curata dall’associazione “Agmen Quadratum”. Il museo offre al pubblico anche una serie di pannelli esplicativi che consentono ai visitatori di avere informazioni pressoché esaustive sul percorso espositivo e sulla figura e la storia di Francesco Baracca.
Sul versante della custodia e della sicurezza/tutela del patrimonio stiamo provvedendo ad alcuni interventi per riqualificare il profilo del museo. Partendo dalla fine ormai prossima dell’esperienza del servizio civile presso le nostre istituzioni, che ha avuto esiti positivi per il contenimento delle spese, ma che è stata caratterizzata da risvolti spesso deleteri per l’immagine delle medesime (mi riferisco al tipo di accoglienza del pubblico, distratta e per nulla qualificata), siamo orientati ad affidare la custodia del museo a terzi, segnatamente ad un’agenzia specializzata.
La qualità dell’accoglienza ai visitatori è e deve essere uno dei momenti che qualificano un’istituzione: essa non può essere gestita con leggerezza. Chiederemo anche ad alcune associazioni di volontariato locale e agli “Amici del Museo Baracca” di collaborare maggiormente con noi per migliorare la qualità dell’accesso sia al museo che ai nostri spazi espositivi.
Al fine di garantire una più puntuale tutela del patrimonio, entro l’anno il museo sarà dotato di un sistema di videosorveglianza tramite dotazione di un impianto televisivo a circuito chiuso composto da sei telecamere collegate ad un sistema di videoregistrazione digitale. Tutte le telecamere faranno capo a un sistema di archiviazione e trattamento delle immagini collocato nell’ufficio a piano terra che ha anche funzioni di biglietteria e bookshop.
Un’ultima considerazione riguarda la didattica. Il Museo Baracca si è attivato da circa un anno per creare le condizioni affinché, accanto alla sua vocazione turistica, si delinei anche una più marcata visibilità del museo nel territorio. La scuola rappresenta l’interlocutore ideale perché prenda corpo l’idea di museo come “spazio d’apprendimento”. Stiamo proponendo alle scuole lughesi una collaborazione che abbia al suo centro la didattica. Partendo da due quaderni in corso di stampa, prodotti dal Servizio Musei della Provincia, disponibili entro l’anno, studenti ed insegnanti potranno interagire con gli operatori museali, i quali avranno il compito di fungere da ‘mediatori’ tra gli oggetti, i cimeli, il patrimonio del museo, dunque, e loro stessi. Questo dovrebbe essere il primo passo verso la realizzazione di un vero e proprio laboratorio didattico. Ma qui sorge inevitabile una domanda: ci saranno le risorse finanziarie o la volontà di trovarle per coinvolgere personale esterno, specializzato in percorsi didattici, visto che il museo ha un solo addetto privo di competenze specifiche in questo settore?

Speciale standard museali - pag. 11 [2004 - N.21]

La cooperazione tra musei qualifica le professionalità del settore

Claudio Casadio - Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza

Il museo del giovane Holden non ha dipendenti e lavoratori, ma quella straordinaria macchina della conoscenza, piena di vetrine, di tante cose sempre in mostra e di strumenti didattici, è ben descritta nella sua complessità e fascino dal romanzo di Salinger.
Proprio la complessità gestionale risulta in modo chiaro facendo riferimento al dibattito e alla normativa recente sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei. In particolare relativamente al personale dei musei, pur in una situazione in cui vi sono alcuni punti fermi sulle funzioni relative alle figure professionali e precise indicazioni sulla qualificazione del personale addetto, i requisiti culturali e le modalità di accesso, mancano indicazioni univoche e chiare definizioni per i profili professionali di riferimento.
Un primo fondamentale quadro di riferimento è però quello fornito dall’atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei (art. 150, c. 6 Dlgs n. 112/1998). In questo documento è stato infatti definito un valido comune denominatore per la individuazione delle figure professionali museali delineando anche i requisiti di base, le forme di impiego e le modalità di organizzazione adattabili alle diverse tipologie di musei.
In Emilia-Romagna la Regione ha adottato una delibera che tra l’altro approva gli standard di servizio e gli obiettivi di qualità per i musei. Nella parte relativa al personale sono indicate anche le funzioni minime che ogni museo deve assicurare in modo adeguato e che si riferiscono alla Direzione, Conservazione e cura delle collezioni, ai servizi educativi e didattici e alla sorveglianza e custodia.
Sulla base di questo quadro normativo Daniele Jallà ha proposto, nell’ambito di un seminario organizzato dall’Istituto Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna sul regolamento museale, un modello organizzativo basato su quattro diverse aree oltre che sul Consiglio di Amministrazione, Comitato Scientifico e Direttore. Le quattro aree proposte coprono rispettivamente la Gestione e cura delle collezioni, l’area amministrativa, l’area tecnica e i servizi al pubblico e per ognuna di queste aree sono poi individuate le diverse funzioni. Nella gestione e cura delle collezioni vi sono il conservatore, il curatore, il registrar (inteso come colui che crea, documenta e organizza tutti gli atti relativi ad acquisizioni, catalogazione e movimentazione e sicurezza opere del museo), il restauratore, l’archivista e il bibliotecario. Nei servizi al pubblico vi sono attività culturali, servizi educativi e didattici, promozione, comunicazione, sorveglianza e accoglienza. L’area amministrativa è relativa alla gestione del bilancio, cassa e contabilità, controllo di gestione, gestione del personale, affari legali e contratti, affari generali, acquisti ed economato. Nella quarta area, quella tecnica, sono compresi attività per la sicurezza, manutenzione beni immobili e mobili, gestione impianti, logistica e allestimenti.
Queste funzioni possono essere svolte con diverse modalità da personale dipendente, personale a contratto con tempo determinato, consulenti, ditte e volontari ma è sempre indispensabile la professionalità e l’aggiornamento costante. Per tenere un buon livello di qualificazione e specializzazione pur di fronte alle diverse funzioni richieste è anche possibile, e auspicabile, sviluppare gestioni in forma associata con messa in rete delle competenze tra i vari musei o con l’individuazione di figure o ditte che operano per l’insieme dei musei della rete o del sistema.
Lo sviluppo di forme di cooperazione tra musei o figure professionali sembra dunque diventare indispensabile per fornire servizi di qualità e sviluppare il sistema museale. Tra le molteplici iniziative un ruolo di primo piano è da lasciare ancora alla iniziativa normativa, come è stato fatto già per altre figure professionali come quelle della comunicazione pubblica con la legge n. 150/2000. Impegnati a completare il quadro normativo dei profili professionali vi sono le regioni, e in primo piano la Regione Emilia-Romagna che ha promosso importanti iniziative e adottato impegni precisi, e sul piano nazionale l’ICOM, organizzazione dei Musei che nell’agenda del Comitato Italiano ha un nutrito programma di lavoro per completare la definizione dei profili professionali.

Speciale professionalità nei Musei - pag. 11 [2005 - N.22]

Un intervento quasi “miracoloso” ha restituito a Brisighella una statua oggetto di grande devozione popolare

Luisa Masetti Bitelli - Istituto Beni Artistici Culturali e Naturali della Regione Emilia Romagna

È incredibile pensare che la Madonna con Bambino, scultura in terracotta ora esposta al Museo Ugonia di Brisighella, sia la stessa che arrivò, in pezzi, al laboratorio modenese di Dina Tacconi per essere sottoposta a restauro.
L’opera cinquecentesca, venerata dai brisighellesi col titolo di Madonna del Popolo, era collocata da tempi immemorabili in una piccola cappella ricavata sul lato del Palazzo comunale, lungo la via del Trebbio, la ripida salita che conduce alla Rocca. Una volta all’anno veniva portata in processione nella chiesa di San Francesco: il basamento in legno presenta ancora i fori in cui venivano inserite le stanghe della portantina. Negli anni Ottanta del secolo scorso venne rimossa dalla sua sede per essere restaurata e al suo posto fu collocata una moderna Madonna in ceramica. Il restauro previsto, però, non fu mai programmato e la scultura rimase per oltre un decennio in vari depositi comunali.
Il progetto di intervento, messo a punto dall’IBACN con i contributi della legge regionale per i musei (L.R. 18/2000 - Piano Museale 2000), aveva lo scopo di recuperare quella immagine devozionale che, pur molto lacunosa, avrebbe potuto nuovamente essere oggetto di ammirazione per il pubblico e anche di studio per esperti.
Prima di dare conto delle operazioni di restauro è opportuno descrivere brevemente le condizioni del manufatto così da comprendere meglio il risultato finale. Il busto della Vergine, privo della testa e del braccio destro, era completamente ricoperto da grossolani rifacimenti in gesso ed era ancorato ad un basamento di legno grazie ad un telaio di ferro, molto arrugginito e abraso. Sul retro della scultura, una colata di scagliola aveva riempito la cavità, tanto da farla sembrare a tutto tondo, quasi sicuramente per renderla più stabile. Il corpo del Bambino era, ed è tuttora, quasi inesistente: privo di braccia e di gambe, con la testa percorsa da una fenditura e il volto privo del piccolo naso. Purtroppo i frammenti, conservati in una scatola di cartone, solo in parte hanno ritrovato una loro collocazione nella ricostruzione dell’opera. Ne è un esempio il piede sinistro della Madonna, rifacimento grossolano in gesso, non utilizzabile.
Dopo una ulteriore ricerca a Brisighella per individuare la presenza di altri pezzi mancanti, il cui esito si è rivelato negativo, si è proceduto al lungo e delicato intervento di restauro. La prima fase è consistita nell’esame dei frammenti disponibili, liberati dagli strati di gesso per meglio individuare il loro posizionamento. La pulitura del manufatto è stata eseguita con spugna imbevuta in acqua deionizzata e soluzione fungicida. In tal modo è stato possibile rimuovere lo sporco e disinfestare le varie parti da muffe e microrganismi depositati nel tempo.
Un ulteriore passaggio ha riguardato il controllo dei rifacimenti e delle stuccature e la messa a punto di piccoli sondaggi di pulitura nelle parti policrome. Tale operazione ha reso possibile innanzitutto l’individuazione delle ridipinture – sul manto e sulla veste della Vergine – e ha consentito di analizzare il tipo di intervento da eseguire. Si è poi proceduto a liberare dal gesso tutta la scultura, compreso le teste della Madonna e del Bambino e alcuni rifacimenti dei panneggi, operazione particolarmente delicata e laboriosa essendo la materia fragile e soggetta a possibili fratture.
Notevolmente alleggerita dalle pesanti aggiunte in gesso, l’opera era pronta per essere riassemblata con l’inserimento di tutti i tasselli ritrovati. Per fare ciò è stata utilizzata resina epossidica bicomponente e perni e staffe in acciaio e vetroresina, di dimensioni variabili secondo la grandezza del pezzo da inserire. Dopo l’intervento sulla policromia, eseguito con impacchi di carbonato di ammonio in soluzione acquosa, si è proceduto alla stuccatura di tutte le fessurazioni e al ritocco. L’ancoraggio della scultura al basamento ligneo, opportunamente pulito e consolidato, è avvenuto con l’inserimento di sostegni metallici che garantiscono la solidità dell’insieme.

Speciale restauri - pag. 11 [2006 - N.25]

Dall’esperienza della ricostruzione in 3D delle sale espositive delle “Cappuccine” lo spunto per una riflessione: abbiamo gli strumenti, sappiamo cosa dire?

Diego Galizzi - Conservatore del Centro Culturale "Le Cappuccine" di Bagnacavallo

I recenti sviluppi delle tecnologie multimediali e di computer grafica e la parallela affermazione dell’ambiente internet come veicolo di primaria importanza per la diffusione della cultura hanno portato negli ultimi anni molti istituti museali a dotarsi di strumenti di visualizzazione on-line delle loro collezioni. A fronte di questa entusiastica rincorsa alle ultime conquiste tecnologiche non sempre però appare chiaro che cosa si intenda esattamente per museo virtuale. Più comunemente viene considerato come tale quello strumento telematico che utilizza la multimedialità per riproporre l’emozione di una visita tra le sale di un museo realmente esistente, magari tramite una ricostruzione in 3D. Esiste però una seconda interpretazione che intende il museo virtuale come un accostamento di oggetti dispersi sul territorio presentando così, in una sorta di museo dell’impossibile, le opere di un determinato autore o che appartengono a una certa tematica o contesto artistico.
Dal punto di vista teorico la questione tocca da vicino il nocciolo della finalità stessa del museo, delle forme di comunicazione e delle modalità di fruizione del patrimonio museale. Senza addentrarsi troppo nell’argomento, sembrerebbe che alla disponibilità di mezzi tecnici straordinariamente avanzati, sperimentati con successo in altri settori come l’intrattenimento o la medicina, non faccia seguito un’idea chiara di come utilizzarli efficacemente nel campo della comunicazione museale. Nel caso della ricostruzione in 3D di un museo si tratta, in sostanza, di capire fino a che punto l’operazione di contestualizzazione di un’opera d’arte tra le pareti di un museo realmente esistente possa considerarsi, al di là degli intenti promozionali del museo stesso, come la conquista ultima conseguibile grazie ai sistemi di realtà virtuale oppure si possa e si debba puntare ad altro. Non sono forse le collezioni stesse dei musei frutto di una decontestualizzazione forzata che proprio l’uso delle nuove tecnologie potrebbe superare?
È dunque con convinzione ed entusiasmo ma anche con qualche cautela che da alcuni mesi a Bagnacavallo stiamo lavorando alla messa a punto di un web-museum per la Pinacoteca Civica. Il progetto, promosso e finanziato dalla Provincia di Ravenna, vede coinvolti i tecnici della ditta Panebarco & C. ed ovviamente i responsabili del museo per quanto riguarda i contenuti e l’impostazione concettuale. Grazie alle potenzialità del software Exhibits3D, sarà presto possibile esplorare i locali della Pinacoteca ed ammirarne le collezioni permanenti in una sorta di visita immersiva in ambiente virtuale.
Per quanto detto nelle premesse abbiamo però cercato soluzioni in grado di sfruttare maggiormente le opportunità nel mezzo; in primo luogo, abbiamo accolto la possibilità davvero interessante sviluppata dalla ditta Panebarco e dall’IBACN di collegare gli oggetti rappresentati direttamente con le schede catalografiche presenti nelle banche dati della Regione. Si tratta di un primo tentativo di superamento delle barriere architettoniche del museo, un modo per calcare quella “logica di rete” che senza dubbio costituisce uno dei principali valori aggiunti di questo tipo di sperimentazione.
Parallelamente si è percorsa la via di rappresentare nelle sale solitamente dedicate alle esposizioni temporanee parte del nostro patrimonio che, per ragioni conservative o di spazio, oggi è invisibile al pubblico; mi riferisco soprattutto a quella straordinaria collezione di incisioni che non può trovare occasione di esposizione se non saltuariamente all’interno di eventi espositivi. L’obiettivo è proprio quello di valorizzare ulteriormente la nostra attività espositiva grazie alla possibilità di riproporre non solo le informazioni iconografiche e testuali, ma anche gli allestimenti e gli apparati didattici delle nostre mostre più significative, magari offrendo all’utente la facoltà di scegliere quale percorso espositivo ripercorrere all’interno del nostro web-museum. Proprio questa funzionalità è stata recentemente presentata al Salone dei Beni Culturali di Venezia dove, in via dimostrativa, è stata “allestita” la mostra di incisioni da poco conclusasi William Hogarth e la commedia della società borghese.

Speciale musei virtuali - pag. 11 [2006 - N.26]

Catalogazione, tutela e valorizzazione dei beni culturali: tre concetti, ma un’unica soluzione proposta dall’Istituto Beni Culturali dell'Emilia Romagna

Carmela Baldino - Executive Manager C.R.C. srl

L’attività di catalogazione, finalizzata alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio artistico e storico della nostra regione, è già da alcuni anni al centro di numerosi interventi volti alla realizzazione di archivi informatizzati. Negli anni ’90 l’IBC della Regione Emilia-Romagna ha creato il Centro Regionale per il Catalogo e la documentazione CRC srl, allo scopo di avere uno strumento organizzativo in grado di seguire il processo di recupero e valorizzazione del patrimonio in tutte le sue fasi: dall’indagine esplorativa alla predisposizione del progetto, dalle attività coordinate di schedatura, rilevazione bibliografica e fotografica alla digitalizzazione, al collegamento delle immagini con le schede, al collaudo e alla delivery finale. Il CRC è quindi il laboratorio in cui l’IBC sperimenta le nuove tecnologie, di volta in volta resesi disponibili, applicandole ai beni culturali.
L’introduzione dell’informatica nel processo catalografico ha messo in atto profonde modificazioni dei prodotti della catalogazione, in quanto la necessità di una gestione automatizzata dei dati ha reso indispensabile un’organizzazione uniforme delle informazioni secondo criteri rigorosi che consentono di ottenere risultati univoci. Le nuove tecnologie hanno fortemente innovato il settore perché hanno permesso di mettere in atto il processo di normalizzazione continua del linguaggio scientifico, nella fase sia di compilazione della scheda che di controllo, agevolando in ogni momento la correzione e l’integrazione di grandi masse di dati.
La necessità della catalogazione sistematica come azione conoscitiva alla base di qualsiasi intervento di tutela e di valorizzazione del patrimonio storico-artistico è un concetto ormai generalmente acquisito. Conoscenza non solo come individuazione dell’opera, ma anche come ricerca filologica e studio critico approfondito, tutela come pianificazione di interventi conservativi e di restauro o come freno ad azioni di asportazione e danneggiamento, valorizzazione intesa come diffusione delle informazioni sui beni culturali non più legata esclusivamente ai mezzi tradizionali, come esposizione e cataloghi, ma avvalendosi delle nuove tecnologie informatiche quali i mezzi multimediali per banche dati e banche immagini. Per questo motivo, prima di un qualsiasi progetto di valorizzazione della collezione, è necessario creare una banca dati in grado di gestire le diverse fasi della schedatura e della documentazione del patrimonio.
L’istituzione che decide di valorizzare il proprio patrimonio storico artistico dando vita ad un percorso di recupero, incontra sempre più spesso la necessità di dotarsi di un moderno strumento informatico che le consenta di avviare una esaustiva catalogazione e successivamente di renderla fruibile. Le informazioni e i servizi di biblioteche, archivi e musei pertanto devono essere convergenti e dinamici: per fare questo occorre una soluzione che fornisca strumenti software e servizi con i quali organizzare le collezioni, dandone fruizione e visibilità rompendo il confine spazio-temporale dell'esposizione.
Negli anni l’IBC ha fatto proprio l’impegno di dotarsi di moderni e raffinati strumenti informatici, sviluppando nel contempo professionalità e competenze destinate alla catalogazione e alla digitalizzazione dell’importante patrimonio storico culturale conservato presso i musei di proprietà degli Enti locali della regione, creando così un Catalogo informatizzato nel rispetto degli standard catalografici dell’ICCD. La banca dati costituitasi è attualmente fruibile attraverso Internet: la fruizione avviene tramite un semplice ma potente motore di ricerca interno che presenta chiari criteri di ricerca sia grafici che testuali. L’oculata scelta di rispettare i criteri dettati dall’ICCD e l’applicazione dei moderni concetti di relazionabilità ha permesso di trasformare la banca dati dell’IBC da un semplice repository conservativo ad una moderna ed insostituibile risorsa di ricerca internazionale consultabile attraverso i più moderni motori di ricerca sviluppati con tecnologie meta searcher engine e information retrival technology.
Gli obiettivi di conoscenza e tutela sono perseguiti con l’utilizzo dell’ambiente di catalogazione Odysseus messo a disposizione dall’IBC che - applicando gli standard catalografici ministeriali - ha permesso di costituire una banca dati ricca di circa 50.000 schede fruibili on-line attraverso Internet. L’obiettivo di valorizzazione è raggiunto con la costante attenzione della conoscenza, diretta non a solo al pubblico degli studiosi. Questa necessità ha mutuato la volontà di avere a disposizione uno strumento che consente di avviare ricerche su cataloghi eterogenei in maniera semplice e intuitiva.
La moderna tecnologia dei metamotori di ricerca è stata applicata allo sviluppo del Sebina Open Search: l’utilizzo di questo potente strumento informatico consente a qualsiasi utente nazionale o estero di procedere con ricerche trasversali, partendo da cataloghi museali, bibliotecari o archivistici che proprio per la loro specificità di catalogazione non sono confrontabili tra loro con sistemi di ricerca generalisti come i moderni motori di ricerca utilizzati quotidianamente.
Il moderno concetto di fruizione delle banche dati catalografiche raggiunge la sua massima e moderna accezione nell’integrazione con le visite virtuali on-line in 3D commissionate dall’IBC e prodotte con l’utilizzo del software Exhibits3D sviluppato dalla Panebarco & C. di Ravenna. La tecnologia di ricostruzione virtuale 3D può essere applicata sia per la fedele ricostruzione di luoghi museali anch’essi di rilevante importanza storico-artistica sia per la costruzione di luoghi immaginari evocativi, dove far convergere e fruire i risultati delle campagne catalografiche commissionate dall’IBC nell’ambito dei finanziamenti della L.R. 18/2000 e realizzate da CRC.
Le visite virtuali prodotte con Exhibits3D si differenziano da tutte le altre ricostruzioni attualmente disponibili su Internet per essere le uniche realmente immersive e fruite in tempo reale. La tecnologia dei moderni videogiochi è applicata in questo caso al settore dei beni culturali, permettendo al visitatore di non essere uno spettatore passivo della regia dell’operatore museale, ma di essere reale ed unico visitatore dell’esposizione, che sarà così fruita in tutti i suoi aspetti, compresa la possibilità di sostare per tutto il tempo necessario per documentarsi sull’opera esposta. Le fonti informative di ogni opera esposta sono differenziate tra statiche e dinamiche; la prima fonte è un’esauriente scheda informativa redatta dall’operatore culturale, la seconda offre la possibilità di avviare una ricerca dinamica con il metamotore Sebina Open Search (di proprietà dell’IBC e della Divisione Beni Culturali Data Management) su risorse catalografiche definite dall’operatore culturale dell’istituzione. La visita è arricchita dalla possibilità di utilizzare in ogni momento il sistema di Front Office che l’istituzione museale può mettere a disposizione di ogni visitatore on-line.
Questo sistema permette di attivare un filo diretto e totalmente personalizzato con gli organi dell’istituzione, dando la possibilità di porre quesiti inerenti all’esposizione e al patrimonio conservato all’interno del museo, di consultare l’elenco degli eventi organizzati e di prenotarne la partecipazione, di effettuare il download di cataloghi digitali e la documentazione che il museo deciderà in totale autonomia di mettere a disposizione dei moderni argonauti culturali.

Speciale catalogazione - pag. 11 [2006 - N.27]

La città di Ravenna offre molteplici curiosità garibaldine.

Franco Gabici - Capo Reparto delle Attività scientifiche e museali del Comune di Ravenna

Ravenna ha sempre avuto un forte feeling con Giuseppe Garibaldi, al quale ha innalzato un monumento, l'unico innalzato in Romagna al mitico "eroe dei due mondi". La statua uscì dallo scalpello dello scultore ravennate Giulio Franchi e fu inaugurata in pompa magna il 4 giugno del 1892; dopo le solite discussioni su dove collocarla, si decise in un primo momento di sistemarla davanti al "ricovero di mendicità" Garibaldi e Zarabbini (una volta le "case protette" si chiamavano più realisticamente così), dove si sarebbe creata una apposita piazzetta, ma l'idea non piacque al conte Pergami Belluzzi, proprietario dello spazio.

Si ripiegò allora sull'attuale Piazza S. Francesco, che all'epoca si chiamava Piazza Byron, dove la statua rimase fino al 1935, per consentire i lavori che avrebbero portato alla costruzione della cosiddetta "Zona dantesca".

Ci furono anche curiose proposte. Qualcuno suggerì di regalare al Comune di Russi la statua di Farini posta davanti alla stazione ferroviaria e di mettere al suo posto Garibaldi. Altri ancora di sistemarla in Piazza dell'Aquila, ma alla fine fu il prefetto Guerresi a decidere di collocare la statua nella Piazza Alighieri. E Garibaldi - dopo essere stato per 45 anni davanti a San Francesco - fu dunque trasferito nella attuale sede.

Garibaldi entrò nella toponomastica cittadina. Fino a poco tempo fa, la via principale del centro cittadino, via di Roma, era chiamata Corso Garibaldi, come anche la caserma militare che un tempo occupava tutta l'area dell'attuale Giardino Zaccagnini. Anche il "ricovero", come già ricordato, fu intitolato all'eroe dei due mondi e pure la Scuola elementare che un tempo aveva sede nel palazzo Rasponi Bonanzi in via di Roma, all'angolo con via Guaccimanni. Molti ravennati, inoltre, tenevano in casa un'immagine dell'eroe e sembra che il babbo di don Minzoni tenesse sopra al letto - dove tradizionalmente si appendevano immagini sacre - il ritratto di Garibaldi!

Non mancano le cosiddette leggende metropolitane: una di queste, fra l'altro avvallata da Pier Desiderio Pasolini, racconta che Garibaldi prima di entrare in città fece sosta nell'osteria della Zabariona nel borgo san Biagio e insieme a lui c'era Goffredo Mameli, che addirittura avrebbe scritto l'inno nazionale davanti a un bicchiere di Sangiovese. La fantasia non ha davvero confini!

Molti ravennati seguirono Garibaldi sui campi di battaglia. Fra questi ricordiamo Domenico Cortesi, che fece parte del battaglione degli studenti romagnoli che nel 1848-49 combatté contro gli austriaci. Cortesi, che per quarant'anni esercitò la professione di medico a Sant'Alberto, un paese molto devoto all'eroe tant'è che quando ancora era in vita se ne celebrava l'onomastico con un concerto musicale gratuito e con tutte le finestre del paese illuminate. Cortesi aveva conservato i capelli di Anita che poi avrebbe consegnato a Garibaldi quando il 20 settembre del 1849 fu a Ravenna per recuperare le spoglie della moglie. E in quell'occasione a Garibaldi fu conferita la cittadinanza onoraria. Garibaldi parlò ai ravennati dal balcone del Municipio e si dichiarò superbo "della cittadinanza di questa illustre città". La burocrazia, però, rallentò i tempi e fece recapitare l'atto ufficiale a Garibaldi solamente tre anni più tardi, vale a dire dopo l'impresa dei Mille e dopo la battaglia dell'Aspromonte.

Quando nel 1865 Ravenna si apprestò a celebrare con grande solennità il VI centenario della nascita di Dante, il nome di Garibaldi fu il primo di un elenco di dieci persone che il Municipio ritenne degne di essere raggiunte da un "invito speciale".

Nel borgo san Rocco si leggono ancora due lapidi poste a memoria della famosa trafila garibaldina. Una lapide ricorda la casa di Gregorio Zabberoni che accolse Garibaldi "cercato a morte dagli austriaci", mentre l'altra ricorda i fratelli Antonio Federico e Achille Plazzi che dettero asilo al "Garibaldi fuggiasco" nei "memorabili giorni 9, 10 e 11 agosto 1849".

Va anche ricordato che il primo nucleo del Museo del Risorgimento di Ravenna fu inaugurato il 19 giugno del 1932 con alcuni cimeli gelosamente conservati dai ravennati e se oggi Ravenna può vantare ancora un interessante Museo del Risorgimento lo deve in massima parte a quanti hanno conservato e raccolto cimeli garibaldini.


Speciale Epopea Garibaldina - pag. 11 [2007 - N.28]

Il mondo della cultura materiale e dell'artigianato rurale in un'ampia raccolta privata a Savarna.

Giuseppe Bellosi - Studioso di cultura popolare

Andando a trovare Romano e Maria Rosa Segurini, nella campagna di Savarna, si ha la sensazione di entrare nel mondo della cultura materiale e dell'artigianato rurale degli anni Venti e Trenta descritto dal linguista ed etnografo Paul Scheuermeier nella sua grande opera "Il lavoro dei contadini".

La casa conserva gli usci originali con la rameta e e' carnaz e nell'ampia camera del camino si trovano la tavola da tiro, e' stracanton, il mobile 'primavera', gli stampi per i dolci, la salarôla. Sterminata è la raccolta di oggetti e attrezzi, dagli utensili da cucina (pignatte, paioli, tegami, mezzette, coltelli) a quelli usati per gli altri lavori domestici: per la produzione del pane (le rudimentali macine di pietra, la matra, la grâma, per la macellazione del maiale (i stricadur), per la lavorazione della canapa (e' gramet, i pètan), per la filatura e la tessitura (la roca, e' filaren, e' nasp, e' dvanadur, e' tlêr). La stalla e i finimenti per i bovini, i cavalli e i somari testimoniano l'importanza del bestiame, soprattutto come forza lavoro. Poi ci sono i mezzi di trasporto, da e' car (tre carri costruiti a Granarolo, tra i quali uno dipinto da Maddalena Venturi nel 1926, e uno bolognese del 1834) al calesse (e' baruzen), di cui Segurini conserva una ventina di esemplari.

Preponderante è lo spazio riservato al lavoro dei campi con gli attrezzi agricoli fondamentali: zappe, badili, vanghe, forcali, rastrelli, pale, l'arbégh, e' parghér. E in particolare quelli per la mietitura del grano (la fêlza, i bélz), per la trebbiatura (da e' targion o batdór a la màchina da bàtar), e per la produzione del vino: dalla vendemmia (con e' runchet) alla pigiatura dell'uva (la mustadóra), alla fermentazione, alla conservazione del vino in cantina. E ancora gli attrezzi per la raccolta delle barbabietole (la furcheta, e' sgranfgnì), per la fienagione (da e' fër da sghê a la sgadóra, da e' rastël a la rastladóra). Non mancano gli strumenti degli artigiani: il bottaio, il falegname, il calzolaio, il muratore, e' fradór, e' curdaren. Di particolare rilevanza è la bottega del fabbro di Savarna, Sante Errani (la butéga d'Tinen), recuperata nel 2006.

L'ideatore di tutto questo è Romano Segurini, già direttore amministrativo e finanziario dell'ITER, figlio di contadini, cioè di Carlucio d'Sguren e della Norina d'Caravita (Mazzotti). Dopo essersi dedicato a ricerche paleontologiche, dal 1985 ha rivolto la sua attenzione alla cultura materiale romagnola, costituendo la raccolta esposta dal 2002 nella sua casa contadina di Savarna e nelle costruzioni annesse: il casone con le grandi travi di gattice e l'edificio che riuniva porcile, pollaio, stalla del somaro, forno e furnasëla. Segurini ha recentemente aggiunto due costruzioni in erba palustre che un tempo non mancavano nella corte rurale, e' capâñ (che si usava per il ricovero degli attrezzi), e la capâna (che serviva da cantina), fabbricati dall'ultimo costruttore di capanni, Alvaro Agostini di San Marco.

Mobili, oggetti e attrezzi non costituiscono un museo, ma l'arredo di una casa viva, abitata dai Segurini e frequentata dai figli, dai nipoti e dagli amici. Segurini spiega al visitatore la funzione dei vari attrezzi, ne dice i nomi dialettali, collega insomma le cose alle parole di quel dialetto attraverso cui si è trasmessa per secoli la cultura materiale, quel sapere contadino e artigiano che di voce in voce e di gesto in gesto è giunto fino a noi e la cui memoria può ancora essere salvata.

La raccolta di Segurini non è dunque il frutto di un'operazione 'folkloristica' e nostalgica che si nutre di stereotipi, ma, come ha scritto Giorgio Pedrocco a proposito dell'opera di Scheuermeier: "riflette la massiccia persistenza... di una organizzazione agricola tradizionale, dove produzione e consumo, agricoltura e artigianato rurale sono ancora strettamente connessi", e testimonia le trasformazioni avvenute nel corso del Novecento, con la meccanizzazione delle operazioni agricole. Questo sistema oggettuale costituisce insomma "il veicolo di lettura della storia della proprietà, del territorio, delle tecnologie rurali", e anche della storia linguistica locale. Insieme con Pedrocco auspichiamo che la ricerca avviata da Segurini possa essere approfondita, "per trarre da queste fonti apparentemente mute la storia degli 'organi produttivi dell'uomo sociale', per ripercorrere poi con maggiori elementi di conoscenza la storia delle strutture sociali".

Speciale collezionismo privato - pag. 11 [2007 - N.29]

Nel 1908, in occasione delle celebrazioni torricelliane, nasceva il Museo Internazionale delle Ceramiche, cresciuto grazie a Gaetano Ballardini

Jadranka Bentini - Direttrice Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza

La genesi del Museo delle Ceramiche rispecchia innanzi tutto il carattere solidamente pratico della terra d'origine, quel pragmatismo proiettato verso l'intensità dell'impresa che non si ferma dinanzi all'utopia del progetto, ma ne cavalca i contorni in una incessante ricerca costruttiva in cui ciò che conta sono l'esperienza e la misura di una costante eccitazione rivolta alla crescita e al convincimento dell'azione: la formazione e la crescita del Museo furono affidate all'opera dei suoi fondatori, tra i quali spicca la figura dell'ideatore, quel Gaetano Ballardini preparato culturalmente all'investigazione storica dalla sua frequentazione degli archivi, mosso da un sapere museografico alquanto maturo per i tempi e in asse con la visione pianificatoria che del settore ebbero tanti illustri suoi coetanei, a cominciare dall'amico Corrado Ricci allora alla direzione dell'amministrazione centrale delle Belle Arti, che non poco peso ebbe nell'avvantaggiare l'originario progetto del museo faentino, nell'accreditarne le origini e nell'agevolarne la crescita.
La nascita del Museo dal nulla, nel 1908, a ridosso di una nota quanto fortunata Esposizione Internazionale di manufatti artistici e artigianali promossa nel nome di uno dei padri della scienza moderna, Evangelista Torricelli, credo possa essere considerata una prova di capacità innovativa e di sapienza politica, avviata all'insegna del coraggio ma anche della consapevolezza di stare costruendo un'impresa radicata sul luogo originario, sul suo tessuto antropologico ed economico come sulle maglie della sua migliore tradizione artistica e culturale. Il museo diviene il depositario dell' identità storica della città rilanciata in una nuova dimensione produttiva, senza cedimenti a spersonalizzazioni di caratteri o di saperi pericolosamente in vista dopo il trionfo dell'economia industriale di massa; esso attesta da subito il suo ruolo di luogo di concentramento oggettuale ma non a soli fini espositivi, bensì di promozione di un nuovo magistero artigianale ceramico affidato alle voci del passato rivisitate dallo spirito e dal funzionalismo moderni.
Almeno fino alla seconda guerra mondiale la "creatura" di Ballardini ha retto un equilibrio invidiabile, guadagnato giorno per giorno attraverso un paziente lavoro di studio per accreditare la disciplina di una storia della ceramologia su basi rigorose di conoscenza tecnica comparata e di solido documentalismo, affiancando alla ricerca il versante della scuola pratica per non perdere quel filo ininterrotto della tradizione e soprattutto per salvaguardare il concetto di contemporaneità del fare ceramica attraverso la conoscenza dei processi e delle tecnologie produttive: la tesaurizzazione secolare di tante opere e di tante collezioni, giunte quasi esclusivamente attraverso libere donazioni, ha coronato il sogno di costruire un museo a spettro mondiale, senza confini, dove tutti i paragoni sono possibili entro il linguaggio comune della ceramica, dall'Oriente all'Occidente, dall'antichità alla modernità, in un intreccio di percorsi espressivi di inedita e irripetuta formulazione.
La validità di un tale museo è ancora oggi attuale purché non si chieda ad esso di continuare a porsi quale forza centripeta di un universo ceramico capace di coniugare formule e intrecci divenuti impossibili, sciolti ormai per divaricazione autonoma o trasformazione tanto degli istituti preposti alla formazione scolastica e professionale come delle aziende volte alla produzione artigianale e industriale. Sussistono invece il carattere di centro stimolatore di creatività artistica - l'ininterrotta serie delle edizioni del Concorso Internazionale della Ceramica d'Arte lo attesta - come quella di centro di documentazione e di studio sulla e per la ceramica, con l'ambizione mai tradita di poter concentrare quanti più archivi possibili della conoscenza entro l'ambito disciplinare specifico guadagnato con una competenza secolare. Sempre di più emerge oggi l'identità di museo modernamente inteso che dalla sfera conservativa e dalla dimensione espositiva di valorizzazione delle collezioni si proietta nella missione educativa parallela e integrata alla scuola e agli altri centri di formazione, spaziando in settori tecnologici e scientifici di nuova frontiera della ceramica e ricercando con rinnovato dinamismo legami interattivi con personalità museali affini in campo mondiale, non senza dimenticare un ruolo prioritario nel sistema museale territoriale romagnolo.
Celebrare oggi i cento anni di vita del Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza significa riconoscere il valore di una storia e di una attualità del tutto originali di un luogo che ha saputo sedimentare un patrimonio tipologicamente omogeneo quanto differente nelle fonti e nelle culture d'origine, ma anche sottolineare la sua unicità di istituto museale preposto a una documentazione specifica - la ceramica - come ad un modello di comunicazione intercorrente fra raccolte tecniche e pensiero critico dispiegato dagli allestimenti che si sono susseguiti nel tempo fino all'ultimo, di impronta assolutamente moderna. La sua internazionalità, d'origine genetica ma soprattutto riposizionata costantemente nel corso dell'intero Novecento dall'incessante rete di rapporti istituiti e dal credito scientifico guadagnato, è fuori discussione: per ragioni ancora non del tutto chiare ma comuni ad altri campioni di casa nostra, la sua fama è intangibile all'estero, soprattutto presso tutti i musei e i centri propedeutici o di produzione della ceramica, dall'Europa all'America fino all'Oriente, meno robusta in Italia, circuiti della ceramica a parte.
L'esposizione antologica, allestita prima a Roma, presso la Biblioteca della Camera dei deputati nel Palazzo del Seminario, e ora a Milano, nelle Sale Viscontee del Castello Sforzesco, offre la prestigiosa occasione di riconoscimento di un lungo lavoro sulla salvaguardia di una memoria e di una pratica rilanciate per un secolo in chiavi di persistenza e di attualità, dall'oggetto esclusivamente funzionale al quotidiano e al costume fino all'opera d'arte espressa per scelta dall'artefice nella materia ceramica, una sorta di riscatto prepotente di quest'arte del fuoco dai limiti imposti dalle forme tradizionali.
A Milano la mostra assume poi una valenza diversa, in quanto testimone di un'arte e di un patrimonio storico assai vicino alle raccolte ceramiche medioevali e moderne del Castello Sforzesco che conta su di uno dei nuclei più prestigiosi in tal senso, non solo in Italia, ma in Europa.
Non dimentichiamo che l'allestimento Beltrami del 1904, con quell'allineamento rigoroso e pulito di ceramiche arcaiche e rinascimentali sotto le volte del Castello, giocò un peso determinante anche per le scelte del faentino Ballardini, dapprima di pura aspirazione indi di emulazione per il "suo" Museo che doveva inaugurare i primi percorsi espositivi. A distanza di un secolo i due musei di arte applicata, ciascuno con la sua propria identità, si rincontrano mettendosi a confronto con l'obiettivo di valorizzare nella reciprocità delle proposte i patrimoni ceramici acquisiti fino ad oggi.

Speciale Celebrazioni Torricelliane - pag. 11 [2008 - N.32]

ICOM è la più importante organizzazione dei musei e dei professionisti museali

Daniele Jalla - Presidente di ICOM Italia

ICOM, l'International Council of Museums (www.icom.museum), è l'organizzazione mondiale dei musei e dei professionisti museali, impegnata - come recita il suo Statuto - "a preservare, ad assicurare la continuità e a comunicare il valore del patrimonio culturale e naturale mondiale, attuale e futuro, materiale e immateriale".
Creato nel 1946, dopo la Seconda guerra mondiale, per iniziativa di Chauncey J.Hamlin, Presidente dell'American Association of Museums, con l'obiettivo di diffondere la reciproca conoscenza fra le culture come base comune per la pace, l'ICOM ha la sua sede centrale a Parigi, è un'organizzazione non governativa, associata all'UNESCO e con lo status di organismo consultivo presso il Consiglio economico e sociale delle Nazioni Unite. Finanziata dalle quote dei suoi aderenti e grazie al sostegno di diversi organismi pubblici e privati ICOM Riunisce più di 26.000 soci presenti nei cinque continenti e costituisce la più vasta rete internazionale di comunicazione e di confronto per i professionisti museali di tutte le discipline e le specialità.
Attraverso .i suoi 118 Comitati Nazionali (National Committees), presenti in 151 paesi, e i 30 Comitati Internazionali (International Committees), legati a specifiche tematiche o tipologie museali, ICOM promuove e sostiene l'istituzione, lo sviluppo e la gestione professionale dei musei; attraverso programmi, pubblicazioni, seminari, corsi di formazione e la Giornata internazionale dei musei che si tiene ogni anno il 18 maggio; organizza la cooperazione e l'aiuto reciproco fra i musei e i professionisti museali nei diversi paesi; rappresenta, difende e promuove gli interessi di tutti i professionisti museali, senza eccezione; diffonde la conoscenza della museologia e delle altre discipline relative alla gestione e alle attività del museo.
Tra i suoi principali documenti, oltre allo Statuto, vi è il Codice deontologico per i musei (www.icom.museum/ethics) che stabilisce gli standard minimi di comportamento e di prestazione per i musei e i professionisti museali e il Piano Strategico che individua gli obiettivi che ICOM intende conseguire nel triennio 2008-2010.
ICOM Italia (www.icom-italia.org) è il Comitato nazionale italiano, che esiste dai primi anni Cinquanta e conta oggi circa 700 soci, individuali e istituzionali, il doppio di quanti erano appena quattro anni fa. Tra le principali iniziative sviluppate da ICOM Italia negli ultimi anni va segnalato l'impulso dato alla costituzione, nel novembre 2004, della "Conferenza permanente delle associazioni museali italiane" quale sede permanente di concertazione tra tutti gli organismi che operano nell'ambito e a favore della museologia in Italia.
In questo ambito ICOM Italia ha curato l'organizzazione delle Conferenze nazionali dei musei, giunte nel 2008 alla quarta edizione. Nel 2005 e nel 2006 le Conferenze nazionali sono state dedicate alla presentazione e approvazione della "Carta nazionale delle professioni museali italiane" che ICOM Italia ha proposto anche a livello europeo partecipando attivamente alla redazione del manuale europeo delle professioni museali in collaborazione con ICOM Francia, ICOM Svizzera e l'ICTOP - il Comitato internazionale dedicato alla formazione dei professionisti museali.
Nel 2007 al centro del dibattito della Conferenza è stato posto il rapporto fra professionisti e volontari e il 10 e 11 novembre 2008 a Milano la prossima Conferenza nazionale - affiancata per la prima volta dal Forum di "Musei Italia" - affronterà il tema cruciale della formazione.
Tra gli altri progetti in corso vanno ricordati: lo sviluppo del CEDOMM il Centro di documentazione sulla museologia e museografia, il progetto di "Lessico dei musei italiani", la creazione, in collaborazione con le altre Associazioni museali, dei Coordinamenti regionali, l'avvio di Commissioni tematiche dedicate a temi di interesse museologico, il blog "Musei per il XXI secolo".
ICOM Italia ha sede presso il Museo della Scienza e della Tecnica "Leonardo da Vinci" in Via S.Vittore 19/21 - 20123 Milano (tel. 02.4695693 - fax 02.4695693 - e-mail; info@icom-italia.org).


Speciale Associazioni Museali Italiane - pag. 11 [2008 - N.33]

Il Museo ravennate conserva opere di alcuni dei principali interpreti del futurismo romagnolo

Chiara Pausini - Collaboratrice MAR di Ravenna

La vicenda figurativa del futurismo in Emilia Romagna, sapientemente indagata dalla storiografia recente, è caratterizzata dalla presenza di episodi circoscritti che non permettono la ricostruzione di una visione compatta, ma costringono all'indagine e all'apprezzamento di ogni singolo personaggio, seppur nel riconoscimento di tendenze comuni.
Al Museo d'Arte della città sono conservate e in parte esposte quattordici opere riconducibili ad alcuni dei principali interpreti del futurismo romagnolo: Ginna, Malmerendi, Toschi, Sella, Tato, Babini. Alcuni pezzi appartengono in realtà ad una fase successiva a quella futurista, ma costituiscono una testimonianza preziosa dell'originale percorso artistico attraversato dai suoi più illustri rappresentanti.
Arnaldo Ginanni Corradini, meglio noto con lo pseudonimo di Ginna, nacque a Ravenna il 7 maggio 1890 e, accanto al fratello Bruno, divenne uno dei più singolari teorici ed esponenti del movimento. Il Mar conserva otto opere dell'artista, donate dalla famiglia alla Pinacoteca in seguito alla mostra a lui dedicata, nel 1985. Così recita un documento del 1986, relativo alla donazione: "... la famiglia Ginanni Corradini ha accolto l'invito a donare alcune opere del pittore e grafico futurista che, arricchendo la nostra collezione, testimoniano di una delle più singolari presenze artistiche espresse dalla nostra città". Quattro oli e tre disegni che documentano l'originale percorso artistico dell'artista tra gli anni '20 e '60, caratterizzato dal graduale sconfinamento nei territori dell'astrattismo.
Nel 2006, in occasione della mostra Più opere al mar; le nuove acquisizioni del Museo, veniva esposto al pubblico un olio firmato da Giannetto Malmerendi, Ritratto di Fidanzata del 1917, donato al museo dal figlio dell'artista Francesco. L'adesione del pittore faentino al futurismo fu immediata, seppur di brevissima durata, e avvenne in occasione di una delle famose conferenze tumulto di Marinetti, al Teatro del Corso di Bologna, il 19 gennaio 1914. Nel 1919 il rifiuto a partecipare alla Grande Esposizione Nazionale Futurista di Palazzo Cova a Milano sancì l'inizio di una nuova fase, caratterizzata dal ritorno ad un'arte più semplice e comunicativa, preannunciata dall'olio del 1917.
Orazio Toschi, lughese di nascita, si trasferì a Faenza nel 1897. Frequentò la casa di Francesco Balilla Pratella, che cercò di introdurlo nei vertici del circuito futurista, trascinandolo verso scelte di avanguardia. I numerosi pastelli, oli e carboncini realizzati tra il 1916 e il 1919 esprimono l'interesse per il nuovo linguaggio. Il suo lirismo pittorico ottenne l'approvazione di Marinetti che lo invitò alla mostra di Milano del 1919, alla quale partecipò con cinque opere. Dall'anno successivo iniziò il lento distacco dell'artista dal futurismo e l'orientamento verso nuove forme di linguaggio, più primitive e arcaiche. La collezione moderna del Mar conserva due opere di Toschi, indicative del ritorno ad una figurazione compiuta: Gelsomino Notturno è opera del 1927; Pastorelle, senza data, è la rappresentazione mistica di due figure femminili. Anche l'olio di Roberto Sella, L'aratura, conservato nei depositi del museo, si colloca in una fase successiva alla breve stagione futurista attraversata dal pittore. Tuttavia il suo nome, accanto agli altri citati, costituisce testimonianza importante della presenza futurista sul nostro territorio.
Guglielmo Sansoni, ribattezzato Tato, nacque a Bologna il 19 dicembre 1896. Guerriero Gallo, del 1923, entrò a far parte della collezione moderna del museo grazie a una donazione risalente al 2 dicembre 1972 all'Accademia di Belle Arti, ad opera di Rina Benzi. Personaggio geniale ed artista eccentrico, nel 1920 organizzò il suo finto funerale, procurandosi un arresto. Suo è il progetto di una casa d'arte futurista e le mostre organizzate all'interno dei vagoni di un treno. Nel febbraio 1931 partecipò alla Prima Mostra di Aeropittura - Omaggio futurista ai trasvolatori, allestita a Roma. Di una generazione successiva rispetto agli altri è Serafino Babini, nato nel 1933 a Lugo, dove tutt'ora lavora. Fu fondatore del Gruppo Futurista Lughese, sorto nel 1971. L'opera Dialettica dei contrari - Inseguimento, del 2002, fu donata dall'artista al museo il 13 luglio 2005.

Speciale Futurismo in Romagna - pag. 11 [2009 - N.34]

La pianura e la collina ravennate protagoniste della lotta di Liberazione

Giuseppe Masetti, Claudio Casadio - Direttore dei Musei civici di Bagnacavallo, Direttore della Pinacoteca Comunale di Faenza

Durante l'ultimo anno della seconda guerra mondiale in Italia non furono solamente le dorsali appenniniche a rallentare l'avanzata degli eserciti alleati verso le città del Nord; anche la pianura romagnola, contrariamente alle previsioni, si rivelò un campo di battaglia più ostico di quanto le mappe lasciassero pensare. Fu proprio la lunga sosta e la confidenza con la guerra a segnare drammaticamente le sorti della Valle del Senio con le maggiori distruzioni. Il paesaggio dei fiumi pensili, quelli incanalati fra alti argini manufatti, giocò in quelle condizioni un ruolo determinante, più spesso a favore dei tedeschi ed in opposizione agli alleati.
Tutta la rete dei fiumi romagnoli che confluiscono nel Reno o nell'Adriatico, benché di modesta portata, si rivelò un impedimento imprevisto al dispiegamento di operazioni militari su vasta scala, in quanto gli argini, i frequenti allagamenti e la carenza di ponti, trattennero la guerra, per quattro lunghi mesi, tra i paesi più vicini al Senio. La vicenda documentata al Museo della Battaglia del Senio di Alfonsine è quella degli eserciti e delle popolazioni durante la sosta invernale, allorché sia la dimensione militare che civile furono come schiacciate in quel lembo di territorio, ove antichi mestieri e conoscenze ambientali consentirono alla popolazione di convivere tra gli eserciti e di animare una guerriglia partigiana in pianura.
Mentre i militari pagarono ad altissimo prezzo la scarsa conoscenza del territorio, la guerriglia partigiana sfruttava a proprio favore tutte le opportunità ed i nascondigli disponibili in valle o in campagna. Si può dire che la guerra dapprima si piegò qui alle forme del paesaggio, poi lo violò con particolare accanimento. Scrisse un cronista inglese di quei giorni che «era diabolicamente difficile portare a termine sul terreno ciò che sulla carta si presentava in tutta semplicità». Il percorso espositivo del museo è perciò estremamente attento al dato ambientale, esponendo la cartografia di vari reparti ed ancorando sulle mappe tutte le azioni rappresentate. Se la geografia è stata per lunghi secoli una disciplina dei militari, è altrettanto vero che la guerriglia alimentata in queste zone si è avvalsa, con esiti decisivi, delle conoscenze ambientali e della complicità fra gli uomini, che restano sempre, anche oltre le guerre, fondamentali materie d'apprendimento per tutti.
Anche nelle zone collinari, non si può capire cosa sia avvenuto durante la Resistenza se non si lega strettamente la vicenda dei Partigiani al paesaggio e al territorio, inteso sia come luogo naturale che per l'insediamento dell'uomo. Per questo motivo nella prima delle quattro stanze dedicate ai visitatori del Museo della Resistenza di Ca' Malanca di Brisighella c'è il plastico della Battaglia di Purocielo, che ha dimensioni di circa tre metri per un metro e mezzo e che ricostruisce in scala 1:2.000 la planimetria delle zone della battaglia nella stretta valle di Rio di Cò.
Se il plastico serve a ricostruire i combattimenti avvenuti tra il 10 e il 12 ottobre 1944, una documentazione sui luoghi della collina romagnola dove operarono varie centinaia di partigiani della 36ª Brigata Garibaldi è stata raccolta da Ferruccio Montevecchi e pubblicata nel volume dedicato a I Contadini di Purocielo (Mobydick editore, 1999). Fotografie di famiglie contadine negli anni della Seconda guerra mondiale, le loro condizioni di vita, l'alimentazione, le coltivazioni e i loro rapporti con i soldati tedeschi, gli alleati e i partigiani sono al centro di questo libro che ricostruisce luoghi collinari molto diversi dagli attuali: intensamente coltivati, senza rimboschimenti e con tante famiglie contadine che avevano rapporti quasi esclusivamente nella loro parrocchia e con i proprietari terrieri. Tra il materiale prodotto dal Museo di Ca' Malanca c'è anche un invito a conoscere meglio i luoghi collinari della Resistenza, con la pubblicazione dedicata al Sentiero dei partigiani, un percorso ad anello che si può percorrere in circa tre ore di cammino. Belle vedute di crinale, che permettono di vedere tutta la dorsale appenninica, ma anche boschi, terreni appoderati e vecchie case ora in rovina e un tempo popolate da intere famiglie sono visibili lungo questo percorso che è un vero e proprio viaggio nella storia e nel paesaggio.

Speciale Musei e Paesaggio - pag. 11 [2009 - N.35]

Il Mar di Ravenna conserva e promuove tre importanti collezioni provinciali legate al mosaico

Eloisa Gennaro - Responsabile Ufficio Beni culturali della Provincia di Ravenna

A partire dalla primavera del 2008, le cosiddette collezioni dei Mosaici moderni, di proprietà della Provincia di Ravenna, Camera di Commercio e Rotary Club di Ravenna, dei Cartoni musivi di Libera Musiani e della mostra fotografica Mosaici di Ravenna dalle origini ai nostri giorni di proprietà della Provincia, sono state affidate al Museo d'Arte della città di Ravenna per novantanove anni, in continuità con il primitivo contratto di comodato sottoscritto tra gli enti proprietari e il museo ravennate ormai quindici anni fa.
La più nota al pubblico è di sicuro la prima collezione. Ne fu artefice Giuseppe Bovini, che negli anni '50 dello scorso secolo realizzò una "mostra di mosaici moderni" - in collaborazione con Giulio Carlo Argan e Palma Bucarelli - per promuovere le qualità espressive del linguaggio musivo alla luce delle correnti artistiche del momento. La collezione raccoglie 20 mosaici realizzati dai maestri del Gruppo Mosaicisti dell'Accademia di Belle Arti, sulla base di cartoni preparatori appositamente commissionati ad artisti internazionalmente noti, quali Afro, Birolli, Cagli, Campigli, Capogrossi, Cassinari, Chagall, Corpora, Deluigi, Gentilini, Guttuso, Mathieu, Mirko, Moreni, Paulucci, Reggiani, Sandquis, Saetti, Santomaso, Vedova. Per ulteriori approfondimenti si rimanda alla consultazione del volume Mosaici Moderni (Longo, 1999), nella cui prefazione Claudio Spadoni rileva proprio l'importanza e l'attualità della raccolta: i mosaici non sono più tradizionalmente destinati a funzione decorativa architettonica, ma sono vere e proprie opere; sono la dimostrazione del felice connubio esistente tra la tecnica musiva e il linguaggio dell'arte contemporanea, come sa evidenziare la stessa esposizione dei mosaici lungo il quadriportico del Museo, che mette a confronto l'opera musiva col suo bozzetto preparatorio.
Meno prestigiosa, ma egualmente importante è la seconda collezione, che comprende una serie di rilievi su velina di antichi monumenti di Ravenna, realizzati sui cantieri di restauro dei mosaici negli anni 1931-1964 dalla nota mosaicista e restauratrice ravennate Libera Musiani. I delicati rilievi sono montati in modo da formare una cinquantina di quadri e per motivi conservativi sono visibili solo su richiesta.
Legata all'opera di Libera Musiani è pure la terza collezione, che raccoglie oltre ottanta fotografie scattate dalla mosaicista tra il 1960 e il 1979, quale strumento di documentazione dello stato delle decorazioni in mosaico delle antiche basiliche paleocristiane e bizantine ravennati. Le foto, solo in parte esposte al pubblico, sono visibili su richiesta.
A questo proposito, si sottolinea come il Museo abbia provveduto alla digitalizzazione di tutte le opere, che sono pertanto consultabili dalla postazione informatica presso le sale del Centro Internazionale di Documentazione sul Mosaico. Al CIDM è affidata in particolare la promozione delle collezioni, di cui ne cura la catalogazione scientifica e la conoscenza attraverso l'aggiornamento del sito www.mosaicoravenna.it, la pubblicazione di cataloghi, l'organizzazione di seminari, mostre ecc. Proprio in occasione del Festival Internazionale del Mosaico Contemporaneo, nelle sale del CIDM è stato allestito un cantiere di restauro aperto al pubblico del mosaico moderno tratto dal cartone di Marc Chagall. A parte i meri motivi conservativi, l'evento si caratterizza per un forte intento didattico, in linea con quanto previsto dal contratto sottoscritto lo scorso anno con la Provincia di Ravenna.
Affidare la cura delle tre collezioni per un periodo di così lunga durata significa riconoscere al museo ravennate un importante ruolo istituzionale nel campo della tutela e della valorizzazione del patrimonio artistico locale, consendendogli di mettere in campo interventi non occasionali e di ampio respiro inerenti la conservazione e la catalogazione, la didattica e l'editoria, la comunicazione e il marketing, al fine di garentire la piena fruibilità delle raccolte da parte della cittadinanza e di chiunque si interessi al mosaico antico e contemporaneo.

Speciale Mosaico - pag. 11 [2009 - N.36]

Emergenze artistiche nella racolta delle stampe del Mar di Ravenna

Nadia Ceroni - Conservatore Mar di Ravenna

"Diceva un grande storico dell'arte, attento anche ai segreti tecnici dell'atelier e del mestiere, Henry Focillon, che noi - generalmente ossessionati dalla maestà della pittura e dal prestigio dell'opera unica - voltiamo le spalle ai messaggi più alti e alle visioni più rare perché affidate a un sottile foglio di carta, e lasciamo così a una ristretta cerchia di eruditi e di amatori il compito di interrogare, raccogliere e classificare l'universo grafico del disegno, dell'acquaforte e della litografia, con la sua gamma virtuosa di valori schietti e squisiti, che fanno di una prova di stampa un oggetto estetico, una precisa forma d'arte".
La citazione da Ezio Raimondi - nell'introduzione al volume L'arti per via pubblicato in occasione del "Convegno Internazionale di Studi sulla catalogazione delle opere grafiche" tenuto a Bologna nel 2000 - evidenzia una situazione presente in numerose istituzioni culturali, dove straordinari giacimenti di immagini sono spesso scarsamente valorizzati, poco accessibili alla fruizione del pubblico, se non addirittura considerati "materiale minore". Con l'intento di documentare e dare visibilità a un cospicuo nucleo grafico, per lo più custodito nei depositi del Museo, nel 1988 anche la Pinacoteca del Museo d'Arte della città di Ravenna aderì alla sistematica campagna di catalogazione promossa in regione dalla Soprintendenza per i Beni Librari e Documentari. Un lavoro necessario, come sottolineava Raimondi, che ha evidenziato raccolte di opere grafiche straordinarie, per loro natura al contempo patrimonio storico-artistico e documentario, oggi consultabili on line su IMAGO.
Nella raccolta di stampe del museo ravennate - per lo più frutto di donazioni e lasciti testamentari, alle quali si è cercato di dare visibilità in varie occasioni espositive - alcune emergenze artistiche sono rappresentate dalle incisioni di Giovanni Battista e Francesco Piranesi, Luigi Rossini e Bartolomeo Pinelli.
Il nucleo piranesiano, inviato in dono all'Accademia di Belle Arti nel 1896 dal ministro della Pubblica Istruzione Baccelli e dal direttore della Regia Calcografia di Roma, si compone di 27 volumi tra cui Le antichità romane, Della magnificenza ed architettura de' romani, Opere varie di architettura e prospettive, Carceri d'invenzione, Le antichità d'Albano e di Castel Gandolfo, Vedute di Roma sono tra le serie più note. Nello stesso anno giunsero a Ravenna le stampe di Bartolomeo Pinelli, celebre acquafortista romano, di cui si conservano 101 tavole dell'Istoria romana, serie composta nel 1818-19 che ritrae nel frontespizio figurato lo stesso Pinelli in piedi, a braccia conserte e fiancheggiato dai fedeli cani, con la scritta "In mezzo alle rovine del Foro, Roma mi apparve nella sua maestosa dignità e grandezza". Anche le stampe di Rossini, architetto e incisore ravennate, sono frutto di una donazione ricevuta dal Comune che, con lettera del 13 ottobre 1919, le trasmise all'Accademia. L'incisore è presente in Pinacoteca con 9 serie pubblicate tra il 1819 e il 1845, tra cui Le antichità romane, Le antichità dei contorni di Roma, Porte e mura del recinto di Roma, Le antichità di Pompei, Viaggio pittoresco da Roma a Napoli. Opere che lo qualificano tra i "poeti" della Roma antica e moderna che ritrassero la città, i suoi monumenti e le scoperte archeologiche coeve, rese tutte con una ricchezza di particolari e un'attenzione analitico-scientifica che vanno oltre l'intenzione conservativa e la suggestione scenografica tipicamente settecentesche di Piranesi.
Sul versante moderno-contemporaneo, si segnalano invece le 145 incisioni di Vittorio Guaccimanni - per lo più acqueforti, acquetinte a colori e puntesecche - che insistono sui temi del ritratto, delle scene militari, dei monumenti ravennati e delle pinete, consegnate nel 1938 dalla signora Adalgisa Caserta al direttore dell'Accademia Ettore Bocchini in cambio dei rami, secondo le volontà testamentarie dell'artista. Nel 2008 la raccolta delle stampe del MAR si è arricchita di 265 incisioni di Giulio Ruffini grazie alla donazione di un cittadino ravennate: un gesto significativo, che conferma l'importanza dei contributi dei privati al sostegno e allo sviluppo del patrimonio artistico e culturale del Museo ravennate.

Speciale grafica - pag. 11 [2010 - N.37]

Da nove anni palazzo Milzetti non è più solo un edificio di proprietà statale, ma è divenuto Museo Nazionale dell'Età Neoclassica in Romagna

Anna Colombi Ferretti - Direttrice del Museo Nazionale dell'Età Neoclassica in Romagna di Faenza

Acquistato nel 1974 dallo Stato Italiano, palazzo Milzetti (nel quale e per il quale è stata spesa una trentina d'anni di lavoro da parte di varie istituzioni e persone), fin dall'inizio ha avuto la sua destinazione d'uso come museo. Nessun altro edificio costituisce espressione così alta e così organica di come l'architettura neoclassica possa integrarsi con un ricco apparato decorativo e un elegantissimo arredo: né in Romagna, né altrove. Si tratta di un caso felice, sia per la capacità di rispecchiare unitariamente un momento culturale particolarmente alto, sia per l'integrità che ancora conserva.
L'edificio è a Faenza, e non poteva essere altrove, perché questa città fu una vera capitale del gusto neoclassico (non mancano altre testimonianze, nei suoi palazzi e nelle chiese, della vitalità di questo momento). Gli artisti che incontriamo qui, li troviamo anche a Roma e in altri centri dello stato della Chiesa, e in qualche caso anche in giro fuori d'Italia. Parliamo soprattutto dei due architetti a cui si deve palazzo Milzetti, Giuseppe Pistocchi e Giovanni Antonio Antolini e del pittore Felice Giani. Ma ve ne sono altri la cui fama è andata meno lontano: i plasticatori Antonio Trentanove e i fratelli faentini Ballanti Graziani, chissà perché, dal momento che i loro rilievi in stucco sono degni di figurare in qualsiasi reggia d'Europa. In pochi altri luoghi l'incontro di questa nuova tendenza del gusto con il clima culturale già radicato in un luogo fu più felice che qui.
Dal momento del suo passaggio alla proprietà allo Stato, la possibilità di aprire al pubblico questo palazzo ha incontrato un percorso molto accidentato. La mostra neoclassica del 1979 fu tuttavia come un lampo rivelatore: quando per la prima volta si videro gli spazi interni, così splendenti di decorazioni, di questo vero edificio-scrigno, dove la luminosità e la grazia elegante si scoprono solo entrandovi, non rimasero dubbi che valesse la pena di rimboccarsi le maniche per questo traguardo. E venne intrapresa una immensa quantità di lavoro invisibile (restauri, adeguamenti, impianti, spazi lavorativi, e altro ancora). Altre manifestazioni nel frattempo hanno avuto luogo in palazzo Milzetti, ormai in numero notevole, e la fama di questo meraviglioso palazzo ha abbondantemente varcato i confini almeno della nostra regione. E ora vuole avviarsi molto più lontano.
Ma quante volte è cambiato il vento della politica culturale, in un lasso di tempo non lunghissimo? La maggiore novità introdotta dal MiBAC, nel corso degli ultimi anni, riguarda la promozione e la valorizzazione del patrimonio artistico. Non si tratta di un semplice invito, ma di un nuovo indirizzo da imprimere all'azione amministrativa, sorretto da un apparato legislativo anch'esso rinnovato.
Gli aspetti incentivati sono quelli della dinamicità e della condivisione: i beni culturali non vanno solo conservati, ma si debbono creare strumenti capaci di attrarre un pubblico quanto più possibile vasto. È utilissimo rileggere, sul nuovo significato che vuole acquisire la presenza statale, la pagina di Carla di Francesco: Interloquire col territorio, sul n. 37 di questa rivista (marzo 2010). È una prospettiva di lavoro in comune quella che consentirà di mettere a punto questi nuovi strumenti: di comunicazione, di facilitazione, di proposte culturali sostanziate da veri contenuti conoscitivi. E lo scopo - quello per cui acquista senso affrontare anche quelle affliggenti complicazioni di gestione che attendono di essere meglio districate - non va mai perduto di vista: mettere in evidenza la capacità educativa delle istituzioni culturali.
Queste sono le riflessioni che fanno da sfondo alla possibilità, che oggi trova il suo compimento, di dare ingresso anche ai musei dello Stato nel Sistema Museale Provinciale di Ravenna. Le complicazioni vertevano tutte sul "come", perché le forme di gestione dello Stato hanno punti di sostanziale diversità da quelle degli Enti locali. La Soprintendenza per il Patrimonio Storico-Artistico di Bologna è ben lieta che Palazzo Milzetti entri nel novero delle altre istituzioni che già fanno parte del ricco e bene organizzato Sistema ravennate, pronto a dare il suo contributo in dialogo con tutti, con la volontà di dare soprattutto più intensa sottolineatura alla sua collocazione in un preciso contesto storico-geografico.

Speciale Rinnovo Sistema Museale - pag. 11 [2010 - N.38]

Le associazioni professionali sono tra i principali interlocutori per promuovere il percorso di integrazione e formazione di un linguaggio e di pratiche operative condivise

Francesca Ghersetti - Comitato esecutivo nazionale AIB

La convergenza tra archivi biblioteche e musei, tema attuale e complesso nelle sue molteplici articolazioni, rappresenta una sfida tra le più stimolanti e un eccellente banco di prova per misurare la capacità dei professionisti dell'informazione e delle istituzioni culturali di confrontarsi con gli scenari, radicalmente mutati negli ultimi anni, della attuale "società della conoscenza".

Le occasioni di confronto si sono intensificate, promosse e organizzate da istituzioni varie e dalle associazioni professionali dei bibliotecari, degli archivisti e degli operatori museali, variamente consapevoli dell'urgenza della necessità di affrontare questo snodo problematico.

Si è trattato di iniziative di ambito sia nazionale che regionale, che hanno focalizzato aspetti particolari del tema; per citarne solo alcune, in cui l'AIB ha svolto un ruolo di promozione e organizzazione, si possono ricordare due convegni regionali che rappresentano solamente la prima (Musei, biblioteche, archivi. Una convergenza possibile... Padova 2007) e l'ultima, ad oggi, (MAB. Musei, archivi, biblioteche, professionisti del patrimonio...Torino 2010) di varie iniziative organizzate congiuntamente dalle rappresentanze delle associazioni delle tre professioni: il convegno padovano era un tentativo di affrontare il tema alla luce delle novità introdotte dal nuovo Codice dei beni culturali e ambientali, quello torinese un'occasione di bilancio della situazione piemontese a 35 anni dalla normativa di istituzione delle regioni.

Sul piano nazionale va sicuramente ricordata la serie ultradecennale degli incontri Conservare il Novecento (nel contesto del Salone del restauro di Ferrara) che, affrontando il grande tema crocettiano della salvaguardia dei patrimoni novecenteschi e del loro inserimento nelle reti di servizio, ha fornito un'ampia panoramica delle problematiche e della unicità di tali patrimoni, che rappresentano un terreno privilegiato di lavoro in un'ottica di convergenza tra istituti e professioni.

Esperienze concrete di integrazione già esistono, come esistono efficaci esperienze di collaborazione tra archivi, biblioteche e musei (sul web, nei cataloghi, nelle politiche espositive e di servizio) ma ciò che da più parti si segnala è la necessità di passare all'applicazione sistematica e programmatica delle riflessioni sin qui svolte iniziando da alcuni dei molti possibili temi di intersezione tra professioni già emersi.

Possiamo essere confortati sulla disponibilità ora, di tutti gli strumenti, le conoscenze e le esperienze necessarie ad operare in tale prospettiva e ciascuna professionalità è portatrice di eccellenze da mettere a patrimonio comune: l'esperienza dei bibliotecari nell'uso di standard descrittivi, nel lavoro in cooperazione, nella costruzione di reti di servizio (tipologiche o territoriali), nella analisi delle esigenze di un pubblico sempre più vasto e articolato ha già fornito ispirazione allo sviluppo di strumenti e competenze analoghe alle altre professioni che, a loro volta, hanno sviluppato e consolidato nuovi strumenti di lavoro ispiratori di nuove visioni e nuovi approci per la nostra professione.

La necessità di trovare il terreno comune su cui lavorare non può essere motivata solo dalla carenza ormai fisiologica dei finanziamenti alla cultura o dalle accattivanti possibilità offerte dalle tecnologie digitali; si tratta di affrontare consapevolmente una delicata questione di politica culturale dedicata a ricomporre una frammentazione di realtà e competenze facendo sistema in un'ottica di unitarietà del sapere, della conoscenza e dell'informazione che nel rispetto della natura e delle specificità delle professioni e delle istituzioni operi a servizio di un pubblico quanto mai potenzialmente largo e nuovo.

Le associazioni professionali, per la loro funzione di rappresentanza e sintesi dei vari saperi professionali, sono sicuramente gli interlocutori più adeguati a promuovere questo percorso di integrazione e di formazione di un linguaggio e di pratiche operative condivise e comuni.


Speciale Convergenza Musei Biblioteche e Archivi - pag. 11 [2010 - N.39]

Un frammento del Risorgimento in Romagna in un inedito capolavoro del pittore bagnacavallese

Diego Galizzi - Conservatore Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo

Per celebrare il 150° dell'Unità d'Italia, il Museo delle Cappuccine di Bagnacavallo si fa promotore di un evento carico di significati per la storia risorgimentale in Romagna, e lo fa attraverso un gradito ritorno in città.

In occasione della Notte Tricolore verrà infatti presentato, come "ospite d'onore al museo", un prezioso dipinto proveniente da una galleria privata romana dal titolo molto eloquente: "La preghiera delle donne italiche per l'annessione di Roma all'Italia". L'opera è attualmente considerata il capolavoro del bagnacavallese Pietro Saporetti (1832-1893), pittore e insegnante all'Accademia di Belle Arti di Ravenna sulla cui carriera artistica in futuro bisognerà ulteriormente indagare.

Realizzato nel 1869, dunque solo un anno prima della breccia di Porta Pia, questo prezioso documento pittorico ci illustra con grande efficacia la partecipazione e le speranze degli aristocratici e del popolo affinché si realizzi il sogno di vedere finalmente Roma quale capitale del Regno d'Italia. Indubbiamente un valore iconografico rilevante, se non altro per l'inedita scelta di rappresentare questa manifestazione di patriottismo, questa sempre più urgente richiesta che si realizzi la nuova realtà politica di Roma capitale, in forma di preghiera all'interno di una chiesa.

Questa sorta di declinazione religiosa dello spirito laico-risorgimentale rispondeva probabilmente alla volontà di rassicurare un mondo cattolico sempre più in allarme per il compimento del processo unitario e, nondimeno, per la recentissima emanazione delle "leggi eversive" di soppressione degli enti ecclesiastici (1866-67). Bisognava diffondere l'idea che si potesse essere, insieme, buoni cattolici e convinti sostenitori del nuovo Stato nazionale, e Saporetti lo fa attraverso un'immagine che è quasi un manifesto delle tendenze liberali moderate di ispirazione cavouriana.

Ulteriore fonte di interesse e curiosità per questa splendida opera risiede in un particolare, per noi non secondario, che è emerso nel corso delle ricerche finalizzate alla recente mostra organizzata su Edgardo Saporetti, figlio di Pietro, e che è stato il motivo principale che ha indotto il nostro Museo a farla pervenire per i 150 anni dell'Unità d'Italia.

La scoperta cioè che l'ambientazione in cui si svolge la scena non è affatto generica, ma si tratta dell'interno della settecentesca chiesa dei Battuti Bianchi di Bagnacavallo (oggi Sacrario dei caduti). Ciò riveste ovviamente di nuovi significati il dipinto di Saporetti, che viene così a rappresentare, oltre che un prezioso documento storico-artistico, anche una singolare testimonianza pittorica dei movimenti risorgimentali nel nostro territorio. Ci suggerisce inoltre l'idea di un Pietro Saporetti "pittore-patriota", impegnato in prima persona in questo entusiasmante processo di unificazione nazionale forse non solamente in veste di pittore, ma pure come militante nel corso delle operazioni militari di progressiva annessione dei territori italiani. Rimane traccia infatti di alcune sue vedute, realizzate forse in presa diretta, di alcuni momenti dell'irruzione delle truppe sabaude nelle Marche e in Umbria del settembre 1860: si tratta delle oggi disperse "Passaggio dei confini sopra Mondaino", "Accampamento presso Fossombrone" e "Retromarcia sull'Appennino presso Fossato". Ma questo aspetto della vita di Saporetti andrà sicuramente approfondito.

"La preghiera delle donne italiche per l'annessione di Roma all'Italia" sarà presentato al pubblico mercoledì 16 marzo 2011 alle ore 21.00, e rimarrà nel Museo Civico fino al successivo 25 aprile. Grazie alla collaborazione del FAI, come segnalato da Claudia Bassi nel suo articolo presente in questo stesso Speciale, l'opera sarà eccezionalmente esposta all'interno del Sacrario dei caduti, quindi nello stesso luogo in cui è stato concepita, il 26 e il 27 marzo 2011, in occasione della "Giornata di Primavera FAI".


Speciale 150° Anniversario dell'Unità d'Italia - pag. 11 [2011 - N.40]

Un caloroso benvenuto nel Sistema Museale Provinciale alla nuova cittadella del mosaico

Carlo Bertelli - Curatore scientifico di Tamo

A Ravenna si sta col naso in aria a guardare i mosaici delle chiese, o con lo sguardo volto verso il basso per rimirare i mosaici della domus dei Tappeti di Pietra o della Cripta Rasponi. Il mosaico incanta e stupisce, il mosaico insegna anche molte cose e così in questa città del mosaico si avvertiva il bisogno di un luogo che spiegasse, con semplicità e chiarezza, che cosa il mosaico è stato ed è, di che cosa e come è fatto e che cosa si fa per conservarlo. Il mosaico lega Ravenna al resto del Mediterraneo, dalle lagune adriatiche ad Otranto, sino a Damasco e Istanbul ma anche, oltre le Alpi, alla Penisola Iberica e alla Gallia e persino alla Gran Bretagna, attraendo con il suo fascino di pittura di pietra, d'oro e d'argento, tanto i cristiani saliti sino al Monte Sinai come i musulmani un tempo riuniti nella grande moschea di Cordova.
A Ravenna il mosaico non appartiene soltanto al passato. Pochi forestieri sanno che in questa città vi è anche un prestigioso istituto d'arte intitolato a Gino Severini, l'artista che ha eseguito, in Italia, in Francia e in Svizzera, i più bei mosaici del XX secolo. L'istituto ha conservato nel tempo le tradizioni antiche, mentre parallelamente ha saputo stimolare le nuove generazioni alla sperimentazione e all' invenzione. Progettando un luogo, come è appunto TAMO, destinato a raccontare le caratteristiche del mosaico, nella sua lunga storia che continuamente si rinnova nella conservazione e nel restauro, non si poteva non instaurare una collaborazione con un istituto tanto prestigioso.
Dagli incontri con l'istituto è venuto un programma per il futuro e sono anche venuti prestiti di opere insostituibili. Mi riferisco in particolare alla copia perfetta di un mosaico pavimentale rinvenuto a Pella, in Macedonia, la patria di Alessandro Magno. Realizzato nell'insolita tecnica che combina ciottoli, per lo più neri, con fili metallici, l'abbiamo collocato nella sezione che presenta i materiali del mosaico: vetri colorati ancora non tagliati, tessere d'oro o di marmi svariati, di smalto o anche di ceramica per avvertire come anche con materiali umili, come i ciottoli di un fiume, siano stati eseguiti capolavori.
TAMO racconta le vicende del mosaico attraverso numerose postazioni telematiche, in modo da consentire a tutti una consultazione di tipo enciclopedico, ma ci siamo resi conto della necessità di presenze reali, affascinanti testimoni del lusso della società romana. Dalla perfezione di un mosaico pavimentale di età augustea si passa, nel V secolo, all' ingenua raffigurazione di Achille - se si tratta di lui, come si pensa - in un pavimento da Faenza o alla grazia di un altro pavimento, proveniente da Classe, dove dai quattro angoli di un quadrato convergono al centro altrettanti vasi con i fiori.
TAMO non è concepito come un museo autosufficiente, ma come una sommessa guida al miracolo del mosaico ravennate e un invito a considerare il mosaico nella sua straordinaria presa sulle coscienze.
Sappiamo però che non si può parlare di mosaico, in Italia, senza Roma. Per secoli a Roma si sono eseguiti mosaici e per secoli si è cercato di conservarli, tanto che i primi documenti contabili di restauri risalgono ai primi due decenni dell'Ottocento. Appunto dal laboratorio di restauro dei Musei Vaticani, grazie all' interessamento del direttore Antonio Paolucci c'è stato concesso il prestito di calchi di mosaici di Santa Maria Maggiore e di San Venanzio, a Roma, eseguiti circa nel 1934. Così chi visita TAMO può godere dell'esperienza, altrimenti impossibile, di vedere dettagli di questi mosaici a brevissima distanza.
Uno dei mosaici, con l'iconografia bizantina della dormitio Virginis, è opera di Jacopo Torriti, il grande maestro romano che era succeduto a Cimabue nella decorazione della basilica superiore di Assisi e che poi avrebbe ceduto il lavoro a Giotto. Il mosaico fu eseguito da lui appunto dopo aver lasciato Assisi. L'abbiamo collocato in una sezione che abbina l'eternità alla storia, sezione che si conclude con la copia di uno dei mosaici pavimentali di San Giovanni Evangelista, a Ravenna, in cui è raffigurata la presa di Costantinopoli da parte dei crociati, un evento terribile e che suggella una lunga storia. Ravenna, da tempo emancipata da Bisanzio, aveva voluto ricordare così un pezzo della sua stessa storia.
Abbiamo avuto cura, con l'architetto Paolo Bolzani, di esaltare il fascino della grande chiesa degli Eremitani, San Nicolò, in cui si tiene la mostra. È un edificio del Trecento ancora intatto nella sua struttura; appartiene cioè a quello che fu un secolo luminoso per Ravenna, del quale purtroppo non resta molto.

Speciale nuovi allestimenti museali - pag. 11 [2011 - N.41]

Un approfondito excursus normativo in materia di erogazioni liberali

Marco Parini - Avvocato

Il Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio (di seguito Codice) definisce, tra gli Istituti e Luoghi della cultura il Museo quale struttura permanente che acquisisce, conserva, ordina ed espone beni culturali per finalità di educazione e studio.

La normativa precedente non faceva riferimento ai musei ma bensì a raccolte e collezioni. Non vi è dubbio che l'attuale definizione, elaborata sulla base di un indirizzo internazionale fornito da ICOM meglio e ben declina le caratteristiche e la funzione di questo istituto di cultura. Luogo ove non ci si limita ad esporre raccolte e collezioni ma si realizza una struttura permanente, con caratteristiche e servizi destinati alla corretta fruizione, con una vocazione dinamica (acquisisce) di tutela e restauro (conserva) con una idonea e ragionata valorizzazione (ordina ed espone) con una promozione della conoscenza attraverso una didattica adeguata (educazione) ed ove si promuove la ricerca (studio).

Ogni vocabolo ha un preciso significato in piena sintonia con il contenuto del decreto 10 maggio 2001 recante l'Atto d'indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei Musei.

Dobbiamo, però, pensare ad un museo moderno composto e connotato da beni materiali e attività, un corpo vivo dinamicamente proiettato a essere strumento al servizio della persona. La sua fruizione è regolata dall'art. 102 e seguenti del Codice. Uso dei beni, valorizzazione e gestione seguiranno nel corpo del dettato codicistico.

La qualificazione di museo e l'indicazione delle sue attività, come vedremo, non è irrilevante ai fini della normativa fiscale in quanto la stessa definisce le categorie giuridiche dei soggetti percettori e le attività il cui finanziamento risulta suscettibile di deduzione o detrazione d'imposta. Non sarà quindi il museo inteso nella sua funzione il destinatario ma il soggetto che ne è proprietario, non saranno i costi della sua gestione i beneficiari delle erogazioni detraibili ma le attività di conservazione, ricerca, didattica realizzazione di eventi temporanei e mostre.

Veniamo ora al tema delle donazioni ovvero a quelle erogazioni liberali spesso indispensabili alle attività dei Musei, sempre più raramente destinatari di contributi pubblici.

Le erogazioni liberali possono essere detratte dall'imposta sul reddito delle persone fisiche in misura pari al 19% dell'onere sostenuto. La norma che trova origine nel quadro normativo introdotto dalla legge n. 512/1982 trova ora riscontro del disposto dell'art. 15, c. 1, lett. h del Testo Unico Imposte sui Redditi (d.p.r. n. 917/1986). La norma recita: "le erogazioni liberali in denaro a favore dello Stato, delle Regioni, degli Enti locali territoriali, di Enti o Istituzioni pubbliche, di Comitati organizzatori appositamente costituiti con decreto del MiBac, di fondazioni o associazioni legalmente riconosciute senza scopo di lucro che svolgono o promuovono attività di studio, di ricerca, di documentazione di rilevante valore culturale e artistico o che organizzano e realizzano attività culturali, effettuate in base ad apposita convenzione, per l'acquisto, la manutenzione, la protezione o il restauro delle cose indicate nell'art.1 della legge n. 1089/1939 (ora Codice dei Beni culturali) ivi comprese le erogazioni effettuate per l'organizzazione in Italia e all'estero di mostre e di esposizioni di rilevante interesse scientifico e culturale anche ai fini didattico-promozionali, ivi compresi gli studi, le ricerche, la documentazione e la catalogazione e le pubblicazioni relative ai beni culturali..." Il testo di legge individua quindi la finalità dell'erogazione e la qualifica e natura del soggetto percettore ai fini della detraibilità d'imposta. Il flusso e il corretto impiego di tali donazioni sono poi soggette a controllo del MiBac. Anche agli Enti non commerciali è consentito effettuare detrazioni dall'imposta lorda (ires) per tali elargizioni ai sensi dell'art. 147 del citato T.u.i.r.

Le erogazioni liberali in denaro sono quindi quelle destinate ai beni di cui all'art. 1 della legge 1089. Sono quindi escluse dal beneficio tributario le donazioni finalizzate alle cose di cui all'art. 2 di tale legge, ovvero le cose immobili riconosciute particolarmente importanti per il loro riferimento con la storia, politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura in genere; sono altresì escluse le cose di cui all'art. 5 della 1089 ovvero le collezioni, le raccolte, le serie di oggetti. Varrà a questo punto ricordare che nella legge n. 1089 non si nominavano i musei preferendo richiamarsi a collezioni e raccolte. Questa limitazione, riferita ai beni di cui all'art. 10, c. 3 lett. e del Codice, nega le detraibilità finalizzate agli acquisti o alla conservazione di biblioteche, pinacoteche ecc. non ricompresi nel dettato del citato art. 1 della 1089. Diversamente accadrà per i beni archivistici in quanto viene espressamente citato il d.p.r. 1409 del 1963.

Il citato art. 1 non prevedeva l'automatismo del vincolo e pertanto la sussistenza di esso non risulterà necessaria per la detraibilità d'imposta.

Circa i destinatari, proseguendo nella definizione dovremo distinguere due categorie a seconda della loro natura pubblica o privata: una prima categoria vede lo Stato, gli Enti e le Istituzioni pubbliche e una seconda fondazioni e associazioni legalmente riconosciute che, senza scopo di lucro, promuovono attività di studio, ricerca, documentazione o realizzano attività culturali effettuate in base a convenzione. Restano così escluse dalla norma le persone fisiche e le associazioni di fatto e non riconosciute. Il soggetto destinatario non dovrà quindi perseguire finalità di lucro e l'attività di studio, ricerca e documentazione dovrà rivestire rilevante valore culturale e artistico.

Il citato art. 15, c. 1, lett. h del T.u.i.r. stabilisce inoltre che sono ricomprese nelle erogazioni liberali agevolate anche quelle effettuate per organizzare mostre o esposizioni di rilevante interesse scientifico e culturale nonché ogni evento, studio e ricerca. Le iniziative ai fini della detraibilità fiscale come detto saranno sottoposte a un regime autorizzativo a opera del MiBac.

Il seguente comma h bis ha inoltre stabilito la detraibilità dall'imposta lorda, nella misura del 19%, del costo specifico e in mancanza di ciò del valore normale dei beni ceduti gratuitamente. Una misura importante stante la ricorrente cessione ai musei di beni materiali (arredi, luci, materiali edili ecc). Occorrerà quindi stimare in termini monetari i beni donati secondo il criterio del costo specifico (generalmente il prezzo al quale il bene è stato acquistato dal donante) o in subordine secondo il criterio del valore normale (valore di mercato) di cui all'art. 9 del T.u.i.r. La detrazione d'imposta sul reddito delle persone fisiche e degli enti non commerciali sopra descritta potrà essere utilizzata ex art. 147 del T.u.i.r.

Per le imprese ricorreremo a una norma analoga, prevista dall'art. 100, c. 2, lett. f che consente di dedurre dal reddito imponibile (entro il limite complessivo del 5 per mille dell'ammontare delle spese per prestazioni di lavoro dipendente) taluni oneri di utilità sociale tra i quali le elargizioni per fini culturali.

Il mecenatismo culturale viene previsto dall'art. 100, c. 2, lett. m del T.u.i.r. introdotto dall'art. 38 c. 1 della legge n. 342/2000. La norma ha per oggetto le erogazioni liberali in denaro a favore dello Stato, delle Regioni, degli enti locali territoriali, di enti o istituzioni pubbliche, di fondazioni e di associazioni legalmente riconosciute per lo svolgimento dei loro compiti istituzionali e per la realizzazione di programmi culturali nel settore dei beni culturali e dello spettacolo.

L'erogazione liberale o donazione presuppone l'assenza di vantaggi materiali da parte del donante con ciò differenziandosi dalle sponsorizzazioni disciplinate dall'art. 120 del Codice e soggette a un diverso regime fiscale. Per le imprese, stante la loro finalità di lucro, risulterà più semplice il ricorso a tale istituto.

Quanto sopra ci porta però ad altri contenuti pur non escludendo commistioni tra attività di sponsorizzazioni e forme collaterali di mecenatismo culturale.


Speciale Donazioni Museali - pag. 11 [2011 - N.42]

Il Museo di Alfonsine narra le drammatiche vicende vissute dalle nove comunità attraversate dal Senio

Antonietta di Carluccio - Direttrice Museo della Battaglia del Senio di Alfonsine

fiumi raccontano storie di uomini e di città, di paesaggi e di idee. Sono segni sul territorio e determinano legami profondi, anche se talora non subito visibili. Il Senio è un piccolo fiume che attraversa la provincia di Ravenna e neppure raggiunge il mare: si versa, dopo una discesa di meno di cento chilometri, nel Reno. Lungo il suo breve percorso attraversa però numerosi Comuni: Casola Valsenio, Riolo Terme, Castel Bolognese, Solarolo, Lugo, Cotignola, Bagnacavallo, Fusignano e Alfonsine.
Eppure sulle sponde di quel piccolo fiume, negli ultimi mesi della seconda guerra mondiale, avvennero fatti notevoli. Il Senio finì con l'essere il confine netto e preciso del fronte; rappresentò per quattro lunghissimi mesi, dal dicembre '44 all'aprile '45, il segno di una prima linea sofferta e difficile. Lungo il suo corso, in un inverno disagevole per le condizioni atmosferiche particolarmente difficili, piogge continue, freddo, gelo, si svolsero per molti mesi aspri combattimenti fra i tedeschi e gli alleati, mentre la popolazione civile dovette subire bombardamenti, minamenti, cannoneggiamenti, che si unirono alla fame, al freddo, alla paura. Il Senio fu un confine (come spesso lo sono i fiumi) a lungo invalicabile, che i nazisti in fuga ersero a ultimo baluardo: nonostante fra le sue sponde corrano soltanto poche decine di metri. Ma una volta distrutti i ponti, anche quei pochi metri fra un argine e l'altro diventarono difficili da raggiungere, da attraversare. Servirono ponti Bailey, e battaglie, e lunghe settimane di guerra e di attesa, per arrivare a superare il confine.
A volte, dopo quei mesi, il fiume vide cambiare le comunità che sorgevano ai suoi piedi. Alfonsine ne è l'esempio più emblematico: sorgeva alla destra del Senio, prima del 1945, ma durante quei tragici mesi fu quasi completamente rasa al suolo. E una volta liberata, decise di rinascere del tutto, come nuova, dall'altra parte del fiume: oggi la città vecchia mantiene pochi angoli del passato, mentre il cuore della comunità è nell'ordinato reticolo degli edifici razionalisti progettati dall'architetto Vaccaro per la ricostruzione. Simile fu il livello di distruzione di Cotignola, tanto che un militare inglese, nei suoi diari, disse che il paese era "stato cancellato dalla carta geografica". Cotignola, distrutta e sofferente ma la cui comunità seppe ospitare e salvare numerosi ebrei, come raccantotato nelle pagine di questa stessa rivista.
Lungo il percorso del fiume ogni comunità ha cippi e ricordi, cicatrici ancora evidenti di quei giorni. A Lugo il fiume ricorda i martiri del Senio, i ragazzi che il 26 ottobre del 1944 trovarono la morte. A Fusignano, sul fiume, è ancora viva la memoria del punto nel quale gli uomini della Divisone Cremona, i soldati con il fazzoletto rosso al collo, forzarono le linee e, finalmente, il 10 aprile 1945, iniziò l'avanzata liberatrice per i nostri territori.
Dunque, ogni paese attraversato dal fiume ha una sua storia, e oggi un luogo le ricorda e le racconta tutte: il Museo della Battaglia del Senio di Alfonsine. Fondato nel 1981, il Museo è presto diventato il luogo della storia e delle memoria di quegli avvenimenti, il luogo nel quale convergono le vicende militari, le storie dei civili, le lotte partigiane e le testimonianze del cambiamento, talora drammatico, del territorio. Il Museo racconta la storia attraverso la cartografia militare e le foto aeree - cioè attraverso i reperti militari - ma soprattutto attraverso le memorie, i segni sul territorio, dai cippi ai cimiteri di guerra. E ancor più attraverso gli oggetti della vita quotidiana: addirittura grazie a quegli elementi militari che la vita civile, ripresa in estrema povertà dopo la fine della guerra, seppe riciclare in modi tanto fantasiosi quanto necessari alla sopravvivenza.
Le teche, i documenti, le foto che il Museo contiene sono gli elementi di una storia straordinaria fatta da tante comunità, da tante voci, ognuna con peculiari caratteristiche: da tante voci e anche da tante lingue diverse, visto che questo piccolo fiume ha visto scontrarsi lungo le sue rive giovani armati provenienti da tutti i continenti. È facile pensare che molti di quei ragazzi neozelandesi, polacchi, indiani, tedeschi, canadesi, non avessero mai incontrato prima qualcuno proveniente dall'altra parte del mondo; è triste che questo sia accaduto a causa di una guerra, ed è curioso vedere come ciò sia successo proprio in questo lembo di Romagna, prima di allora patria prevalentemente di contadini e braccianti.
Ma è solo un altro elemento di questo discorso corale, di una storia legata da un filo rosso - il fiume Senio, appunto - che racconta e tiene insieme tutto.

Speciale Musei e acque - pag. 11 [2012 - N.43]

La professione tra Big Society, outsourcing e disimpegno pubblico nei beni culturali

Claudio Leombroni - Responsabile Servizio Reti Risorse Sistemi Provincia di Ravenna

Le biblioteche pubbliche e i musei inglesi beneficiano di un riconoscimento sociale inimmaginabile per il nostro paese. In Inghilterra, come è noto, è nata la moderna biblioteca pubblica ed entrambi gli istituti grazie al Public Libraries and Museums Act del 1964 godono di un profilo di obbligatorietà che vincola gli enti locali (municipalità e contee, più o meno le nostre Province). Eppure negli ultimi anni la crisi della finanza pubblica britannica e soprattutto le politiche di revisione della spesa hanno posto in crisi tale principio e molti istituti, soprattutto bibliotecari, sono stati esposti al rischio della chiusura. Tuttora su 4.500 biblioteche circa 560 sono a rischio di chiusura. In questa difficile congiuntura David Cameron e il governo conservatore, sulla scorta del programma elettorale del 2010 del Conservative Party, hanno lanciato un programma di riduzione della spesa pubblica fondato sull'idea di "Big Society". "Big Society" significa in buona sostanza una maggiore presenza della società civile nella gestione dei servizi pubblici, significa invitare i cittadini a farsi carico, con le proprie tasche ma anche col proprio lavoro volontario, di spese che i poteri pubblici non possono più sostenere.
L'idea di partecipazione della società di civile alla conduzione di servizi pubblici o di istituti quali biblioteche e musei è a mio avviso un valore in sé che travalica tecniche e modalità di spending review, anche perché queste ultime non possono essere certo ridotte all'affidamento di determinati servizi a volontari e più in generale a esternalizzazioni o a privatizzazioni di servizi.
Il lavoro volontario può significare lo sviluppo del senso civico o di appartenenza alla comunità del quale biblioteche e musei possono trarne vantaggio anche in termini di riconoscimento sociale della loro ragion d'essere. Ciò è possibile, però, solo evitando di assimilare la questione del volontariato alla revisione della spesa pubblica e solo acquisendo la consapevolezza che l'alternativa alla riduzione della mano pubblica ("meno Stato"), non è tanto o solo l'espansione del mercato ("più mercato"), ma piuttosto (o anche) l'incremento del senso di responsabilità della società civile ("più società").
In Gran Bretagna l'idea di Big Society applicata ai servizi culturali sta suscitando ampie discussioni nelle professioni coinvolte. Nel nostro paese invece non esiste ancora un dibattito di pari ampiezza, ossia un dibattito che superi i punti di vista della professione o dell'ente pubblico per esaminare il punto di vista più ampio e complesso della società civile anche nella gestione dei beni comuni della conoscenza. Sotto questo profilo anche il dibattito sul rapporto tra lavoro professionale e lavoro volontario risente di qualche limite di visione o di immaginazione, dove il Nomos (le norme pubbliche, ma anche le norme private della professione) rischia di sopraffare l'Ethos della professione, ossia la sua dimensione pubblica, il suo ruolo nella sfera pubblica e nei confronti della società civile.
Per quanto concerne il profilo normativo del volontariato la legge 11 agosto 1991, n. 266 prevede ordinariamente la forma associativa. In altre parole lo strumento ordinario per collaborare con personale volontario è la convenzione con organizzazioni o associazioni di volontariato, con le declinazioni e le eventuali modalità definite successivamente nelle leggi regionali. Il rapporto col volontario singolo è sotto il profilo amministrativo molto rischioso, soprattutto se non coperto almeno da uno specifico regolamento comunale che disciplini criteri di accesso, pubblicità e limiti di impiego, eventuali finalità formative ecc.
In entrambi i casi, per evitare problemi con l'ampia disciplina del lavoro nelle pubbliche amministrazioni, è buona norma attenersi rigorosamente allo spirito della legge e quindi configurare il rapporto con il volontariato nel senso di affermarne il valore sociale, il suo essere espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo promuovendone lo sviluppo nell'autonomia e favorendone l'apporto originale per il conseguimento delle finalità di carattere sociale, civile e culturale individuate dallo Stato e dagli Enti pubblici. Da questo punto di vista l'impegno volontario deve essere svolto in forma spontanea e gratuita e non deve quindi essere inteso come sostitutivo di prestazioni di lavoro subordinato. Il Nomos della professione ci suggerisce che non deve essere indispensabile per garantire la normale attività del singolo istituto e di singole parti di esso. Per la professione bibliotecaria, ad esempio, le Linee guida dell'IFLA sul servizio bibliotecario pubblico stabiliscono che il personale volontario può essere impiegato solo in un contesto regolamentato e formalizzato e non al posto di personale regolarmente retribuito. Insomma il Nomos della professione ci induce a far corrispondere al nomen iuris "volontario" contenuti che non contrastino con le norme che disciplinano il lavoro negli enti pubblici e non sostituiscano profili identificanti la professione stessa.
L'Ethos della professione, invece, inevitabilmente insiste sulla dimensione sociale di biblioteche archivi o musei, sul nesso che questi istituti hanno con la società civile, con la sua storia, la sua vita e il suo futuro. Questo nesso si può manifestare anche nella partecipazione dei cittadini (non solo quindi dei novizi della professione) alla vita e alla gestione di queste istituzioni attraverso il lavoro volontario. Non lo si può escludere, né lo si può considerare una minaccia. Al di là di ogni considerazione sulla revisione della spesa o sulla crisi dei bilanci pubblici, dobbiamo considerarlo una possibile declinazione del capitale sociale e, se gestito con intelligenza, una fonte di ricchezza. Se biblioteche, archivi e musei sono beni comuni della società civile Ethos e Nomos della professione devono concorrere ad una visione e una comprensione equilibrata del fenomeno.

Speciale MAB e volontariato - pag. 11 [2012 - N.44]

La dimensione istituzionale dei sistemi culturali

Claudio Leombroni - Provincia di Ravenna

Sono debitore del titolo a un bellissimo editoriale di Enzo Balboni e Massimo Carli pubblicato recentemente sulla rivista online «Federalismi.it» (n. 21 del 2012) e a un vecchio intervento di Giorgio Pastori pubblicato nel 1980 sulla rivista «il Mulino» con un titolo tuttora emblematico della situazione che stiamo vivendo: "Le Regioni senza regionalismo". Queste letture mi paiono la migliore contestualizzazione del complemento del titolo, che più direttamente richiama i sistemi culturali, oggetto di una sessione specifica degli Stati generali MAB che si sono svolti a Milano.

La nozione di "sistema culturale" è senz'altro problematica, perché coniuga due concetti interpretabili da tanti punti di vista e terreno di una interminabile serie di studi di vario ambito disciplinare. In ambito MAB tale nozione denota l'offerta integrata di istituti della cultura in un dato territorio e/o in un ambito specifico. Il sistema consente di migliorare l'accessibilità al patrimonio, materiale e immateriale, la qualità e la quantità della fruizione. La forma di organizzazione del sistema è tipicamente la rete: una trama di relazioni non competitive che interconnette soggetti diversi e autonomi. In questo caso una o più organizzazioni scambiano o condividono risorse di ogni genere per raggiungere obiettivi non conseguibili da ciascuna separatamente. La costruzione di un sistema di relazioni capace di integrare all'interno di uno specifico territorio sistemi e reti culturali con i beni monumentali, ambientali, il patrimonio immateriale, le infrastrutture e gli altri settori produttivi del territorio dà vita ad un 'distretto culturale'. Sistemi culturali, reti culturali e distretti culturali presuppongono quindi un solido legame con il territorio, una elevata capacità di interpretarne i tratti distintivi e di esaltarne la ricchezza, le potenzialità, le vocazioni: si potrebbe dire l'identità, a patto di non intendere quest'ultima in senso esclusivo, quasi denotasse un ambito chiuso, che tende a definire confini con ciò che è diverso da sé. Posta la centralità dei territori, ne consegue sul piano istituzionale un legame prioritario con le autonomie locali.

Il regionalismo, la difesa delle autonomie locali e dei territori sono stati punti irrinunciabili per la definizione di una politica nazionale nel nostro settore. Da questo punto di vista negli ultimi tre decenni le comunità professionali e gli attori istituzionali hanno condiviso una semantica della cooperazione in virtù della quale il termine 'nazionale': non coincide più con funzioni tout court statali o centrali, ma con funzioni di interesse generale, con funzioni o servizi che riguardano l'intero paese e in quanto tali 'nazionali', indipendentemente dal livello istituzionale. Con questa accezione un determinato servizio anche se svolto da un ente locale o, al limite, da un soggetto privato può essere considerato 'nazionale' se è riconosciuto come tale dalla filiera istituzionale o se svolge una funzione pubblica rilevante per il paese. Insomma una semantica coerente con un 'policentrismo istituzionale' à la Ostrom, ma anche con quel policentrismo che più in generale caratterizza la nostra storia e la nostra cultura. Da questo punto di vista le autonomie locali, possono esercitare funzioni di rilevanza nazionale, così come lo Stato può esercitare funzioni di rilevanza locale. La grande esperienza del Servizio Bibliotecario Nazionale, ad esempio, è stata un ambito di applicazione significativo di questa semantica del policentrismo. Successivamente il legislatore costituzionale del 2001, riformando il Titolo V della nostra Costituzione, ha di fatto legittimato il policentrismo trasformandolo in tratto identificante della nostra Repubblica.

La stagione attuale sembra essere invece caratterizzata da un neocentralismo statale che si sta lentamente, ma inesorabilmente imponendo senza incontrare resistenza e, non raramente, forzando o violando le regole e le procedure che sorreggono il nostro ordinamento. Da tempo la politica, su questo punto come su altri, sembra essersi arresa, per l'incapacità di governare una situazione di crisi del Paese, ma forse non solo. Le ragioni dell'economia, degli equilibri di bilancio e degli equilibri in seno all'Unione Europea, stanno offrendo il destro allo Stato centrale per ridurre il ruolo e le competenze delle autonomie locali. A ben guardare, tuttavia, la devoluzione delle prerogative della politica ad un governo tecnico, sta trasformando anche le modalità di assunzione delle decisioni, di discussione delle stesse, di presentazione delle stesse all'opinione pubblica. Le ragioni del bilancio prevalgono sulla discussione pubblica e inducono a una progressiva riduzione dei centri di responsabilità e dei centri di costo, a una progressiva riduzione della capacità politica delle autonomie. Per conseguire tale scopo quasi tutto è lecito, anche la demagogia amplificata dai canali mediatici o dalle reti sociali. Così, se emerge uno scandalo in una Regione o in un ente locale, col sostegno di una campagna di stampa che tende spesse a confondere (consapevolmente?) gli uomini con le istituzioni, poco dopo compare un decreto legge che non colpisce tanto corrotti e malversatori, ma piuttosto colpisce l'istituzione, diminuendone l'autonomia, la capacità di spesa e persino la rappresentatività. Insomma il tentativo di controllare rigidamente i costi, anziché definire meccanismi virtuosi di spesa condivisi con le autonomie, finisce per ridurre lo spessore istituzionale delle autonomie stesse o, per così dire, l'autonomia delle autonomie. Da un certo punto di vista si potrebbe dire che la recente decretazione d'urgenza emanata dal Governo in tema di istituzioni, rappresenta una risposta 'impolitica' all'antipolitica di molta parte della società del nostro Paese e all'assenza della politica nel senso nobile del termine; una risposta a una certa, terribile, visione del politico di professione come "ein niedriges und korruptes Wesen" per usare una espressione di Thomas Mann. Credo però che un tecnico al governo non possa essere un Mann des Geistes contrapponibile al politico di professione; soprattutto penso che il politico tout-court non possa essere identificato con l'istituzione che pro tempore rappresenta e che l'autonomia regionale e locale sia un valore-cardine del nostro ordinamento costituzionale.

Tuttavia è innegabile che le autonomie locali abbiano una parte di responsabilità nel processo di delegittimazione che le riguarda. Comuni e Province da tempo hanno un rapporto dialettico su molti temi e, oltre al tradizionale problematico rapporto con il Comune capoluogo, le Province devono ora confrontarsi con un nuovo attore (o competitor) alla ricerca di una legittimazione istituzionale: le Unioni di Comuni. Gli enti locali, a loro volta, hanno da tempo mostrato diffidenza e insofferenza per il cosiddetto 'neo-centralismo regionale'. Basti pensare che ANCI e UPI, in più di un caso, sono sembrate nutrire più avversione per le Regioni che per il Ministero dell'Interno. D'altra parte lo stillicidio di decreti riguardanti il riordino delle Province ha avuto luogo nel silenzio di ANCI e Coordinamento delle Regioni, che avrebbero invece dovuto stigmatizzare i numerosi profili di incostituzionalità ravvisabili nei contenuti e nella procedura seguita non foss'altro per la probabilità, peraltro annunciata dal Ministro per la Funzione pubblica, di esserne a loro volta vittime.

Le Regioni, d'altro canto, sembrano aver smarrito esse stesse la cultura regionalista, le ragioni profonde della loro esistenza, che non coincidono tanto con la creazione di strutture burocratiche, quanto piuttosto con il decentramento finalizzato a rafforzare la co-decisione, la co-partecipazione delle comunità locali agli obiettivi unitari del Paese. Senza quella cultura regionalista il decentramento finalizzato all'unità diventa un semplice ossimoro. Tuttavia che sarebbe senza le Regioni? Credo che senza l'autonomia regionale le condizioni di biblioteche, archivi e musei sarebbero peggiori come dimostra l'ampia letteratura del periodo precedente l'istituzione delle Regioni sulle conseguenze negative del centralismo statale e sulle ragioni del decentramento e delle autonomie locali. Le autonomie locali devono essere per noi un valore irrinunciabile.

I provvedimenti legislativi adottati nell'ultimo anno (L. 2011/214, L. 2012/135, DL 2012/88) per riordinare le Province, ma aventi anche ad oggetto le funzioni degli enti locali, presentano un impatto davvero pesante sul settore culturale, riassumibile in pochi punti:
- la cultura non rientra fra le competenze della Provincia;
- la cultura non rientra fra le competenze fondamentali del Comune;
- la cultura, non appartenendo alle funzioni fondamentali del Comune, non rientra fra le funzioni con l'obbligo di essere esercitate in forma associata dai piccoli Comuni;
- per Province e Comuni la cultura è esclusa dal finanziamento di cui alla L. 5 maggio 2009, n. 42 (c.d. legge sul federalismo fiscale);
- la cultura (o valorizzazione dei beni culturali) è una funzione amministrativa conferita dalla Regione ai Comuni, che tuttavia non hanno l'obbligo di esercitarla non essendo inclusa fra le competenze fondamentali (L. 2010/ 122, art. 14, c. 26).

In altre parole, con assai poco rispetto per l'art. 9 della Costituzione e poca coerenza, almeno per il livello comunale, con la Carta della autonomie in discussione in Parlamento, la cultura è stata sottratta alle politiche degli enti locali. Si tratta di uno stato di fatto inaccettabile per biblioteche, archivi e musei, sia singolarmente considerati, sia nella loro dimensione cooperativa (reti, sistemi, poli). Occorre quindi che gli istituti e le comunità professionali chiedano - e dagli gli Stati generali MAB è emersa una forte indicazione in tal senso - che la cultura sia competenza fondamentale dei Comuni e che la cultura sia competenza propria delle Province o, almeno, che esse siano "legittimate a spendere" in reti e sistemi di area vasta per la cultura. Ciò a due condizioni: nel rispetto dei principi costituzionali di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione in modo che l'azione e il contributo dei livelli istituzionali sia modulato sulla specificità dei contesti regionali e dei territori; a patto che i livelli istituzionali assecondino o abilitino le dinamiche della cooperazione senza logiche burocratiche e senza riguardo ai confini amministrativi.

La dimensione istituzionale dei sistemi culturali deve includere anche la sussidiarietà orizzontale. Da questo punto di vista occorre avviare una seria riflessione perché l'apporto della società civile e del 'privato' non può legittimarsi in via esclusiva sulle logiche della spending review, ma su una cultura condivisa della sussidiarietà.

La nozione di "sistema culturale" è senz'altro problematica, perché coniuga due concetti interpretabili da tanti punti di vista e terreno di una interminabile serie di studi di vario ambito disciplinare. In ambito MAB tale nozione denota l'offerta integrata di istituti della cultura in un dato territorio e/o in un ambito specifico. Il sistema consente di migliorare l'accessibilità al patrimonio, materiale e immateriale, la qualità e la quantità della fruizione. La forma di organizzazione del sistema è tipicamente la rete: una trama di relazioni non competitive che interconnette soggetti diversi e autonomi. In questo caso una o più organizzazioni scambiano o condividono risorse di ogni genere per raggiungere obiettivi non conseguibili da ciascuna separatamente. La costruzione di un sistema di relazioni capace di integrare all'interno di uno specifico territorio sistemi e reti culturali con i beni monumentali, ambientali, il patrimonio immateriale, le infrastrutture e gli altri settori produttivi del territorio dà vita ad un 'distretto culturale'. Sistemi culturali, reti culturali e distretti culturali presuppongono quindi un solido legame con il territorio, una elevata capacità di interpretarne i tratti distintivi e di esaltarne la ricchezza, le potenzialità, le vocazioni: si potrebbe dire l'identità, a patto di non intendere quest'ultima in senso esclusivo, quasi denotasse un ambito chiuso, che tende a definire confini con ciò che è diverso da sé. Posta la centralità dei territori, ne consegue sul piano istituzionale un legame prioritario con le autonomie locali.

Il regionalismo, la difesa delle autonomie locali e dei territori sono stati punti irrinunciabili per la definizione di una politica nazionale nel nostro settore. Da questo punto di vista negli ultimi tre decenni le comunità professionali e gli attori istituzionali hanno condiviso una semantica della cooperazione in virtù della quale il termine 'nazionale': non coincide più con funzioni tout court statali o centrali, ma con funzioni di interesse generale, con funzioni o servizi che riguardano l'intero paese e in quanto tali 'nazionali', indipendentemente dal livello istituzionale. Con questa accezione un determinato servizio anche se svolto da un ente locale o, al limite, da un soggetto privato può essere considerato 'nazionale' se è riconosciuto come tale dalla filiera istituzionale o se svolge una funzione pubblica rilevante per il paese. Insomma una semantica coerente con un 'policentrismo istituzionale' à la Ostrom, ma anche con quel policentrismo che più in generale caratterizza la nostra storia e la nostra cultura. Da questo punto di vista le autonomie locali, possono esercitare funzioni di rilevanza nazionale, così come lo Stato può esercitare funzioni di rilevanza locale. La grande esperienza del Servizio Bibliotecario Nazionale, ad esempio, è stata un ambito di applicazione significativo di questa semantica del policentrismo. Successivamente il legislatore costituzionale del 2001, riformando il Titolo V della nostra Costituzione, ha di fatto legittimato il policentrismo trasformandolo in tratto identificante della nostra Repubblica.

La stagione attuale sembra essere invece caratterizzata da un neocentralismo statale che si sta lentamente, ma inesorabilmente imponendo senza incontrare resistenza e, non raramente, forzando o violando le regole e le procedure che sorreggono il nostro ordinamento. Da tempo la politica, su questo punto come su altri, sembra essersi arresa, per l'incapacità di governare una situazione di crisi del Paese, ma forse non solo. Le ragioni dell'economia, degli equilibri di bilancio e degli equilibri in seno all'Unione Europea, stanno offrendo il destro allo Stato centrale per ridurre il ruolo e le competenze delle autonomie locali. A ben guardare, tuttavia, la devoluzione delle prerogative della politica ad un governo tecnico, sta trasformando anche le modalità di assunzione delle decisioni, di discussione delle stesse, di presentazione delle stesse all'opinione pubblica. Le ragioni del bilancio prevalgono sulla discussione pubblica e inducono a una progressiva riduzione dei centri di responsabilità e dei centri di costo, a una progressiva riduzione della capacità politica delle autonomie. Per conseguire tale scopo quasi tutto è lecito, anche la demagogia amplificata dai canali mediatici o dalle reti sociali. Così, se emerge uno scandalo in una Regione o in un ente locale, col sostegno di una campagna di stampa che tende spesse a confondere (consapevolmente?) gli uomini con le istituzioni, poco dopo compare un decreto legge che non colpisce tanto corrotti e malversatori, ma piuttosto colpisce l'istituzione, diminuendone l'autonomia, la capacità di spesa e persino la rappresentatività. Insomma il tentativo di controllare rigidamente i costi, anziché definire meccanismi virtuosi di spesa condivisi con le autonomie, finisce per ridurre lo spessore istituzionale delle autonomie stesse o, per così dire, l'autonomia delle autonomie. Da un certo punto di vista si potrebbe dire che la recente decretazione d'urgenza emanata dal Governo in tema di istituzioni, rappresenta una risposta 'impolitica' all'antipolitica di molta parte della società del nostro Paese e all'assenza della politica nel senso nobile del termine; una risposta a una certa, terribile, visione del politico di professione come "ein niedriges und korruptes Wesen" per usare una espressione di Thomas Mann. Credo però che un tecnico al governo non possa essere un Mann des Geistes contrapponibile al politico di professione; soprattutto penso che il politico tout-court non possa essere identificato con l'istituzione che pro tempore rappresenta e che l'autonomia regionale e locale sia un valore-cardine del nostro ordinamento costituzionale.

Tuttavia è innegabile che le autonomie locali abbiano una parte di responsabilità nel processo di delegittimazione che le riguarda. Comuni e Province da tempo hanno un rapporto dialettico su molti temi e, oltre al tradizionale problematico rapporto con il Comune capoluogo, le Province devono ora confrontarsi con un nuovo attore (o competitor) alla ricerca di una legittimazione istituzionale: le Unioni di Comuni. Gli enti locali, a loro volta, hanno da tempo mostrato diffidenza e insofferenza per il cosiddetto 'neo-centralismo regionale'. Basti pensare che ANCI e UPI, in più di un caso, sono sembrate nutrire più avversione per le Regioni che per il Ministero dell'Interno. D'altra parte lo stillicidio di decreti riguardanti il riordino delle Province ha avuto luogo nel silenzio di ANCI e Coordinamento delle Regioni, che avrebbero invece dovuto stigmatizzare i numerosi profili di incostituzionalità ravvisabili nei contenuti e nella procedura seguita non foss'altro per la probabilità, peraltro annunciata dal Ministro per la Funzione pubblica, di esserne a loro volta vittime.

Le Regioni, d'altro canto, sembrano aver smarrito esse stesse la cultura regionalista, le ragioni profonde della loro esistenza, che non coincidono tanto con la creazione di strutture burocratiche, quanto piuttosto con il decentramento finalizzato a rafforzare la co-decisione, la co-partecipazione delle comunità locali agli obiettivi unitari del Paese. Senza quella cultura regionalista il decentramento finalizzato all'unità diventa un semplice ossimoro. Tuttavia che sarebbe senza le Regioni? Credo che senza l'autonomia regionale le condizioni di biblioteche, archivi e musei sarebbero peggiori come dimostra l'ampia letteratura del periodo precedente l'istituzione delle Regioni sulle conseguenze negative del centralismo statale e sulle ragioni del decentramento e delle autonomie locali. Le autonomie locali devono essere per noi un valore irrinunciabile.

I provvedimenti legislativi adottati nell'ultimo anno (L. 2011/214, L. 2012/135, DL 2012/88) per riordinare le Province, ma aventi anche ad oggetto le funzioni degli enti locali, presentano un impatto davvero pesante sul settore culturale, riassumibile in pochi punti:
- la cultura non rientra fra le competenze della Provincia;
- la cultura non rientra fra le competenze fondamentali del Comune;
- la cultura, non appartenendo alle funzioni fondamentali del Comune, non rientra fra le funzioni con l'obbligo di essere esercitate in forma associata dai piccoli Comuni;
- per Province e Comuni la cultura è esclusa dal finanziamento di cui alla L. 5 maggio 2009, n. 42 (c.d. legge sul federalismo fiscale);
- la cultura (o valorizzazione dei beni culturali) è una funzione amministrativa conferita dalla Regione ai Comuni, che tuttavia non hanno l'obbligo di esercitarla non essendo inclusa fra le competenze fondamentali (L. 2010/ 122, art. 14, c. 26).

In altre parole, con assai poco rispetto per l'art. 9 della Costituzione e poca coerenza, almeno per il livello comunale, con la Carta della autonomie in discussione in Parlamento, la cultura è stata sottratta alle politiche degli enti locali. Si tratta di uno stato di fatto inaccettabile per biblioteche, archivi e musei, sia singolarmente considerati, sia nella loro dimensione cooperativa (reti, sistemi, poli). Occorre quindi che gli istituti e le comunità professionali chiedano - e dagli gli Stati generali MAB è emersa una forte indicazione in tal senso - che la cultura sia competenza fondamentale dei Comuni e che la cultura sia competenza propria delle Province o, almeno, che esse siano "legittimate a spendere" in reti e sistemi di area vasta per la cultura. Ciò a due condizioni: nel rispetto dei principi costituzionali di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione in modo che l'azione e il contributo dei livelli istituzionali sia modulato sulla specificità dei contesti regionali e dei territori; a patto che i livelli istituzionali assecondino o abilitino le dinamiche della cooperazione senza logiche burocratiche e senza riguardo ai confini amministrativi.

La dimensione istituzionale dei sistemi culturali deve includere anche la sussidiarietà orizzontale. Da questo punto di vista occorre avviare una seria riflessione perché l'apporto della società civile e del 'privato' non può legittimarsi in via esclusiva sulle logiche della spending review, ma su una cultura condivisa della sussidiarietà.

La nozione di "sistema culturale" è senz'altro problematica, perché coniuga due concetti interpretabili da tanti punti di vista e terreno di una interminabile serie di studi di vario ambito disciplinare. In ambito MAB tale nozione denota l'offerta integrata di istituti della cultura in un dato territorio e/o in un ambito specifico. Il sistema consente di migliorare l'accessibilità al patrimonio, materiale e immateriale, la qualità e la quantità della fruizione. La forma di organizzazione del sistema è tipicamente la rete: una trama di relazioni non competitive che interconnette soggetti diversi e autonomi. In questo caso una o più organizzazioni scambiano o condividono risorse di ogni genere per raggiungere obiettivi non conseguibili da ciascuna separatamente. La costruzione di un sistema di relazioni capace di integrare all'interno di uno specifico territorio sistemi e reti culturali con i beni monumentali, ambientali, il patrimonio immateriale, le infrastrutture e gli altri settori produttivi del territorio dà vita ad un 'distretto culturale'. Sistemi culturali, reti culturali e distretti culturali presuppongono quindi un solido legame con il territorio, una elevata capacità di interpretarne i tratti distintivi e di esaltarne la ricchezza, le potenzialità, le vocazioni: si potrebbe dire l'identità, a patto di non intendere quest'ultima in senso esclusivo, quasi denotasse un ambito chiuso, che tende a definire confini con ciò che è diverso da sé. Posta la centralità dei territori, ne consegue sul piano istituzionale un legame prioritario con le autonomie locali.

Il regionalismo, la difesa delle autonomie locali e dei territori sono stati punti irrinunciabili per la definizione di una politica nazionale nel nostro settore. Da questo punto di vista negli ultimi tre decenni le comunità professionali e gli attori istituzionali hanno condiviso una semantica della cooperazione in virtù della quale il termine 'nazionale': non coincide più con funzioni tout court statali o centrali, ma con funzioni di interesse generale, con funzioni o servizi che riguardano l'intero paese e in quanto tali 'nazionali', indipendentemente dal livello istituzionale. Con questa accezione un determinato servizio anche se svolto da un ente locale o, al limite, da un soggetto privato può essere considerato 'nazionale' se è riconosciuto come tale dalla filiera istituzionale o se svolge una funzione pubblica rilevante per il paese. Insomma una semantica coerente con un 'policentrismo istituzionale' à la Ostrom, ma anche con quel policentrismo che più in generale caratterizza la nostra storia e la nostra cultura. Da questo punto di vista le autonomie locali, possono esercitare funzioni di rilevanza nazionale, così come lo Stato può esercitare funzioni di rilevanza locale. La grande esperienza del Servizio Bibliotecario Nazionale, ad esempio, è stata un ambito di applicazione significativo di questa semantica del policentrismo. Successivamente il legislatore costituzionale del 2001, riformando il Titolo V della nostra Costituzione, ha di fatto legittimato il policentrismo trasformandolo in tratto identificante della nostra Repubblica.

La stagione attuale sembra essere invece caratterizzata da un neocentralismo statale che si sta lentamente, ma inesorabilmente imponendo senza incontrare resistenza e, non raramente, forzando o violando le regole e le procedure che sorreggono il nostro ordinamento. Da tempo la politica, su questo punto come su altri, sembra essersi arresa, per l'incapacità di governare una situazione di crisi del Paese, ma forse non solo. Le ragioni dell'economia, degli equilibri di bilancio e degli equilibri in seno all'Unione Europea, stanno offrendo il destro allo Stato centrale per ridurre il ruolo e le competenze delle autonomie locali. A ben guardare, tuttavia, la devoluzione delle prerogative della politica ad un governo tecnico, sta trasformando anche le modalità di assunzione delle decisioni, di discussione delle stesse, di presentazione delle stesse all'opinione pubblica. Le ragioni del bilancio prevalgono sulla discussione pubblica e inducono a una progressiva riduzione dei centri di responsabilità e dei centri di costo, a una progressiva riduzione della capacità politica delle autonomie. Per conseguire tale scopo quasi tutto è lecito, anche la demagogia amplificata dai canali mediatici o dalle reti sociali. Così, se emerge uno scandalo in una Regione o in un ente locale, col sostegno di una campagna di stampa che tende spesse a confondere (consapevolmente?) gli uomini con le istituzioni, poco dopo compare un decreto legge che non colpisce tanto corrotti e malversatori, ma piuttosto colpisce l'istituzione, diminuendone l'autonomia, la capacità di spesa e persino la rappresentatività. Insomma il tentativo di controllare rigidamente i costi, anziché definire meccanismi virtuosi di spesa condivisi con le autonomie, finisce per ridurre lo spessore istituzionale delle autonomie stesse o, per così dire, l'autonomia delle autonomie. Da un certo punto di vista si potrebbe dire che la recente decretazione d'urgenza emanata dal Governo in tema di istituzioni, rappresenta una risposta 'impolitica' all'antipolitica di molta parte della società del nostro Paese e all'assenza della politica nel senso nobile del termine; una risposta a una certa, terribile, visione del politico di professione come "ein niedriges und korruptes Wesen" per usare una espressione di Thomas Mann. Credo però che un tecnico al governo non possa essere un Mann des Geistes contrapponibile al politico di professione; soprattutto penso che il politico tout-court non possa essere identificato con l'istituzione che pro tempore rappresenta e che l'autonomia regionale e locale sia un valore-cardine del nostro ordinamento costituzionale.

Tuttavia è innegabile che le autonomie locali abbiano una parte di responsabilità nel processo di delegittimazione che le riguarda. Comuni e Province da tempo hanno un rapporto dialettico su molti temi e, oltre al tradizionale problematico rapporto con il Comune capoluogo, le Province devono ora confrontarsi con un nuovo attore (o competitor) alla ricerca di una legittimazione istituzionale: le Unioni di Comuni. Gli enti locali, a loro volta, hanno da tempo mostrato diffidenza e insofferenza per il cosiddetto 'neo-centralismo regionale'. Basti pensare che ANCI e UPI, in più di un caso, sono sembrate nutrire più avversione per le Regioni che per il Ministero dell'Interno. D'altra parte lo stillicidio di decreti riguardanti il riordino delle Province ha avuto luogo nel silenzio di ANCI e Coordinamento delle Regioni, che avrebbero invece dovuto stigmatizzare i numerosi profili di incostituzionalità ravvisabili nei contenuti e nella procedura seguita non foss'altro per la probabilità, peraltro annunciata dal Ministro per la Funzione pubblica, di esserne a loro volta vittime.

Le Regioni, d'altro canto, sembrano aver smarrito esse stesse la cultura regionalista, le ragioni profonde della loro esistenza, che non coincidono tanto con la creazione di strutture burocratiche, quanto piuttosto con il decentramento finalizzato a rafforzare la co-decisione, la co-partecipazione delle comunità locali agli obiettivi unitari del Paese. Senza quella cultura regionalista il decentramento finalizzato all'unità diventa un semplice ossimoro. Tuttavia che sarebbe senza le Regioni? Credo che senza l'autonomia regionale le condizioni di biblioteche, archivi e musei sarebbero peggiori come dimostra l'ampia letteratura del periodo precedente l'istituzione delle Regioni sulle conseguenze negative del centralismo statale e sulle ragioni del decentramento e delle autonomie locali. Le autonomie locali devono essere per noi un valore irrinunciabile.

I provvedimenti legislativi adottati nell'ultimo anno (L. 2011/214, L. 2012/135, DL 2012/88) per riordinare le Province, ma aventi anche ad oggetto le funzioni degli enti locali, presentano un impatto davvero pesante sul settore culturale, riassumibile in pochi punti:
- la cultura non rientra fra le competenze della Provincia;
- la cultura non rientra fra le competenze fondamentali del Comune;
- la cultura, non appartenendo alle funzioni fondamentali del Comune, non rientra fra le funzioni con l'obbligo di essere esercitate in forma associata dai piccoli Comuni;
- per Province e Comuni la cultura è esclusa dal finanziamento di cui alla L. 5 maggio 2009, n. 42 (c.d. legge sul federalismo fiscale);
- la cultura (o valorizzazione dei beni culturali) è una funzione amministrativa conferita dalla Regione ai Comuni, che tuttavia non hanno l'obbligo di esercitarla non essendo inclusa fra le competenze fondamentali (L. 2010/ 122, art. 14, c. 26).

In altre parole, con assai poco rispetto per l'art. 9 della Costituzione e poca coerenza, almeno per il livello comunale, con la Carta della autonomie in discussione in Parlamento, la cultura è stata sottratta alle politiche degli enti locali. Si tratta di uno stato di fatto inaccettabile per biblioteche, archivi e musei, sia singolarmente considerati, sia nella loro dimensione cooperativa (reti, sistemi, poli). Occorre quindi che gli istituti e le comunità professionali chiedano - e dagli gli Stati generali MAB è emersa una forte indicazione in tal senso - che la cultura sia competenza fondamentale dei Comuni e che la cultura sia competenza propria delle Province o, almeno, che esse siano "legittimate a spendere" in reti e sistemi di area vasta per la cultura. Ciò a due condizioni: nel rispetto dei principi costituzionali di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione in modo che l'azione e il contributo dei livelli istituzionali sia modulato sulla specificità dei contesti regionali e dei territori; a patto che i livelli istituzionali assecondino o abilitino le dinamiche della cooperazione senza logiche burocratiche e senza riguardo ai confini amministrativi.

La dimensione istituzionale dei sistemi culturali deve includere anche la sussidiarietà orizzontale. Da questo punto di vista occorre avviare una seria riflessione perché l'apporto della società civile e del 'privato' non può legittimarsi in via esclusiva sulle logiche della spending review, ma su una cultura condivisa della sussidiarietà.

Tuttavia è innegabile che le autonomie locali abbiano una parte di responsabilità nel processo di delegittimazione che le riguarda. Comuni e Province da tempo hanno un rapporto dialettico su molti temi e, oltre al tradizionale problematico rapporto con il Comune capoluogo, le Province devono ora confrontarsi con un nuovo attore (o competitor) alla ricerca di una legittimazione istituzionale: le Unioni di Comuni. Gli enti locali, a loro volta, hanno da tempo mostrato diffidenza e insofferenza per il cosiddetto 'neo-centralismo regionale'. Basti pensare che ANCI e UPI, in più di un caso, sono sembrate nutrire più avversione per le Regioni che per il Ministero dell'Interno. D'altra parte lo stillicidio di decreti riguardanti il riordino delle Province ha avuto luogo nel silenzio di ANCI e Coordinamento delle Regioni, che avrebbero invece dovuto stigmatizzare i numerosi profili di incostituzionalità ravvisabili nei contenuti e nella procedura seguita non foss'altro per la probabilità, peraltro annunciata dal Ministro per la Funzione pubblica, di esserne a loro volta vittime.

Le Regioni, d'altro canto, sembrano aver smarrito esse stesse la cultura regionalista, le ragioni profonde della loro esistenza, che non coincidono tanto con la creazione di strutture burocratiche, quanto piuttosto con il decentramento finalizzato a rafforzare la co-decisione, la co-partecipazione delle comunità locali agli obiettivi unitari del Paese. Senza quella cultura regionalista il decentramento finalizzato all'unità diventa un semplice ossimoro. Tuttavia che sarebbe senza le Regioni? Credo che senza l'autonomia regionale le condizioni di biblioteche, archivi e musei sarebbero peggiori come dimostra l'ampia letteratura del periodo precedente l'istituzione delle Regioni sulle conseguenze negative del centralismo statale e sulle ragioni del decentramento e delle autonomie locali. Le autonomie locali devono essere per noi un valore irrinunciabile.

I provvedimenti legislativi adottati nell'ultimo anno (L. 2011/214, L. 2012/135, DL 2012/88) per riordinare le Province, ma aventi anche ad oggetto le funzioni degli enti locali, presentano un impatto davvero pesante sul settore culturale, riassumibile in pochi punti:
- la cultura non rientra fra le competenze della Provincia;
- la cultura non rientra fra le competenze fondamentali del Comune;
- la cultura, non appartenendo alle funzioni fondamentali del Comune, non rientra fra le funzioni con l'obbligo di essere esercitate in forma associata dai piccoli Comuni;
- per Province e Comuni la cultura è esclusa dal finanziamento di cui alla L. 5 maggio 2009, n. 42 (c.d. legge sul federalismo fiscale);
- la cultura (o valorizzazione dei beni culturali) è una funzione amministrativa conferita dalla Regione ai Comuni, che tuttavia non hanno l'obbligo di esercitarla non essendo inclusa fra le competenze fondamentali (L. 2010/ 122, art. 14, c. 26).

In altre parole, con assai poco rispetto per l'art. 9 della Costituzione e poca coerenza, almeno per il livello comunale, con la Carta della autonomie in discussione in Parlamento, la cultura è stata sottratta alle politiche degli enti locali. Si tratta di uno stato di fatto inaccettabile per biblioteche, archivi e musei, sia singolarmente considerati, sia nella loro dimensione cooperativa (reti, sistemi, poli). Occorre quindi che gli istituti e le comunità professionali chiedano - e dagli gli Stati generali MAB è emersa una forte indicazione in tal senso - che la cultura sia competenza fondamentale dei Comuni e che la cultura sia competenza propria delle Province o, almeno, che esse siano "legittimate a spendere" in reti e sistemi di area vasta per la cultura. Ciò a due condizioni: nel rispetto dei principi costituzionali di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione in modo che l'azione e il contributo dei livelli istituzionali sia modulato sulla specificità dei contesti regionali e dei territori; a patto che i livelli istituzionali assecondino o abilitino le dinamiche della cooperazione senza logiche burocratiche e senza riguardo ai confini amministrativi.

La dimensione istituzionale dei sistemi culturali deve includere anche la sussidiarietà orizzontale. Da questo punto di vista occorre avviare una seria riflessione perché l'apporto della società civile e del 'privato' non può legittimarsi in via esclusiva sulle logiche della spending review, ma su una cultura condivisa della sussidiarietà.

Tuttavia è innegabile che le autonomie locali abbiano una parte di responsabilità nel processo di delegittimazione che le riguarda. Comuni e Province da tempo hanno un rapporto dialettico su molti temi e, oltre al tradizionale problematico rapporto con il Comune capoluogo, le Province devono ora confrontarsi con un nuovo attore (o competitor) alla ricerca di una legittimazione istituzionale: le Unioni di Comuni. Gli enti locali, a loro volta, hanno da tempo mostrato diffidenza e insofferenza per il cosiddetto 'neo-centralismo regionale'. Basti pensare che ANCI e UPI, in più di un caso, sono sembrate nutrire più avversione per le Regioni che per il Ministero dell'Interno. D'altra parte lo stillicidio di decreti riguardanti il riordino delle Province ha avuto luogo nel silenzio di ANCI e Coordinamento delle Regioni, che avrebbero invece dovuto stigmatizzare i numerosi profili di incostituzionalità ravvisabili nei contenuti e nella procedura seguita non foss'altro per la probabilità, peraltro annunciata dal Ministro per la Funzione pubblica, di esserne a loro volta vittime.

Le Regioni, d'altro canto, sembrano aver smarrito esse stesse la cultura regionalista, le ragioni profonde della loro esistenza, che non coincidono tanto con la creazione di strutture burocratiche, quanto piuttosto con il decentramento finalizzato a rafforzare la co-decisione, la co-partecipazione delle comunità locali agli obiettivi unitari del Paese. Senza quella cultura regionalista il decentramento finalizzato all'unità diventa un semplice ossimoro. Tuttavia che sarebbe senza le Regioni? Credo che senza l'autonomia regionale le condizioni di biblioteche, archivi e musei sarebbero peggiori come dimostra l'ampia letteratura del periodo precedente l'istituzione delle Regioni sulle conseguenze negative del centralismo statale e sulle ragioni del decentramento e delle autonomie locali. Le autonomie locali devono essere per noi un valore irrinunciabile.

I provvedimenti legislativi adottati nell'ultimo anno (L. 2011/214, L. 2012/135, DL 2012/88) per riordinare le Province, ma aventi anche ad oggetto le funzioni degli enti locali, presentano un impatto davvero pesante sul settore culturale, riassumibile in pochi punti:
- la cultura non rientra fra le competenze della Provincia;
- la cultura non rientra fra le competenze fondamentali del Comune;
- la cultura, non appartenendo alle funzioni fondamentali del Comune, non rientra fra le funzioni con l'obbligo di essere esercitate in forma associata dai piccoli Comuni;
- per Province e Comuni la cultura è esclusa dal finanziamento di cui alla L. 5 maggio 2009, n. 42 (c.d. legge sul federalismo fiscale);
- la cultura (o valorizzazione dei beni culturali) è una funzione amministrativa conferita dalla Regione ai Comuni, che tuttavia non hanno l'obbligo di esercitarla non essendo inclusa fra le competenze fondamentali (L. 2010/ 122, art. 14, c. 26).

In altre parole, con assai poco rispetto per l'art. 9 della Costituzione e poca coerenza, almeno per il livello comunale, con la Carta della autonomie in discussione in Parlamento, la cultura è stata sottratta alle politiche degli enti locali. Si tratta di uno stato di fatto inaccettabile per biblioteche, archivi e musei, sia singolarmente considerati, sia nella loro dimensione cooperativa (reti, sistemi, poli). Occorre quindi che gli istituti e le comunità professionali chiedano - e dagli gli Stati generali MAB è emersa una forte indicazione in tal senso - che la cultura sia competenza fondamentale dei Comuni e che la cultura sia competenza propria delle Province o, almeno, che esse siano "legittimate a spendere" in reti e sistemi di area vasta per la cultura. Ciò a due condizioni: nel rispetto dei principi costituzionali di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione in modo che l'azione e il contributo dei livelli istituzionali sia modulato sulla specificità dei contesti regionali e dei territori; a patto che i livelli istituzionali assecondino o abilitino le dinamiche della cooperazione senza logiche burocratiche e senza riguardo ai confini amministrativi.

La dimensione istituzionale dei sistemi culturali deve includere anche la sussidiarietà orizzontale. Da questo punto di vista occorre avviare una seria riflessione perché l'apporto della società civile e del 'privato' non può legittimarsi in via esclusiva sulle logiche della spending review, ma su una cultura condivisa della sussidiarietà.


Speciale Sistemi Culturali Locali - pag. 11 [2012 - N.45]

Il riallestimento della Collezione Musiva al MAR documenta e valorizza la storia recente del mosaico a Ravenna

Linda Kniffitz - Curatore CIDM MAR di Ravenna

Indubbiamente uno dei principali compiti di un museo d'arte è quello di rileggere il passato per poter individuare e interpretare, con la debita distanza, le potenzialità dei fenomeni artistici di resistere nel tempo (e al tempo con una corretta tutela), mentre maturano importanti significati e valenze talora inaspettate. La volontà di documentare e valorizzare l'arte musiva degli ultimi novant'anni, anni fondamentali per la rinascita del mosaico a Ravenna, è uno degli obiettivi dell'Istituzione Museo d'Arte della città, perseguito attraverso il Centro Internazionale di Documentazione sul Mosaico.
Questo intento si avvantaggia delle possibilità di ricerca offerte dalla presenza di un importante Archivio in continua espansione. I diari di cantiere, le lettere, gli atti relativi a committenze, restauri e progetti edilizi, le pubblicazioni, i periodici e le tesi di laurea, consentono una pluralità di letture che permette di storicizzare le opere in modo puntuale e di allargare lo sguardo sulla produzione musiva attuale, un esercizio in grado di riservare molte sorprese.
La Collezione dei Mosaici Contemporanei del MAR consta di circa 90 pezzi, ai quali bisogna aggiungere due nuclei di cartoni pittorici per mosaico (uno di 14 opere della collezione dei "Mosaici Moderni" e uno di 21 opere relative alla serie dei "Mosaici Danteschi") e circa 140 cartoni realizzati a tempera su carta da lucido - per la maggior parte copie dei mosaici antichi - tracciate sui ponteggi di restauro da Libera Musiani, tra gli anni Quaranta e Sessanta del Novecento.
Recentemente si è potuto progettare il riallestimento della Collezione Musiva al piano terra e la riorganizzazione delle Collezioni Moderna e Contemporanea della Pinacoteca al secondo piano del Museo, grazie ai finanziamenti di Open Museum, un Progetto Europeo - vinto dal MAR a maggio 2011 - tutto dedicato alla riqualificazione e all'integrazione dei Musei italiani e sloveni.
Il primo stralcio dei lavori riguarda l'atrio di ingresso e il loggiato al piano terra e sarà completato entro l'estate 2013. Il progetto tecnico e la direzione lavori sono stati affidati all'architetto Cesare Mari di PAN Studio. Si è voluto principalmente rispondere alla necessità di una corretta conservazione e manutenzione delle opere, di un'illuminazione nuova ed efficace, della schermatura solare degli archi del quadriportico, e di una generale riorganizzazione espositiva dei mosaici della collezione.
Il progetto scientifico che preordina la nuova sequenza delle opere, curato da Claudio Spadoni e da chi scrive, ha dovuto tener conto anche dei recenti cambiamenti di accessibilità alla collezione e al quadriportico (dovuti alla creazione del nuovo book-shop) e delle numerose donazioni e acquisizioni degli ultimi anni.
Il criterio di massima è stato volutamente quello cronologico, per favorire una ricostruzione storica dello sviluppo del mosaico contemporaneo a Ravenna. Attraverso le opere viene rievocata la nascita del Corso di mosaico all'Accademia di belle Arti nel 1924 e i restauri delle antiche decorazioni paleocristiane e bizantine. Snodo fondamentale la creazione di maestranze specializzate, i Maestri Mosaicisti come li definiva Severini, in grado di dialogare con i critici e gli artisti del ventennio e del secondo dopoguerra, creando opere nelle quali essi non hanno solo un ruolo vicario, ma partecipano alla progettazione. Negli anni Cinquanta le prime opere autonome, inscritte nelle ricerche d'avanguardia, di cui il mosaicista è l'unico artefice; le collaborazioni per grandi realizzazioni come il Parco della Pace; le aperture al dibattito sulle arti visive degli anni Settanta e Ottanta, la stagione del design degli anni Novanta, fino agli ultimi esiti della ricerca sul linguaggio musivo, inteso come uno dei linguaggi dell'arte contemporanea.
Come ha recentemente detto Gabriella Belli, i musei giocano un ruolo molto importante per la valorizzazione dell'arte di tutti i tempi e quindi anche di quella contemporanea: essi dovrebbero pertanto investire culturalmente negli artisti. Il MAR, nonostante la generale mancanza di fondi pubblici, profonde grande impegno nel comunicare l'arte su vari registri, sia con le mostre temporanee che con la cura delle collezioni permanenti, cercando di trasmettere il senso profondamente civico della sua istituzione.

Speciale Allestimenti Museali - pag. 11 [2013 - N.46]

Il museo NatuRa valorizza i suoi depositi per costruire una relazione di appartenenza e di comunità

Francesca Masi - Responsabile Museo NatuRa di Sant'Alberto

"Quando riusciremo a far capire che il deposito 'è' il museo, che è parte costitutiva ed irrinunciabile al pari delle opere esposte, sarà sempre troppo tardi" (A. Paolucci).
Il museo NatuRa è l'approdo di un complesso percorso di ripensamento del tradizionale museo civico di scienze, infatti dallo storico edificio della Loggetta Lombardesca, dove si trovava, come tradizione dei musei di questo tipo, accanto alla Pinacoteca, è stato operato un trasferimento, nel corso del 2004, presso il Palazzone di Sant'Alberto, antica hostaria estense, immersa nel Parco del Delta del Po, che ha dato vita a uno spazio improntato alla relazione, all'azione e alla narrazione. Le collezioni di esemplari naturalistici sono state ricollocate, nel contesto di provenienza, in un processo di attribuzione di senso del museo rispetto al territorio e soprattutto è stata fatta una scelta forte in termini espositivi che ha privilegiato sull'impostazione tassonomica delle originali collocazioni la creazione di percorsi tematici volti a rendere la complessità dell'ecosistema di riferimento.
Questa "rivoluzione" allestitiva ha reso necessaria una riduzione dei pezzi esposti e la conseguente adozione di criteri espositivi basati sul sistema della rotazione delle collezione da un lato, così come prescritto dalle linee guida ministeriali (MiBAC, 2001, pp. 41-2) dove si afferma che "Nell'ambito dell'attività espositiva, va prevista anche la rotazione degli oggetti in deposito, al fine di estendere l'accessibilità delle collezioni" e dall'altro sulla creazione di un deposito visitabile, realizzato nel rispetto dell'originaria impostazione museale. Questa iniziativa è in grado di offrire una visione completa del patrimonio e delle attività museali precedenti all'esposizione delle collezioni, per rendere accessibile a tutti la gestione e l'organizzazione del museo, allontanandolo dall'idea di staticità che certamente non gli appartiene. È un'occasione per approfondire la conoscenza del museo sia in termini storici, la sua evoluzione, che funzionali, vale a dire le diverse possibilità di fruizione di un'istituzione che si rivolge al pubblico che non conosce specificatamente la materia e allo stesso modo agli studiosi che vogliono approfondire aspetti particolari. La possibilità di fare entrare il pubblico dei non addetti ai lavori nel "cuore pulsante" del museo, vale a dire il deposito, è una parte della volontà di costruire una relazione di appartenenza e di comunità, in modo tanto curioso e divertente quanto educativo.
Pertanto il "deposito visitabile" sito al terzo piano dell'edificio e di totale accessibilità da parte di ogni categoria di utenti, grazie alla presenza di un ascensore e di servizi igienici, è anche luogo di attività di promozione e valorizzazione specifiche oltre che di studio e ricerca. La contiguità a uno spazio riservato a incontri e presentazioni, costituisce una modalità che consente un'interessante interazione tra patrimonio e costruzione di relazioni, infatti il numeroso pubblico che partecipa alle iniziative del museo ha modo di conoscere non solo la narrazione scelta nel percorso museale, ma anche le radici e il fondamento stesso di quanto allestito, passando così da una visione per necessità di prospettiva a un'inclusione partecipativa al museo nel suo complesso.
In particolare tale sezione museale offre uno spunto di approfondimento e una panoramica molto completa dei principali gruppi di uccelli della zona. Il criterio adottato per la disposizione è tassonomico, ovvero nelle vetrine gli uccelli sono principalmente raggruppati in base alle "famiglie" di appartenenza, dando così modo al visitatore di apprezzare non solo la ricchezza di specie presente nei vari gruppi esposti, ma anche le differenze intraspecifiche che si possono individuare tra individui della stessa specie. Con un criterio diverso è allestita una piccola sezione del deposito in cui trovano posto le anomalie cromatiche riscontrate in esemplari di uccelli molto diversi tra loro, ma che si distinguono dai loro simili per albinismo, melanismo o isabellismo, ovvero anormalità nella colorazione del piumaggio. Nel deposito visitabile trova la sua collocazione anche una sezione interamente dedicata agli invertebrati e che accoglie molte cassette entomologiche dedicate alle farfalle diurne e notturne e ai coleotteri Cerambicidi delle nostre pinete. È presente anche uno spazio dedicato ad artropodi esotici, tra cui ragni e scorpioni, un'ampia sezione malacologia di conchiglie del mare Adriatico e terrestri della Romagna e qualche esemplare di rettili, sia autoctoni sia esotici.

Speciale Depositi museali - pag. 11 [2013 - N.47]

Il Sistema Museale Romagnolo sulla scia della Rete Bibliotecaria, all'insegna di una nuova stagione di cooperazione istituzionale

Patrick Leech - Assessore alla Cultura Comune di Folì

Uno spettro s'aggira per la Romagna: lo spettro della cooperazione. Uno spettro che spaventa i localismi ed i campanilismi. Uno spettro che ha radici lontane, nella tradizione cooperativa della fine dell'Ottocento, e che ancora oggi costituisce un sistema di nervi e gangli che connette la produzione dei molti settori in cui operano le piccole e medie imprese locali.
Ma ci sono anche altri esempi di cooperazione virtuosa in Romagna, non ultimo quello del percorso romagnolo della candidatura di Ravenna come Città Europea della Cultura per il 2019. Le regole sono chiare: il titolo va conferito a città, non a province, regioni, "aree vaste". Ma città che coinvolgono un territorio più ampio possono forse concorre con una chance in più. La candidatura di Ravenna, infatti, gode di un autentico sostegno dal basso, che coinvolge centinaia di operatori culturali in tutte le città della Romagna. Un esempio rilevante ed illuminante di cooperazione vissuta come consapevolezza del valore del territorio denominato Romagna.
Si tratta, quindi, di una cooperazione dal basso. Ma, fattore ancora più importante per quanto riguarda il tema del Sistema museale romagnolo, il movimento dal basso trova riscontro anche in un impegno alla cooperazione fra tutte le amministrazioni pubbliche romagnole nell'ambito della cultura. Il Comitato Promotore della candidatura, infatti, è costituito, oltre che dagli enti locali di stretta pertinenza (la città e la provincia di Ravenna e la Regione Emilia-Romagna) anche dalle altre principali città della Romagna: Rimini, Cesena, Forlì, Faenza, Lugo e l'Unione della Bassa Romagna.
Un sistema culturale, di qualsiasi natura, si costruisce in questo duplice senso: sulla cooperazione e la condivisione dal basso fra gli operatori culturali e, ad un livello più alto, fra i decision makers, in questo caso fra gli Enti Locali. Senza uno di questo elementi l'edificio che si vuole costruire è destinato a crollare, o per mancanza di copertura istituzionale, di obiettivi alti e lungimiranti, oppure per mancanza di un radicamento forte nella società civile; per mancanza quindi del tetto oppure per mancanza delle fondamenta.
Ci si chiede: se l'entrata nella short list dei candidati non dovesse sfociare nel titolo di Capitale Europea della Cultura per il 2019, che senso avrà avuto il dispendio di energie e risorse pubbliche e private? Al di là dei risultati in termini di conoscenze, relazioni e progettualità condivisa (risultati intangibili ma non meno importanti in quanto tali), la nuova stagione di cooperazione istituzionale potrebbe costituire un'irripetibile occasione buona per portare a termine un obiettivo concreto: la costruzione di un vero e proprio Sistema museale romagnolo che proponga la Romagna come unica entità per quanto riguarda la tutela, la valorizzazione e la gestione del suo patrimonio culturale. Questo sogno utopico, fra l'altro, costituisce sempre di più una necessità amministrativa.
I sogni utopici si basano sulla radicale ridefinizione di uno spazio, di uno spazio che non esiste ora, ma che potrebbe esistere. Nel caso concreto, il sogno consiste nell'immaginare un unico spazio romagnolo, uno spazio inteso come unità ambientale, umana e patrimoniale. Tale immaginazione di uno spazio territoriale contrasta sì con l'identità cittadina e con il senso di radicamento nelle città che caratterizza la Romagna come caratterizza l'Italia in generale, una percezione talvolta chiamata in modo spregevole "campanilismo". Ma è anche vero che le identità immaginarie non sono mai uniche ma, al contrario, plurime. Un'immaginazione e un'identità romagnola, in verità, esiste in maniera forte a fianco dell'attaccamento alle città. Basti citare figure come Emilio Rosetti, Carlo Piancastelli e Pietro Zangheri, che hanno sempre lavorato per valorizzare il patrimonio culturale del territorio romagnolo nel suo insieme.
A fianco di considerazioni culturali di questo tipo, ve ne sono altre, più pragmatiche, che riguardano le necessità amministrative. In primo luogo, c'è un'impellente esigenza, in un periodo di crisi non più congiunturale ma strutturale, di ottimizzare spese, accomunare risorse economiche e umane. Non è più possibile che le funzioni di back office che sostengono l'attività museale vengano gestite individualmente dai singoli musei. Sta nelle logiche della complessità della gestione di una società avanzata che le principali funzioni di amministrazione, di promozione, di commercializzazione, di progettazione e ricerca fondi (anche, e sempre di più, europei) vengano demandate ad un unico punto istituzionale coordinante. In questo, la Rete Bibliotecaria della Romagna e San Marino docet: affidare funzioni e servizi di back office ad un'unica struttura porta vantaggi in termini di costi non indifferenti.
In secondo luogo, viene sempre più percepita un'esigenza di posizionamento sul mercato, per utilizzare un termine squisitamente imprenditoriale. La potenzialità attrattiva di una mostra o di un museo deve potersi integrare con un'immagine più estesa e ampia, per poter sfruttare a pieno gli investimenti in eventi e mostre. In altre parole, i visitatori stranieri o da fuori regione che vengono in Romagna per vedere una mostra al MAR di Ravenna, al MIC di Faenza oppure al San Domenico di Forlì, dovrebbero avere la sensazione di poter acquisire un pacchetto unico di esplorazione culturale territoriale. Solo in questo senso possono essere giustificati gli investimenti spesso cospicui di città di medie dimensioni nell'Europa del 2013.
L'investimento da parte di operatori culturali ed amministratori per la condivisione di intenti territoriali, risultato dal processo di candidatura di Ravenna come Capitale Europea della Cultura, devono sfociare in un tentativo serio di costruire un sistema museale romagnolo che rappresenti e tuteli il patrimonio culturale del territorio. Nell'ottica di favorire una seria riflessione in merito, il 7 febbraio 2014 Forlì ospiterà un evento organizzato in collaborazione con l'Associazione Nazionale dei Musei Locali ed Istituzionali proprio sul tema dei musei in Romagna.
C'è una crescente consapevolezza dell'insensatezza della frase infelice "con la cultura non si mangia". Il Manifesto "Niente cultura, niente sviluppo" del Sole 24 Ore, la campagna "Ripartire dalla cultura" sostenuta da tutti i principali soggetti istituzionali nazionali in campo culturale, gli Stati Generali della Cultura che lotta per la realizzazione dell'Articolo 9 della Costituzione, la proposta da parte del Presidente del Consiglio di avviare anche un concorso per la città della cultura italiana - tutti concordano sulla centralità dell'attività culturale e della valorizzazione del patrimonio come volano di una nuova economia basata sulle conoscenze. Ma spetta a tutti coloro che operano in campo culturale il compito di promuovere e realizzare sistemi di produzione culturale efficaci ed efficienti, tali da dimostrare concretamente i vantaggi a breve, medio e lungo termine dell'investimento in cultura.
I vantaggi di un sistema integrato dei musei a livello romagnolo costituirebbe un esempio concreto di tali vantaggi ai fini del raggiungimento di un obiettivo che non può più essere posticipato. Unitevi amministratori della Romagna, non avete nulla da perdere se non le vostre catene. Avete un mondo da guadagnare.

Speciale Musei di Romagna - pag. 11 [2013 - N.48]

Va a sistema un interessante e suggestivo percorso di arte urbana contemporanea

Ennio Nonni - Architetto-urbanista Comune di Faenza

Più o meno tutte le città, negli ultimi anni, hanno messo a disposizione spazi pubblici per accogliere opere permanenti di artisti (o presunti tali), spesse volte scelti a caso, senza una precisa idea identitaria dei luoghi e magari proprio su stimolo degli stessi per una temporanea logica autocelebrativa.
I rischi culturali, circa le collezioni di opere all'aperto, sono enormi poiché, senza uno stabile progetto di museo che traguardi senza sconti un futuro lontano, le Amministrazioni Comunali possono cedere alla tentazione di accettare in regalo un lavoro, risolvere in buona fede la manutenzione di una rotatoria, favorire associazioni per pubblicità nascoste nelle pieghe dell'"opera" o anche solo riempire un vuoto con un po' di arredi "d'autore".
Non è stato così per Faenza, da sempre avanguardia culturale della Romagna che fin dai primi anni del'900, centellinando le scelte in modo rigoroso, ha cercato di associare all'opera quel valore aggiuntivo per elevare uno spazio o anche un non-luogo periferico in un punto identitario di riferimento della città.
È evidente che ora, il percorso di arte urbana contemporanea nella cintura periferica di Faenza, individuato fra le possibili eccellenze della città nel piano urbanistico approvato dal Consiglio Comunale nel 2010, dovrà acquisire la forma strutturata del museo all'aperto a futura garanzia del suo straordinario valore culturale. Il percorso di opere d'arte (contemporanee) esposte a Faenza a partire dal primo '900 rappresenta nel complesso una importante parte della storia della città per il valore assolutamente qualitativo e di testimonianza circa il susseguirsi della vita culturale e amministrativa, soprattutto fra il secondo dopoguerra e i giorni nostri. È un percorso di cui va garantita anche in futuro una continuità all'insegna dell'assoluta qualità e innovazione stante la grande responsabilità di esporre opere permanenti.
La ceramica recita il ruolo di protagonista della scena, anche se le molte opere di grande pregio realizzate con altre tecniche ci raccontano come la città, pur nella propria identità dominante, abbia saputo aprirsi all'arte in modo per nulla provinciale, avendo la capacità di attrarre e accettare esperienze legate ad altri materiali, a testimonianza della dimensione culturale storicamente riconosciuta a Faenza.
Il museo all'aperto in corso di istituzione e in costante evoluzione nel tempo si presenta già ora con oltre 60 opere che documentano cronologicamente l'evoluzione dei vari stili e l'intreccio fra artisti faentini, nazionali ed europei. L'obiettivo è fare sì che Faenza sia sempre più attrattiva e culturalmente riconoscibile alla scala nazionale, offrendo anche un esempio di come attraverso le installazioni artistiche si possa elevare la qualità e riconoscibilità dei luoghi urbani periferici.
In questo modo si supera il concetto di collezione museale o di mostra temporanea, relegata in spazi confinati, e si individua nella città il contenitore ideale, alla vista di tutti, senza diaframmi.
La ricchezza artistica della città, resta la sola alternativa alla limitata fruizione dell'arte del tempo libero come momento di evasione; quando l'esperienza dell'arte (della bellezza), da occasionale diventa quotidiana, si liberano sinergie innovative, di speranza e vitalità anche delle anonime periferie di molte città italiane. L'obiettivo è di generare quello stupore che si avverte quando si visita un centro storico particolarmente ricco di emergenze architettoniche, scultoree, pittoriche.
Questo il vero motivo alla base della costituzione del Museo all'aperto che spazia da artisti del calibro di Rambelli, Matteucci, Biancini, Spagnulo, Nagasawa, Sottsass, Zauli, Sartelli, Stahler, Bombardieri, solo per citarni alcuni, ma che sta già ampliando la collezione con una grande opera di Street Art di oltre 1.000 mq associata ad un progetto di rigenerazione urbana.


Speciale nuove adesioni al Sistema Museale Provinciale - pag. 11 [2014 - N.49]

Intervista a Fabio Donato, ordinario di Economia aziendale e Direttore del MuSeC presso l'Università di Ferrara

Romina Pirraglia - Sistema Museale Provincia di Ravenna

Abbiamo posto alcune domande al prof. Donato in qualità di Rappresentante italiano nel Comitato di Programma di Horizon 2020.

Quali sono le opportunità "sprecate" dall'Italia in relazione ai Fondi europei per la cultura?
I dati del passato ci dicono che nel VII Programma quadro (2007-2013), l'Italia ogni cento euro che ha messo in Europa ne ha portati a casa solo sessanta. Non solo; se prendiamo non i fondi di eccellenza a gestione diretta, ma quelli più 'facili' a gestione indiretta, per i quali non c'è competizione con altri Paesi in quanto ci sono già stati assegnati, i dati attuali indicano che a livello nazionale lo speso è circa il 35% mentre l'impegnato è circa il 50%. È vero che c'è la possibilità di continuare a spenderli ancora per un anno e mezzo, però è chiaro che, bene che andrà, riusciremo ad arrivare al massimo al 60%.
Questo dato ci fa riflettere su una serie di cose. Innanzitutto, che noi siamo "europeisti" a parole, almeno a vedere i dati sull'affluenza alle elezioni europee. Al di là del singolo voto, in Italia la partecipazione e dunque l'interesse nei confronti dell'Europa è molto più forte rispetto agli altri Paesi: tolti Belgio e Lussemburgo, dove è obbligatorio andare a votare altrimenti si viene multati, il nostro Paese è in assoluto quello con l'affluenza più alta.
Se a parole siamo così attenti all'Europa, in realtà siamo piuttosto assenti nei processi decisionali europei, così come nella capacità di intervenire nelle progettualità europee. Infatti se guardiamo al grado di incidenza dell'Italia nelle decisioni europee, vediamo che siamo scarsamente presenti e lo siamo ancora meno se andiamo a guardare il grado di partecipazione e soprattutto di successo nei progetti europei.
Perchè accade questo? Grazie a questo nuovo ruolo che ricopro un'idea me la sono fatta. Primo: per portare a casa i temi di interesse italiano bisogna battagliare e quindi ci vuole qualcuno che vada nelle sedi europee, che conosca bene l'inglese, le dinamiche istituzionali europee e le regole del gioco, e porti a casa i risultati. Vi faccio un esempio: in relazione alla call sul Mediterraneo, se fosse passata l'idea di alcuni Paesi, piuttosto che essere sul Mediterraneo il bando sarebbe stato sull'Oceano Atlantico, ed è chiaro che quel progetto l'Italia l'avrebbe perso in partenza. Se noi italiani abbiamo competenze sul cultural heritage ma specifiche call su questo tema non ci sono, è chiaro che non riusciamo a sfruttare tutte le nostre competenze.
Inoltre c'è un'altra questione. Noi siamo abituati a fare i progetti europei come ci piace. Purtroppo non funziona così: i progetti europei bisogna farli come piace alla Commissione Europea, ovvero i progetti vanno scritti all'interno delle policy europee, il che presupppone di conoscere molto bene le policy europee e i documenti relativi. Infine, noi abbiamo ancora grandi difficoltà nelle tecnicità, cioè quando si redige un progetto europeo c'è una precisa liturgia da seguire, cosa che noi tendiamo a non fare.

Dall'Unione Europea vengono suggerimenti per una riforma degli attuali modelli di governance e di management rivelatisi, come lei evidenzia nelle sue pubblicazioni, inadeguati alla gestione del patrimonio culturale italiano?
No, da loro non viene nessuna proposta, ma dirò di più. Il problema di non vincere progetti europei non è solo quello di non portare a casa i soldi, ma ce ne è un altro che forse è ancora più importante, e cioè quello di non contribuire alla costruzione di un pensiero europeo. Perchè attraverso la progettualità europea si individuano quali sono i percorsi di riferimento a livello europeo.
Ciò si lega alla prima domanda, perchè la nostra assenza in Europa fa sì che i temi di riferimento siano non quelli italiani ma quelli dei Paesi più forti nel dibattito europeo. Più forti non perchè abbiano idee migliori, ma perchè sono più presenti e maggiormente dentro alle regole del gioco. Questi Paesi sono prevalentemente quelli del centro e nord Europa e non stupirà che in questi Paesi il dibattito sul cultural heritage sia molto più tenue rispetto a quanto lo sia in Italia.
Il grande tema a livello europeo in questo momento non è su management e governance del cultural heritage ma è su Creative Europe, cioè sul tema della creatività. Ciò dipende dal fatto che soprattutto nel nord Europa il dibattito non è sulla conservazione, valorizzazione e comunicazione del patrimonio culturale (di cui loro dispongono molto meno di noi), ma sulla produzione culturale e creativa, che va nella logica soprattutto dell'arte contemporanea che non a caso da loro è più forte. Il che non significa che in Italia non occorra sviluppare l'arte contemporanea, al contrario. Ciò che dico spesso infatti è che bisognerebbe far sì che il cultural heritage fosse esso stesso uno strumento di produzione d'arte contemporanea: legare il passato con il presente per costruire il futuro.
Quindi la risposta è che il dibattito è molto tenue, perchè il vero dibattito è su questioni che sono prevalenti nel centro e nord Europa, ovvero sul tema della creatività. Però bisogna fare attenzione, perchè anche colleghi internazionali ritengono che sia inutile che l'Italia sviluppi un dibattito sulla creatività in quanto è naturalmente una nazione della creatività. Per il nostro Paese il dibattito deve incentrarsi su come incanalare la creatività per produrre qualcosa: produzione di beni artistici, di beni consumo, introduzione di servizi innovativi, di forme inclusione sociale. Il nostro grande tema dunque non è la creatività in sé, ma come riuscire a canalizzare, a trasformare questa creatività in qualche cosa che abbia un valore sociale di welfare o un valore imprenditoriale di mercato e di occupazione.

In che modo i fondi europei per la cultura potrebbero contribuire alle riforme strutturali da lei ritenute necessarie per fronteggiare la crisi altrettanto strutturale in atto dal 2008?
Se consideriamo i fondi diretti, cioè quelli che vengono gestiti dall'Unione Europea, le due grandi aree sono Horizon 2020 (ricerca e innovazione) e Creative Europe, programma molto più piccolo in termini finanziari ma molto più focalizzato sulla cultura che è appunto il tema della Directorate General for Education and Culture.
Devo dire che in entrambi si ritrovano sempre due elementi straordinariamente forti: il tema della multidisciplinarietà e il tema della costruzione di network (che possono essere di tipo internazionale ma anche di tipo locale). A me pare molto chiaro che ci sia una spinta a livello europeo verso logiche di multidisciplinarietà e verso logiche di tipo "meso", cioè di creazione di sistemi territoriali che possono essere sistemi culturali territoriali o sistemi di altro tipo.
Al di là della realtà di Ravenna, che oggettivamente è più avanti di tutti in Italia, da noi questa spinta non c'è. La sensibilità italiana è tutta diversa, è "micro", cioè ognuno fa il suo, e monodisciplinare. Per cui se io sono uno storico dell'arte del Settecento, non voglio avere niente a che fare con te che sei uno storico dell'arte dell'Ottocento, figuriamoci con un economista, con un sociologo o con un esperto di comunicazione.
Quindi il grande tema è: innanzitutto, contaminiamoci vicendevolmente; secondo, costruiamo quei legami tra patrimonio culturale che sono i legami propri del nostro patrimonio culturale. La consuetudine di presentare e interpretare il nostro patrimonio come se il singolo patrimonio di una singola istituzione culturale fosse diverso da quello di un'altra istituzione culturale, l'abbiamo creata noi con la nostra sovrastruttura istituzionale, burocratica e organizzativa. Ma il patrimonio culturale è unitario, è unico, siamo noi che l'abbiamo diviso. Quindi l'obiettivo è tornare all'essenza, ritornare alle origini.

L'ideazione di progetti da candidare a bandi nazionali e internazionali da parte di una realtà come quella del Sistema Museale della Provincia di Ravenna potrebbe configurarsi come una buona pratica condotta nell'ambito del livello organizzativo "meso" del modello manageriale "multi-scala" a cui ha accennato?
Rispondo con grande sincerità e schiettezza. Su questo punto il mio ragionamento è un altro, ed è quello di andare per gradi. Se mi passate una metafora calcistica, visto che siamo in periodo di Mondiali, prima di cercare di vincere la Champions League cerchiamo di vincere il Campionato italiano. Voglio dire che per la costruzione di un sistema culturale territoriale forse il luogo ideale sono i Fondi strutturali regionali.
Faccio un esempio: i temi della partecipazione, del patrimonio culturale unitario, della gestione a rete, del partenariato pubblico e privato, della cultura che genera occupazione giovanile, dei progetti europei etc., altrove sono scontati. Non possiamo dunque pensare che il progetto di Ravenna, che è un progetto di eccellenza italiana, sia anche un progetto di eccellenza europea: oggettivamente non è vero. Pertanto ritengo che occorra  innanzitutto passare dai fondi strutturali, che in ogni caso ci sono e vanno solo progettati, riguardo al cui utilizzo comunque l'Emilia-Romagna eccelle rispetto al resto del Paese. Prima vinciamo il Campionato italiano, ovvero utilizziamo i fondi strutturali per realizzare qualcosa che sia di riferimento nazionale, poi realizziamo un progetto europeo con gli altri Paesi che hanno sistemi strutturati, avendo un'idea innovativa, e allora andiamo a vincere la Champions League. Fuor di metafora, andiamo a vincere un progetto di Horizon 2020.

A proposito di quest'ultimo, nei progetti del nuovo settennio i musei sembrano potere essere i candidati ideali per contribuire alla resa delle nostre società "più inclusive, riflessive e innovative", in risposta proprio ad alcuni obiettivi specifici di Horizon 2020. È d'accordo?
La grande novità di Horizon 2020 è che, mentre nel VII Programma quadro i fondi e quindi i progetti erano rivolti a università e centri di ricerca - tutto ciò che era diverso da questi ambiti in qualche modo era quasi fuorviante -, con Horizon 2020 la logica è capovolta. Certamente devono essere progetti con contenuto di eccellenza, di innovazione e di ricerca, ma si richiede espressamente che assieme ai soggetti della ricerca ci siano anche soggetti istituzionali e soggetti del settore economico-produttivo.
Allora i musei qui dentro ci rientrano perfettamente. La questione è se il museo interpreta Horizon 2020 semplicemente come uno strumento per raccimolare qualche soldo - e allora sbaglia - o se lo interpreta come lo strumento per avviare quelle attività di ricerca, di conoscenza, di sperimentazione che dovrebbero essere alla base dell'attività di ogni museo. Perchè noi continuiamo a pensare al museo come a un luogo di mera esposizione e di mera conservazione, mentre i musei dovrebbero essere innanzitutto luoghi di produzione di conoscenza e di produzione culturale. Quindi il loro coinvolgimento avrà senso non tanto se Horizon 2020 lo permette - perchè lo permette - ma se i nostri musei riusciranno a capire quale può essere il loro ruolo in tale contesto.


Speciale Progetti europei per i musei 2014-2020 - pag. 11 [2014 - N.50]

Un cammino lungo e tortuoso da patrimonio culturale sommerso e frammentario fino al raggiungimento di un pubblico ampio e diversificato

Raffaella Biscioni - Assegnista di ricerca Dipartimento di Beni Culturali Università di Bologna

Che la fotografia rappresenti, per il mondo della cultura e per la società, un bene culturale di estrema importanza è ormai un fatto acquisito. Se guardiamo però alla storia dei suoi - quasi - 160 anni, scopriamo un percorso difficile e tortuoso, che ha portato solo nell'ultima parte della sua vita a una progressiva affermazione del suo valore culturale.
Per lunghi anni infatti il patrimonio fotografico è stato un patrimonio sommerso, conservato in modo frammentario, spesso grazie all'interesse privato e collezionistico. Solo dalla fine degli anni Settanta le istituzioni culturali pubbliche si sono poste il problema della conservazione e della valorizzazione dei propri patrimoni di immagini, in concomitanza con alcune importanti iniziative culturali che hanno coinvolto il grande pubblico e che aprirono un dibattito sugli aspetti storici, teorici e conservativi della fotografia.
Da quel momento, è stato compiuto un cammino importante, carico di conseguenze sia sul piano culturale che sociale, che ha permesso, nel 1999, di arrivare al riconoscimento legislativo della fotografia come bene culturale. In tale percorso di "emancipazione" che ha comportato una profonda riflessione sullo statuto della fotografia, l'apporto di strumenti tecnici relativi allo studio e gestione delle raccolte ha avuto una grande importanza: nel 1999, si ebbe la definizione della "Scheda F", il primo standard catalografico nazionale dedicato alla fotografia, emanata dall'ICCD - Istituto Centrale per il Catalogo e la Documentazione. Ancora oggi utilizzata e valida nelle sue linee fondamentali, la scheda F rappresenta uno strumento flessibile e articolato, in grado di dare conto di tutta la complessità dell'oggetto fotografico, sia da un punto di vista teorico che materiale. Sebbene tale complessità abbia rappresentato spesso motivo di perplessità e critica fra gli addetti ai lavori, è bene ricordare che essa trovava la sua giustificazione nell'eterogeneità degli archivi fotografici in quanto a genesi, organizzazione, quantità e tipologia dei materiali.
Successivamente, il digital turn rappresentò un'ulteriore tappa avendo avuto effetto, in primo luogo, sulla natura stessa dell'immagine fotografica grazie all'invenzione della fotografia digitale. L'applicazione delle tecnologie informatiche per catalogare e digitalizzare la fotografia ebbe un grande impatto in termini di accesso e conservazione delle raccolte, permettendo di coniugare tutela e valorizzazione e coinvolgendo fototeche, archivi e musei in un dibattito sulla qualità dei servizi offerti e sulle strategie per migliorarli, determinando una forte spinta alla cooperazione fra istituzioni.
In particolare dopo l'avvento del web, si è ampliato l'accesso ai materiali e si è intercettata un'utenza più vasta e diversificata, con ricadute positive anche in termini di studio delle collezioni. L'aspetto conservativo ha goduto parimenti di questi nuovi strumenti digitali, poiché la qualità sempre maggiore delle immagini digitali ha reso sempre meno necessaria, per la maggioranza dell'utenza, la consultazione diretta dell'originale, operando una sorta di "conservazione indiretta" che riduceva ogni forma di stress dovuta a fonti di luce, agli sbalzi rapidi di temperatura, alle variazioni di umidità, ai rischi di danni meccanici.
Questo è risultato un aspetto fondamentale per il patrimonio fotografico storico poiché le immagini fotografiche presentano una fragilità intrinseca che per lungo tempo si è rivelato essere il limite più evidente per una sua larga fruizione. La marcata composizione chimica della fotografia analogica - l'immagine fotografica nasce grazie ad una serie di complesse reazioni chimiche - ne fa uno dei beni culturali più delicati, con esigenze di conservazione particolari e molto restrittive che prevedono, per i casi più estremi, l'archiviazione sotto zero e con un rigido controllo dell'umidità relativa.
Oggi, passata la fase pionieristica e sperimentale dei progetti di digitalizzazione e catalogazione, possiamo iniziare a tirarne le somme, partendo dalla considerazione che siamo davanti a un patrimonio culturale che presenta ancora tanti aspetti problematici, soprattutto legati alla mancanza strutturale di fondi e personale - a fronte di una quantità enorme di esemplari da catalogare e conservare - ma che presenta altrettante potenzialità, prima fra tutte la grande ricchezza che ne permette utilizzi diversi, in grado di toccare e intersecare i più diversi ambiti disciplinari.
La catalogazione fotografica ha permesso sempre più e sempre meglio di delineare i contorni del nostro patrimonio, ma la ricerca e definizione di nuovi strumenti non si è fermata: ha preso avvio da pochi mesi, ad esempio, la sperimentazione della "Scheda Fondo" (a cura dell'ICCD) per la descrizione di un fondo fotografico, che affronta alcuni dei nodi teorici che hanno creato più difficoltà in passato - ad esempio delineando la differenza concettuale fra raccolta, collezione, archivio, fototeca - e permette di dare conto della struttura del fondo attraverso i legami interni e le relazioni fra le diverse parti che lo compongono.
La speranza è quella che le istituzioni culturali continuino sulla strada intrapresa, garantendo alle raccolte fotografiche una corretta conservazione e trasmissione alle generazioni future, rendendole al contempo fruibili al più vasto pubblico.


Speciale Fotografia e Musei - pag. 11 [2014 - N.51]

L'IBC mette online itinerari ed eventi nei musei e nei luoghi d'arte emiliano-romagnoli sul tema di Expo

Laura Carlini Fanfogna, Giulia Pretto - Istituto Beni Culturali

SEMI è il progetto che l'Istituto Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna dedica ai temi di Expo Milano 2015 - Nutrire il pianeta. Energia per la vita. L'IBC mette in rete oltre cento musei e luoghi d'arte per dare vita a un racconto collettivo, fatto di itinerari ed eventi speciali sul territorio regionale disponibili all'indirizzo www.ibcmultimedia.it.
Una rete dei musei si è attivata per invitare turisti e cittadini in un viaggio lungo la Via Emilia all'insegna del gusto e della conoscenza, così da promuovere le eccellenze dell'Emilia-Romagna. Il tema di Expo 2015 si trasforma dunque in un'occasione per scoprire storie, tradizioni e talenti di un saper fare millenario del territorio, legato all'alimentazione e alla biodiversità.
Il primo ingrediente di SEMI è un itinerario multimediale, navigabile in italiano e inglese, che riunisce più di settanta musei e luoghi d'arte. L'itinerario propone sette diversi percorsi di esplorazione, insieme digitali e reali: Via Emilia tra cibo e archeologia; Paesaggi e vedute dell'Emilia-Romagna; Arte e biodiversità; Mondo rurale, mondo globale; Alimentazione, malnutrizione, carestia e digiuno; Lo spettacolo della tavola; L'Expo dei giovani.
Lungo la Via Emilia si attraversano i secoli dalla preistoria all'arte contemporanea, dalle tavole dei contadini ai banchetti dei principi, dai grandi musei alle piccole raccolte, tutte da scoprire. Si va dal Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza ai luoghi di Morandi, dal Museo della Figurina di Modena alla Domus del Chirurgo di Rimini, da Palazzo Farnese di Piacenza al Museo del Sale di Cervia.
Musei, luoghi e collezioni sono raccontati per mezzo di brevi testi descrittivi, gallerie fotografiche, file audio e video. I link alle banche dati dell'IBC e ai musei stessi garantiscono approfondimenti scientifici e teorici. Il sistema di navigazione e di classificazione dei contenuti è studiato nei dettagli, sulla base delle migliori tecniche di design dell'interazione, per garantire una fruizione il più fluida e piacevole possibile: suggerimenti e collegamenti inediti stimolano la curiosità dei visitatori e propongono nuove chiavi di lettura e di scoperta del nostro patrimonio regionale.
Il secondo ingrediente di SEMI è un ricco programma di eventi e iniziative (circa 200) ospitate dai musei durante i mesi di Expo - da maggio a ottobre 2015 - che proporrà mostre, visite guidate tematiche, spettacoli, degustazioni e incontri legati ai temi del progetto. Il calendario, oltre a essere disponibile su www.ibcmultimedia.it, si inserirà nella più ampia programmazione regionale e nazionale dedicata a Expo.
Possiamo trovare le grandi mostre, come "Il Bel Paese. L'Italia dal Risorgimento alla Grande Guerra, dai Macchiaioli ai Futuristi" al Museo d'Arte della Città di Ravenna; il Festival del Mondo Antico di Rimini; la festa di San Giovanni a Spilamberto e ad Argenta; le rievocazioni storiche del banchetto villanoviano, e le visite animate "Le stagioni del cielo" al Planetario di Ravenna, nonché decine di eventi e approfondimenti organizzati dai musei.
Terzo e ultimo ingrediente di SEMI è un blog che accompagnerà il progetto per tutto il periodo di apertura dell'esposizione milanese, da leggere, post dopo post - a partire dal racconto della mostra "Le Donne del Digiuno contro la mafia" al Museo Archeologico di Forlimpopoli - per conoscere contenuti speciali, approfondimenti sugli alimenti, curiosità, ricette e interviste ai protagonisti del progetto e per trovare nuovi collegamenti con i contenuti dell'itinerario multimediale.
Dal 10 giugno gli itinerari, gli eventi e le notizie di SEMI sono online ma il viaggio si arricchirà costantemente lungo l'estate e fino a ottobre, grazie a nuovi percorsi e nuovi contenuti dai musei della regione.
SEMI è il secondo progetto ospitato da IBC Multimedia, la media library dell'Istituto Beni Culturali, dopo il progetto Un Sistema Armonico (di cui si dà conto sulle pagine di questa rivista) dedicato ai musei e alle collezioni musicali dell'Emilia-Romagna, realizzato da IBC in collaborazione con BAM! Strategie Culturali.

Speciale Musei per Expo 2015 - pag. 11 [2015 - N.53]

Una fotografia della imprescindibile figura professionale museale ne mette in luce i principali requisiti

Daniele Jallà - Presidente ICOM Italia

"Il direttore è il custode e l'interprete dell'identità e della missione del museo nel rispetto degli indirizzi dell'amministrazione responsabile. È responsabile della gestione del museo nel suo complesso, nonché dell'attuazione e dello sviluppo del suo progetto culturale e scientifico. È il responsabile ultimo dell'insieme dei processi gestionali. È garante dell'attività del museo nei confronti dell'amministrazione, della comunità scientifica e dei cittadini." (Carta nazionale delle professioni museali, 2006).
La descrizione del ruolo e delle funzioni del direttore di museo presente nella "Carta nazionale delle professioni museali", che continua indicandone nel dettaglio le responsabilità e i requisiti di accesso alla posizione, è analoga a quella presente a livello internazionale nei manuali di gestione museale, negli statuti dei musei, ed è anche quella recentemente ripresa dal DM 23 dicembre 2014 che regola l'organizzazione dei musei statali. Al di là delle diverse formulazioni, i requisiti fondamentali richiesti per accedere al ruolo di direttore sono in generale due: una competenza specifica in una delle discipline inerenti le collezioni del museo (meglio se integrata con una conoscenza certificata in museologia e in management) e un'esperienza pluriennale maturata in un museo o in un'istituzione pubblica o privata analoga, mentre la responsabilità che gli viene assegnata è generale. Al vertice della struttura di gestione del museo, il direttore è al tempo stesso subordinato agli indirizzi stabiliti dal suo organo di governo che ha anche compiti di vigilanza e controllo.
La competenza scientifica
Al direttore è richiesta una formazione e una competenza nella o nelle discipline 'inerenti le collezioni'. Un requisito che comporta il possesso di un titolo di studio coerente con la natura del museo e una competenza disciplinare necessariamente multipla se all'interno del museo si ritrovano tipologie di beni eterogenee. Se la formazione accademica e l'attività di ricerca portano inevitabilmente a una competenza specialistica, le qualità richieste a un direttore di museo sono più ampie, richiedendo cioè la capacità di orientarsi in un ambito più generale o differenziato di quello che ne hanno caratterizzato il curriculum scientifico.
L'esperienza professionale
Come in tanti altri mestieri, per accedere a un ruolo apicale di un'organizzazione è preferibile aver lavorato al suo interno o in organizzazioni analoghe. Essere stato conservatore, ma anche mediatore, consente di acquisire le competenze professionali e i saperi pratici necessari ad assumere una responsabilità generale che prevede conoscenze in campi e settori molto eterogenei.
La responsabilità generale
Nei musei, per tradizione, non è presente il dualismo tipico di altri servizi - anche culturali, come i teatri - al cui vertice coesistono la figura del direttore artistico e quello del direttore amministrativo. Il direttore è responsabile nei confronti del suo organo di governo, della programmazione scientifica e culturale, delle attività educative e didattiche, del bilancio e del personale, degli affari legali e della sicurezza. In una parola: di tutto. Oltre alla sua competenza scientifica gli è richiesto di possedere un minimo di competenze per dialogare con chi è alle sue dipendenze e anche con chi opera all'esterno in tutti i campi del funzionamento e dell'organizzazione del museo.
Direttori non si nasce, si diventa?
Se la formazione ricevuta - come succede in Italia - non basta, la formazione sul campo aiuta, così come l'aggiornamento e lo studio. Ma sono essenziali anche il consiglio di 'mentori' su cui il direttore dovrebbe poter contare negli ambiti in cui non è o non è abbastanza preparato e la collaborazione di sottoposti esperti che lo assistano nei campi a cui sono addetti. Non basta: dirigere è un'arte e un mestiere cui si dovrebbe essere predisposti. Basta guardare alle caratteristiche personali che molti bandi internazionali considerano necessarie per capire che altri doti sono essenziali per esercitare un mestiere che impone di essere in grado di rapportarsi all'organo di governo con rispetto e autonomia, di mobilitare il personale e di coinvolgere i numerosi portatori di interesse del museo, di riuscire ad attrarre finanziamenti e di conquistarsi una reputazione nel mondo museale e accademico, di gestire le risorse - economiche e umane - con successo, di avere attenzione per la visione ma anche la gestione minuta e quotidiana del museo.

Speciale Direttori Museali - pag. 11 [2015 - N.54]

Questo il payoff di Invasioni Digitali, il cui prossimo appuntamento è in programma dal 22 aprile all'8 maggio

Chiara Alboni

Nato nel marzo 2013 per promuovere il patrimonio culturale italiano, Invasioni Digitali mira a raggiungere la sua mission principalmente attraverso il web e i social che lo animano.
Le migliaia di 'invasioni' che vengono organizzate annualmente da musei, istituzioni, associazioni e gruppi informali, portano centinaia di persone nei luoghi di cultura, invitandole a fotografare, raccontare e condividere online ciò che vedono e vivono. Un modo per diffondere e far conoscere il patrimonio culturale del nostro Paese attraverso la cultura digitale e l'utilizzo degli open data, sensibilizzando al contempo le istituzioni - sempre un po' restie ad approcci all'arte, all'archeologia, alla scienza che non siano conservatori - all'utilizzo del web e dei social media per la realizzazione di progetti nuovi, rivolti alla co-creazione di un valore culturale fortemente partecipativo e ispirazionale.
Il progetto ha perciò un duplice obiettivo: quello di lanciare un'iniziativa di promozione dal basso, dove ciascuno degli invasori diventa un testimonial e un ambasciatore del proprio territorio, e quello suggerire alle istituzioni culturali nuove forme di fruizione e divulgazione del patrimonio, capaci cioè di trasformarle in piattaforme aperte di divulgazione, scambio e produzione di valore per consentire una comunicazione attiva con il proprio pubblico e una fruizione del patrimonio priva di confini geografici e proiettata verso la condivisione e il modello dell'open access.
Il calendario 2016 di Invasioni Digitali, in programma dal 22 aprile all'8 maggio, è stato inaugurato all'inizio di aprile da un appuntamento fuori dai confini nazionali, uno spy tour nella capitale tedesca ispirato dal thriller storico-biografico Il Ponte delle Spie di Spielberg, per rivivere attraverso un gruppo di spy bogger armati di smartphone, tablet e macchine fotografiche alcune delle ricchezze artistiche e le atmosfere della Berlino Est degli anni '60. Questo progetto mantiene i valori della community che si pone appunto l'obiettivo di valorizzare il patrimonio artistico e culturale attraverso nuove forme di comunicazione basate sulla condivisione di immagini, status, video dai propri social network, un approccio nuovo che permette di raggiungere sempre nuovi utenti, abbattere ogni tipo di barriera e favorire ulteriormente la creazione, diffusione e valorizzazione del patrimonio storico e artistico.
Partecipare alle Invasioni Digitali 2016 è molto semplice: un calendario sul sito www.invasionidigitali.it riporta tutte le iniziative programmate (che sono in continuo aggiornamento, per cui è consigliabile visitarlo spesso), si sceglie quella che piace di più, ci si presenta il giorno fissato con smartphone e tablet alla mano e, ovviamente, con tanta voglia di scattare foto, twittare e scrivere post, utilizzando sempre il tag #invasionidigitali.
Per i più arditi (o se si è un museo o altra istituzione) è possibile anche farsi promotori direttamente di una nuova invasione: anche in questo caso lo staff dà tutto il suo supporto, ma comunque la procedura è intuitiva. Una volta individuato un luogo d'arte, un sito archeologico, un centro storico, una biblioteca o un qualsiasi altro posto che possa avere una storia interessante da raccontare, basta seguire le indicazioni (iscrizione sul sito, scelta della data, pianificazione dell'invasione) e, una volta completata la procedura, promuovere l'invasione attraverso blog, social media, comunicati stampa e passaparola.
Il Sistema Museale della Provincia di Ravenna ha aderito con entusiasmo sin dal 2013 alla promozione di questo progetto, facendosi organizzatore e coordinatore di diverse Invasioni Digitali, come ad esempio quelle al Museo Carlo Zauli e alla Casa Museo Raffaello Bendandi, entrambi di Faenza, e al Museo della Resistenza Cà Malanca di Brisighella (gli storify delle giornate si possono leggere e guardare su https://storify.com/ReteBibRomagna).


Speciale Musei nell'era della mobilità digitale - pag. 11 [2016 - N.55]

Nato in Francia nel 2011, Museomix è un evento internazionale e partecipativo per progettare nuove attività di museologia digitale

Fabrice Denise - Conservatore al patrimonio del Muséè départemental Arles Antique

Come sapete dall'11 al 13 novembre 2016, quattro musei italiani hanno deciso di lanciarsi nell'avventura di Museomix e di allinearsi, in questo modo, con la comunità internazionale che lavora alla trasformazione dei musei nella direzione dell'innovazione, della mediazione culturale e alla collaborazione tra discipline differenti.
Questo progetto è stato lanciato per la prima volta al Museo delle Arti decorative di Parigi; oggi può essere considerato come il primo hackathon culturale internazionale, che riunisce le comunità attualmente attive in paesi quali Inghilterra, Brasile, Canada, Svizzera, Belgio e da quest'anno anche Italia.
L'evento vede coinvolti ogni anno i professionisti dei musei (conservatori/curatori e promotori), dell'innovazione e della digitalizzazione, così come volontari e appassionati di cultura (visitatori dei musei, studenti universitari, associazioni...). Queste équipe di museomixer, attraverso un approccio alla co-creazione, durante una maratona che dura tre giorni e due notti, inventano un nuovo modo di pensare e vivere il museo, incentrato principalmente sulla digitalizzazione. Grazie a questo evento le varie comunità si interconnettono, i talenti e le competenze si mixano, e saperi e saper-fare si interscambiano. I prototipi sono creati a partire dagli spazi e dai contenuti (mostre, collezioni, architettura, contenuti digitali, spazi pubblici etc.) messi a disposizione dal singolo museo, che si ritrova quindi "consapevolmente invaso da questa comunità ipermotivata".
Ogni anno, i partecipanti sono selezionati con due call lanciate in giugno e settembre. Ciascuna équipe mette insieme persone con profili complementari: esperti dei contenuti, di forme della mediazione, di grafica, di nuove tecnologie, di produzione di contenuti e di comunicazione. In ciascun museo si formano da quattro a dieci équipe di sei persone.
Al fine di suscitare riflessioni da parte di tutti, ma soprattutto di nutrire la loro immaginazione e creatività, i museomixer propongono diversi "terreni di gioco" (o tematiche) tenendo in considerazione gli spazi del museo, ma anche le collezioni e le relative problematiche (progetti di modernizzazione museografica, valorizzazione della ricerca scientifica, piacere della sperimentazione...). In questo modo, i partecipanti possono, per esempio, lavorare sulla valorizzazione di un'opera o di un contenuto associato alle collezioni dei musei, sulla concezione di una installazione ludica, sulle interrelazioni che possono nascere tra i visitatori durante la visita. Ma anche pensare alla creazione di dispositivi sperimentali, o ancora lavorare sul coinvolgimento di un pubblico specifico durante l'esperienza della visita al museo.
Il sostegno logistico e creativo ai partecipanti è dato da aziende tecnologiche e informatiche, dai laboratori universitari, dai centri di esperti della mediazione e ovviamente dal museo stesso che mette a disposizione tutte le sue risorse. Mediatori, museologi e tecnici sostengono così le équipe grazie alle loro competenze.
A queste risorse umane si aggiunge una panoplia di strumenti tecnologici e non-tecnologici: la "cassetta degli attrezzi" si compone di un FabLab, di stampanti 3D, di dispositivi tecnologici e di una libreria di codici informatici. Il Museomix si conclude quando - al termine dei 3 giorni - i progetti vengono mostrati al pubblico e al personale del museo sotto forma di prototipi inediti. È inoltre possibile che si decida di traformare questi progetti sperimentali in prodotti di più duraturo.
Per concludere. Lanciandosi nell'avventura di Museomix, i musei italiani perseguono diversi obiettivi: intensificare le loro reti professionali, mostrare qual è il posto che occupano nell'orizzonte della creatività e dell'innovazione, percorrere, attraverso i nuovi strumenti della mediazione, la via per avvicinarsi ad un pubblico più vasto ect.
Grazie all'innovatività e ad una metodologia rigorosa ma agile, Museomix si pone come una vera opportunità di trasformazione e di messa in rete dei musei - anche di quelli più piccoli - anche al di là dell'evento specifico. Museommix non è dunque un esperimento fine a sé stesso concentrato in tre giorni ma, al contrario, l'inizio di un cammino il cui perseguimento porta beneficio al museo e alle forze vive del suo territorio.
Desideriamo dare il benvenuto ai musei italiani e li ringraziamo fin da ora per il loro formidabile dinamismo, con l'invito a portare alto e forte il messaggio della nostra comunità.


Speciale MuseoMix Italia - pag. 11 [2016 - N.56]

Uno strumento operativo di analisi, pianificazione, azione e monitoraggio di rischi ed emergenze

Tiziana Maffei - Presidente di ICOM Italia, già Coordinatore della Commissione Sicurezza ed Emergenza di ICOM Italia

È ormai consapevolezza comune che i patrimoni culturali implichino per le comunità che li possiedono oneri di responsabilità non delegabili. L'esigenza di proteggerli, al fine di assicurarne la trasmissione alle future generazioni dei valori a essi attribuiti, deve oggi necessariamente confrontarsi con il diritto al pubblico godimento. Gli inderogabili aspetti conservativi si trovano, quindi, a elaborare complesse soluzioni per assicurare la massima e diversificata fruizione.
Nei musei le problematiche si moltiplicano, in particolare in un Paese come l'Italia dove la storia ha trasmesso un enorme patrimonio edilizio di pregio destinato a sede di molti musei. Luoghi da sempre deputati a custodire ed esporre collezioni pubbliche o d'interesse pubblico, che nell'evoluzione del proprio ruolo nella società hanno sviluppato funzioni diverse e sempre più articolate poiché sedi di attività di ricerca e studio, di educazione, di mediazione culturale, di diffusione di conoscenze, di aggregazione sociale e d'intrattenimento ricreativo.
Queste problematiche insite nella mission stessa dei musei1 devono inoltre relazionarsi con il sempre più pressante problema del contesto ambientale e dei rischi derivanti. Eventi calamitosi naturali, ormai prevedibili non dal punto di vista dell'esattezza temporale, ma della probabilità rispetto alla localizzazione territoriale dei manufatti, rendendo così ancora più complesse le valutazioni per questi luoghi che devono garantire la sicurezza delle persone che ospitano e dei beni culturali che custodiscono.
Il tema va quindi affrontato in un approccio non deterministico-prescrittivo ma entrando puntualmente nello specifico. Fermo restando i requisiti di sicurezza da soddisfare, va definita di volta in volta la rappresentazione formale dei probabili rischi e delle possibili conseguenze per individuare le contromisure e, laddove ciò non sia possibile, diminuire i livelli di danno. Per il museo tutto ciò è attuabile dotandosi di uno strumento ad hoc: il Piano di Sicurezza ed Emergenza Museale (PSEM).
Il PSEM è lo strumento proprio di ogni museo con il quale costruire la strategia complessiva di sicurezza nell'ordinarietà come nell'emergenza2. Non è un adempimento amministrativo, ma uno strumento operativo di analisi, pianificazione, azione e monitoraggio specifico che ogni singola istituzione museale elabora. La redazione del PSEM impone il coinvolgimento di tutto il personale sia per la necessità di avere informazioni puntuali sui diversi aspetti affrontati dal piano, a partire dalla fondamentale analisi dei rischi, sia per far crescere la necessaria consapevolezza di tutti gli operatori. Nella sicurezza esistono i ruoli ma non la delega della responsabilità in una logica gerarchica. Le responsabilità sono condivise, ognuno, nello svolgimento delle proprie funzioni, è coinvolto della sicurezza complessiva della struttura. Il PSEM si articola in un insieme di questioni3 che vanno affrontate in una logica d'integrazione e cooperazioni. L'analisi dei rischi è alla base del piano di sicurezza. È un processo che, stabilendo i rischi esistenti e possibili (pericoli), la frequenza (fattore d'esposizione) e le conseguenze (vulnerabilità), fornisce una rappresentazione della probabilità di danno al sistema museo (persone - collezioni - edifici). Alla base vi è un approccio che non esclude mai il rischio, poiché connesso a ogni attività umana, ma tende a renderlo minimo nella sua residualità e compatibile con la vulnerabilità del sistema. L'analisi dei rischi andrà effettuata sulla base di una conoscenza accurata della struttura, del suo contesto, e del sistema organizzativo del museo. Al termine dell'analisi e in base all'elaborazione delle conclusioni è possibile stabilire se i rischi possono essere eliminati, mitigati, accettati (in quale misura) o trasferiti (attraverso ad esempio il risarcimento assicurativo, consci che, nel caso d'opere d'arte, nessun indennizzo economico potrà mai restituire il valore del bene alla comunità).
I rischi4 vanno valutati tutti, partendo da quelli possibili, ai quali dare precedenza, fino a giungere a quelli da escludere5 in base ai risultati dell'analisi. I rischi naturali e antropici vanno analizzati in considerazione delle caratteristiche del territorio e delle sue classificazioni generali, del contesto ambientale, dell'edificio, della tipologia dei beni, dell'organizzazione del museo. Ogni rischio va valutato anche in funzione dei possibili effetti secondari e terziari. Il PSEM va impostato in considerazione della posizione geografica e del rapporto con il contesto e via via sviluppato secondo un ordine di priorità. Il piano non va considerato un'esercitazione teorica ma uno strumento di chiara lettura e utilizzo, benché prodotto da un processo complesso di analisi, confronto e verifica.
Analizzati i rischi, conosciuta la struttura si verificano gli scenari di emergenza in rapporto ai livelli di gravità e ai luoghi del museo. Lo scenario valuta preventivamente l'effetto di una specifica tipologia di emergenza su cose e persone. Tutti gli eventi e accadimenti che turbano l'ordinaria attività dell'istituzione possono essere considerate emergenze da affrontare attraverso risposte immediate prima che l'imprevisto si trasformi in sinistro e di seguito in tragedia. L'esperienza insegna che il problema emergenziale esiste in rapporto alla vulnerabilità del contenitore e del contenuto. Ciò rende inderogabile la necessità di operare nelle nostre strutture museali nella logica della conservazione programmata, considerando la necessità di prevenire, eliminando cioè tutti i fattori di rischio o di degrado del bene, e mantenere, garantendo la durabilità del materiale che compone il patrimonio sia esso mobile o immobile.
Le emergenze vanno affrontate sulla base dei diversi livelli di gravità6, e attivando il sistema di relazioni costruito durante la redazione del PSME: sia all'interno, con relazioni disciplinate da procedure, sia all'esterno con il coinvolgimento degli interlocutori direttamente interessati durante la redazione del piano. Unità di Crisi Regionale del Mibact per la messa in sicurezza delle collezioni e l'individuazione dei depositi temporanei, Nucleo di Tutela del Patrimonio Culturale dei Carabinieri per la sicurezza anticrimine, Vigili del Fuoco per i rischi ambientali e incendi, possono contribuire nell'individuare misure di prevenzione e mitigazione, oltre che essere facilitati nello svolgere la propria attività nel caso di emergenze in luoghi già conosciuti strutturalmente e organizzativamente.
Il Manuale di Emergenza è lo strumento7 che sintetizza un modo chiarissimo e immediato attraverso elaborati planimetrici e check list le procedure per affrontare l'emergenza. di facile ed immediata consultazione è tratto dal Piano di Sicurezza ed Emergenza. Il Manuale va presentato, spiegato e divulgato a tutti gli operatori siano essi in organico o anche volontari che verranno coinvolti in emergenze gravi.
L'essenza del progetto sicurezza non è l'applicazione di prescrizioni normative, ma la possibilità di poter contare su un'organizzazione responsabile. Ciò implica una formazione capace di diffondere la metodologia globale che sottende il progetto di sicurezza, e un aggiornamento continuo che sia specifico per le funzioni che il singolo operatore svolge. Tutti gli operatori devono conoscere il Manuale di Emergenza ed essere inoltre addestrati periodicamente al fine di verificare l'efficacia ed efficienza delle procedure e la capacità di ognuno di attuarle. Un'esercitazione annuale va prevista e realizzata.
Il piano va monitorato costantemente verificando che siano previste tutte le procedure per garantire la protezione delle opere e che le stesse siano a conoscenza di tutti gli operatori, anche per quanto compete a a chi, come nel caso ei volontari, temporaneamente è nel museo. Il fattore umano inteso come competenza, capacità, motivazione, adeguatezza è fondamentale. Il piano a seguito dell'avvenuta emergenza deve essere rivisto e aggiornato considerando che ciò può essere il sintomo del malfunzionamento del sistema di sicurezza, e che si rendono necessarie modifiche o integrazioni.
Il PSEM, come molti strumenti di gestione, va considerato un processo che richiede impegno, pazienza, lavoro di squadra, e una pianificazione annuale anche dal punto di vista economico. Per raggiungere gli obiettivi di protezione il museo deve essere sostenuto attivamente dal consiglio di amministrazione, dal direttore e da tutti i livelli del personale. Nella sua strutturazione deve concentrarsi principalmente sulle situazioni che hanno più probabilità di verificarsi; (le situazioni più complesse possono essere integrate nel tempo), assicurare flessibilità per affrontare situazioni impreviste, essere realistico nella valutazione delle risorse, chiaro nel delineare i ruoli e responsabilità del personale.

1 Il Codice Etico di ICOM - versione italiana del 2009 - recita come primo principio "I musei sono responsabili del patrimonio naturale e culturale, materiale e immateriale, che custodiscono. Le amministrazioni responsabili, e quanti hanno funzioni di indirizzo e vigilanza dei musei, hanno come prima responsabilità di garantire la conservazione e la valorizzazione di tale patrimonio, nonché le risorse umane, fisiche e finanziarie destinate a tale fine".

2 L'emergenza negli istituti di cultura è stata oggetto di proposte specifiche da parte del MiBACT. Con la circolare 132 del 2004 si chiedeva ai responsabili delle attività svolte in aree o edifici tutelati contenenti beni culturali "di predisporre un piano che tenesse conto in modo unitario di tutti gli aspetti relativi alla sicurezza del patrimonio (sicurezza ambientale, strutturale, antropica, in caso d'incendio, nell'uso) e delle loro reciproche interferenze. Il piano doveva essere redatto conformemente al contenuto del documento predisposto dalla Commissione Speciale Permanente per la Sicurezza del Patrimonio Culturale Nazionale e allagato alla circolare.

3 T. Maffei "Il piano di sicurezza ed emergenza museale" in Manoli F., Manuale  di gestione e cura delle collezioni museali, Le Monnier Università  Firenze 2015.

4 Rischi di carattere naturale - Rischi tecnologici e/o connessi alla struttura - Incidenti Incendi - Furti - Atti vandalici - Comportamenti criminali - Rischi derivanti da condizioni sociali e politiche.

5 La frequenza di eventi legati a probabili cambiamenti climatici del nostro paese ci porta oggi a prendere in considerazione anche rischi un tempo ritenuti poco probabili come trombe d'aria, bufere e uragani. In Italia il problema delle cosiddette "bombe d'acqua" ha creato negli ultimi anni non pochi problemi ai musei.

6 Le emergenze minori possono essere affrontate, informando il Direttore e il Responsabile della Sicurezza, direttamente dal personale addetto secondo procedure individuate. Situazioni che più delle volte si risolvono con interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria.

7 Il Manuale non riporta mai notizie riservate la cui divulgazione può mettere a rischio la sottrazione del bene.


Speciale Patrimonio culturale ed emergenze - pag. 11 [2016 - N.57]

Per una convergenza linguistica delle istituzioni della memoria

Maurizio Vivarelli - Università di Torino, Dipartimento di Studi storici

Le parole sono importanti
Nel corso del tempo le relazioni tra archivi, biblioteche, musei, radicate nel cosmopolitismo erudito europeo (historia litteraria) del Sei e Settecento, sono state interpretate a partire da punti di vista differenti ed eterogenei, che hanno messo in rilievo, di volta in volta, gli elementi di continuità e quelli invece che ne marcano più decisamente le distanze e le differenze. Il modificarsi dei modelli di organizzazione della conoscenza, la diffusione delle tecnologie dell'informazione, nelle loro varie forme, stanno da molti anni suscitando un articolato dibattito, volto a discutere le molte implicazioni di queste problematiche. La riflessione critica sulla fisionomia delle culture digitali, sotto molti aspetti, potrebbe costituire l'occasione per un ripensamento utile e produttivo delle relazioni tra le diverse prospettive teoriche, metodologiche, procedurali delle diverse tradizioni disciplinari.
Si tratta comunque, ciò premesso, di provare almeno a interpretare queste problematiche alla luce di una prospettiva d'indagine proiettata, per così dire, lungo l'asse della lunga durata, che non accolga, in modo sostanzialmente fideistico, le sollecitazioni e le opportunità, vere o presunte, che possono scaturire da una visione dei fatti di natura sostanzialmente tecnocratica, e che sia invece in grado di mettere in evidenza, anche, gli elementi comuni agli specifici campi disciplinari. Ciò può essere utile sia sotto il profilo della elaborazione teorica che sotto quello della messa a fuoco di una infrastruttura identitaria condivisa, che si qualifichi come propedeutica rispetto all'indispensabile riposizionamento documentario di archivi, biblioteche e musei, tanto più necessario in una stagione politico-culturale caratterizzata da una sensibile e generalizzata diminuzione delle risorse, umane e finanziarie, disponibili.
Ciò non implica in alcun modo, naturalmente, la messa in discussione preliminare e pregiudiziale dei modelli teorici delle diverse tradizioni; al contrario si potrebbe e forse si dovrebbe ipotizzare l'avvio di una riflessione ampia e articolata che può trovare un suo significativo punto di snodo proprio nelle parole che costituiscono il lessico delle diverse discipline. Richiamando i celebri studi di Michel Foucault, potremmo certamente affermare che archivistica, biblioteconomia, museologia individuano tratti specifici della propria identità nelle attività di ordinamento di cose, di volta in volta qualificate, nei diversi lessici, come 'documenti', 'risorse documentarie', 'oggetti culturali', 'beni' delle diverse tipologie (storico-artistici, architettonici, paesaggistici, demo-etno-antropologici etc.), e poi ancora 'documenti digitali', e infine 'dati', nella loro specifica configurazione digitale. Come nella celebre enciclopedia cinese evocata da Jorge Luis Borges le cose possono essere ordinate nei modi più diversi ed eteronomi; è per questo che gli animali possono essere divisi in "a) appartenenti all'Imperatore" e, obliquamente, "m) che fanno l'amore", o "n) che da lontano sembrano mosche". Foucault intravedeva, in questa bizzarra e inquietante classificazione, l'emersione di qualcosa di peggiore dell'affiorare dell'incongruo; nella successione bizzarra egli vedeva affiorare "i frammenti di un gran numero di ordini possibili nella dimensione, senza legge e geometria, dell'eteroclito", in cui le cose sono "coricate", "posate", "disposte" in luoghi tanto diversi che è impossibile trovare per essi uno spazio che li accolga, definire sotto gli uni e gli altri un luogo comune".1
La pensabilità del luogo comune è costituita in primo luogo dal linguaggio. La congerie di fatti disordinati che si manifesta nell'eteroclito mina all'origine la possibilità di "nominare questo e quello", e risulta dunque devastata la sintassi, che non solo governa l'ordine delle parole nelle frasi, ma soprattutto ha o dovrebbe avere la capacità di "tenere insieme" le parole e le cose.
Lavorare per un lessico comune
Questo numero di Museo informa si propone di pubblicare i primi esiti di una riflessione comune interna al campo dei beni culturali, affidata a Marco Carassi e Daniele Jalla, che si radica su di un termine denso, stratificato, complesso: patrimonio.
Nel Vocabolario Treccani, "patrimonio", nel suo significato più vicino alle caratteristiche della trattazione ospitata in questa sede, è "Il complesso dei beni, mobili o immobili, che una persona (fisica o giuridica possiede" (http://www.treccani.it/vocabolario/patrimonio/). Questo 'complesso' è costituito in primo luogo da 'cose', rispetto a cui si rivolgono i diritti giuridici esercitati. Le 'cose', oggetto del diritto, corrispondono sul piano economico al concetto di 'bene', che poi si differenzia a seconda che la titolarità del possesso sia attribuita alle persone giuridiche pubbliche o a quelle private. Queste 'cose', che sono 'beni', divengono infine 'beni culturali' quando, come recita il Codice dei beni culturali e del paesaggio, "presentano interesse artistico, storico, archeologico o etnoantropologico". E questi 'beni culturali', infine, diventano i termini utilizzati nei lessici tecnici della museologia, dell'archivistica, della biblioteconomia: collezione, complesso documentale, risorse documentarie, nelle loro molteplici varianti.
Il patrimonio è quanto archivi, musei, biblioteche, hanno, sul piano giuridico e culturale, ricevuto in eredità; ed è nelle 'cose' che lo compongono, in cui è impressa la nostra memoria culturale, che si situano i molteplici ordini del discorso che si sono andati definendo nel divenire delle diverse tradizioni disciplinari, che tuttavia, a livello mitico e archetipico, continuano tutte a risiedere nel 'μουσεῖον', il tempio fondativo e originario dedicato alle Muse, figlie di Zeus e di Mnemosyne.
Archivi, biblioteche, musei, sono i 'luoghi' in cui vengono conservati, ordinati, gestiti, comunicati le 'cose' e i 'beni' in cui la conoscenza diviene memoria, che per la sua natura intima e costitutiva deve essere condivisa e resa accessibile a tutti. In questo senso, dunque, le 'cose' e i 'beni' in cui si sostanzia il patrimonio non possono che essere 'beni comuni', cioè appartenenti alla comunità nel suo insieme, almeno sotto il profilo della appropriazione sociale e cognitiva.
Questo ragionamento condiviso sul concetto di patrimonio, declinato nelle diverse tradizioni disciplinari, a me pare dunque orientato, prospetticamente, alla individuazione della fisionomia e dei tratti di quei luoghi comuni la cui problematica esistenza è richiamata nel testo di Foucault. Personalmente sono dell'avviso che da questa interessante ricognizione, che è nello stesso tempo storica, culturale, e linguistica, dovranno necessariamente emergere da un lato gli elementi di consapevolezza della unitarietà sostanziale delle 'cose' del patrimonio inteso nel loro insieme, e nello stesso tempo la presa d'atto degli esiti dei processi di definizione delle tradizioni delle discipline che di queste 'cose' si occupano, all'interno di discorsi che si sono progressivamente differenziati, a partire da quelle radici comuni, ben presenti nelle culture della prima età moderna.
Uno sguardo olistico su questi fenomeni e su questi processi è quanto serve per cercare poi di individuare, nella concretezza delle diverse dinamiche progettuali e organizzative, ciò che può essere utile per tenere insieme i discorsi su quelle 'cose', e per dare origine a servizi che, quando è necessario, si sforzino di ricostruire quei quadri d'assieme e quei contesti - storici e documentari - spesso difficili da cogliere nelle dinamiche frammentate e scheggiate di questa tarda e stanca modernità.

1 M. Foucault, Le parole e le cose. Un'archeologia delle scienze umane, con un saggio di Georges Canguilhem, BUR, Milano 2009 (Les mots et les choses, 1966), p. 5 e ss. La citazione di Borges dell'Emporio celeste di conoscimenti benevoli è tratta da L'idioma analitico di John Wilkins, in Altre inquisizioni, Feltrinelli, Milano 1963 (Otras inquisiciones, 1952)


Speciale lessico condiviso: il concetto di patrimonio - pag. 11 [2017 - N.58]

Dopo venticinque anni di dibattiti e di polemiche non decollano ancora né il Parco Regionale, né l’Eco-museo romagnolo per le vallate del Lamone, del Senio, e del Santerno

Gian Paolo Costa

Spesso chi si autocita, in apertura di un intervento verbale o scritto che sia, commette un peccatuccio di vanagloria che, tutt’al più, suscita sorrisini di ironico compatimento. Spesso, ma non sempre; e sicuramente non è questo il caso. Nello specifico, per lo scrivente l’autocitarsi (e non solo una volta!) per il costituendo Parco Regionale della Vena del Gesso romagnola, è null’altro che un doloroso (inutile?) atto di masochismo mentale: toccar con mano, realizzare appieno che tempus fugit. Nell’anno 1998, tra il 3 ed il 5 giugno, si tiene ad Argenta l’interessante (e ben organizzato) Colloquio Internazionale Musei per l’Ambiente. Esperienze e progetti italiani di museografia legata all’Ambiente (vedasi il Quaderno di Campotto n. 9 – fascicolo speciale – 1998). Chi scrive presenta nell’occasione il contributo Premesse per un Eco-museo della Vena del Gesso romagnola (non si vuole sentir parlare di Parco della V.d.G.?? Vediamo se Eco-museo suona meglio!). Il contributo in questione è articolato in una breve premessa e tre capitoletti: Il Parco Carnè, Il Museo Civico di Scienze Naturali (del quale chi scrive è Responsabile operativo) ed Il Sentiero 505. Il Museo Civico di Scienze Naturali di Faenza è presentato quale porta d’accesso, lungo la via Emilia, alla porzione brisighellese della Vena del Gesso romagnola; il Centro Visitatori del Parco Carnè quale cuore didattico-escursionistico (con possibilità di ristoro e pernottamento, nonché di utilizzo dell’aula didattica ora intitolata a Simonetta Alessandri) della summenzionata porzione della V.d.G.; il Sentiero 505, infine, è proposto come itinerario panoramico (molto) alternativo per raggiungere il Parco Carnè a piedi, partendo da Faenza ed al limite dallo stesso Museo Civico di Scienze Naturali faentino (ubicato a breve distanza dalla stazione ferroviaria della città manfreda). La battaglia, o meglio, la guerra per un Parco, nel caso della Vena del Gesso romagnola (e comunque per la protezione di questo eccezionale monumento della Natura), è oramai ultra venticinquennale: ne sa qualcosa il primo paladino della causa, il dott./prof. Luciano Bentini. Il quale, giunto all’anno 1992, a nome del Gruppo Speleologico Faentino, con un atto estremamente polemico, istituisce il premio ‘Porco’ della Vena del Gesso, ambìto riconoscimento, come recita l’apposita pergamena, che verrà appunto conferito al personaggio politico che maggiormente si sarà distinto nella devastazione dei gessi romagnoli”. Venendo ad oggi, il Parco ancora non esiste, ma è interessante l’evoluzione parallela registratasi negli anni lungo le tre valli d’accesso alla splendida dorsale gessosa della Vena: a) Valle del Lamone: Fin dalla seconda metà degli anni ’80 si sono attivati, come dianzi accennato, stretti rapporti sinergici tra il Centro Visite del Parco Carnè ed il Museo naturalistico faentino, il più importante e ricco dell’intera Romagna (e-mail museofa@supereva.it). Si è inoltre provveduto alla turisticizzazione, molto soft, della Tanaccia di Brisighella, celebre per lo scenografico cavernone frequentato sistematicamente dall’uomo sin dall’età del bronzo antico. b) Valle del Senio: A Castel Bolognese esiste un avviato Museo Civico. A Riolo Terme, all’interno della Rocca riportata all’originaria imponenza dal coraggio degli Amministratori che hanno voluto la riapertura dell’antico fossato (più complesso il discorso sui lavori di restauro, alcuni discutibili, eseguiti all’interno), il 17 marzo dell’anno 2000 è stato inaugurato un bel Centro di Documentazione della Vena del Gesso, allestito anche grazie all’impegno dello Speleo G.A.M. di Mezzano (per informazioni, prenotazione visite guidate ecc: 0546.77445-71044). La Soprintendenza Archeologica dell’Emilia Romagna ha curato l’esposizione dei reperti frutto dello scavo archeologico eseguito nel 1973 all’interno della Grotta dei Banditi, cavità naturale abitata per un arco di tempo che copre probabilmente gli ultimi secoli dell’antica età del bronzo (2300-1650 a.C.). c) Valle del Santerno: I Musei Comunali di Imola custodiscono le storiche, pregevolissime raccolte Scarabelli frutto del lavoro e dell’impegno appassionato di uno dei padri della geologia e della archeologia stratigrafica in Romagna (ma in questo, e per altri motivi di munifica, civica generosità, figura singolare e di eccezionale livello culturale nell’intero panorama italiano del tempo): il conte Giuseppe Scarabelli Gommi Flamini (Imola, 1820-1905). Da segnalare, in particolare, l’enorme quantità di vasetti miniaturizzati votivi (800!) dell’età del ferro recuperati nella Tana del Re Tiberio; il ridotto numero di doni metallici rinvenuti, in proporzione al numero dei vasetti porta-offerte, lascia intendere antichi recuperi di metallo. A Tossignano è aperto, dal 9 maggio 1999, il Centro visite I gessi e il fiume (con annesso il Museo della Cultura materiale), senza dubbio il più tecnologico dei tre Centri citati: accuratamente allestito, è dotato di guida-catalogo su CD-rom! (e-mail centrovisite@santerno.it, web www.santerno.it ). I positivi riscontri ed il numero di presenze registrate hanno indotto il Comune di Tossignano a prevedere la realizzazione di un Ostello della gioventù e l’ampliamento del punto sosta camper sotto i ruderi della rocca, in posizione panoramica, e, ancora, nel 2004 la riqualificazione del Palazzo Baronale che permetterà l’allargamento degli spazi museali ed espositivi. (Sergio Caroli, com. pers.).

Speciale musei all'aperto - pag. 12 [2002 - N.13]

Il progetto di aprire una sala didattica sulle tecniche ceramiche renderà più completa la lettura delle collezioni del MIC di Faenza

Anna Maria Lega - Coordinatrice Sezione Restauro del MIC di Faenza

Il progetto di una sala didattica sulle tecniche ceramiche al Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza si ispira a quella che è una peculiarità del museo stesso e cioè la varietà delle collezioni raccolte. Nessun altro museo di ceramica in Italia può vantare di testimoniare, attraverso le sue raccolte, la storia e la cultura della ceramica nei cinque continenti dall’antichità fino ai giorni nostri. Visitando il museo, seguendo il percorso dalle civiltà precolombiane, all’antichità classica, all’Islam, alle produzioni italiane dal Basso Medio Evo all’Ottocento fino alle testimonianze di arte contemporanea e design, è possibile anche avere l’immagine del livello tecnologico delle differenti culture, stupire dell’abilità dei vasai greci che in monocottura riuscivano ad alternare fasi ossidanti e riducenti, o della perizia dei ceramisti egiziani che utilizzavano la sabbia e non l’argilla per fare ceramica, scoprire quale moltiplicarsi di possibilità cromatiche abbia portato, dal Settecento in poi, il supporto che la chimica da allora in poi ha dato alla produzione ceramica. È importante dunque conoscere gli elementi fondamentali delle tecniche ceramiche per visitare il museo? Certamente queste conoscenze permettono di disporre di uno strumento importante per una lettura più completa. Le possibilità espressive del materiale ceramico sono fortemente condizionate dalla tecnologia, dalla disponibilità, a seconda dei tempi e dei luoghi, di determinate materie prime, dalla scelta di una particolare tecnica di foggiatura o dal sistema di cottura adottato. Non è raro, nello studio di una produzione ceramica, scoprire una correlazione tra le fasi di un’evoluzione stilistica e quelle dell’innovazione tecnologica. La sala didattica sulle tecniche ceramiche che, nel progetto definitivo, sarà la prima ad accogliere il visitatore nel percorso che il museo sta predisponendo, si articolerà su tre argomenti: che cos’è la ceramica, come si fa la ceramica, la conservazione della ceramica. Perché il visitatore possa capire meglio certi aspetti della materia, imparare a distinguere una porcellana da un grès o da una terraglia, riconoscere una decorazione per decalcomania da una a pennello o per serigrafia, uno smalto da un ingobbio, ecc... si predisporrà una serie di campioni rappresentativi delle varie tipologie ceramiche che il visitatore potrà prendere in mano, toccare, confrontare con gli esemplari “storici” in vetrina. Per spiegare alcuni dei tanti metodi di fare ceramica, per alcune tipologie sarà mostrato l’iter tecnologico attraverso l’esposizione della sequenza dalle materie prime, ai semilavorati, al prodotto finito. Una serie di modellini di alcune tipologie di forni per ceramica potrà far capire l’evoluzione dei sistemi cottura e il loro uso presso diverse culture. Filmati e prodotti multimediali saranno uno strumento indispensabile a disposizione del pubblico che potrà, a seconda del livello di curiosità, esplorare l’universo delle tecniche ceramiche. Una ultima parte sarà dedicata invece alla conservazione della ceramica, con lo scopo di illustrare cosa succede alla ceramica nel tempo e come si può restaurarla, sia attraverso esempi di antichi restauri che di interventi realizzati dal Laboratorio del Museo.

Speciale didattica museale - pag. 12 [2002 - N.15]

È in fase di progettazione l’allestimento del Museo Civico che comprenderà Pinacoteca, Sale della Città, Museo Archeologico e Collezione Baccarini

Teresitta Pezzi - Responsabile Servizi Istruzione e Cultura del Comune di Russi

Si sta realizzando anche a Russi il progetto per l’allestimento di un Museo Civico che conservi e valorizzi il patrimonio artistico-culturale della città nella sua sede monumentale più prestigiosa. In pieno centro cittadino, in zona adiacente all’attuale sede del Municipio, si erge, infatti, la rocca dell’antico castrum di Russi completato nel 1371 da Guido Da Polenta. Dopo aver assolto per alcuni secoli le funzioni di presidio fortificato a difesa dell’abitato e dopo aver subito numerosi rimaneggiamenti e restauri soprattutto a seguito del terremoto rovinoso del 1688, il castrum nel 1830, per volontà di Giovanna Maccabelli, divenne sede del primo ospedale della città. E tale è rimasto fino a tempi recenti. Il 14 settembre 1997 l’AUSL di Ravenna, con l’impegno del Direttore Generale, Alessandro Martignani, ha portato a compimento un progetto di ristrutturazione di alcuni ambienti da destinare a sede espositiva permanente di opere d’arte già patrimonio dell’Azienda ma non fruibili dal pubblico. È nato così il primo nucleo del museo civico che si è allargato fino ad ospitare collezioni d’arte diversificate. Attraverso un rapporto di comodato d’uso ed una efficace collaborazione, il Comune di Russi ha avviato altri lavori di ripristino e di utilizzo dei locali del mastio trecentesco a pianta quadrangolare e del torrione dell’angolo nord-ovest. La Rocca è divenuta, in tal modo, oggetto di un ambizioso progetto di recupero che ospita le seguenti collezioni: Pinacoteca della Azienda USL di Ravenna, Sale della Città di Russi, Museo archeologico della Villa Romana e si appresta ad ospitare la Collezione "Alfredo Baccarini". La Pinacoteca raccoglie numerose ed importanti opere d’arte a tema religioso provenienti dagli Ospedali della Provincia di Ravenna oggi di proprietà dell’Azienda USL. Curatrice dell’esposizione e della catalogazione del materiale è stata Gabriella Lippi, ispettrice dell’IBC di Bologna. L’allestimento, disposto su tre sale, presenta opere importanti delle raccolte ospedaliere della provincia, fra le più interessanti si citano: il Ritratto del Cardinale Bertazzoli, una piccola Madonna dipinta su tavola del Cinque-Seicento, una tela ottagonale di fra’ Benedetto Urbinate datata 1623, la bellissima scultura in cartapesta del Cristo morto, una Deposizione dalla Croce datata 1571, due grandi pale: una di E. Van Schayck, Madonna col Bambino in gloria santi e donatori, ed una di Giovan Battista Bertucci il Giovane, La Vergine con Bambino in gloria e santi, un bel frammento di terracotta raffigurante Sant’Antonio Abate, la terracotta invetriata raffigurante la Madonna della Scaletta, arredi sacri, crocefissi, una bellissima Madonna del Soccorso in cartapesta policroma, ceramiche e suppellettili. Un lavoro che propone al visitatore l’incontro con le espressioni dell’arte locale che testimoniano i valori artistici e culturali delle comunità della nostra provincia. All’indomani della inaugurazione della Pinacoteca, la Pro Loco di Russi propose al Comune l’allestimento, a cura di Maria Rita Bentini, ispettrice per i beni culturali del nostro territorio, di alcune sale in cui raccogliere testimonianze artistiche proprie della Città di Russi ed attinenti la realtà storico-culturale, interessando il periodo dal Settecento al Novecento. Sono esposte preziose ed antiche mappe acquerellate e disegni in gran parte provenienti dall’archivio storico comunale che offrono una ricca documentazione del territorio di Russi, con i suoi principali edifici, a partire dal XVII-XVIII secolo; pitture, ceramiche e sculture relative a Luigi Carlo Farini e ad Alfredo Baccarini, emerite personalità politiche russiane nell’Italia risorgimentale e post-unitaria; infine il percorso pittorico di due importanti artisti nati ed operanti a Russi nel Novecento: Silvio Gordini (1849-1937), artista decoratore e scenografo oltreché Direttore dell’Accademia di Belle Arti di Bologna, e Cino Cantimori (1906–1993) che dopo gli esordi in Romagna ha vissuto a lungo nell’Africa equatoriale traendo dall’intensità dei colori della natura la più facilmente riconoscibile delle sue caratteristiche stilistiche. Va sottolineato che l’esposizione è stata resa possibile grazie alla sensibilità ed alla generosità di alcuni privati cittadini che hanno completato, con il deposito temporaneo delle proprie collezioni, il percorso espositivo composto di opere di proprietà comunale, della Pro Loco e della Casa Protetta di Russi. Il 17 settembre 1998 è stata inaugurata una prima esposizione dei reperti provenienti dallo scavo del pozzo della cucina della villa romana di Russi con un allestimento curato direttamente dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna e dalla Coop. La Fenice Archeologia e Restauro. Lo scavo e l’esplorazione del pozzo, effettuati nella primavera dal Gruppo Ravennate Archeologico (G.R.A.), aveva portato alla luce una quantità di materiale molto interessante per la comprensione delle diverse fasi di vita della villa che meritava di non essere conservato solo nei magazzini. Si tratta, infatti, di reperti per lo più databili al I-II sec. d.C., età romano-imperiale, costituiti da pregevoli oggetti d’uso, monete, ceramiche, contenitori per l’acqua e diverse tipologie di fauna. Il rinvenimento, inoltre, di materiali databili ad epoca tardo-antica, attesta una rioccupazione dell’area della villa dopo una fase di abbandono, presumibilmente durante il III sec. d.C. Il mancato rinvenimento di materiale databile in epoca medievale dimostra l’abbandono definitivo della villa. Nella primavera del 1999 la raccolta archeologica si è arricchita di nuovi reperti provenienti dallo scavo di altri due pozzi: il pozzo del quartiere rustico-produttivo ed il pozzo del quartiere termale. L’allestimento oggi è completato da alcune sale che raccolgono materiale proveniente dalle diverse campagne di scavo alla villa: materiali d’uso, terracotte, monete, laterizi, mosaici, intonaci parietali e sono tali da offrire un quadro generale dell’antica residenza romana. Il costante lavoro della Soprintendenza, in particolare nella persona di Maria Grazia Maioli che ha curato e coordinato tutte le fasi di scavo, di allestimento e promozione scientifica, ha fatto sì che la raccolta conservata ed esposta al Museo, grazie anche al ritorno in loco di materiali già in deposito al Museo Nazionale di Ravenna, oggi costituisca un eccellente percorso di studio della storia antica della Città di Russi. Se è vero che la villa romana è uno degli esempi di villa rustica meglio conservata dell’Italia settentrionale, è vero anche che la raccolta archeologica ne costituisce un importante complemento. L’attività di promozione svolta dalla Pro Loco e le attività didattiche svolte sia dalla Coop. La Fenice che dal G.R.A, sempre con la collaborazione del Comune di Russi, stanno riscuotendo notevole interesse e gradimento da parte di un numero sempre crescente di visitatori. La Collezione "Alfredo Baccarini" è l’ultimo tassello che compone il mosaico di questo nuovo Museo in costante sviluppo. I lavori di ripristino e messa a norma dei locali sono in corso ed il loro completamento è previsto entro il 2003. Il progetto scientifico del percorso espositivo è affidato all’archivista Mirella Plazzi che nel 1990 curò la catalogazione del fondo archivistico ed il catalogo della mostra temporanea Alfredo Baccarini a cento anni dalla morte. La realizzazione di questa esposizione porterà a compimento l’omaggio e la riconoscenza della città ai suoi cittadini più illustri: il "dittatore dell’Emilia" e più volte Ministro Luigi Carlo Farini e l’ingegnere, Ministro dei lavori Pubblici del Regno d’Italia, Alfredo Baccarini. Ma non finisce qui, altre sorprese legate alla valorizzazione della struttura architettonica della Rocca aspettano i futuri visitatori.

Speciale musei nascosti - pag. 12 [2003 - N.16]

Particolarmente importante per studiosi e appassionati la piccola raccolta di oltre mille volumi situata presso il Centro Culturale "Le Cappuccine" di Bagnacavallo

Giuseppe Masetti - Direttore del Centro Culturale "Le Cappuccine" di Bagnacavallo

Un fondo librario di particolare interesse per gli appassionati e gli studiosi dell’incisione si trova presso il Centro Culturale “Le Cappuccine” in Via Vittorio Veneto 1/a. In conseguenza della intensa attività promossa dal Gabinetto Stampe Antiche e Moderne nel corso degli ultimi decenni, al giorno d’oggi la Sezione Bibliografica, legata a questa istituzione, fornisce agli utenti più di mille volumi a tema suddivisi in cataloghi e monografie di singoli autori (antichi, moderni e contemporanei), riviste e pubblicazioni curate dalle varie associazioni di artisti incisori presenti sul territorio italiano, oltre naturalmente a manuali e trattati sulla storia delle diverse tecniche e tendenze consacrate dalla tradizione. È il caso di tre volumi stampati negli anni Trenta dal bolognese Cesare Ratta in sole 500 copie numerate sugli Acquafortisti italiani: Raccolta di 500 acqueforti, acquetinte e puntesecche di Artisti contemporanei curati dal Professor Luigi Servolini che nel 1955 avrebbe poi curato il Dizionario illustrato degli incisori italiani moderni e contemporanei per i tipi di G.Görlich di Milano, unica pubblicazione del genere edita in Italia prima del Repertorio degli incisori italiani che il Comune di Bagnacavallo pubblica triennalmente dal 1993. Utilissimi alla ricerca sono i volumi riguardanti schedature curati da storici e tecnici di indiscussa qualità e dagli Istituti Culturali più attivi in questo settore come la Fondazione Ragghianti di Lucca, la Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia che ospita la prestigiosa Raccolta di Stampe "Angelo Davoli" o la Civica Raccolta di Stampe Bertarelli che ha sede nel Castello Sforzesco di Milano senza dimenticare la prestigiose Scuole Internazionali di Arti Grafiche di Firenze e di Venezia. È possibile anche consultare i cataloghi delle principali rassegne e concorsi a carattere internazionale, relativi all’arte incisoria, che si sono svolti in Italia dagli Anni Sessanta ad oggi come le Triennali europee di Grado, di Milano, le Biennali di Venezia, Biella, Cittadella, Mirano, Campobasso, Chieri, Acqui Terme, Casale Monferrato, Modica, ecc. La Sezione conserva anche cataloghi delle gallerie più qualificate alla vendita sia di incisioni antiche che moderne come Salamon di Torino, Prandi di Reggio Emilia, Romualdi di Firenze, Ceribelli di Bergamo, Bellinzona di Milano. Vari sono poi i manuali riguardanti l’esecuzione ed il riconoscimento delle diverse tecniche ed i materiali da usare sia per l’esecuzione del lavoro inciso che per la stampa calcografica, oltre naturalmente ai testi necessari al percorso di catalogazione delle opere grafiche.

Speciale biblioteche dei musei - pag. 12 [2002 - N.14]

Prima che il tempo ne renda difficile il recupero, perché non si interviene per restaurare e museificare il castello dei Conti Grossi a Castiglione di Ravenna?

Gianfranco Casadio - Dirigente del Settore Beni Culturali della Provincia di Ravenna

Costruito da mastro Giovanni di Jacopo da Canobio tra 1560 e il 1565, su commissione di Pietro Grossi, nominato conte dall'imperatore Federico III e conestabile delle milizie di papa Giulio III, il castello pare sorgesse sull'impianto di un precedente edificio fortificato fatto erigere da Battista Grossi nel 1461, per concessione del vescovo di Cervia, sulle terre confiscate dai veneziani ai da Polenta e concesse al capitano di ventura Pietro Grossi - capostipite della famiglia Grossi in terra ravennate - e comprese tra l'attuale frazione di Castiglione di Ravenna e l'abitato di Savio. Con l'estinzione della famiglia Grossi, il castello passò di proprietà in proprietà e fu adibito anche ad usi non abitativi. Nel 1830 venne acquistato dai conti Rasponi e, alla morte del conte Cesare Rasponi Bonanzi, il castello fu acquistato da una cooperativa agricola che lo tenne fino all'inizio del '900 quando fu acquistato da fratelli Sama che vi trasferirono la loro azienda di tabacco. Dopo la seconda guerra mondiale fu acquistato, prima dalla cooperativa coltivatori diretti di Castiglione, poi dal CEM (Consorzio Esercizio Macchine) e, da ultimo, dal Comune di Ravenna che ne è tuttora il proprietario. Nel libro Viaggio fra le rocche e i castelli della provincia di Ravenna, curato da Giordana Trovabene e pubblicato dalla Provincia di Ravenna, il castello viene così descritto: "realizzato interamente in laterizio; ha pianta quadrata con lato di 28,50 metri, orientata con le fronti principali verso sud-est e nord-ovest e munita agli angoli da torri sporgenti pure quadrate. […] I successivi due piani, delimitati da un marcapiano, sono coronati da un apparato a sporgere con beccatelli sormontati da archetti, sui quali poggia la fascia sottotetto caratterizzata dalla presenza di oculi. […] Sopra i due ingressi principali si notano ancora tracce delle scanalature di scorrimento dei bolzoni, evidenti testimoni dell'esistenza in origine di due ponti levatoi e, quindi, di un fossato che doveva circondare l'edificio. All'interno si succedono un piano seminterrato con le cantine coperte da volte ribassate; seguono due piani caratterizzati da un ampio corridoio centrale passante da una fronte principale all'altra lungo la quale si dispongono le sale, ed infine il piano sottotetto". Oggi, dopo diversi interventi di restauro (l'ultimo al tetto risale al 1996), l'edificio si presenta all'esterno in condizioni quasi intatte, ma all'interno, per colpa di spregiudicati quanto futili utilizzi alternati a lunghi periodi di abbandono, la situazione si sta progressivamente deteriorando. Quando, prima che sia troppo tardi, ci si deciderà a riscoprire i colori degli stucchi in bassorilievo, delle pareti e delle volte, restaurando i forse intatti colori originali che dormono sotto strati di tinte spalmate dai vari inquilini in oltre un secolo e mezzo di passaggi di proprietà? Quando, una volta riportato il castello ai suoi antichi splendori di residenza nobiliare di campagna, lo si potrà museificare aprendolo al pubblico e ripristinando anche il parco nella porzione di terreno circostante che, per fortuna, non è stato ancora edificato e quindi permette un certo respiro all'edificio? Quando il Ministero per i beni culturali attraverso la Soprintendenza per i beni ambientali e architettonici, o quella archeologica, oppure la benemerita Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna (che tanto ha fatto in materia di beni culturali per la nostra città) o altre fondazioni non necessariamente bancarie, avvalendosi delle agevolazioni e dei benefici della L. 512 del 1982, interverranno in aiuto del Comune di Ravenna, per far sì che Castiglione divenga meta di quel turismo culturale che nel nostro territorio manca come invece è una risorsa per il Piemonte e il Trentino (per i castelli e l'architettura militare) o il Veneto (per le ville Palladiane)? Aspetteremo invano una risposta?

Speciale edifici storici - pag. 12 [2001 - N.12]

Misteri, scoperte, curiosità dall'arte restaurata
Le trenta opere antiche e moderne di proprietà della pinacoteca, da decenni depositate presso uffici pubblici esterni (prefettura, Questura, Intendenza di Finanza e Municipio di Ravenna) tornano al Museo d'arte della Città. Il titolo dell'iniziativa, in particolare, vuole sottolineare come i lavori di restauro e manutenzione - eseguiti su questo nucleo di quadri, grazie ai contributi della Regione Emilia Romagna - abbiano rappresentato un'occasione di "rivelazione" degli artisti, di conoscenza della storia delle opere e punto di partenza per l'avvio di nuove ricerche documentarie. L'Innominato di Giovanni Bagioli, personaggio letterario che tutti abbiamo conosciuto idealmente sui banchi di scuola, scelto come immagine-guida della mostra, rappresenta quindi una sintesi di tutti quegli aspetti curiosi e misteriosi della complessa attività di restauro, che in questa occasione si vogliono far conoscere al pubblico dei visitatori e dei non addetti ai lavori, valorizzando inoltre un nucleo artistico finora quasi sconosciuto. Accanto ad opere di artisti noti - tra cui Camillo Maioli, Domenico Miserocchi, Edgardo Saporetti, Maceo Casadei, Gianna Nardi Spada, Giuseppe Bartoli, Renzo Morandi, Antonio Rocchi - compaiono pezzi di pittori locali che hanno lasciato Ravenna in anni lontani, facendo perdere le loro tracce e rendendo difficile la ricostruzione anagrafica e artistica della loro attività. E' il caso di Giuseppe Bacchetti, Giuseppe Mazzetti, Cesare Lanconelli e Guido De Marchi. Tra le opere antiche sono da segnalare la copia di ottima fattura dell'autoritratto di Anton Raphael Mengs, quadro precedentemente citato negli inventari della Pinacoteca come Ritratto di pittore e attribuito genericamente a "Ignoto", consegnato alla Prefettura nel lontano 1954. Ma l'opera che desta maggiore curiosità è quella raffigurante la Madonna della Ghiara, qui esposta per la prima volta con la nuova attribuzione a pittore Ravennate dei primi decenni del XVII secolo che dopo un emozionante restauro ha svelato la presenza di un profilo di Santa, in basso a destra, di angeli in volo sul capo della Vergine e la scritta Madonna di Reggio sul lato sinistro dell'ovale. Ma c'è di più: indagini radiografiche hanno evidenziato, sotto l'attuale superficie pittorica, altre sagome che rendono plausibile l'ipotesi che l'opera sia un frammento di una tela più antica, soggetta a trasformazioni e manipolazioni tra il XVI e il XVII secolo. Altri sorprendenti ritrovamenti vengono segnalati nello Sposalizio mistico di Santa Caterina di Luca Longhi: sotto le numerose stuccature rimosse, sono riemersi colori originali e piccoli dettagli che sfuggivano alla vista, essendo stati nascosti da campiture neutre eccessivamente estese. Gli interventi di restauro alle opere esposte in mostra - eseguiti dal laboratorio di Restauro di Ravenna e dal Laboratorio Sandro Salemme di Imola - vengono raccontati da pannelli didascalico-didattici che hanno il compito di illustrare termini tecnici e fasi particolari dei lavori, di svelare ritrovamenti e curiosità I visitatori sono inoltre introdotti e accompagnati, nel percorso espositivo da brevi proiezioni sulla storia della Loggetta lombardesca, delle collezioni permanenti della Pinacoteca e da riprese effettuate nelle botteghe dei restauratori per meglio documentare le operazioni eseguite per la conservazione delle opere stesse. L'esposizione - realizzata in collaborazione con la Soprintendenza territoriale per i Beni Artistici e storici e l'Istituto regionale per i Beni culturali, grazie al sostegno di Rolo Banca 1473 - è articolata in sette raggruppamenti tematici: i Longhi, la Madonna della Ghiara, le copie da, i ritratti, i paesaggi, la natura morta, gli artisti ravennati. Un appuntamento dunque che permetterà ai visitatori di riappropriarsi - anche se solo visivamente - di un nucleo artistico di opere che appartiene alla comunità e alla Pinacoteca di riconfermare il proprio ruolo istituzionale e prioritario nei confronti della tutela, della conservazione e valorizzazione del patrimonio artistico museale. All'inaugurazione della mostra, prevista per il 24 marzo alle ore 18, farà seguito anche l'organizzazione di un convegno intitolato Conservare il restauro, cui parteciperanno musei regionali e nazionali che si confronteranno sulla comune problematica della conservazione preventiva. Video e materiale documentario della mostra, curata da Nadia ceroni, saranno inoltre presenti al salone del Restauro di Ferrara (29 marzo - 1 aprile 2001).

La pagina del conservatore - pag. 12 [2001 - N.10]

Le iniziative di didattica museale messe in atto per accrescere la fruibilità dei musei del Sistema e per valorizzare la funzione educativa del patrimonio culturale

Eloisa Gennaro - Responsabile Laboratorio Provinciale per la Didattica Museale

Da quasi un decennio il Servizio beni e attività culturali della Provincia di Ravenna ha avviato una serie di progetti al fine di realizzare un rapporto innovativo e soprattutto non episodico tra le istituzioni museali presenti sul territorio e il mondo della scuola. Tali progetti si inquadrano nei compiti di valorizzazione dei beni culturali e di coordinamento delle attività di rilevante interesse provinciale previsti dalla legge 142/90 (e ora dal Testo Unico delle Autonomie Locali) nonché dalla allora vigente legislazione regionale in materia (LR 20/90). La nuova legge regionale n. 18/2000 recepisce le innovazioni introdotte dal D.Lgs. 112/1998 e in particolare attribuisce espressamente alla Provincia la promozione della didattica dei beni culturali mediante progetti definiti con gli operatori del settore, la scuola e l'università. Il Servizio beni e attività culturali può così consolidare e potenziare le iniziative didattiche, nella convinzione che gli svariati oggetti apparentemente fermi e silenziosi nelle vetrine dei musei che li ospitano, se opportunamente 'interrogati', possono diventare per gli insegnanti un'occasione per rendere meno astratte e più coinvolgenti materie disciplinari come la storia, l'arte, la scienza, la geografia. Allo stesso tempo, gli scolari possono imparare a conoscere e amare (o perlomeno a rispettare) le realtà culturali della loro terra. Da queste premesse è nato il progetto Scuola e Museo: a partire dal 1994 sono stati organizzati a cadenza annuale corsi di aggiornamento sulla didattica museale, rivolti a tutti gli insegnanti della nostra provincia, al duplice scopo di accrescere la fruibilità dei musei del Sistema e di valorizzarne la funzione educativa. Nell'ambito di ogni singolo corso sono state affrontate le moderne metodologie sorte in questo campo, nel primo triennio in maniera generalizzata e successivamente proponendo percorsi didattici da elaborare all'interno di una specifica tipologia museale. Finora sono stati trattati i musei etnografici, i musei di storia contemporanea e i musei d'arte contemporanea, mentre il corso di aggiornamento presentato per il 2000-2001 si occupa di musei e siti archeologici. Per i prossimi anni sono in programmazione i musei naturalistici, i musei di scienza e tecnica e i musei d'arte medievale e moderna. Le tematiche affrontate di anno in anno rispecchiano una precisa impostazione progettuale: passare in rassegna i diversi tipi di raccolta museale, in modo da promuovere la conoscenza ragionata e non casuale di tutti i musei del Sistema Provinciale. La stessa finalità ha spinto la Provincia a organizzare nel 1995 un convegno dal titolo Scuola e Museo. La didattica museale nella provincia di Ravenna, nell'intento di mettere a confronto le varie esperienze attuate in quegli anni dai singoli musei e realizzare una strategia comune da adottare nel campo della didattica museale. Gli atti del Convegno, visto l'interesse raccolto, sono stati pubblicati come primo numero della collana editoriale Quaderni di didattica museale, curata dal Servizio beni e attività culturali; attualmente è in preparazione il terzo quaderno, che raccoglie spunti dall'ultimo corso di aggiornamento dedicato all'archeologia. L'altro impegno editoriale in materia è documentato dallo spazio riservato sulla rivista "Museo in·forma", che a partire dall'anno 2000 si è arricchita di un inserto fisso in ogni numero sulle esperienze di didattica in Emilia Romagna. Ma l'obiettivo più ambizioso è rappresentato dall'apertura del Laboratorio provinciale per la didattica museale, attivo già da alcuni anni ma aperto al pubblico in tutte le sue funzioni dal 1999. Il Laboratorio si pone come luogo di coordinamento di tutte le future iniziative organizzate in questo campo, a partire dai corsi di aggiornamento, e in particolare ha il compito di fornire indicazioni a insegnanti e operatori museali, che spulciando e consultando il materiale documentario raccolto possono trovare idee e spunti pratici per elaborare attività e percorsi didattici originali, viaggi di istruzione e gite scolastiche innovative. La Provincia di Ravenna intende sviluppare tutte queste iniziative, in modo da svolgere sempre più in profondità il suo ruolo di cerniera tra scuola e musei, affinché i giovani siano consapevoli e partecipi dei valori del patrimonio culturale del loro territorio, per la cui salvaguardia dovranno battersi da adulti.

Esperienze di didattica museale - pag. 12 [2000 - N.9]

La Deposizione di Cristo dalla croce si aggiunge alle altre dieci opere dell'artista ravennate nella collezione della Pinacoteca di Ravenna

Nadia Ceroni

Tra le attività istituzionali della Pinacoteca comunale, quella della valorizzazione del proprio patrimonio artistico si realizza anche attraverso l'incremento delle collezioni permanenti. La possibilità di nuove acquisizioni - sulla base di acquisti, donazioni, lasciti testamentari e depositi - comporta di conseguenza la necessità di inserire gli oggetti nel contesto museale, garantendone la conservazione e l'uso pubblico. L'acquisto di una "nuova" opera di Luca Longhi - che va ad aggiungersi alle dieci dell'artista ravennate già presenti in Pinacoteca - rientra nel programma di ricerca e di sviluppo del museo e costituisce un interessante spunto espositivo per approfondire la conoscenza dei soggetti iconografici prediletti dal pittore. Già nel 1996 - tramite lascito testamentario della signora Maria Teresa Levi di Mantova - la Pinacoteca poté acquisire una Santa Caterina del Longhi che, per le piccole dimensioni e la probabile destinazione privata, può accomunarsi alla piccola tavola che oggi entra a far parte della Collezione Antica, arricchendo ulteriormente il Museo d'Arte della Città. Importante artista del Cinquecento romagnolo, vissuto a Ravenna tra il 1507 e il 1580, la fama di questo pittore si è protratta nel tempo per le numerose opere di carattere religioso e per il suo talento di ritrattista. L'opera, recentemente acquistata, raffigura la scena della Deposizione di Cristo dalla croce secondo modalità abbastanza consuete nella cultura del manierismo tosco-romano, in particolare quello di ambito vasariano. La tavola, opportunamente restaurata e ripulita, proviene dalla collezione Calvi di Bergolo, misura cm 57,5x46 e si ritiene databile intorno al 1560. Venerdì 2 giugno è stata esposta al pubblico in occasione della giornata nazionale dedicata al tema Le città e le culture: i musei, manifestazione che ha segnato la collaborazione di Ravenna con altre città italiane, impegnate nel campo della tutela e della valorizzazione del proprio patrimonio culturale, che si riconoscono nell'Associazione denominata Cidac.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 12 [2000 - N.8]

Il ritorno dell'artista a Ravenna si è concretizzato fondendo gli interessi dell'arte contemporanea con l'arte antica del mosaico

Nadia Ceroni

L'incontro fra Sandro Chia e Ravenna era inevitabile. L'artista appartiene a quella corrente creativa che più energicamente ha reagito alla stanchezza e al vuoto di proposte, creatosi alla metà degli anni Settanta, per l'isterilirsi della fase concettuale in quel momento dominante. Quella corrente artistica, etichettata come transavanguardia, pur ricca di personalità diversissime si è ritrovata nella comune esigenza di recuperare codici, tecniche e materiali di cui si era decretata la morte. L'arte di Chia rappresenta in modo straordinariamente emblematico l'acuto eclettismo di questa nuova fase creativa. La sua frequentazione della molteplicità di codici espressivi non solo all'interno dell'arte ma anche, ad esempio, nella letteratura ne fanno una delle più interessanti figure di artista-intellettuale dell'ultimo ventennio. Il suo percorso creativo realizzato all'insegna della riappropriazione delle tecniche della grande convenzione artistica a partire dalla pittura, non poteva mancare di un fecondo appuntamento con il mosaico, espressione per eccellenza dell'arte antica, ma capace di stimolare passione ed interessi degli artisti contemporanei. Chia ha scoperto il mosaico proprio a Ravenna nei molti incontri avuti con docenti della locale Accademia di Belle Arti e segnatamente con Vittorio D'Augusta, Claudio Spadoni e Daniele Strada. È proprio con quest'ultimo che si è realizzato un sodalizio artistico tuttora operante di cui l'esposizione ravennate darà ampio conto. Sarà possibile misurare l'evoluzione del rapporto fra Chia e l'arte musiva: dalla realizzazione insieme a Cucchi di un "cartone", sulla base del quale Strada realizzò uno splendido mosaico esposto tre anni fa al Meeting di Rimini, ai prodotti musivi più recenti in cui il lavoro del pittore e quello del mosaicista si fondono perfettamente dando vita ad un'opera e ad un'operazione artistica assolutamente originale. La mostra ravennate, pur avendo come baricentro un significativo nucleo di mosaici, è una rassegna completa della produzione artistica di Chia. Ne fanno parte dipinti, opere su carta, sculture.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 12 [2000 - N.8]

Barbara Dirani

Università degli Studi di Bologna Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali Corso di Laurea in Conservazione dei Beni Culturali Tesi di: Barbara Dirani Relatore: Prof. Massimo Ferretti Correlatore: Prof. Vincenzo Gheroldi Anno Accademico 1997-98 La tesi documenta e ricostruisce la storia materiale e culturale del "dossale" del Maestro padovano del Coro Scrovegni (1317); testo fondamentale per lo studio della diffusione del giottismo in terra veneto-padovana. Attraverso una serie di indagini fotografiche (macrofotografie a luce radente, a luce diffusa, con lampada di Wood e con pellicola a infrarossi falsi colori) è stato possibile osservare: i materiali e l'aspetto originale dell'opera, la sequenza tecnico-operativa, gli interventi di restauro e lo stato di conservazione. Il dossale è stato inoltre studiato dal punto di vista della funzione d'uso come arredo sacro nel suo contesto espositivo, in rapporto all'ambito culturale di provenienza e in relazione alla produzione pittorica dello stesso autore.

Tesi e musei - pag. 12 [2000 - N.7]

Roberto Artioli

Università degli Studi di Bologna Facoltà di Economia e Commercio Corso di Laurea in Economia e Commercio Tesi di: Roberto Artioli Relatore: Prof. Luca Zan Anno Accademico 1998-99 Il lavoro si articola in due sezioni distinte, mentre la prima è dedicata allo studio dell'offerta museale locale, la seconda ha come principale argomento la Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Ravenna. Sia nel caso dei musei che della Soprintendenza il criterio, che ha ispirato l'intero lavoro, si basa su un'indagine effettuata direttamente sul campo, ricorrendo con frequenza ad interviste e colloqui con il personale, direttivo e dipendente, degli istituti in esame. Gli aspetti economici, organizzativi e istituzionali sono stati considerati sulla base delle moderne teorie manageriali che, negli ultimi anni, hanno fatto dei Beni Culturali un interessante campo di ricerca. Lo studio è finalizzato all'applicazione di originali formule gestionali, rispondenti ai principi di economicità ed efficienza. Positivi esempi di interazione fra settore pubblico e privato hanno già trovato applicazione in alcuni siti monumentali di Ravenna. La concessione a ditte esterne di particolari servizi di accoglienza, fra cui i bookshop, e il ricorso alla sponsorizzazione privata risultano efficaci strumenti, per migliorare la situazione finanziaria del settore. La tesi ha inoltre evidenziato il raggiungimento di una migliore organizzazione delle attività; infatti, nuove strutture organizzative sono sorte per garantire a Ravenna un adeguato servizio di coordinamento e pubblicità degli appuntamenti culturali ed artistici locali.

Tesi e musei - pag. 12 [2000 - N.7]

Al nome dell'offensiva alleata della seconda guerra mondiale, che portò all'avanzamento del fronte ravennate lungo tutto il corso del fiume Senio, si ispira il Museo di Alfonsine ricco di storia e di testimonianze

Giuseppe Masetti - Direttore del Museo del Senio

Nel nostro Paese è pregiudizio diffuso che i musei della storia più recente siano strumentali riletture del passato in funzione propagandistica e di conseguenza capaci di una modesta attendibilità scientifica. Tutto ciò non ricorre nel Museo di Alfonsine che, partendo da un fatto d'armi, pur rilevante, nell'ultimo anno della Seconda Guerra Mondiale, contiene, a vent'anni dalla nascita, numerose collezioni documentarie ordinate in due percorsi rigorosamente didattici, arricchiti da una sala proiezioni e da una ricca mediateca. Col termine "Battaglia del Senio" gli storici intendono riferirsi all'offensiva alleata che, dopo una sosta delle operazioni militari durata quattro mesi, portò all'avanzamento del fronte ravennate lungo tutto il corso del fiume Senio (modesto affluente del Reno) divenuto famoso nelle cronache di quei giorni, per aver concluso la guerra in Romagna e , nel giro di due settimane, anche tutta la Campagna d'Italia avviata dagli eserciti anglo-americani nel luglio 1943 contro i tedeschi. Una cornice chiaramente territoriale inquadra dunque un evento militare di pochi giorni, compresi tra il 9 e il 12 aprile 1945. In quel periodo però combatterono in Romagna uomini di oltre venti nazionalità attuali provenienti dai cinque continenti; operarono per parte italiana i più attivi Gruppi di Combattimento del Nuovo Esercito Italiano ed i volontari partigiani della 28° Brigata Garibaldi riconosciuti ufficialmente dal comando inglese mentre sul versante tedesco si trovavano reparti delle SS, della Wehrmacht rinfoltita da soldati austriaci, turkmeni e da italiani della R.S.I. Questo mosaico di presenze internazionali mise la popolazione ravennate di fronte ad etnie, culture, religioni, tecnologie e mode assolutamente diverse tra di loro ma soprattutto rispetto alla dimensione provinciale che aveva caratterizzato gli anni immediatamente prebellici. Tenendo presente questo fatto discriminante e vivo nella memoria di tutti, sono stati realizzati all'interno del Museo di Alfonsine due percorsi tematici per rappresentare una guerra di mezzi meccanici - come fu in gran parte quella alleata - ed una guerra di uomini più motivati - come fu quella del movimento di Liberazione Nazionale - che vedeva accanto ai partigiani combattenti diverse altre forme di collaborazione clandestina. La rappresentazione degli eventi è affidata in gran parte al ricco materiale fotografico e cinematografico inglese, integrato con raccolte cartografiche, di giornali e manifesti dell'epoca scelti per significare il tenore di vita di quei tempi più che la citazione dei fatti. I precisi riferimenti topografici e la quantificazione numerica dei militanti sono infatti i più sicuri deterrenti da letture agiografiche e celebrative che segnano solitamente la memorialistica militare. Poiché l'idea di fondo di questo Museo nasce dalla necessità di far capire come una guerra totale attraversò questo territorio, come visse la gente che rimase in questi paesi lungo il Senio, gli oggetti esposti sono dotati di un valore puramente testimoniale e per nulla sacrale. Materiali poveri, comunissimi a quel tempo quanto oggi insignificanti, vanno descritti nel loro valore funzionale per stimolare nei visitatori più giovani un difficile confronto fra la vita del 1945 e quella odierna. L'eccezionalità della situazione bellica non può infatti essere resa a parole da una guida o da un testimone, ma deve uscire da una continua interazione con lo studente-visitatore al fine di stimolare una più generale domanda di storia ed una curiosità spontanea sulla vita dei parenti, sulle testimonianze storiche ancora presenti su un territorio difficilmente leggibile. I servizi che il Museo offre oggi sono perciò incentrati sull'ausilio didattico in generale su più specifici percorsi tematici, sulla consultazione in loco della Fototeca, la guida alla Cineteca, le consulenze storiografiche e bibliografiche fino alla progettazione di itinerari turistici per piccoli gruppi interessati ad esplorare i luoghi più impervi, ma caratteristici, della guerriglia in pianura, come l'Isola degli Spinaroni tra le Valli di Ravenna o come la mostra-museo di Cà Malanca, in cima all'Appennino faentino.

Speciale musei storici - pag. 12 [1999 - N.6]

Sta per concludersi il progetto per la realizzazione del Museo della Diocesi faentina

Mariano Faccani - Delegato Diocesano per i Beni Culturali e l'Arte Sacra

Di solito i musei raccolgono le opere nella prospettiva di porre in luce le espressioni dell'uomo nel suo sforzo di sublimarsi nell'arte, di esprimere l'universalità del proprio io nella fuga dei secoli e dei millenni. Questo discorso è certamente vero anche per la Chiesa, ma per la spiritualità cristiana c'è molto di più: il bello esprime la comunione con la scintilla dello Spirito Santo, ossia col Divino. Il messaggio dell'opera d'arte si allarga non solo alla dimensione orizzontale ma anche a quella verticale, verso l'infinito... Per di più l'immagine esprime una catechesi, un insegnamento specifico di natura teologica; l'oggetto quando legato al culto si inserisce nella cornice della ricezione dei Sacramenti, ossia dei Santi Segni attraverso cui Dio si comunica all'uomo. Queste dimensioni di solito sono del tutto ignorate, proprio perché solo la Chiesa può essere esperta nel presentare il frutto dello spirito religioso, nell'artista come nella committenza delle opere. Ecco il perché di un Museo Diocesano, dove la parola Museo è da leggersi come "via della memoria", come ha ricordato il nostro vescovo Italo Benvenuto Castellani in una recente intervista, ossia del riportare alla mente il complesso messaggio a cui si accennava. Così la Teoria dei santi di scuola giottesca riminese del '300 affrescati in una delle sale destinate al Museo del Palazzo Vescovile, sembra accompagnarti ad entrare in un mondo straordinario, dove lo sguardo si volge alla Madonna in trono fra santi Giovanni B. e Lucia del fiorentino Biagio d'Antonio (ultimo quarto del secolo XV), gemma delle opere portate dal vescovo mons. Giuseppe Battaglia nell'immediato dopoguerra, alle opere più ingenue ma preziose dei manieristi faentini Bertucci, al barocco più maturo del Savolini che comunica un intenso pathos partecipativo ai santi Francesco e Rocco che contemplano Maria e il Bambino sopra un riverbero di nubi. Tanto per citare solo alcuni degli oltre trecento dipinti. Sono numerosi anche gli oggetti legati al culto: messali elegantemente rilegati, pianete, calici, ostensori, reliquiari, oggetti di devozione quotidiana. Già il Vescovo mons. Bertozzi, sulla scorta di imput lanciati dal nostro grande architetto mons. Antonio Savioli, aveva incominciato ad individuare negli anni '80, le sale del Vescovado destinate al Museo. Ora mons. Italo Benvenuto Castellani, cortonese di nascita, e "custode" del Museo diocesano di quella città dove si conservano sublimi opere del Beato Angelico e Luca Signorelli, ha avviato una decisa opera di promozione del progetto Museo Diocesano, avviando i lavori di sistemazione dell'importante Archivio Diocesano (con documenti dall'anno 800 al presente), così da liberare sale vitali per il Museo stesso e creare un circuito virtuoso di cultura che comprende Museo - Archivio Diocesano e Capitolare - Cattedrale. Si prevede che tali lavori saranno completati nell'estate del corrente anno 1999. Già con il progetto dell'arch. C. Tabanelli si era evidenziata l'area del Museo, ora si attende una definizione tecnica più precisa e un aiuto consistente da parte di Enti pubblici e privati nonché da singoli fedeli per dare corpo nelle storiche sale del Palazzo Vescovile alla definizione del Museo, nello spirito già sopra illustrato. Abbiamo determinato così gli spazi in maniera definitiva, il progetto culturale e gli abbondanti materiali, a cui si possono aggiungere in mostre temporanee altri preziosi beni culturali custoditi presso altri Enti ecclesiastici, aspettiamo che la generosità di tutti ci consenta di proseguire il cammino. Intanto si è già inaugurata una mostra in locali della Curia di opere moderne del prof. Pietro Lenzini sul tema del Cristo Crocefisso, per sottolineare che il Museo, come la Chiesa, è un corpo vivo, come ci tiene a mettere in luce il suo Direttore don Antonio Poletti.

Speciale musei artistici - pag. 12 [1999 - N.5]

Valerio Brunetti - Ispettore onorario per i Beni Ambientali e Architettonici

L'Esposizione universale di Vienna del 1871 offrì alla nuova scuola post-unitaria italiana un momento di confronto con le altre realtà scolastiche europee. Evidente fu la sua arretratezza specialmente per ciò che riguardava l'insegnamento scientifico. I due ministeri responsabili dell'educazione e della formazione acquistarono in quell'esposizione apparecchiature e materiali idonei all'insegnamento della fisica, della chimica, delle scienze, per proporli alle scuole italiane. Da questo momento le scuole più progredite, anche sotto la spinta della cultura positivista che proponeva nuovi modelli e tecniche di insegnamento, si dotarono di "musei didattici" che comprendevano strumenti elementari per gli esperimenti di fisica e di chimica, modelli geometrici, raccolte naturalistiche ed esemplari di minerali. Nella provincia di Ravenna, nella seconda metà dell'ottocento, due sono gli istituti scolastici principalmente coinvolti in questo rinnovamento: il liceo ginnasio "Dante Alighieri" di Ravenna, che vede le sue origini dal seicentesco "Collegio dei Nobili", ma che diventa "Regio", cioè statale, solo nel 1907, ed il Regio liceo "Evangelista Torricelli" di Faenza, nato nel 1860, primo liceo statale della provincia. A Ravenna il liceo è comunale e non mancano le risorse per strumenti e materiali. Tra gli acquisti di questo periodo si identificano due telescopi, di cui uno a riflessione, un microscopio semplice ed uno ad oculari intercambiabili, un galvanometro a specchio, due spettrometri ed alcune macchine elettrostatiche che insieme ad altre cospicue dotazioni documentano l'evolversi della ricerca nei campi dell'ottica, dell'elettricità e dell'acustica. Un interessante astrolabio portatile testimonia l'antica e prestigiosa origine della scuola. Il liceo di Faenza si arricchisce, fin dai primi anni della sua nascita, di aggiornati strumenti scientifici e di importanti raccolte naturalistiche, spesso frutto di donazioni. Entrano a far parte del Gabinetto di Fisica un telescopio a specchio settecentesco, apparecchio fondamentale per lo sviluppo dell'astronomia strumentale, dono di un faentino, uno spettrometro la cui invenzione risale appena al 1859, diversi modelli di macchine elettrostatiche tra cui quella di Holtz. Tra gli acquisti effettuati nel periodo di fine secolo troviamo un telefono del Righi, un cannocchiale astronomico, un caleidoscopio, un microscopio ad obiettivi intercambiabili Hartnack, un grafofono. Centinaia sono i reperti di varia natura di cui il Gabinetto-Museo di Storia Naturale è dotato già agli inizi del novecento. Tale è l'interesse per queste raccolte che per oltre mezzo secolo vengono annualmente aperte alle visite della cittadinanza.Anche altri istituti superiori della provincia, pur essendo di formazione più recente, conservano nei loro laboratori alcune dotazioni interessanti, anche se non si tratta di raccolte così complete e varie come quelle dei "classici", dove una forte motivazione culturale ed una profonda e continua attenzione al loro valore scientifico e storico-documentario hanno permesso che giungessero intatte fino ad oggi. Da una sommaria ricognizione si può ben affermare che esse costituiscono degli autentici corpi museali dotati di un'incredibile varietà di materiali e strumenti scientifici d'epoca. Positivo è il recente interessamento da parte del Ministero per la ricerca scientifica per il loro restauro. Una migliore conoscenza si avrebbe attraverso un'attenta catalogazione che potrebbe confluire in un evento espositivo di sicura originalità. Speleologia · Canali di erosioni, doline, inghiottitoi, abissi, risorgenti nel Parco Carnè e nelle immediate vicinanze. Ornitologia · I rapaci diurni osservabili nel cielo del Carnè: Poiana, Gheppio, Sparviero..... Botanica · Specie rare presenti: Typha minima, Staphylea pinnata (Borsolo) ...... Questi sono solo alcuni temi di indubbio interesse e fascino, che potranno essere affrontati anche monograficamente con esposizioni specifiche annuali.

Speciale musei naturalistici della scienza e della tecnica - pag. 12 [1999 - N.4]

Franco Bonilauri - Servizio Musei IBACN

L'esperienza della museografia, così come ce l'hanno insegnata gli antichi, ovverosia da quando il museo è assurto a ruolo principe di conservazione e di educazione, di un complesso sistema di testimonianze provenienti da epoche e contesti diversi, ha sempre operato intorno al principio della conoscenza e della tassonomia. L'ordinamento e la classificazione sono sempre state le principali attività su cui hanno lavorato da sempre i curatori dei musei, quando erano ansiosi di raggiungere risultati di conoscenze non percorribili diversamente. Oggi, uno studioso dispone della riproduzione a colori della maggior parte delle opere magistrali, scopre numerose pitture secondarie, le arti arcaiche, la scultura indiana, cinese e precolombiana dell'antichità, parte dell'arte bizantina, gli affreschi romanici, molte arti primitive e popolari. Ora noi disponiamo , per supplire ai mancamenti della nostra memoria di un numero di opere significative maggiore di quante ne possa contenere il massimo museo. Si è aperto infatti un museo immaginario che spingerà all'estremo l'incompleto confronto imposto dai vari musei : rispondendo all'appello di questi le arti figurative hanno inventato la loro stamperia. Grazie al contributo principalmente dell'informatica e dei vari strumenti di comunicazione, che hanno raggiunto una maturazione applicativa globale, possiamo facilmente immaginare che presto le località, i piccoli centri, le cittadine e le metropoli sapranno comunicare e trasmettere un'infinità di informazioni e dati tali da realizzare lo stesso "villaggio globale" applicato al patrimonio culturale e naturale. E dove la stessa idea concettuale di museo potrà avere la necessità di trasformarsi in qualche cosa di più ampio e flessibile rispetto al perimetro funzionale di oggi, per avvicinarsi alla stessa idea di città nella storia. Da queste premesse non poteva che partire una delle principali attività dell'Istituto per i Beni Culturali della Regione Emilia - Romagna. Ora con l'ausilio dell'informatica si è potuto ritornare a quel lento lavoro di analisi e classificazione svolto all'interno dei musei e che normalmente il pubblico non vede, ma i cui effetti rimangono poi nei percorsi e nelle attività di riordino dei materiali e delle varie raccolte. La legge n. 20 del 1990 (Norme in materia di Musei e di Enti Locali e di interesse locale), gestita dall'Istituto per i Beni Culturali, ha consentito di avviare su larga scala la catalogazione informatizzata su raccolte e patrimoni dei vari musei presenti nel territorio regionale. Per il patrimonio storico artistico si è adottato lo stesso criterio metodologico impostato dall'Istituto Centrale per il catalogo e la Documentazione il quale, attraverso l'elaborazione informatizzata della scheda Mod. AB, sta intervenendo in tutte le Soprintendenze italiane. L'uniformità metodologica e la gestione regionale da parte di un solo organismo specializzato per questo tipo di lavoro come il Centro regionale per il Catalogo e la documentazione hanno consentito di poter svolgere con garanzia di continuità tecnica e finanziaria che ancora oggi ha difficoltà ad essere percepita nella sua giusta dimensione dagli stessi organi tecnici museali. L'esperienza della Pinacoteca Comunale e del Museo Arcivescovile di Ravenna è la prima del suo genere che trova, tra gli interventi attivati in Emilia - Romagna dall'Istituto, una sua organica applicazione e che terminerà nel 1998 con la consegna dell'intero catalogo riordinato sia nella veste cartacea che informatizzata.

La pagina del conservatore - pag. 12 [1997 - N.0]

La Fondazione Casa di Oriani si occupa della valorizzazione del Cardello attraverso manifestazioni culturali, artistiche, turistiche

Ennio Dirani - Presidente Fondazione Oriani

La leggenda del "Solitario del Cardello", diffusa dalla stampa e dalla pubblicistica lungo tutto l'arco del ventennio fascista, risaliva in realtà agli ultimi anni di vita di Oriani e si consolidò nel secondo decennio del secolo, in parallelo con la scoperta dello scrittore faentino ad opera dei nazionalisti e dei vociani e con la ristampa di gran parte della sua opera nel prestigioso catalogo di Laterza, auspice Benedetto Croce. Che in verità - se si prescinde dalla valorizzazione della Lotta politica in Italia in funzione antipositivista - non concorse alla diffusione del mito di una sorta di titanico eroe romantico che, più o meno volontariamente esiliato in una vecchia bicocca sulle colline di Casola Valsenio, aveva scritto pagine notturne popolate dai fantasmi della sua fervida mente e della sua tragica visione della vita e della storia. La metamorfosi dell'antica foresteria dell'abbazia benedettina di Valsenio nel "nido dell'aquila" ricevette la sua definitiva consacrazione il 27 aprile 1924, col discorso che Mussolini pronunciò, dall'alto del mausoleo appena inaugurato, al termine di quella che fu chiamata la "marcia al Cardello". Sono vicende ben note, sulle quali furono scritte e pronunciate "alate" parole, negli anni in cui la celebrazione del "precursore" costituiva parte integrante di una liturgia non circoscritta alla "Terra del Duce". Si è ricordato questo precedente storico per mettere subito in chiaro che se il Cardello è stato per un ventennio un "luogo della memoria", un simbolo per una parte politica, da molti anni ormai esso è, soprattutto per i romagnoli, quello che deve essere: un monumento storico che ha attraversato i secoli, sia pure senza rimanere indenne da interventi non sempre improntati a rigore conservativo, inserito peraltro nella cornice di un parco costruito nell'arco di otto decenni. Ed è, soprattutto, la casa in cui Alfredo Oriani visse dall'età di quattordici anni, in cui scrisse tutti i suoi libri, in cui morì e dietro la quale riposano i suoi resti mortali dal 1924, quindici anni dopo la morte. Nel 1926 Aldo Oriani, figlio ed erede di Alfredo, fece ristrutturare la villa, ingentilendola con trifore e balconcini che le conferirono un'aria vagamente neoromanica, come s'usava allora. All'interno, caratterizzato dall'austerità degli ambienti e degli arredi, due piccoli locali furono fortunatamente lasciati nello stato in cui li aveva lasciati lo scrittore: il suo studiolo, coi relativi libri (circa 630 volumi), e la camera da letto in cui era morto il 18 ottobre 1909. Anche la sontuosa cucina ci riporta agli anni della giovinezza e della maturità di quello che i casolani chiamavano affettuosamente e' matt de' Cardèl. Il parco, impiantato negli anni '20, è venuto assumendo un aspetto sempre più lussureggiante, grazie alle cure di Aldo (morto nel 1953) e della signora Luisa Pifferi, sopravvissuta al marito fino al 1979. In queste condizioni il tutto è divenuto proprietà dell'Ente Casa di Oriani (Fondazione dal 1 gennaio 2003), per disposizione testamentaria della signora Pifferi Oriani. La gestione del Cardello da parte di Casa Oriani (impegnata in primis nella Biblioteca di storia contemporanea di Ravenna, nella promozione culturale e nella ricerca storica) è stata ed è ispirata alla corretta conservazione dei valori architettonici, storici ed ambientali del patrimonio ricevuto in eredità. Tale conservazione però è stata sì concepita come valore in sé, ma soprattutto come condizione necessaria per una valorizzazione pubblica dell'intero complesso, attraverso un'ampia programmazione di manifestazioni culturali, artistiche, turistiche, spesso in collaborazione con il Comune di Casola Valsenio. Il primo passo lo si è compiuto all'inizio degli anni '80 con l'apertura al pubblico del Cardello, secondo orari e modalità compatibili con le risorse della Fondazione e con la natura del monumento. Negli anni successivi si sono fatti sempre più frequenti e qualificati gli eventi culturali e musicali, che hanno registrato una sensibile accelerazione con la recente predisposizione della sala (nella quale è anche allestita una mostra permanente su Oriani e la sua opera) ricavata nell'edificio adiacente al Cardello. Sono allo studio interventi organici per la conservazione, il miglioramento e l'ampliamento del parco, per il restauro del Cardello e delle pregevoli case rurali esistenti all'interno della tenuta, per le quali, d'intesa con altre Amministrazioni ed Istituzioni, è auspicabile un corretto e produttivo uso pubblico.

Speciale case dei letterati - pag. 12 [2003 - N.17]

Esposto nella Rocca dell'ex Ospedale il materiale archeologico proveniente dagli scavi dei pozzi situati in cucina, nell'area produttiva e in quella termale

Giovanna Montevecchi - La Fenice Archeologia e Restauro S.r.l. Bologna

Dal 1998 ad oggi sono state allestite, negli ambienti della Rocca dell'ex Ospedale di Russi, numerose vetrine contenenti i materiali archeologici rinvenuti nella villa romana, sia durante i vecchi scavi che nelle indagini recenti; l'esposizione, organizzata dal Comune di Russi e dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia Romagna, è stata curata da "La Fenice Archeologia e Restauro" di Bologna. Gli oggetti provengono dalla zona residenziale della villa (ceramiche, metalli e frammenti di intonaci), dall'area termale (porzioni musive e marmoree) e soprattutto da tre pozzi situati nella cucina, nell'area produttiva e in quella termale; infine sono stati esposti anche i materiali ceramici rinvenuti nel sottofondo della stanza 5, depositati fino ad ora al Museo Nazionale di Ravenna. Lo svuotamento dei pozzi, effettuato dai subacquei del Gruppo Ravennate Archeologico, ha dapprima interessato quello della cucina: una struttura della profondità di m 14 con camicia in laterizi. I numerosi materiali rinvenuti sul fondo del pozzo, databili al I e II secolo d.C., sono probabilmente caduti all'interno durante la raccolta dell'acqua: si tratta di brocche in ceramica e di due bottiglie da vino realizzate in lamina bronzea (fig.1), prima utilizzate a tavola durante i banchetti e poi declassate all'uso di cucina. A questa fase si attribuiscono anche diversi oggetti in metallo di uso quotidiano: una decina di chiavi da mobili, di cui due con catena da appendere alla cintura, e un raffio in ferro con peso per il recupero degli oggetti, caduto anch'esso disgraziatamente sul fondo. Durante il III secolo d.C. il pozzo fu abbandonato e poi riusato nel periodo tardo-imperiale e bizantino; anche per questa fase sono stati recuperati prevalentemente utensili per attingere acqua: brocche di vario genere e dimensioni, talvolta mancanti dell'ansa e forate al collo per il passaggio di un cordino; ma anche un manico in metallo relativo ad un secchio e un coltello da cucina (fig. 2), un frammento di orecchino d'oro e monete databili alla fine del IV e al pieno V secolo d.C. In epoca medievale la zona e la villa, non furono più frequentate e quindi il pozzo venne definitivamente abbandonato, come documenta la successione stratigrafica delle alluvioni. Anche i reperti faunistici caduti nel pozzo, ed esposti nelle vetrine, hanno fornito interessanti elementi sull'ambiente circostante la villa; il dato di maggiore interesse è la presenza del Castoro (Castor fiber) che, nella nostra regione, non era più stato segnalato dopo il IV secolo a. C. Il pozzo situato nel settore produttivo della villa si trova in prossimità del torcularium, l'impianto a pressa per la pigiatura dell'uva e la raccolta del vino, ed é ipotizzabile che fossero collegati; la struttura, profonda m 8, ha una camicia irregolare nella parte superiore della canna ed era stato riempito da macerie cadute al suo interno durante una fase di abbandono. Pochi gli oggetti recuperati, fra cui un'olletta in ceramica, ossa animali e pezzetti di legno; alcuni frammenti di ceramica buccheroide attestano che lo scavo per il pozzo aveva intaccato uno strato protostorico, già documentato dalla presenza di alcune tombe precedentemente scavate. L'altro pozzo è collocato nel settore termale della villa, a sud della zona fino ad ora scavata. La struttura, che ha la camicia in mattoni puteali, è profonda m 8,70; il suo riempimento documenta tre fasi d'uso: la più recente, costituita da macerie, si collega alla demolizione dell'impianto termale in seguito all'alluvione attestata anche nel pozzo della cucina; fino alla profondità di m 6,50 ulteriori macerie e laterizi appartengono alla fase di ristrutturazione tardo imperiale della villa ed infine, sul fondo, sono stati recuperati gli oggetti caduti durante la fase d'uso imperiale: brocche per acqua, frammenti di piatti da mensa, un grande bicchiere in vetro e, fra le altre cose, uno strigile in ferro per la pulizia personale.

Speciale archeologia - pag. 12 [2001 - N.11]

Il museo all'aperto delle piante officinali della collina ravennate, affiancato alla Strada della Lavanda, esalta l'ormai tradizionale vocazione del comune casolano in ambito naturalistico

Beppe Sangiorgi - Responsabile Ufficio associato del Turismo di Brisighella, Casola Valsenio e Riolo Terme

C'è chi definisce il Giardino delle Erbe di Casola Valsenio "un libro aperto della natura alla pagina delle piante officinali" ed altri "il compendio di quanto la natura ha saputo offrire all'uomo per la cura del corpo ed il piacere del palato". Ora, con l'adesione al Sistema Museale della Provincia di Ravenna, il Giardino è anche, ufficialmente, Museo delle Piante Officinali. È un complesso che si estende su quattro ettari ad appena un chilometro dall'abitato di Casola Valsenio, dove vengono coltivate ben 450 varietà di piante officinali destinate a usi medicinali, cosmetici e gastronomici. Piante che fanno del Giardino un "museo vivo", così come aveva ipotizzato Augusto Rinaldi Ceroni (Casola Valsenio 1913-1999), il botanico e pioniere dell'erboristeria italiana che lo ha creato nel 1975 per iniziativa della Regione Emilia Romagna. Le origini risalgono però al 1938, quando Rinaldi Ceroni creò a fianco della scuola che dirigeva, un orto botanico con una quarantina di piante medicinali. Orto che ha seguito il Professore, come tutti lo chiamavano, nella sua carriera di direttore di Scuola di Avviamento Agrario e poi di Scuola Media ingrandendosi e specializzandosi, man mano che si ampliavano lo studio e la sperimentazione di Augusto Rinaldi Ceroni nel campo delle piante officinali. Il quale, negli anni del boom economico, si trovò a combattere una battaglia quasi solitaria in difesa di quelle piante contro il mito imperante della tecnologia e della medicina di sintesi. Fino a quando, nei primi anni Settanta si ritorna a guardare con interesse al passato e a recuperare i suoi valori, a cominciare dall'uso delle piante officinali. Da qui la nascita del Giardino Officinale nel quale il Professore riversa oltre trent'anni di studio e di esperienze, insieme ad una chiara visione sul futuro sviluppo dell'erboristeria. Il complesso diventa in breve un punto di riferimento nazionale per la didattica, la sperimentazione e la divulgazione nel campo officinale, svolgendo anche un ruolo di valorizzazione turistica di tutta l'area. Nasce così a Casola Valsenio il Mercatino serale delle erbe officinali e prende corpo la cucina alle erbe aromatiche. Viene anche realizzata la Strada della Lavanda, un percorso panoramico fiancheggiato da aiuole e filari di diverse varietà di lavanda che da Casola Valsenio si dirama da una parte verso la valle del Sintria e, dall'altra, fiancheggiando il Giardino, raggiunge la valle del Santerno. Iniziative che fanno della media valle del Senio la "Piccola Provenza Italiana". Il Giardino, che ha subito notevoli miglioramenti, ha assunto il nome di Giardino delle Erbe e nel 2000 è stato intitolato al suo fondatore. Oggi è gestito dal Comune di Casola Valsenio il quale ne ha affidato la conduzione alla Cooperativa Montana Valle del Senio, con un'attività che spazia dalla sperimentazione scientifica in collaborazione con le Università di Bologna, Modena, Parma e Torino, alle visite didattiche e divulgative fino alla commercializzazione di piante in vaso, semi, oli essenziali e prodotti per la cucina e la cosmesi. Il Giardino delle Erbe è sempre aperto alle visite individuali ma sono preferibili le visite guidate con prenotazione (al n. 0546.73158) per cogliere appieno quanto offre: dal parco con la collezione delle piante officinali al gradone delle lavande, particolarmente amate e studiate da Rinaldi Ceroni, dal gradone delle piante aromatiche al centro di documentazione, dalla serra fino all'olfattoteca, costituita da otto box nei quali si impara a conoscere le varie essenze. Il Giardino conserva anche vecchi distillatori ed attrezzi d'epoca per la lavorazione delle piante officinali. Un patrimonio storico che si arricchisce in continuazione grazie alla lunga storia che lega Casola Valsenio al mondo officinale.

Speciale nuove adesioni - pag. 12 [2003 - N.18]

Cinque anni di esperienze con gli studenti del corso di restauro presso il Museo Civico di Castel Bolognese

Valerio Brunetti - Responsabile Museo Civico di Castel Bolognese

Nel 1999 con l'apertura della nuova sede del Museo Civico di Castel Bolognese ha preso avvio un'interessante esperienza di formazione con il corso di restauro dell'Istituto "Ballardini" di Faenza: la collaborazione già avviata da tempo presso il laboratorio della scuola, a cui venivano forniti materiali da restaurare, si è concretizzata con la partecipazione di studenti a stages estivi presso la sede del Museo. Agli allievi in possesso di un'attenta ma prevalente preparazione di indirizzo rivolta al restauro della ceramica viene proposto un percorso trasversale che comprende, oltre alla ceramica, anche interventi di conservazione e restauro su altri materiali come vetro, marmo, metalli. Con la collaborazione di restauratori della Soprintendenza archeologica, è, così, possibile fornire agli studenti un bagaglio di conoscenze differenziate, rispetto a quelle apprese a scuola. Inoltre, viene loro offerta la possibilità di affiancare i collaboratori del museo nelle operazioni quotidiane che si svolgono all'interno della struttura museale e che ne costituiscono la vita: attività di schedatura e catalogazione, esposizione delle opere, siglatura dei materiali, riordino dei manufatti nei depositi, revisione degli inventari e dell'archivio , informatizzazione dei dati. Da queste esperienze, che durano dalle cinque alle sei settimane, i ragazzi possono trarre la visione completa delle attività che si svolgono all'interno di un museo, che vanno dalla conservazione delle collezioni alla loro documentazione, e compiere un percorso che potrà essere essenziale nella loro futura attività di restauratori ed operatori culturali. La certezza dell'importanza formativa di questa esperienza ripaga i collaboratori del Museo dell'impegno costante e giornaliero profuso nel seguire l'attività degli studenti in stage.

Speciale restauro - pag. 12 [2004 - N.19]

La creazione di un nuovo data base permetterà la fruizione completa dell’intero patrimonio di incisioni delle Cappuccine di Bagnacavallo

Giuseppe Masetti - Giuseppe Masetti

Una delle collezioni che arricchiscono e identificano meglio il Centro Culturale “Le Cappuccine” di Bagnacavallo è quella delle incisioni moderne. Quindici anni di attenzioni e di iniziative continue nel settore calcografico hanno attratto nella cittadina romagnola dapprima la grande donazione di Emilio Ferroni, notevole soprattutto per le incisioni d’epoca, poi hanno prodotto continui versamenti di autori contemporanei, mostre antologiche e di opere omnia che hanno portato quasi a 7.000 il numero dei fogli conservati nel Gabinetto bagnacavallese.
Ma se c’è un discrimine fra la raccolta privata, sicuramente ben custodita, amata e riposta dal fine intenditore per il piacere di pochi, e la raccolta pubblica, sempre in lotta per operare meglio, questa sta proprio nella mission finale, cioè nella più ampia fruizione dei fogli incisi, garantendone al contempo il rispetto nei confronti degli autori ed una buona vigilanza sul supporto cartaceo.
Da queste premesse sono nati molti progetti all’interno delle Cappuccine che potremmo definire di “conservazione attiva”, di azioni che nascono più facilmente nelle piccole realtà dove si conoscono direttamente le persone, ma che scaldano l’idea della semplice e gelosa custodia. Nei Gabinetti ove prevale quest’ultima connotazione le incisioni arrivano generalmente o per donazioni o per un desiderio dell’autore di lasciare in un prestigioso deposito i propri lavori migliori.
A Bagnacavallo ciò avviene più spesso per un clima di familiarità con gli incisori che avvertono per primi di essere riconosciuti e messi in visibilità. Grazie alla pubblicazione triennale del Repertorio degli Incisori italiani in attività, alla creazione di mostre a tema allestite in loco od inviate fuori sede nelle gallerie più attente, ai convegni nazionali promossi in questi anni ed alle mostre-mercato, oggi sono più di 1.000 gli incisori che hanno donato le proprie opere al Gabinetto Stampe di Bagnacavallo.
Un simile patrimonio assume dimensioni tali da sfuggire anche alla passione del più attento conservatore. Perciò oltre alla prevista adesione al progetto regionale IMAGO, si è resa necessaria una gestione interna più efficace e puntuale basata su una catalogazione informatizzata che, partendo da una nuova schedatura, trattenga su di un supporto digitale anche un’immagine ad alta definizione – per riprodurre in varie pubblicazioni ognuna delle singole incisioni - evitando agli originali rischiose uscite dalle cassettiere. Un secondo file-immagine a bassa definizione viene creato invece per una più rapida consultazione e ricerca per autore, soggetto, titolo, stampatore e tecnica di produzione. Le schede di questa interfaccia funzionale contengono inoltre tutti i campi del numero d’inventario e della collocazione, del titolo e dell’ autore, della descrizione e del soggetto, dell’editore e dello stampatore, della tiratura e del numero d’esemplare, delle dimensioni del foglio e della matrice, sulle modalità e la data dell’acquisizione. Al di là di una più facile consultazione è la digitalizzazione più fedele conservata in file che consentirà in un prossimo futuro nell’apposita aula didattica in via di allestimento, con rapide proiezioni e connessioni, di mostrare i tanti soggetti delle opere, studiando e comparando tutte le scuole, gli stili e le ispirazioni di questa ricca collezione. In pratica musealizzando una raccolta che fino ad oggi è stata di difficile accesso e perciò non sempre apprezzata a dovere. Sarà questo tipo di catalogazione interna a consentire nuove forme di didattica disciplinare, utili sia per gli amanti dell’incisione che per gli stessi praticanti interessati a conoscere le produzioni più attuali di queste eroiche tecniche artistiche.
Il giorno del 2005 in cui sarà auspicabilmente completato questo caricamento in data base la collezione di incisioni di proprietà del Comune di Bagnacavallo sarà del tutto esplorabile, sarà un sistema aperto ad un maggior numero di addetti ai lavori, consultabile in rete ma soprattutto visibile al pubblico guidato, come dovrebbero essere tutte le opere che giacciono nei musei, sia nelle città più famose che nei piccoli centri di provincia.

Speciale Piano Museale - pag. 12 [2004 - N.20]

Le “buone pratiche” previste dagli standard potrebbero non essere alla portata dei piccoli musei locali, nati per la salvaguardia di collezioni pregevoli

Giuseppe Masetti - Direttore Centro Culturale "Le Cappuccine" di Bagnacavallo

Fra i 35 musei che oggi compongono il nuovo Sistema Museale della Provincia di Ravenna la stragrande maggioranza è data da piccole realtà, in gran parte di natura pubblica, spesso decentrate, dotate di scarse risorse economiche, alle prese con assillanti problemi di personale, accessibilità e dotazioni tecnologiche. Sono nati negli ultimi decenni, figli di un’attenzione diffusa verso le “tracce di civiltà” all’interno di ogni comunità territoriale, più che di ponderate analisi gestionali proiettate nel tempo.
Si sono chiamati da subito Musei perché ancora non esisteva una precisa normativa che disciplinasse l’uso di questo termine e delle responsabilità connesse. Tuttavia nelle intenzioni di chi li ha messi al mondo volevano rispondere soprattutto ad una azione preliminare che non era tanto la gestione organizzata delle funzioni museali, quanto piuttosto l’individuazione e la salvaguardia di collezioni pregevoli, significative per le vicende identitarie dei nostri paesi, quasi una forma di resistenza no-global rispetto all’omologazione dei consumi e delle arti.
Dobbiamo prestare attenzione a queste genealogie, anche se d’impronta più civile che nobiliare, perché in fondo sono anch’esse una caratteristica, un’autorappresentazione della nostra regione in cui convivono, senza una capitale, infinite e vivacissime microrealtà municipali. Il primo obiettivo della stagione di governo locale in cui sono nati tanti piccoli musei era di salvare quei reperti, quei saperi e quelle opere d’arte, evitare di abbandonarle ai mercatini del modernariato o nei magazzini di Prato “…dove tutto finisce” come direbbe Curzio Malaparte.
Così in Emilia-Romagna sono sorti gran parte degli oltre 350 musei locali, di cui un terzo dispone di locali inferiori ai 200 mq, la metà non supera i 400 mq ed il 70% ha meno di 5.000 visitatori l’anno. Alla base di questi piccoli centri culturali c’è più che altro un senso nobile delle funzioni civiche, un attaccamento ai segni delle origini oppure un buon rapporto tra pubblico e privato che si sono sostituiti alle Soprintendenze nell’attribuire valore a certe raccolte locali. Sono occorsi molti anni per spostare il ragionamento dal vincolo patrimoniale alla continuità delle fruizioni, ad azioni nuove come la ricerca, la gestione degli inventari o la didattica. Comincia a farsi strada un rapporto diverso con il tempo da amministrare e il problema non è più quello di salvare bensì quello di gestire il salvato in maniera più produttiva.

Ad un anno e mezzo dall’approvazione degli standard e obiettivi di qualità per biblioteche, archivi e musei previsti dalla L.R. 18/2000 ed in previsione di risorse sempre più modeste per il sostegno a queste piccole realtà, credo sia giunto il momento di fare considerazioni diverse in particolare per il settore dei musei. L’utilizzo di tale denominazione impone infatti, a partire dagli anni prossimi, di rispondere a requisiti generali minimi, obiettivi di miglioramento e buone pratiche che potrebbero uscire dalla portata di molti musei locali, come ad esempio le 24 ore di apertura settimanale, comprensiva del sabato o della domenica, il piano annuale delle attività didattiche, l’autonomia gestionale, il carattere di istituzione permanente ed operativa dotata di personale qualificato.
Non si tratta di norme ferree e discriminanti ma solo di riferimenti orientativi per valutare anche le ipotesi di sviluppo e sopravvivenza che i nostri musei dovranno garantire nel tempo. Tutti però dobbiamo pensare in modo nuovo alle risorse umane, disponibili dentro o fuori dalle Amministrazioni Pubbliche, che costituiranno sempre più il vero potenziale dei musei minori, in grado di mettere in valore quei piccoli tesori scelti e organizzati da chi ci ha preceduto.
In ogni caso cominciamo anche a pensare che, se non potremo più chiamarli Musei, non sarà certo offensiva la definizione legale di “collezioni aperte al pubblico”.

Speciale standard museali - pag. 12 [2004 - N.21]

Gli amministratori degli Enti locali dovrebbero garantire ai piccoli musei, fortemente radicati nel territorio e “memoria” della comunità, almeno le funzioni di direzione, didattica e custodia

Valerio Brunetti - Responsabile Museo Civico di Castel Bolognese

Il tema delle professionalità nel settore dei musei è divenuto ultimamente di grande interesse, sia in seguito alla crescita delle funzioni culturali, scientifiche e di significato sociale che i musei stanno avendo negli ultimi tempi, sia per l’approvazione degli standard e degli obiettivi di qualità per i musei avvenuta nella nostra e in altre regioni. Tutto questo, con problematiche diverse, vede coinvolti sia i grandi che i piccoli musei. Purtroppo le attuali ristrettezze economiche e di risorse umane non favoriscono questi ultimi che difficilmente potranno dar corso in tempi brevi ad una completa attuazione degli standard proposti. Però, come già detto anche da altri, bisogna partire dalla considerazione che gli standard non devono essere interpretati come una normativa esatta e prescrittiva ma come un manuale di buoni consigli per il miglioramento dei servizi che il museo può offrire. Generalmente i piccoli musei esprimono un forte legame con la città e il territorio in cui si trovano: ne conservano i documenti delle sue origini, le testimonianze dei percorsi storici e sono la “memoria” della comunità. Di tutto questo si avvalgono innanzitutto i cittadini per la propria crescita culturale, i ricercatori vi attingono preziose informazioni per le loro indagini e i loro lavori, mentre le scuole trovano nelle raccolte museali locali gli strumenti immediati per migliorare il percorso didattico finalizzato alla formazione degli alunni.
Davanti al compito estremamente impegnativo di interagire continuamente e strettamente con il territorio, garantendo la fruizione pubblica e la conservazione e l’incremento delle raccolte, la programmazione e la promozione di attività di ricerca scientifica e di attività didattiche in collaborazione con gli enti culturali e le strutture scolastiche, dovremmo individuare in ogni museo, sia esso grande o piccolo, almeno una serie di specifiche professionalità, dal direttore al conservatore, dall’operatore della didattica al personale di custodia, tutte necessarie per perseguire in modo ottimale la missione statutaria.
Questo potrebbe spaventare non pochi amministratori particolarmente preoccupati da problemi di bilancio; con un po’ di buona volontà anche i piccoli musei possono organizzarsi in maniera da migliorare, se necessario, la loro offerta, senza depauperare le casse comunali. La figura comunque indispensabile è sempre quella del direttore o del responsabile della struttura museale, che se non esiste già internamente, può essere individuata anche all’esterno all’Amministrazione pubblica, eventualmente condivisa con altri musei, a cui si possono attribuire i ruoli più importanti per un buon funzionamento. Adeguatamente preparato, dotato di un’ampia autonomia e di un’approfondita conoscenza della realtà in cui opera saprà scegliere razionalmente le collaborazioni di cui avvalersi, a cui destinare le risorse a sua disposizione. Innanzitutto non sarà mai solo nelle scelte perché gli enti istituzionali, Soprintendenze, IBC, Sistema museale provinciale lo affiancheranno continuamente per gli eventuali problemi di carattere tecnico scientifico da affrontare, come conservazione, catalogazione, restauro, didattica museale. Per quest’ultima, che sta diventando una delle funzioni principali nella missione dei musei, la figura di un operatore qualificato che affianchi la direzione nell’attuazione dei progetti concordati con le scuole, o con altre istituzioni, sarà quanto mai necessaria, attingendo eventualmente alle professionalità già presenti sul mercato in questo campo.
Non secondario è il ruolo del personale di sorveglianza che nei piccoli musei trova nel volontariato una inesauribile risorsa. Non può essere un volontariato casuale e distratto, ma persone motivate ed attente, che si sentano professionalmente inserite nel museo, consce del patrimonio che stanno custodendo. Queste vanno preparate con cura, predisponendo anche un chiaro ed esauriente percorso didascalico ed informativo, scientificamente corretto ma facilmente comprensibile. I piccoli musei devono guardarsi intorno perché sicuramente ci sono tante mani pronte per aiutarli a crescere in professionalità e migliorare la loro offerta verso un pubblico sempre più curioso, più attento, più esigente.

Speciale professionalità nei Musei - pag. 12 [2005 - N.22]

La pineta di Ravenna, definita ornamentum Italiae, fu fonte di ispirazione per famosi poeti, letterati e musicisti

Franco Gàbici

Per Papa Sisto V la nostra pineta era “ornamentum italiae”, mentre Francesco Ginanni definì il grande bosco ravennate “il più celebre e il più ragguardevole dell’Italia, che ben fu conosciuto per un carattere distintivo di questa città”. I “favolosi pini”, come li definì Giacomo Zanella, furono anche fonte di ispirazione per molti poeti e Giovanni Pascoli era convinto che la “selva oscura” e la “foresta spessa e viva” ricordate da Dante facessero preciso riferimento al grande bosco di pini, un tempo rigogliosissimo, che sembrava proteggere la città di Ravenna: “Ché la Comedia – scrive Pascoli – nacque nella sua selva o Ravenna. La foresta dell’Eden somiglia alla pineta di Classe. E la selva con cui comincia il poema è quella stessa foresta. Chi sa? Forse Dante ci si trovò in quei primi giorni dell'esilio divenuto allora definitivo, in un momento di tempesta. Forse vi si indugiò, forse anche vi si smarrì di notte... La vide poi, di giorno, quando le eriche ai piedi dei pini erano gemmate dei loro bocciolini rosei, e fiorivano colchici e i dianti e le radicchielle...”.
Anche Giovanni Boccaccio si ispirò alla nostra pineta ambientandovi la novella di Nastagio degli Onesti nella quinta giornata del Decamerone e in tempi più recenti ricordiamo Gabriele d’Annunzio e George Byron che le dedicarono versi e ricordi.
Difensore e amante della “sua” pineta fu Santi Muratori, l’indimenticato biblotecario della Classense, che spesso vi si recava per immergersi in quei suoi paesaggi suggestivi oltre i quali già si rendeva evidente lo scempio dell’uomo: “O mia pineta – scriveva Muratori – eppure tu sei ancora bella. Più bella forse, nella tua lenta e spasimosa agonia. Ti amiamo perché ognuno di noi ritrova in te la sua fanciullezza mesta, la sua purità e il suo sogno”. E pensando al cimitero che sorge proprio accanto al grande bosco, Muratori così continua: “né la morte ci è greve, se pensiamo di poter dormire tra le tue sacre ombre ospitali”.
Considerando lo scempio della pineta Diego Valeri, che visse a Ravenna alcuni anni, immagina che Francesco Ginanni gli passi questa considerazione: “Amico mio, che cosa ameranno gli uomini quando saranno riusciti a disamorarsi anche delle piante, delle sorelle piante, bellissime e silenziose?”
Il forlivese Melchiorre Missirini all’inizio dell’Ottocento ricorda in un suo poema la nostra pineta indicandola fra le cose belle della città e anche il medico ravennate Ruggero Calbi le dedicò belle pagine.
Alessandro Cappi in un sonetto del 1844 dice che “non cantar di questa selva di pini è una impossibil cosa”. Nel 1841 Jacopo Landoni dedicò alla nostra pineta un lungo poema in sei libri (Il pineto) che descrive il grande bosco in tutte le sue parti, mentre nel 1886 Silvio Busmanti pubblicò un idilio dal titolo La pineta.
Nel 1905 il ravennate Guido Franchi pubblicava Profumo di resina, una raccolta di versi ispirati alle bellezze della nostra pineta e pochi anni più tardi, nel 1911, Luigi Orsini dava alle stampe L’Allodola all’interno del quale si trovano due capitoli dedicati alle bellezze di ravenna e, in particolare alla pineta. Anche il futurista Oscar Mara ricordò il gran bosco ravennate (“No, non è il mar che chiama: è la pineta/che tutta trema sotto la carezza/lenta e profonda della calda brezza,/e ride e geme con ansia segreta”) e un suo ritratto lo coglie sdraiato sull'erba all’ombra dei pini. Bellissime pagine si trovano in Quando c'era la pineta (Edizioni del Girasole) di Dante Arfelli, che ricorda il passar delle stagioni: “Quanti anni ho vissuto a cogliere i primi segni del mutarsi delle stagioni dai tronchi e dalle ombrelle degli alberi (.) il linguaggio del bosco forse ora mi sarebbe diventato incomprensibile. E allora, se fosse così, non rimpiango che questa pineta sia finita. Uccisa dalla guerra, come la mia infanzia, come l’infanzia di tutti noi”. Il grande bosco ravennate ispirò il musicista Luigi Fedeli, definto dal maestro Pratella “musicista geniale e sicuro, padrone di tutti i mezzi espressivi e tecnici”, a comporre Meriggio nella pineta ed era tale il fascino che gli suscitava la sua pineta che più volte aveva espresso il desiderio di poter avere una casetta in mezzo ai pini per poter vivere e comporre le sue musiche.

Speciale centenario della Legge Rava e Beni ambientali - pag. 12 [2005 - N.23]

Il MIC presenta i recenti interventi di restauro realizzati su materiali di varie epoche e provenienze e in cui si è affrontato il problema di smontare restauri precedenti

Anna Maria Lega - Coordinatore sezione restauro e catalogo MIC Faenza

Nell’ambito degli Incontri di Restauro, che si sono svolti presso il MIC nel corso del 2005, il Laboratorio di Restauro del Museo di Faenza ha avuto occasione di presentare alcuni dei più significativi interventi realizzati recentemente. Fra questi da citare il restauro di alcuni esemplari di porcellane, gres e terrecotte cinesi di varie epoche, affidati al Laboratorio del MIC dal Museo di Arte Cinese ed Etnografica di Parma, sotto la direzione del Museo Nazionale di Arte Orientale di Roma. Alcuni oggetti presentavano urgenti problemi conservativi mentre per altri era richiesto di smontare i vecchi restauri ormai inadeguati per procedere a nuovi interventi.
Un’opportunità di lavoro particolarmente interessante è stata anche quella offerta dall’intervento conservativo su amuleti egittizzanti di epoca fenicio punica, rinvenuti a Tharros, richiesta dalla Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali di Ravenna. La particolarità dell’intervento derivava sia dalle dimensioni degli oggetti, inferiore in genere ai quindici millimetri, sia dalla peculiarità dei materiali di cui risultavano costituiti. Infatti si trattava, in alcuni casi, di faenza silicea (un particolare tipo di ceramica ottenuta da sabbia silicea con contenuti irrilevanti di argilla) e, in altri, di materiale lapideo smaltato. Il restauro è divenuto così anche un momento di approfondimento e studio di questi materiali, condotto in collaborazione con l’Università di Brescia che ha messo a disposizione l’uso di un microdifrattometro che ha permesso indagini non distruttive sugli amuleti in questione.
Un intervento su una plastica in porcellana di particolare rilievo delle collezioni MIC è stato quello condotto su Amore e Psiche della Manifattura Ginori del sec. XVIII. L’opera, pervenuta al Museo già restaurata nel 1938, aveva subito un ulteriore restauro dopo gli eventi bellici a seguito dei danneggiamenti subiti in tale occasione. Nell’ambito di una ricognizione dei materiali recuperati dopo il bombardamento del museo si sono ritrovati in tempi recenti alcuni frammenti pertinenti all’opera, che non erano stati riconosciuti a suo tempo. Si è quindi proceduto a uno smontaggio dell’opera e a una sua nuova ricomposizione ed a un confronto con opere simili prodotte dalla Manifattura Ginori nello stesso periodo, conservate presso altri musei che ha permesso di distinguere tra alcuni interventi in gesso realizzati dalla Manifattura stessa per assemblare le varie parti dell’opera e altri imputabili ai precedenti restauri. Il lavoro si è presentato molto lungo e complesso per la difficoltà di smontare un restauro realizzato con materiali di scarsa reversibilità, per l’ingente numero di frammenti e per la complessità dell’opera da ricostruire.
In occasione dell’inaugurazione della sala dedicata alle targhe devozionali si è inoltre proceduto al restauro di una Madonna di officina robbiana del sec. XVI, di proprietà del Museo del Bargello di Firenze e in deposito presso il MIC di Faenza. Anche in questo caso si è trattato di smontare un precedente restauro che aveva contemplato un assemblaggio maldestro e l’inserimento della ceramica in una base lignea con interposizione di lastre d’ardesia e strati di gesso. Nell’esecuzione del ripristino ci si è attenuti alle specifiche indicazioni del Museo del Bargello.
Tra i progetti del Laboratorio di Restauro del museo citiamo infine quello dedicato alla conservazione programmata delle ceramiche esposte all’aperto a Faenza. L’obiettivo che ci si è dati è quello di mettere a punto un protocollo di manutenzione che consenta di salvaguardare con azioni preventive tali opere, piuttosto che dover procedere a costosi restauri a degrado avvenuto. La prima fase del piano ha previsto la costituzione di una banca dati informatizzata delle opere da salvaguardare che riguarda le opere esposte nel centro storico che quelle più significative presenti al Cimitero dell’Osservanza.

Speciale restauri - pag. 12 [2006 - N.25]

Creazioni multimediali e tecnologie virtuali come strumento per soddisfare modalità percettive personali e per sostenere stili di apprendimento individuali

Alba Trombini - Consulente museale

L’esperienza dell’apprendimento nell’uomo è strettamente collegata al modo in cui esso percepisce la realtà e al fatto che privilegi un senso rispetto a un altro. Che ciascuno di noi impari e memorizzi l’esperienza o i dati in maniera del tutto personale, è opinione condivisa e sostenuta dai risultati di decenni di ricerche nel campo delle neuroscienze, delle scienze cognitive e della psicologia. C’è chi predilige modalità visive e utilizza le immagini e i processi immaginativi come principale motore di apprendimento; c’è chi nell’acquisizione di competenze e conoscenze trova una via più veloce ed efficace nella parola ascoltata, nella voce, nel suono. O ancora c’è chi impara meglio attraverso il fare, grazie al movimento o all’utilizzo simultaneo dei 5 sensi.
E così veniamo distinti in cinestesici, uditivi, olfattivi, visivi… A complicare ulteriormente le cose sta il fatto che molti di noi non adottano un’unica modalità ma ne combinano diverse dando vita a una serie praticamente infinita di soluzioni percettive. E ancora non basta: la dimensione fisica dell’apprendimento è spesso sottovalutata da chi si occupa di educazione, così come viene sminuita la valenza emotiva dell’atto dell’imparare. Apprendere al museo è una questione personale che dipende anche dalla propria storia familiare ed educativa, dal modo di percepire spazio e tempo, dalla sensibilità, dall’intensità del proprio desiderio di crescere.
A fronte di tanta soggettività negli stili di apprendimento, come comportarsi al museo nel momento in cui si progettano itinerari o strumenti didattici/divulgativi, multimediali e non? Nel Nord Europa troviamo alcuni esempi di istituzioni museali, come il Victoria and Albert Museum a Londra, che si sono poste questo problema e nel ripensare e riallestire le sezioni espositive hanno utilizzato i principi del modello di Kolb, studioso che ha teorizzato la suddivisione degli stili di apprendimento delle persone in quattro macro categorie.
Kolb definisce divergenti gli esseri umani che hanno bisogno di fare esperienze concrete, convergenti le persone più orientate verso la concettualizzazione; assimilatori sono gli individui più riflessivi che tendono all’elaborazione teorica e infine gli accomodatori, coloro che si accostano a tutto ciò che è nuovo in modo intuitivo e amano “creare”, attraverso prove ed errori.
Per venire incontro a esigenze tanto diversificate, che cosa può fare nel concreto il museo? Utilizzare strumenti e accorgimenti espositivi che presentino maggiori caratteristiche di flessibilità, adattamento e semplicità. Ciascuno dei visitatori deve avere la netta sensazione che sia lì a disposizione il tramite “giusto per lui” per entrare in contatto con ciò che il museo contiene. Isole acustiche che raccontano e completano ciò che la vista suggerisce, postazioni interattive che permettano approcci a diverso grado di complessità e creatività, tecnologie così sofisticate da risultare semplicissime nella forma come nei contenuti.
Gli strumenti divulgativi e didattici che utilizzano tecnologie multimediali e virtuali possono rispondere bene a esigenze individuali di apprendimento, se opportunamente calibrati; le creazioni di ultima generazione utilizzano splendidamente e simultaneamente sia immagini che suoni – a volte persino odori, come accade nelle isole olfattive – e permettono anche a cinestesici puri di entrare in contatto con l’oggetto di interesse attraverso una relazione attiva e creativa.
Il virtuale e il multimediale sono segni fondanti della contemporaneità. I giovani e i bambini negli ultimi anni sono stati allevati fra microchip e immagini virtuali e questo ha creato uno sbilanciamento degli stili attuali di apprendimento verso modalità visive. Non dimentichiamo però che buona parte delle persone che frequentano i nostri musei è costituita da ultracinquantenni e ultrasessantenni, vale a dire da persone che, se non stimolate da esigenze professionali o pressioni familiari, di norma hanno poca confidenza con tutto ciò che è ipertecnologico e virtuale.

Speciale musei virtuali - pag. 12 [2006 - N.26]

Il censimento dei beni culturali ecclesiastici delle diocesi italiane

Gian MatteoCaputo; F.M. D'Agnelli - Referente scientifico dell'Ufficio nazionale beni culturali della CEI per il Progetto Ecumene; Collaboratrice dell'Ufficio nazionale beni culturali della CEI

Dagli anni ’90 la Conferenza Episcopale Italiana ha attivato un grande processo di inventariazione informatizzata dei beni culturali ecclesiastici di proprietà delle 225 diocesi italiane. L’uso delle tecnologie, e dell’informatica in particolare, ha consentito di quantificare e conoscere un patrimonio grande e capillarmente diffuso, di valutarne lo stato di conservazione e monitorarne l’uso, di studiarne e accertarne il valore storico artistico e di precisarne attribuzioni e qualità, ma soprattutto di offrire alle comunità cristiane nuovi strumenti di promozione culturale e di attività pastorale. Senso ultimo di questo impegno è infatti il grande sforzo che la CEI ha promosso nel progetto culturale, dove l’attività pastorale si serve anche dei beni culturali come strumento di evangelizzazione e di dialogo fra le culture.
Il coordinamento del lavoro di censimento dei beni culturali ecclesiastici è iniziato nel 1996 con l’approvazione del Progetto d’Inventariazione Informatizzata dei beni storici e artistici mobili. Allo stato attuale sono attive la quasi totalità delle diocesi italiane. Il livello di schedatura concordato con l’ICCD è quello di inventario. La scelta è stata orientata dall’urgenza di raccogliere i dati e di poter quindi, quanto prima, tutelare o almeno documentare il patrimonio ecclesiastico mobile. Attualmente la Banca Dati nazionale è composta da oltre 2.000.000 di schede e relative immagini, anche se la produzione delle singole diocesi supera di gran lunga questi numeri. Per vidimare le schede, le diocesi inviano dei campioni di centinaia di schede all’Ufficio nazionale, che provvede a visionare gli archivi e ad inviare in Curia una nota di revisione dei materiali in cui sono segnalati eventuali disallineamenti rispetto alla sistematica di compilazione.
L’Ufficio Nazionale provvede a caricare la banca dati centrale e ad incrementare BeWeB, Beni ecclesiastici in web(www.chiesacattolica.it/beweb/), sito attraverso cui sono pubblicate periodicamente schede provenienti dalle diocesi – garantendo l’oscuramento dei campi che potrebbero compromettere la sicurezza del patrimonio – e si provvede a realizzare percorsi tematici che ruotano intorno al patrimonio inventariato. Ricordiamo inoltre, che sono stati avviati il Progetto CEI-bib per le biblioteche ecclesiastiche, il Progetto Archivi per gli archivi storici ecclesiastici e il Censimento delle chiese di proprietà parrocchiale e diocesana, tutti progetti che si valgono di strumenti informatici e software appositamente studiati per le diverse tipologie di beni da catalogare. L’Ufficio Nazionale è altresì impegnato in uno studio sperimentale, teso a valutare gli effetti positivi derivanti dalla lettura incrociata dei diversi archivi di beni culturali: storico artistici, architettonici, archivistici e librari. I primi risultati della ricerca confortano sugli esiti ottenuti dalla realizzazione di un portale web comune che darà accesso differenziato ai dati, permettendo da una parte grande accessibilità, garantendo dall’altra la sicurezza dei beni schedati.
Il lavoro sugli Authority file ha come premessa il progetto Ecumene: strumenti telematici per la fruizione del patrimonio dei beni culturali della Chiesa Cattolica in Italia con l’obiettivo di realizzare strumenti tecnologici per la fruizione integrata, attraverso il web, di descrizioni afferenti a diversi settori disciplinari del mondo dei beni culturali. Il punto di partenza è stato il confronto dei tracciati delle diverse tipologie dei beni culturali, con conseguente ipotesi di integrazione delle descrizioni relative, riferendosi ad “informazioni di contesto” (persone, enti, luoghi, ecc.). Si è giunti a formulare una ipotesi di modello descrittivo concettuale dei beni culturali a prescindere dall’ambito di appartenenza, mettendo in evidenza caratteristiche trasversali o aggreganti delle descrizioni di oggetti diversi che possono costituire delle relazioni-guida per l’accesso ai dati stessi.
Ecumene costituisce quindi il prototipo del punto di approdo dei diversi progetti di inventariazione, che hanno coinvolto professionalità diverse nel campo storico artistico, architettonico, archivistico, bibliotecario e informatico. Da Ecumene (http//:prototipo.ecumene.it) nascerà il portale che, attraverso la interrogazione cross-domain, consentirà di legare le diverse tipologie dei beni e soddisferà il duplice obiettivo di rispondere alle domande di un’utenza specialistica e suggerire percorsi tematici ad un’utenza meno esperta ed esigente. Tutto ciò anche grazie ad una complessa gestione della profilazione utenti che è stata progettata per allargare quanto più possibile il bacino dei potenziali fruitori.

Speciale catalogazione - pag. 12 [2006 - N.27]

Molteplici eventi organizzati a Ravenna nel corso dell'anno per celebrare Garibaldi.

Claudia Foschini - Cooperativa Culturale "Pensiero e Azione"

Nel bicentenario della nascita di Giuseppe Garibaldi le associazioni della città di Ravenna hanno colto l'occasione per celebrare l'avvenimento con una serie di iniziative di vario livello e di carattere differente.

La Società Conservatrice del Capanno Garibaldi, fondata nel 1879 da Primo Uccellini, è il principale attore di queste celebrazioni. Gli uomini della Società, che hanno già nel loro statuto compiti come il mantenere vivo il ricordo delle eroiche vicende garibaldine in Romagna e il concorrere alla valorizzazione e conservazione di tutto ciò che richiama l'epopea risorgimentale, si preparavano da tempo a questa ricorrenza. Assieme alla cooperativa culturale "Pensiero e Azione" sono stati organizzati due eventi in contemporanea.

La prima di queste iniziative è la mostra dal titolo "I Garibaldini nel Risorgimento dalla Repubblica Romana a Mentana". All'interno delle Biblioteca Oriani sono in mostra quadri, stampe e fotografie dell'archivio del Capanno Garibaldi e della cooperativa "Pensiero e Azione", integrata da cimeli provenienti da alcuni musei come il Museo Civico di Bologna o la Biblioteca comunale Saffi di Forlì oltre che a materiale appartenente a collezioni private.

Il secondo evento è la presentazione di un opuscolo dal titolo "1849: il passaggio di Garibaldi in Romagna da San Marino agli Appennini". Qui l'attenzione è volta più specificatamente agli eventi della Trafila garibaldina in Romagna. L'opuscolo è curato da Maurizio Mari e la prefazione all'opera è stata affidata a Roberto Balzani, docente dell'Università di Bologna e presidente dell'Associazione Mazziniana Italiana.

Anche l'"Associazione nazionale veterani e reduci garibaldini" collabora alle iniziative distribuendo ai soci e ai simpatizzanti un biscotto invetriato con il volto di Garibaldi, realizzato dal ceramista faentino Matteucci. Questa creazione artistica sarà distribuita in occasione delle celebrazioni del 2 giugno. Sempre il 2 giugno sarà presentato un annullo postale ritraente Garibaldi con la bandiera italiana. Per gli appassionati di numismatica sarà disponibile una medaglia raffigurante nella parte testa l'effige dell'eroe e nella parte croce la dicitura Cooperativa Pensiero e Azione e Società Conservatrice Capanno Garibaldi.

Il Comune di Ravenna promuove, in collaborazione con l'amministrazione provinciale, la "Pensiero e Azione", la "Società conservatrice" e la Fondazione Cassa di Risparmio Ravenna, un concorso per la realizzazione di una T-shirt ispirata all'eroe dei due mondi. Il concorso, rivolto agli studenti delle scuole medie superiori ed Istituti d'arte e di grafica della provincia, rientra nel programma promosso dal Comitato nazionale per le celebrazioni.

Anche i più giovani saranno coinvolti nelle celebrazioni: gli studenti della scuola media Damiano-Novello e un gruppo di loro coetanei della città brasiliana di Laguna, patria di Anita, produrranno una rappresentazione teatrale sulla vita e sulle gesta dell'eroe. Sempre rivolto ai ragazzi è la realizzazione di un dvd con le immagini riprese durante un tour in bicicletta dei luoghi garibaldini di Romagna, realizzato dai signori Valentini di Russi, che la Società Conservatrice distribuirà a 38 scuole ravennati.

Si segnala, inoltre, il progetto di far realizzare - su modello della camicia conservata al Museo del Risorgimento di Ravenna - copie delle camicie rosse dei garibaldini. Questa iniziativa è in collaborazione con il Centro di Formazione Professionale Benedetti e i coniugi Merkel, eredi degli artigiani che in Germania realizzarono la stoffa con cui furono realizzate le divise degli uomini di Garibaldi.

Sul versante editoriale gli ultimi mesi hanno visto l'uscita della pubblicazione "Il Capanno Garibaldi", tesi di laurea di Giorgia Vittonato con prefazione di Roberto Balzani pubblicato da Longo; Giovanni Caramalli è invece l'autore dell'opera "1849-2007: Lungo le vie di Garibaldi e della trafila romagnola" edita dall'editore cesenate Il ponte vecchio.


Speciale Epopea Garibaldina - pag. 12 [2007 - N.28]

Il progetto di un Portale della cultura parte dal prossimo restyling del sito del Sistema.

Claudio Leombroni - Responsabile Servizi Reti Risorse Sistemi - Provincia di Ravenna

I dieci anni delle rete museale provinciale coincidono con dieci anni di enormi sviluppi delle tecnologie applicate ai beni culturali. Basti solo pensare all'affermazione di Internet come ambiente tecnologico di riferimento per i sistemi informativi pubblici e per l'informatica domestica.

Proprio Internet, e più precisamente la rete civica Racine (www.racine.ra.it), una particolare applicazione di quella tecnologia che la Provincia avviò fra 1995 e 1997, è stata l'occasione per disegnare i primi tratti identitari della rete museale. Ancor prima della sua formalizzazione, la presenza dei musei e delle pinacoteche del nostro territorio in un'area specifica del web ne ha evidenziato i confini, l'identità territoriale e le caratteristiche; ne ha valorizzato storia e patrimonio; ne ha agevolato la percezione, almeno nel visitatore del web, come di qualcosa sufficientemente unitario e articolato per essere qualificato come rete.

La presenza dei musei nel web della rete civica era distinta da quella delle biblioteche. Nel corso del tempo la capacità delle nuove tecnologie di attraversare confini disciplinari o concettuali, di facilitare la convergenza fra domini di interesse eterogenei, ha creato le condizioni per progetti comuni. A questo risultato ha condotto anche un elemento, spesso sottovalutato o incompreso, ma fortemente connesso alle tecnologie dell'informazione: le aspettative degli utenti.

Dal punto di vista dell'utente che utilizza strumenti e ambienti informatici non hanno infatti molto senso le tradizionali distinzioni fra istituti culturali. O, altrimenti detto, l'utente (nelle varie dimensioni di cittadino, studioso, studente ecc.) si aspetta di avere a disposizione una infrastruttura in grado di soddisfare indistintamente le proprie esigenze informative e di rispondere a domande complesse, magari trasversali a biblioteche, musei e archivi.
Sulla base di questa consapevolezza la Provincia di Ravenna ha promosso - d'intesa con l'IBACN - il progetto Camus (Cooperazione e Automazione per i MUSei). Il progetto presuppone un tipico scenario di riferimento per le politiche degli Enti locali che può essere così abbozzato:
  • 'musealizzazione' di una determinata area territoriale;
  • valorizzazione delle tradizioni anche mediante la digitalizzazione di oggetti e testimonianze orali;
  • definizione di interconnessioni con la bibliografia e le testimonianze archivistiche relative a quella determinata area;
  • implementazione di un sistema di marketing e valorizzazione turistica;
  • fruibilità in termini di politiche educative e di crescita della qualità delle risorse umane.
È il caso di ricordare, se è consentita una qualche punta di orgoglio, che le intuizioni di fondo del progetto e le tecnologie utilizzate sono state adottate dallo stesso Ministero per i Beni culturali per arricchire i contenuti dei propri portali. Quelle tecnologie hanno consentito di realizzare alcuni percorsi espositivi virtuali (Mar di Ravenna, Pinacoteca Comunale di Faenza, Museo Civico Le Cappuccine di Bagnacavallo, MUSA - Museo del Sale di Cervia, Museo del Castello di Bagnara di Romagna, percorso sulle "eccellenze artistiche" all'interno di nove diversi musei locali), con l'implementazione dell'interrogazione del catalogo delle biblioteche per estrarre le bibliografie relative ai singoli oggetti museali.

Quanto realizzato sarà presto disponibile nell'ambito del nuovo sito web del Sistema Museale Provinciale (www.sistemamusei.ra.it). Il passo successivo sarà consolidare il sito e l'infrastruttura tecnologica sottostante nell'ambito di un Portale provinciale della cultura, comprendente pertanto anche il sito della Rete bibliotecaria di Romagna e della nascente rete archivistica. Ciò presuppone che gli operatori dei musei, delle biblioteche e degli archivi si sentano parte di una comunità che travalica le specializzazioni degli istituti e delle professioni. Lo svolgimento di un Open day delle biblioteche, musei e archivi, giunto quest'anno alla terza edizione, è un primo significativo momento per facilitare la convergenza culturale oltre che quella tecnologica, per molti aspetti meno problematica.

Speciale decennale del Sistema Museale Provinciale di Ravenna - pag. 12 [2007 - N.30]

ANMLI da oltre mezzo secolo promuove la tutela del patrimonio artistico, storico e scientifico degli enti locali e istituzionali

Anna Maria Montaldo - Presidente di ANMLI

L'Associazione Nazionale dei Musei Locali e Istituzionali, fondata nel 1950, ha come finalità la promozione di un'adeguata tutela del patrimonio artistico, storico e scientifico di proprietà o di pertinenza degli Enti Locali e Istituzionali, la promozione dell'incremento delle raccolte, della ricerca scientifica e delle attività culturali, la valorizzazione delle funzioni e della professionalità dei quadri scientifici operanti nei musei. La sua azione in più di mezzo secolo e i contenuti dei suoi Congressi Nazionali, documentati negli Atti, sono sempre stati ispirati a porre al centro dell'attenzione degli Organi statali centrali e periferici e delle Amministrazioni locali i problemi dei Musei Locali e Istituzionali, spesso ignorati dagli stessi Enti proprietari o sottovalutati nelle loro potenzialità e realtà culturali.
Si deve anche all'attività di ANMLI la creazione della legge n. 1080 del 22 settembre 1960, prima legge dello Stato in materia di Musei Locali e Istituzionali, che stabilì la classificazione di questi musei secondo categorie relative all'entità delle raccolte, cui dovevano corrispondere funzionali regolamenti nei quali fossero stabilite anche le dotazioni di personale scientifico e tecnico. Con il passaggio alle Regioni delle competenze in materia di musei locali, l'ANMLI costituì Commissioni Regionali e Responsabili Locali a livello regionale, che svolsero e svolgono tuttora un proficuo lavoro ricercando la collaborazione con gli Assessorati e gli uffici regionali competenti.
Negli ultimi anni l'Associazione ha favorito la convergenza delle principali associazioni museali italiane su obiettivi comuni e condivisi e ha sottoscritto l'accordo che ha istituito la Conferenza permanente delle associazioni museali italiane; in tale spirito ha partecipato attivamente alla preparazione e stesura di importanti documenti normativi quali gli Standard per i musei italiani e la Carta nazionale delle professioni museali.
Per il futuro l'ANMLI si propone di contribuire al rilancio delle funzioni del museo specialmente in un quadro di rapporti in rapida quanto, spesso, non coordinata evoluzione, che vede, accanto allo Stato e agli Enti Locali, affermarsi con connotazioni ancora incerte ma indubbiamente fertili di risultati, l'iniziativa dei privati attraverso varie forme istituzionali e gestionali.
Possono iscriversi all'Associazione, in qualità di Soci istituzionali, i musei degli Enti Locali o i musei istituzionali, compresi i musei ecclesiastici e privati e, in qualità di Soci singoli, i direttori, i funzionari scientifici, tecnici e amministrativi dei musei stessi anche non in attività di servizio, i professionisti museali che svolgono attività presso Enti pubblici od organizzazioni private, docenti di discipline attinenti alla museologia e alle materie affini e tutti i cittadini italiani e stranieri che condividano le finalità dell'Associazione.
Oltre all'organizzazione di numerosi congressi e all'attività editoriale, l'ANMLI, grazie alla convenzione con l'Università di Ferrara, ha organizzato il Corso di Perfezionamento Interfacoltà MuSeC, in Economia e Management dei musei e dei servizi culturali, che si propone di fornire conoscenze rivolte allo sviluppo e al miglioramento dei musei, delle attività e dei servizi culturali e intende offrire competenze utili alla pianificazione, programmazione e gestione di istituzioni e organizzazioni che operano nel campo dei beni culturali. Il corso si rivolge a professionisti già inseriti nell'ambito di musei, di organizzazioni espositive e culturali, di enti pubblici e privati; è aperto anche a giovani laureati che intendono perfezionarsi in tali campi, dando una visione complessiva dei problemi e una conoscenza adeguata di esperienze e progetti innovativi.
Attualmente l'Associazione è particolarmente impegnata in due progetti. Il primo intende dare un contributo fondamentale alla costituzione storica delle realtà museali italiane, civiche e istituzionali, promuovendo giornate di studio in tutte le Regioni e raccogliendo i risultati che costituiranno un grande affresco dell'attualità museale italiana e della sua storia. Il secondo progetto riguarda un'indagine sui sistemi di gestione e ha l'obiettivo di raccogliere dati e strumenti amministrativi formanti una banca dati consultabile nel sito dell'ANMLI da tutti gli operatori del settore (www.anmli.org).


Speciale Associazioni Museali Italiane - pag. 12 [2008 - N.33]

Le ceramiche futuriste nelle collezioni del MIC di Faenza

Franco Bertoni - Esperto delle collezioni moderne e contemporanee del MIC

Nell'anno che vede articolarsi su scala non solo nazionale le celebrazioni del centenario della fondazione del movimento futurista (del 20 febbraio 1909 è appunto l'uscita su Le Figaro del famoso manifesto marinettiano) i debiti e i crediti del Futurismo sono, oggi, abbastanza chiari. Tra i crediti non si può non annoverare quanto espresso in ceramica nella decade tra il 1925 e il 1935: Faenza e Albisola sono state i centri ceramici in cui il movimento, tentando un rilancio dei suoi spesso apodittici propositi nel campo dell'oggetto d'uso quotidiano (la "ricostruzione futurista dell'universo"), ha dato segni di rinnovata vitalità e di un aggancio con una modernità in Italia ancora più auspicata che realizzata. Nell'uno e nell'altro caso si è trattato di pezzi spesso unici, realizzati con le tecniche più tradizionali e ben lontani da una produzione seriale.
A Faenza, tra il 1928 e il 1929, Riccardo Gatti aderisce al programma produttivo e commerciale ideato e diretto da Giuseppe Fabbri, giornalista, critico e scrittore che riesce ad attirare nell'iniziativa Giacomo Balla, Mario Guido Dal Monte, Pippo Rizzo, Benedetta, moglie di Marinetti, Gerardo Dottori e altri futuristi. Anche Mario Ortolani e Anselmo Bucci, per l'occasione, traducono in ceramica disegni futuristi.
Rispetto ai contemporanei prototipi di Balla, ad esempio, nelle opere di Gatti si assiste a un utilizzo di forme non certo eversive in cui la forza d'urto dei contrasti di colore e delle linee spezzate, in realtà ormai smorzata da due decenni di frequentazione, viene addolcita e temperata da recuperi figurativi.
Se le ceramiche futuriste elaborate a Faenza in questo biennio sono scarsamente documentate al MIC, di ben maggiore rilevanza è il corpus consegnato nel 1929 al Museo da Tullio Mazzotti, erede della manifattura di famiglia fondata nel 1903 e principale protagonista della vicenda ceramica futurista albisolese, assieme al fratello Torido. Dopo avere notato le opere di Balla e di Depero esposte alla "Exposition des Arts Décoratifs" di Parigi del 1925, Tullio, poi denominato D'Albisola da Marinetti, indirizza parte della produzione della manifattura in senso futurista, coinvolgendo nel tempo artisti come Fillia, Bruno Munari, Farfa, Nino Strada, Alf Gaudenzi, Nicolaj Diulgheroff, Dino Gambetti, Enrico Prampolini e Giovanni Acquaviva. Le ceramiche di Tullio sono certamente le più sorprendenti e le più aderenti allo spirito del movimento. Descritte come Arcivasi, Biboccali, Bivasi, Tuberie, Servizi fiorantipasto, Vaso proiettile, Bomboniere elettriche, Copperotiche, le opere di Tullio innovano significativamente alcune forme d'uso e, soprattutto, vi fanno aderire apparati decorativi ludici e demistificatori della stessa funzione: una sorta di ceramica parlante in cui confluiscono il lirismo parolibero di Marinetti e le sintesi grafiche di Depero. Lo sberleffo futurista trova in Tullio un interprete pari al solo Depero nei campi, questi sì veramente moderni, della ceramica quotidiana, della pubblicità, della cartellonistica e della grafica. Nel 1938, comunque, elabora con Marinetti il manifesto Ceramica e aeroceramica e nel 1939, quasi a sintesi di questa esperienza, pubblica il volume La ceramica futurista.
Il primo lascito al MIC avviene nel 1929, a seguito della presenza di Tullio all'VIII Corso di Storia della Ceramica di Faenza come relatore sul tema Dalle ceramiche liberty alle aeroceramiche futuriste. Tra le opere donate alcuni capolavori: Fiori dei miei giardini, un vaso sferico con aggettivazioni plastiche inedite e un decoro in cui si miscelano sintesi naturalistiche e grafica tipografica, Piatti in cui si accavallano sintetiche rese pittoriche, numeri, lettere e espressioni di devozione al Duce, un Servizio da tè, borghese nella funzione ma ardito di concezione.
L'amicizia instauratasi con Gaetano Ballardini porterà a una seconda donazione nel 1949, nel momento cruciale della ricostruzione del Museo dopo i danni bellici, con opere, tra le altre, dello stesso Tullio (Vaso con punto interrogativo del 1927 e Ritratto di bambina del 1929), Torido Mazzotti (Vasi motorati del 1930-32), Fillia (Aerovaso del 1932) e Bruno Munari (Bulldog e Cammello del 1934). Le ceramiche futuriste donate da Tullio d'Albisola sono in gran parte esposte al MIC nella sezione Italia Novecento e, per qualità e certa datazione, sono uno dei punti di riferimento della storiografia della ceramica futurista.

Speciale Futurismo in Romagna - pag. 12 [2009 - N.34]

Saline e ambienti fluviali sono i temi di MUSA e NATURA, musei dell'uomo e dell'ambiente

Mario Turci, Francesca Masi - Museologo, Responsabile di NATURA di Sant'Alberto

A Cervia, fra la vasta distesa d'acqua che non consente di essere governata dall'uomo, anche se può accoglierlo e dar frutto (il mare) e una più piccola distesa d'acqua voluta e governata dall'uomo, pronta a restituire il suo prodotto se "coltivata" (la salina), sta MUSA il Museo del Sale. Per sede, posizione, missione e gestione il Museo stabilisce un legame stretto e profondo con il proprio territorio: la sede è nel vecchio magazzino del sale, la posizione è fra mare e salina, la missione l'impegna ad essere un museo dell'uomo, capace di tracciare i lineamenti del suo insediamento e lavoro, l'accoglienza, le attività di guida e parte della didattica sono svolte dal Gruppo Culturale Civiltà Salinara.
Integrato al proprio territorio per sua natura, vita e identità, il Museo di Cervia partecipa alla sua valorizzazione attraverso iniziative proprie e di collaborazione sui temi legati ai prodotti locali e al sale quale elemento capace di tracciare percorsi trasversali fra storia e offerta d'incontro con le attualità della città. Il rapporto fra museo e territorio si gioca sostanzialmente sia sulla capacità del museo di partecipare alle politiche della qualità della vita, sia sulla sua disponibilità, e capacità, di stabilire relazione e realizzare "alleanze" produttive con le agenzie pubbliche e soggetti privati, associazioni ecc. In tal senso l'obiettivo del museo si sostanzierebbe nel partecipare, o farsi promotore, di reti d'offerta tramite legami strategici mirati alla valorizzazione del bene comune. MUSA che, nel suo strutturarsi e nella sua gestione, è già un esempio di "allenza produttiva" fra Ente locale (Comune di Cervia) e associazionismo privato (Gruppo Civiltà Salinara) è per sua missione un portale d'accesso a quelle concretezze territoriali - beni culturali, ambientali, gastronomici, sociali - nate, storicamente e culturalmente, dal rapporto degli uomini con l'acqua (mare e salina / pescatori e salinari) poi dal bisogno di una "città nuova", e conseguentemente dalla necessità di un'organizzazione territoriale degli insediamenti civili e produttivi.
Come il Museo del Sale è nato sostanzialmente dallo scopo di rendere evidente lo sviluppo storico di tali rapporti e le relative emergenze culturali, così a Ravenna "Natura" trova il senso dell'esporre e del fare museo nella valorizzazione del territorio e nel ripensamento della vita della città in relazione alla sua natura.
Il Museo Ornitologico e di Scienze Naturali, il tradizionale museo civico di scienze dallo storico edificio della Loggetta Lombardesca, dove si trovava, come tradizione dei musei di questo tipo, accanto alla Pinacoteca, è diventato "Natura" ed è stato allestito nel Palazzone di Sant'Alberto, antica hostaria estense, immersa nel Parco del Delta del Po. Le collezioni di esemplari naturalistici, donate al Comune dall'ornitologo Alfredo Brandolini sono state ricollocate nel luogo di provenienza, in un processo di attribuzione di senso del museo rispetto al territorio. L'ambiente naturale dunque è diventato il centro del museo in termini di allestimento, di orientamento didattico, di servizi e di fruizione. Nel Palazzone il Centro Visita del Parco, presente insieme ai servizi museali, offre l'opportunità, mediante la ricca offerta di escursioni e di esperienze in natura, di amplificare e concretizzare gli obiettivi scientifici e didattici delle collezioni mediante l'agnizione dell'appartenenza ad una comune cittadinanza di natura, spesso dimenticata nella vita di ogni giorno. Tra le tante proposte concrete che esemplificano la funzione paradigmatica del museo rispetto al suo territorio vi è la visita alla penisola di Boscoforte, prima d'ora chiusa al pubblico, uno dei più suggestivi e incontaminati ambienti dell'intero territorio del Parco, uno stretto cordone dunoso di epoca etrusca che dall'argine del fiume Reno si spinge, per circa 6 km all'interno delle Valli di Comacchio. L'area è caratterizzata da una notevole varietà di ambienti, legati alla contemporanea presenza di zone di acqua dolce e salmastra e sono presenti varietà di uccelli difficilmente avvistabili, ma presenti nelle collezioni esposte al museo: il visitatore è così messo in condizione di ricostruire un legame forte di storia e natura, origine e prospettiva, conservazione e sviluppo.

Speciale Musei e Paesaggio - pag. 12 [2009 - N.35]

L'Accademia di Belle Arti di Ravenna: novità per le arti visive e il mosaico

Maria Rita Bentini - Coordinatrice dell'Accademia di Belle Arti di Ravenna

L'Accademia ha una lunga e illustre storia che si sviluppa tra il XIX e il XX secolo fino ad oggi nella vita della città: centottant'anni di vita (che verranno presto festeggiati con la lectio magistralis dell'artista inglese Peter Greenaway e un libro), notevoli presenze di insegnanti, significativi momenti di rinnovamento culturale e artistico. Ad essa si collegano le collezioni del Museo d'Arte della città di Ravenna (la Pinacoteca è nata quale quadreria dell'Accademia), la Gipsoteca col suo importante nucleo di gessi del Canova, l'Archivio.
Risale al Consiglio Comunale del 23 ottobre 1803 la prima idea di una Accademia in Ravenna: il progetto prende concretamente forma nel 1827, anno di fondazione della nuova istituzione, cui fece seguito l'apertura il 26 novembre 1829. Nel 1970 il "Consorzio per l'Accademia" rifonda l'istituzione anche con nuova attenzione per le arti applicate; nel 1974 si ottiene il riconoscimento legale (con D.P.R. 23/08/1974) e da questo momento l'Accademia segue le normative statali per il suo assetto didattico. Vengono introdotti numerosi Corsi complementari ad integrazione delle materie fondamentali, che negli ultimi decenni hanno arricchito la formazione accademica e la centralità delle tre scuole di Pittura, Scultura, Decorazione con nuovi percorsi artistici e professionali, come Mosaico e Oreficeria, corsi non previsti nelle Accademie statali e concessi dal Ministero della Pubblica Istruzione nel 1996, in relazione alla vocazione artistica del territorio. L'Accademia di Ravenna ha da allora progressivamente caratterizzato la sua offerta formativa con la specificità del linguaggio musivo nel contesto della sperimentazione artistica contemporanea, distinguendosi per questo in ambito nazionale e internazionale. L'accordo di collaborazione con l'Accademia di Belle Arti di Bologna, a partire dall'AA.2008-9, è volto a qualificare maggiormente Ravenna nel sistema nazionale dell'Alta Formazione Artistica con un'identità legata al Mosaico.
Oggi l'Accademia di Belle Arti di Ravenna offre un Triennio di Arti Visive - Mosaico (diploma di primo livello, equiparato alla Laurea universitaria) e un Biennio Specialistico di Mosaico (diploma di secondo livello, equiparato alla laurea magistrale).
Nel Triennio la centralità del Mosaico si affianca ad altri linguaggi della tradizione artistica come pittura, disegno, anatomia, scultura, decorazione, cui si aggiungono oreficeria, fotografia e new-media, oltre a numerosi corsi teorici, per consentire una ricca formazione nell'ambito delle arti visive e una dimensione fortemente sperimentale. Il Biennio di Mosaico è invece rivolto a chi è già in possesso di un diploma accademico di primo livello o di una Laurea triennale, per una formazione assai specialistica, unica in tutto il mondo, in cui la ricerca e la creatività legate al mosaico come linguaggio contemporaneo si rivolgono in particolare all'architettura, alla decorazione, al design, con una professionalità che si apre anche al restauro del mosaico contemporaneo.
Il percorso si arricchisce grazie a workshops condotti da artisti che utilizzano il linguaggio del mosaico, dal micromosaico al mosaico ambientale, mentre la capacità di progettare e realizzare opere in un contesto urbano, si amplia con competenze multimediali, in particolare per la simulazione 3D. Il laboratorio sperimentale dell'Accademia di Belle Arti di Ravenna apre allora ai giovani artisti contemporanei una nuova sfida: la manualità, l'alta tradizione del mosaico, la sua lentezza esecutiva e, accanto, la forza del progetto, l'inatteso (o anche la deliberata rottura) rispetto alla tradizione, la rapida contaminazione di linguaggi, la frammentazione come pensiero e forma stessa della contemporaneità.
Dell'eccellenza di questa storia e di questa formazione parlano le opere e le collaborazioni fin qui realizzate, ma... attenzione agli eventi in programma per RavennaMosaico in questo autunno: la mostra Doppio gioco in S. Maria delle Croci e il prezioso mosaico creato con Eugenio Carmi dai giovani artisti dell'Accademia per arricchire la grande collezione dei mosaici d'artista del Mar.

Speciale Mosaico - pag. 12 [2009 - N.36]

Vicino alle 10.000 incisioni contemporanee, il Gabinetto delle Stampe sperimenta il web 2.0

Diego Galizzi - Conservatore Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo

Se è vero che tra gli indici di vitalità di un istituto culturale - museo, biblioteca o archivio che sia - rientra, tra quelli più significativi, il ritmo di accrescimento delle collezioni che conserva, possiamo certamente dire che il Gabinetto delle Stampe di Bagnacavallo stia vivendo una fase di felice sviluppo, e questo nonostante la congiuntura economica non certo favorevole che stiamo attraversando. Nel corso dell'ultimo anno, o poco più, il Gabinetto ha infatti conosciuto un periodo di importanti donazioni che hanno arricchito in modo considerevole la sua collezione di stampe calcografiche, alcune di queste da parte di artisti particolarmente noti nel panorama incisorio nazionale e internazionale, e dunque di grande rilievo sia per il valore qualitativo delle opere sia per il non trascurabile fatto che, in alcuni casi, si tratta del lascito dell'intero corpus incisorio di questi maestri. Uno di questi è lo straordinario lascito del bulinista austriaco Jürgen Czaschka, un patrimonio ricchissimo, lungamente corteggiato dalla Biblioteca Nazionale di Vienna e da altre istituzioni artistiche in Germania e Austria, composto da 330 incisioni, circa 300 matrici calcografiche in rame o zinco e da diversi libri d'artista. Al suo percorso artistico, svoltosi principalmente in una Berlino carica di tensioni e contraddizioni per poi risolversi nella quiete dell'Appennino modenese vicino a Fanano, il Museo delle Cappuccine ha doverosamente dedicato una grande mostra antologica.
Altra importante acquisizione è stata quella della produzione grafica dell'incisore bolognese Raffaello Margheri, noto maestro dell'ortodossia del segno in acquaforte. Il fondo acquisito comprende circa 450 incisioni di piccolo e medio formato, vale a dire la quasi totalità delle realizzazioni calcografiche prodotte in trent'anni di carriera. All'artista bolognese il Gabinetto delle Stampe ha dedicato una mostra personale allestita nella chiesa del Pio Suffragio (27 marzo - 18 aprile 2010).
Il continuo flusso di accrescimento delle collezioni, frutto della riconosciuta centralità del nostro istituto nel settore dell'incisione contemporanea e del consolidato clima di fiducia instauratosi con la comunità degli incisori, ha ovviamente determinato un intensificarsi del lavoro di inventariazione e documentazione fotografica delle opere a cui abbiamo potuto far fronte anche grazie al prezioso contributo di Patrizia Cauteruccio, in Servizio Civile Nazionale presso il Museo Civico delle Cappuccine. In cifre, lo sviluppo del fondo grafico contemporaneo del Gabinetto delle Stampe si sostanzia nell'incremento da 8.235 pezzi inventariati a fine marzo 2009 ai 9.530 fogli, dato aggiornato al 31 gennaio 2010, mentre le opere fotografate digitalmente sono passate da 5.992 (fine marzo 2009) a 7.680 (gennaio 2010). Tutti i dati inventariali e le immagini digitali sono inoltre pubblicati in tempo reale nell'inventario on-line disponibile in consultazione all'indirizzo www.centrolecappuccine.it/ gabinettostampe/catalogo.php.
Sul fronte della ricerca e della documentazione, va sottolineata la nascita di un nuovo filone di attività che, affiancandosi alla periodica redazione del Repertorio degli Incisori Italiani, vuole dare ulteriore impulso all'attività di divulgazione del linguaggio artistico incisorio perseguita dal Museo. Si tratta di un progetto per la produzione, l'archiviazione e la diffusione di audiovisivi dedicati ai grandi maestri dell'incisione contemporanea denominato "GdS Video Archive"; in sostanza, una serie di documentari monografici, prodotti in forma di intervista, che andranno a formare una sorta di "galleria di ritratti" in grado di raccontare gli aspetti più significativi dell'arte, della poetica e della personalità degli artisti rappresentati. I documentari così realizzati formeranno un archivio digitale della memoria, di cui il Gabinetto Stampe sarà promotore, custode e divulgatore, che sarà messo a disposizione via internet sfruttando le potenzialità del web 2.0 come l'interattività sito-utente o l'integrazione con altre risorse disponibili in rete (ad esempio con l'inventario on-line delle collezioni). Il "numero zero" di questa serie è dedicata a Giuseppe Maestri, purtroppo recentemente venuto a mancare: il video Il mondo di Giuseppe Maestri oltre a essere l'inizio di una nuova sfida per il nostro centro, rappresentare il nostro omaggio a un uomo di cultura che tanto ha fatto per il Gabinetto bagnacavallese.

Speciale grafica - pag. 12 [2010 - N.37]

Il Museo Nazionale di Ravenna mette in rete le sue preziose raccolte e la sua specifica vocazione educativa

Cetty Muscolino - Direttrice del Museo Nazionale di Ravenna

Quando nel 1913 il Museo Nazionale si trasferì dai locali di San Romualdo a quelli dell'ex monastero di San Vitale, il patrimonio artistico di quelle che fra XVI e XVIII secolo erano state le principali abbazie cittadine, la Camaldolese di Classe e la Benedettina di San Vitale, si unirono inscindibilmente. Le prestigiose collezioni dei frati camaldolesi, di cui Pietro Canneti (1659-1730) fu il principale artefice, e le raccolte lapidarie dei monaci benedettini, composte nel 1754 dall'abate Pier Paolo Ginanni, si incontrarono in un luogo straordinario.
A queste due prime anime si aggiunsero nel tempo importanti donazioni, come quella dei tessuti copti nel 1902 e successivamente i reperti provenienti da scavi fortuiti o stratigrafici condotti nel territorio ravennate.
Lungo i lati dei chiostri rinascimentali del complesso architettonico capitelli finemente lavorati e sarcofagi, reperti lapidei di epoca romana e stele dei classiari, testimoniano la storia di Ravenna e del porto militare voluto da Augusto: un suggestivo libro scolpito nella pietra che illustra significativi aspetti della vita economica e sociale della città. Salendo ai piani superiori si possono ammirare, nella sontuosa farmacia settecentesca, piccoli bronzi e placchette e ancora, nelle sale successive, transenne, cofanetti in avorio, monete, ceramiche istoriate, scintillanti armature e icone.
Il grandioso complesso architettonico è stato oggetto di grandi opere di ricostruzione dopo i tragici eventi bellici e ancora di restauri e adeguamenti: un cantiere continuo, data la complessità della struttura e la necessità di renderla sempre più funzionale; trasformazioni che lo hanno reso più accessibile e accattivante; ampliamenti della superficie espositiva e nuovi allestimenti, fra cui i più recenti riguardano la collezione delle icone e degli avori.
Fra le scelte che hanno reso il Museo ancor più appetibile si segnala la ricomposizione "in esploso" dell'abside della chiesa di Santa Chiara, affrescata da Pietro da Rimini nei primi decenni del XIV secolo, nel refettorio: un'operazione che fra battute d'arresto e riprese è durata quasi mezzo secolo. L'apparente quiete del Museo cela l'interna vitalità e il fervore delle cure continue e dell'organizzazione delle tournees per le opere d'arte richieste per esposizioni: dai bronzetti rinascimentali raffiguranti angioletti con simboli della passione, volati in America, al pastorale in avorio invitato a Oldenburg, per la mostra su Federico II; dalla placchetta di Apollo e Marsia, richiesta dal Museo degli Argenti di Palazzo Pitti di Firenze per la mostra "Pregio e bellezza. Cammei e intagli dei Medici", alla transenna marmorea di San Michele in Africisco, che insieme a un cofanetto d'avorio, un pregiato tessuto serico e al frammento musivo dell'angelo della volta del presbiterio di San Vitale sono ospitati a Bonn nella recente mostra "Lusso e vita quotidiana a Bisanzio".
Ci sono poi ovviamente pezzi "più gettonati", come i frammenti di tubi plumbei (fistulae), testimonianza dei lavori di ripristino dell'acquedotto fatti eseguire da Teoderico, o la pregevole copertura di evangeliario in avorio del VI secolo, detta "Dittico di Murano".
I Servizi educativi del Museo partecipano ormai di prassi agli eventi speciali promossi dal Comune di Ravenna come la Notte d'Oro, in autunno, o Mosaico di Notte, durante il periodo estivo.
In sintonia con le direttive ministeriali si segnalano iniziative quali la Notte dei Musei, le Giornate Europee del Patrimonio, la Settimana della Cultura e la Festa della Musica, in occasione del solstizio d'estate, evento che promosso dalla Francia si è esteso in tutta l'Europa.
Il Refettorio del Museo è luogo ideale per ospitare conferenze e presentazioni di libri e, grazie all'acustica eccezionale, accoglie eventi musicali fra cui si segnalano i mirabili concerti dell'Accademia Bizantina.
L'equipe di archeologi, storici dell'arte e assistenti del Museo interagisce attivamente con la città attraverso una sistematica azione educativa rivolta alla scuola dell'obbligo (visite guidate e attività di laboratorio per gli allievi) e incontri seminariali per i docenti. Certamente il Museo Nazionale non rientra in quella forma di "turismo fast food" che fa guadagnare ristoratori e commercianti, ma con la sua attività educativa rivolta ai giovani, rende questa città infinitamente più ricca e sensibile.

Speciale Rinnovo Sistema Museale - pag. 12 [2010 - N.38]

Il problema della collaborazione fra archivi, biblioteche e musei in Italia

Ferruccio Ferruzzi - Vicepresidente ANAI

La collaborazione fra archivi, biblioteche e musei (in inglese MLA) è da tempo una realtà consolidata e diffusa in altri paesi, specialmente anglosassoni, in cui esistono istituzioni e centrali e periferiche unificate, come il Museums, Libraries and Archives Council del Regno Unito e altre. Il rapporto IFLA 108/2008 "Public Libraries, Archives and Museums: Trends in Collaboration and Cooperation" descrive numerosi casi di collaborazioni in quei Paesi nei due principali ambiti di collaborazione rilevati, i progetti di digitalizzazione di documenti e cataloghi e l'integrazione dei servizi.

La situazione è certamente molto diversa in Italia, dove, a parte singoli esempi, non c'è una simile diffusa collaborazione MLA e nemmeno studi condivisi in merito, e tanto meno il principio di collaborazione è stato recepito a livello politico-istituzionale. Eppure, in tempi di prevedibile ulteriore riduzione delle risorse pubbliche per la cultura, si tratta ormai evidentemente di una necessità strategica.

Che l'esigenza sia sentita almeno nel mondo archivistico è dimostrato dal fatto che la II Conferenza Nazionale degli Archivi, organizzata a Bologna del 2009, si intitolava proprio Fare sistema. In essa si è dedicata una sessione apposita al progetto, in corso di avanzata preparazione, di costituzione del Sistema Archivistico Nazionale (SAN) mediante un apposito portale aperto alla partecipazione di tutti i soggetti operanti nel settore, sancita da una convenzione nazionale fra la Direzione Generale e le rappresentanze nazionali degli altri Enti.

Pur muovendosi nella direzione del tipo di cooperazione MLA sviluppato all'estero, per ora l'Italia è però ancora attestata su subsistemi settoriali verticali distinti, come saranno ad esempio SAN e SBN. Ma potrebbe anche trattarsi di una forse necessaria fase intermedia che può preludere a successivi tentativi di integrazione orizzontale. In vista delle future tappe di un processo di collaborazione e integrazione MLA, credo sia bene focalizzare i problemi che, oltre al semplice 'ritardo' tecnologico e organizzativo con cui si sta affrontando la tematica della collaborazione MLA, costituiscono certamente motivo non trascurabile della difficoltà di attuarla nel nostro Paese.

Si parla dell'esigenza di superare una "tradizionale frammentazione" italiana in questo campo. Questo senz'altro è un primo punto differenziale rispetto alle tradizioni anglosassoni da considerare. Da noi, sia le istituzioni che le culture scientifiche e professionali dei tre settori sono tradizionalmente separati secondo una forte accentuazione delle rispettive specificità, che hanno sempre precluso un approfondito dialogo e collaborazione su basi comuni condivise. Se questa situazione ha consentito al nostro Paese di sviluppare culture tecnico-scientifiche settoriali approfondite e considerate all'avanguardia in campo internazionale, ora può costituire un handicap per la collaborazione quando queste culture si irrigidiscono - anche per pur comprensibili ragioni di ormai avanzata età media degli operatori attivi - arroccandosi nella difesa delle proprie specificità. Eppure, la grande trasformazione sociale per cui i servizi culturali oggi non possono più essere prevalentemente destinati a un pubblico ristretto di più elevato livello di competenza separato in distinte specializzazioni, rende necessaria una collaborazione intersettoriale ben maggiore per la mediazione culturale integrata a livello più divulgativo che oggi si richiede.

L'altro punto essenziale è la molto diversa distribuzione delle istituzioni culturali sul territorio, che vede il patrimonio culturale italiano estremamente diffuso sul territorio, con una struttura policentrica anche delle istituzioni maggiori, che risente della tradizione storico-politica e culturale italiana anche preunitaria. Tutto ciò da una parte ha favorito il processo storico di 'specializzazione' delle istituzioni e delle culture professionali dei tre settori, e dall'altra rende oggi più critico e complesso rispetto ad altri paesi il processo di integrazione a livello territoriale.

Più che preoccuparci di individuare strumenti e procedure per la collaborazione, credo che associazioni professionali come la nostra debbano lavorare anzitutto per una convergenza di culture professionali sugli obiettivi comuni, che discendono direttamente da una riconsiderazione più attenta della composizione, delle competenze e delle esigenze del pubblico degli utenti dei servizi culturali, più che dalla tradizionale considerazione delle sole figure di utenti specializzati, per così dire, specchio delle figure professionali degli operatori. Altrimenti, come talora accade, si rischia che ognuno continui a presentare un proprio pur lodevole monologo di buone intenzioni, anziché dialogare a fondo con i colleghi degli altri settori cercando soprattutto di trovare una nuova base comune.


Speciale Convergenza Musei Biblioteche e Archivi - pag. 12 [2010 - N.39]

A Faenza due mostre tentano di restituire aspirazioni e tumulti dell'epoca risorgimentale

Claudio Casadio - Direttore Pinacoteca Comunale di Faenza

È difficile raccogliere in mostra speranze, sentimenti, ideali e delusioni. Ancora più difficile se tutto questo si riferisce a un episodio o almeno a un determinato periodo: l'Unità d'Italia. A raccogliere una parte di questi aspetti ci provano due esposizioni da poco inaugurate a Faenza; si tratta della mostra Arte faentina nella Firenze dell'Unità d'Italia. La presenza di Achille Farina e Michele Chiarini alla esposizione nazionale del 1861, che fino al 10 maggio espone in Pinacoteca Comunale una mezza dozzina di quadri e della mostra Autografi risorgimentali, aperta fino al 2 maggio in Biblioteca Manfrediana, che presenta documenti autografi, fotografie, lettere e corrispondenza varia.

L'apertura più emblematica è forse proprio quella della Biblioteca, dove è possibile ammirare la fascia tricolore, ancora chiamata "sciarpa tricolore" in didascalia, che indossò il primo sindaco di Faenza all'indomani dell'Unità di Italia. Aiuta sicuramente a ricostruire uno stato d'animo pensare questo simbolo dell'Italia unita indossato da Gaetano Carboni, un primo cittadino iscritto alla Giovane Italia, che era stato in esilio sette anni per motivi politici e che era conosciuto per la farmacia familiare, luogo di ritrovo per "patrioti liberali, preti liberaleggianti e persone distinte anche per cultura". Di grande suggestione anche la foto del garibaldino Baracani, con la camicia rossa e un lungo fucile al fianco, o la lettera autografa di Don Giovanni Verità, il prete noto per aver salvato Garibaldi nella trafila romagnola, che nel 1867 significativamente scrive: "in generale regna per tutto un'inquietudine, un malcontento fomentato dalla miseria, in gran parte dalle tasse e dalle circostanze passate, né è facile prevedere come andrà a finire: speriamo bene".

La mostra in Pinacoteca documenta la partecipazione di due artisti faentini alla prima esposizione nazionale del 1861 di Firenze. Alcuni quadri presentati in quella occasione da Achille Farina e Michele Chiarini sono nelle collezioni della Pinacoteca e ricostruiscono il clima artistico cittadino dell'epoca. La pittura di quegli anni era rivolta soprattutto a valorizzare le opere di carattere storico e di richiamo alla classicità. Quindi il Chiarini, amico strettissimo di Mazzini con il quale conviveva nel '48 durante la Repubblica Romana, presentò un'opera che si richiamava alla mitologia greca, con Pigmalione nell'atto che vivifica la statua da sé medesimo scolpita, mentre Achille Farina presentò cinque opere: Giuditta, Amor nazionale, Malinconia di Saul, Il trionfo di Saul e un autoritratto. Opere che risentivano del clima dell'epoca e del segno purista collegato a Tommaso Minardi, il "principe dei disegnatori", che dalla natia Faenza si era trasferito nella Roma Papale, dove ebbe i massimi incarichi attribuibili a un artista.

L'opera più significativa in mostra è però un quadro che non fu esposto nella mostra di Firenze. Si tratta del ritratto di Lodovico Caldesi realizzato dal Farina. Un ritratto di un giovane, pieno di vivacità, con sullo sfondo Firenze. Caldesi è infatti una figura esemplare del Risorgimento faentino: poco più che ventenne, già del 1843 era considerato fra i principali cospiratori faentini e dovette fuggire a Firenze per il fallimento del progettato tentativo di rapire ad Imola tre cardinali, fra i quali il Mastai, futuro papa Pio IX. Combattente a Vicenza e con la Repubblica Romana, rimase in esilio (a Genova e in Svizzera) fino al 1859, anno in cui divenne deputato dell'Assemblea delle Romagne. L'ultimo incarico lo ebbe con le elezioni politiche del 1865, che lo videro diventare parlamentare per la Sinistra; non mise però praticamente mai piede alla Camera, sebbene non avesse rifiutato di prestare giuramento di fedeltà al Re, e un anno dopo si dimise. Continuò a coltivare gli studi di botanica facendo importanti pubblicazioni, nonostante qualche anno prima avesse rifiutato la cattedra offertagli dal Farini; alla morte tutti i suoi beni furono lasciati per istituire la Scuola Pratica di Agraria ancora oggi in attività come istituto statale.

Si inserisce nell'ambito delle celebrazioni del 150° anche l'inaugurazione, tenutasi lo scorso 5 febbraio, di una nuova Sezione permanente del Museo del Risorgimento e dell'Età Contemporanea di Faenza, dedicata a bandiere e uniformi dell'epoca, seguita da un interessante "Ciclo di Incontri" con approfondimenti a tema patriottico-risorgimentale che il Museo ospiterà fino ad Aprile. Per informazioni: tel. 0546 691710.


Speciale 150° Anniversario dell'Unità d'Italia - pag. 12 [2011 - N.40]

MUSA. Museo del sale di Cerva inaugura una nuova sezione dedicata al fitto intreccio fra ambiente, città ed esperienza umana

Mario Turci - Curatore scientifico dell'allestimento

MUSA. Museo del Sale di Cervia ha avuto il compito di raccogliere, interpretare e presentare le testimonianze del patrimonio culturale legate a quella dimensione dell'identità cervese conservata nell'esperienza salinara. Il Museo consiste in uno spazio ricavato nel magazzino del sale e composto di due ambienti (ante) attigui e continui. In tale composizione MUSA è stato organizzato per la presentazione dei temi relativi all'identità salinaia della città e del territorio a partire dal rapporto, a Cervia, dell'uomo con l'acqua: il mare e la salina. Vi è sviluppato, quindi, il rapporto fra uomo e ambiente, l'antropizzazione del territorio (relativamente alla salina), le tecniche del lavoro, l'ergologia e il corredo strumentale del salinaio, il rapporto fra salina e città.
Sin dalla sua inaugurazione si è sentito come necessario, per il museo, l'aumento dello spazio disponibile attraverso l'allestimento di una terza "anta" capace di raccogliere e presentare i caratteri salienti dello sviluppo storico-culturale della città e del territorio di Cervia. In tal senso la nuova sezione progettata si presenta quale sviluppo logico dei temi e soggetti trattati nelle sezioni già realizzate (l'esperienza salinara in rapporto con la storia del luogo) assumendo la città come centralità tematica ed il rapporto fra storia e memoria come ambito testimoniale. L'ampliamento del museo ha quindi lo scopo di aggiungere un nuovo tassello all'offerta museale di Cervia secondo una prospettiva storico-archeologica ed etnografica capace di evidenziare il fitto intreccio fra ambiente, città ed esperienza umana.
Il nuovo allestimento è caratterizzato dalla sua composizione in nuclei tematici, posizionati sul piano pavimentale, e approfondimenti documentali, posizionali sui piani di parete e in alzato. I nuclei tematici sono pensati su strutture mobili che ne permetteranno il facile spostamento e dislocazione all'interno della sezione museale (strutture su cuscinetti) al fine di offrire sia la massima flessibilità espositiva che d'utilizzo dello spazio. La flessibilità espositiva ha lo scopo, da un lato, di permettere il "riordino" dell'esposizione in relazione ad eventi e nuove acquisizioni da esporre, dall'altro di consentire lo svolgimento di esposizioni temporanee, iniziative didattiche, convegnistiche ecc.
Possiamo riassumere schematicamente il carattere del progetto.
La struttura tematica portante che caratterizza la composizione di base dei contenuti è così suddivisa in:
- Archeologia. Origini e storia del territorio;
- Storia urbana. Le città fondate;
- Terra. Agricoltura, valli e pinete come elementi importanti dell'evoluzione storica del territorio cervese;
- Mare. Il mare come filo conduttore della storia di Cervia.
I temi che hanno il compito di legare la "struttura tematica portante" attraverso la trasversalità di soggetti e contenuti sono: Religiosità; Folclore e tradizioni; La lingua ed il dialetto, le espressioni letterarie e poetiche, la formazione scolastica; La famiglia e le forme di aggregazione sociale e di partecipazione; Le espressioni di cultura materiale a cominciare dai mangiari e dalla tradizione gastronomica.
Per quanto riguarda gli ambiti della memoria e dei documenti testimoniali di fonte orale (il presente del passato) figurano: Dialetto poesia, Dialetto modi di dire, Dialetto marineria, Dialetto mondo contadino.
I piani del Contemporaneo, relativi ai temi portanti, capaci di comunicare l'attualità della storia della città sono: Il sale oggi, La città oggi, Il mare oggi, La socialità oggi.
Infine, gli elementi fisici d'allestimento ai quali è affidato il compito di segnare l'ampliamento quale sviluppo degli obiettivi delle sezioni del Museo esistente sono le pareti vetrina con stessa tipologia grafica e compositiva degli esistenti, i pannelli tenda nell'esistente salinaro/salinara e nell'ampliamento pescatore/contadina ed infine i pannelli elevati a parete contenenti, come negli esistenti, elementi della lingua e della parola.

Speciale nuovi allestimenti museali - pag. 12 [2011 - N.41]

NatuRA mette il visitatore in grado di ricostruire un legame forte di storia e natura, origine e prospettiva, conservazione e sviluppo

Francesca Masi - responsabile Museo NatuRAdi Sant'Alberto

NatuRa. Museo ravennate di scienze naturali è collocato nel Palazzone di Sant'Alberto, antica sede di un'hostaria estense sulle rive del fiume Reno, luogo di ristoro e alloggio per i commercianti che trasportavano le merci per via fluviale, esempio ante litteram di sostenibilità ambientale.
Antichissima e fondativa pertanto è la relazione con l'acqua del Museo così come arcaico è il dialogo mai interrotto di terra e acqua del paesaggio vallivo e della stessa comunità ravennate. Collezioni ornitologiche rappresentative della vita tra cielo e valle allagata ed esemplari faunistici che dell'interazione con l'acqua hanno intessuto il proprio codice genetico sono i protagonisti di un allestimento museale fortemente indirizzato alla contestualizzazione territoriale e alla restituzione di un ecosistema in equilibrio tra vegetazione palustre, canali fluviali e mare. L'ambiente naturale costituisce il centro del Museo in termini di allestimento, di orientamento didattico, di servizi e di fruizione.
La valorizzazione del territorio e il ripensamento della relazione identitaria con l'acqua, spesso dibattuta nella vita di una città come Ravenna in cui il rapporto con il mare costituisce un ancestrale gioco di rimozione e riappropriazione, è il senso dell'esporre e del fare Museo. Nel Palazzone il Centro Visita del Parco, presente insieme ai servizi museali, offre l'opportunità, mediante la ricca offerta di escursioni e di esperienze in natura, di amplificare e concretizzare gli obiettivi scientifici e didattici delle collezioni mediante l'agnizione dell'appartenenza a una comune cittadinanza di natura, dove il dialogo tra terra, acqua e cielo è codice genetico e prospettiva di sviluppo di un territorio. In tale contesto viene data assoluta centralità all'attività didattica volta alla conoscenza della risorsa idrica, complesso elemento vitale indispensabile per la sopravvivenza dell'uomo e di tutti gli organismi animali e vegetali, il cui accesso rappresenta un diritto umano e sociale, universale e inalienabile, ma sempre più difficile da gestire correttamente al fine di mantenere gli equilibri ecologici e ambientali del pianeta.
Tra le azioni previste vi è la partecipazione al Progetto INFEA "Civiltà d'acque" che comprende interventi volti alla valorizzazione di una "cultura dell'acqua", anche al fine di promuovere le buone pratiche per il risparmio idrico e per il consumo consapevole, a partire da semplici azioni quotidiane e far emergere l'importanza di una corretta gestione della risorsa sul territorio. Grande energia poi è rivolta al progetto di navigabilità del fiume Reno che prevede la realizzazione di un pontile galleggiante, nella zona traghetto di Sant'Alberto, fruibile anche in caso di variazioni del livello delle acque, e la messa in opera di una barca che condurrebbe i visitatori lungo il fiume verso est fino a Volta Scirocco. Suggestiva riappropriazione di una fruizione antica in cui sostenibilità ambientale e coinvolgimento emozionale fanno della visita al Palazzone un'esperienza intensa e di grande valenza educativa.
A tali progetti strutturali si affiancano diversi interventi didattici tra i quali si segnala il progetto Goccia a goccia dove mediante la metodologia hands-on gli studenti della scuola secondaria sono chiamati a costruire un kit didattico, da mettere poi a disposizione delle scuole, funzionale alla sperimentazione della risorsa idrica. Dedicati alla scuola primaria vi sono poi diversi percorsi didattici, suggestivi e incentrati sempre sull'esperienza diretta in una concezione di apprendimento strettamente connessa al fare e alla declinazione esperienziale della fruizione museale: Le mille bolle blu, narrazioni e giochi sull'acqua e i suoi abitanti; Una goccia nel mare, l'analisi chimico-fisica attraverso un gioco a squadre per conoscere il consumo critico e capire il valore del risparmio idrico nella quotidianità; La vita in una goccia d'acqua, attraverso il microscopio per scoprire sorprendenti forme di vita; Fra terra e mare, in un territorio mutevole dove la terra nasce dai sedimenti portati dal mare, comunità animali e vegetali tipiche di spiaggia, duna, piallasse e pineta vengono individuate attraverso un gioco di riconoscimento delle tracce animali, osservazione microscopica dei microrganismi presenti nelle acque, prelievo di campioni d'acqua e analisi chimico fisiche con appositi strumenti di misura.
Un Museo dunque tra terra e acqua dove il visitatore è messo in condizione di ricostruire un legame forte di storia e natura, origine e prospettiva, conservazione e sviluppo.

Speciale Musei e acque - pag. 12 [2012 - N.43]

Il Museo Dantesco di Ravenna riapre con un rinnovato percorso espositivo

Maria Grazia Marini e Daniela Poggiali - Istituzione Biblioteca Classense

Il Museo Dantesco nacque a Ravenna, nel 1921, nella ricorrenza del sesto centenario della morte del poeta, come istituto di conservazione dei cimeli offerti alla memoria del poeta da enti italiani e stranieri: l'idea originaria si dovette alla sensibilità e alla cultura di Corrado Ricci, noto e poliedrico intellettuale ravennate, che con la collaborazione di molti esponenti culturali di spicco della città, tra i quali il bibliotecario della Classense, Santi Muratori, e il sovrintendente ai Monumenti, Ambrogio Annoni, volle dare spazio all'interesse che le celebrazioni della figura di Dante avevano suscitato, sia in Italia che in ambito internazionale.
Alla metà degli anni Ottanta del Novecento il museo fu riallestito con un percorso che affrontava i temi principali che gli avevano dato vita: la storia della costruzione della Tomba e le celebrazioni del 1921.
Questa primavera, dopo un lungo periodo di chiusura per i restauri che hanno interessato l'intero complesso conventuale francescano, il Museo Dantesco riapre con un nuovo allestimento e un nuovo percorso espositivo che intende valorizzare il ruolo che Ravenna ebbe durante l'esilio del poeta, che qui abitò per gli ultimi, pochi ma significativi anni della sua vita.
A Ravenna, infatti, suo "ultimo rifugio", come la definì Corrado Ricci, Dante portò a compimento l'ultima cantica della Commedia e intrecciò importanti relazioni personali e intellettuali che lo confortarono e lo sostennero, tanto da rinunciare ad altri inviti e trasferimenti e da accettare di sostenere, con la sua opera diplomatica, Guido Novello da Polenta, signore della città e suo mecenate ed amico.
L'allestimento apre, inoltre, una riflessione sulla vera fisionomia del poeta, oggetto da sempre dell'interesse di letterati ed artisti, a partire dal suo primo e più famoso biografo, Giovanni Boccaccio che, con la descrizione che ne fece, ne fissò anche l'iconografia.
Dopo gli studi degli antropologi Fabio Frassetto e Giuseppe Sergi, condotti in occasione del centenario del 1921, una nuova ricostruzione del volto di Dante è stata realizzata, in ambito universitario, dall'équipe coordinata da Giorgio Gruppioni, docente di Antropologia presso l'Università di Bologna: mediante l'impiego di sofisticate tecnologie informatiche associate a più tradizionali tecniche di ricostruzione fisiognomica si è prodotto un modello tridimensionale che dovrebbe essere molto vicino alle vere fattezze del poeta.
Nella seconda sala vengono presentate le memorie legate alla Tomba del poeta, costruita alla fine del Settecento, su progetto dell'architetto ravennate Camillo Morigia, e quelle riferibili alla nota vicenda della traslazione delle ossa, trafugate nottetempo, nel 1519, dai frati francescani perché non venissero consegnate alla città di Firenze e nascoste per secoli fino al fortuito ritrovamento, nel 1865, in occasione dei lavori di ristrutturazione della Chiesa di San Francesco per il centenario della nascita del poeta.
Infine, il tema del culto e della fortuna di Dante viene presentato nella Sala di Montevideo di cui è stato conservato intatto l'elegante allestimento del 1921, impreziosito dagli affreschi coevi a decori vegetali che incorniciano ghirlande e placchette donate dalle tante Associazioni italiane all'estero che, in quegli anni, vollero rendere omaggio a Dante; nella stessa sala il progetto La Divina Commedia nel Mondo permette di leggere, a video, alcuni canti della Commedia in più lingue, a testimonianza dell'universalità e della modernità del messaggio dantesco.
Nell'ultima sala è esposto il ritratto di Dante eseguito dal pittore Attilio Runcaldier, che si ispirò al quattrocentesco bassorilievo marmoreo di Pietro Lombardo, conservato all'interno della vicina Tomba di Dante: le terzine, richiamate nell'allestimento, che chiudono ogni cantica della Commedia e pongono fine al viaggio di Dante, concludono anche idealmente la visita degli spettatori e richiamano il nuovo logo del Museo, ideato dallo studio Pagina di Ravenna, cui si deve anche il coordinamento della grafica e del progetto allestitivo, tradotto esecutivamente dall'azienda Contemporanea di Cesena.

Speciale Allestimenti Museali - pag. 12 [2013 - N.46]

I depositi del museo faentino ospitano l'80% delle collezioni e rappresentano il prolungamento degli spazi espositivi

Antonietta Epifani - Addetta ai depositi Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza

"I depositi sono la riserva del museo e devono essere organizzati privilegiando le esigenze di conservazione e uso razionale degli spazi"; così recita l'Atto di indirizzo sui criteri tecnico-scientifici e sugli standard di funzionamento e sviluppo dei musei - D.Lgs. n. 112/98 art. 150 c. 6.
I depositi del Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza occupano, dalla fine degli anni Novanta del secolo scorso, il piano interrato dei nuovi corpi di fabbrica del museo, presso la sezione catalogo e restauro, dedicata alla memoria di Giuseppe Liverani. Accessibili grazie a scale e montacarichi, utili per la movimentazione delle opere, lo spazio destinato ai depositi è di circa mq 1500. Pensati e progettati come il prolungamento degli spazi espositivi, i depositi, pur nel sottosuolo, sono illuminati naturalmente da ampi cavedii vetrati che consentono in parte di svolgere le attività lavorative anche senza l'ausilio di luce artificiale e che li collegano visivamente con le sale superiori. I depositi del MIC garantiscono parametri ambientali consoni alla conservazione del materiale qui immagazzinato.
Essi conservano l'80% delle circa 45.000 opere del museo, poste prevalentemente entro armadiature metalliche con ante vetrate per l'ispezione dall'esterno del loro contenuto. Gli spazi dei depositi sono organizzati in due grandi ambienti destinati alle ceramiche italiane (273 armadi) e a quelle estere. In quest'ultimo caso le dotazione del deposito prevedono oltre agli armadi anche scaffali e pedane (129 unità complessive), dove sono collocate opere contemporanee, perlopiù giunte al museo durante le varie edizioni del Premio Faenza. Si tratta di opere che per le loro notevoli dimensioni sono di difficile collocazione e movimentazione; in alcuni casi, per motivi di spazio, vengono conservate smontate.
L'organizzazione delle ceramiche nei depositi riflette quella delle sale espositive: anche qui il materiale ceramico viene ordinato in base al luogo di produzione e alla cronologia, seguendo anche criteri tecnologici, stilistici nonché dimensionali. Ogni oggetto inventariato ha infatti una sua precisa collocazione, sia in sala che nel deposito, riportata nel catalogo informatizzato del museo (scheda OA); questo consente la redazione di un topografico cartaceo per altro indispensabile alla reperibilità del singolo oggetto: ogni armadiatura, scaffale o pedana è infatti numerata.
Gli spazi adibiti a deposito si completano di altri due ambienti, sempre interni al museo, destinati alla conservazione delle piastrelle industriali (34 scaffali) e dei frammenti ceramici contenuti in un migliaio di casse poste in 48 scaffalature. Si tratta di frammenti provenienti da scavi, ma anche del ponderoso nucleo di materiali recuperati tra le macerie dei bombardamenti della seconda guerra mondiale, che il 13 maggio 1944 comportarono la quasi totale distruzione del museo. Dagli anni Novanta del secolo scorso i fondi prebellici sono stati oggetto di successive cernite da parte del personale della sezione Liverani, con la ricomposizione di numerose ceramiche che si credevano irrimediabilmente perdute (e che saranno esposte ad ottobre in occasione della III Giornata Unesco).
Solo dal 2010 tutto il materiale appartenente alle collezioni rientra totalmente al MIC: dal 1940 infatti questo era stato più volte spostato, per esigenze di sicurezza e di spazio, in luoghi che non sempre si sono poi rivelati idonei alla conservazione della ceramica. Il rientro del materiale è stato sempre caratterizzato da lunghe operazioni di conservazione e di catalogazione, che in più di una occasione hanno permesso di restituire alle collezioni opere e contesti di grande importanza per la storia della ceramica e del museo.
Dal 1998 un restauratore è addetto alla gestione dei depositi ed alla assistenza degli studiosi su disposizione della Direzione. L'attività quotidianamente svolta da tale operatore prevede, accanto alle pratiche manutentive del materiale ceramico, le periodiche verifiche inventariali conseguenti alle normali e straordinarie attività espositive del museo.

Speciale Depositi museali - pag. 12 [2013 - N.47]

Dalla bottega al museo, per celebrare la vicenda artistica del faentino più versatile e sperimentale del XX secolo

Claudio Casadio - Direttore Pinacoteca Comunale di Faenza

"Sono autodidatta e anche faentino". Così si presentò Guerrino Tramonti nel catalogo della mostra personale tenuta a Faenza nel 1990, ma la sua vicenda umana e artistica è invece molto più articolata. Non solo perchè come autodidatta ha frequentato ottime scuole, a partire dalla Scuola Comunale di Disegno della sua città e ha avuto grandi maestri, come Domenico Rambelli o l'amico di qualche anno più anziano Franco Gentilini, e non solo perchè i suoi legami l'hanno portato spesso oltre la sua città di origine. Come insegnante ha infatti sempre lavorato in tante città italiane, iniziando da Civita Castellana così vicina a Roma da poter frequentare gli ambienti artisti e culturali della capitale, per passare da Albissola fino alla direzione degli istituti d'arte di Castelli d'Abruzzo e Forlì, ma i suoi interessi l'hanno portato a vivere intensamente tante altre realtà, dalla Venezia di De Pisis alla Roma degli incontri presso l'editore De Luca.
Guerrino Tramonti è stato l'artista faentino del Novecento più versatile. Ha iniziato come scultore, ricevendo importanti riconoscimenti negli anni Trenta, per poi esprimersi come pittore alla fine degli anni Quaranta e affermarsi come ceramista negli anni Cinquanta. Per due volte, nel 1952 e nel 1955 vinse il Premio Faenza e poi continuamente cercò con la sperimentazione tecnica nuovi traguardi, caratterizzati sempre dalla ricerca artistica, fino a dirsi alla fine degli ani Sessanta di ritenere "di non potere andare oltre a quel che avevo già raggiunto". Il ritorno alla pittura lo visse di nuovo in modo intenso, in una attività continua "in piena tranquillità e solitudine con grande gioia" e riprendendo temi e figure del suo costante immaginario.
Insospettabili qualità Guerrino Tramonti le ha dimostrate anche come imprenditore capace di scommettere sulla propria arte. Dalla bottega aperta in Faenza partivano opere vendute in tutto il mondo, particolarmente in Giappone. E oltre alla capacità commerciali ha dimostrato anche attenzione al futuro quando già nel 1987 incominciò a sistemare nel suo studio il contenitore con la raccolta e l'esposizione delle opere significative di una vita artistica sempre piena di fermento e di operosità. Sono nate così quelle sette sale espositive con quattrocento opere in mostra che oggi gestisce la Fondazione voluta dalla moglie e dai due figli Paolo e Marco. In esposizione l'intero percorso dell'artista, dalle sculture degli esordi negli anni Trenta ai dischi dipinti con la cristallina invetriata a grosso spessore, dai vasi scultura della sperimentazione alla porcellana ispirata dal mondo orientale fino ai dipinti ad olio dell'ultimo periodo di attività.
A concludere il percorso nella casa museo è stato ricreato lo studio dove l'artista ha operato negli ultimi anni, ma se il percorso museale è ben illustrato dalle opere in mostra l'attività della Fondazione Tramonti ha un orizzonte di lavoro che è oltre a quanto esposto. Non solo si assicura l'apertura delle sale al pubblico tutti i giorni e vengono organizzate mostre, come le cinque organizzate in Giappone due anni fa, ma continua l'attività di studio e documentazione sull'opera dell'artista come è illustrata dalle molte pubblicazioni raccolte anche nel sito internet ricco di immagini e materiali sul lavoro di Guerrino Tramonti. L'attività del museo, che è entrato ufficialmente nel Sistema Museale Provinciale alla fine del 2013, è anche inserita nella rete faentina dedicata alla ceramica, dove attorno al Museo Internazionale delle Ceramiche, che non a caso un anno fa ha realizzato una grande mostra antologica di Tramonti, il variegato mondo artistico cittadino ha molti poli con estrema attenzione anche alla realtà museale inserita nella realtà contemporanea, come fanno in modi diversi ma con risultati sempre validi sia il Museo Carlo Zauli che la bottega storica di tradizione con un bel museo di Riccardo Gatti.
E che la vicenda artistica di Guerrino Tramonti sia visibile proprio nelle sale volute dallo stesso artista è un forte motivo di interesse e piacere che ci si augura possa essere accolto da un pubblico numeroso e capace di cogliere la forza della creazione artistica così fortemente presente nell'opera di Tramonti.


Speciale nuove adesioni al Sistema Museale Provinciale - pag. 12 [2014 - N.49]

Il fotografo romagnolo si svela in un dialogo con Silvia Loddo, curatrice della mostra "Veramente" al Mar

Silvia Loddo

Vorrei usare come filo conduttore di questo breve dialogo per raccontare qualcosa del tuo rapporto con la città, le fotografie della sala dedicata a Ravenna che hai deciso di aggiungere nella mostra al Mar. La sala si apre, o si chiude, con una fotografia del 1957 che ritrae alcune tue compagne del liceo artistico nell'aula di figura di Luigi Varoli. Che ricordi hai di quegli anni a Ravenna?
Ho eseguito quella fotografia con una fotocamera 6x6 a soffietto che avevo chiesto in regalo. Succi, uno dei miei compagni di liceo, figlio di un fotografo, veniva a scuola con la macchina fotografica per la foto-ricordo delle grandi occasioni. Mi aveva incuriosito. Anche mio zio fotografava me bambino e mia mamma, che, sotto la sua regia, teneva un album con le sue fotografie di famiglia. Dedicavo molta cura al fotografare. Avevo acquistato un piccolo cavalletto, uno scatto flessibile e un manuale tecnico, trovato in edicola insieme ad altri due libretti: uno per imparare a nuotare e l'altro sulla teoria e pratica dello judo. Delle tre discipline la più importante è diventata la fotografia, ma le altre mi hanno certamente influenzato. Lo judo è stato un riferimento fondamentale nel mio lavoro, per il suo legame con la cultura orientale e il pensiero Zen. Anche il nuoto ha a che fare con la fotografia, per il legame che intrattiene con l'acqua. L'apparire dell'immagine nella bacinella dell'acqua di sviluppo è un'esperienza formidabile, che purtroppo a scuola non si fa più.
Mi sono iscritto al liceo artistico di Ravenna nell'anno scolastico 1953-54, incoraggiato dal professore di disegno delle scuole medie, l'architetto Reciputi. I miei genitori fecero di tutto per scoraggiarmi, non erano d'accordo perché si diceva che era una scuola un po' osé, probabilmente per le modelle nude... Per l'ammissione si doveva sostenere un esame. Sapevo disegnare, ma non conoscevo le altre tecniche. Mi preparai con lo scultore cesenate Amedeo Masacci, in modo forse un po' sbrigativo. Rischiai di essere bocciato, ma Ettore Bocchini, il professore di ornato che aveva due baffetti alla Clark Gable, si oppose perché secondo lui, anche se non erano tecnicamente perfetti, nei miei lavori c'era una mescolanza di colori 'armonica. Dopo il primo trimestre divenni il suo orgoglio, era fiero di averci visto giusto.
Durante il primo anno condividevo una camera con il pittore Primo Costa, uno degli allievi prediletti di Varoli, che frequentava il quarto anno; viveva con noi anche un ragazzo di Cesena, Antonio Andreucci, che poi proseguì gli studi alla Facoltà di Architettura di Firenze. Ricordo che la proprietaria era una signora molto religiosa che tutte le mattine ci chiedeva se avevamo detto le orazioni e fatto il segno della croce!
Essendo molto timido preferivo le materie pratiche a quelle teoriche, in cui bisognava parlare invece che fare. Il terzo anno la professoressa di italiano mi rimandò a ottobre e disse a mio padre che non ero maturo. Io mi offesi e non mi presentai all'esame, così ho dovuto ripetere l'anno. Il primo giorno di scuola nella nuova classe, con i nuovi compagni, mi ero barricato dietro due file di sgabelli per disegnare con un carbone il fondoschiena del cavallo di gesso del Canova. Luigi Varoli mi raggiunse scavalcando gli sgabelli, prese in mano il disegno e lo sollevò esclamando, evidentemente in polemica con la professoressa di italiano che mi aveva rimandato: "Ma Guidi è maturo!"... In quello stesso periodo Varoli purtroppo si ammalò e fu sostituito da Giulio Ruffini. Un giorno, alla fine dell'anno, venne a salutarci, ma io non ero in classe. Mi fece cercare dai miei compagni che però non riuscirono a trovarmi. Spesso, infatti, scappavo dall'aula saltando dalla finestra, attraversavo il cortile e mi nascondevo alla Biblioteca Classense per leggere i libri di storia dell'arte, sia quella antica e del Rinascimento che quella contemporanea. Poco tempo dopo Varoli morì. Mi è sempre rimasto il rimpianto di non averlo salutato.

Dici spesso che i tuoi maestri sono stati i pittori italiani del Rinascimento e i fotografi americani del Novecento, ma anche i mosaicisti bizantini che hanno lavorato ai monumenti ravennati e Michelangelo Antonioni, che proprio a Ravenna ha girato il suo primo film a colori, Deserto Rosso. In mostra ci sono diverse fotografie di Ravenna, dai capanni e le facciate dei primi anni Settanta alle fotografie del porto e della zona industriale dove hai lavorato a lungo negli anni Novanta e Duemila. Cosa ti interessa di questi luoghi? Come mai hai scelto di fotografarli?
Dopo il liceo mi iscrissi allo IUAV di Venezia, incoraggiato dal professore di disegno geometrico, Alberto Fabbri, e spinto da un grande desiderio di costruire che avevo probabilmente ereditato da mio padre e mio nonno, che facevano i falegnami. Da allora ho sempre vissuto e lavorato in Veneto, tra Treviso e Venezia, dove andavo con la corriera oppure in autostop, camminando a lungo, e passando proprio da Ravenna. I capanni e le facciate li ho fotografati nei giri della domenica che facevo con Marta, quando ci siamo fidanzati. Avevo visto le fotografie di Walker Evans e, da studente di architettura, avevo scoperto grazie a Bruno Zevi l'architettura organica e vernacolare. L'architettura spontanea e la modalità dell'autocostruzione mi interessava molto, e mi interessa tuttora. Ai tempi del liceo, in un libro di Matteo Marangoni intitolato Saper Vedere (Garzanti, Milano, 1944, settima edizione), che ci era stato consigliato dal professore di storia dell'arte, Antonio Fantucci, avevo sottolineato questo passo: "Se certi grandiosi piani edilizi si possono almeno scusare con la necessità della vita d'oggi e dell'igiene pubblica, quel che non si può scusare è la mania del malinteso, inutile ammodernamento come quello, per esempio, delle facciate di tante vecchie case; le quali, pur non avendo un valore architettonico, hanno un grande significato evocativo del passato".
A proposito di Antonioni, ho visto i suoi film quando ero già a Venezia. Ricordo soprattutto Il grido, un film tragico, mi era piaciuto molto e forse tuttora è il film di Antonioni che preferisco, perché è un viaggio circolare, in cui il personaggio si sposta da un posto all'altro, senza meta. Tutto è un pretesto per vedere dei luoghi, ma con il senso di una continua e vertiginosa perdita. Deserto rosso, girato diversi anni dopo, è un film più articolato, più sorvegliato, meno tragico, forse anche per via del colore. Mentre Il grido è molto legato al neorealismo, Deserto Rosso è espressione di un approccio nuovo a un mondo nuovo, moderno, con individui e paesaggi completamente trasformati da questa modernità. Credo che il cinema di Antonioni mi abbia influenzato sia per un aspetto che per l'altro.
Quando ero ragazzo andavo con gli amici a rubare i cocomeri in un campo vicino al circolo della parrocchia. Poi, in mezzo a quel campo, costruirono una strada. Fu per me un grande dispiacere perché sentii che avevano rotto un equilibrio. Forse da questo episodio sono scaturite alcune fotografie che potrebbero essere intese come una denuncia, ma devo dire che questa non è mai la mia prima intenzione. Mi interessa poco fare una critica alla civiltà, mi interessa soprattutto la registrazione del passare del tempo nelle cose, l'effimero. D'altra parte anche i Becher hanno fotografato le industrie come grandi opere dell'uomo, immortalandole come fossero delle sculture; e Gropius pensava che la fabbrica fosse più bella del palazzo... La fabbrica dell'Ottocento era nata con una funzione, ma allo stesso tempo aveva qualcosa di mistico, come una chiesa. Prima della zona industriale di Ravenna avevo già fotografato quella di Marghera, in un momento in cui tutto era ormai in crisi. Per me l'aspetto importante e visibile di questa crisi era ancora una volta il tempo. Il passare del tempo, la trasformazione, la metamorfosi delle cose. Di tutte le cose: industria, casa, albero, fiume, strada, uomo, bambino...

Alcune tue fotografie sono state eseguite nella  vecchia e nell'attuale sede dell'Accademia di Belle Arti di Ravenna, dove insegni dal 1989. Puoi fare un bilancio di questi 25 anni?
Ho imparato molte cose, soprattutto dagli studenti, che per me erano e sono una sorta di prolungamento e catalizzazione di energia. Purtroppo la fotografia, e soprattutto le potenzialità formative attraverso questa disciplina, non erano comprese e valorizzate abbastanza in ambito istituzionale, non solo a Ravenna ma in generale in Italia. Penso che questo sia stato una grave mancanza. Molti studenti, nonostante le potenzialità, non hanno continuato a fotografare dopo l'Accademia perché non trovavano riscontri all'esterno. Spesso succede ancora, anche se sembra che qualcosa stia cambiando.


Speciale Fotografia e Musei - pag. 12 [2014 - N.51]

Il Direttore della Pinacoteca Comunale di Faenza a colloquio con Vittorio Sgarbi curatore della mostra "Il Tesoro d'Italia"

Claudio Casadio - Direttore Pinacoteca di Faenza

La mostra dedicata al Tesoro d'Italia nei padiglioni Expo di Eataly ha rappresentato per Vittorio Sgarbi l'impegno più forte degli ultimi mesi. "Dopo aver girato per anni come una trottola ogni contrada d'Italia - ha scritto sul Corriere della Sera Gian Antonio Stella - il critico ha potuto mettere finalmente a frutto la sua curiosità onnivora e insaziabile e la sua voglia di scovare 'quel' capolavoro abbandonato in un piccolo convento di montagna o nella sala da pranzo di un farmacista di provincia".
Il progetto della mostra sul Tesoro d'Italia parte infatti da lontano e si manifesta in modo chiaro per la prima volta nel libro pubblicato da Bompiani con lo stesso titolo dato alla mostra realizzata per Expo 2015. Uno studio dedicato "a stuzzicare e stimolare un interesse naturale, viscerale verso l'arte italiana" così come la mostra allestita ad Eataly è il museo che ogni grande città deve avere ed anzi è "il Louvre dell'Expo". L'idea di fondo spiegata da Vittorio Sgarbi è che "il tesoro artistico del nostro Paese è anche un tesoro economico. Per tutelarlo sono fondamentalmente due le armi da utilizzare: la conoscenza - che è preliminare - e la valutazione. L'opera d'arte non è fatta per essere tutelata e basta, deve essere goduta e proprio dalla possibilità del suo godimento un paese può trarre beneficio economico. Se un patrimonio artistico, che per sua natura deve portare profitto, di fatto non ne porta, qualcosa non funziona. Deve essere rivalutato e valorizzato appropriatamente. È questa l'importanza della valutazione".
Su questa idea di fondo, affiancata dall'affermazione che "l'arte si gode, come occasione unica e irripetibile" capace di appassionare, con l'opportunità della mostra si è innestata la nuova proposta della biodiversità applicata anche all'arte italiana. Con l'intenzione di proporre "per la prima volta un'esposizione di tutta l'arte italiana regione per regione per poter far emergere le peculiarità della produzione artistica di ogni pezzo d'Italia" e affermare l'Expo come un luogo dove si celebra anche la biodiversità italiana che non è solo agroalimentare ma anche umana, paesaggistica e artistica.
Il punto di partenza per questa nuova proposta, che consente un omaggio ad un grande maestro della storia dell'arte, è l'insegnamento di Roberto Longhi. Lo storico dell'arte infatti "articolava il principio della biodiversità nello studio della storia dell'arte, cercando di cancellare ogni pregiudizio sul prevalere dell'arte toscana (su cui era costruita la storiografia a partire da Giorgio Vasari) e riconoscere a ogni regione caratteristiche proprie e originali".
L'omaggio a Longhi è articolato anche in altre maniere e una di queste Vittorio Sgarbi la manifesta con soddisfazione relativamente all'allestimento delle due opere in mostra provenienti dalla Pinacoteca di Faenza. "Ho affiancato il bellissimo Biagio Manzoni con il Martirio di Sant'Eutropio a un'opera di Ferraù Fenzoni in cui è rappresentata una testa mozzata. Così quella testa mozzata di fianco al capolavoro di Manzoni è un richiamo, se non una ricostruzione, del delitto che caratterizza la storia di questi due artisti. Ho seguito lo studio di Roberto Longhi sul 'caravaggesco di periferia', dedicato al faentino Biagio Manzoni, ben documentato in Pinacoteca e in altre opere sparse nella città di Faenza".
La mostra ha dunque articolazioni più ampie di quelle di una semplice lettura delle opere. E questo aspetto lo conferma Vittorio Sgarbi citando la seconda opera in prestito dalla Pinacoteca Comunale: il San Girolamo di Donatello. "È un capolavoro del grande artista toscano realizzato durante o dopo il periodo padovano - afferma Sgarbi - e per questo l'ho messo in confronto alle opere venete in mostra. Una scultura di grandissimo valore che da sola rende importante la Pinacoteca faentina. Certo un'opera di cui qualcuno ultimamente contesta l'attribuzione, ma che a mio parere è più di Donatello che altre recentemente a lui attribuite come il Crocefisso di Padova. Opera che comunque affascina e vorrei avere tempo per studiarla attentamente".
La selezione di opere da esporre non è stata semplice. "Da una Pinacoteca come quella di Faenza si dovevano mettere in mostra altre opere. Ad esempio - continua Sgarbi - sarebbe stato bello esporre lo Scaletti, quella pala che attribuite ad un maestro anonimo e che è un bell'esempio di arte ferrarese. Inoltre ci sono le opere di Domenico Baccarini e qui avrei scelto quella bellissima donna disegnata a pastello tra i fiori che ben dimostra i legami di questo artista faentino, morto giovanissimo, con il simbolismo europeo".
"E poi come si fa a non inserire una scultura di Domenico Rambelli - si chiede in modo quasi retorico il critico d'arte, dandosi una doppia risposta -. Non posso certo togliere tutte le opere da un museo e d'altra parte una mostra come quella dell'Expo può servire ad aumentare la passione per l'arte e, speriamo, i visitatori dei musei, che devono trovare le opere quando visitano le sale". Il secondo motivo per cui non sono state chieste in prestito alcune opere si lega alla mancanza di spazi. "L'unica vera critica che si può fare alla mostra dell'Expo - aggiunge infatti Sgarbi - è quella dell'esposizione troppo fitta delle opere, ma è un limite dato dagli spazi disponibili". E una critica alla mancanza di spazi è rivolta alle condizioni in cui si è potuta organizzare la mostra di Eataly, che resta comunque un'occasione unica per vedere un panorama completo dell'arte italiana. Nel panorama, realizzato e sottoposto alla verifica della biodiversità, presupposto della mostra, le opere scelte confermano questo aspetto di complessità dell'arte italiana.
Non a caso a un altro museo della provincia ravennate, il Museo d'Arte della Città di Ravenna, Vittorio Sgarbi ha richiesto e messo in mostra due opere, in particolare due mosaici della Collezione Mosaici Contemporanei del Mar. La chambre turque di Balthus, dipinta tra il '65 e il '66, e trasposta in mosaico negli anni '90 da Pro.Mo., in cui la ricchezza materica e cromatica del dipinto sono esaltate da una varietà di paste vitree, materiali lapidei e terrecotte, e dove piccole tessere sono accostate a vere e proprie tarsie. Le montagne incantate di Michelangelo Antonioni, una delle opere a tecnica mista del celebre regista note come 'blow up', trasposta in mosaico nel 1997 da Alessandra Caprara e Silvana Costa sotto la direzione artistica di Renato Signorini: qui le tessere lapidee e in smalto, con movimenti ondulati della linea, animano il crinale e riportano a materia solida il paesaggio che nella sua opera Antonioni aveva smaterializzato.
"C'è certamente un'evidenza delle diversità territoriali in mostra - precisa infine Vittorio Sgarbi -. Prendiamo ad esempio la Romagna: si può verificare come i caratteri rappresentativi importanti siano presenti in Guido Cagnacci mentre Bologna trova rappresentatività in Guido Reni, quindi in aspetti che si differenziano molto da quelli romagnoli. La caratteristica dell'arte romagnola così rappresentata diventa quella della sensualità".
Tutto questo può portare a ulteriori riflessioni che partono dagli stimoli della mostra, ma di cui sono da ricordare altri aspetti che hanno prodotto anche forti critiche. Così Tommaso Montanari non ha esitato a definire Vittorio Sgarbi un trasfocatore di opere d'arte che va fermato. Non è mancato l'appello di alcuni storici dell'arte "convinti che non si debbano mettere a rischio opere fragili e difficilissime da spostare, straordinarie nel loro contesto e non in mezzo alla distratta frequentazione di turisti alla ricerca di quelle sensazioni eclatanti che l'Expo milanese promette". Critiche anche da Federico Giannini che definisce la mostra ideata da Sgarbi come un'applicazione all'arte del "concetto della grande distribuzione organizzata". Accostando quanto esposto al suo sponsor Eataly, il concetto viene spiegato affermando che "siccome si considerano i visitatori troppo svogliati per andare a vedere le opere d'arte nel loro contesto, e i buongustai troppo pigri per cercare ristoranti, trattorie e osterie dove si possano gustare i veri sapori tradizionali, si confezionano strutture senza personalità, valide sia a Torino che a New York, e ci si infila dentro un pot pourri di opere d'arte e piatti tipici".
Il contesto generale delle critiche alla mostra, che ha comunque portato bellissime ed importanti opere d'arte all'Expo, sembra dunque quello di un rifiuto totale e generalizzato della proposta. Più che un ritorno alle italiche fazioni contrapposte, in questa occasione, è forse opportuno ricordare da un lato l'unicità dell'esposizione universale in Italia e dall'altro accettare la sfida per proporre innovazione nell'ambito museale. Se infatti è giusto dire che gli istituti museali non possono essere riserve per mostre che "solo in minima parte" aumentano la conoscenza del patrimonio culturale, "mentre nel 90% dei casi si tratta di operazioni brutalmente commerciali", non va neanche dimenticato che i musei non possono restare fermi alla stessa immagine delle loro origini. Una immagine che in Italia è più ricca e articolata di altre nazioni e che può trovare proprio in una delle caratteristiche che più contraddistingue la realtà italiana, quella del legame con il territorio, un fertile terreno da coltivare. Ogni museo italiano ha un suo territorio di riferimento ma è il concetto stesso di territorio che è da cambiare. Vecchi confini, non solo amministrativi, vanno superati affermando nuove realtà che vadano oltre alle pratiche gestionali per arrivare alla progettazione e alla promozione di un patrimonio che è davvero unico e che può trovare nella cooperazione risorse e disponibilità altrimenti non più assicurate.
E di tutto questo anche la mostra sul Tesoro d'Italia all'Expo si sta dimostrando una valida vetrina, davanti alla quale è possibile sostare per vivere l'emozione e il godimento dell'arte.

Speciale Musei per Expo 2015 - pag. 12 [2015 - N.53]

Intervista a Mauro Felicori, neo direttore della Reggia di Caserta, tra i venti musei statali dotati di autonomia speciale

Romina Pirraglia - Sistema Museale della Provincia di Ravenna

In un'intervista a Il sole 24 ore ha definito quello segnato dalla 'riforma Franceschini' un "passaggio rivoluzionario", per quanto non privo di criticità. Potrebbe riassumere la portata innovativa di questa riforma dal suo punto di vista?
Innanzitutto per la prima volta in Italia, seppure con un ritardo di decenni, si riconosce che fare il direttore di un museo è un mestiere specifico, diverso ad esempio da quello di chi esercita la tutela, che rimane in capo alle Soprintendenze. Inoltre è un mestiere complesso, che richiede molte competenze (amministrative, contabili, organizzative, di marketing e comunicazione) e anche la capacità che deve avere un buon manager culturale di valorizzare le risorse umane specialistiche di un museo (storici dell'arte, archeologi...).
La seconda grande innovazione consiste nel fatto che 20 grandi musei saranno autonomi finanziariamente, al netto del personale che continua a essere pagato dallo Stato: questi musei dovranno sostenere i propri costi ma potranno tenere l'80% delle proprie entrate. Quindi ci sono le condizioni per una gestione imprenditoriale del museo, senza però cadere nell'eccesso per cui, come in un'azienda, si debbano calcolare entrate e uscite in termini monetari. Un museo è un'azienda culturale, e dunque i suoi ricavi non sono solo le entrate finanziarie ma ciò che ottiene in termini di formazione della coscienza culturale e civile di una popolazione. Il fatturato di un museo è dato da quanti visitatori entrano e da quanto imparano attraverso l'esperienza museale, dal fascino di tale esperienza, dall'interesse e dalla disponibilità a ripeterla, dal contributo alla ricchezza del territorio dato con il richiamo turistico esercitato. Dunque l'autonomia prelude a un approccio aziendale nei confronti dei beni culturali, che considero molto importante perchè i temi dell'efficienza e dell'efficacia riguardano non solo l'industria privata ma anche la pubblica amministrazione, dentro cui c'è anche il sistema culturale. Non è vero che la spesa culturale è buona di per sé: quella efficiente è buona mentre quella inefficiente equivale a uno spreco di risorse come in qualunque altro settore.

Quali saranno le sue prime azioni da direttore della Reggia di Caserta?
Dovrò innanzitutto occuparmi dell'efficienza di questa macchina, un'istituzione con 250 dipendenti che richiama circa 450.000 visitatori all'anno, ma che ne potrebbe attrarre molti di più. Si tratta di un'azienda comunque ben funzionante, anche se naturalmente si può rendere più efficiente e più accogliente. L'altro mio grande lavoro, che è una delle novità della 'rivoluzione Franceschini', riguarda la promozione della Reggia. Aumentare il numero sia dei visitatori sia di chi si ferma a dormire a Caserta: questo istituto dovrà essere il volano con cui l'intero territorio casertano diventa più florido e più colto. La Reggia infatti ha anche una missione territoriale da svolgere, d'altra parte si tratta di un caso unico: un monumento tanto grande in una città così piccola (appena 70.000 abitanti) non può non avere questo dovere verso il suo territorio. Ma se da un lato abbiamo doveri che altri non hanno, dall'altro non abbiamo problemi che invece assillano altri musei, come quello del sovraffollamento, in quanto stiamo parlando di un monumento gigantesco, oltre che meraviglioso, con un parco lungo oltre 3 km che inizia dalla Reggia e finisce dentro le montagne, diventando paesaggio impercettibilmente.

Come dovrà articolarsi il suo rapporto con il MiBACT? E come giudica la forma di 'autonomia bilanciata' che il DM del 23 dicembre 2014 dà ai direttori ad autonomia speciale?
L'autonomia comporta anche responsabilità. Io sono felice di essere trasparente e 'controllato' da parte del Ministero. D'altra parte amo definirmi un "manager da marciapiede" perchè lavoro su Facebook, dialogo con i cittadini di Caserta, e il fatto di rispondere agli utenti oltre che un dovere è uno stimolo per il mio lavoro. Naturalmente è vero che questa rivoluzione avanza lentamente perchè internamente ci sono alcune resistenze o, meglio, c'è dell'inerzia che si fa sentire nell'attività quotidiana. Ma devo dire che quando sono arrivato ho trovato qui una grande attesa e quindi sento l'urgenza di rispondere non solo con parole ma con dei fatti.

Dalla voce anche di altri suoi colleghi tra le esigenze prioritarie è emersa la costituzione dell'organigramma, in quanto i dipendenti delle Soprintendenze dovranno decidere se trasferirsi ai musei e in generale alcuni uffici come quello amministrativo e contabile verranno 'sdoppiati'. Qual è la situazione della Reggia?
Noi direttori abbiamo il problema di avere buoni dirigenti sia amministrativi che contabili, perchè l'autonomia vuol dire anche che il bilancio è molto più importante di prima. In generale ora gli uffici amministrativo-contabili si sono 'sdoppiati', quindi là dove questa struttura era già sofferente adesso ovviamente la situazione è critica, come è il caso di Caserta. Un altro problema è legato al fatto che le Soprintendenze non erano abituate storicamente a gestire la promozione: la Reggia non ha un ufficio marketing, che tenga rapporti con gli istituti provinciali, regionali e nazionali che si occupano di turismo, di promozione e quindi anche questo va costruito.

Speciale Direttori Museali - pag. 12 [2015 - N.54]

I musei faentini travalicano le proprie sedi sfruttando le tecnologie digitali

Claudio Casadio - Direttore Pinacoteca Comunale di Faenza

Ai musei faentini le mura delle sedi sembrano stare strette, o meglio i musei faentini cercano di abbattere i muri quali barriere tra le collezioni e il mondo esterno. In questo senso la palma della realtà più attiva potrebbe essere vinta dal Museo Carlo Zauli che non solo usa tutti i social media con costanza e convinzione, tanto da poter essere valutato tra i musei protagonisti a livello nazionale, ma che ha fatto entrare il fablab nelle proprie sale creando un luogo in cui artisti e ceramisti ricorrono alle tecnologie di stampa in 3D. Si sta così costruendo gradualmente un ponte fra il museo e il mondo delle aziende, fornendo servizi di progettazione e stampa per prototipi, gadget e altri prodotti richiesti dalle aziende.
Il MIC sta invece superando i confini tra la sede e il territorio in una duplice direzione. Da un lato è il territorio che entra nel museo grazie a una tecnologia di riproduzione fotografica della realtà: il sistema di Google Street View è entrato in tutte le sale e presto sarà possibile una visita fotografica completa, ampiamente documentata con testi sulle principali opere esposte. La seconda direzione, quella dal museo al territorio, è perseguita da almeno dieci anni con progetti di conoscenza, conservazione e manutenzione del patrimonio diffuso di opere in ceramica esistenti nel territorio faentino. Iniziati con censimenti e schedatura delle opere ceramiche esposte all'aperto, i progetti hanno successivamente visto azioni mirate alla conservazione e manutenzione definendo una vera e propria prassi di tutela del paesaggio urbano, attraverso la quale il MIC sta realizzando interventi di manutenzione e restauro, progetti didattici mirati ed eventi. Un insieme di attività che vengono presentate anche in ambito internazionale, grazie a progetti europei e convegni.
Un modo che sfrutta le più recenti tecnologie è stato invece adottato dalla Pinacoteca Comunale per uscire dalla promozione confinata al proprio percorso espositivo. Utilizzando l'esperienza messa a punto nella realizzazione di un sistema informativo per i visitatori, basato sul qr code posto sulla didascalia dellesingole opere esposte per consentire il collegamento con testi e audio esplicativi, la Pinacoteca ha infatti esteso la descrizione di palazzi, chiese, opere d'arte ed altre testimonianze storiche e culturali della città. Il lavoro in corso di realizzazione è molto ricco e articolato. Vi è infatti una prima parte di attività dedicata alle lapidi che, coordinata dalla Cooperativa dei Manfredi, ha visto la realizzazione di un primo percorso con dieci lapidi e ha l'obiettivo di realizzare entro il 2017 la descrizione di tutte le 250 lapidi presenti in città consentendone, tramite un qr code stampato su ceramica, la lettura o l'ascolto audio. La prima lapide fornita da questo sistema è quella sotto lo scalone di accesso al Municipio, dedicata ai caduti antifascisti e per la quale la ricerca effettuata ha permesso di ricostruire la biografie dei 54 nomi riportati, con la realizzazione di un vero e proprio ebook scaricabile sul proprio smartphone o tablet. Allo stesso sistema informativo è interessato un progetto del Rotary Club faentino per fornire la possibilità di approfondimento sulle targhe poste da tempo nelle facciate del principali palazzi e delle chiese faentine; anche in questo caso è stato realizzato un percorso pilota che coinvolge sette palazzi neoclassici nell'area tra corso Mazzini e via Severoli e la Cattedrale, per la quale è stata realizzata una vera e propria guida descrittiva dedicata alle decine di opere d'arte presenti. Altri percorsi in fase di realizzazione sono quelli della Faenza Romana, con 16 sedi individuate e descritte, e del Museo all'aperto, che consentirà la descrizione in mobilità delle oltre settanta opere che caratterizzano questa originale realtà cittadina.
Le ampie possibilità di questi sistemi sono documentate anche da esposizioni temporanee, come nel caso della mostra dei manifesti della Prima guerra mondiale che si tiene lungo via Severoli.
Uscito dalla Pinacoteca di Faenza il sistema informativo, che si basa sui qr code collegati a beni storici e artistici, è dunque già visibile nella vicina via Severoli, ma nei prossimi mesi sarà visibile su moltissimi muri della città mettendo a disposizione, tramite smartphone e tablet, una ricchissima documentazione per conoscere storia, arte e cultura della città. Con la possibilità di realizzare anche il percorso di ceramiche all'aperto e creando così un sistema informativo completo e capace di coordinare il lavoro svolto da più soggetti.

Speciale Musei nell'era della mobilità digitale - pag. 12 [2016 - N.55]

Intervista a Mar Dixon, audience developer, social medial specialist e coordinatrice di Museomix UK

Romina Pirraglia - Sistema Muaseale della Provincia di Ravenna

Innanzitutto, ci racconti qual è il rapporto dei vostri musei con la museologia digitale?
Il Regno Unito sembra essere un paese leader in questo settore: i musei britannici sono dinamici, ovvero non vedono l'ora di provare sempre cose nuove e lavorare con il pubblico. Inoltre, la maggior parte dei musei ha capito che da soli non si può fare/sapere tutto, così si sta molto sviluppando l'apprendimento intersettoriale. Nel Regno Unito siamo fortunati a poter contare su finanziamenti che aiutano questo settore ad essere più creativo, implementando le tecnologie digitali nei musei. Certo, a volte questi finanziamenti sono destinati ai musei nazionali e di grandi dimensioni e conseguentemente la sperimentazione avviene lì ma, fortunatamente per noi, questi musei condividono - di solito tramite blog - il loro percorso affinchè anche altri musei ne possano giovare. Prendiamo ad esempio il Victoria and Albert Museum: hanno un blog multimediale digitale in cui mettono in condivisione sia ciò su cui stanno lavorando sia le nuove tendenze da adottare.
L'elemento chiave sta nel fatto che nel nostro settore c'è bisogno di vedere come il pubblico usa la tecnologia digitale e capire come renderla complementare con ciò che facciamo noi. A volte invece si corre il rischio di investire inutililmente i propri sforzi verso una nuova tecnologia che invece è incompatibile con le esigenze del pubblico.

Cosa caratterizza in particolare Museomix UK e la sua comunità?
L'esperienza è stata avviata tre anni fa e finora abbiamo organizzato due eventi: nel 2013, all'Ironbridge Gorge Museum Trust coinvolgendo tre musei, e nel 2014 al Derby Museum and Art Gallery con due musei. Il nostro team si è ribattezzato come "Open Community Lab", in quanto ha voluto lavorare maggiormente con l'NHS (National Health Service, il Servizio Sanitario Nazionale britannico, ndr) e con altri settori. Adesso stiamo lavorando per realizzare un nuovo evento nel 2016.
La forza di Museomix UK è il diverso apporto di personalità e creatività che si incontrano durante la maratona di tre giorni. Il nostro invito a partecipare è aperto a 360°: cerchiamo soprattutto maker, creatori, designer, qualsiasi persona 'sappia fare' e sognatori. Circa il personale dei musei, questo è coinvolto 'a distanza', per osservare e capire ciò che fanno i partecipanti che, magari, a dirla tutta, non hanno mai messo piede in quel museo!
Il nostro iter per le candidature consiste nel formulare una serie di domande, facendo poi attenzione a come ripondono le persone (cerchiamo più 'noi' e meno 'io'...). Basandoci solo su candidature online, non sappiamo che "chimica" scatterà nei team fino al giorno in cui i partecipanti arrivano al museo, il che lascia anche spazio al divertimento e alle sfide. L'idea di Museomix è "semplice": tre giorni a disposizione delle diverse comunità per riunirsi e creare insieme un museo che sia: a cielo aperto con un posto per ciascuno; laboratorio vivente che si evolve con i propri utenti; in rete in contatto con le sue comunità.
In sostanza, il museo si usa come sabbia da modellare (lett. sandbox = parco giochi per bambini, consistente in un recinto di sabbia, ndr) ad uso delle persone, per creare/remixare un museo nel modo in cui loro stessi vogliono farlo. L'elemento fondamentale è costruire una "bingo card", con ognuna delle seguenti competenze: programmazione, comunicazione, fabbricazione, contenuti, mediazione, grafica. Ogni partecipante può lanciare un'idea di progetto, ma fino a quando non trova tutte le persone che coprano le diverse competenze previste dalla bingo card, non potrà formare una squadra. Il tutto può rivelarsi un processo facile oppure davvero spinoso, come succede ad esempio quando uno desidera lavorare su un determinato progetto ma nella squadra correlata la sua abilità è già stata coperta da qualcun altro... Ma anche questo fa parte del processo!
Nei giorni successivi le squadre lavorano insieme sui prodotti finali e gli obiettivi da raggiungere, supportate da allenatori e consulenti/esperti che contribuiscono alla realizzazione dei loro progetti. Devo dire che, nonostante vi sia una sana competizione tra ogni squadra, alla fine nessuno vuole che gli altri falliscano. Questa è la forza della comunità! Il viaggio che si intraprende in quei tre giorni crea legami stretti, come una vera comunità. Non a caso molti partecipanti dell'edizione 2014 sono ancora in contatto tra di loro.

Tra i prototipi realizzati qualcuno è stato adottato permanentemente o sperimentato in altri musei?
Sì, in entrambe le edizioni, il museo ha trovato almeno due prototipi da trasformare in prodotto. Come comunità noi restiamo fuori da questo tipo di discussione e il museo lavora direttamente con i propri team. In ogni caso, alcuni prototipi potrebbero essere trasformati in prodotti da qualsiasi museo del mondo, dato che tutto il materiale è disponibile come open source sui nostri siti web.

Hai qualche suggerimento per la nascente comunità italiana?
Fatelo alla vostra maniera! Noi il primo anno abbiamo faticato ad adattare la filosofia francese alla cultura britannica. Ci siamo resi conto presto che non avrebbe funzionato mai e così abbiamo fatto solo le cose giuste per la nostra cultura, la nostra comunità e il nostro budget. Non concentratevi sul fatto che l'edizione italiana appaia diversa dalle altre: questo è esattamente ciò di cui c'è bisogno. Divertitevi e basta. Il divertimento genera creatività, e se i partecipanti vi vedranno sorridere, potranno rilassarsi. E soprattutto... caffè e torte a portata di mano non saranno mai abbastanza!


Speciale MuseoMix Italia - pag. 12 [2016 - N.56]

Luoghi e oggetti del patrimonio: un tema aperto

Roberto Balzani

Speciale Reti e sistemi museali - pag. 12 [2017 - N.60]

A Ravenna, Faenza, Bagnacavallo una mostra per far giocare con le opere d’arte i "bambini" dai 5 ai 90 anni

Claudio Cavalli - Gruppo Clac

La mostra attiva 100 capolavori, 100 giochi si è da poco conclusa. Promossa dalla Provincia di Ravenna è stata presentata al Museo Internazionale della Ceramica di Faenza dal 6 al 13 ottobre, alla Pinacoteca Comunale di Ravenna dal 16 ottobre al 2 novembre, alle Cappuccine di Bagnacavallo dal 7 al 17 novembre ed ha visto una partecipazione da “tutto esaurito” di migliaia di bambini e ragazzi delle tre fasce d’età a cui era indirizzata, 5-7 anni, 8-11 e 12-14, di insegnanti e, nei sabati e domeniche, di intere famiglie, nonni compresi. I giudizi e gli apprezzamenti sono stati lusinghieri; dove è stato proposto il libro per le firme come nel caso della Pinacoteca Comunale di Ravenna le dichiarazioni scritte sottolineano gli aspetti di sorpresa, divertimento: "davvero originale", "questo è un bel modo di avvicinare all’arte" e via di questo passo. Le richieste di partecipazione sono state così alte che non si è riusciti ad accoglierle tutte: ma potranno esserci altre occasioni in futuro. Per l’occasione Claudio Cavalli e Lucietta Godi, ideatori della mostra, hanno realizzato anche giochi mirati su opere d’arte presenti nei musei del territorio: a Faenza per esempio alcune ceramiche facevano parte dei giochi sulle nature morte e sulla luce, a Ravenna la Crocifissione del Vivarini della Pinacoteca comunale è stata proposta in forma di gioco poetico su diverse inquadrature, a Bagnacavallo i quadri di Enzo Morelli sono stati occasione di un gioco sui paesaggi. Abbiamo visto brillare spesso gli occhi di bambini e ragazzi, segno della loro partecipazione anche emotiva e attenta a cogliere ogni opportunità che la mostra offriva; in effetti l’attenzione alle regole di giochi insoliti, lo spirito ludico, il piacere nell’agire, sono stati il segnale della validità e dell’efficacia di questo tipo di avvicinamento all’arte che li ha coinvolti nella percezione visiva, nella manipolazione, nella partecipazione teatrale, nell’uso dei linguaggi fotografico e televisivo. L’esperienza di 100 capolavori, 100 giochi dunque, con le sue modalità intriganti di scoprire l’arte, contribuisce a guardare il patrimonio artistico presente nel territorio con occhi più attenti, con spirito ludico e di curiosità. La durata delle visite nella maggioranza dei casi è stata superiore a quella programmata: con i bambini di 5-6 anni siamo arrivati spesso ad un’ora e mezza; per gli altri a due ore e oltre. E senza intervalli, ricreazioni, merendine. Alla domenica diversi ragazzi che già erano venuti con la classe durante la settimana si sono presentati con i loro genitori. Anche gli over 65 anni, in alcuni casi venuti in gruppo, hanno trovato stupori, curiosità e un modo di guardare l’arte in maniera famigliare e intrigante. L’esperienza nel suo insieme sottolinea infine una domanda significativa di innovazione comunicativa, educativa e di valorizzazione del patrimonio artistico. L’interesse e la passione che hanno seguito la mostra e il corso di aggiornamento per insegnanti ci sembrano un bel segno: vale la pena investire in progetti e formazione professionale che consenta di avere future generazioni più attente, sensibili e capaci di valorizzare anche economicamente il proprio patrimonio artistico.

Speciale didattica museale - pag. 13 [2002 - N.15]

Un nuovo progetto di ristrutturazione e restauro renderà più funzionali e meglio fruibili gli ambienti dell'antico monastero

Nadia Ceroni

Abbiamo già avuto occasione - sulle pagine di questa rivista ( n.5, luglio 1999 ) - di accennare ai lavori di ristrutturazione della "Loggetta Lombardesca" che, attualmente in corso d'opera, contribuiranno a trasformare l'odierna Pinacoteca Comunale in Museo d'Arte della Città. L'edificio, che prende il nome dalla loggia con doppio ordine di cinque arcate prospiciente i Giardini Pubblici, venne costruito fra il 1495 e il 1525, attiguo alla chiesa di Santa Maria in Porto. Soppresso nel 1798, al tempo delle requisizioni napoleoniche, l'ex Monastero dei monaci portuensi venne successivamente trasformato ad uso di caserma militare negli anni 1885-87, con la costruzione di nuovi fabbricati per la Fanteria e la Cavalleria. Tra le modificazioni strutturali più significative dell'edificio, si ricordano la demolizione del chiostro minore - in origine collocato tra l'attuale facciata e la via di Roma - e i restauri del 1903, che interessarono la facciata originaria e la stessa loggia, in previsione dell'Esposizione Regionale Romagnola, allestita l'anno successivo nell'area verde antistante che in tempi più antichi ospitava l'orto e il giardino del Monastero. Per tale occasione furono presentati due progetti - rispettivamente di Gaetano Savini e Romolo Conti - che comportarono la riapertura delle arcate della loggia, precedentemente murate, e la relativa perimetrazione con balaustra a "fuseruole" ( lavori eseguiti sotto la direzione di Corrado Ricci ). La ristrutturazione degli anni Settanta, infine, ha permesso al Museo Ornitologico, all'Accademia di Belle Arti e alla Pinacoteca Comunale di trovare all'interno della "Loggetta Lombardesca", una nuova collocazione più consona alle rispettive esigenze scolastiche e museali. Entriamo ora nel merito dell'attuale progetto di restauro, redatto dal gruppo di lavoro dell'Area Infrastrutture Civili-Servizio Edilizia del Comune di Ravenna, rappresentato dall'Ing. Walter Ricci e dai suoi collaboratori: Michele Berti, Davide Cavallini, Franco Buccirosso, Enrico Somma ed Elisabetta Canella. I lavori previsti - in considerazione del trasferimento dell'Accademia presso altra sede più idonea, che ha lasciato libero parte del piano terra e il primo piano della Loggetta - riguardano la completa rifunzionalizzazione degli spazi museali e amministrativi dell'edificio, comprendenti anche interventi sulle strutture e sugli impianti. Il progetto complessivo si articola in tre lotti funzionali costituiti da: 1) opere architettoniche, che prevedono l'inserimento nella struttura dell'ascensore-montacarichi, interventi murari sui tre piani per rendere fruibili gli spazi ai portatori di handicap, la ristrutturazione e l'adeguamento dei servizi igienici; 2) opere di consolidamento strutturale, comprendenti indagini conoscitive e geotecniche estese all'intero edificio e controlli topografici necessari per il rispetto delle caratteristiche dell'edificio storico e dei vincoli introdotti dall'attuale normativa; 3) adeguamento degli impianti elettrici comprensivi di manutenzione straordinaria, messa a norma, completamento della rete per il controllo e la gestione centralizzata degli impianti elettrici e d'illuminazione, unitamente a impianti speciali anti-intrusione, per rivelazione incendi, monitoraggio geotermico delle sale espositive e relative telecamere a circuito chiuso. Sono questi, in sintesi, gli interventi che permetteranno al museo ravennate di acquisire ulteriori spazi al primo piano del complesso monumentale - destinati ad esposizioni temporanee e permanenti - ma anche nuovi locali al piano terra, riservati a servizi aggiuntivi e di accoglienza al pubblico, quali il book-shop, il guardaroba, il laboratorio didattico e la biblioteca. Il secondo piano, destinato alla museificazione del patrimonio artistico della Pinacoteca, potrà invece ospitare nuclei artistici ancora da scoprire ed esporre adeguatamente al pubblico godimento. Il progetto, inoltre, prevede anche lavori conservativi che riguardano il restauro della cancellata sui giardini, delle colonne in marmo del chiostro con relativi peducci, archi e portali interni, delle decorazioni presenti in una sala destinata ad accogliere la biblioteca: sotto gli attuali intonaci potrebbero anche rivelarsi tracce di antichi affreschi dimenticati.

Speciale edifici storici - pag. 13 [2001 - N.12]

Nadia Ceroni - Conservatore della Pinacoteca comunale di Ravenna

Università degli Studi di Siena Scuola di Specializzazione in Archeologia e storia dell'Arte Tesi di: Marcella Culatti Relatore: Prof. Enrico Crispolti Anno Accademico 1999-2000 Tra le attività museali, quella relativa all'assistenza e consulenza - nei confronti di studiosi, ricercatori e laureandi - è una delle più qualificate e qualificanti. Se l'attività conservativa e la funzione educativa vengono considerate tra le principali ragioni d'essere di un museo, alla ricerca non viene ancora riservata la dovuta attenzione, sia quando è tesa al soddisfacimento di richieste provenienti dall'utenza, sia come necessità interna al museo di costante aggiornamento nei confronti del patrimonio e dei professionisti addetti alla conservazione e alla tutela. Il concetto di museo - come ambiente educativo particolarmente articolato e dinamico - stenta ancora a trovare adeguati riconoscimenti, nonostante la denominazione di bene culturale sia stata progressivamente allargata a comprendere tutte le testimonianze della vita culturale di un territorio. Ciò nonostante le richieste di informazione, le domande di documentazione e le tesi di laurea - raccolte ad esempio dalla Pinacoteca di Ravenna - dimostrano la disponibilità del museo a dialogare con il pubblico, per il quale costituisce uno dei punti di riferimento culturale e formativo della città. Questo aspetto dell'attività del museo si connette sia alle collezioni permanenti che alle mostre temporanee e trova occasioni di studio e aggiornamento anche nelle tesi di laureandi e laureati provenienti da facoltà universitarie presenti non solo in ambito locale e regionale. È il caso della recente ricerca, condotta da Marcella Culatti, per la Scuola di Specializzazione in Archeologia e Storia dell'Arte dell'Università degli Studi di Siena - sotto la guida del professor Enrico Crispolti - inerente la collezione contemporanea della Pinacoteca ravennate. L'indagine ripercorre le fasi costitutive della raccolta, la ordina cronologicamente, la collega alla politica espositiva degli ultimi vent'anni: ne risulta un quadro molto articolato e analitico, che definisce l'attività temporanea della pinacoteca "finalizzata a creare dal nulla una raccolta permanente e stabile di arte contemporanea italiana". All'organizzazione sistematica di mostre temporanee - avviata fin dal 1977 con mostre collettive a carattere tematico, ma senza intenti di incremento patrimoniale - subentra nel 1982 una specifica volontà di arricchire il patrimonio artistico della pinacoteca, "acquistando un'opera da ogni artista invitato ad esporre". "La collettiva - specifica la Culatti - diviene una mostra antologica, all'esposizione si affianca il momento acquisitivo", subentra - nella politica museale ravennate - la volontà di trasformare il carattere temporaneo di queste manifestazioni in permanente, lasciando una tangibile testimonianza del loro passaggio in città ". Tali acquisizioni avvengono quasi sempre sotto forma di donazione, da parte degli artisti o di acquisto a prezzo simbolico, da parte dell'amministrazione comunale. Nel 1986 ai locali espositivi della Loggetta si aggiungono quelli dell'ex chiesa di Santa Maria delle Croci, spazio ad aula unica la cui ridotta capienza influisce sulla tipologia dell'evento espositivo, favorendo la valorizzazione della ricerca artistica sul territorio regionale e le esposizioni dedicate a giovani emergenti. Nel 1994 viene allestita una mostra-bilancio dell'attività espositiva promossa dalla Pinacoteca, con l'esposizione delle opere acquisite nel corso degli anni precedenti e la pubblicazione del secondo catalogo della collezione contemporanea, per sua natura definita in progress . Dal 1995 riprendono a pieno ritmo le mostre temporanee: a riprova "di come la politica di ampliamento sia divenuta una pratica sistematica e standard nella gestione dell'istituzione museale" anche gli atti amministrativi - con cadenza semestrale - sanciscono gli incrementi patrimoniali e l'inserimento delle opere acquisite negli inventari patrimoniali della Pinacoteca. Negli ultimi anni - conclude Marcella Culatti - "le esposizioni tendono a concentrarsi sempre più sulla produzione recente dell'artista protagonista, ma i linguaggi artistici esemplificati risultano coprire una gamma vastissima ed essere di genere molto diversi gli uni dagli altri. Unica matrice comune, unica volontà a capo di scelte così pluralistiche, pare quella di voler dare spazio ad ogni tipo di voce, a tutta la gamma di linguaggi con cui si esprime l'arte contemporanea".

Tesi e musei - pag. 13 [2001 - N.10]

Completati i lavori di recupero architettonico e degli affreschi della chiesa di Croce Coperta, grazie ai finanziamenti della Fondazione Banca del Monte e Cassa di Risparmio di Lugo

Gianni Morelli - Studioso d'arte e pubblicista

Mi piacerebbe definire Croce Coperta un labirinto dell'anima: per la storia, per l'arte, per le forme spirituali che le hanno dato impulso e variamente accompagnata lungo un percorso che dura da quasi mille anni. Un labirinto ancora in gran parte inesplorato, almeno fino al momento in cui padre Girolamo Bonoli nel 1732 ne portò in superficie una porzione di storia a partire dall'anno 1492, a proposito della annessione di Croce Coperta al convento dei religiosi carmelitani. Come i veri labirinti Croce Coperta non ha inizio: nel senso di una origine documentata o comunque interpolata in una qualche fonte storica; e forse neppure in senso stretto, dato il suo originario valore di "sito ambientale", modellato dalla natura nel corso dell'alto medioevo. Prossimo alla via Salaria, a ridosso del fiume Senio, bagnato dalle acque dell'Arginello che scorreva parallelo al Senio e che proprio lì, ostacolato da un'ansa del fiume, frenava il proprio corso in una larga pozza di acqua corrente, di facile accesso per abbeverare gli animali e la lavatura dei panni. Nel basso medioevo diventa "stazione" di partenza dell'antica strada centuriata che congiungeva Lugo a Budrio, portandosi verso il poderoso triangolo dei castelli di Cotignola, Cunio e Barbiano, fino alla via Emilia e di lì a Faenza e a Imola. Per questa sua origine di asse centuriale fu luogo di persistente valenza giuridica pubblica, ma soprattutto finì con l'imporsi come sede di liturgie itineranti, per la somministrazione dei Sacramenti e la preghiera comune e, successivamente, centro di accoglienza e distribuzione delle elemosine. Una semplice "Croce Scoperta" fu presto eretta proprio già nell'XI secolo a gloria della Croce e a protezione di una piccola folla stradale, che qui convergeva dai fondi agricoli sottoposti alla giurisdizione parrocchiale della Pieve di Santo Stefano in Barbiano. Tra il XIII e il XIV secolo Croce Coperta venne investita dal ciclone della nuova e inconfondibile spiritualità mendicante che mosse dai due conventi francescani di Cunio e Lugo ed è probabile che entro la fine del Duecento seguisse la costruzione di un vero e proprio oratorio, con funzioni di prima accoglienza assicurate - sotto l'impulso dei minori conventuali - dai confratelli della Madonna del Limite che ritroveremo ancora un secolo dopo, in veste di affidatari della chiesuola. Essi, secondo il precetto evangelico, fornivano riposo per la notte: acqua e un giaciglio che variava da un po' di paglia per terra, fino ad un letto da dividere con altri. A ciò si aggiungeva l'opera di elemosina, costituita da un po' di vitto. Questa intensa presenza francescana non verrà mai più dimenticata e il piccolo oratorio, esaurito il suo compito primario essendo sorto ai primi del Trecento l'ospedale di S. Antonio e nel Quattrocento quello del Corpo di Cristo, ne conserverà limpida memoria nei vari cicli di affreschi, ancora una volta indirizzati da inconfondibile sensibilità e magistero francescani. Come leggere altrimenti, al centro della piccola abside, il S.Francesco a ridosso della Croce - vero Alter Cristus - mentre viene trasfuso dallo stesso Gesù col mistero delle stigmate? E nelle pareti accanto le belle e reiterate presenze di Antonio da Padova e Bernardino da Siena? E poi la nutrita schiera di tutte le Sante e le Martiri menzionate nel canone romano e quell'insistenza così mirabilmente replicata negli anni, delle immagini della Madonna col Bambino, tanto cara alla spiritualità francescana? All'interno di una tale memoria "genetica" francescana, sarei persino tentato di collocare il grande affresco dell'"Ultima Cena", testimonianza visiva dei nuovi esercizi spirituali sollecitati dal vescovo Ondodei e condotti dal Superiore francescano all'interno dell'ospedale della Madonna, per i confratelli della Compagni del Limite, a partire dall'anno 1414. Lo studio critico delle opere d'arte cominciò sul finire dell'Ottocento con la ricognizione da parte di un buon connaisseur, quale fu Luigi Manzoni. La sua lettura è stata presa a piattaforma dagli studiosi delle successive generazioni che ne hanno riproposto pregi ed errori, come l'inaccettabile intitolazione a S. Bartolomeo di una delle due figure centrali, poste sotto la scena della crocifissione. Delle vicende storiche ed artistiche e dei lavori di restauro verrà dato conto in un volume di prossima pubblicazione, a cura di Gianni Morelli, Crispino Tabanelli e Anna Tambini. Per il momento conviene concludere ricordando che le ricerche di Anna Tambini presentate nel 1997, approdano a conclusioni le più aggiornate e convincenti, circa gli autori di questo primo nucleo di opere. Si tratta di équipe di pittori attivi a Ferrara dal 1430 al 1450 circa, ampiamente documentati con nomi e date, anche se è tuttora problematica la distinzione delle singole personalità artistiche. Riconosciuti coralmente sotto il titolo "Maestri di Casa Pendaglia", le individualità più spiccate appaiono Jacopo Sagramoro da Soncino, Nicolò Panizzato, Simone D'Argentina e Andrea Costa da Vicenza. Dice di loro la storica dell'arte "essi ebbero una parte non trascurabile nel diffondere a Ferrara un linguaggio tardo gotico caratterizzato da cadenze venete ispirate a Gentile da Fabriano e all'ambiente veronese, combinate ad una espressività immediata e piacevole, tipica della cultura padana.

La pagina del conservatore - pag. 13 [2000 - N.9]

L'appuntamento ferrarese di restauro 2000 ha consolidato l'immagine del Sistema ravennate ponendolo come punto di riferimento per tutte quelle istituzioni che intendono costituirsi in sistema museale

Daniela Poggiali Eloisa Gennaro - Museo In/forma Responsabile Laboratorio Provinciale per la didattica museale

Dal 24 al 27 marzo il Sistema Museale della Provincia di Ravenna ha compiuto la sua prima "uscita" ufficiale a Restauro 2000, Salone Internazionale del Restauro e della Conservazione dei Beni Culturali e Ambientali, che si è svolto a Ferrara. L'occasione di partecipare ad un appuntamento ormai tradizionale e frequentatissimo come il Salone di Ferrara si è felicemente coniugata alla volontà dell'Istituto per i Beni Culturali dell'Emilia Romagna di presentare, all'interno degli spazi espositivi destinatigli, i tre sistemi museali presenti in regione: quelli di Rimini e di Modena e quello, appunto, di Ravenna. L'allestimento è stato predisposto in modo che gli stands dei tre sistemi fossero vicini, così da suggerire un'ideale continuità fra province diverse ma facenti parte della stessa regione, consolidare l'immagine degli stessi sistemi e fornire un modello di forte impatto per quelle realtà che intendano costituirsi in sistema museale. Sono state messi a disposizione dei numerosi visitatori i materiali informativi e promozionali dei venti musei del Sistema, le pubblicazioni monografiche curate dal Servizio Cultura della Provincia e la rivista "Museo Informa" . Lo stand di Ravenna presentava, inoltre, alcuni oggetti rappresentativi del territorio, gentilmente concessi in prestito da tre musei del Sistema: la Pinacoteca Comunale di Ravenna ha esposto un disegno di Libera Musiani riproducente un particolare del pannello di Teodora, a San Vitale, il Centro Etnografico delle Erbe Palustri di Villanova di Bagnacavallo ha prestato alcuni modellini di barche e capanni, il Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza ha presentato un manufatto realizzato da uno degli allievi del Laboratorio "Giocare con l'arte". L'affluenza davvero considerevole di pubblico, soprattutto nelle giornate di sabato e di domenica, e gli apprezzamenti ed i commenti favorevoli sulle attività dei singoli musei e del Sistema Provinciale confermano che la partecipazione ad eventi e manifestazioni di questo tipo sia auspicabile anche in futuro, soprattutto nel caso di saloni dedicati in modo specifico ai musei o ai beni culturali. Infine, l'esperienza realizzata a Ferrara consente di fare alcune riflessioni: è stata decisamente indovinata la scelta di portare alcune opere dei musei del Sistema in mostra, in modo da caratterizzare lo stand, catturare l'attenzione dei visitatori e invitarli a fermarsi ed a chiedere informazioni; il successo delle pubblicazioni didattiche prodotte dai musei (andate letteralmente "a ruba") conferma l'attenzione di pubblico, operatori ed insegnanti nei confronti di questo settore; il favore incontrato dal calendario 2000 del Sistema museale e dalle sportine in carta con il logo ribadisce, se ce ne fosse necessità, l'importanza che assumono, nella promozione museale, i gadgets e il merchandising; la disponibilità dei musei del Sistema nel fornire materiale divulgativo e pubblicazioni, oltre alle opere prestate, è stata fondamentale nel permettere che la provincia e le sue istituzioni culturali ed artistiche fossero ampiamente rappresentate, con ricchezza di informazioni e in modo omogeneo per tutto il territorio.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 13 [2000 - N.8]

La didattica museale è materia di studio per le scienze dell'educazione o è materia multidisciplinare che deve vedere coinvolti pedagogisti, storici dell'arte, archeologi e conservatori?

Alba Trombini - Consulente di promozione e didattica museale

Occuparsi oggi professionalmente di didattica museale significa navigare a vista nel mare magnum delle buone intenzioni, prendendo come esempio le intuizioni felici di esperienze isolate e cercando di evitare gli scogli delle improvvisazioni dovute alla mancanza di modelli culturali ufficialmente riconosciuti e condivisi. Questa assenza di precisi punti di riferimento, in qualche modo istituzionalizzati, contribuisce a mantenere in vita quell'impronta di episodicità e frammentarietà che caratterizza da sempre la didattica museale in Italia. E' singolare che nel nostro paese gli unici corsi universitari che si occupano in modo più o meno sistematico di didattica museale facciano tutti parte di Dipartimenti di Scienze dell'Educazione (Università degli Studi di Roma Tre, Università di Padova, di Bologna… tanto per citarne alcuni). Come se il problema della comunicazione, della fruizione e funzione didattica del museo fosse di competenza esclusiva del mondo della ricerca pedagogica. Perché questo confino? Perchè le Facoltà deputate alla conservazione del patrimonio culturale non avvertono la stessa necessità di un maggior coinvolgimento nella questione della trasmissione e valorizzazione attiva di tale patrimonio? Alcuni anni fa in un interessante Convegno organizzato a Roma dal Centro di Didattica museale del Laboratorio di Pedagogia sperimentale (Università degli Studi di Roma Tre), si parlava appunto della didattica museale come di una competenza di intersezione e si poneva l'attenzione sulla necessità di far confluire in essa apporti disciplinari diversi, senza nulla togliere ai rispettivi settori di ricerca. Pedagogisti e storici dell'arte, archeologi e conservatori, direttori ed esperti di comunicazione… soltanto insieme queste figure professionali possono contribuire a formulare proposte didattiche veramente innovative e degne di tale definizione. Alcuni pensano che fare didattica museale sia semplicemente fare al museo qualcosa di accattivante e grazioso per i bambini, altri ancora si perdono nell'ambivalenza della parola: didattica uguale ad educazione, ad acquisizione di conoscenza, a sviluppo della cultura personale… Istruzione formale o educazione permanente? Chi la considera unicamente una disciplina pedagogica, chi solo un mezzo per aumentare il pubblico dei musei. Tutto ciò genera inevitabilmente confusione sulla definizione di metodi e obiettivi della didattica museale. Il museo, dal canto suo, può informare il pubblico sulle proprie attività o divulgare i suoi contenuti usando ogni specie di strategia comunicativa (multimediale e non), ma questo non significa che stia facendo della didattica. Ciò che distingue la didattica dal resto (divulgazione e informazione) è la circolarità del processo formativo, è l'interazione fra discente e docente. Ogni volta che trasformiamo l'esperienza museale indifferenziata - pensiamo alla visita di tipo tradizionale - in attività individuale utile e creativa, allora stiamo facendo della vera e propria didattica museale innovativa. L'innovazione è data dalla flessibilità e dalla continua evoluzione delle proposte, dall'impostazione problematica di tali proposte, dall'attenzione alle necessità individuali unita al controllo dell'intero processo formativo. E per concludere, dalla cura dedicata alla incentivazione emotiva e al consolidamento dell'esperienza. Va da sé che tutte queste strategie - in qualche modo "codificate" dalla ricerca pedagogica - per essere concretamente adottate al museo, hanno bisogno di essere prima studiate, sperimentate e poi sottoposte a verifiche sul campo. Alla fine viene da chiedersi… nella realtà culturale ravennate chi, meglio dell'Università, può assumersi questo impegno?

Esperienze di didattica museale - pag. 13 [2000 - N.7]

Strumenti, spartiti, bozzetti di scena e costumi costituiscono il corpus del museo faentino nato dalla donazione al Comune della collezione di Arnaldo Minardi

Giorgio Cicognani - Biblioteca Comunale di Faenza

Il Museo del Teatro di Faenza fu fondato nel 1931 a seguito della donazione al Comune della collezione privata di Arnaldo Minardi.Fu inaugurato nell'estate del 1933 e collocato al piano terra della Biblioteca Comunale. La donazione comprendeva oltre 5000 pezzi costituiti da libri antichi (1500-1800) di argomento musicale o teatrale, articoli di giornali (confluiti, anche per ragioni di conservazione, nei fondi librari della Biblioteca nell'immediato dopoguerra e già schedati), inoltre rari autografi di personaggi del mondo del teatro, disegni e incisioni di scenografie, ritratti di cantanti soprattutto di origine faentina. Fra il materiale raccolto non potevano mancare alcuni bozzetti scenografici di Romolo Liverani e vari strumenti musicali databili dal Cinquecento al Novecento, tra i quali alcuni pezzi esotici. Fra gli strumenti più interessanti due splendidi verginali, uno del sec. XVI (firmato: Joseph Solodiensis Fecit 1558) pezzo di inestimabile valore unico in Europa e uno del sec. XVII, già restaurati, e una ghironda costruita a Faenza da Francesco Sangiorgi datata 1759. Quest'ultimo strumento è stato sottoposto a restauro puramente conservativo senza ricostruire le parti lacunose. Il Museo, dopo la distruzione bellica della Biblioteca Comunale, fu riallestito nei locali dell'ammezzato dove è rimasto fino al 1984. Purtroppo per scarsità di spazio nello stesso anno la raccolta è stata ospitata presso Palazzo Milzetti in alcuni piccoli locali siti al secondo piano. Si auspica che ben presto, terminati i lavori per l'adeguamento alle attuali norme di sicurezza, il Museo sia riallestito e aperto al pubblico. Proprio in previsione di una nuova e più adeguata presentazione dei pezzi, sono stati avviati in questi anni interventi di restauro comprendenti sia gli strumenti musicali che i materiali tessili, i primi a carico dell'Amministrazione Comunale di Faenza, i secondi a carico della Regione Emilia Romagna secondo i contributi della L.R. n. 20/90. Il restauro dei tessuti, affidato alla Signora Thessy Schoenzholzer Nicholos di Firenze, ha permesso di analizzare e studiare tutti i manufatti evidenziando una serie di preziose informazioni e datazioni che non erano state annotate neppure dal collezionista stesso. Ad esclusione di pochi indumenti, alcuni preziosi tessuti erano serviti prima per abiti civili adattati poi a costumi per il teatro. E' il caso per esempio di un abito di "Theodora", originariamente vestito da festa civile del primo Novecento, che, con adattamenti, è divenuto costume rinascimentale. Arnaldo Minardi, faentino di adozione, ha raccolto, presumibilmente negli anni Venti, senza un criterio preciso, il materiale che ci è pervenuto. Auspichiamo che a questa originale raccolta si aggiungano nuovi pezzi e documentazione di origine locale che ci aiutino a comprendere meglio la vita culturale e artistica della nostra città.

Speciale musei storici - pag. 13 [1999 - N.6]

Dalle ceramiche precolombiane a quelle contemporanee, attraverso un percorso storico che sottolinea l'evoluzione artistica delle civiltà di tutto il mondo

Gian Carlo Bojani - Direttore del Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza

Fondato nel 1908 da Gaetano Ballardini, il Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza è un importante centro culturale, di ricerca e di documentazione per la ceramica di tutto il mondo e può proporre al pubblico un'ampia gamma di manufatti prodotti dall'antichità fino ad oggi. La Ceramic Arts Foundation di New York, nel 1999, con un riconoscimento onorifico lo ha definito il più importante museo della ceramica d'Europa. Il percorso attuale per la visita alle raccolte prende avvio con le ceramiche precolombiane, proposte con il supporto di una suadente didattica, cui seguono, con le stesse caratteristiche di presentazione, quelle dell'Antichità classica, greca, etrusca e romana. Sono previste in questo percorso: le ceramiche preistoriche mediterranee, l'Egitto dinastico, le ceramiche del Medio Oriente, prevalentemente islamiche, e quelle dell'Estremo Oriente (Cina, Giappone, Corea), e un'appendice di ceramica. Al piano superiore è presentata l'evoluzione delle ceramiche di Faenza dal Basso Medioevo (XIII secolo) al Rinascimento e Barocco (XVII secolo) a cui segue la produzione del Rinascimento italiano, ripartita tra varie regioni specie del centro Italia (Lazio, Umbria, Marche, Toscana, Abruzzo, Veneto). Una sezione illustra i successivi sviluppi della ceramica italiana dal Seicento all'Ottocento di centri produttivi diversi del Nord, del Centro e del Sud Italia (fra cui: Faenza, Bologna, Nove di Bassano, Firenze, Pesaro, Napoli, Caltagirone, Castelli, Urbania, Savona). Nella Sala Europa si può ammirare una rapida selezione dei prodotti delle principali manifatture europee, fra cui Delft, Meissen e Sèvres. Il Museo non si rivolge solo alle ceramiche del passato, ma è anche attento a quanto ancora oggi si produce nel settore sia artistico, sia industriale, sia tecnologico. Attualmente vasti spazi dedicati all'epoca contemporanea prendono le mosse dai "Premi Faenza", un concorso internazionale che si svolge dal 1938. Questa selezione contemporanea accoglie anche capolavori di artisti ormai universalmente riconosciuti come Picasso, Matisse, Rouault, Léger, Chagall, Galileo Chini, Dalì, Gropius, Leoncillo, Fontana, Burri, Martini, Melotti, Sottsass, Nespolo, Baj, Arman, Matta. E' prevista un'ampia sezione dedicata al design, e la stessa sarà affiancata anche da una notevole presentazione di piastrelle per l'edilizia antiche ma soprattutto del XX secolo. Sono da considerare anche alcuni "percorsi" alternativi che fanno di questo Museo qualcosa di particolare nel suo genere, e che sono offerti a un pubblico motivato con visite programmate. Sono percorsi che richiamano pubblici differenziati, specialistici, e non. Essi sono la Biblioteca con Fototeca della ceramica avviata nel 1915 e frequentata da circa duemila persone all'anno, che è funzionante anche per posta elettronica e per Internet; il laboratorio per la ceramica " Giocare con l'Arte" ideato da Bruno Munari, e attivo dal 1979, al quale convergono scuole materne, elementari e medie in prevalenza del territorio faentino, ma che vede la partecipazione a corsi speciali anche di insegnanti e ceramisti italiani e stranieri; il laboratorio di Restauro che si avvale di un gruppo di restauratori diplomatisi al "Ballardini", e che si occupa esclusivamente di restauro di materiali ceramici di qualunque tipologia tecnologica, dalla terracotta alla porcellana. Questo laboratorio organizza corsi di aggiornamento per restauratori provenienti dall'Italia e dall'Estero, ed esegue anche restauri su commissione soprattutto per collezioni di altri musei e di enti pubblici ma anche di collezioni private. Il Museo, infine, organizza mostre durante tutto l'anno sia nella propria sede, sia in altre sedi italiane e straniere, anche con prestiti ad altre Istituzioni, e in collaborazione con esse.

Speciale musei artistici - pag. 13 [1999 - N.5]

Luciano Bentino - Gruppo Speleologico Faentino

Di istituire il Parco della Vena del Gesso si discute ormai da quasi 30 anni, da quando cioè, nel 1972, fu redatta la prima proposta di tutela ad opera dell'Unione Regionale delle Bonifiche. Innumerevoli sono stati i dibattiti, le tavole rotonde, gli articoli, e non si può certo dire che l'opinione pubblica non sia informata sulla peculiarità di questa emergenza naturale. In ogni caso sono tuttora disponibili in libreria diversi lavori di divulgazione scientifica che esaminano tutti gli aspetti di questa singolare barriera che si sviluppa per circa 20 Km trasversalmente alle vallate comprese tra Lamone e Sillaro. L'esiguità dello spazio non promette di prendere in esame dettagliatamente tali caratteristiche: si ricorda comunque che la V.d.G. si è formata tra 6 e 5,5 milioni di anni fa con le modalità di una gigantesca salina: in seguito alla chiusura a più riprese dello Stretto di Gibilterra, per almeno 15 -16 volte il Mediterraneo disseccò depositando altrettante bancate di gesso (cicli evaporitici), separate fra loro da sottili intercalazioni argillose ove si trovano numerosi resti dei pesci che popolavano quelle antiche lagune. Questi depositi, in origine piatti, furono poi nuovamente sommersi dal mare e poi corrugati, spezzati e inclinati e infine fatti emergere dalle enormi spinte dovute agli spostamenti convergenti, tuttora in corso, dei continenti africano ed europeo. la roccia selenitica che costituisce la V.d.G. è velocemente carsificabile: le acque meteoriche non scorrono cioè in superficie, ma vengono inghiottite nel sottosuolo attraverso le fratture createsi durante l'emersione della catena appenninica. La superficie è stata modellata da campi scolcati, erosione a candele e doline, cavità perlopiù imbutiformi al fondo delle quali le acque meteoriche vengono drenate in inghiottitoi, punti idrovori attraverso i quali si accede al reticolo di grotte scavate dalle acque stesse, che hanno dissolto il gesso in corrispondenza delle linee rappresentate dal reticolo di fratture preesistenti. Alcune di queste grotte furono utilizzate da genti pre-protostoriche per scopi di culto, come luogo di sepoltura e talora come abitazione: ben note sono la Grotta del Re Tiberio, la Tanaccia di Brisighella e la Grotta dei Banditi, ma anche altre piccole cavità furono sporadicamente frequentate dall'uomo. Di grandissima importanza scientifica è la scoperta, avvenuta nel 1985 nella cava di gesso del Monticino presso Brisighella, di uno straordinario deposito di fossili di età messiniana finale (circa 5,5-5 milioni di anni fa) con specie faunistiche continentali scomparse da tempo dai nostri ambienti: antilopi, rinoceronti, cavalli, formichieri, scimmie, iene, oltre ad un numero elevatissimo di piccoli roditori ed insettivori, le cui ossa disarticolate erano state intrappolate. La primigenia Vena del Gesso era simile ad un '"pezzo d'Africa" caldo ed arido, fino a quando fu nuovamente sommersa dal mare in seguito all'apertura dell'attuale Stretto di Gibilterra. Anche la flora e la vegetazione Meriterebbero ampio spazio, ma ci si limiterà a ricordare la presenza ,della rara Cheilantes persica, piccola felce a distribuzione balcanica e mediorientale, relitto ,della calda era terziaria, le cui uniche stazioni italiane (e di tutto il Mediterraneo occidentale) si trovano a Monti Mauro. Malgrado tutte queste peculiarità il parco della V.d.G. continua ad essere un parco fantasma: la Regione ha istituito, almeno sulla carta, 12 riserve naturali e 13 parchi, ma non il nostro, la cui progettazione è stata delegata alla Provincia di Ravenna. Limitandoci alle vicende più recenti, naufragato il progetto redatto nel 1983 dall'arch. R.Rosini per l'opposizione di cavatori, cacciatori e soprattutto di residenti, l'incarico di redigere un nuovo progetto è stato affidato diversi anni or sono ad un ufficio della Provincia; tale progetto è stato sottoposto alle associazioni naturalistiche perché facessero le loro osservazioni ed illustrato in questi ultimi tempi pubblicamente nelle sedi delle Comunità interessate. Non si placa però l'ostilità dei residenti, da sempre disinformati e sobillati da forze politiche e lobbies di cacciatori che continuano a prospettare pesanti e rigorosi vincoli particolarmente nei confronti degli agricoltori, che invece non solo non verrebero minimamente penalizzati, ma beneficerebbero di consistenti vantaggi economici. Si fornisce così alla Provincia l'alibi di non poter imporre un parco contro la volontà dei Comuni interessati: e se Riolo recentemente si è dichiarato a favore, Casola tergiversa e Bris'ghella è sostanzialmente contraria. Dal versante dei protezionisti le critiche riguardano invece la "filosofia" del progetto, che vorrebbe salvare capra e cavoli finendo col non salvare nulla: si contesta infatti la zonizzazione cervellotica in base alla quale sarebbe salvaguardata solo la linea di cresta - e neanche tutta, vista la presenza a Borgo Rivola della Cava ex Anic, la più grande d'Europa per l'estrazione del gesso - dove la roccia selenitica emerge senza copertura di vegetazione; non sono previste aree di tutela integrale, nemmeno per la forra del Rio Basino né tanto meno per il bosco che ammanta le rupi di Castelnuovo;'e si potrebbe continuare. Fra i protezionisti c'è anche chi sarebbe disposto ad accettare un tale mini-parco, perché è meglio di niente le in futuro potrebbe essere ampliato. Ma un tale compromesso è inaccettabile: già in un recente passato, a Casola Valsenio, durante la manifestazione "Nebbia '95" il Gruppo Speleologico Faentino si è pronunciato provocatoriamente contro un parco siffatto: meglio infatti lasciare le cose come stanno, poichè in caso contrario verrebbero vanificate le norme di salvaguardia esistenti, come i DD.MM. emanati in attuazione della L.1497 del 1939 ed i vincoli del Piano Paesistico Regionale.

Speciale musei naturalistici della scienza e della tecnica - pag. 13 [1999 - N.4]

Franco Gabici - Direttore del Planetario di Ravenna

Il Planetario, strumento nato per consentire la rappresentazione artificiale di un cielo stellato limpido e pulito, può essere considerato oggi il luogo del "cielo virtuale ". Infatti, mentre una volta lo spettatore che usciva da uno spettacolo sotto la cupola di un Planetario aveva la possibilità di confrontarsi, nelle notti serene, con il "cielo reale", oggi questo confronto non è più possibile, perché l'inquinamento atmosferico e l'inquinamento luminoso hanno radicalmente trasformato l'aspetto del cielo. Il "cielo virtuale del Planetario, dunque, offre all'uomo moderno un momento forte di riflessione, facendo toccare con mano il degrado del cielo, ma soprattutto facendogli capire quanto i suoi modelli di vita siano lontani da comportamenti che siano in sintonia con la natura. Il cosiddetto "cielo in una stanza", inoltre, offre allo spettatore una diversa chiave di lettura dell'astronomia, considerata spesso dalla gente la scienza che studia gli oggetti lontani, mentre invece l'oggetto del suo studio, coinvolge direttamente il nostro quotidiano, tant'è vero che il cielo di cinquant'anni fa si presentava con un aspetto sicuramente più bello e spettacolare del cielo di oggi, a dimostrazione che l'uomo e i suoi comportamenti possono avere un ruolo determinante. Il Planetario di Ravenna si trova all'interno del giardino pubblico, nel cuore verde della città, in un'area che presto verrà in un orto botanico e parco astronomico. Il progetto infatti prevede la catalogazione delle piante e degli arbusti del giardino e la messa in posa di targhe sinottiche per consentire una lettura scientifica di tutta la zona. Inoltre, nell'area attorno al Planetario verrà realizzato un "percorso astronomico" i cui segmenti sono rappresentati da orologi solari che nel loro insieme raccontano la lunga storia del rapporto uomo - tempo. Sulla parete sud del Planetario, infine a coronamento di questo itinerario, verrà allestito un grande "orologio solare" attraverso il quale è possibile ricavare, oltre all'ora, tutta una serie di interessanti indicazioni astronomiche, ultimissime soprattutto dal punto di vista didattico. A tutt'oggi il Planetario fa registrare una affluenza di circa quindicimila persone all'anno, un dato che tiene conto non solo degli spettacoli a pagamento, ma anche delle molte iniziative aperte a tutti che vengono organizzate nel corso dell'anno, fra le quali ricordiamo la "Giornata nazionale dei Planetari", "la giornata dell'inquinamento luminoso" e il "Corso di aggiornamento per insegnanti delle scuole medie - superiori". Il Planetario di Ravenna ha una cupola di 8 metri di diametro sotto la quale trovano posto 52 spettatori. La struttura dispone anche di una sala conferenze di 56 posti con maxischermo per proiezioni VHS e UMATIC, lavagna luminosa, lavagna di ardesia, impianto proiezioni videodischi e diapositive.

La vetrina dei musei - pag. 13 [1997 - N.0]

Lo scultore ravennate lasciò il proprio patrimonio artistico e bibliografico alla Pinacoteca del Museo d'Arte della Città e al Museo Nazionale, di cui fu il principale promotore a partire dagli anni Settanta dell'Ottocento

Nadia Ceroni - Conservatore del Museo d'Arte della Città

Nel 1887 veniva stampata a Firenze l'autobiografia intitolata Ricordi d'arte di Enrico Pazzi statuario, nella quale lo scultore ripercorreva le proprie vicende umane e artistiche. Gli Atti dell'Accademia di Belle Arti testimoniano che la formazione del Pazzi, nato a Ravenna nel 1819, avvenne in ambito locale sotto l'insegnamento del bolognese Ignazio Sarti, professore e direttore a vita dell'Accademia dal 1829 al 1854. Ma i rapporti col maestro non furono facili. Stando a quanto viene riportato nel Carteggio del 1841, Pazzi venne espulso dall'Accademia per intemperanze dimostrate durante le ore di lezione nei confronti del Sarti. Riammesso in Accademia, per intercessione del cardinal legato Agostino Rivarola, Pazzi vinse poi una borsa di studio per andare a perfezionarsi all'estero e nel 1845 si trasferì a Firenze grazie a un assegno mensile di 10 scudi elargito dal Comune di Ravenna per un triennio. Qui proseguì la sua formazione presso lo studio dello scultore Giovanni Duprè e nel 1849 ricevette dal Municipio di Ravenna un ulteriore assegno di 15 scudi mensili, per un altro triennio a Firenze. Nell'occasione la commissione consiliare accettò in dono dallo scultore un bassorilievo rappresentante Galla Placidia cacciata da Ravenna dal fratello Onorio, oggi facente parte della Gipsoteca dell'Accademia ravennate. Tra le opere fiorentine è da ricordare il monumento a Dante, solennemente inaugurato in Piazza Santa Croce nel 1865. A Ravenna restano del Pazzi numerosi ritratti in marmo di personaggi famosi come Andrea Garavini, Luigi Carlo Farini, Jacopo Landoni, Lorenzo Ginanni Corradini, Pulcheria Ghika Rasponi, Gioacchino Rasponi, la contessa Laura Pallavicini. Tra i monumenti sepolcrali quelli dedicati a Gaspare Ribuffi, alla famiglia Rambelli e a Pietro Pazzi, sono collocati presso il Cimitero Monumentale della città; il cenotafio del padre Antonio Cesari è nella Chiesa metropolitana. Più che per la cospicua produzione scultorea, a Ravenna il nome di Enrico Pazzi è legato alla nascita del Museo Nazionale, essendone stato il principale promotore a partire dagli anni Settanta dell'Ottocento. Concepito inizialmente in termini di Museo Civico Bizantino, avrebbe dovuto essere collocato nel chiostro del Monastero di Porto, ma il progetto iniziale non venne attuato, essendo l'intera struttura architettonica destinata a comando di corpo d'armata. La scelta cadde allora sui locali del Monastero di Classe, ben presto occupati da un massiccio deposito di materiali lapidei da parte del conte Ferdinando Rasponi, della famiglia Lovatelli e di molte altre nobili casate ravennati. La storia della formazione del museo, di cui Pazzi divenne direttore nel 1884, è stata molto ben ricostruita da Silvia Pacassoni (si veda la tesi di laurea su Enrico Pazzi (1818-1899) dall'Accademia al Museo compilata nell'a.a. 2001-2002 per l'Università degli Studi di Bologna - Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali, relatore prof. Stefano Tumidei, correlatore prof. Roberto Balzani) fino al 1898, anno in cui Pazzi passava la direzione museale al più giovane Corrado Ricci. La figura del Pazzi si incrocia anche con la storia della Pinacoteca ravennate, già Galleria dell'Accademia di Belle Arti, e l'incremento delle relative collezioni artistiche. Tra le varie acquisizioni patrimoniali che si succedettero nel corso dell'Ottocento, la più significativa avvenne grazie al lascito di Enrico Pazzi. Morto nel 1899, lo scultore aveva disposto nel testamento olografo del 1884 di lasciare al Museo Nazionale tutti i suoi libri d'arte, stampe, disegni e mobili antichi e al Comune di Ravenna, perché fossero custoditi nell'Accademia, i quadri e i gessi. Nell'inventario delle opere formanti il Legato Pazzi a favore dell'istituzione scolastica, sono elencati numerosi quadri, gessi, bassorilievi e cornici esistenti "nella casa del defunto, nello studio e nella villa posta nel vicolo di San Marco Vecchio": opere in gran parte rintracciabili negli attuali inventari del museo. "Volendo che le mie sostanze possano essere utilmente impiegate dopo la mia morte a vantaggio dei poveri e dell'arte e non siano disperse o malamente impiegate", nella modifica testamentaria del 1898, lo scultore dichiarava inoltre di voler istituire una Fondazione Pazzi con il compito di conferire tre borse di studio, ciascuna di millecinquecento lire annue "a tre giovani poveri ed onesti della provincia di Ravenna e di Firenze per uno studio triennale di perfezionamento in una delle Accademie di Belle Arti d'Italia". Assunto l'assetto giuridico di Ente morale, la Fondazione fu operante solo dal 1903 e fino al 1919. La ristampa dei Ricordi d'arte, a cura di Lucio Scardino (Ferrara, Liberty House, 1991), il volume di Giordano Viroli (Il gesto sospeso. Scultura nel Ravennate negli ultimi due secoli, Ravenna, Mistral, 1997) e la sopra citata tesi di laurea di Silvia Pacassoni, hanno recentemente contribuito a rinnovare l'interesse per questo scultore per lungo tempo quasi dimenticato.

Personaggi - pag. 13 [2003 - N.17]

Come salvare dal degrado e dalla distruzione i bassorilievi che ornano ciò che resta della facciata dell'ex Macello Comunale di Ravenna

Nadia Ceroni - Conservatore della Pinacoteca Comunale di Ravenna

Come branca particolare dell'archeologia, quella relativa all'archeologia industriale è ben presente nella provincia di Ravenna, essendo stata adeguatamente documentata in un catalogo curato da Italo Zannier per conto dell'Assessorato provinciale per i Beni Culturali (Viaggio nell'archeologia industriale, 1997). Nel panorama delle numerose tracce del lavoro e delle attività economico-imprenditoriali del secolo scorso, si colloca pertanto anche l'ex macello comunale di Ravenna, al quale rivolgiamo la nostra attenzione per segnalare la necessità di manutenzione e restauro che presentano i quattro medaglioni eseguiti da Attilio Maltoni (Ravenna, 1862-1911) sopravvissuti sul lato sinistro della facciata, ubicata in via Renato Serra. Non è nostra intenzione ripercorrere la storia architettonica della costruzione - avvenuta negli anni 1897-1900, su progetto dell'ingegnere comunale Costantino Pirotti (Ravenna, 1852-1942) - né tantomeno polemizzare sull'opportunità di recuperare e riutilizzare l'intero complesso - peraltro soggetto al vincolo relativo agli edifici pubblici - essendo a conoscenza di progetti, studi e segnalazioni già elaborati da locali associazioni di categoria, dagli stessi uffici comunali e dall'Istituto per i Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna nel volume L'ultima città possibile (1991). In queste pagine si vuole invece lanciare una proposta per un'adeguata conservazione, esposizione e valorizzazione dei quattro bassorilievi in marmo bianco, eseguiti dallo scultore ravennate, raffiguranti le teste di quattro animali destinati all'alimentazione umana: un bovino, un suino, un ovino e un gallinaceo. Dello stesso artista si conservano a Ravenna numerose opere nel cimitero della città (G.Viroli, Il gesto sospeso, 1997), nel mercato coperto (C.Ricci, Guida di Ravenna, 1923), nella gypsoteca dell'Accademia di Belle Arti e nei depositi della Pinacoteca. Dagli atti, conservati nell'Archivio Storico Comunale, sappiamo che verso la fine del 1898 al Maltoni venne versato un primo "acconto di lire 150 per comprare la pietra per fare otto medaglioni". Di questi bassorilievi, che dovevano ornare la facciata del macello, quattro furono distrutti dalla bomba che durante il secondo conflitto mondiale colpì l'ala destra del fabbricato, assieme alla scultura che sovrastava l'ingresso del macello raffigurante l'emblema del Comune ( G.Brandolini, A proposito dell'antico macello di Ravenna in "La Betoniera", 1995-96 ; C.Benghi, L.Daveri, L. Di Bartolo, Ex macello comunale di Ravenna, ricerca coordinata dal Prof. D.Lamberini per il Corso di restauro architettonico, Facoltà di architettura, Università degli Studi di Firenze, nell'a.a.1996-97). I bassorilievi rimasti versano visibilmente in cattivo stato conservativo, collocati su una superficie precaria e in parte nascosti dalla vegetazione che sta invadendo il lato sinistro della facciata. In occasione del centenario dell'apertura del macello - stabilita con atto di Giunta il primo gennaio 1902 - opportunamente distaccati e restaurati, i tondi potrebbero essere depositati presso il museo d'arte della Città per essere esposti al pubblico, integrando così il nucleo scultoreo della Pinacoteca e valorizzando l'attività di uno scultore più conosciuto per i numerosi busti raffiguranti personaggi ravennati. Animali da salvare quindi " perché - come diceva Enrico Pazzi nei suoi Ricordi d'arte datati 1887 - non abbiano i posteri a dire di noi… furono barbari".

Speciale archeologia - pag. 13 [2001 - N.11]

Nato per ricordare la battaglia di Purocielo, il museo permette di studiare la storia italiana dagli anni del Fascismo alla Ricostruzione seguita alla Seconda Guerra Mondiale e alla nascita della Repubblica

Claudio Casadio - Centro Ca' Malanca

Il Museo di Ca' Malanca è nato per ricordare un episodio: la battaglia di Purocielo con lo scontro tra due battaglioni della 36ª Brigata Garibaldi e l'esercito tedesco che voleva sconfiggere la "minaccia mortale" delle azioni dei partigiani coordinate direttamente con le operazioni militari degli anglo-americani. In tre giorni del 1944, dal 10 al 12 ottobre, il tentativo di sfondare il fronte alle spalle dei tedeschi, per favorire la Liberazione di Faenza, si trasformò in una gravosa manovra di ripiegamento portata con successo ma anche con la morte di tanti partigiani. Questo episodio, che pure ha dimostrato la capacità di tenuta delle formazioni partigiane anche negli scontri militari con armi inadeguate, ha però la capacità di dimostrare tanti aspetti della lotta partigiana: l'eroismo, la profonda umanità dei partecipanti, la conoscenza dei luoghi, la solidarietà e lo stretto rapporto fra partigiani e contadini. Oggi la battaglia di Purocielo non è dimenticata proprio perché alcuni dei partecipanti hanno non solo mantenuto in piedi una casa della loro Resistenza ma contribuito - insieme alla Regione Emilia-Romagna, ai Comuni e alle Province di Ravenna e Bologna, ad altri enti e all'attività di tanti volontari - alla realizzazione di un Centro Residenziale che documenta e permette di studiare la storia italiana dagli anni del Fascismo alla Ricostruzione seguita alla Seconda Guerra Mondiale e alla nascita della Repubblica Italiana. Del Centro Residenziale di Ca' di Malanca fanno parte il Museo della Resistenza e la struttura capace di dare ospitalità a gruppi che intendono sostare in un bel luogo naturale dove la riflessione e la conoscenza è stimolata anche dalla presenza di monumenti e di una bella biblioteca. Il Museo della Resistenza, parte fondamentale della struttura residenziale, testimonia con documenti e fotografie sulle vicende e sui protagonisti dei tre giorni di guerra avvenuti nelle zone di rio di Cò, tra Ca' di Malanca, Ca' di Gostino, Piano di Sopra e Poggio Termine. A fianco della casa con le strutture espositive del museo è stato anche ristrutturato un fabbricato dotandolo di tutte le attrezzature necessarie per ospitare gruppi e comitive, anche per più giorni con una ventina di posti letto. Normalmente sono ospitate scolaresche nel periodo primaverile e gruppi organizzati di associazioni, enti, circoli sportivi e culturali nei giorni festivi e nei mesi estivi. Oltre al soggiorno, con la possibilità di utilizzare la biblioteca specializzata con circa 600 libri dedicati alla Storia d'Italia tra la Seconda Guerra Mondiale, la Resistenza e la nascita della Repubblica è anche possibile fare escursioni nella bella zona collinare dell'Appennino romagnolo. Tra i tanti sentieri e mulattiere attorno a Ca' Malanca è particolarmente significativo l'itinerario segnalato dal Club Alpino Italiano come "Sentiero dei Partigiani". Si tratta di un'escursione significativa perché consente di percorrere tutti i luoghi che furono teatro della Battaglia di Purocielo e perché mette a contatto gli escursionisti con un ambiente naturale fra i più belli e panoramici dell'Appennino romagnolo. Con una camminata di circa tre ore si completa la visita ad un museo dedicata alla Resistenza e alla Lotta di Liberazione che portò alla nascita della Repubblica Italiana. Per chi vuole saperne di più sulla vicenda di Ca' Malanca, oltre ai libri di Ferruccio Montevecchi, La Battaglia di Purocielo, Contadini di Purocielo, e alla pubblicazione di Nazario Galassi, Partigiani nella linea Gotica (University Press Bologna, 1998), è possibile consultare il sito internet all'indirizzo www.racine.ra.it/camalanca.

Speciale nuove adesioni - pag. 13 [2003 - N.18]

È quasi compiuto il restauro di un'importante opera di Nicolò Rondinelli, conservata al Museo d'Arte della Città di Ravenna

Nadia Ceroni - Conservatore Museo d'Arte della Città di Ravenna

I complessi lavori di restauro, che si sono resi necessari per ripristinare tre tavole di Nicolò Rondinelli, il maggiore artista ravennate del Quattrocento, stanno per terminare. L'opera, conservata nella Pinacoteca del Museo d'Arte della Città di Ravenna, è stata affidata alle cure del laboratorio di Sandro Salemme di Imola, esperto restauratore di opere d'arte su legno.
Finanziato dall'IBC per conto della Regione Emilia-Romagna (legge 18/2000), l'intervento ha richiesto analisi chimiche, realizzate grazie alla collaborazione del personale tecnico della Soprintendenza di Bologna, e indagini diagnostiche, eseguite grazie alla disponibilità dell'Enea di Bologna. Per le ricerche storico-artistiche, la Pinacoteca ravennate ha potuto contare sulla collaborazione del Dipartimento di Storie e Metodi per la Conservazione dei Beni Culturali dell'Università di Bologna-Sede di Ravenna: il restauro del trittico del Rondinelli sarà infatti oggetto di una tesi di laurea.
Le tre tavole - entrate a far parte del patrimonio artistico della Galleria dell'Accademia di Belle Arti, attuale Pinacoteca, nel 1906 - provengono dalla Chiesa di San Giovanni Battista, detta anche "dalle Catene" o "della Cipolla". Raffigurano una Madonna in trono con il Bambino e i Santi Alberto e Sebastiano. Giorgio Vasari, nelle Vite de' più eccellenti pittori, ed. 1550 e 1568, a proposito della produzione artistica del Rondinelli, menzionava l'opera con parole d'elogio: "Quella che passò tutte le altre opere sue, fu quella che fece nella chiesa di San Giovanni Battista […] dove stanno i Frati Carmelitani, nella quale, oltre la Nostra Donna, fece nella figura d'un Sant'Alberto loro frate una testa bellissima e tutta la figura lodata molto".
Nella chiesa il trittico era segnalato fino al 1821; veniva poi ritirato dai conti Lovatelli per essere collocato nel loro palazzo fino al 1904, anno in cui passava in deposito all'Accademia per essere definitivamente acquisito al patrimonio artistico dell'Istituzione nel 1906. Fin qui nulla di strano, se non fosse per il fatto che il trittico nel XVII secolo venne riunito in un grande quadro rettangolare. Ce ne dà notizia Corrado Ricci nelle Raccolte artistiche di Ravenna (1905), puntualizzando sul fatto che "si alzò la tavola con la Vergine apponendovi due assicelle laterali dipinte ad angeli e serafini e si misero sotto i due Santi, frammettendo però loro un'aggiunta con un po' di paese". La presenza degli angeli, e quindi dell'opera nella sua forma rettangolare, è confermata nelle guide di Ravenna di F. Beltrami (1783 e 1791), di F. Nanni (1821) e di G. Ribuffi (1835).
Dalle indagini finora svolte, sappiamo che nel 1834 la testa di Sant'Alberto era stata irrimediabilmente compromessa da un intervento di restauro (F. Mordani, 1874) e che nel 1914 le singole tavole venivano nuovamente separate. Mancano notizie sulle aggiunte del Seicento e sulla presenza dell'opera in chiesa, ricordata brevemente sul terzo altare a destra: poiché Sant'Alberto era un frate carmelitano, si potrebbe ipotizzare che le tre tavole siano state appositamente realizzate per San Giovanni Battista, antica chiesa dell'ordine, riedificata a tre navate dall'architetto Pietro Grossi nel 1683. L'ipotesi potrebbe essere avvalorata dalla testimonianza del Fabri nei Lustri Ravennati ( 1678) che a proposito di quest'opera affermava: "Questa, nel tempo c'hora scriviamo, minacciando rovina, si può dire che non si ristaura ma che si riedifica per opera del Padre Maestro Lorenzo Bongiovanni Ravennate".
Un altro motivo di indagine, sul quale le ricerche in corso potranno far luce, riguarda il momento relativo all'acquisizione dell'opera del Rondinelli da parte della Pinacoteca. Sappiamo infatti che venne ceduta alla Galleria ravennate dal Ministero dell'Istruzione, in cambio di un piccolo trittico, già attribuito a Fiorenzo di Lorenzo e poi ad Antoniazzo Romano, trasferito alla Galleria degli Uffizi. A conclusione dei lavori di restauro, si darà conto delle indagini in corso e dell'acquisizione di nuove informazioni, fondamentali per la conoscenza storico-artistica e la valorizzazione di un'opera tra le più importanti della collezione antica della Pinacoteca.
Come abbiamo già avuto occasione di sottolineare, tra le attività istituzionali quella relativa alla conservazione si conferma tra le più significative, essendo spesso occasione di "rivelazione dell'artista, dei soggetti rappresentati e della storia dell'opera".

Speciale restauro - pag. 13 [2004 - N.19]

Al Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza verrà avviato il riallestimento delle sezioni dedicate alla ceramica italiana
Il MIC in Faenza conserva una raccolta unica nel mondo non solo per le dimensioni, si pensi che lo spazio espositivo è attualmente di circa 9.000 metri quadrati con oltre 2.000 opere ma anche per la qualità e varietà delle raccolte. Sono infatti documentate non solo la grande produzione italiana ed europea del Rinascimento e l’arte contemporanea, italiana ed internazionale, rappresentata dai maggiori artisti del Novecento ma anche diverse realtà come la ceramica nell’America precolombiana, nella Grecia classica, nell’età romana, nel Medio Oriente e nell’Arte islamica.
Esporre raccolte di queste dimensioni è sempre complesso e richiede attenzione a molteplici aspetti. Una complessità che ancora una volta si è riscontrata presso il Museo quando, per necessità di riordino e sistemazione di una parte del percorso, si è iniziato a lavorare alla proposta di riassetto delle sezioni del ’600-’700 e ’800 italiano. Si tratta di sezioni particolarmente importanti sia per la sua collocazione e dimensione in due lati del quadrilatero storico che per la funzione museale di cerniera tra la ceramica rinascimentale e la produzione di arte contemporanea del Novecento.
Basti pensare che per la sola produzione faentina nel periodo interessato si passa dalla grande stagione dei bianchi ai nuovi caratteri distintivi dati dalla ricerca tecnica (“terzo fuoco” e terraglia) e dall’incessante rinnovamento decorativo con tematiche floreali, rovine romantiche, motivi “all’olandese” ed altresì influssi estremo-orientali, che daranno vita alle “cineserie”. Nell’Ottocento la ceramica faentina si esprime soprattutto in repertori di gusto popolare, devozionale e d’uso domestico, anche se alla fine del secolo non mancano brillanti esperienze come il “ritratto” su ceramica e l’eclettismo, che rivaluta gli stili del passato.
Rinnovare l’esposizione vuol dire mettere in evidenza queste caratteristiche della ceramica faentina e documentare l’evoluzione della ceramica italiana nel contesto del percorso più generale del museo. L’itinerario di visita nella nuova proposta parte dalle ultime vetrine del Rinascimento italiano, dedicate a Castelli d’Abruzzo e prosegue con l’Abruzzo e con le altre officine meridionali per poi documentare la produzione del Sei-Settecento dell’Italia Centrale e dell’Italia Settentrionale. Arrivati alla fine della lunga sala orientale del quadrilatero storico del museo si svolta nell’importante salone di ingresso al primo piano dove il progetto prevede la collocazione della produzione faentina, con opere che dal ’600 e ’700 documentano sino allo storicismo e al ritratto tardo ottocentesco. Terminata questa sala il percorso prevede il ritorno nell’altra sala con una visita sul lato opposto delle bacheche e la possibilità di passare dalla ceramica italiana dell’Ottocento alla parte nuovo del Museo con l’esposizione delle ceramiche del Novecento e delle opere di arte contemporanea con autori internazionali come Picasso e con tutti i vincitori del Premio Faenza.
La nuova esposizione permette una visita chiara, con la sequenzialità cronologica data dal passaggio ininterrotto dal Rinascimento Italiano al Novecento e la valorizzazione della produzione faentina, inserita nel percorso all’ingresso del primo piano consentendo al visitatore di scegliere tra l’iniziare la propria visita dalle sale dell’Arcaico e del Rinascimento faentino o dalla sale con la produzione faentina del Settecento e Ottocento.
Nel corso della progettazione della nuova esposizione è stato deciso che le bacheche dovranno avere oltre alle caratteristiche standard di sicurezza alcuni aspetti funzionali privilegiati quali la visibilità ampia, una buona illuminazione e una facilità di manutenzione e pulizia interna.
Altro aspetto molto importante è quello della selezione delle opere da mettere in mostra, realizzato dagli esperti scientifici con un attento lavoro di studio e ricerca. Si tratta infatti di selezionare tra le più di 4.000 opere del periodo appartenenti alle collezioni del museo per arrivare ad una scelta di circa 900 opere che si è calcolato possano essere contenute negli spazi individuati.
Ultimo aspetto esaminato è stato quello relativo alla didattica e alle didascalie individuando nel sistema in adozione una occasione per determinare moduli tipo per la didattica che verranno estesi in modo progressivo alle restanti raccolte del museo.
L’occasione di rinnovare due sezioni delle esposizioni del Museo si è dunque confermata come un momento per pensare più complessivamente alle funzioni e attività museali, cercando soluzioni adeguate per una raccolta ampia che deve essere attraente sia per un pubblico di specialisti e per quanti si avvicinano, magari per la prima volta, alla ceramica. Con la speranza e l’impegno che cresca sempre di più il numero di coloro che iniziano a rivolgere interesse e passione nella ceramica.

Speciale Piano Museale - pag. 13 [2004 - N.20]

Il MIC di Faenza possiede un precatalogo informatizzato di oltre 30.000 opere, che potrà essere implementato seguendo le fasi di lavoro previste dagli standard

Claudio Casadio - Responsabile Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza

Anche un recente fatto di cronaca può aiutare a capire quanto sia importante realizzare un catalogo completo delle opere e dei documenti che costituiscono il patrimonio di un museo. Alla Pinacoteca di Bologna è infatti successo che durante i lavori di stesura del primo catalogo scientifico generale siano state ritrovate due tavole di Gentile da Fabriano, maestro attivo ai primi del Quattrocento. La pubblicazione del catalogo, il cui primo volume dai Primitivi al Duecento sarà edito ai primi di dicembre, conterrà dunque importanti novità che confermano tra l’altro quanto siano importanti gli obblighi conservativi previsti dal Codice dei Beni Culturali e del Paesaggio.
Nel dettaglio delle norme è però ancora più importante e utile quanto previsto dagli standard regionali per i musei, definiti dalla Regione Emilia-Romagna, per i quali “nella gestione delle collezioni e del patrimonio museale rientrano in primo luogo le attività di registrazione e documentazione, che confluiscono nella catalogazione”. Si tratta infatti di una serie di funzioni definite come “procedimento complesso che comprende sia aspetti pragmatici che di elaborazione concettuale”, indispensabili per i compiti primari di conservazione e valorizzazione del patrimonio museale. In questo ambito di attività la Regione Emilia-Romagna e l’Istituto per i beni culturali sembrano muoversi con indirizzi chiari accompagnati da esperienze e programmi avviati già da molti anni. Nella definizione degli standard si parte infatti dalla dichiarazioni di indispensabilità della presenza del registro inventariale, si indica come obiettivo di qualità la disponibilità della catalogazione informatizzata completa delle opere a livello di precatalogo e si fissano una serie di criteri e aspetti con i quali completare il “procedimento complesso” della catalogazione. Le dichiarazioni regionali non sono però un atto isolato ma da tempo rientrano nei programmi promossi per i musei. La realizzazione di sistemi informatizzati per la gestione delle collezioni e del patrimonio museale è infatti ormai una prassi consolidata che ha dato tanti risultati. Il software concesso in uso a tutti i musei che lo richiedono è uno strumento già sperimentato che si è rivelato non solo valido ma anche versatile e pieno di possibilità da sviluppare.
Tra le diverse esperienze significative, un’importanza certo non secondaria è quella del Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza che già alla fine degli anni Novanta ha realizzato un precatalogo informatizzato completo di più di 30.000 opere del patrimonio del museo e con una catalogazione informatizzata generale per alcuni dei più importanti fondi del museo.
Con questa attività le registrazioni e documentazioni del patrimonio museale non solo sono diventate più sicure per la possibilità di archiviazione e duplicazione concesse dai sistemi informatici ma consentono anche notevoli vantaggi negli aggiornamenti e nella consultazione. I tanti registri precedentemente necessari oltre alla scheda di documentazione, da quello inventariale al topografico, dalla documentazione fotografica e bibliografica ai movimenti per mostre od altre iniziative, fino alla scheda di restauro o alle note più specifiche che la storia di singole opere può richiedere sono ora unificati con enorme facilità di gestione che si traduce in semplificazione, risparmio ed efficienza ma soprattutto consentono una facile accessibilità e fruizione. Le schede sono consultabili con sistemi di facile utilizzo, quali le ormai universali interfacce web per la navigazione in Internet, e con possibilità di ricerca per qualsiasi parola di testo. Ciò vuol dire, ad esempio, che uno studioso può ottenere in pochi secondi la risposta alla sua richiesta di quante opere di un autore sono conservate nel museo. Per ognuna di queste opere troverà poi una documentazione completa di informazioni varie e di fotografie, con possibilità di salvataggio e duplicazione dei propri risultati di ricerca.
La catalogazione informatizzata, come individuata nella definizione regionale di “procedimento complesso”, è comunque da programmare secondo piani precisi e con obiettivi definiti in modo progressivo. Si tratta dunque di una attività in divenire basata comunque su aspetti sicuri quali la validità dei sistemi informatizzati e l’articolazione delle fasi di lavoro ben dettagliata negli stessi standard regionali.

Speciale standard museali - pag. 13 [2004 - N.21]

NatuRa, Museo Ravennate di scienze Naturali “Alfredo Brandoloni” ha riaperto a Sant’Alberto, alle porte del Parco Delta del Po

Francesca Masi - Servizio Turismo e Cultura del Comune di Ravenna

A Sant’Alberto, porta meridionale del Parco del Delta del Po, nel Palazzone, antico crocevia fluviale dei commerci di sale e di grano, è sorto NatuRa, Museo Ravennate di Scienze Naturali “Alfredo Brandolini”. Sant’Alberto, terra d’acqua, dialogo antico tra l’uomo e la natura, eterna lotta e primigenia fonte di vita, non poteva non accettare la sfida di una realtà museale che, dalle strette mura cittadine, ha ritrovato le proprie origini.
La ricchezza semantica del museo civico connota e rende evidente come Sant’Alberto sia l’interlocutore obbligato di una città che, negli straordinari mosaici delle sue chiese, legge, inalterata, la bellezza degli uccelli e degli animali di secoli lontani e che per ritrovare le proprie radici guarda al suo ultimo confine sulla valle, al fine di rivivere quella stessa integrazione con l’ambiente che è il connotato saliente, il genius loci di Ravenna.
Il Museo nacque negli anni settanta, grazie alla donazione della collezione di Alfredo Brandolini, naturalista vissuto nei primi anni del ’900, che ha dedicato tutta la vita allo studio delle specie ornitologiche; alla donazione iniziale si aggiunsero negli anni altri reperti provenienti da lasciti ed acquisizioni relative ai diversi aspetti delle scienze naturali.
La necessità di liberare gli spazi occupati dal Museo presso la Loggetta Lombardesca, nell’ambito di una più ampia riforma delle emergenze culturali del Comune di Ravenna, si è rivelata un’occasione eccezionale per ripensare tale Museo non più attraverso l’ottica tassonomica e puramente elencativa della tradizione, ma attraverso un approccio culturale consono al contemporaneo dibattito sui temi ambientali e museali, per configurare il momento espositivo come opportunità di sintesi e di confronto all’interno della relazione tra una città e il suo ambiente.
Il ripensamento del Museo si configura come strumento attuale ed efficace per la crescita della comunità civile: in termini di servizio, mediante un’ offerta didattica ampia e diversificata, con azioni finalizzate a rinsaldare il legame fra la città e il Parco, in virtù della possibilità di essere luogo di sintesi della riflessione sull’ambiente; in termini strutturali, grazie alla valorizzazione del Palazzone e con esso della comunità di San’Alberto, a cui consegue un più stretto collegamento con le attività realizzate dal Parco del Delta del Po; infine, in termini di esposizione secondo quattro principi di base: agevolazione dell’incontro con i contenuti e la struttura del percorso attraverso il piacere della scoperta e dell’incontro, linearità dell’itinerario logico-espositivo, confronto del microcosmo museale con il macrocosmo ambientale e applicazione ed utilizzo delle nuove tecnologie.
Scopo di NatuRa è quello di rendere accessibili concetti scientifici a tutti i livelli di utenza, semplificando quel processo di assimilazione di informazioni fondamentali sul territorio in cui si vive, che permette un atteggiamento più responsabile nei suoi confronti. Il Museo, vocato a raccogliere, conservare, studiare, mostrare ed insegnare, si propone la cura, la manutenzione e il restauro delle collezioni storiche, nonché il recupero e l’acquisizione di materiali finalizzata a colmare le lacune esistenti; si propone inoltre la preparazione di nuovi materiali, con approfondimenti volti a dar conto del rapporto di continuità fra storia e natura e trova nell’orientamento all’utenza e nell’attenzione prioritaria alla comunicazione e all’accoglienza la sua finalità ultima.
La collocazione nell’ambito del Parco del Delta del Po amplifica e concretizza la missione, attraverso il contatto diretto e la sperimentazione immediata di ciò che si impara. Ciò permette di applicare le nozioni teoriche apprese e di contestualizzare una natura che si tende a leggere come avulsa dal proprio mondo, con conseguenze spesso disastrose per l’ecosistema stesso; esercizio utile soprattutto per i giovani che potranno utilizzare tale metodo in tutti i campi della vita, ma anche per gli adulti che dimenticano di farlo.
Le attività del Museo, affidate alla Cooperativa Sterna, sono strutturate secondo un piano rivolto alle diverse parti della comunità, finalizzate a concretizzare nel Museo uno spazio a tutti rivolto e da ognuno arricchito. Oltre le tradizionali visite guidate, sono previste attività di laboratorio, percorsi di orienteering, sessioni di birdwatching, attività ludiche quali compleanni al Museo e colazioni con prodotti biologici.

Speciale centenario della Legge Rava e Beni ambientali - pag. 13 [2005 - N.23]

Muoversi “passo dopo passo” permette anche ai piccoli musei di provvedere ad una decorosa conservazione delle opere

Valerio Brunetti - Responsabile del Museo Civico di Castel Bolognese

Ogni responsabile di museo vorrebbe avere una bacchetta magica per poter vedere in un attimo tutte le opere delle proprie collezioni in ordine e restaurate: a Rimini, anche senza bacchetta, ci sono quasi riusciti. Al Museo della Città con un ammirevole progetto quinquennale, dal 2001 al 2006, sostenuto da un gruppo di cinque aziende locali sono riusciti a portare a termine il restauro di trenta importanti opere presenti nelle raccolte riminesi. Un ottimo risultato se si pensa alle scarse risorse di cui dispongono la maggior parte delle strutture museali, dove è sempre più difficile reperire le risorse per interventi, a volte anche urgenti, di conservazione del patrimonio. La soluzione di muoversi a piccoli passi è forse l’unica che può permettere alle piccole realtà di provvedere ad una decorosa conservazione delle opere.
Il Museo civico di Castel Bolognese, a sei anni dal riordino delle raccolte, con un po’ di risorse rese disponibili dall’amministrazione comunale, ha avviato a fine 2005 un apposito piano, che seppure contenuto nei costi e negli obiettivi, promuove alcuni interventi conservativi ormai improrogabili su opere destinate a far parte o appartenenti alla sezione artistica e avviate verso un progressivo degrado che oltre a mettere in pericolo l’esistenza delle opere stesse non ne permetteva un’adeguata fruizione da parte del pubblico.
È previsto il recupero di un affresco staccato a massello, trecentesco, che raffigura la Vergine col Bambino, l’opera pittorica più antica presente sul territorio comunale: collocato nella vecchia residenza municipale, di provenienza incerta, fu nuovamente trasferito e “rimurato” nel nuovo municipio nel dopoguerra. Nuovamente rimosso in seguito a lavori è stato trasferito al Museo civico in precarie condizioni. Un recente studio lo attribuisce ad un maestro romagnolo dai modi giotteschi.
È stato affidato alle esperte mani di Patrizia Camino che provvederà alla pulitura, al consolidamento dell’intonaco e al risarcimento di alcune lacune con leggeri interventi di restauro pittorico ad acquerello. La stessa restauratrice si prenderà cura anche di due tavole con i ritratti ad olio dei genitori del pittore castellano Giovanni Piancastelli, da lui realizzati alla fine dell’Ottocento. I dipinti presentano una forte alterazione della vernicetta che li ricopre: l’alterazione, dovuta alla lunga esposizione alla luce a cui sono stati sottoposti prima di pervenire al museo, ha offuscato i colori originali alterandone la percezione visiva.
Altri interventi in programma riguardano alcuni materiali provenienti da donazioni, che si vorrebbero vedere esposti al più presto ma che si trovano in condizioni non idonee per essere presentati al pubblico.
Si dovrà affrontare il restauro di un’incisione a bulino di Giovanni Antonio Antolini, appartenente alla donazione Costa, che presenta il supporto cartaceo ormai fortemente imbrunito tanto da renderla quasi illeggibile e con tracce nel verso di nastro adesivo dovute ad una vecchia incorniciatura poco attenta.
Anche una grande incisione seicentesca di Gerard Audran, recentemente pervenuta al museo, si presenta sporca e polverosa con gore d’umidità, lacerazioni e lacune, per cui si rende necessario procedere ad un adeguato restauro, progettato dal CEPAC di Forlì, che prevede principalmente la pulitura, la rimozione di empirici interventi di restauro precedentemente eseguiti, il rinsaldo delle lacerazioni e il risarcimento delle lacune. Questo intervento metterà l’opera in condizioni di essere adeguatamente conservata ed eventualmente esposta.
La stessa tipologia di intervento è prevista per una pergamena manoscritta trecentesca, di grande interesse per la storia della comunità, anch’essa conservata ripiegata, che presenta ugualmente gore d’umidità, lacerazioni e lacune che la rendono difficilmente consultabile. Dopo l’eliminazione dello sporco e della polvere si potrà procedere alla distensione della pergamena con rinsaldo delle lacerazioni.
Piccoli interventi tutti che si inseriscono in un progetto di miglioramento dell’offerta del patrimonio museale e del risanamento di opere di alto valore storico e documentario che saranno rese più fruibili sia per il pubblico che per gli studiosi.

Speciale restauri - pag. 13 [2006 - N.25]

Il genio poliedrico del dantista che tradusse la Divina Commedia in dialetto

Franco Gàbici - Capo Reparto delle Attività scientifiche e museali del Comune di Ravenna

Francesco Talanti, il famoso santalbertese conosciuto soprattutto per aver tradotto nel nostro dialetto alcuni canti della Divina commedia, moriva quarant’anni fa, nel giugno del 1946, in un ricovero di Rimini.
Nato a Sant’Alberto nel 1870, dimostrò fin da ragazzo vivacità intellettuale ma anche stravaganze e atteggiamenti sopra le righe al punto che i suoi compaesani lo chiamarono subito “Cecco e matt”. Ma Talanti non fu solamente uno scrittore e un poeta. Fu un appassionato dantista, insegnante di matematica, poliglotta (conosceva una mezza dozzina di lingue) e autore di saggi come L’uomo e la parola, uno studio sulle teorie evoluzionistiche di Darwin che Talanti dedica alla memoria di Olindo Guerrini. Sospinto da una innata irrequietezza, qualità assai strana per un romagnolo, condusse una vita da giramondo, quasi da zingaro, ma dovunque lo condussero le vicende della vita si fece sempre apprezzare per le sue doti.
Insegnò matematica a Intra, a Luino e a San Gallo e scrisse un Algebra Handbuch che fu tradotto in giapponese dal professor Sakuma e adottato dal liceo Vaseda di Tokio. Tradusse anche in francese gli Elementi di geometria di Faifofer. Come cultore di Dante organizzava letture dei canti aiutandosi con proiezioni di ombre cinesi da lui stesso costruite. Spirito libero e insofferente, fu anche un grande polemista come dimostra Sottovento, un saggio del 1930 nel quale dedica pagine e pagine alla critica spietata e a volte anche cattiva di Alfredo Oriani al quale consiglia di “mettersi a studiare la grammatica, e starsene zitto fin che non l’abbia imparata”. Non risparmia neanche Gabriele D’Annunzio: “A Gabriele d’Annunzio sia gloria ed onor per le sue gesta di guerra, se bene un certo Giuseppe Garibaldi abbia fatto qualche cosa per l’Italia, con meno rumore e miglior mercato”.
Interessanti anche alcune opere dedicate alla sua terra, In Romagna e Le spiagge di Romagna, quest’ultima illustrata con immagini un po’ osé che gli procurarono non pochi guai. E se Guerrini si scagliò contro Carlo Denina reo di avere affermato che a Ravenna non nacquero uomini degni di passare alla storia, Talanti se la prende invece con Albano Sorbelli che nelle sue Bellezze d’Italia non cita Guerrini: “Sarebbe curioso sapere come si fa – commenta Talanti – a scrivere la storia della letteratura italiana della seconda metà del secolo XIX senza parlare di Guerrini”. Talanti, dunque, tiene alta la bandiera della Romagna e la difende a spada tratta dai denigratori. Dante affermava che in questa terra ci sono solamente “velenosi serpi” e Talanti, vuoi per giustificare Dante vuoi per difendere la sua terra, dice che Dante intendeva riferirsi agli avventurieri, ai tiranni e ai signorotti e conclude dicendo: “si sa che Dante non ha mai detto bene di nessuno, salvo di Beatrice e dell’imperatore Arrigo VII”.
Assiduo frequentatore della Biblioteca Classense, fu in amicizia con Santi Muratori che lo incoraggiò a riscrivere certe sue opere che andarono distrutte durante la guerra. Un suo lavoro sulla storia d’Italia era approdato perfino da Mondadori, ma anche questo andò distrutto: “Tutta una vita spesa in studi accurati, severi – scrive Giulio Finotelli – condotti con scrupolo e onestà e genialità, con una sempre insaziata sete di sapere, dispersi al vento della bufera infernale che sconquassava il mondo”.
E chiudiamo questo ricordo di Talanti con una curiosità, tratta da una lettera del 1940 con la quale invitava a colazione l’amico Santino Muratori proponendogli i “taglierini con la chitarra”: “è la chitarra – spiega Talanti – un arnese da cucina da me portato dall’Abruzzo e che merita di essere adottato e diffuso in Romagna”. Talanti fu davvero un genio universale!

Personaggi - pag. 13 [2006 - N.26]

Un programma flessibile e vantaggioso rispetto agli inventari precedenti ha reso possibile la creazione del catalogo informatizzato al MIC di Faenza

Claudio Casadio - Direttore della Pinacoteca Comunale di Faenza

Tra i tanti cambiamenti e le diverse possibilità che l’informatica ha portato nel mondo dei musei ci sono, al momento, due punti fermi da tenere in continua considerazione e riferimento pratico come costanti linee guida. Il primo punto è l’utilizzo del programma Odysseus per la schedatura delle opere conservate nei musei, reso disponibile dall’Istituto dei Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna. Questa disponibilità, resa effettiva da anni per tutti i musei grazie anche ad un attento servizio di assistenza, ha permesso tra l’altro la costituzione del catalogo dei beni culturali della Regione con circa 60.000 schede consultabili nel sito internet dell’IBC.
L’uso del programma Odysseus come strumento di base è una realtà consolidata presso il Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza.
Da più di dieci anni sono partiti i lavori per la realizzazione del catalogo informatizzato ed attualmente sono state realizzate circa 40.000 schede, in parte complete anche con collegamenti a dettagliate immagini fotografiche delle opere e in parte realizzate con i dati principali e quindi a livello di precatalogo. L’insieme del lavoro disponibile consente nell’operatività del Museo notevoli risparmi di tempo e una maggiore efficienza.
Rispetto alla tenuta manuale dei registri, attualmente non più necessaria, i dati sono unificati in un unico archivio mentre in precedenza la registrazione delle informazioni era effettuata in almeno cinque archivi diversi che comprendevano dati inventariali, topografici sulla collocazione delle opere, eventuali movimentazione temporanee tipo prestiti per mostre, informazioni sulla documentazione fotografica e bibliografica delle singole opere, eventuali schede di restauro e possibili ulteriori documentazioni specifiche. Con il sistema di inserimento e ricerca informazioni adottato dall’IBC per il programma di schedature, ogni dato viene inserito un’unica volta e pertanto è evidente il grosso vantaggio rispetto alla tenuta di più registri inventariali. Ancora più utile risulta il sistema per ogni tipo di ricerca, siano queste interne che quelle di studiosi ora effettuabili eventualmente sia in appositi punti informativi che tramite interrogazioni Internet dal sito museale o dal catalogo messo in rete dall’IBC.
Il programma Odysseus si presta per dare buoni risultati a qualunque richiesta di raccolta ed elaborazione dati da parte di un operatore museale, per cui l’esperienza ha dimostrato l’inutilità di tenere altre basi di dati realizzate magari in proprio con programmi e sistemi in uso in tutti i personal computer. Inutilità ancora più vera per le stesse scelte dell’IBC che non solo è disponibile a dare ascolto ad ogni richiesta e suggerimento ma nel caso sia ritenuto giusto adegua l’intero sistema ad ampliamenti o proposte concordate. E l’utilizzo di altri programmi per le singole realtà museali può essere non solo inutile ma anche trasformarsi in un vero e proprio danno. Oltre a tener conto che l’IBC mette a disposizione gratuitamente per i musei il programma e l’assistenza il danno con l’uso di programmi non confluibili in Odysseus è reso rilevante per la possibile mancanza di contributo alla costituzione del catalogo dei beni culturali della Regione Emilia-Romagna.
Con gli obiettivi sopra indicati, quali l’utilizzo di un unico sistema informatizzato per la schedatura dei beni museali e la realizzazione del catalogo regionali dei beni culturali, va considerato come indispensabile anche il secondo punto fermo sull’uso dell’informatica nei musei: la necessità che si sviluppi all’interno delle singole realtà una conoscenza informatica diffusa. La stessa carta delle professioni museali predisposta dall’ICOM non individua figure specifiche per l’informatica di base e sembra mettere queste competenze, in modo opportuno, tra quelle funzionali ai quattro ambiti individuati rispettivamente nell’ambito ricerca, cura e gestione delle collezioni, ambito servizi e rapporti con il pubblico, ambito amministrativo, finanziario, gestionale e delle relazioni pubbliche e ambito delle strutture e della sicurezza.
Ogni operatore museale dovrà dunque, nel rispetto delle proprie competenze, saper utilizzare i programma informatici e a questo scopo, o meglio per aiutare la formazione e l’aggiornamento, possono risultare molto utili anche i servizi che le reti dei sistemi museali possono offrire.

Speciale catalogazione - pag. 13 [2006 - N.27]

Cimeli garibaldini al Museo del Risorgimento di Ravenna.

Claudia Giuliani - Dirigente Istituzione Biblioteca Classense di Ravenna

Giuseppe Garibaldi fu il fulcro della passione risorgimentale ravennate. La sua vicenda intrise per sempre degli umori eroici e tragici della sua fuga e della morte di Anita le terre ravennati e gli animi dei patrioti.

Al centro delle nostalgiche raccolte che essi vollero realizzare posero dunque proprio i cimeli garibaldini, accanto agli oggetti, alle carte, ai ricordi che testimoniarono la loro personale partecipazione alle lotte. Gli oggetti collezionati e custoditi nel tempo, dalla venuta di Garibaldi in poi, assunsero una forza evocativa sempre più forte, di pari passo con la mitizzazione, e anzi la "santificazione" che venne operata attorno alla figura dell'eroe, della sua famiglia, Anita prima fra tutti, e anche dei luoghi percorsi e vissuti sul nostro territorio e altrove, fino alla lontana Caprera. Conscio del proprio carico di pathos Garibaldi usava donare agli amici e sostenitori - e i salvatori ravennati che lo soccorsero durante la Trafila furono tra questi - oggetti e ritratti a lui appartenuti.

La volontà di rendere pubblici questi oggetti, consegnandoli alla città e quindi alla posterità vide una prima manifestazione nella consegna del bel mantello indossato dall'eroe durante la fuga, esotico e accurato oggetto di vestiario, di provenienza sudamericana, donato dal salvatore Ercole Saldini al Comune nell'occorrenza della morte di Garibaldi, che ora si espone nel Museo del Risorgimento abbinato ad un rozzo cappello da pescatore, sempre indossato durante la fuga. Gli oggetti di vestiario si accompagnano al bastone, da lui donato all'amico ravennate Antonio Ricci, e ad altri ricordi, ormai più vicini alla tipologia reliquiaria, quali i sigari donati a Guaccimanni, non giunti fino ai nostri giorni, la scheggia tolta dal masso ove fu inumato a Caprera, il ramoscello prelevato dalla catasta di legno preparata dell'eroe per la sua mai avvenuta cremazione.

L'esposizione attualmente visibile presso il Museo del Risorgimento aperto presso il Sacrario dei Caduti della città di Ravenna, consente appunto di cogliere il passaggio del cimelio garibaldino dal ricordo-testimonianza alla reliquia attraverso un percorso che, dopo essersi esteso ad Anita, di cui nulla di certo rimane, bensì solo un tentativo di fissare la memoria in oggetti di presunta appartenenza, quali gli stivali, o la coperta in cui fu avvolto il suo corpo durante le ultime ore, passa a fissare nella circolazione del ritratto dell'eroe la progressiva beatificazione a cui la crescente esigenza di una nuova religiosità laica lo andò sottoponendo.

Ecco allora i bei ritratti fotografici, spesso con dedica, e i santini fotografici che scivolano inevitabilmente nel feticismo come nel caso del ritrattino avvolto da ramoscelli intrecciati provenienti dalla cascina Guiccioli, realizzato in epoca tarda dal fascio di Piangipane e consegnato come omaggio al museo, o la serie di ritrattini dell'eroe ferito in Aspromonte, le litografie colorate e le oleografie che raffigurano Garibaldi, evocandone l'affascinante eroica figura, solo, come nel noto ritratto di Lafosse (1864), o in quello di Borzino che lo raffigura in veste di generale sabaudo, in clima evidentemente di conciliazione monarchica, o con Anita morente nella Landa Pastorara (dal dipinto di Emilio Paggiaro), e infine con la famiglia a Caprera.

La forza e l'immediatezza dell'iconografia popolare garibaldina si circonda delle numerose, affettuose testimonianze dei garibaldini, giubbe, fazzoletti, bisacce, armi, e infine lettere autografe. I brevi, laconici testi inviati da Garibaldi agli amici, composti in una grafia ordinata, e leggibile, ma spesso sgrammaticati, alludenti ai doni speditigli dai pescatori di valle ravennati - le anguille marinate-, a favori chiesti e sempre sostenuti - come la concessione del piatto, una specie di piccola pensione di sostentamento al garibaldino Pietro Sarti - ma anche interessanti missive su temi di attualità, quale la questione nizzarda nella corrispondenza con Eugenio Lavagna, tipografo e libraio ravennate originario di Nizza, o nella interessantissima lettera all'amico Specchi in cui vengono espresse benevole ed ammirate valutazioni della figura del Passatore, lettera recentemente acquisita dalla Biblioteca Classense, ad integrazione della propria ricca collezione risorgimentale.

Un percorso garibaldino, quello attraverso il Museo, che aspira dunque a rendere leggibile il mito nella sua progressiva evoluzione, consentendone una più meditata comprensione storica.


Speciale Epopea Garibaldina - pag. 13 [2007 - N.28]

Alcune notazioni di approccio a una museografia collezionistica.

Elisabetta Gulli Grigioni - Collezionista

L'attività collezionistica, nel corso del '900, particolarmente nella seconda metà, ha visto ampliato il proprio ambito di esercizio poiché accanto al permanere di un collezionismo ricco e in qualche modo mecenatesco si è affermato un collezionismo 'medio', 'minore', o addirittura 'povero'.

Da molti anni mi occupo di 'piccolo' collezionismo: dalla prospettiva di chi svolge metodica attività di ricerca accompagnata da studio di approfondimento storico e antropologico e dalla prospettiva di chi guarda altri collezionisti nell'esercizio delle loro ricerche. In ambedue i casi ho formulato, facendone oggetto di pubblicazione, osservazioni di carattere psicologico (motivazioni, significato degli oggetti scelti, benefici che se ne traggano) e osservazioni di carattere tecnico (qualità degli strumenti di supporto tecnologici e intellettuali, consapevole applicazione di strategie di conservazione e di metodologie di catalogazione).

Sorvolo sugli aspetti 'euristici' e psicologici del collezionare altrui, limitandomi a osservare che, nel caso di collezioni private sufficientemente dotate di parametri di identificazione, si possono ipotizzare contatti temporanei (il più impegnativo è la mostra, spesso allestita con bacheche 'assenti', cioè con contenitori non adeguati per numero e caratteristiche) con istituzioni culturali pubbliche: musei, biblioteche, centri culturali, sedi universitarie. Momento fondamentale di contatto tra privato e pubblico è poi (evenienza più rara) la costituzione in museo della collezione presso una delle sedi citate. Rispetto a quest'ultima soluzione, che in genere si pone come conclusiva e permanente dell'intero percorso collezionistico e si realizza per acquisto o attraverso forme parziali o integrali di donazione, le alternative circa i destini di una collezione possono essere la trasmissione a un erede, l'acquisto da parte di un privato, lo smembramento o la dispersione sul mercato antiquario. Essendo il passaggio alla musealizzazione pubblica istituzionale quasi sempre lungo e laborioso fino a risultare estenuante, non mancano i casi in cui il collezionista che ne abbia i mezzi organizzi un piccolo museo privato che in un secondo momento potrebbe essere assorbito da una struttura pubblica.

Tale situazione non si verifica solo in Italia. Un articolo di Ilaria Maria Sala, dal titolo "I privati si fanno il museo", apparso nel 'Domenicale' di «Il Sole-24 Ore» (17 settembre 2006), informa che in Giappone, in dieci anni sono nati circa trecento musei, «in un limbo legislativo che fa sì che non siano né proprio legittimi né illegali».

Poiché è importante conoscere i contenuti delle collezioni private, farò breve riferimento alla mia collezione, parti della quale sono già state più volte pubblicizzate, anche in collaborazione con Istituzioni cittadine. Il simbolo del cuore nelle sue realizzazioni oggettuali e grafiche ne è tema fondamentale e la compongono circa milleottocento esemplari di varia dimensione e funzione (oggetti devozionali, ornamenti, orologi, oggetti di uso domestico o legati al lavoro di ricamo e cucito, doni d'amore tradizionali, amuleti, calamai...) prodotti in Europa dal Seicento alla prima metà del Novecento, circa seicento cartoline di pregevole produzione della fine dell'Ottocento e della prima metà del Novecento, una importante collezione di 'santini' prodotti in Europa dal Seicento al Novecento, libri illustrati e grafica incisoria dal Seicento all'Ottocento e altri vari materiali figurativi, sempre europei, di valore storico e antropologico. Il tutto supportato da una biblioteca di alcune migliaia di opere di riferimento a carattere specialistico.

Non mi soffermerò su motivazioni e implicazioni esistenziali personali in quanto già note da miei scritti variamente pubblicati: scritture poetiche, fiabe e racconti come "La Cuoribonda", "Autoritratto barocco in forma di cuore", "Oreficeria immaginaria". Ne ricorderò invece, accanto al più che trentennale accumulo, il carattere europeo, l'importanza per la storia delle arti decorative e dell'artigianato, per l'osservazione del passaggio dal manufatto al semimanufatto e alla produzione di serie, per la conoscenza della storia delle devozioni e delle tradizioni sentimentali, della merceologia, della didattica e di molte arti visuali, sempre in corrispondenza con la letteratura e con altre discipline.

Speciale collezionismo privato - pag. 13 [2007 - N.29]

Le iniziative messe a punto dai musei mostrano quanto sia ampio e articolato l'uso della rete.

Claudio Casadio - Direttore Pinacoteca Comunale di Faenza

Oltre dieci anni fa i musei ravennati iniziarono ad utilizzare internet grazie a Racine, la rete civica ravennate coordinata della Provincia di Ravenna. Inoltre nel 2000 la Provincia attivò il progetto Musei in rete, che ha visto l'acquisto di attrezzatura tecnologica per i musei del Sistema Museale al fine di incrementare alcuni servizi informatizzati. Da allora, nei musei è diventata pratica comune l'uso della posta elettronica e la realizzazione di un proprio sito (o almeno di pagine informative) e di altri servizi internet, come ad esempio le newsletter.

Oltre al sistema informativo di carattere generale - ampio e articolato viste le decine di migliaia di pagine rese disponibili dai musei in questi anni - la pratica più attuata è basata su quello che è il maggiore compito istituzionale di un museo: la conservazione e la diffusione del proprio patrimonio tramite la schedatura delle opere. I risultati sono già rilevanti, ma soprattutto è stato avviato un positivo metodo di lavoro che consentirà il raggiungimento di importanti obiettivi. La schedatura del patrimonio dei musei oggi consultabile in rete è vasta e molteplice: dal sito dell'IBC è possibile consultare il database del catalogo informatizzato che mette a disposizione informazioni per circa 42.000 opere conservate nei musei del territorio provinciale.

A questo catalogo, destinato ad incrementarsi notevolmente, sono da aggiungere altri archivi on line: il Catalogo dei beni ecclesiastici, con oltre 2500 schede di beni di proprietà dei diversi istituti religiosi della diocesi sia di Faenza-Modigliana che di Ravenna-Cervia; la Banca dati del Mosaico e dei mosaicisti contemporanei presso il MAR di Ravenna; l'Inventario del Gabinetto delle Stampe di Bagnacavallo curato dal Museo Le Cappuccine.

Vi sono poi esperienze che mostrano quanto sia ampio e diversificato l'uso della rete da parte di musei: il Museo di Scienze Naturali "Malmerendi" di Faenza collabora ad un'iniziativa per mettere a disposizione i dati metereologici della città in tempo reale. Nel sito, oltre alle foto dai satelliti e alle previsioni meteo su scala locale, è possibile conoscere i dati della temperatura, umidità, pressione, venti, pioggia caduta in tempo reale con un aggiornamento automatico ogni ora.

Scelte rivolte a migliorare l'efficienza organizzativa sono invece state fatte dalla Fondazione RavennAntica con il nuovo sistema di biglietteria e il network dei siti. Per la biglietteria si è adottato un sistema centralizzato, basato sulle tecnologie internet, che ha grandi possibilità (controllo emissioni in tempo reale, condivisione degli archivi, utilizzo di più punti cassa) e modularità (e-shop centralizzato, inserimento di nuove funzionalità). Il network dei siti consente di mantenere in parallelo il sito istituzionale con altri siti, quali quelli delle mostre in corso e delle mostre terminate, consentendo tra l'altro la realizzazione di un ricco archivio delle iniziative.

Ma l'iniziativa forse più originale ed innovativa è quella promossa proprio dalla Provincia di Ravenna con la realizzazione di musei virtuali attraverso il software Exhibt 3D della Panebarco & C, che ha consentito la realizzazione di vari percorsi nei musei del Sistema, ma anche a livello nazionale.

Nel futuro di utilizzo della rete internet vi è infine il rifacimento del sito del Sistema Museale nonché le possibilità già indicate in diversi incontri tra operatori dei musei, anche a livello internazionale, come quelle documentate dal sito musei-it, a seguito di una riunione tenuta in giugno al Victoria & Albert Museum di Londra e che ha riferito di attività museali che utilizzano le diverse nuove possibilità della rete: podcasting, videocasting, blog, album fotografici e accoglienza dei contenuti che i visitatori stessi producono nella visita.

Speciale decennale del Sistema Museale Provinciale di Ravenna - pag. 13 [2007 - N.30]

Nel IV centenario della nascita di Torricelli e dell'Esposizione Torricelliana, Faenza dedica il 2008 all'arte e alla scienza

Benedetta Diamanti - Dirigente Settore Cultura e Istruzione Comune di Faenza

L'opera del faentino Evangelista Torricelli, allievo di Galileo, fisico e matematico di rilievo internazionale, si colloca come una pietra miliare all'interno della storia della scienza. Nel 1908, con uno sforzo organizzativo e creativo rimasto ineguagliato, Faenza gli intitolò una esposizione commemorativa che seppe superare la dimensione locale e che fu nel contempo l'occasione per un formidabile 'risveglio cittadino'. Nel medesimo anno, grazie alla presenza alla "Esposizione Torricelliana" di un largo numero di fabbriche ceramiche italiane ed estere, che donarono i pezzi esposti, si costituì a Faenza il primo nucleo del Museo Internazionale delle Ceramiche.
Dagli stimoli lanciati nel 1908, Faenza trasse una spinta innovativa molto forte, che seppe creare quel clima di fervore culturale di collegamento con la cultura italiana ed europea del tempo e che ne accompagnò l'immagine fino al secondo dopoguerra. La città di Faenza ha deciso dunque di ricordare tali avvenimenti attraverso un ricco calendario di appuntamenti che, pur senza nulla togliere al doveroso momento celebrativo, vogliono essere anche di stimolo alla capacità innovativa della città, aspirano a contribuire allo sviluppo di quell'humus culturale che sta senz'altro alla base del progresso della cultura scientifica, della creatività artistica e dello sviluppo delle istituzioni locali impegnate nella ricerca scientifica e tecnologica e nella produzione culturale. A tal fine si è ritenuto potesse essere fecondo di nuove idee il coniugare arte e scienza, stimolando da una parte la creatività, che sempre muove la ricerca scientifica, la sua applicazione e la sperimentazione, e favorendo d'altro lato lo sviluppo di tutte le possibili espressioni artistiche di qualificato livello, tenendo conto che oggi molti supporti sofisticati sono alla base di esse in moltissimi campi.
Dopo aver visto in aprile l'apertura di una prestigiosa mostra dedicata al MIC presso la biblioteca della Camera dei Deputati a Roma, e successivamente il primo Festival dell'Arte Contemporanea, svoltosi a Faenza nel mese di maggio, il calendario delle "Torricelliane 2008" (che annovera anche molti altri appuntamenti forse di minor risonanza ma non per questo di inferiore valore) in autunno entra nel vivo con la fase più prettamente dedicata alla cultura scientifica, che toccherà l'apice nel mese di ottobre con lo svolgimento della "Settimana Torricelliana", importante rassegna di appuntamenti legati alla scienza, alla fisica e alla matematica, in omaggio alla figura di Evangelista Torricelli.
La manifestazione sarà caratterizzata in primo luogo da un importante convegno scientifico, che vedrà la presenza di relatori di fama internazionale e sarà dedicato all'approfondimento della figura dello scienziato Torricelli, fino ad oggi non troppo indagato ed ancora in credito verso la storia per una parte di quello che fu il suo vero, importante contributo allo sviluppo della conoscenza scientifica. Il convegno ha l'obiettivo non solo di analizzare a fondo ruolo, contributi e storia di Torricelli, soffermandosi sulla drammaticità dell'essere stato uno scienziato nel '600, e di scuola galileiana, ma sarà anche lo spunto per riflessioni sulle relazioni tra scienza e umanesimo, e sul ruolo e l'importanza del contributo scientifico in questo specifico momento storico.
Altri appuntamenti della settimana toccheranno il tema delle esigenze e del futuro delle istituzioni museali, della materia e del design in campo ceramico, e del confronto internazionale su come viene percepito e sviluppato il tema della didattica della scienza nei diversipaesi europei. E poi ancora lectiones magistrales e letture galileiane, film e spettacoli teatrali dedicati a grandi scienziati, esposizioni, presentazioni di libri, laboratori didattici ed una edizione speciale della più classica 'settimana della cultura scientifica', per assicurare il massimo coinvolgimento delle scuole a tali iniziative.

Speciale Celebrazioni Torricelliane - pag. 13 [2008 - N.32]

ANMS è nata nel 1972 per sostenere lo sviluppo di un indirizzo scientifico nella tradizione museologica italiana

Il Consiglio Direttivo di ANMS

L'Associazione Nazionale Musei Scientifici (ANMS) rappresenta i musei, gli orti botanici, i giardini zoologici, gli acquari e i centri interattivi di interesse scientifico in Italia. Promuove l'eccellenza nello sviluppo della museologia scientifica, favorendo la comunicazione e la collaborazione tra i musei, lo sviluppo delle professionalità museali, l'adozione di pratiche di qualità. L'ANMS promuove il ruolo dei musei scientifici nella comunità e costituisce un organo consultivo nello sviluppo delle politiche culturali e operative in ambito istituzionale.
L'Associazione Nazionale Musei Scientifici nasce nel 1972 con lo scopo di sostenere lo sviluppo di un indirizzo scientifico nell'ambito della tradizione museologica italiana. Si rivolge all'intero universo della museologia di interesse scientifico, comprendendo istituzioni e professionisti che operano nei diversi ambiti museali. Rientrano in questa categoria: il personale di ruolo nei musei e nelle istituzioni di riferimento, i collaboratori e i consulenti museali, gli studiosi e i volontari che intrattengono con i musei attività nei vari settori della ricerca scientifica, della museologia, della curatela delle collezioni, della comunicazione, dell'educazione, della gestione, della promozione e della sicurezza. Attualmente l'ANMS rappresenta 170 soci istituzionali e 290 soci individuali. I soci hanno pieno diritto di voto, sono eleggibili nel Consiglio Direttivo che ha un mandato quadriennale, e ricevono la rivista Museologia Scientifica e le altre pubblicazioni ANMS.
L'Associazione, che costituisce un ambiente dinamico all'interno del quale circolano i temi e le problematiche di museologia scientifica di maggiore attualità, è in grado di far interagire le maggiori professionalità presenti nel quadro della museologia scientifica italiana e seguire i problemi museologici nell'ambito di contatti con Enti, Istituzioni e Organi di governo.
Per diventare soci ANMS occorre compilare il modulo che può essere scaricato dal sito web www.anms.it o richiesto alla Segreteria esecutiva (anms@unito.it). La candidatura, controfirmata da due soci presentatori, deve essere approvata dal Consiglio Direttivo e ratificata dall'Assemblea dei Soci.
 L'Associazione organizza un congresso annuale dedicato a temi teorico-pratici di frontiera nella museologia scientifica e di interesse trasversale rispetto alle tipologie e alle categorie museali rappresentate. Insieme ai convegni organizzati con i singoli musei associati, il congresso annuale costituisce il più significativo e aggiornato luogo di incontro nazionale per la comunicazione tra i professionisti e lo sviluppo del dibattito museale.
Il congresso 2008, che si svolgerà a Roma e a Bolsena/Acquapendente dal 3 al 6 dicembre, avrà come tema: Quali musei, quale cultura, per quale società? Ruoli, obiettivi, strategie nei musei scientifici contemporanei. Oltre al congresso annuale, che si svolge di regola in autunno, l'Associazione organizza convegni di durata minore nel corso dell'anno. Inoltre, in collaborazione con i musei associati, l'ANMS organizza periodicamente momenti di formazione pratico-teorica per chi opera nei musei. Gli ambiti trattati recentemente sono: educazione e didattica museale, conservazione e restauro delle collezioni, inventariazione, comunicazione e museografia, rapporti con CITES, multimedia e design, marketing dei musei.
Museologia Scientifica è la rivista ufficiale dell'ANMS. Recentemente rinnovata dal punto di vista editoriale e grafico, è pubblicata con cadenza semestrale. Raccoglie contributi scientifici nei diversi ambiti di interesse dell'Associazione. La rivista è affiancata da una collana di monografie, Museologia Scientifica - Memorie, in cui vengono editi gli atti dei convegni ANMS e le pubblicazioni tematiche su argomenti di interesse museologico.
Due premi ANMS (uno per laurea di primo livello e uno per laurea specialistica) sono attribuiti annualmente alle tesi di laurea migliori su temi inerenti la museologia scientifica.


Speciale Associazioni Museali Italiane - pag. 13 [2008 - N.33]

La storia del movimento futurista faentino comincia dalle opere di Malmerendi

Claudio Casadio - Direttore Pinacoteca Comunale di Faenza

Le prime opere futuriste faentine furono dipinte nel 1914 da Giannetto Malmerendi, diciassettenne artista che dopo la Scuola di disegno cittadina aveva frequentato l'Accademia di Bologna, dove durante la serata futurista del 19 gennaio aveva conosciuto Marinetti, Boccioni, Carrà e Pratella. Il 5 gennaio 1915 lo stesso Malmerendi inaugurò la sua prima mostra personale, presso l'Albergo Corona, con esposizione di dipinti come Moto+luce+rumore, ricevendo un giudizio critico positivo anche da Boccioni.
In occasione della sua mostra, Malmerendi pubblicò anche un articolo manifesto futurista insieme ad Armando Cavalli nel settimanale "Il Piccolo". Un articolo che pose i due autori tra gli artisti "marinettisti" e a cui seguirono alcuni articoli su periodici come "Lacerba" e "L'Italia futurista", soprattutto da parte di Armando Cavalli. Nel 1915 il giovane assistente della Biblioteca di Faenza, amico di Francesco Balilla Pratella, aveva pubblicato il volume di parole in libertà Il giallo e l'azzurro, ma l'esperienza futurista di Cavalli si chiuse con due pubblicazioni nel 1916.
Poco dopo terminò la sua esperienza futurista anche Giannetto Malmerendi dopo alcune altre opere esposte in altre due mostre futuriste romagnole.
A continuare esperienze futuriste fu invece Leonardo Castellani che, trasferitosi prima a Cesena e poi a Roma, entrò in relazione con Giacomo Balla e realizzò nel 1919 opere di tipo futurista facendo seguire negli anni successivi la prima esperienza di ceramiche futuriste.
L'esperienza della ceramica futurista ebbe però maggior sviluppo nel 1928 quando Riccardo Gatti aprì la sua bottega ceramiche e produsse pezzi su disegni di Balla, Benedetta, Dal Monte e Dottori.
Altre produzioni ceramiche furono quelle delle botteghe aperte da Anselmo Bucci e da Mario Ortolani che nel 1929 espose sue opere al Cenacolo imolese e alla terza mostra del gruppo Risveglio artistico giovanile faentino. Opere di queste tre botteghe furono esposte nelle mostre di ceramiche futuriste a Genova e Barcellona nel 1929, organizzate dal giornalista Giuseppe Fabbri, ma l'attività ceramica futurista arrivò al termine con la chiusura delle botteghe di Mario Ortolani e di Anselmo Bucci e con il ritorno alla tradizione di Riccardo Gatti.
A continuare l'esperienza futurista furono Enrico Lama, che espose alla I Mostra nazionale d'arte futurista allestita a Roma.
Esperienze particolari furono invece quelle dei brisighellesi fratelli Lega nella Firenze degli anni venti e di Orazio Toschi con esposizioni nazionali nel 1919. Achille Lega dipinse nel 1917 alcune opere giudicate anticipatrici dell'aeropitture e partecipò a mostre futuriste fino al 1921 e Giuseppe Lega, giornalista e critico cinematografico, rimase sempre attivo in varie iniziative del movimento futurista.
Orazio Toschi si dimostrò negli anni della Prima Guerra Mondiale attratto dai valori dinamici della pittura futurista, si distinse in una grande mostra personale a Roma ed espose cinque opere alla mostra futurista di Milano del 1919. Con una sua pubblicazione del 1921, dedicata alla "Pittura lirica", esplicitò la propria teoria artistica fatta di lirismo e di contemplazione, superando la propria vicinanza al futurismo e chiudendo un'esperienza che, quando gli venne ricordata da Gerardo Dottori, lui fece capire di non volerne neanche più il ricordo.

Speciale Futurismo in Romagna - pag. 13 [2009 - N.34]

Valli e campi: la vita nella società pre-industriale in  mostra a Villanova e San Pancrazio 

Giuseppe Masetti, Eraldo Baldini - Direttore dei Musei Civici di Bagnacavallo, Scrittore e Antropologo culturale

Se l'aspetto economico di un territorio è il punto d'incontro fra quanto messo a disposizione dalla natura e quanto operato dagli uomini, allora si può ben dire che la vicenda rappresentata nell'Ecomuseo di Villanova è il risultato di alterni e precari assetti idraulici, prodotti dai diversi percorsi del fiume Lamone, e al tempo stesso dalla "capacità di risposta alle calamità naturali ed ai vecchi e riprovevoli sistemi feudali di produzione".L'economia del manufatto palustre che è all'origine delle raccolte museali fin dagli anni '60 racconta principalmente la capacità di sopravvivenza di uomini, donne e bambini all'interno di un territorio semipaludoso, storicamente di confine - tra lo Stato Pontificio e la Serenissima - e per di più afflitto dall'instabilità di terre e acque. Le esondazioni del Lamone hanno qui origini antichissime e gli insediamenti del XIV secolo si avvalgono per le prime abitazioni di capanne e tettoie in canna palustre: è un'erba di valle spontanea, di facile manipolazione, che non richiede particolari tecniche per l'estrazione. Viene lavorata per lo più a mano: non servono particolari opifici e vi sono impegnati tutti i membri della comunità.
Alcuni tagliano le erbe immersi nell'acqua fino alla cintola, altri intrecciano, altri ancora trasportano e commercializzano i manufatti. È una delle più funzionali catene produttive pre-industriali che un territorio possa esprimere, lontano dai distretti tessili. Ma è anche la tenace risposta di un'operosa comunità, insediata su di un territorio marginale, ove sono mancati a lungo forti investimenti e grandi opere di bonifica. Altri ambienti circostanti, proibitivi per l'agricoltura, hanno sviluppato in casi analoghi l'allevamento della pastorizia lungo le vie alzaie, la caccia e la pesca di sostentamento; in pochi sono riusciti a far crescere forme di artigianato collettivo così compenetrate e consone alle risorse naturali. Per questo, se le piane alluvionali, le paludi o le ex-risaie sono state caratteristiche morfologiche anche di altre aree romagnole ed estensi, l'Ecomuseo di Villanova testimonia oggi nei manufatti conservati e nella memoria popolare diffusa, i segni di un paesaggio non più leggibile all'orizzonte, ma a lungo incombente tra il Senio, il Lamone e l'Adriatico.
Oggetti e testimonianze della vita e del lavoro di una comunità sono conservati anche nel Museo della vita contadina in Romagna di San Pancrazio, sul cui territorio sono stati salvati anche altri "tesori": la raccolta di fiabe effettuata da Ermanno Silvestroni, uno dei più importanti corpus di narrativa popolare d'Europa, che vanta 133 fiabe e quasi 2000 pagine di testo tra originale in romagnolo e traduzione in italiano. L'apertura a pieno regime della nuova sede museale sarà l'occasione per un salto di qualità, perché il Museo dovrebbe divenire non solo un centro propulsivo per l'attività socioculturale del paese, ma anche un punto di eccellenza per lo studio della società agricolo-artigianale del territorio, da capire e indagare sia attraverso gli strumenti della cultura materiale esposti, sia attraverso il suo immaginario, il suo bagaglio narrativo conservato nelle fiabe, i cui testi contengono anche elementi descrittivi della vita quotidiana e del lavoro, completando così un virtuoso cerchio di conoscenza. L'intenzione è quella di dedicare una sezione alla fiaba: gli oggetti conservati nel Museo (e le fiabe raccolte in loco) ci riconducono a paesaggio di antico e consolidato appoderamento in cui l'agricoltura intensiva, a conduzione principalmente mezzadrile (e in parte diretta), portava alla presenza di siepi, filari, macchie alberate. Accanto a ciò, il ricorso alla bachicoltura e alla coltivazione della canapa faceva sì che il contesto, per una lunga fase storico-agraria, si arricchisse di alberi di gelso per l'alimentazione dei bachi da seta e di maceri per l'ammollo della canapa, sopravvissuti a lungo come stagni. La presenza del fiume Montone e di canali rendeva inoltre gli argini e i greti luoghi adatti sia per operazioni inerenti la canapicoltura sia per attività di lavaggio di panni e tessuti e per la raccolta di piante spontanee. Col supporto delle fiabe e delle memorie raccolte in abbondanza nel paese, vere guide a un universo organico e complesso, chi vorrà potrà compiere al Museo un affascinante viaggio nel passato e nelle trasformazioni di un territorio.

Speciale Musei e Paesaggio - pag. 13 [2009 - N.35]

La Scuola per il Restauro del Mosaico di Ravenna impegnata in un cantiere a Sant'Apollinare Nuovo

Cetty Muscolino - Direttore della Scuola per il Restauro del Mosaico di Ravenna

Conclusi i restauri al Parco della Pace di Ravenna, per i cui esiti si rimanda alla recente pubblicazione, condotta a termine a luglio la messa in sicurezza dei mosaici di Piazza Ferrari a Rimini e la ricognizione sistematica dell'area, è ora in dirittura d'arrivo la seconda tranche del cantiere scuola più intrigante e impegnativo della Scuola per il Restauro del Mosaico di Ravenna - sezione distaccata dell'Opificio delle Pietre Dure - relativo ai mosaici parietali della parete nord di Sant'Apollinare Nuovo.
È a tutti noto che la decorazione musiva di Sant'Apollinare Nuovo, nonostante le trasformazioni agnelliane ne abbiano falsato la visione unitaria, presenta una continuità decorativa che la fa percepire come un ciclo relativamente omogeneo; ma in realtà siamo in presenza di un testo estremamente complesso e fondamentale per indagare i cambiamenti avvenuti in un arco temporale relativamente breve. La riconciliazione al culto ortodosso (556-569) della chiesa che il re goto Teoderico (493-526) aveva eretto come cappella palatina comportò infatti l'epurazione degli elementi troppo legati alla "eretica fede ariana" e alla corte teodericiana e l'inserimento delle due ben note teorie di Martiri e Vergini.
Mutamenti di committenza e di culto, di programmi iconografici e di maestranze, che costituiscono piste da seguire con una molteplicità di sguardi e competenze per procedere nella conoscenza di un passato molto studiato ma ancora denso di interrogativi. La complessità dell'indagine e la grande mole di dati da registrare ha richiesto un'impostazione metodologica rigorosa e una schedatura pensata come un sistema aperto e suscettibile d'implementazioni di nuovi dati. La ricerca si è basata sulla lettura della superficie musiva e delle malte di sottofondo, dei rapporti stratigrafici fra i vari interventi e sul confronto sistematico con le fonti documentarie, col preciso obiettivo di decodificare le manipolazioni indotte nei restauri pregressi (dai restauri ottocenteschi di Felice Kibel e Carlo Novelli a quelli del 1916 conseguenti ai danni bellici, con tecnici dell'Opificio delle Pietre Dure di Firenze, fino all'intervento dal Gruppo Mosaicisti di Ravenna nel Secondo Dopoguerra). Questo ha permesso una revisione delle Tavole Storiche di Corrado Ricci, fonte di verifica fondamentale ma non più rappresentativa della realtà odierna.
L'ultima fase dell'intervento in corso, restaurate nelle precedenti campagne le aree musive dei registri superiori (scene cristologiche e Profeti), riguarda le ultime otto delle ventidue Vergini uscenti dalla città di Classe. Non più la drammatica caratterizzazione dei filosofi-profeti teodericiani, plastici e intensamente espressivi, bensì un fiabesco ed elegante corteo, la cui modulata e ritmica ripetizione fu interpretata in passato come imperizia tecnica. Scrisse infatti Ippolito Taine nel Voyage en Italie "Nulle physionomie; souvant les traits du visage sont aussi barbares que les dessins d'un enfant qui s'essaye. Le col est roid, les mains sont en bois, les plis de la drapperie sont mécaniques... En effet, il n'y a pas de ces personnages qui ne soit un idiot hébété, aplati, malade".
In realtà la teoria delle Vergini, che incedono lentamente fra palme e fiori, ci abbaglia per lo stupefacente sfarzo delle vesti intessute di ori e madreperle, che emergono ancora più sfolgoranti dopo la rimozione del sudiciume e della polvere. Il chiarore delicato dei visi, quasi bidimensionali e definiti dalle linee del disegno più che dagli effetti chiaroscurali, campeggia sulle grandi aureole d'oro. Le minime variazioni somatiche ed espressive esigono però uno sguardo attento e un approccio più intimo, per poter cogliere i bisbigli sommessi e le sottili differenze che ci fanno condividere quanto scrisse il Galassi nel 1916: "la teoria delle Vergini di S. Apollinare Nuovo ci appare come una delle più grandi e complesse, inebbrianti e liriche, fra quante opere abbia mai create l'arte dell'uomo".
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Speciale Mosaico - pag. 13 [2009 - N.36]

La storia lunga e articolata del Gabinetto di stampe e disegni faentino

Claudio Casadio - Direttore della Pinacoteca Comunale di Faenza

La Pinacoteca Comunale di Faenza ebbe origini alla fine del Settecento proprio da una collezione di stampe e disegni. Nel 1797 la Municipalità faentina deliberò infatti di acquistare la collezione privata di Giuseppe Zauli, raccolta in anni di attenta e colta ricerca. Si trattava di una collezione consistente, il cui inventario originale comprendeva più di 2000 stampe, rappresemtative di tutta l'incisione europea, ad esclusione delle opere del Quattrocento, già selezionate con tipiche e significative attenzioni dello studioso. L'autore più rappresentato era il bolognese Francesco Rosaspina, il cui studio era stato sicuramente frequentato dal faentino Zauli che aveva raccolto ben 427 suoi fogli. Fra i nomi di maggior spicco della raccolta vi era sicuramente quello di Albrecht Durer presente con ben 53 stampe, ma di cui ne sono restate solamente due.
Le stampe di questa raccolta ebbero un uso particolare, oltre ad alcuni furti che risultano già effettuati alla prima ricognizione del 1803, perchè messe a servizio della Scuola Comunale di disegno. Fino alla fine degli anni Sessanta queste stampe erano normalmente sui banchi scolastici come materiale da copiare per gli studenti ed è quindi ben comprensibile come questa prima collezione della Pinacoteca abbia avuto una vicenda travagliata sia per lo stato di conservazione delle opere che per la quantità stessa di stampe conservata.
Ma il rapporto tra le opere del Gabinetto di Stampe e Disegni con la Scuola Comunale ha avuto anche risultati positivi. Molti lavori di artisti e maestri che proprio nella scuola faentina hanno avuto i loro primi insegnamenti sono nelle raccolte della Pinacoteca. Un'ampia selezione, ad esempio, di incisioni e disegni dell'Ottocento venne presentata da Ennio Golfieri con una mostra tenuta nel 1977. In quella occasione oltre ad alcune opere dei maestri come Felice Giani, di cui era presentata anche una stampa a tecnica mista rappresentante "Il conte Ugolino coi figli in carcere", o di Giuseppe Pistocchi, con il disegno originale delle Piazza Maggiore di Faenza inciso da Giovanni Ballanti del 1763, vi erano disegni dei primi allievi ed esemplari di stampe religiose popolari delle botteghe di Luigi Savorelli, Francesco Maccolini e dei Marabini. Seguivano una selezione e disegni di allievi di Giuseppe Marri, che diresse la scuola nel terzo e quarto decennio dell'Ottocento, alcune litografie dal Giani di Achille Farina e alcuni disegni acquarellati per soffitti di Antonio Liverani, tra cui quello a penna riproducente il Voltone della Molinella.
Proprio dalla tradizione del disegno, che ha avuto nel XIX secolo forse il rappresentante più significativo in Tommaso Minardi anch'esso ben rappresentato nelle collezioni della Pinacoteca, un'altra importante serie di opere è quella che testimonia l'attività svolta nel corso del Novecento dal gruppo di artisti che si riunì proprio agli inizi del secolo scorso attorno a Domenico Baccarini. L'importante e bellissima raccolta dei suoi disegni è ora documentata nel catalogo della mostra, pubblicato da Electa, in occasione delle celebrazioni del 2007 per il centenario della morte del giovane artista. Di quel gruppo di artisti particolarmente significativi sono i disegni di Domenico Rambelli, le xilografie che Francesco Nonni ha raccolto e pubblicato in particolare negli anni Venti con la sua rivista sulle incisioni xilografiche e i progetti, disegni e litografie di Giovanni Guerrini.
Questo patrimonio, conservato nei depositi della Pinacoteca, è stato esposto in più occasioni. Oltre alla mostra del 1977, Ennio Golfieri epose nel 1978 anche un centinaio di stampe, in prevalenza del Sei e del Settecento, dividendole in tre gruppi principali per nazionalità: gruppo degli italiani, gruppo dei Francesi e gruppo dei Nordici (Germania, Paesi Bassi e Inghilterra). Nel 1995 una mostra dedicata agli incisori del XVI secolo permise la pubblicazione di un catalogo con la schedatura di più di 100 stampe compilata da Maria Chiara Zarabini.
Il ricco patrimonio del Gabinetto di stampe e disegni è dunque un materiale almeno in parte conosciuto. Si tratta però di una storia articolata, lunga e da documentare a partire da una capillare indagine d'archivio che recuperi e renda sistematiche (completando la catalogazione informatizzata già avviata in accordo con l'IBC) le informazioni di inventari, dati e notizie di una vicenda che ha superato i due secoli di vita.

Speciale grafica - pag. 13 [2010 - N.37]

Il 2011 vedrà la completa apertura di una nuova struttura museale di grande fascino e originalità nel contesto del circuito museale ravennate

Raffaele Gattelli - Direttore dell'Oasi di Aquae Mundi di Russi

Il Museo della "Vita nelle Acque" situato all'interno dell'Oasi di Aquae Mundi di Russi, nasce - come quasi sempre accade in questi casi - da una profonda passione che, figlia di curiosità e determinazione, sfocia nel desiderio di far conoscere e comunicare esperienze e sensazioni. L'Evoluzione e la Selezione Naturale, nel corso dei milioni di anni, hanno plasmato le creature viventi per renderle più adatte e vincenti nel contesto ambientale: ciò ha generato forme e adattamenti che ai nostri occhi possono apparire bizzarre ma che hanno sempre un preciso scopo in quanto l'Evoluzione non crea mai a caso. La perfezione geometrica della simmetria pentaraggiata di una stella marina o la spirale di una conchiglia; la semplicità e funzionalità meccanica dell'articolazione della zampa di un crostaceo ci ricordano che l'Uomo si è sempre solo limitato a copiare ciò che l'Evoluzione ha creato.
La Vita ha avuto origine nell'elemento liquido ed ancor oggi è nell'acqua che vediamo espressa la massima complessità e ricchezza di forme e colori del pianeta.
In omaggio a questo il sottoscritto - ideatore, preparatore e curatore del Museo, biologo noto in ambito scientifico in materia di Biologia Marina e di Erpetofauna - ha deciso di seguire una logica espositiva che consenta al visitatore di ripercorrere le tappe dell'Evoluzione Animale che, sempre nell'acqua, ha portato dalle forme di vita più semplici a quelle più complesse per giungere agli Anfibi, ossia alle creature che, per prime, oltre 200 milioni di anni fa , riuscirono a colonizzare le terre emerse.
Questa grande esposizione museale, contenuta all'interno di un grande edificio di nuova costruzione, si articola in cinque sale che occupano una superficie complessiva di circa 400 mq, dove il visitatore può ammirare collezioni zoologiche di rara bellezza che spaziano a 360 gradi su quella che è la biodiversità naturale espressa nell'universo acqua.
Ampio risalto viene dato a quella che da molti esperti del settore è definita come una delle più complete e prestigiose collezioni a secco di Crostacei da tutto il Mondo, proseguendo attraverso la collezione dei Molluschi marini (composta da molte migliaia di variopinte conchiglie) e terminando con la mostra degli Echinodermi (splendida e ricchissima collezione di stelle e ricci marini). Non manca l'attenzione ai Coralli, tropicali e mediterranei e nemmeno una piccola mostra dedicata ai fossili.
Oltre agli Invertebrati sopra citati viene dato grande risalto anche ai Vertebrati che vivono in acqua ossia ai Pesci: molto ricca è infatti la sezione dedicata ai pesci marini e di acqua dolce, tropicali e nostrani, preparati a secco e ritoccati cromaticamente a mano con infinita pazienza. Di estremo interesse la mostra dedicata agli squali conservati a secco ed in liquido e la collezione delle bocche dei predatori.
Completano l'esposizione le ricostruzioni di ambienti marini, salmastri e vallivi, una collezione di insetti ed una ricca biblioteca naturalistica che raccoglie collezioni di volumi divulgativi e scientifici, testi fotografici, riviste ecc.
Il taglio espositivo è moderno e ben curato con teche di pregevole fattura ed esaurienti didascalie. L'Oasi di Aquae Mundi che ospita l'edificio adibito a museo è anch'essa una struttura unica nel suo genere in quanto è un centro di conservazione, studio e ricerca dedicato a Pesci, Anfibi e Rettili. L'oasi, che occupa un'area di circa 70.000 mq, è una delle pochissime strutture in Italia (se non l'unica!) che ha le potenzialità tecniche e professionali per poter svolgere concretamente un importante ruolo nella conservazione di molte specie di anfibi e rettili fortemente minacciate di estinzione nel nostro Paese. Tale potenzialità si sta oggi concretizzando grazie alla volontà di collaborazione con le realtà universitarie e provinciali.

Speciale Rinnovo Sistema Museale - pag. 13 [2010 - N.38]

Nel 2010 è nato in Piemonte il MAB, un nuovo osservatorio e laboratorio di proposte dei professionisti culturali

Mario Cordero - Coordinatore ICOM Piemonte e Valle d'Aosta

Nel corso del 2010, una serie di incontri preliminari, di avvicinamento, ha consentito di mettere a fuoco problematiche, attese e preoccupazioni comuni, punto di partenza per una riflessione condivisa dalle associazioni professionali AIB, ANAI, ICOM (sezioni piemontesi).

Il MAB è dunque prima di tutto un tavolo di confronto, di approfondimenti professionali relativi al comparto dei beni e dei servizi culturali, di cui fanno parte in ugual misura - anche se con finalità specifiche differenti - le biblioteche, gli archivi ed i musei, a prescindere dalle amministrazioni o dagli enti cui fanno riferimento. C'è la convinzione che sia necessario oggi ricomporre in qualche modo un settore che ha manifestato in passato separatezze inaccettabili, gelosie istituzionali paralizzanti, specialismi che sono stati maneggiati con risultati escludenti invece che 'accoglienti' e aperti al confronto.

Il MAB dovrà quindi attrezzarsi come un osservatorio delle pratiche e delle politiche culturali. In particolare, non potrà più essere elusa una valutazione seria e se del caso impietosa sull'impatto sociale ed economico degli istituti culturali, dei servizi e delle attività che hanno sin qui garantito. Non è più accettabile che gli istituti culturali, in nome di una sacrosanta resistenza ad assumere semplicemente una connotazione "di mercato", si collochino in una sorta di spazio protetto, esente da valutazioni anche economiche. Occorre un nuovo coraggio per guardare a quanto succede nel comparto culturale pubblico.

Il MAB sarà allora anche un laboratorio di proposte, a partire dal livello regionale (in critico confronto con gli uffici e gli assessorati competenti della Regione). In particolare le difficoltà e le incertezze nella quotidianità della gestione degli istituti ci impongono una più avanzata riflessione sulla legislazione regionale piemontese, ferma alle leggi n.58 e 78 del 1978. Occorre ormai un modello legislativo nuovo, che, come si è detto, ricomponga anche su questo terreno le settorializzazioni del passato. E questo nuovo modello normativo non potrà non comprendere la prospettiva della creazione di sistemi e di reti (coinvolgenti anche istituti di diversa appartenenza istituzionale), che ne dovranno essere la spina dorsale.

In questo modo, sviluppando queste tematiche, il MAB vorrebbe candidarsi come interlocutore (non unico ma autorevole) della politica, che spesso opera senza un preliminare confronto con l'esperienza vissuta dagli operatori del settore. La crisi - con cui gli eletti devono ovviamente fare i conti (anche in senso letterale!) - non può e non deve ridursi ad un pretesto facile per giustificare una politica ridotta a imposizione di tagli alla spesa. La crisi è ovviamente crisi di modelli d'investimento e di finanziamento, crisi del welfare, in sostanza. Ma proprio per questo può diventare occasione per riflettere sulla società che vogliamo, sui modelli di sviluppo, sul ruolo che la cultura e gli istituti culturali hanno rispetto allo sviluppo stesso.

Il MAB si è dato una prima scadenza con una giornata di studio che si è svolta a Torino il 25 maggio 2010. Altrettanti gruppi di lavoro hanno affrontato quattro tematiche:

-         il problema dell'immagine che trasmettono di sé i musei, gli archivi, le biblioteche, riconoscendo la centralità al concetto di servizio utile e all'urgenza di ricerche sull'impatto sociale ed economico dei vari istituti;

-         il problema della professionalizzazione e della formazione, con l'approfondimento di alcuni argomenti trasversali (come la catalogazione, la digitalizzazione, ecc.);

-         le prospettive di un nuovo assetto normativo regionale, senza trascurare una riflessione ulteriore su standard e regolamenti, diversamente sperimentati dalle diverse istituzioni;

-         il problema del rapporto con le fondazioni ex bancarie, per cogliere il senso dei bandi esistenti ed arrivare presto ad un confronto vis à vis con le fondazioni stesse, persino - ove possibile - per mettere a punto strategie comuni.


Speciale Convergenza Musei Biblioteche e Archivi - pag. 13 [2010 - N.39]

Il Museo del Risorgimento rappresenta una tappa ineludibile per aprire un dialogo tra la città e le sue memorie

Giovanni Fanti - Consulente progetti scientifici Museo del Risorgimento di Ravenna

Un "collettore" dei beni culturali cittadini e luogo per eccellenza in un'ottica di culto per la memoria patria: è questa la visione del Museo del Risorgimento. La raccolta di cimeli risorgimentali esposti nel Museo ravennate costituisce un percorso storico carico di pathos.

Una serie di manifestazioni ha visto partecipe il Museo negli anni passati, in preparazione del 150° dell'Unità d'Italia. È il caso di menzionare la mostra di medaglistica a tema dedicata a Garibaldi, realizzata nel 2008 a conclusione del bicentenario della nascita dell'Eroe dei due mondi. Così come nel 2009, in collaborazione con l'Istituto per la Storia del Risorgimento di Roma, si è potuto portare in mostra a Ravenna la pergamena originale attestante la cittadinanza onoraria conferita a Garibaldi nel 1859.

Questi momenti espostivi sono stati pensati all'interno di un organico progetto volto a celebrare i valori risorgimentali che portarono all'Unità d'Italia e a rinnovare la memoria delle azioni e degli ideali ai quali la città di Ravenna è sempre stata sensibile.

Nel corso di quest'anno, in occasione delle celebrazioni per il 150° anniversario dell'Unità d'Italia, il Museo del Risorgimento s'impone come una tappa ineludibile per ricordare e conoscere meglio la nostra storia patria. Ne è esempio la mostra, conclusasi da poco, dedicata alla ricostruzione della biografia di Augusto Branzanti nella cui storia personale è riflesso il significato e l'evoluzione dell'associazionismo solidale. Subito dopo la formazione dello stato nazionale, nel 1861, nacquero moltissime associazioni di carattere laico che avevano come obiettivo l'aggregazione di carattere politico o di tipo solidale. Fu questo un primo laboratorio sociale per l'esercizio democratico dei propri diritti. Quella che ci racconta la vita di Branzanti, grazie a questa mostra, è una storia di ideali, di valori senza età e quindi sempre validi. Valori che sono alla base della crescita democratica e della convivenza civile.

Un secondo appuntamento è previsto per marzo; si tratta di un percorso espositivo che attraverso una serie di medaglie massoniche vuole ricordare la famiglia Guerrini che ha contribuito con un importante lascito all'ampliamento delle collezioni risorgimentali. Questa donazione, voluta dal geometra Mario Guerrini, ragguardevole per la consistenza e l'importanza dei pezzi, rivela l'alto senso civico di una famiglia che, dopo aver raccolto e conservato una collezione di pregio, l'ha resa fruibile alla comunità. La mostra, con l'esposizione di medaglie, gioelli e documenti di grande rarità, ripercorre la storia della massoneria dalla fine del XVIII fino al XX secolo.

La scelta di questi due temi espostivi ha avuto principalmente l'obiettivo di aprire un dialogo tra la città e le sue memorie per ricordare che Ravenna ebbe anche nel processo formativo unitario un ruolo centrale, fu protagonista ed espresse patrioti e uomini politici di primo ordine.

Il Museo ha coinvolto nelle iniziative per le celebrazioni di quest'anno anche le scuole medie inferiori, volendo ripetere l'esperienza del 2010 in cui fu attivato un laboratorio didattico con il centro Tessellae per lo studio e la realizzazione di alcune medaglie. All'interno di questo stesso progetto didattico sono state organizzate delle visite guidate al Museo del Risorgimento, integrate da incontri tematici finalizzati a far conoscere i siti che per la perseveranza di alcuni ravennati si sono conservati quasi inalterati e che videro lo svolgersi dell'avventurosa trafila garibaldina, ossia il Capanno Garibaldi del Pontaccio e la Cascina Guiccioli dove morì Anita, cascina che recentemente è stata riportata alla sua veste originale dopo un lungo restauro.

In agenda non meno importante resta l'appuntamento con la Notte Tricolore prevista per il 16 di marzo: saranno coinvolti tutti cittadini a vivere apertamente la città, che vedrà illuminati in maniera speciale tutti i monumenti e i luoghi legati alle memorie risorgimentali.


Speciale 150° Anniversario dell'Unità d'Italia - pag. 13 [2011 - N.40]

La nuova veste interattiva del Museo Dantesco offre coinvolgimento emotivo e valore aggiunto

Donatino Domini - Museo Dantesco di Ravenna

Il germoglio iniziale del Museo Dantesco nasce nel 1921 quando il Comitato Cittadino Ravennate, che presiedeva alle celebrazioni del sesto centenario della morte, propone di esporre al pubblico, al primo piano del convento francescano, «i cimeli danteschi» offerti al Sepolcro di Dante da esponenti di governi, enti, associazioni e da singole personalità politiche e culturali a partire dalle manifestazioni avutesi nel 1865, in occasione del centenario della nascita. Secondo gli ispiratori, l'istituzione di un museo-«repositario» di offerte votive, oltre che sottrarre preziose testimonianze documentarie alla dispersione, avrebbe influito profondamente sul perdurare del culto dantesco, divenendo fonte d'ispirazione e di venerazione per la sua opera. Il progetto, che molto doveva al gusto estetico e al giudizio scientifico di Corrado Ricci, Santi Muratori ed Ambrogio Annoni, che quell'idea originaria avevano coltivato ed alimentato, diveniva realtà l'11 settembre 1921: disposti senza particolari accorgimenti allestitivi - unica eccezione la cosiddetta Sala di Montevideo riccamente decorata ed arredata per accogliere i cimeli offerti dalla Società Dante Alighieri di quella città - gli oggetti esposti, se non aprivano la strada a nuovi ambiti di ricerca dantesca, offrivano di certo una panoramica d'insieme sull'interesse vivissimo che le celebrazioni avevano suscitato in ambito locale, nazionale ed internazionale.
Un Museo investito di significati etici ed ideologici, affollato di oggetti evocativi, che andava incontro al gusto del pubblico e che manterrà invariata anche nei decenni successivi l'originaria architettura allestitiva, attraversando senza alcun altro intervento o arricchimento, l'era fascista e il periodo bellico, fino agli anni Ottanta del XX secolo, quando l'Opera di Dante, l'istituzione che dal 1921 ne cura l'attività scientifica e gestionale, decide di procedere ad un suo riordinamento nel «rispetto dei due temi principali che l'avevano originato: la storia della Tomba e le celebrazioni del 1921».
Che si progetti e si realizzi oggi uno spazio museale rinnovato è una necessità culturale e museografica, richiesta anche dai grandi restauri che hanno interessato i luoghi in cui esso è stato ideato e formato e dove continuerà a vivere. Il recupero alla città di un complesso notevole per impianto architettonico e per una storia urbana legata interamente alla biografia dantesca impone un museo rinnovato dove il prodotto del passato, che si fonda su un gran numero di motivazioni storiche, molte delle quali sono da riconoscere ancora oggi valide, diventa coagulo di nuove sollecitazioni, di nuovi linguaggi aperti alla riflessione, alla conservazione critica e alle nuove tecnologie. Saranno proprio queste ultime che giocheranno nel nuovo allestimento un ruolo fondamentale verso la costituzione di un museo anche virtuale che rispecchierà le caratteristiche di "museo interattivo", spazio che offre informazioni, coinvolgimento emotivo e valore aggiunto all'esperienza di visita.
La grande quantità di materiale documentario utile alla conoscenza di Dante, della sua opera, del contesto storico e culturale in cui si svolse la sua biografia intellettuale, offre immense possibilità di sviluppo in tali direzioni. La digitalizzazione di materiali documentari, documenti d'archivio, libri, opere grafiche introdurranno il visitatore all'interno di percorsi conoscitivi nuovi e finora non fruibili. Si potrà percorrere la Ravenna che Dante visse ed abitò, visualizzando paesaggi, opere d'arte, documenti, ricostruzioni visive didatticamente utili a una conoscenza emotivamente vissuta e, al contempo, scientificamente fondata. Ma Dante è anche l'immagine che gli studiosi e gli artisti hanno creato nel tempo, dalla pittura al cinema, consolidandone la popolare fortuna. Tutto ciò i visitatori troveranno nel Museo Dantesco nuovamente allestito e nel Centro didattico-informativo ad esso collegato.

Speciale nuovi allestimenti museali - pag. 13 [2011 - N.41]

Nomi e opere di rilievo per la maggior donazione dei 200 anni della Pinacoteca

Claudio Casadio - Direttore Pinacoteca Comunale di Faenza

Abbiamo già un dato che ci permette di dimostrare quanto la recente donazione Bianchedi Bettoli / Vallunga sia importante per la Pinacoteca di Faenza. In circa quattro mesi, ovvero da metà maggio a metà settembre 2011, i visitatori sono stati più del doppio del corrispondente periodo dello scorso anno. Nel 2010 infatti i visitatori nelle giornate di apertura in questi mesi erano stati circa 600 mentee quest'anno sono stati più di 1.500! Un buon dato, calcolando che è stato registrato nel periodo estivo, che è quello di minore frequentazione della Pinacoteca.

Ma poiché l'importanza di una donazione, come di ogni altro patrimonio culturale, non si misura solo dal numero dei suoi visitatori, è giusto aggiungere che il lascito testamentario di capolavori e opere d'arte italiana del XX secolo disposto da Augusto Vallunga è probabilmente la maggiore donazione che l'istituto museale faentino abbia avuto nei suoi duecento anni di storia, dove pure vi sono state importanti donazioni anche recenti come quelle Zauli Naldi e Golfieri.

La caratteristica principale della donazione non è tanto nella importanza dei nomi ma nella qualità delle singole opere. La raccolta, pur essendosi formata su quanto è stato possibile reperire nel mercato, è infatti il frutto di una attenta selezione basata su opere significative e importanti di ogni singolo autore. Il De Chirico e il Savinio, ma anche un'opera di Renato Paresce, sono testimonianza degli italiani attivi negli anni '20 a Parigi. Degli anni '30 vi è una natura morta di Severini e una marina di Carlo Carrà, mentre del dopoguerra vi sono opere come una periferia di Sironi. Veri capolavori si datano negli anni '50, come una natura morta di Morandi e opere di Gentilini, Campigli e Turcato. Morlotti, Maccari, De Pisis e altri pittori completano l'elenco degli artisti di questa collezione ora divenuta patrimonio della città di Faenza.

Una collezione che sicuramente onora per primo il suo artefice, il notaio Augusto Vallunga, appassionato d'arte che con le ricerche di una vita ha raccolto tali opere. L'aver voluto che questo patrimonio diventasse pubblico è stato il completamento dell'amore per l'arte che ha alimentato la sua vita. Una scelta meditata, sempre confermata anche prima del suo improvviso decesso, e strenuamente voluta pure dalla moglie Grazia Bianchedi Bettoli, che inoltre ha aiutato l'amministrazione pubblica nel completamento delle procedure di acquisizione.

In questo caso una donazione davvero importante e qualificata è stata il frutto di una situazione particolarmente favorevole. Non è sempre concesso, infatti, di avere piena disponibilità da parte di eredi e familiari a seguire le volontà di un proprio congiunto, tanto più se queste volontà portano a una forte riduzione del patrimonio e a una conseguente modifica degli assetti ereditari. Inoltre non sempre l'amministrazione riesce a dare esiti adeguati in tempi relativamente brevi. Per realizzare le volontà testamentarie di Augusto Vallunga, invece, non solo la moglie e i familiari sono sempre stati concordi ed favorevoli, ma anche il Comune di Faenza ha saputo completare in pochi mesi le procedure di acquisizione e l'allestimento di una esposizione permanente delle opere donate.

Un'attività, quella del Comune di Faenza, che se può sembrare obbligata considerato il valore della donazione, non è sempre scontata. Del resto era stato lo stesso donatore che si era premunito, come è giusto fare in questi casi, mettendo precisi obblighi e scadenze per la realizzazione di quanto indicato nelle condizioni di donazione. Anche a donazione acquisita e con una esposizione pubblica, molto apprezzata come testimoniato dai dati iniziali riportati, non è infatti secondario ricordare sempre che ci sono degli obblighi precisi da rispettare e dei vincoli morali da onorare.

Tra questi è fondamentale anche un continuo impegno nella studio e nella promozione delle opere donate e perciò, anche dopo l'inaugurazione della mostra, continua una intensa attività legata alla donazione, che dovrebbe portare alla realizzazione in tempi brevi di un qualificato catalogo scientifico e all'organizzazione di importanti iniziative e appuntamenti che permettano non solo di ricordare questa donazione che ha reso più ricco il patrimonio artistico faentino, ma anche di apprezzare maggiormente opere d'arte uniche difficilmente presenti nelle piccole città.


Speciale Donazioni Museali - pag. 13 [2011 - N.42]

L'Ecomuseo di Villanova testimonia le vicende legate alla acque interne della Bassa Romagna, fra minaccia permanente e opportunità di lavoro

Giuseppe Masetti - Direttore Ecomuseo della Civiltà Palustre di Villanova di Bagnacavallo

Quello di Villanova è un museo del "saper fare", uno dei rari luoghi dell'autenticità che raccoglie e conserva i manufatti realizzati tra Otto e Novecento, con la fatica della falce e la sapienza delle mani ad opera di tutta un'operosa comunità, impegnata in un'esclusiva lavorazione artigianale, laddove mancavano opifici e colture redditizie.
La raccolta, la lavorazione e l'intreccio delle erbe palustri rappresentò per lungo tempo l'impegno primario di intere famiglie di questo abitato che si snoda per quasi quattro chilometri lungo l'argine sinistro del fiume Lamone, con un pettine di brevi traverse perpendicolari che un tempo furono dei veri e propri laboratori en plein air.
A determinare questa specificità, circoscritta ad un popoloso villaggio (che nel 1816 fu riconosciuto come comune dal papa Pio VII, e nel 1857 giunse a contare nella sola parrocchia oltre 2.400 anime) furono soprattutto le tormentate vicende idrauliche del fiume Lamone, il principale corso d'acqua della Romagna, che bagna l'antica Villanova come ultima borgata prima di perdersi nei pressi di Mezzano. Passava vicino a quella linea anche il confine fra i territori degli Estensi e quelli della Serenissima, motivo per cui molti clandestini abitavano il luogo e nessuno impiantava lavorazioni di qualche pregio. Solo le acque vi abbondavano, in forma sempre variabile, alimentando quella vegetazione palustre tipica delle zone umide dell'interno e delle riviere d'acqua dolce.
Le fonti cartografiche a supporto di tale paesaggio sono molteplici: una delle mappe più antiche della pianura ravennate conservata alla Classense e databile alla fine del XV secolo, mostra la biforcazione del Lamone poco oltre Piangipane; fra quella linea e Ravenna non v'è che la Valle Bartine, distesa fino al mare. Frequenti zone umide tutt'intorno si rilevano poi nei cromatismi di Ignazio Danti affrescati in Vaticano sul finire del Cinquecento, anche dopo le bonificazioni gregoriane concluse verso il 1570; nella carta di G.B. Aleotti del 1599, nei Mappari Estensi dei primi anni del Seicento e ancora nelle finissime carte di Luigi Manzieri a metà del Settecento.
La difficile comparazione ci dice che il nostro villaggio emerse gradualmente dalle acque, sopra ai dossi accumulati nel tempo e sulle contorte vie alzaie tracciate dalle anse del fiume che nel suo tratto finale ruppe ben 22 volte in sessant'anni solo nel XVIII secolo. L'esondazione decisiva però fu quella del 7 dicembre 1839, nota come la "rotta delle Ammonite", causata da una settimana di piogge ininterrotte e dal letto oramai pensile del fiume, che avrebbe sempre minacciato le campagne circostanti. Si decise allora, anziché ripristinare gli argini infranti, di lasciare che fosse il fiume a rialzare i terreni circostanti in cui aveva spagliato, realizzando un'ampia cassa di colmata di oltre 6.000 ettari, che furono contornati da argini rimasti sino alla fine del secolo e di indennizzare i proprietari consentendo loro la coltivazione del riso.
La lenta opera di bonifica che ne seguì rese produttivi i terreni un tempo malarici, produsse un incremento della popolazione doppio rispetto al capoluogo di Bagnacavallo, offrì nuovo lavoro tanto ai braccianti che a quanti estraevano e trasformavano l'erba di valle. Da allora si svilupparono saperi e raffinate lavorazioni artigianali di ceste, arelle, borse e cappelli che attingevano erbe palustri dal Ravennate e anche dalle Valli dell'Argentano, avviando un commercio che avrebbe invaso non solo il mercato di Lugo, ma raggiunto anche la riviera nord-adriatica e la stessa Francia.
L'Ecomuseo di Villanova fino ad ora ha conservato memoria di questo ambiente generativo di acque interne nelle serie di strumenti da lavoro custoditi e nelle storie di vita. A partire dall'anno prossimo, quando sarà pronta la nuova sede museale di via Ungaretti, anche altre fonti ed una più ampia sezione di cartografia storica daranno conto dello stretto rapporto di quei manufatti con le zone vallive che tanta parte hanno avuto nello sviluppo della cultura materiale per la nostra regione.

Speciale Musei e acque - pag. 13 [2012 - N.43]

Verso il riconoscimento del ruolo attivo della cittadinanza nel sistema di gestione dei musei

Luca Baldin - Segretario Nazionale ICOM Italia

Per molto tempo la museologia italiana ha guardato al sistema anglosassone con un sentimento a metà strada tra l'invidia e la diffidenza. Un sentimento che raggiungeva l'apice nel momento in cui si faceva riferimento allo "strabiliante" rapporto tra professionalizzati e volontari del National Trust inglese (3 a 7!) e che dava esito al classico: "sì, sì... ma si tratta di una realtà completamente diversa dalla nostra". E così la questione veniva archiviata.
Va detto che tale atteggiamento trovava - e in parte trova ancora - qualche ragion d'essere in un modo effettivamente diverso di intendere l'etica e la responsabilità sociale nel nostro paese, ma anche in una dimensione del volontariato culturale italiano che sembrava assai differente non solo da quello anglosassone, ma anche da quello nostrano nel campo sociale. Ciò che emergeva era infatti un profilo troppo spesso elitario, radicale al punto da risultare a tratti anacronistico, perciò spesso lontano dalla quotidianità di chi, per mestiere e con molte difficoltà si occupa del patrimonio culturale italiano, nella consapevolezza, quasi mai condivisa, che la propria missione è per definizione un paradosso che dà vita a un compromesso: quello di conciliare le esigenze, inconciliabili, della conservazione e della fruizione, ed entrambe con quelle della vita, nel suo continuo divenire.
Questa la situazione fino agli inizi del nuovo secolo, dopodiché, interrompendo la sequenza di congetture e malintesi, per la prima volta abbiamo iniziato a disporre di qualche dato scientificamente attendibile sul reale impatto del volontariato sui cinquemila musei italiani, scoprendo come d'incanto che il fenomeno era assai più complesso di quanto si supponesse. Dapprima fu un'indagine sui musei piemontesi della Fondazione Fitzcaraldo del 2006, dalla quale risultava il dato, da molti ritenuto inverosimile, che circa la metà dei musei di quella regione risultava gestita esclusivamente da personale volontario, cosa che fece del Piemonte, per qualche tempo, un "caso" in Italia. Poi arrivarono le indagini di qualche altra regione, trasformando quel primo dato in una tendenza nazionale; infine giunse l'indagine ISTAT del 2008 che, per quanto limitatamente ai musei di interesse locale e con significative differenze da regione a regione, rese noto il fatto che circa la metà del personale attivo nei musei di interesse locale opera a titolo volontario.
D'improvviso è come se ci fossimo accorti che l'Italia, in fondo, non era così diversa dall'Inghilterra... Battute a parte, una cosa era certa: nei musei la sussidiarietà orizzontale era già una realtà, anche se non se n'era accorto nessuno, e quell'idea di gestione partecipata del patrimonio - ancora oggi ritenuta dai più "rivoluzionaria" - che trasuda dalle pagine di Hugues de Varine, in Italia era ed è una prassi consolidata. La questione più rilevante da capire rimaneva dove e come opera questo esercito di volontari.
Sotto questo profilo il primo dato è che quando incide concretamente sulla gestione, assumendo ruoli di responsabilità, il volontariato è attivo prevalentemente nei musei di dimensione medio-piccola, mentre nei musei di dimensioni più consistenti il suo impiego segue gli schemi assai più tradizionali e consolidati che potremmo definire, senza alcuna accezione negativa, degli "amici" del museo. I musei gestiti da volontari sono spesso degli one man museums e ancora più sovente appartengono alla categoria della demo-etno-antropologia, con qualche incursione nella storia. Non si tratta quindi di quei musei del genius loci di cui spesso ci parla Alessandra Mottola Molfino (che coincidono assai di più e meglio ai musei civici), ma dell'effetto di quel boom demografico di micromusei che costituisce uno dei più evidenti strumenti per l'elaborazione dei lutti della società contemporanea (la civiltà contadina, le guerre mondiali, la classe operaia); ed è soltanto il volontariato a rendere sostenibile il peso della gestione di un sistema museale così evidentemente "inefficiente", anche se non di meno significativo dal punto di vista fenomenologico e culturale.
La vera differenza tra sistema anglosassone e sistema italiano sta, quindi, più che nei numeri, nel metodo che razionalizza l'apporto di manodopera intellettuale (e non solo) a costo zero al sistema di gestione del patrimonio culturale nazionale. Se da una parte abbiamo quello ampiamente collaudato dei Trustees, che organizza professionalmente le risorse, dal reclutamento alla formazione, e le inserisce all'interno di un meccanismo virtuoso, in cui ognuno ha una funzione e un ruolo, con esiti di efficienza ed efficacia indubbi, e con un forte coinvolgimento di tutti gli istituti, anche dei più grandi e prestigiosi; dall'altra abbiamo il sistema italiano, spontaneistico e un po' anarchico, che incide poco o nulla nella gestione dei grandi istituti e che viceversa ha nelle sue mani, in via quasi esclusiva, le sorti di quel pulviscolo museale che è cresciuto esponenzialmente dal secondo dopoguerra ad oggi.
Sia il documento preparatorio che le risoluzioni finali della III Conferenza Nazionale dei Musei d'Italia, tenutasi a Verona nel novembre del 2007, evidenziavano molte delle questioni qui poste e alcune possibili azioni tese a superare la debolezza intrinseca del sistema, coniugando di più e meglio professionalità e volontariato.
Anche la Conferenza di Verona lasciava tuttavia inesplorato un tema delicatissimo, sul quale credo viceversa sia giunto il momento di avviare una seria riflessione e che si sta ponendo con drammaticità oggi, in presenza degli effetti di una violenta crisi recessiva, ovvero: che modello abbiamo in mente per il sistema museale italiano del futuro? Che azioni intendiamo intraprendere sul fronte dell'efficienza e dell'efficacia dei singoli istituti e del sistema? Cosa vogliamo chiedere con forza al legislatore e alla politica, che non sia l'erogazione di fondi che non ci sono e presumibilmente non ci saranno nel futuro?
La questione centrale è diventata la sostenibilità e al suo interno la variante "volontariato" non può essere considerata trascurabile. È tuttavia improcastinabile un salto di qualità complessivo, che razionalizzi una risorsa che pensavamo di non avere e invece abbiamo scoperto di avere in quantità insospettabile. Occorre metterla al centro di un ragionamento complessivo che miri a dare efficienza ed efficacia ad un sistema che non ne ha (dobbiamo trovare finalmente il coraggio di dircelo), così come non è né efficiente, né efficace l'uso dei volontari: disorganizzati e spesso inutilmente impegnati a far sopravvivere realtà che dovrebbero essere radicalmente ripensate (e talvolta, diciamocelo, chiuse). Occorre avviare processi di aggregazione, in cui la risorsa volontariato fa leva per affermare la necessità della presenza di personale professionalizzato, e non viceversa. Occorre capire che per alcuni musei non ci possono essere risorse se non localmente, e che o una comunità si riconosce nel proprio museo e se ne fa carico a tutti gli effetti, o quel museo probabilmente non ha ragione d'esistere.
Fatta chiarezza, si porrà (si pone), l'esigenza di avere politiche del volontariato culturale all'altezza del nostro patrimonio; un volontariato che dovrà essere organizzato, formato e razionalmente utilizzato, in una logica non velleitariamente di mecenatismo diffuso, ma di partecipazione alla gestione del proprio patrimonio e di responsabilità allargata nei confronti delle generazioni presenti e future, da divulgare fin dall'età scolare. Questo e non altro significa sussidiarietà orizzontale.

Questo contributo è già comparso nel corso del 2011 nel Bollettino di Italia Nostra


Speciale MAB e volontariato - pag. 13 [2012 - N.44]

Un modello gestionale multi-livello sorretto dal basso per fronteggiare la crisi

Fabio Donato - Docente di Economia Aziendale, Co-Direttore MuSeC - Università di Ferrara

La crisi economico-finanziaria ha avuto un forte impatto sul settore culturale del nostro Paese. Nel periodo della crisi i finanziamenti pubblici alla cultura in Italia sono diminuiti di oltre il 16%, i contributi delle fondazioni bancarie del 17%, le sponsorizzazioni finanziarie del 28%. Si tratta di un problema finanziario che si innesta in una situazione di per sé già critica. A partire dagli anni sessanta, infatti, in coerenza con lo sviluppo di un welfare state sempre più esteso, il numero di siti e di istituzioni culturali è aumentato esponenzialmente, rendendo sempre più evidente la difficoltà di raggiungere livelli di sostenibilità economica sia a livello di singola istituzione sia a livello di settore culturale nel suo complesso. I dati del MiBAC ci consegnano la fotografia di un sistema culturale oggi particolarmente ampio. Solo con riferimento alle istituzioni culturali appartenenti al settore pubblico, si contano 3.616 musei, 1.144 siti, aree archeologiche e monumenti aperti al pubblico, oltre 41.000 luoghi di spettacolo (teatro, lirica, balletto, concerti).

Tali istituzioni sono sostenute con larghissima prevalenza da fondi pubblici. Ma oggi il Paese è in grado di sostenere i livelli di welfare pre-crisi? La politica adottata sinora è stata quella di perseguire il fundraising e l'ingresso dei privati. In tempi di crisi, una simile politica è suicida. Come dimostrano decenni di letteratura economica nordamericana, in tempi di crisi i finanziamenti privati alla cultura diminuiscono drasticamente. È dunque necessario individuare un'altra via, e questa può solo essere quella di mettere in comune i costi e di fare massa critica per potenziare la capacità di ottenere ricavi autonomi. Non possiamo più permetterci un settore culturale nel quale ogni istituzione culturale agisce da sola.

Serve dunque un modello gestionale "multi-livello" (Sistema Culturale Territoriale) fondato sui seguenti principi: dimensione territoriale "meso"; organizzazione a rete; apertura e partenariato con le imprese. In tale modello gestionale, vi sono dunque due livelli: un livello "di sistema" che gestisce il Sistema Culturale Territoriale secondo i principi della sostenibilità economica; un livello "territoriale" nel quale ogni istituzione culturale svolge le proprie attività in coerenza con le politiche gestionali decise per il sistema nel suo complesso. Come si può notare, si tratta di un modello gestionale pienamente coerente con le caratteristiche del patrimonio culturale italiano, che è per sua natura reciprocamente interrelato, dialogante e profondamente radicato nel territorio. A livello di sistema vengono svolte le attività comuni (amministrazione, promozione, commercializzazione, fundraising, nuove tecnologie, digitalizzazione, politiche di prezzo, partnership con i privati, progettualità europea e così via); a livello di singola istituzione culturale sono realizzate le attività culturali, educative e di ricerca. Naturalmente, per ogni Sistema Culturale Territoriale dovrà essere poi deciso, caso per caso, quali funzioni delegare a livello di sistema, e quali funzioni mantenere invece a livello territoriale. Così come si potrebbe anche "specializzare" una o più istituzioni culturali per svolgere una o più funzioni a beneficio di tutto il sistema.

Certamente vi sono delle criticità che ostacolano l'implementazione di tale modello. La principale è la capacità da parte delle amministrazioni pubbliche e delle istituzioni culturali interessate di favorire una integrazione interistituzionale. In secondo luogo, si tratta di un modello che può funzionare efficacemente solo se evita forme procedurali di tipo burocratico, privilegiando piuttosto sistemi di comunicazione interna di tipo telematico e digitale. Infine, è un modello di gestione coerente con processi di coinvolgimento e di partecipazione da parte dei cittadini. Un sistema culturale territoriale, infatti, non funziona se si basa sulle sole logiche decisionali dall'alto verso il basso, senza che vi sia una adeguata interazione tra i diversi livelli del sistema (gestore del sistema e singole istituzioni culturali) e senza una forte partecipazione da parte dei cittadini.

Speciale Sistemi Culturali Locali - pag. 13 [2012 - N.45]

Il MIC di Faenza inaugura una nuova sezione permanente dedicata alla ceramiche usata in architettura

Valentina Mazzotti - Conservatore Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza

L'utilizzo della ceramica in architettura ha origini antichissime e già presso le civiltà mesopotamiche e dell'antico Egitto le pareti di importanti complessi monumentali furono ornate da mattoni e piastrelle smaltate in vari colori. A questo gusto per il cromatismo in campo architettonico attinse poi pienamente il mondo islamico, che fece un uso estensivo delle mattonelle in mausolei, moschee, scuole coraniche e residenze signorili, conseguendo esiti di raffinato decorativismo negli esemplari persiani a lustro del XIII-XIV secolo e nelle mattonelle ottomane di Iznik (antica Nicea) del XVI-XVII secolo. Sulla scia della conquista araba dell'Occidente questo apprezzamento per i rivestimenti smaltati e invetriati si diffuse nei Paesi affacciati sul Mediterraneo, Maghreb e Spagna dapprima, per poi espandersi nel nord Europa. La mediazione della Spagna moresca fu decisiva per l'introduzione di tale gusto anche nella penisola italiana a partire dal XIII secolo. Tra il XV e il XVI secolo molte cappelle private di edifici di culto e studioli di palazzi nobiliari furono pavimentati con mattonelle in maiolica, mentre più contenuto fu l'impiego dei mattoni nei soffitti (è il caso della chiesa di San Donato a Castelli). Nel corso del Seicento e soprattutto del Settecento porzioni sempre più estese di superfici pavimentali e parietali si ricoprirono di elaborate composizioni "a tappeto", specie in ambito campano e siciliano. Tale fenomeno subì un notevolissimo incremento con l'introduzione dei mezzi meccanici e dei processi industriali nella produzione delle piastrelle. Tra la fine del XIX e gli inizi del XX secolo il cosiddetto periodo Liberty vide un pullulare di iniziative legate alla produzione di piastrelle decorative fabbricate industrialmente secondo i dettami del gusto "floreale". Dalla fine degli anni Venti del Novecento poi la mattonella superò il discorso strettamente ornamentale e decorativo per divenire mezzo e supporto artistico (come nel caso di Arturo Martini o degli stessi futuristi). Con Gio Ponti, già dalle prime Triennali milanesi, si propose il concetto di rivestimento di interni ed esterni funzionale all'architettura (intesa come "arte massima"). Il secondo dopoguerra vide una vera e propria esplosione della produzione industriale, in linea con una nuova progettualità architettonica, per cui la piastrella divenne strumento della ricostruzione ed elemento di diffusione popolare.
Per illustrare questo articolato excursus storico che attraversa molti secoli dell'arte ceramica è stata allestita presso il MIC una nuova sezione permanente dedicata ai "Pavimenti e rivestimenti ceramici tra Occidente e Oriente dal Medioevo all'età contemporanea". Accanto a pregevolissime mattonelle dell'Iran del XIII-XIV secolo, della Turchia ottomana del XVI-XVII secolo e del Maghreb, che forniscono una panoramica del Vicino e Medio Oriente, è ampiamente testimoniata l'evoluzione dei rivestimenti ceramici pavimentali e parietali in Italia dal Medioevo al XIX secolo, completando il contesto europeo con interessanti esemplari della Spagna, della Francia e dell'Olanda e con una limitata ma rappresentativa selezione di mattonelle da stufa altoatesine. Ampio spazio è dedicato anche all'evoluzione della piastrella nel corso del Novecento fino alla piena affermazione industriale.
La sezione si compone di mattonelle e piastrelle smaltate e invetriate da rivestimento parietale e pavimentale, con un ristretto numero di ceramiche ad altro uso architettonico (tegole, mattonelle da stufa, mattoni) o decorativo anche con fini devozionali (pannelli con figure e vedute). Oltre ai singoli manufatti, sono allestite, ove possibile, composizioni di mattonelle di un medesimo contesto per fornire un'idea degli impiantiti originari, spesso perduti. La scelta in taluni casi di affiancare alle mattonelle esemplari di vasellame consente di testimoniare la condivisione dei medesimi motivi decorativi e stilistici su differenti supporti ceramici.
Gli ausili didattici (quali didascalie e pannelli illustrativi) a supporto della visita forniscono essenziali indicazioni di inquadramento dei manufatti esposti, necessariamente numerosi per focalizzare le specificità tipologiche e funzionali espresse dalle varie culture. Il duplice ordinamento geografico e cronologico dell'esposizione consente di focalizzare l'evoluzione tecnico-stilistica delle mattonelle e delle piastrelle attraverso i secoli e di cogliere le reciproche affinità e influenze tra Occidente e Oriente.

Speciale Allestimenti Museali - pag. 13 [2013 - N.46]

La digitalizzazione del patrimonio favorisce la fruizione e una visione unitaria della realtà museale

Claudio Casadio - Direttore Pinacoteca Comunale di Faenza

Con una efficace descrizione, Antonio Paolucci afferma che "i depositi stanno al museo visibile così come i nostri organi interni stanno ai nostri occhi e alla nostra pelle. Devono semplicemente essere ben tenuti e resi visitabili a chi ha ragione e titoli per vederli, non al pubblico generico al quale i depositi, giustamente, non interessano affatto" ("Qui Touring", febbraio 2013).
Da questo punto di vista i depositi della Pinacoteca faentina stanno molto bene: organicamente inseriti nel patrimonio e nella storia del museo più antico della città, spesso sono visitati da studiosi e nel loro insieme sono un luogo di gran fascino.
A consegnare questo risultato sono due diversi aspetti della storia della Pinacoteca: la sua origine e l'attività di volontariato svolta da grandi intellettuali come il conte Zauli Naldi e l'architetto Golfieri. Fin dalle sue origini, il lontano 1797, la Pinacoteca ha acquisito una sua importante peculiarità. Erano gli ultimi mesi del governo pontificio nelle Romagne, con l'ormai annunciato arrivo dei francesi e delle loro novità riformatrici dello stato, quando i rappresentanti della comunità faentina decisero l'acquisto della collezione di opere d'arte di Giuseppe Zauli. Con questa collezione, accompagnata nello stesso anno dall'acquisizione di dipinti provenienti dai conventi e dalle chiese soppressi in forza delle leggi napoleoniche, ebbe inizio la grande raccolta di opere oggi arrivata a varie migliaia di quadri, sculture, stampe, disegni e altri oggetti dell'artigianato artistico.
L'altra combinazione che rende fortunata la situazione faentina è dovuta all'attività svolta nel corso del Novecento prima da Luigi Zauli Naldi e poi, in modo più intenso, da Ennio Golfieri. Se nei depositi della Pinacoteca oggi è possibile vedere circa 1.500 quadri ben appesi nei muri, utili a dare un contesto storico al patrimonio della città, e migliaia di stampe e disegni ben sistemate in sette appositi armadi lo si deve in gran parte alla loro attività, aggiungendo quanto svolto negli ultimi due decenni del Novecento, dal direttore Sauro Casadei.
Tale situazione dei depositi va comunque mantenuta con una gestione che, nell'attività quotidiana, prevede lo svolgimento di quanto effettuato per le opere esposte. Si tratta cioè di quelle attività di catalogazione e di conservazione programmata che tengano conto sia dell'analisi dei rischi a partire dalle possibilità di furto e dalle condizioni ambientali per la sicurezza che della vigilanza e delle necessità di restauro. Un'attività che rende evidente come la realtà museale non sia fatta solo dalla parte espositiva ma che vive per una parte altrettanto significativa, se non quantitativamente più importante, anche per quanto riguarda la situazione dei depositi.
Ad aiutare questa visione unitaria delle realtà museale concorre sicuramente l'attuale processo di digitalizzazione del patrimonio artistico. La facilità con cui oggi si può procedere ad esempio alla documentazione fotografica relativamente sia alla produzione, ovvero allo scatto che non richiede più grandi competenze o attrezzature, sia alla diffusione che grazie alle reti informatiche è senza costi diretti, ha sicuramente cambiato il rapporto tra beni conservati nei depositi e beni esposti nelle sale pubbliche del museo. Oggi anche in Pinacoteca lo studio delle opere non è più fatto solo da pochi studiosi ma è una pratica che si e sempre più allargata e trova un riscontro sempre crescente. Grazie alla possibilità di trovare nella rete internet dati di opere conservate nei depositi, ad esempio grazie al Catalogo del Patrimonio Culturale messo a disposizione dall'IBC, la conoscenza del patrimonio museale è una realtà sempre più allargata. Anche la facilità di scambio della documentazione fotografica, tramite la posta elettronica o con sistemi ftp, consente una crescita di confronti e studi difficilmente ipotizzabile anche solo due decenni fa.
I cambiamenti in atto grazie all'uso dei sistemi digitali impongono un'attenta riflessione su questioni antiche che oggi possono portare a situazioni paradossali ma che potrebbero invece favorire nuove soluzioni organizzative. È il caso, ad esempio, dell'opportunità di unificare le basi dati tra sistemi culturali e la possibilità di ricercare possibili nuove soluzioni organizzative. Nuovi assetti rivolti anche a migliorare la gestione dei depositi, consentendone una riduzione dei costi, e un'evoluzione come ambito gestionale sia per i costi, che possono diminuire, sia per la valorizzazione, che può crescere in modo esponenziale.

Speciale Depositi museali - pag. 13 [2013 - N.47]

I musei della provincia di Forlì-Cesena presentano collezioni di grande interesse e fortemente identitarie

Milena Bonucci Amadori - Capo Ufficio Beni e Attività culturali Provincia di Forlì-Cesena

Quando nel 2006 fu presentata la guida Musei in FC, ve ne erano elencati quarantadue, fra musei pubblici e privati, suddivisi in sei ordini tematici: archeologia (otto), arte (dieci), etnografia e attività produttive (otto), scienze naturali (cinque), spettacolo (due), storia (cinque) e case museo (quattro). Di questi quarantadue musei, la metà era già stata censita nella collana Capire l'Italia. I Musei. Schede del Touring Club Italiano, nel 1980. Sarebbe utile verificare, uno per uno, l'evoluzione dei musei più longevi, l'origine dei più recenti, la scomparsa o il trasferimento di altri, ma non è né tempo né luogo per questo esercizio.
Qui, però, una precisazione va fatta per il Museo di Storia Naturale della Romagna il quale non compare in nessun repertorio poiché, pur documentando in maniera scientifica e dettagliata la Romagna, è collocato nel Museo di Civico di Storia Naturale di Verona. Pietro Zangheri, naturalista forlivese che lo ha ideato e formato in un quarantennio di dedizione e attività di ricerca, decise infatti di lasciarlo a Verona, alla fine degli anni Sessanta, sia in nome dell'amicizia che lo legava a Sandro Ruffo, già conservatore e poi direttore del Museo di Verona, sia perché a Forlì non c'era una struttura in grado di raccogliere e conservare tutto il materiale che ora fa bella mostra di sé in una sala, inaugurata a fine 2009, collocata nel percorso espositivo complessivo.
Tornando al qui e ora, l'insieme delle istituzioni museali ha collezioni e raccolte di pregio e di grande interesse. Alcuni, precisamente quindici, si fregiano di essere Musei di qualità, così identificati dalla Regione Emilia-Romagna dopo aver superato un percorso che li ha valutati dal punto di vista dei servizi offerti al pubblico, della gestione e organizzazione interna, delle attività di valorizzazione del patrimonio.
La Provincia di Forlì-Cesena, a differenza delle vicine Ravenna e Rimini, non ha mai formalizzato la costituzione di un Sistema provinciale dei Musei, ma ciò non ha impedito buone collaborazioni e una prassi di relazioni che hanno permesso, in particolare grazie alla Legge Regionale del 24 marzo 2000, n.18 "Norme in materia di biblioteche, archivi storici, musei e beni culturali", di costruire assieme programmazioni annuali attraverso le quali sono state ristrutturate e rinnovate numerose istituzioni museali.
Con il contributo economico della Regione Emilia-Romagna e della Provincia di Forlì-Cesena e l'apporto specialistico dell'Istituto per i beni artistici culturali e naturali, molti Comuni - da Borghi a Forlimpopoli, da Savignano sul Rubicone a Santa Sofia, giusto per citare qualche esempio - sono stati in grado di realizzare i loro progetti, fortemente identitari e significativi anche al di fuori dell'ambito territoriale, arricchendo in questo modo l'offerta culturale d'insieme e costituendo un sistema di fatto, all'interno del quale si è lavorato per tavoli tematici. Per un certo periodo è stata data visibilità all'arte contemporanea, si sono agevolati i prestiti intermuseali e nell'ultimo periodo è stata data enfasi ai musei naturalistici, anche a seguito della donazione a questa Provincia dell'Archivio fotografico di Pietro Zangheri da parte degli Eredi.
Parlare oggi di istituire un Sistema provinciale dei Musei può apparire fuori tempo sia rispetto alle difficoltà finanziarie in cui si trovano le Province, sia per le incertezze istituzionali in cui versano e che non si sono ancora risolte, ma forse è proprio questo il momento di riflettere su come definire, o in altri casi ridefinire, un patto di collaborazione, anche alla luce delle modalità cooperative che fin qui hanno contraddistinto l'operato delle biblioteche, le quali fino ad oggi hanno dimostrato di ottenere così reciproci benefici. In questo senso le Province Romagnole possono diventare un laboratorio significativo.

Speciale Musei di Romagna - pag. 13 [2013 - N.48]

La preziosa collezione di arredi sacri della chiesa conventuale faentina

Pietro Lenzini - Direttore artistico Museo S. Francesco di Faenza

La settecentesca chiesa di S. Francesco di Faenza costituisce, nell'ampio programma di rinnovamento edilizio della città, una significativa testimonianza del tardo barocco a opera di costruttori locali, attivissimi per tutto il XVIII secolo, sia nell'architettura religiosa che civile. La Chiesa francescana fu rifatta sulla preesistente tardo duecentesca tra il 1740 e il 1757 su disegno di Raffaele Campidori e Giambattista Boschi con la supervisione dell'architetto imolese Cosimo Mattoni. Presenta una elaborata facciata dalla profilatura mistilinea che rimanda a tipologie borrominiane e un elegante interno di forme composite alla cui aula si affaccia la sontuosa cappella della Concezione a pianta centrale del 1714-16, ricca di stucchi e dorature e con uno splendido altare marmoreo di Alfonso Torreggiani.
Il consistente patrimonio, formato da arredi sacri e suppellettili liturgiche che si è costituito nella chiesa conventuale, soprattutto nel XVIII secolo, ha determinato le ragioni per costituire un museo negli stessi spazi del convento. La raccolta è omogenea, pur nella varietà degli oggetti: arredi lignei, paramenti e tessuti sacri, dipinti, suppellettili liturgiche compresi fra il XVII e XIX secolo. Tra i dipinti vi è anche un frammento di affresco che è importante testimonianza dell'antica chiesa, raffigurante l'Incoronazione della Vergine e due Santi del XIV secolo; si sa, infatti, che le pareti interne erano ricoperte di pitture ad opera dei principali artisti faentini del XIV secolo, come già ricorda il Vasari.
Per l'aspetto riguardante la devozione popolare è visibile una serie di tavolette votive dipinte che si riferiscono alle devozioni specifiche presenti in S. Francesco, cioè il culto di S. Antonio di Padova, dell'Immacolata e dell'Addolorata, risalenti al XVIII-XIX secolo, alcune di queste ambientate, con vivacità espressiva, nella realtà dello spazio urbano.
Altro aspetto che si è voluto documentare è il ricco apparato riferito al plurisecolare culto dell'Immacolata Concezione documentato fin dal 1523 n questa chiesa. In una apposita sala sono esposti il baldacchino processionale a struttura rigida, con supporto il legno intagliato e dorato di pregevole fattura bolognese del Settecento e parti in seta ricamata con motivi floreali in filo multicolore e lamiglia di oro e argento, che veniva usato per le processioni con l'immagine della Concezione, un paliotto di tela entro cornice lignea per l'altare maggiore con racemi ricamati di gusto rococò che, al centro, presenta la figura della Immacolata ed in basso lo stemma della nobile famiglia Ferniani committente dell'opera che faceva parte della ricca Confraternita della Concezione insieme ad altri membri della aristocrazia faentina che ha contribuito al decoro e allo splendore della cappella omonina.
Ancora, di rilievo la residenza in argento sbalzato con parti dorate per la icone mariana, pregevolissima opera di oreficeria neoclassica del 1840 il cui disegno si deve al pittore faentino Tommaso Minardi. I motivi di spighe all'intorno e la cornucopie si riferiscono alla particolare protezione sui prodotti della terra e della campagna per i quali la Vergine era tradizionalmente invocata. Da notare un grandioso trono eucaristico del 1787 in legno intagliato e dorato di elaborate forme tardo barocche.
Numerosi e di particolare qualità anche gli arredi lignei, costituiti da candelieri di diverse dimensioni e di varia epoca, soprattutto del XIX secolo, come sei candelieri con la croce per l'altare maggiore di notevoli proporzioni, anche l'insieme delle cartegloria registra tipologie e qualità di intaglio particolari, considerando la rarità di tali arredi che sono stati oggetto di totale dispersione, troppo spesso, per interessi di mercato antiquario. Tra le argenterie c'è da ricordare un bellissimo ostensorio del 1787 con parti sbalzate e a fusione del celebre argentiere faentino Antonio Missiroli.
Infine due dipinti a tempera su tela del noto scenografo e vedutista Romolo Liverani, datati 1871 con vedute della Faenza ottocentesca, una in particolare riproduce la piazza s. Francesco con la chiesa e l'altra la cappella della Concezione e, al centro, il monumento ad Evangelista Torricelli da pochi anni collocato nella medesima piazza che costituisce un documento urbano del luogo, per reinterpretarlo a memoria, dell'ormai vecchio vedustista faentino.


Speciale nuove adesioni al Sistema Museale Provinciale - pag. 13 [2014 - N.49]

Risorse preziose per la valorizzazione del Cidm

Chiara Pausini - Cidm-MAR di Ravenna

Il dibattito sulla partecipazione ai progetti europei non è mai stato così attuale, ma la Provincia di Ravenna da più di 15 anni si rivolge ai Programmi di finanziamento europeo per i propri progetti di sviluppo economico e culturale. In particolare il Centro Internazionale di Documentazione sul Mosaico, Museo d'Arte della Città, si è misurato in più occasioni con i complessi percorsi di candidatura europei, per ottenere risorse preziose per la valorizzazione del proprio patrimonio.
È ormai in fase di conclusione OpenMuseums - Musei sloveni e italiani in rete: valorizzazione ed innovazione tecnologica nei musei delle città d'arte dell'Alto Adriatico (2007-2013), progetto vinto dal Mar-Cidm, insieme ad altri 10 partner italiani e stranieri: Province di Ferrara, Rovigo, Venezia, Gorizia, Civici Musei e Gallerie di Storia e Arte - Comune di Udine, Fondazione Aquileia, Museo del Mare  di Pirano, Museo Regionale di Capodistria, città di Lubiana, Museo di Caporetto, con il coinvolgimento di aree territoriali profondamente diversificate tra loro, ricche di una preziosa eredità artistica e culturale. Un progetto che nasce con lo scopo di promuovere e valorizzare questo patrimonio, soprattutto attraverso la definizione di metodologie congiunte e la costruzione di una rete di "musei aperti" in dialogo costante tra loro. Tra le attività principali del programma, l'organizzazione di nuovi percorsi espositivi, lo scambio di know how tra musei, l'attivazione di laboratori didattici innovativi, con ampio ricorso a nuove tecnologie e attrezzature multimediali.
Nell'ambito di questo progetto il Mar ha ideato nuovi percorsi espositivi per le proprie collezioni permanenti (Mosaici Contemporanei e Sezione moderna della Pinacoteca), rispondendo a esigenze storiche e conservative, aprendo al pubblico spazi ampiamente rinnovati, corredati di un apparato didascalico aggiornato sia dal punto di vista grafico che contenutistico. Ha svolto inoltre un ruolo di coordinamento nella messa a punto di nuovi percorsi didattici, capaci di avvicinare al museo fasce di pubblico maggiormente diversificate e di rafforzare il proprio legame con la città.
Partecipando sin dal 2003 ai programmi culturali promossi e finanziati dalla Comunità Europea, il Mar-Cidm ha ottenuto un importante riconoscimento per il progetto Interreg IIIA - SUA - Siti Unesco Adriatico (2003-2008), giudicato il secondo miglior Progetto Culturale Europeo del 2007. Tra gli obiettivi raggiunti la creazione di due banche dati multimediali per lo studio e la ricerca sul mosaico antico e contemporaneo (accessibili al sito www.mosaicoravenna.it), un sito web, un convegno e due pubblicazioni.
Accogliendo le indicazioni provenienti dalla Comunità Europea il Cidm continua ad avvalersi di  strumenti incentrati sulla ricerca e sulla operatività in rete, per una documentazione integrata delle risorse culturali esistenti a livello nazionale e internazionale.
Il lavoro di ricerca e di catalogazione delle opere in mosaico e la divulgazione on-line dei dati raccolti, sono ora supportati da un altro progetto europeo elaborato dal Cidm: il progetto EX.PO AUS (Estensione delle potenzialità dei siti UNESCO dell'Adriatico), finanziato dall'UE nell'ambito del Programma di Cooperazione Transfrontaliera IPA Adriatico 2007-2013. Il progetto include 12 partner dai sette stati che si affacciano sul mare Adriatico: la città di Dubrovnik, la Regione Istriana, la città di Split (Croazia), la Provincia di Ferrara, il Comune di Alberobello, la Fondazione Aquileia, l'Università del Litorale-Centro di scienze e ricerca della Slovenia, il Centro di conservazione e di archeologia del Montenegro, la Commissione per la conservazione dei monumenti nazionali della Bosnia ed Erzegovina, l'Ufficio di amministrazione e coordinamento di Butrint in Albania e la città di Corfù in Grecia. Tra le attività principali, la catalogazione delle decorazioni musive dei monumenti Unesco, attraverso l'uso della scheda Mosaico, già elaborata dal Cidm secondo standard catalografici riconosciuti a livello ministeriale e ora condivisa con i paesi partner.
A questa si aggiungono le attività di studio e di ricerca finalizzate all'elaborazione di una scheda di autovalutazione per la corretta gestione, conservazione e sostenibilità dei siti archeologici. I risultati di questo lavoro, coordinato da un esperto restauratore, saranno interamente pubblicati in un sito web dedicato, georeferenziato, che verrà a costituire una sorta di "Carta dei Siti Archeologici dell'Area Adriatica".
È nell'ambito di questa programmazione che il Cidm ha organizzato il convegno internazionale da poco concluso (8-10 maggio 2014) Ravenna Musiva. Conservazione e Restauro delle superfici decorate. Mosaici e affreschi, che ha visto il coinvolgimento di alcuni dei più autorevoli studiosi e tecnici del settore, con la collaborazione di RavennAntica, IBC, Soprintendenze e Università. Gli atti saranno pubblicati in lingua inglese entro il 2015.
È importante sottolineare quanto questi progetti sostengano il finanziamento di borse di studio per giovani ricercatori, completando la loro formazione e accompagnandoli nell'inserimento nel mondo del lavoro.

Speciale Progetti europei per i musei 2014-2020 - pag. 13 [2014 - N.50]

Il ruolo del direttore tra processi di adeguamento agli standard di qualità e di rinnovamento culturale a beneficio della comunità

Cristina Ambrosini - Dirigente Servizio Cultura Musei Turismo e Politiche Giovani Comune di Forlì

I musei civici di Forlì possono essere annoverati in regione tra le istituzioni museali di lunga e accreditata tradizione e con la loro fisionomia storicizzata vivono nel contesto attuale segnato dall'attesa applicazione della 'riforma' dei musei statali inserita nel DPCM 171/2014.
La riforma - calibrata sui musei nazionali con il coordinamento dei poli regionali - è orientata, per quanto si legge nelle pieghe degli articoli del decreto, a porre le basi per un sistema museale nazionale destinato, almeno negli intendimenti, a possibili declinazioni nelle realtà regionali e di "area vasta". Gli interrogativi e le aspettative che si accompagnano alla sua efficacia in fase attuativa si calano per quanto riguarda Forlì in una realtà impegnata in questi anni, in virtù dell'esperienza maturata e del radicamento nel territorio, in un processo di riorganizzazione interna che affonda le sue radici nella riconosciuta validità dei criteri tecnico-scientifici e degli standard di funzionamento e sviluppo dei musei contenuti nell'Atto d'indirizzo del 2001.
Il sistema museale cittadino condivide con musei di altre città una cronica ed esasperata situazione di sofferenza per i non attuati e/o completati interventi di riqualificazione e di adeguamento delle strutture vocate ad ospitare le collezioni e tutte le attività correlate alla funzione "museo", come definita dall'ICOM.
Non si parlerà però di tali aspetti anche se ciò non significa sottovalutarne la problematicità e l'oggettiva limitazione all'esplicarsi di tale funzione. Si intende valorizzare quanto il museo - "Istituto della cultura" - in città e nel territorio si stia affermando con un ruolo di coprotagonista di un processo di rinnovamento e di rigenerazione culturale che la realtà forlivese nelle sue componenti essenziali ha intrapreso, a diversi gradi di consapevolezza, da alcuni anni.
Operare oggi nei musei a Forlì significa riferirsi al complesso museale del San Domenico, noto per il modello decennale delle mostre temporanee di respiro nazionale, e all'esperienza più recente di Palazzo Romagnoli, sede delle collezioni civiche del Novecento e anche luogo in cui si registra l'impegno finalizzato a rendere possibile un'interessante sperimentazione riguardante le numerose e sorprendenti configurazioni degli ambiti di 'prestazione' del museo stesso.
La cura e la gestione delle collezioni rimangono gli ambiti in cui l'autonomia tecnica e scientifica è garantita, pur nei limiti imposti dalle risorse di bilancio pressoché azzerate, dall'esperienza acquisita sul campo dal personale comunale dedicato e dalla ripresa dell'attività periodica di ricognizione dello stato di conservazione del patrimonio svolta in collaborazione con gli organi ministeriali di tutela, con la Regione sui temi della catalogazione e con l'innesto di esperienze formative di tirocini e borse di studio (rese possibili grazie a erogazioni di privati), segnali della volontà di rendere più efficace e sistematico il rapporto con il mondo universitario.
L'oggettivo incremento delle proposte culturali capaci di catalizzare intorno al museo e ai suoi progetti l'interesse di un numero crescente di persone, sia residenti o classificabili nelle categorie del turismo di prossimità che quelle del pubblico delle mostre temporanee, incoraggia a proseguire nell'indirizzo intrapreso. Nel contempo si asseconda il graduale affinamento dell'attitudine del museo verso un atteggiamento di ascolto delle esigenze profonde e talora inespresse del pubblico. Il museo può diventare il luogo che con naturalezza aiuta ciascuno a mettersi in gioco nel costruire, grazie all'esperienza suscitata dalla vicinanza con il patrimonio storico e artistico e dalla forza che emana dalla sua autenticità, un rapporto responsabile con la città e la comunità in cui si vive, la sua storia e la sua fisionomia futura.


Speciale Direttori Museali - pag. 13 [2015 - N.54]

Il Museo Zauli, tra i primi ad avere una Google Open Gallery, invita tutti a sperimentare questa tecnologia

Cristina Casadei - Comunicazione MCZ di Faenza

Nel 2011 Google ha fondato Cultural Institute con un'ambiziosa e visionaria missione: offrire agli addetti del settore strumenti concreti per mettere on line i tesori del patrimonio mondiale, rendendoli accessibili e visibili a tutti. Lo strumento ora è attivo e ospita le collezioni di musei come il Moma, l'Hermitage o il Maxxi, consentendo la visione di opere d'arte, monumenti, siti, archivi e tutto quanto le istituzioni culturali vogliano presentare al loro pubblico.
Sono due le modalità che offre per pubblicare contenuti nel web: utilizzando Cultural Institute Platform, piattaforma accessibile a un qualsiasi addetto culturale senza scopo di lucro, oppure entrando in Cultural Institute Website, sito riservato ai partner del progetto.
La prima (chiamata anche Google Open Gallery), è una tecnologia completamente gratuita, che consente molteplici attività:
- caricare e mostrare contenuti on line che, attraverso riquadri immersivi, trasportano il visitatore in un viaggio attraverso le immagini a schermo intero, con un impatto molto realistico dovuto al potente zoom;
- integrare le immagini e completare l'esperienza con auto-play video, file audio e didascalie testuali;
- creare un proprio sito per contenuti e collezioni ospitato da Google con il dominio xxx.culturalspot.org, da usare anche a supporto del proprio;
- inserire all'interno del proprio sito gli oggetti, e relative funzionalità di zoom e metadata, caricati dentro la piattaforma Google.
L'idea alla base di Cultural Institute, che emerge con forza dalle tecnologie offerte, è incentivare e diffondere la creazione e la curatela di mostre virtuali, a supporto di quelle reali o anche completamente diverse. Questa tecnologia è accessibile richiedendo un invito al link al sito www.google.com/opengallery. Nel momento in cui sto scrivendo, lo staff di Google ha incluso anche la nostra.
Passo ulteriore, e decisamente più difficile, è diventare veri e propri partner del progetto, previa richiesta formale. L'obiettivo finale è far parte del sito www.google.com/culturalinstitute, rientrando nel motore di ricerca insieme al relativamente piccolo e selezionatissimo gruppo di musei, archivi e istituzioni culturali di tutto il mondo che attualmente collabora, e poter usufruire di una serie di tools. Cultural Institute Website utilizza le tecnologie prima analizzate, a cui se ne aggiungono altre ancora più potenti e sofisticate, come la creazione dei tour virtuali, o la realizzazione di app.
In entrambi i casi è responsabilità e compito esclusivo di chi aderisce caricare e aggiornare il materiale, così come curare le proprie mostre virtuali.
Con qualche cenno al caso del Museo Carlo Zauli, vogliamo segnalarvi quanto sia accessibile una tecnologia così potente e invitarvi a fare altrettanto. A fine 2013 abbiamo risposto ad una open call di Google, colpiti dal binomio "sperimentazioni digitali/arte". A febbraio 2014 siamo stati contattati dall'agenzia creativa parigina di Google. All'accoglimento della richiesta, ha fatto seguito un anno in cui Julian, il nostro tutor, e la sottoscritta, abbiamo collaborato per aprire e rendere attivo il nostro profilo, testando di fatto questa incredibile piattaforma, all'epoca "ancora ai suoi primi giorni di vita", come recitava la mail di conferma. È stato molto emozionante essere fra i pionieri nell'utilizzo e nella scoperta di potenzialità (e buchi di programma), e ci piace anche ricordare che proprio postando i nostri test su twitter siamo entrati in contatto con #svegliamuseo, protagonista dell'intervista a pag.15.
Attualmente su Cultural Spot del Museo Carlo Zauli sono visibili tutte le opere della nostra collezione contemporanea, corredate di didascalie complete e foto di artisti al lavoro, in una gallery utilizzata anche sul nostro sito. Sono visibili anche alcune gallerie tematiche sul lavoro di Zauli, che sono in ampliamento e in cui stiamo sperimentando inserimenti audio e video. Nella penultima edizione del Corso per Curatori gli studenti partecipanti sono stati invitati a realizzare una propria mostra virtuale intrecciando, secondo un tema, lavori scelti dalle nostre collezioni, in un esercizio molto suggestivo e concettuale, ma totalmente privo di complicazioni di allestimento e di budget! Infine abbiamo fatto richiesta formale per diventare partner del Cultural Institute.
In definitiva ogni organizzazione che opera nel settore può richiedere formalmente di diventare partner di Cultural Institute, e nel frattempo, lavorare insieme a Google per costruire le proprie esposizioni con le stesse tecnologie disponibili. L'unica cosa veramente necessaria è disporre di immagini belle e ad altissima risoluzione, a cui si lega un'ultima precisazione, ovvia ma non scontata. La piattaforma Cultural Institute accetta esclusivamente immagini dei partner non protette da copyright o con copyright rimossi ed è responsabilità unica del partner ottenere le autorizzazioni necessarie per la condivisione delle immagini.

Speciale Musei nell'era della mobilità digitale - pag. 13 [2016 - N.55]

Un ricordo dell' 'storico' direttore dell'IBC, pioniere della informatizzazione e della integrazione di biblioteche, archivi e musei

Rosaria Campioni - Già Soprintendente per i beni librari e documentari della Regione Emilia_Romagna

Il 23 marzo 2016 ci ha lasciato Nazzareno Pisauri; tracciare in una sola pagina la sua vita professionale non è impresa facile.
Nato a Recanati il 15 ottobre 1940, vincitore del concorso nazionale per bibliotecari fu assegnato nel 1964 alla Soprintendenza bibliografica che aveva sede a Bologna. Il 4 novembre 1966 l'acqua dell'Arno travolse Firenze: Pisauri si impegnò nel recupero dei libri danneggiati della Biblioteca nazionale centrale e in quella circostanza conobbe il grande direttore, Emanuele Casamassima. Nel 1972 Nazzareno si laureò in Lettere, presso l'ateneo bolognese, con una tesi sulla Vita di Cola di Rienzo, cronaca trecentesca che amava ricordare camminando con l'inseparabile sigaretta nel centro di Roma.
A seguito del DPR del gennaio 1972 le Soprintendenze ai beni librari furono trasferite dallo Stato alle Regioni a statuto ordinario e il giovane funzionario statale optò per operare nel nuovo ente, presso l'Assessorato regionale alla cultura. In quel clima favorevole al decentramento incontrò validi colleghi, in particolare Magda Maglietta e Giuseppe Guglielmi, coi quali confrontarsi circa l'organizzazione culturale più rispondente ai bisogni di partecipazione democratica.
La scelta di tipo interdisciplinare, che ha contraddistinto la politica culturale della neonata Regione Emilia-Romagna, è sempre stata cara a Pisauri che collaborò con l'Istituto per i beni culturali (IBC), allora diretto da Guglielmi, a vari progetti: dalla microfilmatura dei periodici storici al seminario sulle tecniche di conservazione e restauro del materiale bibliografico e archivistico, dall'indagine sui codici malatestiani al censimento regionale delle cinquecentine.
Con la legge regionale del dicembre 1983 sulle biblioteche e archivi storici di enti locali fu istituito, nell'ambito dell'IBC, il servizio di Soprintendenza per i beni librari e documentari. Nominato nel 1984 responsabile di tale servizio, Pisauri con la sua ben nota determinazione seppe da un lato formare una squadra affiatata di collaboratori e dall'altro impostare la gestione della legge sul territorio imperniandola sui principi della cooperazione e della cultura del servizio. Come soprintendente ha interpretato le funzioni di tutela in maniera dinamica, favorendo l'acquisizione pubblica di non pochi fondi privati, tramite sia donazioni sia acquisti congiunti con gli enti interessati. Alle campagne di censimento ha accompagnato le attività di valorizzazione allo scopo di far conoscere le risorse documentarie conservate nei diversi istituti. Pisauri ha altresì promosso, con estro creativo, esposizioni su tematiche allora poco esplorate: tipografia russa, grafica editoriale, fondi fotografici, razzismo in epoca fascista, archivi dell'arte... L'organizzazione bibliotecaria, complessivamente intesa, deve molto all'intelligente lavoro di Pisauri, che tra l'altro aderì prontamente al progetto del Servizio Bibliotecario Nazionale (SBN) proposto alle Regioni dalla lungimirante direttrice dell'ICCU, Angela Vinay.
Nel 1992 la nomina del Professor Ezio Raimondi a Presidente dell'IBC ha rafforzato le ragioni di una cultura insieme pluralistica e unitaria. Pisauri, nominato nel 1995 direttore dell'IBC, ha cercato di migliorare i servizi culturali tramite un dialogo franco con le amministrazioni provinciali e comunali e la realizzazione di interventi sul territorio che facilitassero l'accesso integrato ai beni culturali da parte di tutti i cittadini. In questa sede è stata privilegiata l'attività regionale rispetto a quella internazionale e nazionale; non si può tacere tuttavia il suo ruolo fattivo sia nel coordinamento interregionale tecnico alla cultura sia nelle commissioni nazionali.
Amareggiato per la progressiva diminuzione delle risorse per la cultura, l'instancabile "lavoratore culturale" è andato in pensione nel 2001 e così ha dedicato più tempo alle trasmissioni per Radio città 103 (poi Fujiko) di Bologna, nelle quali inoltre poteva dare spazio ai suoi interessi musicali. L'immagine che si associa al volto di Nazzareno è quella di Marx e ritengo che, nella testimonianza rilasciata nel 2012 sul compagno e noto scrittore Stefano Tassinari, dica molto di sé citando Gramsci: "il primo che tra i grandi pensatori marxisti abbia valorizzato il lavoro culturale, individuando in esso il grimaldello per far saltare le casematte del consenso in cui il potere si arrocca, ora come allora, non solo nella società ma più ancora all'interno dei partiti politici".

Personaggi - pag. 13 [2016 - N.56]

I beni archivistici e la loro fondamentale funzione per la tutela e la valorizzazione di tutti i beni culturali

Marco Carassi - Già Soprintendente archivistico per il Piemonte, la Valle d'Aosta e la Lombardia

Si dice che la vida es del color del cristal con que se mira e naturalmente anche gli archivisti vedono il mondo dal loro particolare punto di vista.
Ma, fortunatamente, da qualche tempo a questa parte, tutti i professionisti del patrimonio culturale hanno ampliato le loro prospettive, rendendosi conto dei vantaggi di un approccio collaborativo che vada oltre una passiva difesa dei tradizionali confini disciplinari. Per rendere fruttuosa tale necessaria interazione, non si può certo sacrificare la ricchezza delle migliori conquiste culturali di ciascuna professione, né si può dimenticare che diversi tipi di beni hanno specifiche esigenze di trattamento e descrizione. Non si possono dunque costringere competenze e metodi degli uni e degli altri sul letto di Procuste di un compromesso di potere o di un minimo comun denominatore. Occorre invece esplorare insieme nuove vie per dare al cittadino una offerta integrata e, a monte, cercare un arricchimento reciproco delle conoscenze e dei metodi della tutela e della messa in valore del patrimonio, inteso in senso globale.
Proviamo dunque a dare una occhiata al bagaglio culturale professionale che gli archivisti portano in dote a questa nuova alleanza in favore del patrimonio.
Si potrebbe cominciare dalla consapevolezza che il patrimonio archivistico, pur considerato sovente l'ultima ruota del carro della cultura nel panorama delle priorità politiche, è risorsa indispensabile per la tutela e la valorizzazione di tutti i beni culturali. È superfluo citare il caso di certe imbarazzanti lussuose pubblicazioni distribuite alla inaugurazione di talune annose opere di restauro architettonico, dove risulta tra le righe che la ricerca storica non è stata alla base della progettazione dell'intervento, ma solo appiccicata in coda come fiore all'occhiello per dare un tocco di scientificità all'operazione.
Vi è poi una caratteristica del tutto particolare che differenzia il bene archivistico da tutti gli altri ed è quella di essere fin dall'origine al tempo stesso un bene culturale (testimonianza di una attività umana) e il prodotto spontaneo di una attività gestionale e amministrativa, dunque utile per difendere diritti e interessi. Anche l'archivio che il letterato o l'artista produce e accumula nel corso delle sue attività ha per scopo di facilitargli il lavoro e aiutarlo a ricordarne le fasi di sviluppo.
Questa duplice natura presenta vantaggi e svantaggi. Il rischio più grave è quello che appena svanita l'utilità pratica immediata, i documenti siano dispersi o distrutti, senza tener conto del loro eventuale valore per il futuro. L'aspetto positivo è invece che per la formazione di un patrimonio di fonti storiche (e di testimonianze giuridicamente valide) non è necessario inventare metodi sostanzialmente diversi da quelli in uso nella fase iniziale di creazione e ordinamento dei documenti. Anzi, secondo la dottrina archivistica affinatasi dopo secoli di tentativi ed errori, ormai si concorda che occorre rispettare quanto più possibile i criteri di ordinamento originari, dato che il valore del patrimonio archivistico non è dato dalla semplice somma dei contenuti dei singoli documenti, ma anche dal significato del loro contesto, delle loro relazioni reciproche come traccia affidabile delle funzioni svolte dai soggetti produttori. Il rispetto o la ricostruzione di questo ordine ha proprio lo scopo di consentire ai ricercatori, legittimamente animati dai più diversi interessi, l'approccio più oggettivo possibile alle fonti. Tale orientamento dell'archivistica italiana va sotto il nome di "metodo storico", nell'ambito del più generale principio del "rispetto dei fondi" o "principio di provenienza", che vieta di mescolare documenti di soggetti produttori diversi (la lettera che Tizio scrive a Caio, ha come appartenenza e "provenienza" archivistica l'archivio di Caio e non quello dell'autore intellettuale e materiale del documento, dati questi ultimi che devono comunque risultare dalla descrizione). Sono noti gli inconvenienti che derivano dall'utilizzare sistemi descrittivi di origine bibliografica nel tentativo di dare conto della complessità del patrimonio archivistico.
Ogni generazione (e ogni ricercatore) deve poter rivolgere nuove domande agli stessi archivi, purché non siano stati arbitrariamente manipolati in funzione di un solo transitorio interesse, perdendo così i nessi originari. Si tratta di un criterio che non trova esatta corrispondenza tra le metodologie in uso in altri settori del patrimonio culturale.
Un punto altrettanto delicato è quello della selezione, che risulta necessario effettuare nella fase di passaggio dall'archivio corrente a quello di deposito (la fase di utilizzo solo occasionale) e soprattutto a quello dell'archivio storico, dove il complesso dei documenti prodotti da un determinato soggetto in una certa fase della sua attività assume un consolidamento tendenzialmente definitivo, per finalità sia giuridiche sia culturali.
L'esperienza dimostra che il tentativo di conservare tutto si risolve, anche negli archivi digitali, in grandi difficoltà di gestione e di accesso, per non parlare dei costi insostenibili. Poiché la selezione è stata effettuata in passato con criteri qualitativi talora molto soggettivi (con distruzioni troppo radicali o viceversa con il salvataggio di quantità non sostenibili e di contenuto scarsamente utile), gli archivisti in tempi recenti si sono orientati non a inseguire i criteri continuamente mutevoli di interesse contenutistico, ma a cercare di salvare la testimonianza sintetica dell'attività specifica del soggetto produttore, talora mediante campionamento.
Il problema della individuazione del patrimonio da conservare e valorizzare traendolo dalla sterminata massa di testimonianze di ogni natura prodotte nelle epoche passate è, d'altra parte, un tema ben presente ai professionisti di ogni settore del patrimonio culturale.
La normativa italiana prevede che tale individuazione sia, per gli archivi, parte di una più generale funzione di tutela affidata agli archivisti di Stato sia di Soprintendenza (su tutti gli archivi pubblici non statali e su quelli privati di interesse storico) sia d'Archivio di Stato (sugli archivi degli uffici statali). Ma in realtà la funzione di tutela è rilevante anche per gli archivisti di enti pubblici e per quelli che lavorano per soggetti privati conservatori d'archivi pur non "dichiarati" formalmente di interesse storico, in quanto la prima fondamentale tutela del bene archivistico è quella esercitata quotidianamente dal detentore. Senza contare la tutela sociale diffusa che può essere esercitata spontaneamente dai cittadini, singoli oppure organizzati nei soggetti della società civile, benché sia più facile accorgersi di un edificio in rovina che di un archivio a rischio di dispersione.
L'esercizio della tutela in senso tecnico richiede competenze adeguate per l'attività conoscitiva che prelude alla individuazione dei beni oggetto di tutela, e per la loro protezione e conservazione per fini di pubblica fruizione. La collaborazione dei volontari, preziosa sotto molti aspetti, richiede tuttavia una attenta verifica delle modalità di esercizio, non per motivi di difesa corporativa delle professioni, ma per la salvaguardia del patrimonio dai guasti che possono essere provocati dalla incompetenza, per quanto generosa e disinteressata.
Data la natura estremamente eterogenea degli archivi (e dato che solo convenzionalmente si possono stabilire dei confini nel continuum tra archivi correnti, di deposito e storici), le competenze necessarie alla tutela spaziano da scienze come la paleografia e la diplomatica, alla storia delle istituzioni produttrici, alla storia del diritto, alla storia degli archivi, alla storia locale e generale, alla tecniche di conservazione e restauro, fino alla conoscenza - per i documenti più recenti - delle tecniche di produzione documentaria entrate in uso negli ultimi decenni, con l'apparente smaterializzazione degli archivi. La conservazione del contesto organizzativo e funzionale è particolarmente cruciale per gli archivi digitali.
Gli archivisti sembrano essere gli unici professionisti del patrimonio culturale che possono dover produrre il bene stesso oggetto della tutela, infatti, salvo deleghe, una stessa persona è responsabile nella Pubblica Amministrazione del Servizio d'archivio istituito ex art. 61 DPR 445/2000 che deve coprire tutte le fasi di vita dell'archivio, dall'ufficio protocollo fino alla sezione storica. In tal modo si conferisce struttura, logica e fisica, all'archivio e gli si consente di svolgere sia la funzione di strumento immediato di operatività e di garanzia giuridica, sia quella di duratura testimonianza, anche a scopo culturale, delle attività svolte.
 Acquisire agli istituti di conservazione il patrimonio archivistico selezionato per la conservazione illimitata richiede competenze di varia natura, sopratutto organizzativa, manageriali e psicologiche, non esclusa la capacità di  reperire risorse economiche.
L'acquisizione pone talora all'archivista problemi di natura deontologica, come quando al proprio istituto venga offerta l'occasione di ricevere un archivio che logicamente dovrebbe stare altrove. In tali casi è d'obbligo concordare soluzioni ragionevoli con gli istituti "concorrenti". Qualora sia irrimediabile la collocazione incongrua di un frammento d'archivio, essa può avere un parziale rimedio nella descrizione integrata sul web di tutti gli spezzoni. Certo non deve spaventare l'archivista l'eventualità che un fondo misto di documenti, di libri o di oggetti, che riflettono l'attività di un soggetto, sia destinato, in base ai beni prevalenti in quel complesso, ad un istituto culturale non archivistico purché i vari beni siano trattati secondo i criteri metodologici richiesti dalla natura particolare di ciascuno.
L'archivio originariamente ordinato o successivamente correttamente riordinato deve essere descritto mediante uno strumento scientifico che si aggiunge agli strumenti originari di corredo (protocolli, rubriche, elenchi, ecc.). Gli archivisti lo indicano col termine "inventario" e non con quello generico di catalogo. Esso ha la duplice natura di garanzia patrimoniale - perché serve a rivendicare i beni documentari eventualmente sottratti - e di mezzo di fruizione giuridico-amministrativa e culturale.
La descrizione dell'archivio non è mera sequenza di schede singole, ma organizzazione logica di tutti i dati emersi dalla fase di schedatura, che è fattibile a diversi gradi di analiticità. Ma la descrizione della struttura del fondo archivistico, data in ordine gerarchico dalle partizioni più generali di serie e sottoserie fino a quelle più particolari, è considerata chiave di accesso più utile che non l'accumulo di singoli dati descrittivi senza che sia poi stato fatto lo sforzo della ricostruzione sistematica, che evidenzia nessi originari e funzioni svolte.
Gli standard internazionali e nazionali di descrizione archivistica prevedono che i diversi soggetti produttori, che hanno contribuito ad alimentare uno o più fondi archivistici, siano separatamente descritti in modo da poter stabilire nessi virtuali tra produttori e parti di fondi archivistici, e così poter riflettere la complessità storica delle relazioni uno a uno, uno a molti, molti a uno e molti a molti. Per lo stesso motivo si richiede la descrizione separata dei soggetti conservatori, poiché non di rado gli archivi hanno subito smembramenti e accorpamenti in sedi fisicamente diverse. Tali descrizioni separate consentono di facilitare l'interconnessione con descrizioni di beni di natura non archivistica. Infatti una stessa persona può aver svolto attività che hanno prodotto oggetti di tipo diverso alcuni dei quali possono essere conservati nello stesso istituto culturale, altri richiedono invece di essere collocati in luoghi più adatti alla loro corretta conservazione e fruizione (si pensi ai quadri di un pittore).
Riordinamento e descrizione degli archivi costituiscono un impegno scientificamente rilevante, che impone agli archivisti di mettere a disposizione dei ricercatori anche le loro conoscenze di storia delle istituzioni produttrici e conservatrici e di storia degli archivi come strumenti operativi e di accumulo della memoria.
Tradizionalmente la comunicazione ai possibili utenti avveniva tramite la mediazione personale dell'archivista. L'ampliamento e la democratizzazione dell'accesso agli archivi pubblici, e a quelli privati dichiarati di interesse storico, ha fatto sì che gli archivisti si dedicassero alla redazione di strumenti descrittivi di immediata accessibilità, sempre meno dipendenti dalla necessità della propria partecipazione personale. Il sito web del singolo istituto e i sistemi descrittivi nazionali e internazionali (il portale SAN per gli archivi italiani) sono la nuova frontiera della comunicazione degli archivi a un pubblico variegato e potenzialmente vastissimo. La comunicazione on-line consente di effettuare ricerche non solo sequenziali come nei tradizionali inventari, ma anche puntuali e trasversali su più basi di dati. Le modalità puntuali di ricerca ormai diffusesi per quanto attiene alle descrizioni su supporti informatici costringeranno probabilmente a riconsiderare il tradizionale criterio inventariale della non ripetizione dei dati già forniti ai livelli descrittivi superiori. Nuove modalità di presentazione delle informazioni cominciano a essere sviluppate anche per avvicinare agli archivi utenti tradizionalmente scoraggiati dalla complessità del mondo archivistico. Sembra purtroppo più facile trovare soldi per campagne di digitalizzazione benché sia chiaramente insostenibile riprodurre la totalità dei documenti conservati. Certo le immagini non debbono essere gettate in pasto al pubblico senza il preliminare lavoro scientifico di riordinamento e conoscenza inventariale e senza essere collegate a descrizioni adeguate (metadatazione).
La valorizzazione degli archivi si attua con mezzi analoghi a quelli degli altri beni. Ma gli archivi soffrono di una particolare difficoltà nel conquistare l'attenzione del grande pubblico, benché le iniziative didattiche possano coinvolgere gli studenti con l'idea del viaggio virtuale nel tempo. In tema di mostre, la chiave per far scoccare la scintilla del contatto sembra essere l'individuazione di temi che abbiano una qualche eco nell'esperienza del visitatore, dato che il passato si può esplorare per somiglianze e per differenze con la realtà odierna. L'archivio inteso come macchina della memoria può facilmente aprirsi alla conoscenza degli altri tipi di beni conservati nello stesso edificio o in altri istituti culturali, o nel territorio circostante. Anche narrare le avventure più o meno felici della tutela del patrimonio può avvicinare il cittadino all'appassionante opera di studio e salvaguardia di un tesoro culturale sconfinato e diffuso come quello italiano.

Speciale lessico condiviso: il concetto di patrimonio - pag. 13 [2017 - N.58]

Nel Magazzino del sale Torre di Cervia troverà sede definitiva il nuovo museo

Mario Turci - Museologo

In concomitanza con la consegna di quest’articolo al periodico del sistema museale della provincia di Ravenna, è stato consegnato il progetto completo (museologico-museografico) per la realizzazione del Museo del Sale all’assessore alla cultura del comune di Cervia Andrea Corsini. La consegna del progetto è la prima significativa tappa di un percorso che presto vedrà Cervia ospitare un nuovo museo dedicato all’esperienza salinara che è dimensione rilevante dell’identità storico-culturale di Cervia e del suo territorio. Un museo dedicato al sale, ma strutturato sulla centralità dell’uomo, dei suoi rapporti, socialità, maestria e lavoro. Il progetto per la realizzazione del Nuovo Museo del Sale si basa innanzitutto sulla disponibilità dei rinnovati locali del Magazzino del Sale (Magazzino Torre) e su quella risorsa sostanziale data dalla storia e dai contenuti del vecchio Museo curato dall’Associazione “Gruppo Culturale Civiltà Salinara”. La tradizionale passione per il collezionismo e per la conservazione delle testimonianze storiche, ha una sua qualificata emergenza a Cervia nell’esperienza del Gruppo Culturale Civiltà Salinara. Le attività del gruppo, costituitosi in associazione nel 1990, sono il risultato di un’esperienza maturata dopo anni di puntuale ricerca che ha scandagliato a fondo la memoria collettiva locale preservando un’interessante quantità di testimonianze materiali, orali e documentarie. Le iniziative di studio, poi raccolte principalmente attorno alla Mostra Etnografica e al Museo a Cielo Aperto costituito dalla salina artigianale Camillone, si sono rivolte alla realtà territoriale seguendo diversi filoni disciplinari di indagine e affrontando sia problematiche di carattere etnografico sia quelle di carattere storico-economico e storico-sociale. L’esigenza di intervenire con opere di restauro sul Magazzino Torre, con la conseguente chiusura del museo, ha offerto l’opportunità di pensare alla riapertura del museo secondo un progetto di rinnovamento, seppur radicando la sua nuova forma nella preziosa impresa documentaria realizzata dall’Associazione Gruppo Culturale Civiltà Salinara nel museo disinstallato. I contenuti tematici che il museo avrà lo scopo di offrire al visitatore si riferiscono allo sviluppo delle relazioni date, in questa realtà storica, dai rapporti complessi fra Acqua e Luogo e fra Uomo e Sale. I contenuti del museo, quindi, orbiteranno attorno ai soggetti: Acqua Mare (acque non governate) Salina (acque governate); Luogo-- La costa - La città - Il territorio; Uomo - Lavoro - Abitazione - Socialità; Sale - Lavorazione - Qualità - Uso/Risorsa. Conseguentemente troveranno espressione dominanti tematiche quali: Identità e Memoria; Sapere e Maestria; Caratteri Storici e Chimici; Tradizione e Antropizzazione, pensati allo scopo di realizzare una tessitura espressiva e multimediale capace di offrire un incontro con il museo in forma d’esperienza di scoperta ed avventura di conoscenza. Certa che un museo è innanzi tutto un’impresa culturale e che la sua natura istituzionale non può prescindere da chiari obiettivi di politica culturale, l’Amministrazione Comunale di Cervia ha indicato quale obiettivo sostanziale la realizzazione di un Museo secondo i nuovi orientamenti e aspetti innovativi della museografia contemporanea al fine di dotare la comunità di un Museo capace di porsi, come impresa culturale, al servizio della città e del territorio (riscoperta e riflessione sulla propria storia e identità), del turismo (presentazione dell’identità salinara della città tramite apparati comunicativi attrattivi) e quale risorsa didattica e formativa. La realizzazione del Museo del Sale non può che configurarsi quindi quale impresa culturale di rilevanza sociale e strategica in quanto gli obiettivi definiti non sono limitati a quelli, seppur rilevanti, della conservazione e della semplice presentazione al pubblico di oggetti, immagini e documenti, ma orientati in direzione di un museo capace di essere un contenitore di stimoli, offerte, riflessioni e servizi utili alla città e al pubblico: Portale sull’esperienza culturale salinara; Istituto d’offerta culturale e turistica; Luogo dell’identità collettiva della città. Nella sua nuova organizzazione strutturale (percorso espositivo) e tematica (composizione dei contenuti) il Museo potrà presentarsi nelle condizioni più propizie per sviluppare quei punti di forza capaci di concorrere, per parte loro, allo sviluppo della comunità locale e nel contempo offrire alla collettività ed al territorio un presidio culturale di carattere originale e di richiamo turistico.

Speciale musei all'aperto - pag. 14 [2002 - N.13]

Proposto dall’Università di Ferrara e dal C.A.R.I.D. si propone di formare dei professionisti di didattica museale

Livio Zerbini - Coordinatore scientifico e didattico del Corso

Prendendo le mosse da un’esigenza diffusamente avvertita da tutti gli operatori del settore, l’Università di Ferrara e il C.A.R.I.D. (Centro di Ateneo per la Ricerca, l’Innovazione Didattica e l’Istruzione a Distanza) daranno seguito anche per l’Anno Accademico 2002-2003 all’esperienza avviata lo scorso anno con l’attivazione del Corso di Perfezionamento/Master biennale post-lauream a distanza in Didattica Museale.
Il Corso si propone di formare dei veri e propri professionisti nell’ambito della didattica museale. L’obiettivo è forse ambizioso ma va necessariamente perseguito dato il quadro della situazione: ancor oggi latita infatti una riflessione globale sulla figura dell’operatore museale, che preveda un inquadramento teorico ed epistemologico rigoroso e che abbia uno sguardo concreto e pratico verso i problemi di questo settore. Pertanto, occorrono persone che sappiano interpretare ed applicare i concetti della museografia e della museologia, ideare e progettare percorsi ed allestimenti, realizzare materiali per una divulgazione culturale efficace e corretta; in una parola, occorre un saldo “ancoraggio” teorico ai risultati della ricerca in quest’ambito. Allo stesso tempo si avverte però la necessità operativa di saper utilizzare e produrre strumenti diversificati: operare efficaci trasposizioni didattiche, impiegando metodologie scientifiche; strutturare guide e ipertesti a carattere didattico; guidare itinerari didattici all’interno di collezioni, allestimenti permanenti e mostre temporanee.
Il percorso di didattica museale, che può essere annuale o biennale, ha una struttura molto flessibile, del tutto compatibile anche con le esigenze di chi lavora, a maggior ragione se già è attivo sul campo e necessita di una formazione parallela o di un aggiornamento in itinere. È condotto con modalità integrata, multimediale a distanza, unitamente ad alcuni momenti seminariali in presenza. È organizzato secondo le normative previste dal MURST per quanto concerne l’attribuzione di crediti formativi e si articola in 8 unità didattiche, per un totale di 30 crediti per ciascuna annualità.
Quanto ai contenuti del Corso, vengono considerati i vari aspetti che spaziano dalla legislazione alla pedagogia del Patrimonio, dal rapporto col territorio all’interazione con i diversi contesti deputati alla formazione, approfondendo i temi concernenti le innovazioni tecnologiche e le nuove problematiche della comunicazione educativa. In particolare, viene focalizzata l’attenzione sulle dinamiche di integrazione tra Museo e Scuola, al fine di sviluppare un’efficace sinergia tra operatori didattici e insegnanti, tra Patrimonio e curricolo.
La metodologia utilizzata dal Corso prevede l’utilizzo della rete, per cui i corsisti, attraverso il sito del C.A.R.I.D. (http://carid.unife.it), ricevono, in formato scaricabile su PC, i materiali delle unità didattiche, che saranno disponibili anche a stampa per chi non ha l’accesso ad Internet. Grazie ad una personale password è possibile utilizzare repertori bibliografici, accedere a dati di bacheche elettroniche, partecipare a forum, nonché effettuare le prove di verifica e di autovalutazione. Nel corso dell’anno accademico, presso la sede di Ferrara o in altre sedi idonee, vengono organizzati seminari e laboratori in presenza, che rappresentano anche un proficuo momento di incontro e di scambio tra i corsisti per fare emergere esperienze e confrontare strategie.
L’esperienza del Corso in Didattica museale, nata dalla consapevolezza che pratica e teoria sono inscindibili, ha ottenuto un riscontro molto positivo sia da parte degli operatori didattici sia da parte delle Istituzioni, segno che si è individuato un bisogno reale e verso il quale si riversano le attese e gli auspici dello stesso Ministero per i Beni e le Attività Culturali.

Speciale didattica museale - pag. 14 [2002 - N.15]

L’opera dell’artista faentino si sviluppa attraverso due percorsi museali: quello prettamente espositivo e quello del suo studio-laboratorio

Giorgia Erani - Conservatore Museo Carlo Zauli

La maggior parte del pubblico che ha visitato il Museo Carlo Zauli nel corso di pochi mesi di vita (più di 3000 persone sino ad oggi) ha raccontato di essere rimasto affascinato dall’esperienza di poter osservare l’opera dell’artista negli stessi luoghi che ne hanno visto la genesi. In effetti la peculiarità del Museo è proprio questa: il viaggio nell’opera dell’artista faentino si sviluppa attraverso due percorsi museali che corrono paralleli per poi intrecciarsi e fondersi, quello prettamente espositivo e quello dello studio-laboratorio. Centoventi opere, disposte secondo un ordine antologico, trovano spazio in un percorso articolato in sezioni decennali che evidenziano l’attitudine di Zauli alla sperimentazione e ad una continua rilettura del proprio linguaggio espressivo: dalle opere più oggettuali in maiolica di marcato gusto arcaico e primitivista dei primi anni ‘50 - in cui l’impiego del materiale ceramico non è ancora svincolato da forme di "oggetti d’uso" - alle ultime evoluzioni scultoree dei tardi anni ‘80. Le Sensualità sconvolte del 1987 costituiscono in questo senso l’ultimo avamposto di una produzione in continuo rinnovamento; esse traggono la loro origine dalla forma "vaso" su cui interviene una drammaticità espressiva inedita nell’universo creativo dirompente ma armonioso che caratterizza l’artista fino a quel momento. Questi due estremi, cronologici ed espressivi, abbracciano tutta l’evoluzione scultorea di Zauli: dalle forme essenziali dei "vasi-scultura" dei primi anni ‘60 - che costituiscono alcune tra le primissime sperimentazioni del suo caratteristico smalto "bianco" e gli valgono il conferimento per la terza volta del Premio Faenza (1962) - all’indagine sulle forme geometriche, all’esplosione materica unita alla sensualità naturalistica delle opere degli anni ‘70, fino all’evoluzione del decennio successivo, con le argille nere, i pigmenti colorati, le porcellane ed i marmi. Opere, queste, che diedero a Zauli quel successo internazionale che lo portò ad esporre in Europa, Giappone e America. A questa esaustiva testimonianza scultorea si intercalano gli intatti scenari della storica bottega che immergono il visitatore nelle stesse atmosfere nelle quali l’artista "costruiva" opere dal respiro sempre più monumentale e dove ogni singolo utensile racconta decenni di febbrile ed appassionato impegno creativo fatto di sperimentazioni, collaborazioni ed importanti incontri-confronti con altri artisti: dalla cantina delle argille, dove ancora oggi sono accatastati sacchi di terre che provenivano da tutta Europa e si mescolavano nelle impastatrici fino a diventare il suo celebre grès, alla sala dei forni dalle pareti affumicate da decine e decine di cotture, alla sala della foggiatura con i torni e la parete per i grandi altorilievi. Nato nel maggio scorso in collaborazione con il Comune di Faenza, con la Fondazione Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza e grazie ad una partnership con alcune tra le più importanti imprese del territorio, il Museo prende forma ripercorrendo le tracce e i contenuti di un originario progetto avviato dall’artista stesso verso la fine degli anni ‘80. L’idea di Zauli e gli attuali obiettivi del Museo coincidono nel progetto di un centro per la documentazione, archiviazione e promozione dell’opera dell’artista ma anche polo culturale di ricerca e studio per la ceramica in senso strettamente contemporaneo, un "generatore" di stimoli creativi che attraverso progetti didattici costituisca un punto di riferimento, su scala nazionale ed internazionale, per i giovani che intendano accostarsi, sperimentare o approfondire questa antichissima arte. Come la ceramica per Zauli era un materiale ricco di storia, espressione forte delle tradizioni della sua terra, un ponte con il passato che occorreva reinterpretare nel presente in senso spiccatamente contemporaneo così il Museo Carlo Zauli intende oggi promuovere la contemporaneità di questo antico materiale che tanto affascina gli artisti dell’attuale panorama dell’arte e che ha reso noto in tutto il mondo Carlo Zauli come uno tra i più grandi scultori in ceramica del ‘900.

Speciale musei nascosti - pag. 14 [2003 - N.16]

Nata nel 1908 per volontà di Gaetano Ballardini, raccoglie oggi più di 55.000 volumi provenienti da tutto il mondo

Iolanda Silvestrini - Museo Internazionale delle Ceramiche

Il Museo Internazionale delle Ceramiche, con sede nell’ex Convento di San Maglorio, nacque per volontà di Gaetano Ballardini, in occasione della Esposizione del 1908 per il terzo centenario della nascita dello scienziato faentino Evangelista Torricelli. Nel 1912 lo Statuto, approvato con Regio Decreto, prevedeva tra i suoi scopi di "raccogliere pubblicazioni in modo da offrire agli studiosi un materiale bibliografico di critica, di storia, di arte e di tecnologia ceramica". Negli anni che seguirono, la Biblioteca si arricchì di preziosi volumi tanto che nel 1929 Ballardini, partecipando al primo congresso mondiale delle biblioteche e di bibliografia, la definiva ancora modesta nella sua entità (3.400 pezzi tra volumi, opuscoli, grafici e manoscritti), ma già in grado di rappresentare "per l’Italia un fondo cospicuo di materiale di studio ogni dì in aumento". Il 28 ottobre 1935 si inaugurò la nuova sede della biblioteca nei locali di San Maglorio e Giuseppe Liverani annunciandone la riapertura la definì "raccolta unica al mondo per ciò che riguarda l’arte ceramica" e precisò che essa comprendeva già più di 6.000 volumi. La crescita della Biblioteca subì un brusco arresto nel periodo della Seconda Guerra mondiale: con il bombardamento del 13 maggio 1944 il Museo subiva gravi danni e la Biblioteca stessa con tutte le suppellettili e gli arredi venne totalmente distrutta. Nonostante si fosse provveduto allo “sfollamento” della raccolta libraria fuori città, a Villa Isola e a Villa Spada, nel tentativo di porla a riparo dai danni della guerra, dei 10.800 volumi che componevano la raccolta, purtroppo oltre la metà vennero saccheggiati o distrutti nel crollo dell’edificio che li ospitava. Nella successiva opera di ricostruzione fu affidato all’architetto faentino Ennio Golfieri l’incarico di progettare un arredamento sulle linee del precedente e furono così realizzate le attuali librerie e scaffali in tre nuovi ambienti. Al fondo recuperato dalle macerie di 4.428 tra volumi e opuscoli, si sono aggiunti sino al 1980 22.500 volumi e 8.000 opuscoli, acquisiti grazie alla tenace volontà dei ricostruttori, alla sensibilità degli studiosi e degli istituti, alla generosità di donatori quali Paolo Galli, Georges Haumont, Gaetano e Antonietta Ballardini, card. Amleto Cicognani, Luigi Zauli Naldi, Jean Charles Mathon, Fernanda Ojetti, Nelly Rey, Luciano Collina e molti altri. Il fiorire degli studi di ceramica nell’ultimo ventennio, l’accurata politica dei cambi e delle acquisizioni, affiancata da un cospicuo materiale inviato da musei, biblioteche, case editrici e studiosi, per l’attività di recensione e segnalazione sulla rivista «Faenza» edita dal Museo stesso, ha portato ad un incremento del patrimonio della Biblioteca attualmente attestato oltre i 55.000 volumi, con opere provenienti da tutto il mondo. Inoltre la Biblioteca possiede un fondo speciale di edizioni a stampa dei secoli XVI-XVIII, una ricchissima raccolta di cataloghi d’asta italiani e stranieri e una sezione di riviste specializzate di arte e di ceramica che raccoglie oltre 400 periodici in corso e 600 cessati. La maggior parte delle pubblicazioni riguardanti la ceramica è organizzata secondo un ordinamento topografico che copre tutte le nazioni (con particolare riguardo per i centri di produzione italiani ed europei ed un settore dedicato specificatamente alla ceramica faentina), con settori specifici per la tecnologia, la conservazione e il restauro. Non mancano settori dedicati alle altre discipline artistiche (pittura, scultura, architettura), all’archeologia e alle antiche civiltà, alle arti decorative e minori, alla grafica (stampe e disegni) al design ecc., cioè a tutte quelle discipline ausiliarie fondamentali per uno studio completo della ceramica. Dal 1995 è iniziato il processo di informatizzazione del catalogo, che dal gennaio 2002 è possibile consultare, per quanto concerne le acquisizioni correnti della biblioteca, anche attraverso il Sistema Bibliotecario Nazionale (Indice Nazionale), oppure dall’OPAC del Polo Romagnolo.

Speciale biblioteche dei musei - pag. 14 [2002 - N.14]

Quanta storia in un palazzo

Giuseppe Masetti - Direttore del Centro Culturale "Le Cappuccine" di Bagnacavallo

Palazzo Folicaldi, pochi metri all'interno di porta Superiore e sulla sinistra di Via Mazzini, per chi vi giunge da Faenza, rappresenta a Bagnacavallo uno dei principali punti di riferimento per la storia e l'architettura di questa città. Si tratta di un elegante rigorosa costruzione del seicento che domina, per autorevolezza, tutto lo spazio circostante, supportando l'austera facciata in mattoni a vista con una pianta ad U e due corpi laterali minori. La parte superiore dell'edificio ha subito interventi migliorativi all'inizio dell'ottocento ma sicuramente si presentava come oggi quando da lì partirono le risoluzioni decisive per la città e quando fu ritratto da Bernardino Rosaspina intorno al 1830 nella bella incisione in cui si inquadra la fiancata del palazzo da Porta Superiore. Di pregevole fattura risultano ancora oggi i quattro grandi comignoli "a sbuffo" che impreziosiscono il fronte insieme alle bugnature angolari ed i frontoni angolari che sovrastano le finestre del piano nobile, armonicamente disposte ai lati dell'unica proiezione esterna data dal balconcino in pietra d'Istria con ringhiera in ferro battuto da cui si affacciò Papa Pio IX nel luglio del 1857. Ad esternare tanta degnazione di Principe, la famiglia Folicaldi pose poi, all'ingresso della scala, e nel posto ove sorgeva il trono del Pontefice Massimo due iscrizioni in marmo che sono ancora oggi visibili nell'androne principale. Anche se quella visita tributava uno straordinario riconoscimento alla devozione ed all'operosità dei tre fratelli Folicaldi che in quegli anni avevano decisamente marcato la storia della famiglia e della città è curioso risalire di un secolo e mezzo rispetto quella vicenda per scoprire che i pii Folicaldi, pur con origini antichissime riscontrabili fin dal 1315, avevano ottenuto quel bel palazzo a riparazione di un fatto di sangue subito all'inizio del XVII sec. A quell'epoca la famiglia Folicaldi risiedeva in quello che ora è Palazzo Massari, mentre il palazzo in oggetto era proprietà della famiglia Lazzari. Accadde allora che un rampollo di questi ultimi corteggiasse insistentemente una ragazza che lavorava la seta in casa dei Folicaldi e che la moglie del titolare si opponesse con tanto zelo alle sue visite - sempre molto bigotti questi Folicaldi - da irritare il govane a tal punto che un giorno il Lazzari la colpì più volte col pugnale fino ad ucciderla, per poi fuggire sottraendosi alla giustizia. Poiché il tragico evento aveva agitato l'intero paese e si temevano faide fra i successori, il vecchio padre dei Lazzari andò ad implorare il perdono presso Paolo Folicaldi cedendogli il proprio palazzo in segno di riconciliazione. Partì da lì l'ascesa della famiglia Folicaldi che avrebbe poi conosciuto l'apice della propria fortuna nel periodo della Restaurazione, intrecciandola strettamente con l'edilizia pubblica di Bagnacavallo. Più di tutti sarà Filippo Maria a legare il suo nome alla storia di Bagnacavallo ottenendo il titolo di città nel 1828, dopo essersi distinto nell'assistenza agli studenti locali ed aver costruito "la grandiosa Arena del gioco del pallone e l'attiguo pubblico passeggio". Lo stesso più tardi promosse l'Ospedale degli Infermi (1839), l'Orfanatrofio dei maschi, la Porta Pieve e soprattutto avviò la costruzione del Teatro (oggi Goldoni): opere notevoli che gli valsero nel 1830 la nomina di Conte. Lo stemma della famiglia vede nuotare, sotto tre fiordalisi d'oro, una bella folaga, posata su acque palustri in campo azzurro. Oggi Palazzo Folicaldi, dopo essere appartenuto ai Ferroni, ai Penazzi, ai Rivalta, ai Savorani ed infine alla famiglia Blosi, ha conosciuto leggeri restauri nel 1970 e 1976 e sta per essere pienamente recuperato, conservandone tutte le caratteristiche strutturali. Un progetto già approvato dalla Soprintendenza consentirebbe infatti di ricavare alcuni appartamenti di civile abitazione ed uffici di rappresentanza nel corpo centrale dell'edificio che conserva ancora il bellissimo scalone a due rampe sotto il soffitto a botte, con la cappella privata del Vescovo Giovanni Benedetto e numerosi affreschi decorativi. Peccato che le prenotazioni sin qui pervenute non consentano ancora l'avvio dei lavori, eseguibili in poco tempo, che potrebbero portare presto nuovi inquilini nel Palazzo dei Signori di Bagnacavallo.

Speciale edifici storici - pag. 14 [2001 - N.12]

Da una proposta del Planetario di Ravenna sta prendendo corpo un grande progetto scientifico che trasformerà il giardino pubblico comunale in parco astronomico naturalistico

Franco Gabici

Da tempo il Planetario di Ravenna aveva lanciato l'idea di trasformare il giardino pubblico, cuore verde della città, in un "parco astronomico naturalistico" e ora il progetto non solo sta prendendo corpo, ma si sta allargando, perché nel frattempo si sono concentrati su questa zona verde gli intenti anche di altri assessorati, enti e associazioni. Nel dicembre del 1997 fu realizzato sulla parete sud-est del Planetario il grande quadrante solare, opera dello gnomonista Mario Arnaldi, e in attesa di realizzare nella zona attorno a questa struttura un parco di strumenti solari, si sta attrezzando il giardino connotandolo come "orto botanico" e dotando ogni albero e arbusto di una opportuna targhetta esplicativa. Le targhette, il cui progetto è dovuto passare al vaglio della Soprintendenza ai monumenti, sono state ideate da Luigi Berardi e su ciascuna di esse sono riportati su tre righe il nome del genere e della specie, il nome italiano e la zona di provenienza. Per il momento si è esteso il progetto alla sola zona circostante il Planetario, riservandosi in futuro di estendere il progetto a tutta l'area. In questo modo il giardino potrà essere utilizzato anche didatticamente, individuando al suo interno percorsi botanici che consentano l'individuazione di piante anche abbastanza rare. A questo progetto scientifico si affianca ora la realizzazione di un percorso natura a cura del Servizio ambiente del Comune di Ravenna nell'ambito del progetto "abitare e vivere il giardino". Si tratta della realizzazione di un percorso ginnico-sportivo attrezzato che si propone di stimolare la frequentazione quotidiana di questa area verde e di promuovere anche l'utilizzo dell'altra metà del giardino attualmente poco frequentata. Sono previsti tre tipi di percorsi, il cui punto di partenza comune è situato nei pressi dello Chalet e ciascuno dei quali è caratterizzato da un diverso colore. Tutti i percorsi, inoltre, sfrutteranno come segmento comune la scalinata di sasso che consente l'accesso al grande prato attorno alla fontana. Il percorso verde (360 metri) è stato studiato per i cardiopatici, il percorso blu (580 metri) per le persone "sane, ma non allenate" e infine il percorso rosso (790 metri) è riservato alle persone "sane e allenate". E' prevista inoltre la sistemazione di nove moduli di segnaletica informativa da collocare presso gli ingressi del giardino (6), all'interno (2) e nel parcheggio "Zaccagnini" (1). E' stato infine studiato, con la collaborazione del Planetario, un diverso orario di apertura dei cancelli che tenga presente nel corso dell'anno il comportamento del Sole. Questa riqualificazione del giardino pubblico intende anche recuperare tutta una zona della città che presenta monumenti e strutture di grande interesse artistico e architettonico, come la basilica di Santa Maria con l'annesso ex monastero e la "Porta Nuova" che secondo alcuni sarebbe stata progettata dal Bernini. Sarà interessante anche ricostruire l'evoluzione del Giardino pubblico e del suo utilizzo. Agli inizi del Novecento, ad esempio, nell'area attualmente occupata dal Giardino sorgevano un velodromo con tanto di curve sopraelevate per le gare ciclistiche e l'ippodromo per le corse dei cavalli. Successivamente proprio davanti alla Loggetta Lombardesca era il campo di calcio dove si è esibita la squadra della città fino agli Trenta, quando campo sportivo e ippodromo furono trasferiti nella Darsena. Alla realizzazione di questo progetto, che rientra nel progetto regionale "Città sicure", partecipano enti e associazioni della città. Il percorso ginnico sportivo, ad esempio, è stato realizzato con la collaborazione del Servizio ambiente del Comune e con la Associazione Amici della Cardiologia. Nell'ambito del progetto, che prevede inoltre un concorso per trovare un nome adatto con cui intitolare il Giardino, sono previsti anche momenti di animazione con le collaborazioni di Planetrio, Settore Turismo, Consorzio San Vitale, Chalet dei Giardini. Tutta una città, dunque, si sta muovendo per la riqualificazione di un'area pubblica che - dopo un periodo di abbandono - sta per essere riconsegnata ai cittadini.

Nuovi progetti - pag. 14 [2001 - N.10]

Fin dal 1871 il Metropolitan ha introdotto l'attività editoriale e di merchandising con l'intento di "promuovere e sviluppare lo studio delle belle arti … impartendo a tal fine la necessaria istruzione popolare"

Daniel Berger - Consulente del Ministero Beni e Attività Culturali

Fin dall'antichità nei centri culturali e religiosi è stata prevista qualche forma di vendita, interna o esterna, di oggetti-ricordo. Si pensi alle copie di rilievi antichi ricalcati ad inchiostro su carta di riso, che venivano prodotte in Cina, o le impronte a frottage delle lastre tombali eseguite con cera nera su carte nell'Inghilterra medievale. Nei luoghi di culto greci si producevano statuette degli dei per uso domestico. Analoga è la tradizione italiana dei santini da distribuire ai fedeli in cambio di offerte. Considerando i musei come "chiese laiche", anche i visitatori possono paragonarsi a fedeli desiderosi di conservare un ricordo dell'esperienza compiuta. Partendo dalla sua fondazione da un gruppo di facoltosi mecenati nel 1870, il Metropolitan Museum of Art di New York ha sviluppato l'attività editoriale e di merchandising. Lo statuto del museo, redatto in quell'anno, si prefigge infatti di: "promuovere e sviluppare lo studio delle belle arti [...] impartendo a tal fine la necessaria istruzione popolare". Il museo era considerato una fucina per le arti e gli artigiani. Nel 1871 i primi amministratori del museo stabilirono che venissero riprodotte per la vendita le opere di antichi maestri recentemente acquisite. Commissionarono perciò all'incisore parigino Jules Jacquemart l'esecuzione di dieci tavole che vennero pubblicizzate e vendute con il marchio editoriale del museo e distribuite dalla ditta londinese Paul e Dominic Colnaghi. Queste incisioni all'acquaforte, raccolte in cartelle, furono offerte ai sottoscrittori del museo per 25 dollari, somma notevole per quei tempi. I primi amministratori del Metropolitan Museum erano consapevoli delle potenzialità della fotografia per la riproduzione di opere d'arte: nel 1874 ingaggiarono un professionista perché fotografasse le raccolte, con il duplice scopo di costituire il nucleo iniziale del catalogo delle raccolte e di essere destinati alla vendita al pubblico. I proventi delle vendite, oltre a sostenere le spese generali, dovevano finanziare l'incremento dell'archivio di negativi. In seguito vennero posti in vendita anche duplicati delle riproduzioni di opere depositate presso l'istituto da soggetti esterni. Per meglio soddisfare le esigenze dei potenziali acquirenti, l'offerta di fotografie fu differenziata per dimensioni e procedimenti. Si passò rapidamente ai formati più grandi, che i visitatori comprarono con entusiasmo. Così nacque il mercato delle riproduzioni su carta del Metropolitan Museum. Presto si aggiunsero le riproduzioni tridimensionali in facsimile. Come tutti gli istituti d'arte del mondo, specialmente le accademie, il Metropolitan Museum era interessato ad acquistare calchi delle sculture più importanti e modellini dei maggiori monumenti. Inizialmente questi calchi furono comprati da fornitori europei, soprattutto italiani. Per inciso, alcune di queste opere forniscono oggi informazioni importanti per il restauro di opere d'arte e di decorazioni architettoniche successivamente danneggiate dagli eventi bellici, dal vandalismo o dal degrado ambientale. La gipsoteca del Museo, oltre a costituire uno dei suoi fondi di sculture, consentì anche lo sviluppo dell'attività commerciale. Nel 1895 si decise di impiantare un laboratorio di calchi interno al Museo per rispondere alle richieste degli istituti affiliati, delle scuole, delle accademie, delle biblioteche degli Stati Uniti. Nel 1901 venne pubblicato e posto in vendita un catalogo di 108 pagine che forniva informazioni non solo sui calchi ma anche sugli originali dai quali erano stati tratti. La gamma spaziava dai piccoli rilievi dei cammei alle grandi figure monumentali, come il Mosè di Michelangelo e il pannello dell'Arco di Tito. Ben presto le copie tridimensionali prodotte dal Metropolitan Museum riempirono gli istituti americani. Sul volgere del secolo furono commissionati a Tiffany 146 facsimile dell'oreficeria cipriota conservata nel museo, da eseguire in metalli preziosi e metalli placcati. Alcuni originali, come anelli e braccialetti, vennero riprodotti integralmente mentre da altri furono tratti solo singoli particolari decorativi. In seguito venne adattata alle esigenze di riproduzione del museo la colata centrifuga, con risultati di notevole precisione. La riproduzione di gioielli si sarebbe rivelata un'attività molto popolare e redditizia, fino a coprire circa il 15% delle vendite totali. Naturalmente il Museo cominciò a redigere e pubblicare i cataloghi delle proprie raccolte dall'inizio. Venne impiantata una tipografia interna e nel 1905 iniziò la pubblicazione del "Bollettino". Presso il banco delle informazioni furono poste in vendita fotografie, cartoline e diapositive in bianco e nero. A partire dal 1920 si aggiunsero incisioni a mezzatinta e stampe a colori, che vennero presto integrate con piccole copie in gesso. La maggior parte di questo materiale era prodotta negli ampi scantinati del Museo, dove un tempo si riproducevano in gesso i capolavori europei. Iniziarono anche le forme di coedizioni. Al Museo si associarono ben presto Charles Scribners e la Yale University Press, cosicché fu possibile ripartire i costi di produzione attraverso l'economia di scala e aumentare la distribuzione e le vendite. Venne attivata la vendita per corrispondenza. Gli elenchi delle pubblicazioni, che inizialmente erano semplici volantini distribuiti al banco informazioni, si svilupparono poi in cataloghi molto elaborati - e molto richiesti - con l'indicazione di tutti i volumi e le riproduzioni afferenti alle vastissime raccolte del museo. Oggi le vendite coprono circa il 20% dei proventi. Un'analisi approfondita dei costi e dei benefici ha successivamente mostrato la convenienza di affidare la stampa ad editori esterni, facendo le gare a rialzo. Attualmente il Metropolitan Museum ha un vasto programma di merchandising e pubblicazioni. Il volume di affari ammonta a più di 85 milioni di dollari l'anno e fornisce circa il 10% delle entrate necessarie per le attività del museo. La produzione della merce è prevalentemente affidata a manifatture e rivenditori esterni, che lavorano a contratto secondo i rigorosissimi standard imposti dal museo. Si tratta di un'operazione che è stata studiata ed imitata da altri istituti, piccoli e grandi di tutto il mondo. Le attività editoriali e di merchandising si estendono anche a negozi satellite nel resto del Paese, gestiti direttamente dal museo. Ci sono accordi di franchising per il Giappone, la Svizzera e Singapore, strettamente controllati dagli addetti del museo. I cataloghi per le ordinazioni postali vengono inviati per tutto il corso dell'anno e culminano nell'attesissimo catalogo di Natale, con le sue 140 pagine di articoli pertinenti alle collezioni del museo. Sono già in atto joint ventures con la Public Library di New York e altri musei ed istituti negli stati Uniti e nel mondo. Anche i Musei Vaticani hanno concesso il diritto di riprodurre e vendere il materiale che si riferisce alle loro vastissime raccolte. A loro volta acquistano i prodotti del Metropolitan Museum per rivenderli nel proprio negozio insieme con i propri. Recentemente il Metropolitan Museum ha stabilito un sito su Internet con la possibilità di acquistare prodotti oltre ad avere informazioni sul museo e le sue attività. Restiamo in attesa di analizzare i risultati di questa nuova frontiera. Milioni di persone hanno già "visitato" il sito su Internet. Abbiamo anche sperimentato le vendite attraverso i canali di TV via cavo, con risultati sorprendentemente positivi. Il successo delle attività commerciali del museo dipende dal costante impegno a mantenere alta la qualità, che prevale su qualunque altra considerazione, compreso il guadagno. I capi dei dipartimenti di conservazione collaborano con gli addetti commerciali, hanno l'ultima parola sulla realizzazione e la vendita dei prodotti e forniscono le didascalie didattiche che accompagnano ciascun articolo in vendita. L'obiettivo è sempre quello che ci si era prefissi nel 1870: "incoraggiare e sviluppare lo studio delle belle arti nonché l'applicazione delle arti alle attività produttive e alla vita pratica, impartendo a tal fine la necessaria istruzione popolare". Va aggiunto che le attività ausiliarie del Metropolitan Museum of Art sono varie. Comprendono found raising, gestione della dotazione finanziaria principale (tenuta in azioni, titoli, BOT ed altri strumenti finanziari), feste di beneficenza di vari tipi, coltivazione degli sponsor, sollecitazione dei contributi finanziari (circa l'8% dal comune di New York), mantenimento del programma dei più di 120.000 membri, conferenze, concerti, parcheggio a pagamento, vari ristoranti, auditorium, attività per bambini e studenti, serate a pagamento per le ditte e, ovviamente, i biglietti d'ingresso. Tutte queste attività fanno parte delle fonti di introito del Metropolitan Museum of Art e coprono il budget annuo di circa 100 milioni di dollari.

Merchandising museale - pag. 14 [2000 - N.9]

Come vivevano gli antichi proprietari della villa romana di Russi e quali erano le attività quotidiane dei magazzini e delle botteghe artigianali dell'area portuale di Classe in una simulazione proposta da La Fenice ai bambini delle materne e agli alunni della scuola dell'obbligo e delle medie superiori

Giovanna Montevecchi - La Fenice s.r.l.

La Fenice Archeologia e Restauro s.r.l. ha attivato un servizio di didattica, rivolto ad ogni scuola di ordine e grado, nell'ambito dell'attività che svolge come concessionario dei Servizi Aggiuntivi per il Polo Archeologico dell'Emilia Romagna. Il servizio è offerto nei musei e nelle aree archeologiche nazionali della regione ed interessa anche due siti della provincia ravennate: la zona archeologica di Classe (RA) e l'area archeologica della villa romana di Russi (RA). L'attività didattica viene effettuata anche presso il Museo Archeologico Nazionale di Parma (palazzo della Pilotta), il Museo Nazionale Etrusco "P. Aria" e Area archeologica di Marzabotto (BO), l'Area archeologica di Veleia - Lugagnano Val D'Arda (PC), il Museo Archeologico Nazionale di Ferrara ed il Museo Archeologico Nazionale di Sarsina (FO). La metodologia che sta alla base della didattica per l'archeologia prevede alcuni itinerari didattici, studiati e adattati ad ogni realtà museale e/o sito archeologico, che si sviluppano attraverso tre momenti distinti e complementari tra loro: a) lezioni propedeutiche alla visita al museo e/o area archeologica (si svolgeranno presso la scuola o, dove la struttura museale lo consenta, direttamente al museo), b) visita guidata al sito oggetto del preliminare incontro, c) laboratori, effettuati presso la scuola, che intendono spiegare sia come lavora l'archeologo sia come lavora il restauratore ma anche come lavoravano gli antichi, imparando, ad esempio, a realizzare una tessitura, a lavorare l'argilla, a costruire una maschera e ad eseguire un mosaico. Tali progetti si propongono alcune specifiche finalità, quali ad esempio stimolare il processo di comprensione dei reperti archeologici esposti nelle sedi museali, accrescere la conoscenza delle realtà archeologiche della regione, educare al rispetto delle testimonianze materiali che appartengono al nostro passato e dunque alla nostra cultura e favorire la fruizione dell'istituzione museale come parte integrante del percorso scolastico e quindi dell'apprendimento e della formazione dell'individuo. I percorsi didattici sono pensati e distinti per fasce di utenza: si rivolgono ai bambini e agli insegnanti delle Scuole Materne, agli studenti e ai docenti della Scuola dell'obbligo, agli studenti e ai docenti della Scuola Media Superiore. Nel dettaglio delle emergenze archeologiche della nostra provincia si prevede di poter entrare nel merito di ogni contesto archeologico affrontando, in particolare con gli studenti delle scuole dell'obbligo, un esame dettagliato della vita e delle attività che vi si svolgevano in antico. Per la villa romana di Russi sarà possibile ricostruire una giornata tipica trascorsa alla villa, immaginando di incontrare i proprietari ed analizzare la loro ricca casa decorata con intonaci e mosaici e comprendere l'uso dell'area termale; si potrà poi analizzare la zona produttiva della villa con particolare attenzione agli aspetti della vita rurale e della produzione agricola dell'epoca e del territorio. Per l'area portuale della città di Classe, che si colloca in epoca tardoantica ed altomedievale, sarà possibile individuare le attività quotidiane che si svolgevano nei magazzini e nelle aree artigianali individuati nella zona archeologica, esaminando anche il funzionamento delle imbarcazioni; la conoscenza della religiosità antica avverrà attraverso l'analisi delle basiliche cristiane e delle aree funerarie di Classe. Per prenotazioni rivolgersi ai seguenti recapiti: cell.: 0339.8957691 - 0339.1709905; fax: 051.471994; e mail: archfeni@tin.it

Esperienze di didattica museale - pag. 14 [2000 - N.8]

Un progetto didattico messo in atto dal Comune di Cesena con la fattiva collaborazione dell'Associazione Artemisia

Ario Franciosi - Ufficio Cultura del Comune di Cesena

Nell'ottobre del 1999 è stato avviato un progetto didattico (personaggio-guida di Cesena Musei Ragazzi è Joe Stick), A scuola nel museo - Imparare giocando che si propone come uno strumento agile, pensato e studiato per facilitare un primo approccio con gli spazi museali della città. L'obiettivo è quello di avvicinare il mondo della scuola, in modo nuovo e divertente, al patrimonio artistico conservato nei nostri Musei. Grande successo hanno riscontrato le "visite animate", condotte dalle operatrici dell'Associazione Artemisia. Queste visite si rivolgono a bambini e ragazzi dai 5 ai 13 anni: dopo un'introduzione generale, sono previsti giochi e attività, basati ora sul metodo induttivo, ora su quello deduttivo, che si differenziano a seconda del Museo scelto e della fascia di età. I ragazzi, sentendosi soggetti attivi, sono stimolati a scoprire da soli, o sulla base di indizi, informazioni e nozioni inerenti le collezioni esposte quasi fossero segreti da svelare o tesori da scovare. Per gli adulti sono previste, su prenotazione, "visite guidate", condotte dagli esperti che hanno curato gli allestimenti museali. Sono stati realizzati i seguenti strumenti di informazione e promozione: - agili schede distribuite nei singoli musei, a disposizione dei visitatori; - una guida per ogni museo contenente una sezione critica e una sezione iconografica; - due "libri virtuali" (realizzati da Vista Tecnologie) relativi alla Pinacoteca e al Museo di Storia dell'Agricoltura i quali, tramite il computer, consentono un approccio informatico con le opere dei musei suddetti: è quindi possibile vedere, con l'ausilio di alcune schede esplicative, alcuni particolari dei dipinti che solitamente non vengono notati, oppure ottenere immagini dinamiche degli oggetti agricoli, facendoli ruotare attorno al proprio asse ecc...; - un cd-rom relativo al Museo Archeologico, realizzato dalla Società La Fenice, che ripercorre virtualmente le città e le campagne cesenati nelle diverse epoche storiche e illustra i reperti del Museo; - un volume intitolato Pinacoteca Comunale. Dipinti dal XV al XIX secolo (a cura di Marina Cellini), nel quale vengono presi in esame i trenta dipinti più significativi della Pinacoteca Comunale: è un'opera rivolta soprattutto agli studiosi che intendono documentarsi sugli artisti attivi nella nostra città dal XV al XIX secolo; - un sito internet che contiene notizie e informazioni sul sistema museale e la città: www.cesenainvita.it Per prenotazioni delle visite e ulteriori informazioni rivolgersi a: Comune di Cesena - Settore Cultura (M. Gabriella Conti - Ario Franciosi), tel. 0547-355722/27; fax 0547-355720; e-mail: ufficiocultura@teatrobonci.it

Esperienze di didattica museale - pag. 14 [2000 - N.7]

Portati a spalla nelle vie della città o nelle aie dei contadini da suonatori ambulanti, rallegravano grandi e piccini, accompagnando le danze con ariette popolari o soddisfando il desiderio di ascoltare dolci melodie e romanze di opere e operette

Marinella Marini - Responsabile del Museo degli Strumenti Musicali Meccanici Marini

Quanti ricordano con nostalgia e commozione gli organetti di Barberia che suonavano nelle vie della città e che, per molti anni, hanno avuto il pregio di far conoscere la musica in voga anche nel più piccolo villaggio? Sono ormai immagini cancellate, sensazioni perdute, fatta eccezione per coloro che hanno visitato il Museo di Strumenti Musicali Meccanici di Marino Marini. A Savio di Ravenna vive, fuori del suo tempo, una collezione di 400 esemplari che copre oltre due secoli di esistenza. Un tempo la rievocazione del passato solenne e delicato di questi strumenti era resa ancor più suggestiva e realistica: al visitatore veniva data la possibilità di ascoltare la musica di organi meccanici, autopiani, piani a cilindro, orchestrion, orchestrine jazz band, tutte macchine inventate dall'uomo per appropiarsi del suono e per comporre ed eseguire senza l'intervento del musicista. Come nel caso del piano pneumatico Reproducing Ampico o del Welte Mignon, capolavori automatici in grado di riprodurre fedelmente le esecuzioni di pianisti come Busoni, Debussy e Padereswkj registrate ed impresse su rulli di carta perforata. La visita si concludeva nella sala delle armoniose scatole musicali e dei fonografi (voci lontane incise nella cera), con l'ascolto dei carillon inseriti in automi, orologi o sigilli, dolci melodie in un magico mondo che non appartiene solo ai bambini. Infatti, questo "antiquariato sonoro", vivo e vibrante, è ricchissimo di messaggi musicali per chi li sa recepire. In fondo un valzer di Chopin suonato nel 1904 da Rachmaninov, una vecchia romanza d'opera od un allegra marcetta recano tutti un messaggio del passato e sono testimonianza dell'ingegno umano e della sua meravigliosa fantasia. Soddisfare il desiderio di ascoltare musica, oggi cosa facile, nei tempi passati - e fino agli anni Venti, era impresa assai ardua. Infatti se non si avevano i mezzi per assistere all'opera o all'operetta, non c'era altro modo che ricorrere agli strumenti musicali automatici, sempre disponibili, discreti, con poco costo di manutenzione. Molti di questi furono installati nei locali pubblici e nelle sale da ballo, bastavano 20 centesimi per farli suonare ed il divertimento era assicurato per tutti. I suonatori ambulanti portavano la musica in spalla: nelle vie della città rallegravano grandi e piccini, nelle aie dei contadini animavano le feste campagnole, accompagnando le danze con ariette popolari e accontentandosi di poche monete buttate dalla finestra o raccolte da una buffa scimmietta. Ma inventare questo strumento non è stato affatto facile. Il cammino comincia quando i greci crearono il primo organo idraulico, presto di gran successo in tutti i paesi di cultura greca e romana, tanto che Vitruvio gli dedicò un intero capitolo nel trattato "De Architectura". Teatri, circhi, arene, tutti i luoghi pubblici vantavano il proprio Hydraulon che, con le sue sonore canne in bronzo, riusciva a raggiungere volumi abbastanza assordanti. E' della fine del 1400 l'invenzione del cilindro chiodato,in pratica un "riflesso del pentagramma": a ciascun chiodo corrisponde una nota, con la rotazione del cilindro i chiodi vengono a contatto con delle leve che comandano il suono desiderato. Il più antico organo a cilindro è quello di Salisburgo datato 1502 e noto con il soprannome di "Toro di Salisburgo".Oltre che agli organi, il cilindro chiodato venne applicato anche agli strumenti a pizzico, poi quelli a percussione, anche se in questi casi il meccanismo doveva essere decisamente più complesso. Nel 1700 fu inventato dal modenese Barbieri l'organo di Barberia, un piccolo organo a cilindro portatile che può essere definito il primo strumento popolare creato per diffondere per le strade i motivi più in voga. Nel 1800 nasce poi il piano a cilindro, destinato a percorrere le vie di tutt'Europa e degli Stati Uniti fino ai primi decenni del 1900. Trasportati su semplici carretti, i piani funzionavano agevolmente azionati dal classico ingranaggio a manovella. Il problema fondamentale però era la durata della musica, condizionata e limitata ad un giro del cilindro. L'inconveniente venne risolto utilizzando, già a partire dalla metà del''800, dei metodi basati su cartone o carta forata, in grado di far avere ai motivi suonati qualsiasi durata. Ma proprio quando si era raggiunta la perfezione ecco che già comincia la parabola discendente di questa storia; lo strumento musicale automatico, nato per esaudire l'innata passione umana per la musica, verrà presto messo in crisi dalla nascita di altri sistemi di riproduzione del suono, sempre più pratici, perfetti, economici: il grammofono prima, la radio poi. Alle soglie del 2000 questi strumenti, che riproducono fedelmente le musiche di Bach, Haendel, Mozart, Verdi, Rossini, Mascagni, ed eseguono canzoni amorose e serenate del primo novecento fino alle canzonette degli anni d'oro, conservano la loro umile umanità, esprimono affetto, dolcezza, ricordo, ma sono anche l'origine dei nostri calcolatori elettronici e di ciò sono molto fieri; sanno di essere i pionieri di una tecnologia che proietta l'uomo verso un futuro che un tempo non lontano poteva sembrare pura fantascienza.

Speciale musei storici - pag. 14 [1999 - N.6]

Il Museo Ugonia di Brisighella raccoglie, oltre all'opera del pittore brisighellese, importanti testimonianze del XIV e XV secolo

Giorgio Cicognani - Ispettore onorario per i Beni Artistici e Storici

Nel 1981 iniziarono i lavori di restauro dell'ottocentesco palazzo dell'ex Pretura in Piazza Marconi, al fine di ospitare la collezione delle opere del Maestro Litografo Giuseppe Ugonia, donate al Comune dalla vedova. Il lascito di circa quattrocento pezzi si è arricchito in seguito con la donazione di Silvio Morselli di Roma di circa mille opere di noti incisori del XX secolo. Nella ricorrenza del 50° della morte di Ugonia, il 5 Ottobre 1994, una mostra antologica dal titolo Paesaggi ha segnato l'avvio definitivo dell'attività del Museo. Vi si possono ammirare splendide litografie, incisioni e acquerelli dell'Artista che pur essendo nativo di Faenza, fu brisighellese al punto tale che la sua opera è inscindibile dalle ginestre, dai colli emergenti dalle nebbie, dalle gradazioni dei verdi delle colline circostanti. Ogni sua litografia testimonia l'amore che legava Ugonia a questo territorio, un vincolo così forte che, unito al suo carattere schivo e modesto, lo portò a rinunciare ad importanti incarichi che lo avrebbero allontanato da Brisighella. La sua fama ha certo travalicato i confini della città che elesse a patria, la città dove volle vivere, la patria dei suoi genitori. Ora le sue litografie sono presenti in celebri musei del mondo. Le opere di Ugonia, nella loro straordinarietà, saranno il miglior veicolo per accostare anche il grande pubblico non solo alla conoscenza di questo Maestro, ma anche all'arte grafica difficile e poco conosciuta. La visita inizia al primo piano dove è stato ricostruito fedelmente il suo studiolo dove sono conservati gelosamente i suoi colori, le sue matite, le sue pietre, il suo banco e il grande torchio, strumento indispensabile per le sue litografie. Data la delicatezza del materiale non sono state esposte tutte le opere e l'archivio personale è visibile, solo su richiesta, in una saletta attigua. Al 2° piano sono esposte opere d'arte provenienti in gran parte da chiese del territorio a testimoniare la grande cultura dei secoli passati. L'esposizione nasce dall'esigenza di approfondire e valorizzare un patrimonio culturale non sempre conosciuto ed è frutto della collaborazione di diverse Istituzioni che, nella ricorrenza dell'anno giubilare, hanno dimostrato la loro disponibilità a riscoprire tesori così preziosi. Le opere esposte, quasi tutte di manifattura locale, coprono un arco temporale che va dal XIV al XX secolo. Iniziando la visita s'incontra la grande pala d'altare di Giovan Battista Bertucci, il Giovane (1539-1614) raffigurante L'orazione nell'orto. Si segnalano inoltre una preziosa "plastica", Presepe, (terracotta policroma di produzione faentina della fine del XV sec.) una rara tela di Nicolò Paganelli (1538-1620) che rappresenta una Crocifissione ed infine la grande tela di Giovanni Francesco Barbieri, detto il Guercino (1591-1666), datata 1618 con S. Francesco e S. Luigi di Francia in adorazione di un'immagine sacra. Proseguendo troviamo sculture lignee, pitture sei-settecentesche di vari autori, apparati religiosi, oggetti diversi tra i quali una campana di artigianato locale datata 1380. Nelle salette successive un'interessante Madonna col Bambino, terracotte di G. Ballanti, maioliche settecentesche della fabbrica Ferniani, ed infine preziosi oggetti di orafi locali e non, e varie terracotte del brisighellese Rosetti. Nel dicembre scorso, per le celebrazioni in memoria di C. Piancastelli, il museo ha esposto il famoso "album di viaggio" di F. Giani "da Faenza a Marradi" ora conservato presso la Biblioteca Comunale di Forlì. La mostra, che ha riscosso un notevole successo si è chiusa il 12 Aprile.

Speciale musei artistici - pag. 14 [1999 - N.5]

Michele Gianbarba - Studio Legale Giambarba di Ravenna

Il manifesto pubblicitario ha recentemente avuto una importante rivalutazione culturale. E' infatti stato autorevolmente osservato da più parti che il manifesto spesso sintetizza (pur talvolta distorcendola) la realtà sociale ponendone in evidenza gli aspetti principali e raccogliendone gli umori, gli eventi e le situazione storiche, sì da rivestire una speciale importanza nell'indagine del costume e delle tendenze di un'epoca. In forza di dette considerazioni sono fiorite molteplici iniziative volte a valorizzare i manifesti pubblicitari e consistenti in mostre, cataloghi, saggi e così via che hanno riscosso notevole successo per la cura, l'originalità e l'approfondimento. L'interesse per il manifesto e l'esigenza della sua divulgazione a fini di studio e di critica fa ritenere opportuno sottolineare i limiti al libero utilizzo derivanti dal possibile conflitto con diritti esclusivi di terzi. La casistica è molto ampia e le ipotesi che possono verificarsi sono molteplici e differenti fra loro a seconda della natura del singolo oggetto e dello specifico utilizzo. In via generale si può affermare che l'idea o la "trovata" pubblicitaria non è in sé tutelabile ai sensi della legislazione sulla proprietà intellettuale ed industriale. L'utilizzo della altrui "trovata" pubblicitaria potrebbe dar eventualmente luogo ad ipotesi di concorrenza sleale, ma in questa sede si vuole considerare unicamente un utilizzo del manifesto non già secondo gli scopi propri per i quali nasce (ossia la promozione commerciale), ma per il suo interesse culturale e per fini di studio e di conoscenza. Di conseguenza sotto questo aspetto il problema viene a ridursi sensibilmente. Maggiori cautele sono dovute alla circostanza che la normativa sulla proprietà intellettuale ed industriale può venire in considerazione in svariate ipotesi, con la necessità di acquisire le opportune autorizzazione da parte dei titolari dei diritti e con inevitabile condizionamento e limitazione nell'utilizzo. Ci si riferisce innanzitutto al fatto che spesso nel manifesto pubblicitario sono riprodotti marchi, ditte e insegne che conferiscono diritti esclusivi all'imprenditore commerciale, e che talvolta il manifesto pubblicitario deve essere assoggettato alla normativa sul diritto d'autore. Su queste stesse pagine si è già avuto occasione di precisare (numero 11/97) che viene protetta dal diritto d'autore l'opera che costituisca espressione della creatività intellettuale. Tale concetto dagli incerti confini per sua natura non è oggettivo ma a fini giuridici viene ritenuto sufficiente un sia pur minimo grado di creatività, prescindendosi da ogni valutazione sul pregio estetico dell'opera. Nei casi suddetti il libero utilizzo del manifesto pubblicitario potrà essere inevitabilmente condizionato dalla esistenza di diritti esclusivi altrui con la conseguente necessità di acquisire le autorizzazioni necessarie.

L'opinione del legale - pag. 14 [1999 - N.4]

Maria Rosa Bagnari - Responsabile del Centro Etnografico della Civiltà Palustre di Villanova di Bagnacavallo - Ravenna

In occasione della XII settimana dei beni culturali e ambientali, l'archivio di antropologia visiva del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari e la sezione di antropologia museale dell'Associazione italiana di scienze Etnoantropologiche - in collaborazione col Laboratorio di Tecnologie Audiovisive dell'Università di Roma 3, diretto da Roberto Maragliano, e con la società Lynx - ha organizzato per il 15 - 16 aprile 1997 un incontro tra i musei etnoantropologici sul tema della video documentazione museale. L'obiettivo dell'iniziativa denominata VIDEAMUS è stato quello di verificare le produzioni audiovisive didattiche o documentarie dei musei che si sono impegnati in materia di strumenti didattico - divulgativi visivi, invitandoli a un confronto comune sulle sperimentazioni delle varie realtà territoriali nell'ambito dell'antropologia visiva museale, anche in rapporto alle tecnologie multimediali. L'incontro incentrato sulla proiezione e sulla discussione dei materiali prodotti dei vari musei invitati a partecipare, ha avuto luogo nella sala delle conferenze del Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni Popolari di Roma. I documenti visivi pervenuti e presentati costituiscono ancora il primo fondo di antropologia visiva museale (AVIM) presso il MNATP, a disposizione degli utenti e degli operatori museali per soli fini didattici e di studio. Il Centro Etnografico della Civiltà Palustre di Villanova di Bagnacavallo ha inviato due video ai seguenti titoli : civiltà Palustre 1 "La vita, la gente di un paese" e Civiltà Palustre 2 "I Capen" (le costruzioni rurali in canna palustre). Quest'ultimo è stato per la proiezione : sia il soggetto che il metodo adottato per realizzare tale strumento didattico - documentario, hanno suscitato approvazione e curiosità da parte degli operatori presenti, concordi sull'importanza e l'utilità di utilizzare strumenti visivi sia come documenti di archivio che come supporti didattico - divulgativi. Alcune produzioni costituivano una carellata di immagini relative a raccolte private non tematiche, non certo definibili realtà museali, ma piuttosto collocabili nell'ambito del collezionismo maniacale che hanno un po' sorpreso diversi operatori alla ricerca di esperienze qualificanti. Pochi consensi e molte riserve hanno ottenuto pure le nuove proposte rivolte alla scuola relative alle moderne tecnologie informatiche. Con questa prima edizione di Videamus, il Museo Nazionale delle Arti e Tradizioni popolari ha inteso offrire un 'occasione di confronto fra le varie esperienze museali realizzare un archivio che conserva nel suo insieme circa 750 documenti videocinematografici. I materiali di diretto riferimento museale già esistenti in archivio sono stati integrati dalle produzioni acquisite nel corso di Videamus e sono disponibili per i musei presenti sul territorio nazionale, offrendo in tal modo un utile strumento di ricerca sui beni culturali demoetnoantropologici.

Appunti dai convegni - pag. 14 [1997 - N.0]

La casa del poeta, monumento nazionale dal 1924 e proprietà dello Stato, potrà essere ulteriormente valorizzata facendone luogo di esposizione e rendendola sempre più aperta ed accessibile al pubblico

Cetty Muscolino - Storico dell'arte Responsabile dei Servizi Educativi e Coordinatrice della Scuola per il Restauro del Mosaico

Le case dei poeti non sono semplici luoghi fisici, ma elementi costitutivi veri e propri dell'identità e dell'"immaginario" di una nazione. Ciò è particolarmente vero per un poeta come Giovanni Pascoli che in tutta la sua opera (poetica e critico-letteraria) e la sua vita ha rappresentato, in Italia, una cruciale fase di passaggio tra Otto e Novecento. Poeta sublime, ha nutrito la sua poetica con la sua terra natale (San Mauro e più in generale la Romagna), le vicende dell'infanzia trascorsa alla Torre e la tragedia dell'assassinio del padre, che segnò in modo indelebile la sua vita. È proprio per questo che la sua casa natale di San Mauro assume un valore ancora maggiore nella conservazione e trasmissione della sua "memoria" e nella diffusione della sua opera. La Casa Pascoli, monumento nazionale dal 1924 e proprietà dello Stato, ha subito notevoli danni durante la seconda guerra mondiale ed è stata successivamente riparata rispettando la struttura originaria. Qui nacque il poeta, il 31 dicembre del 1855, figlio quartogenito di Caterina Vincenzi Allocatelli e di Ruggero Pascoli, e visse felicemente i primi anni della sua vita, trascorrendo giorni spensierati nella tenuta dei Principi di Torlonia chiamata "La Torre" che il padre Ruggero amministrava. Nel 1998 è stato concordato tra il Comune di San Mauro Pascoli, la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Ravenna, l'Accademia Pascoliana e la fondazione Domus Pascoli di dare vita ad una mostra permanente al fine di rendere viva la memoria del poeta attraverso la valorizzazione dei luoghi della sua poesia e, in particolare, della sua casa. La Soprintendenza sta provvedendo da alcuni anni al restauro, alla straordinaria manutenzione e all'adeguamento dell'immobile secondo le normative di legge previste per la sicurezza e per la fruizione da parte dell'utenza scolastica e di un più vasto pubblico. Il piccolo museo domestico si visita partendo dalla cucina, al piano terra, che, rimasta intatta dopo gli eventi bellici, conserva la struttura originaria, col soffitto in travi lignee (abbondantemente ridipinte e in parte degradate e per le quali è già previsto un intervento di restauro), il grande focolare e l'acquaio in pietra: qui sono esposti anche piccoli oggetti appartenuti alla madre del poeta. Nella sala prospiciente alla cucina sono conservate le prime edizioni delle opere del Pascoli, tra cui la prima edizione della raccolta Myricae e la raccolta di poesie latine Carmina. Al primo piano, nella camera da letto in cui il poeta è nato, si trova ancora il letto originale e la culla a dondolo; si possono inoltre vedere numerose lettere autografe del Pascoli ai Sammauresi, in particolare all'amico Pietro Guidi, e alcune firme di visitatori illustri. Lo studio è arredato con i mobili che il poeta aveva a Bologna quando insegnava Letteratura Italiana all'Università e vi sono esposte numerose sue pubblicazioni ed i vocabolari da lui usati. Tutta la visita degli ambienti è arricchita da un percorso fotografico che documenta le fasi fondamentali della vita del poeta: i luoghi della memoria, la famiglia, la carriera.. All'esterno si trova un giardino che accoglie alcune piante menzionate dal Pascoli nelle sue opere e che sono oggetto di un percorso botanico-poetico sapientemente elaborato da Rosita Boschetti, responsabile dell'attività didattica della Casa: · la mimosa : "Già m'accoglieva in quelle ore bruciate// sotto ombrello di trine una mimosa,// che fioria la mia casa ai dì d'estate// co' suoi pennacchi di color rosa" (da Romagna); · la cedrina, (erba Luisa): "Bastava che io toccassi con due dita una foglia// di quella cedrina che, un tempo, era la mia unica// proprietà fondiaria... ed ecco io vedeva, abitava,// possedeva una vera casa… quello era l'odore di// casa mia. Non si entrava in casa senza sentirlo// e non si usciva" (da Limpido Rivo); · il gelsomino: " e s'abbracciava per lo sgretolato// muro un folto rosaio a un gelsomino" (da Nel giardino); · il cipresso: " E il tuo nido? Il tuo nido?…Ulula forte// Il vento e t'urta, ti percuote a lungo://tu sorgi, e resti; simile alla Morte.//E il tuo cuore? Il tuo cuore?…Orrida trebbia//l'acqua i miei vetri, e là ti vedo lungo,//di nebbia nera tra la grigia nebbia.// E il tuo sogno? La terra ecco scompare:// la neve, muta a guisa del pensiero,// cade. Tra il bianco e il tacito franare// tu stai, gigante immobilmente nero." (da Il cuore del cipresso); · il cedro del Libano e il pino: "C'erano tutti, tutti quelli che amo, in quella casa// bianca con le persiane verdi! Ed io ruzzavo e scavalcavo// nel giardino avanti casa, tra pini e cedri del Libano" (da Limpido Rivo); · il bergamotto: "Una lieve ombra d'ale//annunziò la notte//lungo le bergamotte// e i cedri del viale" (da Casa mia). Valorizzare la Casa Pascoli, facendone luogo di esposizione rendendola sempre più aperta ed accessibile al pubblico è un atto non solo doveroso, ma necessario alla cultura nazionale. Esporre carte, oggetti e documenti pascoliani, raccogliere materiali d'archivio, allestire uno spazio con postazioni interattive, costruire un apposito sito nella "rete" telematica, sono questi gli obiettivi che renderanno sempre più Casa Pascoli luogo di conservazione, produzione e diffusione culturale. Generalmente al pubblico viene proposto di arricchire la visita alla casa con una "puntatina" alla "Torre", Villa Torlonia, situata all'estremo limite di San Mauro, al centro di quelli che furono i possedimenti rurali di proprietà dei Principi di Torlonia, che fu appunto amministrata per un certo periodo dal padre di Giovanni Pascoli, ucciso in circostanze misteriose il 10 agosto 1867. Il compendio della Torre è costituito da un complesso di edifici tra cui primeggia quello padronale, il manufatto principale, punto di riferimento dell'organizzazione urbanistica dell'intera tenuta e che conserva un impianto tardo-settecentesco. Villa Torlonia, riconosciuta nel 1974 come manufatto di particolare interesse storico da parte del Ministero della Pubblica Istruzione, è sottoposta a tutela come caratteristico e prezioso esemplare di villa romagnola del XVII-XVIII secolo. Ai lati del palazzo ci sono due costruzioni minori: una adibita ad abitazione del fattore (della famiglia Pascoli dal 1862 al 1867), asilo per attrezzi e magazzino per i prodotti agricoli; l'altra è la chiesetta dei SS.Pietro e Paolo, di fattura ottocentesca ma di origini ben più antiche. Imponenti lavori di restauro da parte del Ministero per i Beni Culturali stanno risanando le strutture e riportando alla luce pregevoli decorazioni pittoriche.

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 14 [2003 - N.17]

Nel prossimo anno scolastico la didattica museale sarà dedicata ai musei naturalistici e a quelli delle scienze e delle tecniche del territorio provinciale

Eloisa Gennaro - Responsabile del Laboratorio per la Didattica Museale

Nel prossimo anno scolastico la didattica museale sarà dedicata ai musei naturalistici e a quelli delle scienze e delle tecniche del territorio provinciale

Esperienze di didattica museale - pag. 14 [2001 - N.11]

Oltre 5000 reperti provenienti dalla collezione di Arnaldo Minardi, raccolta nei primi trent'anni del secolo scorso, troveranno sede a Palazzo Milzetti

Anna Rosa Gentilini - Direttore della Biblioteca Comunale Manfrediana di Faenza

Il Sistema Museale della Provincia di Ravenna, che negli ultimi anni si è progressivamente ampliato con l'adesione di numerosi musei con vocazioni e patrimoni diversi, sta ora allargandosi con l'annessione di altre importanti raccolte. In questa nuova fase è in programma anche l'apertura del Museo del Teatro di Faenza, che fa parte delle collezioni della Biblioteca Comunale Manfrediana. Il Museo del Teatro è la raccolta, formata nel primo trentennio del secolo scorso, dal cavalier Arnaldo Minardi, allora direttore del locale ufficio postale, che dedicò tutta la vita a reperire e riordinare, acquistando da privati e sul mercato antiquario, documentazione bibliografica e oggettistica inerenti la storia dello spettacolo e della musica. La collezione, nel suo complesso, è formata da oltre 5.000 pezzi, la maggior parte dei quali sono volumi di carattere teatrale, libretti d'opera, articoli di giornale, autografi che vennero catalogati e inseriti nel patrimonio della Biblioteca, al momento della donazione avvenuta nel 1931. Gli strumenti musicali, i costumi di scena, i ritratti e una serie di incisioni furono ordinati in un locale a piano terra della Biblioteca ed il Museo fu inaugurato nell'estate del 1933. A parte la parentesi bellica, il Museo è rimasto aperto al pubblico nella Biblioteca fino al 1984, quando, per ragioni di spazio venne trasferito, in attesa di una diversa sistemazione, al secondo piano di Palazzo Milzetti. Palazzo Milzetti, che nel frattempo è divenuto museo statale, è stato interessato da radicali lavori di restauro, ma soprattutto dall'adeguamento complessivo dell'impiantistica e dal superamento delle barriere architettoniche. Si stanno verificando, quindi ora le condizioni per progettare un nuovo allestimento, nell'ottica di una collaborazione sempre più stretta tra Amministrazione locale e organi decentrati dell'Amministrazione statale. Il patrimonio del Museo del Teatro non ha un carattere particolarmente omogeneo, infatti a fianco di un raro strumento musicale del sec. XVI si trovano le più svariate curiosità, tra cui alcuni strumenti popolari di provenienza africana. Tra i pezzi di maggiore pregio segnaliamo due virginali, rispettivamente del '500 e del '600, una ghironda e alcuni bozzetti scenografici di Romolo Liverani. La prima spinetta reca, al di sopra della tastiera, la firma del costruttore e la data: "Joseph Salodiensis Fecit 1558", è stata restaurata e riportata in condizioni di essere suonata, se pur non con tutte le sonorità dell'epoca originaria per la sostituzione di alcune parti. La ghironda è un esemplare piuttosto tardo, stranamente realizzato a Faenza dal faentino Francesco Sangiorgi, più noto come costruttore di carrozze; essa non appartiene alla tradizione musicale emiliano-romagnola, quanto piuttosto a quella francese. I bozzetti scenici di Romolo Liverani, unitamente ad alcuni ritratti di cantanti d'opera che si sono esibiti al teatro Masini, pur non essendo la parte predominante della collezione, testimoniano un interesse per le vicende musicali faentine. Una sezione della raccolta è dedicata alla costumistica di scena che comprende abiti maschili e femminili, cappelli, scarpe, etc… alcuni dei quali realizzati con tessuti preziosi del XVIII secolo, in origine destinati ad usi civili. Pochi sono i musei che conservano reperti tessili a causa della loro facile deperibilità; in base a questa considerazione una particolare attenzione è stata rivolta al restauro e al recupero dei pezzi più rappresentativi per la storia dello spettacolo. È il caso dell'abito di Theodora, che è stato affidato alla restauratrice di tessuti Thessy Schoenzholzer di Firenze, che ha fornito informazioni e datazioni che non erano state annotate neppure dal collezionista. I restauri sono stati eseguiti con il finanziamento congiunto, su diversi esercizi, dell'Amministrazione Comunale di Faenza e dell'Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali della Regione Emilia-Romagna. Nell'arco degli anni è stata avviata e condotta a termine una analitica e approfondita campagna di rilevazione fotografica e catalogazione a scopo conoscitivo; questa serie di lavori propedeutici hanno valorizzato il patrimonio e rendono possibile ora un percorso espositivo più lineare e più consono ad una fruizione pubblica.

Speciale nuove adesioni - pag. 14 [2003 - N.18]

Restituito al pubblico il monumento sepolcrale del Vescovo Giacomo IV Pasi, opera dello scultore Pietro Barilotto

Giorgio Cicognani - Ispettore onorario ai Beni artistici e storici

Agli studiosi e agli appassionati dell'arte, dopo anni di attesa è stata restituita una delle opere più importanti di Faenza e della Romagna: il monumento sepolcrale del Vescovo Giacomo IV Pasi, opera dello scultore faentino Pietro Barilotto (1481 ca - 1553). Il monumento funebre in onore del Vescovo, morto nel 1528 a causa della peste, fu eseguito tra il 1529 e il 1531.
Il documento di commissione, che porta la data 8 maggio 1529, determina un compenso di mille bolognini per l'esecuzione e specifica le caratteristiche dell'opera da realizzare. L'opera, terminata nel tempo convenuto, fu collocata all'interno della Chiesa dei Servi di Faenza, dove era stata tumulata la salma del vescovo, e precisamente a destra dell'ingresso dove restò indisturbata fino al 1731, anno in cui la chiesa venne completamente rifatta. Il monumento, la cui scomposizione iniziò il 28 agosto di quell'anno, si salvò avventurosamente dal crollo del tetto e della facciata del sacro edificio, avvenuto il 18 novembre successivo. Rimontato sul muro esterno della nuova costruzione, all'interno della quale si decise di non conservare alcun manufatto lapidario antico, non tardò a colpire l'attenzione di quanti percorrevano l'antica via Emilia ad esso prospiciente.
Nel 1855, il delegato apostolico Stefano Rossi, avendone notato il degrado causato dalle intemperie e dallo scarso rispetto dei giovinastri, lo fece smontare con l'intenzione di collocarlo all'interno del vescovado. Non essendovi però in quella sede lo spazio sufficiente per ricollocarlo, il manufatto rimase per parecchi anni depositato in uno scantinato dove si deteriorò ulteriormente, finché l'architetto comunale Achille Ubaldini, d'intesa con lo Stato Unitario Italiano, nel 1878 lo fece collocare, con grande attenzione, nell'attuale Cappella Pasi posta nel lato orientale del chiostro Badia del Cimitero dell'Osservanza, dove ancora oggi rappresenta una delle maggiori opere architettoniche. Il monumento sepolcrale parietale del Vescovo Giacomo IV Pasi (1510-1528), in pietra d'Istria con incrostazioni di marmi policromi e inserti di terracotta, è tripartito verticalmente come una grandiosa pala d'altare di tipo ferrarese o lombardo. Si leva su un alto basamento composto di una zona liscia e di una munita di epigrafe al centro di due stemmi Pasi ai lati. La parte figurata è incasellata armoniosamente in una architettura a pilastri, fregi a festoni, cornucopie, uccelli, sirene, testine, rosette, e altri motivi del più scelto campionario rinascimentale.
Il sarcofago sostiene la statua del vescovo elegantemente scolpita sulla pietra d'Istria. Il prelato è semigiacente, in meditazione o dormiveglia, su di un giaciglio di volumi, mitrato, è sdraiato sul fianco destro, con il capo reclinato sulla mano. Ai lati, in due piccole nicchie, si possono vedere le statue di San Pietro e San Paolo, scolpite a tutto tondo. Nella lunetta che sovrasta il monumento funebre, in cotto, a forte rilievo, è raffigurata la Vergine Assunta con ai lati due figure oranti, un uomo barbato a sinistra e una donna a destra, entrambi ammantati, che si suppone fossero i genitori del vescovo stesso. Due formelle rettangolari, sempre in cotto, ai lati della lunetta, raffigurano San Francesco e San Girolamo. Nello spazio del tempietto terminale è scolpita nel marmo una patera a ghirlanda di frutta e fogliami, legata da nastri che svolazzando agitano dei sonagli; nella patera un tondo in terracotta col Padre Eterno benedicente.
A causa delle sue vicissitudini e dei locali inadeguati in cui era stato ospitato, il monumento aveva subito, nel corso degli anni, un certo degrado strutturale. Si erano ad esempio formate molte crepe e fessure, forse a causa degli agenti atmosferici mentre si trovava all'esterno della Chiesa dei Servi, inoltre, durante il secondo conflitto mondiale, aveva subito ulteriori danni a causa dei bombardamenti fino agli ultimi oltraggi subiti nella Cappella del Cimitero infestata da volatili ed utilizzata come deposito. Negli anni Ottanta, dato l'evidente stato di degrado, la lunetta e le formelle in cotto furono rimosse per procedere alla loro pulitura. Questi tre bassorilievi , si presume, fossero stati rimodellati nell'Ottocento da Giovanni Collina Graziani al momento di ricollocare il monumento al cimitero. La spesa fu sostenuta dalla Soprintendenza ai Beni artistici e storici di Bologna che ne decise la custodia presso il Museo Internazionale delle Ceramiche in attesa di un più ampio intervento successivo che si è verificato solamente nel 2002. Per prima cosa si è reso necessario un accurato intervento sull'edificio architettonico che ospita il monumento, come già accennato, in condizioni critiche. È stata effettuata una revisione del manto di copertura per garantirne la stabilità nel tempo, sono stati ripristinati i vecchi intonaci ed è stato sostituito il pavimento in cotto con un altro simile. Contemporaneamente il restauratore Valerio Contoli provvedeva alla pulitura dei marmi e dell'intero manufatto. Le statue in pietra d'Istria presentavano ridipinture in finta arenaria che nascondevano le modifiche e le aggiunte ottocentesche e quindi sono state rimosse restituendo al suo primitivo splendore la pietra d'Istria.
L'intero restauro, realizzato grazie ai contributi della Soprintendenza ai Beni Architettonici e per il Paesaggio di Ravenna e di HERA-AMF di Imola-Faenza, sotto la direzione dell'architetto Giorgio Gualdrini, è terminato negli ultimi mesi del 2003. Si auspica, che interventi di questo livello possano salvare altri capolavori d'arte faentina e non, presenti nel cimitero di Faenza.

Speciale restauro - pag. 14 [2004 - N.19]

Il Museo del Sale di Cervia come impresa culturale orientata ai servizi alla città e ai visitatori

Mario Turci - Mario Turci

MUSA, il Museo del Sale di Cervia, inaugurato nello scorso aprile, ha aperto i battenti al pubblico già munito di un regolamento e di un chiaro “documento di missione”.
La mission del Museo del Sale (la sua ragion d’essere), presentata al pubblico già all’ingresso del museo, sottolinea la volontà dell’amministrazione comunale di offrire, ai visitatori e alla collettività, un museo che sia “[...] impresa culturale, al servizio della città e del territorio (riscoperta e riflessione sulla storia e sull’ identità), del turismo (presentazione dell’identità salinara della città tramite apparati comunicativi attrattivi) e risorsa didattica per la scuola”.
Il Museo del Sale è un museo dell’uomo e della sua cultura come si configura nell’esperienza salinara, è quindi un Museo etnoantropologico che pone al proprio centro l’uomo e la rappresentazione della complessità della sua esperienza. Il Museo del Sale è stato pensato come luogo di sintesi e di confronto, luogo di attività di ricerca secondo il più ampio spettro di indagine che le risorse locali potranno sostenere e nel contempo centro di servizio (parte integrante del museo, quale sezione a “cielo aperto è la salina artigianale “Camillone”).
La realizzazione di Musa vuole configurarsi quale impresa culturale di rilevanza sociale e strategica per la città in quanto gli obiettivi del progetto museale non sono limitati a quelli, seppur rilevanti, della tutela, conservazione e presentazione al pubblico di oggetti, immagini e documenti, ma decisamente indirizzati a quelli relativi ai servizi utili alla città, ai suoi ospiti e al pubblico in generale. In tal senso il Museo del Sale è:
• Portale sull’esperienza culturale salinara
• Istituto d’offerta turistica
• Luogo dell’identità collettiva della città
• Luogo privilegiato e peculiare da cui sondare la dimensione dell’esperienza salinara.
Quindi priorità all’accoglienza e all’ offerta. A tal fine il museo si apre con uno spazio destinato ad un primo immediato incontro con il sale e la sua materialità. Qui il visitatore può “assaggiare” il sale raccolto nella salina artigianale “Camillone” curata dallo stesso gruppo a cui è affidata l’accoglienza del pubblico, l’Associazione “Gruppo culturale civiltà salinara”.
Dallo spazio di prima accoglienza i visitatori sono invitati a superare una Tenda/Vela (tenda atta a separare l’area di prima accoglienza dalla prima sezione del percorso espositivo, e che nei colori rimanda alle vele tradizionali della marineria e nella forma alle tende d’ingresso delle sale cinematografiche) per ritrovarsi all’inizio di un percorso scandito in quattro sezioni tematiche e in sei tappe multimediali (create da Limina – Marco Civinelli). Alle sei tappe, realizzate allo scopo di creare un piano di visita trasversale all’intero percorso espositivo, è dato il doppio obiettivo di porsi quale “contrappunto” alla visita e contemporaneamente quale “piano di lettura” autonomo capace di offrire ai visitatori una sintesi del complesso dei contenuti del museo.
Superata la grande Tenda/Vela è dato allo spettacolo de L’avventura dell’ acqua il compito di fornire il bandolo del percorso di scoperta dei contenuti di Musa.. Il piano di lettura del museo, affidato alla multimedialità ed inaugurato dal clip Avventura dell’ acqua, prosegue presentando, in quattro punti/sosta, i caratteri cervesi di Natura/Ambiente, Nascita e Storia della città, Sale nella cultura/Cultura del sale, Natura e chimica del sale.
Il viaggio multimediale ha termine nell’incontro con il grande schermo sul cui piano è espresso l’invito ad un Volo sulla cultura salinara, sulla città e sulle saline. Un volo spazio-temporale che, partendo dal museo, attraversa immagini della storia salinara per poi librarsi sulle saline e sulla città al fine di ritornare, in planata, nel museo stesso.
I punti multimediali, le prospettive spaziali realizzate attraverso quinte e trasparenze, i piani di lettura, i contrappunti visivi, i punti di approfondimento, la sezione/laboratorio e la presenza dei salinari nel museo hanno lo scopo di mantenere la promessa di una accoglienza attenta alle esigenze dei diversi pubblici del museo, perchè ognuno possa scegliere la via ed il piano di lettura a lui più congeniali in quel momento.
Se il senso tematico del museo di Cervia è nella presentazione del rapporto storico e culturale della comunità con l’acqua, ingovernabile e sempre agitata, del mare e quella, quieta e governabile, della salina, il senso museale sta in uno stile di comunicazione basato sui rapporti di mediazione fra patrimonio culturale e pubblico, fra le ragioni della storia salinara e quelle dei diritti del visitatore.

Speciale Piano Museale - pag. 14 [2004 - N.20]

Il MAR di Ravenna ha messo a punto un piano di investimenti mirati nel segno degli standard di qualità regionali

Claudio Spadoni - Direttore del Museo d'Arte della Città di Ravenna

Nell’ambito della riflessione sugli standard e gli obiettivi di qualità, il Museo d’Arte della città di Ravenna, dal 2002, l’anno che data il passaggio a Istituzione del Comune di Ravenna, ha avviato un piano di investimenti, strutturali e infrastrutturali, per favorire lo sviluppo e la crescita del rapporto tra i cittadini e il museo.
L’aspetto più rilevante è il passaggio al modello gestionale definito dall’Istituzione (gestione in forma indiretta), che ha reso necessaria l’elaborazione del regolamento in una fase in cui ancora non era disponibile una riflessione sistematica, accompagnata da una casistica di modelli declinati nelle diverse realtà italiane. In secondo luogo è stata definita la programmazione. Si è scelto anzitutto di qualificare il museo attraverso l’attività espositiva “al fine di documentare le espressioni della cultura artistica nazionale ed internazionale, prestando una specifica attenzione a quella del territorio”. La riflessione che preordina la linea espositiva insiste intorno a temi centrali nell’elaborazione del moderno, siano essi aspetti di ricerca storiografica, stagioni o artisti che segnatamente hanno determinato un passaggio nei percorsi estetici e poetici, tra Otto e Novecento. A questa linea di ricerca si affiancano altri temi finalizzati a monitorare il presente, attraverso antologiche di artisti italiani viventi e saggi sugli orientamenti dei giovani che operano nell’ambito del territorio.
Altro aspetto centrale, nell’azione culturale del museo, è l’individuazione del museo stesso come luogo deputato alla documentazione del mosaico: nel 2004 è stato siglato il protocollo d’intesa per la realizzazione del Centro Internazionale di Documentazione sul Mosaico, che tra i firmatari vede la più ampia partecipazione degli enti e delle istituzioni preposte alla tutela, alla conservazione, alla valorizzazione e alla ricerca intorno al mosaico (IBC; Università di Bologna; ENEA; Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico, Demoetnoantropologico di Bologna; Soprintendenza Archeologica della Regione Emilia-Romagna; Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio; Scuola per il Restauro del Mosaico della stessa Soprintendenza; Accademia di Belle Arti di Ravenna, Istituto Statale d’Arte per il Mosaico, Liceo Artistico; Fondazione Parco Archeologico di Classe; Associazione Internazionale Mosaicisti Contemporanei). Sul versante della gestione e cura delle collezioni, il Regolamento dell’Istituzione prevede tra i compiti prioritari la tutela e la valorizzazione del patrimonio artistico del Museo, con l’arricchimento nelle aree tematiche e tipologiche che ne contraddistinguono storicamente il profilo culturale e artistico, collegandosi alle direttive proposte dagli standard museali nell’ambito della prevenzione, della manutenzione e del restauro. A questo scopo, l’istituzione museale ravennate ha aderito al Progetto Musa, la rete intermuseale per la conservazione del patrimonio artistico, realizzata dal Consiglio Nazionale delle Ricerche-Istituto di Scienze dell’Atmosfera e del Clima (CNR-ISAC) in collaborazione con l’IBC, allo scopo di monitorare le condizioni climatiche all’interno del museo.
Per quanto riguarda i servizi educativi, si è proceduto all’organizzazione di una sezione didattica strutturata – per l’introduzione alle collezioni permanenti e alle mostre – con l’allestimento di una sala attrezzata per ateliers destinati alle scuole materne, elementari e medie. Per il pubblico adulto invece vengono attivati percorsi guidati mirati mentre per chi desidera la visita individuale, è stato messo a punto un bollettino del museo che dà conto del percorso espositivo della mostra.
Un importante sforzo è stato fatto per realizzare un piano sistematico e integrato di comunicazione che è partito dallo studio di un nuovo logo del museo, della carta intestata, per giungere ad una linea che avesse efficacia di visibilità, continuità progettuale e riconoscibilità; è stato, inoltre, allestito un ufficio stampa con una rete di relazioni con la stampa nazionale e locale. Nell’ambito dei servizi aggiuntivi si è pensato di assicurare il confort della visita e occasioni di approfondimento grazie all’allestimento di un bookshop e, da quest’anno, di una caffetteria. Un’iniziativa innovativa che ha riscontrato il gradimento del pubblico è l’Aperitivo al museo, momento conviviale al piano nobile del chiostro rinascimentale, che di sera si accende di suggestioni inedite, prima di accedere alla visita della mostra.

Speciale standard museali - pag. 14 [2004 - N.21]

Rappresentante autorevole della matematica italiana e docente all’Università di Padova, il lughese Ricci Curbastro elaborò il “Calcolo differenziale assoluto” poi usato da Einstein per la Teoria della Relatività

Franco Gabici - Capo Reparto delle Attività scientifiche e museali del Comune di Ravenna

Per una curiosa coincidenza, nell’anno del centenario della Relatività ristretta (1905) e del cinquantenario della morte di Albert Einstein (1955) si ricordano anche gli ottant’anni della morte di Gregorio Ricci Curbastro, il matematico lughese che ha contribuito in maniera determinante alla Relatività generale, la nuova teoria della gravitazione formulata da Einstein nel 1916.
Ricci Curbastro, uno dei rappresentanti più autorevoli della matematica italiana, aveva elaborato un algoritmo matematico chiamato “calcolo differenziale assoluto” e non avrebbe mai immaginato che quella sua creatura avrebbe trovato applicazione in una delle teorie più famose del Novecento.
Einstein, infatti, a un certo punto si rese conto di non avere a disposizione un adeguato linguaggio matematico per esprimere i rivoluzionari concetti della Relatività generale e così un bel giorno inviò al suo amico matematico Marcel Grossmann questo appello disperato: “Per favore aiutami, sennò divento pazzo!”.
E Grossmann, che era al corrente dei lavori di Ricci Curbastro, passò ad Einstein il “calcolo differenziale assoluto” che avrebbe corredato la teoria di un adeguato linguaggio matematico. Il tutto è testimoniato da una lettera che Einstein mandò alla nipote di Ricci Curbastro nella quale il grande scienziato riconosceva al nonno un ruolo determinante per la formulazione della Relatività generale. Lo stesso concetto è ribadito dalla lapide murata nel 1953 nella casa natale di Ricci Furbastro, in corso Garibaldi a Lugo, in occasione del primo centenario della nascita: “Nacque in questa casa il 21.1.1853 (in realtà è il 12 gennaio) Gregorio Ricci Curbastro, maestro insigne, matematico sommo.
Diede alla scienza il calcolo differenziale assoluto, strumento indispensabile per la teoria della relatività generale, visione nuova dell’universo”. Gregorio Ricci Curbastro, per molti anni docente all’Università di Padova, non si occupò solamente di problemi astratti, ma dette il suo contributo per risolvere anche problemi concreti e nonostante gli impegni che lo tenevano lontano dalla sua città natale, si impegnò come consigliere comunale di Lugo rivelandosi indispensabile per la soluzione del problema dell’acqua potabile. A questo proposito il matematico aveva proposto la Relazione per un progetto di acquedotto per la città di Lugo, ma non fu accettato. Solamente nel 1933, quando a Lugo arrivò l’acqua potabile, ci si rese conto che sarebbe stato più razionale ed economico il progetto di Ricci. Come tutti i grandi, anche Ricci Curbastro non fu capito dai suoi contemporanei, che definirono i suoi lavori “certamente utili, sebbene non indispensabili”.
Il lavoro di Ricci Curbastro consente anche di capire a fondo il significato delle teorie einsteiniane, troppo spesso liquidate come teorie del “relativismo”. Einstein, infatti, non ha affermato che “tutto è relativo”, ma ha voluto dire qualcosa di molto più importante. “Relatività” e “assoluto”, nell’ambito della sua teoria, non sono affatto concetti antitetici, ma vogliono affermare, come ha scritto Bruno Finzi, “che un osservatore può conoscere soltanto ciò che è relativo a lui, ma che è vero soltanto ciò che non varia passando da un osservatore ad un altro, cioè quel che è assoluto".

Personaggi - pag. 14 [2005 - N.22]

Compie trent’anni il Museo del Lavoro Contadino nelle vallate del Lamone-Marzeno-Senio, allestito nella Rocca di Brisighella

Giorgio Cicognani - Responsabile del Museo del Lavoro contadino di Brisighella

Ricorre fra breve il trentennale della nascita del Museo del Lavoro Contadino nelle vallate del Lamone-Marzeno-Senio, sorto grazie al contributo della Comunità Montana dell’Appennino faentino e dell’Amministrazione Comunale di Brisighella. La sua collocazione all’interno dei locali della Rocca fu una scelta dettata essenzialmente da due motivazioni: innanzitutto il recupero di un monumento storico lasciato in abbandono, ma anche la necessità di conservare un prezioso patrimonio che andava via via perdendosi e che per secoli aveva contribuito alla crescita della vita non solo sociale ed economica, ma anche culturale delle comunità rurali delle nostre vallate. Il consenso all’iniziativa fu unanime non solo da parte di numerosi studiosi locali, ma anche di quelli nazionali, soprattutto illustri architetti dell’Istituto Italiano dei Castelli e membri del Consiglio Superiore di Antichità che plaudirono all’iniziativa.
L’Assessorato alla Cultura della Regione Emilia-Romagna e il Presidente del Consiglio Regionale ne approvarono lo Statuto; l’inaugurazione ufficiale avvenne il 27 giugno 1976.
L’allestimento lasciò intatta la lettura del monumento senza alterarne le caratteristiche architettoniche, anzi, in molti casi privilegiandole, come ad esempio nella parte dell’antica cucina e della sala del forno. Come sottolineato dalla presentazione di Pietro Albonetti nella prima guida: «Il luogo che materializza l’aspetto più direttamente violento del vecchio dominio (la rocca dei soldati, dei capitani, della stanza della tortura) era stato invaso dai materiali dei dominati, degli artigiani, dei braccianti».
Il percorso museografico, a differenza di altri musei etnografici e demoantropologici, è stato concepito in base ad un duplice criterio: da un lato ad una disposizione tematica degli strumenti di lavoro, dall’altra ad una attenta lettura filologica di alcuni vecchi ambienti della nostra cultura popolare. Questo allestimento si è caratterizzato in questi anni come un punto forte del nostro Istituto soprattutto per una comprensione più facile non solo per le scolaresche, ma anche per un più vasto pubblico.
Nel corso degli anni le visite sono andate sempre aumentando toccando punte di oltre 21.000 visitatori annuali e, grazie anche alla recensione di numerose guide turistiche italiane e straniere, l’obiettivo di potenziare il turismo è stato raggiunto. Il patrimonio si è arricchito con numerose donazioni ed acquisizioni e in tutti questi anni l’Istituto, pur sopravvivendo con minimi mezzi finanziari è riuscito a tener vivo l’interesse del pubblico tramite le sue pubblicazioni e i sussidi audiovisivi come quello sul ciclo del pane. Altro aspetto importante è stata la creazione di una collana di studi sul territorio denominata “Quaderni”, che si può ritenere unica in Emilia-Romagna a cui hanno collaborato molti studiosi con ricerche in varie discipline.
Grazie a finanziamenti della Regione Emilia-Romagna e dell’Istituto per i Beni Artistici, Culturali e Naturali, il Museo è stato potenziato con mezzi di sicurezza più idonei alla salvaguardia ed è stato avviato un sistema di catalogazione che sta confluendo nella banca dati regionale.
Sempre più numerose sono oggi le sollecitazioni, sia da parte dei donatori, sia da parte di numerosi studiosi ed appassionati perché sia riaperto il Museo, chiuso da alcuni anni per restauri dell’intero monumento, facendo salve però le caratteristiche precedenti pur migliorando alcuni aspetti riguardanti la didattica. In questa nuova fase sarebbe auspicabile concretizzare quei collegamenti con gli istituti superiori e alcune facoltà universitarie italiane che già in passato avevano richiesto una collaborazione nel campo della ricerca storico-economica.
La stessa facoltà di Conservazione dei Beni Culturali di Ravenna, tra i cui compiti istituzionali rientra la formazione di professionisti con specifica preparazione nelle discipline storico-artistiche ma anche di pubblica amministrazione, troverà quel laboratorio atto alla creazione di nuovi conservatori di musei sempre più impegnati a confrontarsi con i problemi quotidiani nel mondo della conservazione delle opere d’arte.
Un eventuale ampliamento nei locali della Torre dell’Orologio, potrebbe favorire quest’ultimo aspetto, inoltre risolverebbe l’annoso problema della didattica, rivolta alle scuole primarie, già più volte lamentato e mai risolto a causa della mancanza di spazi che ancora non ha trovato risposta adeguata. L’aspetto della didattica in questi anni è stato di basilare importanza non solo nella nostra Provincia, ma in tutta la Regione provenendo ormai le scolaresche da tutta Italia.
I musei etnografici, che sono sorti in particolare dopo gli anni Settanta per la conservazione di un patrimonio che si stava perdendo per l’incalzare del terziario, a differenza di altri musei presentano oggetti e strumenti di non facile comprensione da parte delle nuove generazioni. Ecco perché si sottolinea ancora una volta che è sempre più fondamentale la ricostruzione di alcuni ambienti e non solo un’esposizione tipologica. È auspicabile mantenere una parte del Museo all’aperto come già fatto in precedenza sull’esempio dei più avanzati complessi del Nord-Europa. Nel censimento effettuato qualche anno fa dall’IBC sono stati considerati oltre 700 metri quadrati espositivi di corte all’aperto che ora non si possono ridurre. Un museo “a cielo aperto” con possibilità di protezione da agenti atmosferici che possa accogliere di tanto in tanto mostre tematiche e iniziative culturali organizzate dal museo stesso.
Si richiede ancora una volta a tutti gli amministratori di risolvere quanto prima l’annosa questione dell’acquisizione dell’area sottostante affinché, nei prossimi anni, si possa realizzare quel polo culturale interdisciplinare; già da tempo auspicato, che favorirebbe senza alcun dubbio il turismo e andrebbe incontro alle esigenze degli operatori del settore (realizzano, ad esempio, il centro di documentazione per il dialetto, un laboratorio didattico, una fototeca, un’esposizione di prodotti locali, una guida per gli agriturismi). Rispettare e conservare questo patrimonio culturale significa non solo onorare la memoria di chi ci ha preceduto, di chi ha sofferto in silenzio, di chi ci ha consegnato una società migliore, ma soprattutto è nostro dovere trasmettere alle future generazioni questa grande ricchezza.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 14 [2005 - N.23]

Il ciclo degli affreschi di Pietro da Rimini di S. Chiara a Ravenna restaurato ed esposto al Museo Nazionale di Ravenna

Cetty Muscolino - Direttrice del Museo Nazionale di Ravenna

Ha quasi del miracoloso poter sostare nella suggestiva atmosfera dell’abside di S. Chiara, ricomposta in “esploso” nel Refettorio del Museo Nazionale di Ravenna: magia delle più avanzate tecnologie e dell’illuminazione magistralmente studiata e calibrata dall’architetto Emilio Agostinelli.
L’esposizione del ciclo pittorico, che originariamente ornava il presbiterio della Chiesa delle Clarisse e ascrivibile al secondo decennio del sec. XIV, permette di recuperare una fase straordinaria della nostra civiltà figurativa che testimonia il passaggio nei territori ravennati di Pietro da Rimini, attivo nel Refettorio di Pomposa e ancora a Padova e a Tolentino. L’allestimento dei dipinti, restaurati in tempi successivi da Ottorino Nonfarmale e da suoi collaboratori, ripropone l’intera abside della Chiesa e la volta, consentendo la lettura del contesto iconografico dedicato alla Storia della Salvezza e alla Croce.
Le vicende degli affreschi, fra distacchi, esposizioni parziali, criteri d’intervento diversificati nel tempo, costituiscono, come ha sintetizzato il Soprintendente Anna Maria Iannucci, una sorta di paradigma della storia dei restauri delle pitture ad affresco fra ’800 e ’900. L’approdo alla soluzione finale di ricomposizione dell’intero ciclo ed il loro restauro è stato reso possibile grazie a finanziamenti ministeriali, e a contributi di Fondazioni bancarie, alla collegiale decisione di esporre il ciclo pittorico al Museo Nazionale, presa dall’Amministrazione Comunale di Ravenna, proprietaria degli affreschi, dalla Soprintendenza per il Patrimonio Storico Artistico ed Etno-antropologico di Bologna che ha diretto i restauri, e dalla Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Ravenna, che ha progettato la soluzione espositiva presso il proprio Museo Nazionale.
La difficile decisione di staccare i dipinti, separandoli così definitivamente dal contesto architettonico per cui erano nati, fu determinata agli inizi degli anni ’50 dalle disastrose condizioni ambientali in cui versava l’abside sia per l’infiltrazione di acque meteoriche dal tetto, che per l’umidità di risalita dal sottosuolo: inizialmente vengono strappati gli affreschi della volta, sezionando le due code che completavano il triangolo delle vele per ridurne l’ingombro; nel 1956 le vele restaurate e montate su telai lignei tornano a Ravenna e vengono esposte “provvisoriamente” nel Refettorio del Museo. All’inizio degli anni ’70 in considerazione dell’aggravato stato di conservazione, si procede al distacco degli affreschi dalle pareti dell’abside della Chiesa, che rimarranno a lungo arrotolati su rulli nel laboratorio di Nonfarmale in attesa di finanziamenti.
Nel luglio del 1995, finalmente restaurati, gli affreschi vengono allestiti nel Refettorio del Museo con la soluzione di “esploso”. Ormai desiderio comune è di poter rimontare la volta sulle pareti per completare degnamente il ciclo pittorico. Ma per rendere possibile questa operazione è necessario recuperare dai depositi le parti mancanti delle vele, e procedere ad un nuovo trasporto dai vecchi telai lignei degli anni ’50, ai nuovi metallici, avvalendosi delle opportune controforme e di un rilievo fotogrammetrico condotto direttamente sulla volta absidale a S. Chiara. Le operazioni si rivelano molto più complesse del previsto perché si rende necessario rimodellare le curvature e creare nuovi spessori della volta, presentando la muratura originaria degli scarti variabili dai 10 ai 20 centimetri. Gli affreschi sono ricollocati sui nuovi supporti previo l’inserimento di un film di 2 millimetri di polistirolo espanso che garantisce la reversibilità dell’intervento. Col restauro pittorico, condotto principalmente in laboratorio e completato dopo il montaggio al Refettorio, sono “abbassate” le zone che creavano disturbo con velature ad acquerello. Particolarmente complessa è stata la progettazione di una struttura metallica che si ancorasse a quella che sosteneva le pareti già montate negli anni ’90.
Nel dicembre del 2005, con la ricollocazione delle vele, complete anche delle punte terminali (separate nel primo distacco) si è conclusa una storia durata mezzo secolo. Mezzo secolo fra battute d’arresto e riprese, dibattiti ed entusiasmi che hanno visto prevalere la volontà di ricostruire l’abside, operazione ritenuta da molti un’utopia: e in effetti riconsiderando tutte le complessità incontrate e le difficoltà che spingevano a desistere dall’intento, può realmente considerarsi un’utopia... realizzata.

La Pagina della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio di Ravenna - pag. 14 [2006 - N.25]

Come gestire una piccola biblioteca specializzata grazie ad una sapiente politica di acquisti e di scambi bibliografici

Massimo Marcucci - Responsabile della Biblioteca del Settore Cultura della Provincia di Ravenna

Il nucleo dell’attuale biblioteca nasce nel 2001, quando il Settore Cultura della Provincia di Ravenna pensò di ordinare e catalogare i 400 volumi giunti in omaggio o acquistati nel corso degli anni, suddivisi nelle due sezioni spettacolo e beni culturali, speculari ai campi d’intervento del Settore, alle quali se ne aggiunsero ulteriori due, una dedicata alla storia locale del ‘900 e l’altra di miscellanea su dialetto e folklore, fumetto e illustrazione, narrativa gialla emiliano-romagnola.
Visto il sempre più numeroso materiale raccolto attinente la didattica e i musei, e data l’attività del Laboratorio Provinciale per la Didattica Museale (che dal 1999 aveva cominciato ad offrire consulenza didattica e scientifica ed un servizio di aggiornamento e di formazione), si decise ben presto di dare vita ad un Centro di Documentazione sui Beni Culturali che supportasse l’attività del Laboratorio ed al contempo mettesse le proprie risorse a disposizione di coloro che si occupavano di musei. Nel Centro confluirono la Sezione beni culturali della biblioteca, fascicoli didattici prodotti da istituti culturali e musei, riviste dedicate ai beni culturali, giochi didattici, materiale informativo riguardante mostre ed eventi organizzati dai musei della provincia.
Oggi, a cinque anni dalla nascita della Biblioteca e del Centro, si può tracciare un primo consuntivo. Nonostante le esigue risorse finanziarie disponibili, si contano 3307 volumi, la stragrande maggioranza dei quali dedicata ai beni culturali, suddivisi in ben 15 sezioni distinte, oltre 500 fascicoli didattici suddivisi in 9 sezioni, 23 periodici correnti di cui 14 riguardanti i beni culturali, una decina di giochi didattici.
Al di là dei numeri, è però il particolare profilo della biblioteca che la caratterizza. Nata dal desiderio di mettere a disposizione dell’utenza una piccola “dote”, la biblioteca ha incrementato il proprio posseduto grazie agli acquisti e agli scambi bibliografici. Con la nascita del Centro di Documentazione, gli acquisti si sono concentrati soprattutto sui temi della museografia, della museologia e della didattica museale acquisendo tutto quanto è apparso nel circuito librario. Lo scambio bibliografico con musei e istituti culturali nazionali ha invece permesso di venire in possesso – grazie a un certosino lavoro di ricerca – di pubblicazioni di difficile reperibilità in quanto non presenti nel normale circuito librario nonché di fascicoli didattici (il cui elenco corredato da abstract è consultabile sul sito del Sistema Museale).
La particolarità e unicità di tali pubblicazioni - in gran parte non presenti in nessun’altra biblioteca del territorio - hanno arricchito in un’ottica di rete l’offerta complessiva del Polo Romagnolo andando a coprire la richiesta che proveniva da un’utenza composta da operatori museali, studenti universitari della locale Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali, insegnanti.
Non è quindi un caso se in cinque anni i prestiti della biblioteca sono aumentati di oltre il 400%, passando dai 95 del 2001 ai 401 del 2005; piccoli numeri rispetto ad altre realtà, che però testimoniano il continuo progresso del rapporto con l’utenza e l’affermarsi come biblioteca specializzata.
Ovviamente il rapporto con l’utenza non si esaurisce nel solo prestito, ma si completa con il servizio di reference e con la possibilità di consultazione dei materiali per la quale è stata allestita un’apposita sala dotata di una postazione informatizzata per la navigazione in rete e nell’Opac SBN. Oltre all’utenza che frequenta abitualmente la biblioteca con motivazioni diverse (tesi di laurea, progettazione di percorsi didattici, aggiornamento), i volumi della biblioteca sono di ausilio al lavoro dell’U.O. Beni Culturali della Provincia dal punto di vista sia dell’aggiornamento che della costruzione di proposte didattiche quali, ad esempio i Quaderni delle collane di didattica museale prodotti dal Laboratorio Provinciale. Al fine di implementare il servizio di reference offerto dal Centro di Documentazione è infine in progetto una pubblicazione - che potrà essere scaricata in formato pdf dal sito del Sistema Museale - che informerà sulle novità bibliografiche acquisite dalla biblioteca.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 14 [2006 - N.26]

Insegnante e archeologa, ha condotto con entusiasmo alcune delle più interessanti campagne di scavo a Faenza

Valeria Righini - Università di Bologna

Nata a Faenza nel 1926 e prematuramente scomparsa nel 1973, insegnante elementare prima e direttrice didattica poi nelle sedi di Argenta e di Riolo Terme, Paola Monti ha avuto un ruolo di rilievo nella ricerca archeologica di Faenza. Nel 1957 è subentrata ad Antonio Medri nell’incarico di ispettore onorario alle antichità. Si è pertanto trovata a svolgere le sue funzioni, sempre sorretta da grande entusiasmo, nella fase di ripresa economica postbellica, quando l’intensificarsi dell’attività edilizia ha consentito di effettuare, tramite il controllo dei cantieri edili, numerosi rinvenimenti archeologici, della maggior parte dei quali chi scrive è stata testimone oculare, avendo iniziato a collaborare con lei fin dall’inizio degli anni Sessanta.
La sua attività si è svolta sia nel settore pre-protostorico sia in quello di età romana. Nell’ambito del primo gli episodi di maggior rilievo sono individuabili nei saggi esplorativi lungo il perimetro del cosiddetto “tempietto” di Persolino e nello scavo dei fondi di capanne di VI sec. a.C., nell’area dell’ex Piazza d’Armi, nella zona in cui attualmente si trova il laghetto del Parco Bucci. I risultati furono presentati nella “Mostra delle civiltà preistoriche e protostoriche del faentino” nell’aprile 1969.
Più numerosi gli interventi d’età romana, fra cui si citano quelli che hanno restituito gli elementi di maggior rilievo, come lo scavo di palazzo Archi in via Cavour nel 1963, in cui sono venuti in luce un mosaico con scena di caccia nell’emblema, vari pavimenti fittili ed un canale riempito in antico con materiali ceramici e quello nel cortile di palazzo Cavina in piazza della Penna del 1966-67, dove si sono recuperate sette colonne doriche - rare a nord dell’Appennino - e terrecotte architettoniche. Gli anni fra il 1970 ed il 1972 sono stati particolarmente fecondi di rinvenimenti. Nel 1970 lo scavo nell’ex albergo Corona in corso Saffi ha restituito una pavimentazione per piazza, forse pertinente al Foro della città romana.
Nello stesso anno è stato effettuato anche lo scavo di via Dogana, il più importante rinvenimento archeologico urbano della Faventia romana ed uno dei più rilevanti complessi tardo-antichi della Romagna. Nello scavo sono venuti in luce cinque mosaici e vari pavimenti fittili. Fra i mosaici, quattro presentano decorazione geometrica ed uno di essi è particolarmente ampio, misurando m 14,90x9,10. Il quinto mosaico reca invece una complessa decorazione figurata: un grande emblema centrale in cui compaiono una figura maschile ignuda e nimbata seduta su un trono e varie figure maschili e femminili in piedi ai lati; il restante campo musivo è ripartito in riquadri, all’interno dei quali compaiono figure femminili e maschili in abbigliamento militare. L’emblema ed alcuni riquadri sono stati recentemente esposti nella mostra Santi Banchieri Re presso il Complesso di San Nicolò a Ravenna. L’interpretazione della decorazione figurata è problematica e controversa. Secondo Gino Vinicio Gentili, nell’emblema sarebbe raffigurata un’apoteosi imperiale, con l’imperatore Onorio in trono, mentre le figure nei riquadri sarebbero riferibili a personaggi della corte imperiale.
L’attività archeologica di Paola Monti si è infine articolata anche in pubblicazioni (elenco in “Studi Romagnoli” XXII, 1971, pp. 229-231), fra cui si cita in particolare la prima carta archeologica della Faventia romana (Archeologia faentina. I reperti, in “Studi faentini in memoria di mons. G. Rossini”, Faenza 1966, pp. 67-124) e nel problema della collocazione dei materiali archeologici. Nel 1960 un primo deposito archeologico fu ubicato in un piccolo ambiente della Biblioteca Comunale. A seguito dello scavo di via Cavour del 1963, il deposito fu trasferito in un ampio locale di palazzo Laderchi-Zacchia e nel 1973, dopo gli scavi di via Dogana, nel pianterreno di palazzo Mazzolani.
Nel contempo la Monti sollecitò a più riprese il problema della realizzazione di un Museo archeologico, portato avanti – dopo la sua scomparsa – da chi scrive che, su incarico dell’IBC della Regione Emilia-Romagna, ha elaborato un progetto (Un Museo archeologico per Faenza. Repertorio e progetto, Bologna 1980). Il sogno di Paola Monti di vedere realizzato a Faenza il Museo archeologico è tuttora irrealizzato.

Personaggi - pag. 14 [2006 - N.27]

Franco Gabici

Stefano Cavazzutti appartiene a quella schiera di romagnoli poco conosciuti in patria ma in compenso molto noti all'estero, dove si sono distinti per la loro opera.

Cavazzutti, nato ad Alfonsine il 19 febbraio 1845, ebbe una vicenda professionale singolarissima. Diplomatosi maestro elementare come autodidatta, fu ben presto affascinato dalla medicina e spesso accompagnò suo padre, medico condotto, durante le visite alla gente di campagna. Pur non essendo laureato, trovò il modo di esercitare la professione a Linaro, a Coccolia e soprattutto nelle miniere di zolfo della Coratella, nei pressi di Cesena, dove restò colpito dalla qualità della vita dei minatori, costretti a lavorare in un ambiente malsano.

Cavazzutti, che può essere considerato uno dei primi medici a occuparsi di medicina del lavoro, denunciò non solo la situazione ma anche i fornitori dei generi alimentari che procuravano ai minatori cibi avariati. La denuncia ebbe un effetto boomerang su Cavazzutti, che venne accusato e denunciato per abuso di professione; ma grazie all'aiuto dell'amico Aurelio Saffi riuscì a iscriversi all'Università di Bologna dove conseguì la laurea in Medicina e chirurgia il 26 giugno 1882 all'età di trentasette anni. In questi anni strinse amicizia con Murri e con alcuni personaggi romagnoli quali il dottor Bartolo Nigrisoli, Olindo Guerrini, Corrado Ricci, Pier Desiderio Pasolini e Santi Muratori.

Prima di trasferirsi definitivamente in Argentina, il medico alfonsinese si distinse per la sua opera durante la grande epidemia di colera del 1886, che a Ravenna aveva causato più di 500 vittime, e inoltre prestando la sua opera nei bastimenti di linea sulla rotta Genova Buenos Aires.

Giunto in Argentina nel 1887, Cavazzutti si stabilì a La Plata, dove esisteva una nutrita colonia di italiani e qui fu tra i fondatori dell'ospedale Umberto I, del quale fu anche primo direttore sanitario.

Durante il tempo libero si dedicò allo studio degli indigeni, viaggiando molto attraverso le regioni sudamericane per studiarne le popolazioni. Esplorò soprattutto il Rio Quequén e vaste regioni del Brasile e del Paraguay in compagnia del naturalista e paleontologo argentino Florentino Ameghino e del botanico Carlo Spegazzini. Durante queste spedizioni raccolse materiali preziosi che successivamente avrebbero formato il Museo Etnografico Cavazzutti, una raccolta di grande interesse che poi nel 1909 spedì in Italia.

Uomo dai grandi interessi, Cavazzutti fu anche un appassionato dantista e partecipò alle celebrazioni del VI centenario del 1921 scrivendo saggi danteschi. È autore tra l'altro di alcuni saggi letterari quali "A proposito dei giudizi di Benedetto Croce su Olindo Guerrini e Francesco Domenico Guerrazzi" (1922) e "Intorno al sogno di Jacopo Alighieri£ (1923).

Stefano Cavazzutti morì a Bologna il 1° ottobre del 1924 nella clinica dell'amico Nigrisoli a seguito di una malattia contratta mentre stava viaggiando per raggiungere Bologna, dove avrebbe partecipato a un congresso medico.


Personaggi - pag. 14 [2007 - N.28]

Nel quinto centenario della nascita la città si prepara a celebrare il pittore ravennate.

Nadia Ceroni - Conservatore del Museo d'Arte della Città

"Maestro Luca de' Longhi, ravignano, uomo di natura buono, quieto e studioso, ha fatto nella sua patria Ravenna, e per di fuori, molte tavole a olio e ritratti di naturale bellissimi; e fra l'altre sono assai leggiadre due tavolette che gli fece fare, non ha molto, nella chiesa de' monaci di Classi il reverendo don Antonio da Pisa, allora abate di quel monasterio; per non dir nulla d'un infinito numero d'altre opere che ha fatto questo pittore. E per vero dire, se maestro Luca fusse uscito di Ravenna, dove si è stato sempre e sta con la sua famiglia, essendo assiduo e molto diligente e di bel giudizio, sarebbe riuscito rarissimo; perché ha fatto e fa le sue cose con pacienza e studio; ed io ne posso far fede, che so quanto gli acquistasse, quando dimorai due mesi in Ravenna, in praticando e ragionando delle cose dell'arte"

Così scriveva Giorgio Vasari nelle Vite del 1568 a proposito di Luca Longhi, di cui ricorre quest'anno il quinto centenario della nascita.

Il nostro artista era nato il 14 gennaio 1507 da Francesco e Antonia da Cunio, secondo di tre fratelli destinati tutti a diventare pittori, ma sulla sua formazione artistica mancano notizie sicure, motivo per cui si presume che abbia avuto luogo nella bottega di un artista operoso in ambito ravennate: l'ipotesi più probabile è che nella fanciullezza avesse frequentato l'ambiente di Francesco Zaganelli, rimasto solo a Ravenna a gestire la bottega che condivideva con il fratello Bernardino.

Fin dalle prime prove conosciute, datate fra il 1528 e il 1531, pare piuttosto evidente un tentativo di mediazione fra la tradizione locale o più largamente romagnola (Rondinelli, Palmezzano) e i grandi maestri d'importazione, in particolare Raffaello, i cui modelli figurativi furono divulgati in Romagna dagli artisti educati a Bologna e dalle stampe di Marcantonio Raimondi e Marco Dente. La propensione di Luca verso forme dolci e aggraziate segnerà il suo linguaggio che in seguito saprà rinnovare secondo un'ottica eclettica e una personale elaborazione di archetipi rivisitati secondo la propria inclinazione sentimentale.

Dal matrimonio con Elisabetta, nel 1531, nacquero Francesco (1544-1618) e Barbara (1552-1638), figli artisti che seppero proseguire sul sentiero tracciato dal padre facendone propri modelli e modi espressivi.

Le testimonianze pittoriche di Luca a Ravenna sono numerose: molte sue opere sono presenti nelle chiese (San Domenico, Sant'Agata, Santa Maria Maggiore, Palazzo Arcivescovile-Cappella di Sant'Andrea), nelle istituzioni culturali della città (Biblioteca Classense e Museo d'Arte della città), nella quadreria della Cassa di Risparmio e in collezioni private. Allo studio molto esauriente sull'artista, pubblicato nel 1982 e intitolato Luca Longhi e la pittura su tavola in Romagna nel '500 - a cura di Jadranka Bentini - ha fatto seguito nel 2000 una ricca monografia su Luca, Francesco e Barbara Longhi, curata da Giordano Viroli, che ricostruisce il contesto storico e il rilievo culturale dei tre artisti, le cui opere sono oggi presenti in numerose pinacoteche di grande rilievo nazionale ed internazionale.

Se la fama del nostro pittore ravennate è legata soprattutto alle committenze ecclesiastiche e alle grandi tavole e tele a soggetto religioso, non da meno deve essere considerata la sua attività di ritrattista, lodata anche da Luigi Lanzi (1795) e da Alessandro Cappi (1853): eccellenti sono i ritratti di Giovanni Arrigoni, Raffaele Rasponi e Girolamo Rossi esposti nella settima celletta della Pinacoteca ravennate; così come i ritratti di Uomo d'arme e di Bartolomeo Dal Sale nella Cassa di Risparmio di Ravenna, il Personaggio della Famiglia Lunardi nella Pinacoteca Civica di Forlì e i ritratti di numerose personalità di rilievo della Ravenna del Cinquecento che compaiono nelle Nozze di Cana della Biblioteca Classense, ultima opera terminata con l'aiuto del figlio Francesco nel 1580, anno della morte di Luca avvenuta il 12 agosto.

Nei prossimi mesi autunnali il Museo d'Arte della città dedicherà a Luca Longhi - di cui la Pinacoteca ravennate conserva undici opere - un'iniziativa espositiva.


Personaggi - pag. 14 [2007 - N.29]

Faenza ricorda l'Esposizione del 1908, evento di grande risonanza, artefice del rilancio artistico cittadino

Anna Rosa Gentilini - Direttrice Biblioteca Manfrediana di Faenza

Nel 2008 ricorre il centenario della grande Esposizione di Faenza nota anche con il nome di "Esposizione Universale Torricelliana". In effetti il nome è appropriato in quanto le molteplici iniziative che vennero organizzate presero le mosse dalla commemorazione della nascita di Evangelista Torricelli, avvenuta nel 1608, anche se nel corso dell'ideazione le tematiche artistiche presero, se così si può dire, il sopravvento su quelle prettamente scientifiche.
Già nel 1903 la Società del Risveglio Cittadino - che annoverava tra i suoi membri personalità quali il conte Carlo Cavina, Vincenzo Caldesi, Tommaso Dalpozzo, Achille Calzi, Gaetano Ballardini - avanzò l'idea di commemorare il III centenario della nascita di Torricelli con una esposizione dei prodotti dell'arte e del lavoro faentini. L'incarico dell'allestimento con grandi padiglioni di legno fu affidato all'architetto Orsino Bongi di Milano che lo realizzò nell'area dell'attuale viale Baccarini, dal viale della Stazione fino a via Campidori, utilizzando altresì come contenitori espositivi la ebanisteria Casalini e il vecchio convento di San Maglorio.
L'Esposizione era composta da diversi settori. La mostra Torricelliana presentava scritti e documenti del noto scienziato faentino, affiancati da moderni strumenti di fisica e meteorologia; la mostra delle ceramiche era suddivisa nelle varie sezioni dei reperti di scavo, della ceramica faentina, della ceramica europea contemporanea ed era affiancata dalla sezione dei ferri battuti. Nell'ex convento era allestita la prima mostra romagnola biennale d'arte di pittura e scultura con due settori, uno nazionale e uno internazionale. Un padiglione era dedicato ai lavori femminili di ricamo mentre uno spazio era riservato alle novità e alla produzioni fotografiche.
Nel settore del lavoro erano esposte le macchine agrarie con attrezzature e macchine agricole all'avanguardia, prodotti enologici e dell'apicoltura. Un altro padiglione era dedicato ai vari tipi di tabacco, alla sua coltivazione e lavorazione, mentre per quanto riguarda l'artigianato spiccavano i manufatti delle ebanisterie.
L'Esposizione fu inaugurata il 15 agosto 1908 e la sua apertura fu prorogata fino all'8 novembre; il 21 settembre ebbe il privilegio della visita reale di Vittorio Emanuele III. Per la città intera fu occasione di grandi feste e manifestazioni collaterali quali il primo campionato europeo di trotto e la rappresentazione al Teatro Comunale del Lohengrin di Wagner diretto dal maestro Tullio Serafin.
La maggiore eredità di questo fermento di idee e di attività fu la nascita del Museo Internazionale delle Ceramiche per l'infaticabile opera di Gaetano Ballardini e la continuazione di una tradizione espositiva annuale che si concretizzerà nell'organizzazione delle "Settimane Faentine".
Per presentare alla città e agli studiosi l'Esposizione faentina nel più ampio orizzonte della esposizioni romagnole dell'epoca e per situarla nel contesto storico-artistico-culturale della Faenza del tempo, la Pinacoteca Comunale e la Biblioteca Comunale di Faenza hanno organizzato dal 12 dicembre 2007 al 19 marzo 2008 un ciclo di conferenze che hanno avuto come relatori Roberto Balzani, Pietro Albonetti, Alessandro Montevecchi, Sauro Casadei, Marcella Vitali, Serena Scardovi. In contemporanea è stato curato da Claudio Casadio e da chi scrive un volume dal titolo L'Esposizione di Faenza 1908, con testi di Roberto Balzani e Serena Scardovi che comprende una ricca bibliografia sulle fonti coeve e la presentazione di 27 fotografie inedite della Expo faentina provenienti dall'archivio privato di Paola Roi e dall'Archivio fotografico della Biblioteca Comunale.

Speciale Celebrazioni Torricelliane - pag. 14 [2008 - N.32]

Il contributo di AMEI alla valorizzazione dei musei e delle raccolte di interesse religioso in Italia

Carlo Tatta - Segretario Generale AMEI

La Chiesa italiana in questi ultimi anni ha promosso un intelligente azione per la tutela e la valorizzazione dei beni culturali ecclesiastici e, in particolare, per l'insigne patrimonio di arte sacra per il quale sta completando un impegnativo e apprezzato processo di inventariazione.
V'è un sicuro interesse per i numerosi musei diocesani oltre che, beninteso, per ammirevoli musei o raccolte parrocchiali, per i musei di Cattedrali, Abbazie, Santuari e di Ordini religiosi. E queste Istituzioni, con tutta la ricchezza del loro patrimonio artistico, documentano la storia di comunità con quei preziosi tesori pervenuti a noi grazie alla Chiesa che ha sempre saputo conservare una memoria storica del suo passato e che non sono più nascosti, ma da cercare, conoscere e ammirare.
L'Associazione Musei Ecclesiastici Italiani, nelle sue finalità si propone di contribuire all'istituzione e valorizzazione dei musei e delle raccolte che hanno carattere di ecclesiasticità o di interesse religioso esistenti in Italia, proponendoli quali strumenti di animazione culturale delle comunità cristiane e della società.
L'AMEI venne costituita in Orvieto con atto notarile in data 5 ottobre 1996 per iniziativa di alcuni laici e sacerdoti che, nella loro esperienza alla guida di Opere del Duomo o Fabbricerie, di Musei diocesani e Abbazie, maturarono una forte sensibilità verso una maggiore valorizzazione del patrimonio d'arte sacra. Lo Statuto, approvato nel gennaio 2004 dal Consiglio Episcopale Permanente della Conferenza Episcopale Italiana (CEI) riconosce gli specifici contenuti di fede e di religiosità inerenti al carattere stesso del museo ecclesiastico e sancisce l'impegno dell'Associazione per la loro valorizzazione e per la promozione di iniziative di formazione culturale, religiosa e teologica per i collaboratori. Il Consiglio Direttivo dell'AMEI, eletto dall'Assemblea degli iscritti, attualmente è presieduto da S.E. Mons. Bernardo D'Onorio, Arcivescovo di Gaeta.
A beneficio dei Musei Ecclesiastici - anche per dare sviluppo alle forti istanze emerse in seno al VI Convegno Nazionale svoltosi a Siena nel novembre 2007 - AMEI intende conseguire un significativo, puntuale ed effettivo riconoscimento da parte dello Stato, delle Regioni, delle Province, dei Comuni e di tutte le Istituzioni, un riconoscimento che deve essere una presa d'atto della loro forte valenza culturale e dei valori universali che trasmettono per la promozione dell'uomo e il bene comune del Paese nello spirito degli accordi sanciti fra Stato e Chiesa.
Non possiamo, tuttavia, non evidenziare le enormi difficoltà di gestione dei nostri musei che fanno affidamento sulla generosa disponibilità e sulla passione di laici volontari. Altre difficoltà derivano dagli adempimenti connessi all'adeguamento agli standard museali previsti dalla vigente normativa per quanto attiene alle sedi espositive, tenuto conto che la gran parte dei musei è in siti monumentali di importante valore artistico. Nei nostri musei, al di là dei Musei di Opere del Duomo o di Fabbricerie, poche realtà hanno un organico definito nella sua operatività e con livelli retributivi apprezzabili e, tuttavia, non sempre remunerativi dell'impegno profuso.
Mentre si fa affidamento nella preziosa attività compiuta con forte identità ecclesiale, con passione, da tanti operatori dei nostri musei (senza di loro le nostre realtà sarebbero prive di anima né potrebbero avere un sicuro sviluppo), l'AMEI è protesa a promuovere progetti di formazione a vari livelli per offrire sicure fondamenta all'apprezzabile generosità offerta nell'azione di volontariato. Per noi l'operatore museale è infatti un animatore culturale, a cui è richiesto di essere esperto in umanità per l'accoglienza del pubblico e testimone della propria fede; è dunque investito di un compito che lo impegna di fronte a tutta la comunità ecclesiale e non solo, nel rispetto degli indirizzi degli Organi Statutari e dell'Autorità Ecclesiastica, tenuto conto della missione del Museo.
Si richiede pertanto una preparazione culturale umanistica, con approfondimento della storia dell'arte e della storia della Chiesa e un'apprezzata formazione religiosa nella quale è indispensabile una conoscenza teologica e quindi uno spessore spirituale e culturale.

Speciale Associazioni Museali Italiane - pag. 14 [2008 - N.33]

Nel 2010 un'importante esposizione ricorderà il ruolo esercitato dal cenacolo lughese, centro propulsore di fermenti e tensioni intellettuali

Daniele Serafini, Orlando Piraccini - Comune di Lugo, IBC

Nel gennaio del '96 il Teatro Rossini di Lugo ha inaugurato una delle sue più prestigiose stagioni liriche, riproponendo un titolo che mancava dal settembre del 1920: L'Aviatore Dro, poema tragico in tre atti, con libretto e musica di Francesco Balilla Pratella (Lugo, 1880 - Ravenna 1955), sotto la direzione del Maestro Gianandrea Gavazzeni, scene e regia di Sylvano Bussotti.
Una produzione di grande qualità, che dell'opera ha messo in luce la preminente impronta decadente e simbolista, a dispetto delle intenzioni dell'autore del Manifesto dei musicisti futuristi (Milano, 11 ottobre 1910) e del Manifesto tecnico della musica futurista (1911).
Composto tra il 1912 e il 1914, il poema era stato rappresentato in prima nazionale il 4 settembre (cui seguirono ben quattordici repliche) alla presenza di Filippo Tommaso Marinetti che da buon cronista, nei suoi Taccuini (1915-1921), registra l'accoglienza trionfale dell'opera, la folla proveniente da tutta la Romagna, senza tralasciare "le vaste mangiate, le grandi bevute" del dopo teatro e l'albergo in cui alloggiava, da lui definito "pessimo puzzolente, ignobile".
Balilla Pratella, allievo di Mascagni, compositore e musicologo, ma anche etnografo e studioso di canti romagnoli nell'ambito della generale riscoperta del patrimonio musicale nazionale, in linea con l'ascesa del fascismo, non fu solamente l'esponente più autorevole del futurismo musicale italiano assieme a Luigi Russolo (1885-1947), ma anche il punto di riferimento, a partire dal 1911, di una generazione di pittori, musicisti e letterati che frequentarono il suo cenacolo, quella "Villa Pratella" ubicata nell'attuale via Provinciale Felisio, vicino alla ferrovia.
I nomi che troviamo documentati nella Autobiografia di Pratella, pubblicata postuma nel 1971, o altrimenti riferiti dalla carte depositate presso la Fondazione Primo Conti di Fiesole e da quelle riunite nel Fondo Pratella, costituito presso la Biblioteca Trisi nel 2001, in seguito all'acquisizione del fondo della figlia Eda, ci fanno capire l'importanza del ruolo esercitato dall'ambiente lughese nella vicenda culturale di quegli anni, così come dimostrato anche di recente da alcune valide ricerche e pubblicazioni.
Tra i personaggi da ricordare si va da Giorgio Morandi e Osvaldo Licini, studenti dell'Accademia insieme al lughese Giacomo Vespignani, al giovane Filippo De Pisis; dallo scrittore Riccardo Bacchelli allo scultore Domenico Rambelli; dal pittore Roberto Sella, cui si deve la Cappella Sepolcrale dell'Asso dell'aviazione italiana, a Nino Pasi, autore delle decorazioni dell'attuale Museo Baracca; dal faentino Giannetto Malmerendi al ravennate Arnaldo Ginna; dal pittore Esodo Pratelli, cugino di Balilla, a Virgilio Ricci.
E proprio l'intreccio dei rapporti e delle relazioni, dei contatti e delle corrispondenze attorno alla figura centrale di Pratella, a dimostrazione dell'autorevolezza del ruolo esercitato dal cenacolo lughese negli anni della nascita del futurismo, autentico centro propulsore di fermenti e tensioni intellettuali, sarà il tema di un importante evento espositivo, corredato da un voluminoso catalogo, di cui sono promotori il Comune di Lugo e la Soprintendenza ai Beni librari e documentari dell'Istituto per i Beni Culturali della nostra Regione, in calendario per il 2010, centenario del primo Manifesto di Balilla Pratella.
Oltre alle arti visive e alla musica, ci sarà una sezione dedicata alla poesia, volta a fare il punto sull'opera poetica di Alceo Folicaldi (Lugo, 1900-1952), una delle figure di spicco della poesia futurista e del paroliberismo negli anni '20 e nei primi anni '30, prima di distaccarsi dal movimento e trovare, negli anni a venire, nel ripiegamento in dettati formali più tradizionali, una cifra stilistica di carattere lirico, quasi idilliaca.

Speciale Futurismo in Romagna - pag. 14 [2009 - N.34]

Due antiche rocche in grado di "stare" e di dialogare con il paesaggio disteso tutt'intorno a loro

Fiamma Lenzi - Istituto Beni Culturali

Due moli possenti la cui sagoma si staglia inconfondibile sulla skyline di un panorama che fortunamente ancora conserva in gran parte la sua "originalità" storica o naturale, due luoghi antichi trapiantati nella modernità e riconsegnati a nuove funzioni sociali, due modi di "stare" e di dialogare con il paesaggio disteso tutt'intorno a loro.
Una fondazione recentissima, sostenuta in entrambi i casi dall'impegno delle rispettive amministrazioni comunali, una distanza geografica relativamente breve l'uno dall'altro, l'idea condivisa di riuso di un contenitore architettonico di grandissimo pregio, vera e propria eccellenza del divenire storico della comunità che li ha espressi, l'appartenenza ad un medesimo sistema di relazioni e di progettualità culturale a scala provinciale, una chiave di lettura del percorso museale che certamente rileva alcune convergenze, ma al tempo stesso esprime una propria specificità nel rapportarsi e nel comunicare il territorio e il paesaggio dei quali sono chiamati a farsi interpreti.
Stiamo parlando del Museo del Paesaggio dell'Appennino Faentino, creato nel 2006 nella rocca di Riolo Terme, e del Museo del Castello, dallo scorso anno attivo nei recuperati spazi della rocca di Bagnara, ambedue importanti testimonianze della storia di Romagna dal XIV secolo in poi.
Entrambe le realtà in forme e con accenti diversi esemplificano la larga breccia aperta nel linguaggio della museografia dalla crescente attenzione per la memoria storica del territorio e dall'esercizio di una cultura della salvaguardia e della valorizzazione delle peculiarità paesaggistiche nel senso più ampio del termine, insieme alla consapevolezza sociale che il forte legame fra le espressioni dell'uomo e quelle dell'ambiente - naturale o antropico che sia - esige un giudizio storico unitario e quindi omogeneità di intenti nelle scelte programmatiche anche a livello di istituzioni culturali. La polisemia "positivamente" ineludibile di tale concetto colora di sfumature diverse l'identità di questi musei e ne contraddistingue la percezione del paesaggio trasmessa alla collettività locale e ai visitatori che attraverso la "lente-museo" acquisiscono gli elementi con i quali osservare e dare senso a ciò che li circonda.
Ed è proprio grazie ad uno strumento ottico - il canocchiale - ma anche con il sussidio di visite guidate e laboratori alla scoperta del territorio e orientate su temi di interesse geologico, che il Museo di Riolo invita a guardare in prospettiva e ad appropriarsi degli elementi distintivi del paesaggio faentino, alla radice stessa di una delle sue vocazioni. Un mosaico composto di molteplici aspetti naturalistici e culturali che ha il suo cuore nella dorsale della Vena del Gesso romagnola, un ambiente le cui caratteristiche così connotanti hanno certamente avuto notevole parte nell'opera dell'uomo, condizionandone le dinamiche e le scelte insediative, senza che ciò abbia peraltro preservato questa rilevante eco-realtà dalle devastazioni estrattive.
Il centro dell'attenzione nel Museo di Bagnara si sposta invece sugli uomini protagonisti e artefici dello sviluppo dinamico del territorio, uomini che hanno intrecciano un secolare colloquio con l'ambiente, modellandolo e conferendogli un inconfondibile volto, indagato non solo nel "chiuso" del tragitto museale, ma anche con la ricerca storica e l'indagine archeologica sul campo. Un museo compiuta "espressione" della comunità locale che ha letteralmente costruito nel tempo il proprio paesaggio culturale, vero palinsesto ove sono iscritti i segni delle molte evoluzioni insediative, sociali, economiche, storiche avvicendatesi nello spazio delle generazioni, sovrapponendosi le une alle altre, ciascuna delle quali non ha completamente cancellato la precedente, ma ha invece interagito con essa per dare luogo ad una componente fondamentale di questo paesaggio antropico, all'uso delle sue risorse, al raggiungimento di un equilibrio plurisecolare mantenuto sino al presente.
Due modi dunque di concepire e percepire il paesaggio e di proporlo a chi lo vuole comprendere, ma un unico fil rouge sostanziato dalla consapevolezza che lettura e interpretazione (qualunque ne sia la chiave), ovvero "conoscenza", rappresentano la sola strada percorribile per dar vita ad una tutela "attiva" del territorio e dei molti paesaggi che vi sono racchiusi.

Speciale Musei e Paesaggio - pag. 14 [2009 - N.35]

Il tema del mosaico è argomento di grande attualità anche per l'imprenditoria ravennate

Mario Petrosino, Greta Gabaglio - CNA di Ravenna, Sicis

Dal 2006 la CNA di Ravenna ha rilanciato con determinazione la questione del futuro del settore del mosaico, partendo dal punto di vista delle imprese che associa e impegnandosi in una serie di iniziative di successo, dal progetto Dal Museo alla Bottega, realizzato in collaborazione con il Museo d'Arte della città, attraverso visite guidate gratuite alla collezione dei "Mosaici moderni" al Mar e a botteghe artigiane cittadine, fino al Festival Europeo del Mosaico, appuntamento di respiro internazionale che ha fatto convergere su Ravenna tutto il mondo del mosaico internazionale.
La CNA ha seguito il dibattito sul futuro delle eccellenze scolastiche cittadine nel settore del mosaico, anche perché la vicenda ha innegabilmente una ricaduta sulla attività delle imprese del settore dell'artigianato artistico e in particolare dei laboratori che producono e restaurano il mosaico. Per la CNA è necessario mettere in campo un'iniziativa condivisa che coinvolga tutte le istituzioni, le scuole, le Fondazioni che si occupano della formazione dei mosaicisti, per costruire una strategia capace di coinvolgere le imprese di mosaicisti, che rappresentano uno sbocco naturale per il futuro professionale dei ragazzi; la CNA condivide, inoltre, l'obiettivo di realizzare una cittadella del mosaico, un luogo per le officine del mosaico con spazi espositivi per la valorizzazione delle opere.
Per questo è stato proposto da tempo di legare pochi, grandi obiettivi strategici per Ravenna: la candidatura a Capitale Europea della Cultura, il Parco Archeologico e la riqualificazione della Darsena di città, concentrando su questi luoghi le iniziative per proporre la nostra candidatura e realizzando in area Darsena la cittadella del mosaico. Ravenna possiede le potenzialità per caratterizzarsi come città del mosaico, antico e moderno: è necessario proseguire sulla strada percorsa dalla CNA, attivando giuste sinergie tra il Sistema Museale provinciale, il Centro Internazionale di Documentazione del Mosaico e le imprese.
Tra queste ricordiamo almeno Sicis, per l'idea vincente di esportare anche a livello internazionale il mosaico contemporaneo di qualità: il primo passo l'azienda l'ha fatto quando, nel 1987, ha deciso di dedicarsi al mosaico, concependolo non come semplice prodotto da rivestimento, ma come strumento di comunicazione, come espressione di tendenze, mode, stili di vita... Per Sicis le superfici sono da 'allestire', da trasformare in icone portatrici di segni e linguaggi del nostro tempo. E le tessere di mosaico, più di qualsiasi altro 'mezzo', se ne fanno interpreti, unendosi in infinite combinazioni cromatiche e decorative. Disegnando i contorni dell'architettura e degli spazi del vivere e dell'abitare.
Alla versatilità si unisce una creatività tutta italiana, che tocca la sfera delle sensibilità estetiche e dello stile, ma anche la profonda conoscenza dei materiali e l'irrinunciabile volontà di sperimentare, di andare oltre. Le possibilità estetiche spaziano in ogni direzione e si uniscono a una stesura del mosaico che pare artigianale, morbida come tessuto ma, in realtà, è il risultato di una capacità progettuale che tocca, prima di ogni cosa, gli aspetti tecnico-produttivi, spingendo la ricerca nei territori della tecnologia d'avanguardia.
In linea con questo dinamismo, ecco nuove e stimolanti sfide, come l'apertura del Flagship store di New York, dello Shop Within a Shop a Chicago, e quella degli shop in New Jersey e in Arizona, in linea con la filosofia aziendale di Sicis, di creare un sistema distributivo avanzato e ben organizzato, in grado di soddisfare richieste provenienti da tutto il mondo, tanto da essere previste a breve aperture anche in Germania, Francia, Austria e India.


Speciale Mosaico - pag. 14 [2009 - N.36]

Dal 1995 Brisighella è sede di un Museo dedicato a Giuseppe Ugonia

Clementina Missiroli - Insegnante

Il nucleo più consistente di opere del Museo Civico "Giuseppe Ugonia" di Brisighella è costituito dalle litografie del grande Maestro, nato a Faenza nel 1881 ma brisighellese di adozione. Ugonia infatti visse nel paese dei Tre Colli, dove era docente nella locale Scuola Comunale di Disegno per Arti e Mestieri, dal 1909 fino alla morte, avvenuta nel 1944.
Il Museo è sorto grazie alla donazione della vedova dell'artista, signora Elena Mignini, che alla sua morte nel 1985, lasciò alla comunità brighellese circa 400 opere del marito tra litografie, acquerelli e disegni, oltre al carteggio, alle sue riviste, nonché allo studiolo con il torchio litografico e altri oggetti di lavoro.
Per realizzare un'appropriata sede espositiva, il Comune di Brisighella ristrutturò l'ottocentesco palazzo della Pretura, nel centro storico del paese. Il Museo fu inaugurato l'11 febbraio 1995 con una mostra antologica del Maestro intitolata "Paesaggi". Da questa iniziativa prese avvio l'attività definitiva del Museo, il cui allestimento fu curato da Giorgio Cicognani. Gli spazi espositivi sono articolati su due piani. Mentre una sezione di arte antica, con opere provenienti dal territorio, occupa il secondo piano, il primo è interamente dedicato a Giuseppe Ugonia. Vi si possono ammirare le sue più belle litografie, alcune delle quali restaurate da Maria Paola Tella del Gabinetto Nazionale delle Stampe di Roma. Per garantire una conservazione ottimale, tenendo presente che le principali cause di degrado per le opere grafiche sono l'umidità, il calore e la luce, gli ambienti museali sono stati climatizzati a una temperatura costante tra i 18-20°, con un'umidità relativa fra il 50-60%, con un'esposizione alla luce a non più di 20 lux. A maggiore sicurezza, ogni opera esposta è dotata di pellicola protettiva aderente al vetro.
La visita ha inizio dallo studiolo, ricomposto in loco così come l'artista l'aveva vissuto nella sua casa. Qui sono conservati il banco da disegno, i colori, le matite, le pietre litografiche e il grande torchio con la ruota a stella, indispensabile strumento di lavoro. Segue l'esposizione delle litografie dove il soggetto più ricorrente è Brisighella, con i suoi angoli caratteristici, le sue chiese, il paesaggio circostante che Ugonia tanto amava. Si rimane sorpresi dalla delicatezza dei colli emergenti dalle foschie o sospesi nel bianco della neve, dalla vellutatezza dei colori, dalla luce catturata e restituita, dai suggestivi effetti notturni.
Questo legame privilegiato ed esclusivo con la sua terra non fu mai per l'artista un limite o causa di isolamento: Ugonia era attento ai movimenti artistici e culturali italiani e internazionali, perciò nelle sue opere si riconoscono i segni del liberty, dell'espressionismo, del divisionismo e del simbolismo. Il suo valore nel campo della grafica fu riconosciuto con importanti attestati quali l'ammissione al Senefelder Club, associazione dei più noti litografi del mondo. Le sue opere sono presenti nel Gabinetto Nazionale delle Stampe di Roma e agli Uffizi di Firenze, nel British Museum di Londra, a Washington, a Lipsia, a Ginevra, a San Francisco e in collezioni private.
Il lascito della signora Elena Mignini si è arricchito in seguito con la donazione di Silvio Morselli di Roma, circa mille opere di famosi incisori del XX secolo.
In una saletta, appositamente predisposta per consultare su richiesta i documenti e il carteggio conservati nell'archivio, è esposta una raccolta di cartoncini realizzati da Ugonia per varie ricorrenze in litografia, acquaforte e xilografia, oltre a 12 acquerelli preparatori di altrettante litografie sulla vita di S. Rita da Cascia.

Speciale grafica - pag. 14 [2010 - N.37]

L'approccio sensoriale e manipolativo al patrimonio del nostro passato del nostro passato del Museo Didattico del Territorio di S. Pietro in Campiano

Vanda Budini - Ispettore onorario Soprintendenza per i Beni Archeologici

Il periodo che va dalla seconda metà degli anni cinquanta alla seconda metà degli anni settanta del secolo scorso vide attuarsi profonde trasformazioni nei nostri territori di campagna. In quegli anni nel mondo agricolo si apportarono innovazioni che mutarono il nostro paesaggio e la struttura stessa delle case e delle famiglie contadine.
Ogni civiltà scomparsa è oggetto di studio, sovente solo secoli dopo la sua estinzione. Ai tempi di cui stiamo parlando si stava estinguendo la così detta civiltà contadina, con la sua cultura materiale e la lingua a essa connessa. L'utilizzo in agricoltura di potenti mezzi meccanici spalancava inoltre le porte di un mondo sotterraneo inesplorato: quello degli stanziamenti rustici dell'antichità, sommerso da secoli di depositi alluvionali, non così consistenti però da difenderli dai vomeri. Le antiche villae, le tombe romane, sconvolte dagli scassi per impiantare i frutteti, venivano divelte e disperse.
Fu in tali anni di mutamenti che a S. Pietro in Campiano, piccola località a sud di Ravenna, la Scuola elementare iniziò le raccolte di materiali etnografici e di reperti archeologici che costituirono il primo nucleo del Museo Didattico. L'opera di salvataggio intrapresa da questa comunità si concretizzò in un metodo didattico per avviare allo studio della storia. Ai piccoli ricercatori si affiancò successivamente un gruppo di volontari della Pro Loco Decimana, coordinati da un'insegnante della medesima scuola, che ricopriva il ruolo di Ispettore onorario della Soprintendenza per i Beni Archeologici. I volontari estesero le ricognizioni di superficie e i recuperi di reperti archeologici a tutte le campagne poste fra i fiumi Ronco e Savio.
Alla fine del secolo scorso le classi della scuola elementare a tempo pieno di S.Pietro in Campiano vennero trasferite in un vicino più moderno edificio e la vecchia scuola, per impulso del Decentramento Comunale, della Soprintendenza competente e dell'Istituto Comprensivo di S. Pietro in Vincoli fu adibita a Museo Didattico del Territorio, riunendo le raccolte di scolari e volontari.
Presso tale struttura nel 2000 vennero organizzati la mostra e il seminario di studi "In agro Decimano". L'iniziativa fece conoscere agli studiosi del settore l'importanza del nostro territorio e fu anche occasione di aggiornamento culturale per gli insegnanti delle nostre scuole. Negli anni scolastici immediatamente successivi, con il sostegno determinante degli Enti sopra citati, vennero proposti i Laboratori per le scuole ed i corsi di preparazione per gli insegnanti. Si ebbe da subito una notevole partecipazione, perciò qualche anno dopo si riallestì l'intera esposizione museale (mostra "Orme nei campi"), dedicando una particolare attenzione alla didattica.
Nei dieci anni di attività l'organizzazione dei laboratori ha avuto continuità e attualmente è affidata a RavennAntica, Fondazione per il Parco Archeologico di Classe, mentre la qualità della didattica viene controllata e verificata dagli insegnanti coordinati dall'Istituto Comprensivo di S. Pietro in Vincoli.
L'entusiasmo e la serietà con la quale lavorano le classi non è mai scemato: nell'anno in corso circa cinquemila ragazzi delle scuole del nostro Comune si sono cimentati nei metodi di produzione del passato, con gli strumenti dell'epoca. Abbiamo chiamato questo metodo didattico "fare storia con la storia". In tal modo ci proponiamo di favorire la valorizzazione del territorio, ma anche l'approccio allo studio e all'integrazione dei giovani studenti.
Pensiamo che tale esperienza possa essere divulgata in un circuito più ampio, come quello provinciale, perché siamo convinti che la conoscenza "vissuta", anche sensoriale e manipolativa, del patrimonio ricchissimo del nostro passato possa contribuire a formare una più diffusa responsabilizzazione alla sua conservazione. Crediamo inoltre che la nostra proposta di museo come "agenzia educativa" costituisca un'utile reinterpretazione del concetto stesso di Museo.

Speciale Rinnovo Sistema Museale - pag. 14 [2010 - N.38]

Le iniziative sinergiche dell'Open day in Romagna tra ricerca identitaria e patrimoni comuni

Giuseppe Masetti - Servizio coordinato Cultura e Giovani dell'Unione Bassa Romagna

A dieci anni di distanza dall'approvazione della L.R. 18/2000 "Norme in materia di biblioteche, archivi storici, musei e beni culturali" sicuramente di strada da percorrere ne resta ancora molta, ma qualche idea ispiratrice, tra i rispettivi ruoli programmatici, comincia a consolidarsi nelle buone pratiche d'autunno.

È il caso delle iniziative promosse in occasione dell'Open Day che in Romagna vengono organizzate da anni intorno al terzo week end di ottobre, per mettere in valore, e far conoscere ad un pubblico più ampio, servizi e patrimoni dei cosiddetti istituti culturali.

Dapprima iniziarono le biblioteche di base ad invitare gli utenti più giovani in compagnia dei genitori per una giornata speciale; poi la proposta si ampliò, coinvolgendo i musei e le biblioteche maggiori; infine, dalla metà di questo decennio, l'intera rete delle biblioteche ed il sistema museale cominciarono tutti ad essere "aperti con eventi" la terza domenica di ottobre.

La Provincia di Ravenna apparve subito come uno dei soggetti più convinti rispetto a questa proposta, che intendeva richiamare generazioni diverse e farle avvicinare al ricco patrimonio culturale disponibile anche nelle realtà minori; soprattutto si volevano portare in emersione i servizi di rete, cioè le opportunità che da ogni postazione consentono l'accesso alle banche dati ed ai servizi conseguenti alla buone politiche di interconnessione.

Mostrare i risultati di scelte strategiche, maturate due decenni fa, che oggi consentono, ad un territorio provinciale non vastissimo, un reale accesso paritario alle informazioni che contano. Tutto questo non va quasi mai sul giornale, non fa rumore, "come una foresta che cresce" ma induce ad un buon livello dei servizi, oggi considerati irrinunciabili: in realtà sono una delle applicazioni più responsabili e virtuose dell'art. 4 della suddetta L.R. 18/2000 che impegna le Province a valorizzare ed a sviluppare la cooperazione tra gli istituti culturali.

Un'esperienza ancora più convinta in questa direzione è stata promossa da alcuni anni a questa parte dall'Unione dei Comuni della Bassa Romagna: nove amministrazioni associate con 103.000 abitanti distribuiti in realtà medio-piccole. A partire dal 2006 l'Open Day di ottobre è stato promosso qui, insieme, da biblioteche, musei ed archivi storici, che spesso in provincia convivono sotto uno stesso tetto.

L'individuazione concordata di un tema condiviso, ha prodotto ogni anno un'indagine approfondita sui documenti meno noti, su bibliografie tematiche, sul patrimonio di beni culturali diffusi nel territorio esterno ai luoghi di cultura, offrendo un fil rouge che impegna tutti, operatori e cittadini, a riconoscere anche le specificità dei comuni limitrofi. Il lavoro svolto viene raccolto in una piccola pubblicazione distribuita gratuitamente ai visitatori dell'Open Day, ma soprattutto serve a testimoniare la passione e la capacità di produrre risultati concreti di valorizzazione e non solamente servizi al pubblico.

Quei piccoli fascicoli di trenta pagine, che negli anni si sono occupati di corsi d'acqua, di memorie garibaldine, di comitati civici e tradizioni produttive, e quest'anno del 150° dell'Unità nazionale, ci dicono che, anche lavorando in settori disciplinari di specialità, è possibile uscire dai propri ambiti di rigorosa competenza, collaborare in maniera disinteressata, alla ricerca di identità e patrimoni comuni, che sono un bene, prezioso oramai quanto l'aria e l'acqua, di cui si avverte l'importanza solo quando scompaiono dalla nostra disponibilità.


Speciale Convergenza Musei Biblioteche e Archivi - pag. 14 [2010 - N.39]

A Castel Bolognese alcuni percorsi integrati tra medaglie "portafortuna" e olografie su Vittorio Emanuele promuovono nuovi materiali nelle raccolte dei due istituti culturali

Valerio Brunetti - Responsabile Museo Civico di Castel Bolognese

Le celebrazioni del 150° anniversario dell'Unità nazionale hanno fornito l'opportunità, a Castel Bolognese, per una collaborazione sinergica tra il Museo Civico e la Biblioteca Comunale "L. Dal Pane". Le due istituzioni culturali hanno messo in cantiere, in maniera coordinata, all'interno delle proprie strutture, alcuni percorsi guidati di orientamento sulle raccolte esistenti al fine di portare l'utente a concentrare l'attenzione sui materiali relativi al Risorgimento.

Un'operazione semplice, volta a valorizzare quello che è gia presente nelle vetrine e tra gli scaffali. Fortunatamente entrambe possono anche offrire nuovi materiali inerenti alle tematiche di questo anniversario. Nel Museo, nella collezione permanente, sono già presenti da tempo materiali attinenti al periodo risorgimentale come la piccola statua in bronzo di Vittorio Emanuele e il tricolore Sabaudo, che insieme ai numerosi cimeli appartenuti a garibaldini castellani, tra cui una sciabola, un cappello, un fazzoletto rosso, un paio di ghette, e poi medaglie, coccarde, tessere e fotografie di quel periodo, costituiscono uno dei nuclei più significativi della sezione locale.

Recentemente si sono aggiunti un interessante elmo da guardia civica, identico a quello rappresentato nel manuale "Regolamento per le vestimenta ed armamento della Guardia Civica nello Stato Pontificio" stampato a Roma nel 1847, e una curiosa foto autentica di Garibaldi, rappresentato in piedi e avvolto in un mantello, di fianco a una sedia su cui è appoggiato il suo berretto, che tiene un sigaro tra le dita. Questa è una delle tante foto del condottiero che circolavano in quegli anni: proprio grazie alla diffusione della fotografia Garibaldi vide crescere la sua popolarità. Oltre a questi oggetti, anche un interessante medaglione in lega, coniato a Parigi nel 1844 dagli esuli italiani in memoria dell'eccidio dei fratelli Attilio ed Emilio Bandiera, fucilati a Cosenza nel luglio dello stesso anno. È opera dello scultore David d'Angers, mentre il conio è stato realizzato dal Rogat. Questa medaglia era divenuta una specie di "porta fortuna" per gli affiliati alla Giovane Italia di Mazzini.

Non da meno sono i materiali che la Biblioteca affianca al percorso bibliografico sulla storia, personaggi, scrittori e artisti del Risorgimento italiano. Sono alcune opere d'arte da poco tempo acquisite, relative proprio al tema trattato. Sarà così possibile ammirare due splendide oleografie ottocentesche di V. Malinverno, raffiguranti una "Incontro di Garibaldi con Vittorio Emanuele a Cajanello, Teano", l'altra "Vittorio Emanuele a Vignale", tratte dagli affreschi di Pietro Aldi realizzati nel 1886 nella Sala del Risorgimento del Palazzo Pubblico di Siena. Vi sono inoltre due litografie dei Fratelli Terzaghi, del 1861, che rappresentano lo sbarco di Garibaldi a Marsala e la battaglia di Volturno. A queste si aggiunge una piccola litografia acquerellata del Rossetti, realizzata intorno al 1860-61, titolata "Morte di Annita", che raffigura Garibaldi che, aiutato da un compagno, trasporta la moglie morente in un casolare.

Da questa collaborazione un percorso coordinato, rivolto anche a incuriosire il pubblico alle novità del patrimonio museale e bibliografico locale, teso a risvegliare, in questa occasione, interessi e curiosità culturali, spesso sopiti, come auspicava anche l'ultimo convegno "Scuola e Museo", promosso dalla Provincia di Ravenna nel dicembre scorso, sulle sinergie tra musei e biblioteche. Inoltre a Castel Bolognese, le celebrazioni del 150° si arricchiranno in ottobre della mostra "I castellani combattenti per l'Unità d'Italia nel Risorgimento", curata da un gruppo di ricercatori locali, che prenderà in esame la numerosa, e atipica, partecipazione di volontari castellani alle imprese del Risorgimento.


Speciale 150° Anniversario dell'Unità d'Italia - pag. 14 [2011 - N.40]

Bagnacavallo "ripensa" il museo per fornire una chiave di lettura più netta e ragionata delle collezioni

Diego Galizzi - Conservatore Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo

Con l'inaugurazione il 12 marzo scorso del nuovo allestimento della Sezione d'Arte Antica del Museo Civico delle Cappuccine è probabilmente iniziata la fase della piena maturità del museo bagnacavallese. Dopo un lungo periodo, iniziato con la sua fondazione nel 1976, in cui le priorità sono state dettate soprattutto dalla necessità di trovare un adeguato ricovero a una fetta importante del patrimonio artistico della città, a cui si sono nel tempo sovrapposti legati e donazioni di varia natura ed entità, ora il museo può dare avvio a una nuova stagione caratterizzata dalla volontà (e dalla necessità!) di ripensare la propria politica espositiva in virtù di un patrimonio artistico che ormai può considerarsi consolidato e storicizzato, per la comprensione del quale si vuol ora fornire ai visitatori una chiave di lettura più netta e ragionata. Non si è trattato dunque di un semplice restyling della pinacoteca antica ma di molto di più, benché il "pretesto" per iniziare il riallestimento, che ha provocato necessariamente la chiusura delle collezioni permanenti per una decina di mesi, sia stata la realizzazione del nuovo impianto illuminotecnico delle sale. L'intervento, reso possibile anche grazie anche al contributo dell'Istituto per i Beni Culturali dell'Emilia-Romagna, ha portato alla sostituzione del vecchio, invasivo e poco adatto impianto a luce diffusa con dei corpi illuminanti alogeni di recente concezione in grado di valorizzare maggiormente i colori e, particolare non secondario, con tecnologia a risparmio energetico.
Ovviamente nell'attuare questo progetto non si poteva prescindere dalla revisione delle schermature delle finestre, dai colori presenti nelle sale o dalle collocazioni delle opere nello spazio. Da qui la scelta di approfittare di questa occasione per ripensare da capo il "senso" stesso del percorso espositivo, dapprima focalizzandoci su che tipo di storia volevamo raccontare al nostro visitatore ideale, selezionando poi le opere che meglio potevano testimoniare questo racconto e così via. L'obiettivo si è spostato dunque da una più decorosa e fruibile esposizione delle nostre collezioni antiche alla trasformazione della pinacoteca da un luogo in cui si esponevano semplicemente i pezzi artistici più pregiati del museo, spesso poco legati l'uno con l'altro, in un luogo che vuole raccontare una vicenda, che è quella del territorio bagnacavallese, così ricco di tradizioni storiche, artistiche e religiose. Per sottolineare questo nuovo filo conduttore grande attenzione è stata prestata alla cura della didattica di sala, redatta in italiano e in inglese, che in ogni momento fornisce ai visitatori una chiave di lettura ai pezzi esposti. Particolare evidenza è stata data ad alcuni dei pezzi più qualificanti del museo, come la splendida pala rinascimentale con la Madonna col bambino in trono e Santi di Giovan Battista Ramenghi, detto il Bagnacavallo Senior, lo Sposalizio mistico di Santa Caterina attribuito a Girolamo da Cotignola, o la Pietà e Santi del pittore tardo-manierista Andrea Lilio.
In questi casi, quando cioè si vogliono rivestire di nuovi e più definiti significati le raccolte museali, all'attività di riallestimento si accompagna un lavoro di ricerca e di revisione delle schede catalografiche dei pezzi da esporre, lavoro che ha portato a risultati di notevole importanza, a volte anche sorprendenti. Sono così spuntate le risposte ad alcune problematiche attributive che in passato non si era riusciti a sbrogliare, a volte grazie alla ricerca in archivio, come nel caso della bella pala con i Santi Crispino e Crispiniano, opera commissionata tra fine Sette e inizio Ottocento dal benefattore locale Domenico Forni, che dalla tradizionale attribuzione alla bottega bolognese dei Gandolfi, che peraltro ha sempre suscitato non poche perplessità, si è potuta finalmente ricondurre alla mano del pittore romano Pietro Labruzzi, artista di buone qualità noto anche per aver realizzato il ritratto di Giovanni Battista Piranesi esposto nel Museo di Roma di Palazzo Braschi.
In futuro è intenzione del Museo proseguire il progetto di riordino delle collezioni andando a coinvolgere anche la Sezione d'Arte Moderna e Contemporanea, oggi caratterizzata dalla presenza forse un po' disordinata di opere sedimentate da decenni di mostre e donazioni, che ora vorremmo far oggetto di una lettura nuova e, se possibile, originale. Visti i tempi, speriamo non rimanga solo un auspicio.

Speciale nuovi allestimenti museali - pag. 14 [2011 - N.41]

Al Museo Baracca di Lugo numerosi lasciti evocano simboli e nessi storico-culturali

Daniele Serafini - Direttore Museo Francesco Baracca di Lugo

Il regolamento del Museo Baracca, approvato nel 2008, contiene un riferimento esplicito alle donazioni, laddove impegna la direzione a favorire l'incremento del patrimonio tramite donazioni di beni di effettivo interesse, lasciti, depositi ed acquisti coerenti con le proprie finalità e con la tipologia delle proprie collezioni. Il Museo lughese si è mosso coerentemente con questa ispirazione, cercando di sensibilizzare l'opinione pubblica e i propri visitatori, affinché siano partecipi di un progetto di crescita delle collezioni, nella convinzione che esista ancora del materiale di pubblico intereresse relativo a Baracca o alla vicenda dell'aviazione nel primo conflitto mondiale negli archivi di collezionisti, familiari, dei protagonisti di quell'epoca o di semplici appassionati. Così in parte è stato e ci auguriamo che possa continuare ad essere.

Una donazione di particolare rilievo, anche per il suo valore simbolico e per gli affascinanti collegamenti storico-culturali di cui è portatrice, è quella di Johannes Walenta, storico e collezionista viennese che, in contatto da alcuni anni con la direzione del Museo per motivi di ricerca, ha voluto festeggiare i suoi settant'anni donando una magnifica giubba da ufficiale da Dragone della Cavalleria austro-ungarica, appartenuta al Barone Paul von Verstel, pilota dell'aviazione austriaca. La donazione Walenta è stata molto apprezzata dalla cittadinanza, anche perché costituisce una sorta di gemellaggio nel nome della riconciliazione fra popoli un tempo divisi dal conflitto, oltre che un gesto umano che denota la generosità del donatore, l'amore per la storia del suo e del nostro paese.

Fortemente evocativa è la figura del Barone von Ferstel che - cresciuto in una casa dell'alta borghesia nella Vienna di inizio Novecento - si laureò dopo la guerra ottenendo il titolo di ingegnere e si sposó nella Votivkirche, eretta dal nonno Heinrich von Ferstel (1828-1883), con Ellen Gertrude Schoeller. Da questa unione nacquero due figlie, delle quali la più giovane, Charlotte Wittgenstein, sposò il nipote del famoso filosofo. La vita del giovane Barone Paul é stata sicuramente influenzata dall'ambiente familiare borghese della famiglia di industriali e architetti Ferstel, innanzitutto da suo nonno. Degli edifici costruiti dallo stesso intorno alla famosa Ringstraße a Vienna è il caso di elencare quelli piú conosciuti: la Votivkirche; l'edificio della banca e della borsa nella Herrengasse ("Palais Ferstel") dove si trova il famoso "Café Central"; l'Università di Vienna, dove insegnò Freud; il Museo dell'Arte e dell'Industria (oggi MAK); il Palazzo dell'Arciduca Ludwig Viktor; il Palazzo Wertheim, entrambi sulla piazza Schwarzenberg.

Altri gesti di simpatia nei confronti del Museo sono venuti, negli ultimi tempi, dalla Famiglia Visani, con le sorelle Giulia, Artemisia e il fratello Paolo, eredi della nota famiglia di artisti locali Paolo, Domenico, Giulia, Veronica e Carlo, attivi tra la seconda metà dell'Ottocento e la seconda del secolo scorso, i quali hanno donato fotografie, giornali e un ritratto in olio su terracotta di Domenico Visani raffigurante Francesco Baracca; da Anita Cattani, che ha donato quattro medaglie commemorative di Baracca e tre cartoline commemorative con aerogramma emesso in occasione del 50° anniversario della morte dell'Asso.

La Famiglia Bartolotti di Lugo, quale erede dell'ingegnere Alessandro Gaffarelli, in ossequio alle volontà dello stesso, ha fatto dono al Museo della sezione aeronautica della sua biblioteca, composta da 185 tra volumi, riviste e stampe, avente come oggetto l'aeronautica, con particolare riferimento alla prima guerra mondiale e allo stesso Baracca. Materiale, quest'ultimo, che è parte del Centro di Documentazione costituito lo scorso anno con sede presso la Biblioteca Trisi e che da poco ha superato i cinquecento volumi, disponibili per consultazione previo appuntamento. I coniugi Sciacca di Mantova, in occasione del 90° anniversario della morte di Baracca, hanno messo a disposizione del Museo il cuscino del seggiolino di pilotaggio dell'ultimo, tragico volo dell'Asso degli Assi, mentre più recentemente Maria Giovanna Nuccorini e Marcello Savini hanno contribuito alla crescita del patrimonio del Museo con la donazione di alcuni cimeli appartenuti al padre della signora Giovanna.

Testimonianze, queste elencate, di simpatia e di sostegno al Museo di cui non possiamo non andare fieri, anche perché denotano un'attenzione e un apprezzamento del nostro lavoro che è sicuramente uno stimolo per perseverare nello sviluppo delle ricerche e dei contatti.


Speciale Donazioni Museali - pag. 14 [2011 - N.42]

Il Museo del Sale di Cervia offre un fantastico viaggio nel mondo dell'uomo e del suo rapporto con la terra e il mare

Annalisa Canali - Direttrice MUSA. Museo del Sale di Cervia

Il legame col mare è presente sin dall'ingresso del Museo, rappresentato da una tenda dipinta con i colori e disegni tipici delle vele della antica marineria locale. Ancora una vela tradizionale fa da sfondo al ponticello che si inarca sul plastico del territorio. Il disegno, che rivela una superficie occupata in gran parte dalle acque del mare e delle saline, induce a comprendere quanto importante fosse per la popolazione saper convivere ma soprattutto dominare la potenza e sfruttare le potenzialità delle acque.
Fin dalle sue antiche origini la città è legata all'area salmastra e paludosa delle saline. Sia a Ficocle (primo insediamento) sia nella Cervia vecchia gli abitanti vivevano circondati dalle acque. Risale solo al XVII secolo la costruzione della Cervia attuale sul mare. Il trasferimento avvenuto dal 1698 è dettato da esigenze sanitarie poiché la malaria stava decimando la popolazione locale e mettendo a serio rischio la produzione del prezioso "oro bianco". Fu il Papa Innocenzo XII a dare il consenso per lo spostamento dell'intera città. Il trasferimento dei beni personali nonché del materiale da costruzione derivante dallo smontaggio della vecchia città, avvenne sulle burchielle, le tipiche imbarcazioni in ferro e a fondo piatto normalmente usate per il trasporto del sale, lungo i canali delle saline e del porto.
Nella prima sala del Museo un grande pannello mostra il progetto della Cervia Nuova, affacciata al mare e circondata dalle case dei salinari che fungevano da mura difensive. Nella sala adiacente, la burchiella domina lo spazio. È il simbolo della produzione e del commercio del sale. La barca solcava i canali delle salina e trasportava il prezioso carico di sale fino ai magazzini e al mare. In questa sezione MUSA mette in primo piano il lavoro dell'uomo attraverso grandi immagini fotografiche dei salinari al lavoro e della rimessa. Strumenti e attrezzi in legno sono esposti a testimonianza del duro lavoro dell'uomo. Un grande video illustra il rapporto fra la storia della salina e la storia della città. Il percorso prosegue su un'area in corso di realizzazione che approfondisce il rapporto della città con il mare nello sviluppo della pesca, ma anche della balneazione e conseguentemente del turismo. In primo piano anche la realtà agricola che ha visto un'importante opportunità di sviluppo nelle opere di bonifica del territorio, e ancora un intreccio della realtà territoriale con tradizioni e feste religiose quali lo Sposalizio del Mare o la festa di San Lorenzo, sempre legati al mare.
Sezione all'aperto di MUSA è la salina Camillone. Qui la magica trasformazione dell'acqua di mare in condimento per i cibi avviene ancora con il metodo antico della raccolta multipla. Gli strumenti utilizzati sono gli stessi in mostra nelle sale del Museo e i procedimenti quelli dettati dalla sapienza tramandata nei secoli, di generazione in generazione. Nel periodo estivo si svolgono visite guidate e Salinaro per un Giorno, opportunità quest'ultima di calarsi nei panni del salinaro e di vivere una giornata di attività nella salina. Ma il più importante evento della tradizione cervese è sicuramente Sapore di Sale, una festa tutta dedicata all'identità. Fra i numerosissimi eventi del secondo week end di settembre (dal 7 al 9 settembre per il 2012) spicca la rievocazione storica della antica rimessa del sale. La burchiella torna a essere protagonista trasportando come un tempo il sale prodotto nella salina Camillone dalle saline fino ai magazzini, trainata a spalla dai salinari, con una resta (fune), lungo gli argini dei canali. L'arrivo è di nuovo una grande festa ma il sale anziché essere stivato nei magazzini viene distribuito al pubblico con l'augurio di fortuna e felicità. Gli antichi rapporti con Venezia sono invece ricordati da manifestazioni quali lo Sposalizio del mare, durante il quale i salinari prendono parte al corteo e la Rotta del sale, manifestazione evocativa delle antiche rotte del commercio dove i salinari sono fra i grandi protagonisti.
Se per Cervia e le sue località il turismo oggi rappresenta la principale fonte di guadagno, l'imprenditoria locale ancora una volta deve il proprio successo alla attività dell'uomo e al suo rapporto con le acque.

Speciale Musei e acque - pag. 14 [2012 - N.43]

Creare reti intercomunali di competenze per una gestione di qualità del patrimonio culturale in tempi di spending review

Roberto Balzani - Docente di Storia Contemporanea - Università di Bologna

Un fantasma si aggira per l'Italia: quello del drastico ridimensionamento della pubblica amministrazione. Necessitata dalla congiuntura finanziaria, ritardata da un ceto politico in cerca di consenso, ostacolata da una giungla normativa impenetrabile, la riforma degli enti locali rischia tuttavia di travolgere pezzi non indifferenti di quelli che sono di regola chiamati "beni comuni". La risposta che viene dal basso, in questi casi, è funzionale alla resistenza dei notabilati politici: indignazione e rigetto. Ma è, credo, la strada sbagliata. Perché ciò che oggi accade nel nostro paese va accadendo da circa un ventennio in altre nazioni d'Europa: Regno Unito, Germania, Danimarca, Francia... La ridefinizione dei poteri locali in funzione di una spesa pubblica da riclassificare, al netto della polemica anti-casta, risponde ad un processo storico, seguito all'affievolirsi del welfare State, trionfatore dei processi d'integrazione e d'inclusione sociale durante il trentennio 1945-75. Inutile soffermarsi sulle ragioni della rapidissima perdita di centralità degli Stati-nazione europei: basti qui ricordare che, con il venir meno di quote di Pil, se ne va pure la possibilità d'intervenire direttamente, da parte del pubblico, in una miriade di settori prima comunque sostenuti. E il settore del patrimonio culturale è uno di questi.

Per la verità, anche nei momenti d'oro e nonostante la perdurante retorica sul "petrolio d'Italia", non è che a questa particolare categoria di "beni comuni" sia mai stata riservata grande attenzione a livello di spesa: certo, oggi la soglia d'attenzione pare ampiamente raggiunta e superata. Se il Mibac piange, gli enti locali non ridono. Le regioni riducono enormemente gl'interventi diretti, limitandosi a finanziare strutture che possono offrire ormai solo capitale umano (pensiamo alla consistente contrazione di quanto erogato dalla Regione Emilia-Romagna nell'ultimo triennio per restauri, catalogazioni, ecc.), mentre comuni e province annaspano in un mare in tempesta per tutelare il patrimonio diffuso sul territorio. Se non vi fossero le Fondazioni di origine bancaria, che al settore "arte e cultura" dedicano in media un terzo delle erogazioni (dato nazionale), sovente la stessa parola "valorizzazione" rischierebbe di diventare desueta.

Il quadro non è consolante, ma neppure la deprecatio temporum può portare molto lontano. Bisogna cercare soluzioni praticabili che abbiano come fine la compatibilità finanziaria, la tenuta di una qualità professionale in capo al pubblico e l'integrazione fra territori e attori sociali attivi sul campo. Bisogna partire, anzitutto, da quello che c'è e che funziona. Prendiamo, ad esempio, la rete bibliotecaria costruita a partire dai processi d'informatizzazione del patrimonio librario nella provincia di Ravenna (e poi estesasi in Romagna): siamo di fronte ad un'infrastruttura che,  correttamente implementata, potrebbe produrre economie di scala ancora più forti, specie se il nucleo dei professionisti coinvolti fossero incardinati a livello di territorio vasto. Anche uno strumento come quello sul quale mi state leggendo è un'impresa culturale non banale, che non ha riscontro in province vicine: ed è una risorsa raffinata, un magnete intellettuale potenzialmente rilevante.

Io credo che, anche per ciò che concerne il sistema museale dei maggiori centri romagnoli, sia indispensabile identificare un percorso di co-gestione inter-municipale, tarato sulla valenza culturale e sulla reale possibilità d'integrare le operazioni di tutela e di valorizzazione: solo così sarà possibile non perdere, nei prossimi anni, profili professionali che oggi i comuni non sono in grado di rimpiazzare a livello di reclutamento. E non parlo solo di dirigenti: spesso il "buco" si estende ai "D" o alle "posizione organizzative", generando carenze paurose proprio in relazione a quelle funzioni specialistiche decisive per la catalogazione, per la conservazione, per la programmazione della tutela, delle esposizioni, delle attività didattiche. Non abbiamo di fronte a noi molto tempo: la perdita di professionalità genera fatalmente incuria e abbandono ed un'amministrazione, travolta dai concitati ritmi quotidiani, può dimenticarsi d'interi settori "meno esposti" rispetto alla domanda dei cittadini, affidandosi tutt'al più ai finanziatori privati per le necessarie operazioni di "visibilità" (come si dice in gergo). Mi accorgo che anch'io, da sindaco, ho operato, sia pure involontariamente, in questo senso: non sono riuscito a tamponare i bisogni essenziali (in questo caso di progetto) del settore culturale se non dopo diverso tempo, affidandomi al buon cuore e alla passione di chi è rimasto sulla linea del fronte a tenere in efficienza per quanto possibile i servizi. Ma si tratta di una lotta impari contro la clessidra: a meno di scelte radicali come quella cui ho testé accennato, il ritiro del pubblico dal settore della gestione del patrimonio culturale sarà di fatto inevitabile. Dico "gestione", perché questo è il tasto dolente: mentre, infatti, almeno finché vi sono stati adeguati finanziamenti (2008), gl'interventi sul recupero di immobili, sui restauri, sul decoro urbano immaginato come ripristino di un'imago urbis impaginata dal patrimonio non sono mancati, la formazione e il reclutamento del capitale umano sono stati in genere assai più episodici e casuali, e non hanno tenuto conto, salvo rari casi (penso in positivo alla Bim di Imola come esempio di un equilibrato percorso fra recupero immobiliare e qualità della gestione), dell'approvvigionamento di specialismi non fungibili, fra l'altro bisognosi di training tutt'altro che banali per dispiegare appieno le proprie competenze.

Di qui appunto l'idea di mettere in comune, in forme tutte da studiare, una parte almeno dei "professionisti del patrimonio", in modo da tutelare chi tutela e di dare continuità ad una piccola schiera di competenti, afferenti a pubbliche istituzioni, mettendoli al riparo da un duplice rischio: il depauperamento progressivo generato non solo dalla spending rewiew, ma anche dall'oggettiva  marginalità dell'oggetto "patrimonio" in seno alle pubbliche amministrazioni, e la deriva del privato, attratto dalle seduzioni della valorizzazione più che dalla faticosa e umbratile quotidianità della conservazione.

Esiste, infine, un'ulteriore considerazione che milita a favore dell'estensione del territorio del patrimonio rispetto ai confini a noi noti: il valore di agente di socializzazione svolto dai beni culturali e paesaggistici nelle nostre comunità, oggi frammentate, distratte e litigiose. Venute meno le appartenenze ideologiche e le idolatrie consumistiche; affievolitisi i linguaggi collettivi a vantaggio di percorsi egoistici ed autistici al limite della decifrabilità, sono pochi, pochissimi i contesti nei quali le generazioni si possono di nuovo incontrare, i ceti mischiarsi, le professioni e i mestieri cedere al cospetto di idee e di rappresentazioni ancora in grado di stupire. Ebbene, patrimonio e paesaggio sono tuttora capaci di generare questa magia, senza spese enormi e senza effetti speciali. Basta "accenderli". Facciamolo.

Speciale Sistemi Culturali Locali - pag. 14 [2012 - N.45]

Un'importante sepoltura di un guerriero umbro nel nuovo percorso espositivo per i 30 anni del Museo

Valerio Brunetti - Responsabile Museo Civico di Castel Bolognese

Il Museo Civico di Castel Bolognese compie trent'anni. Nato nel 1983 nei locali dell'ex ufficio postale come Antiquarium per dare finalmente esposizione a una serie di importanti ritrovamenti archeologici effettuati sul territorio comunale nella seconda metà degli anni settanta, vide rapidamente crescere le proprie collezioni grazie ai nuovi materiali, principalmente medievali, restituiti dagli scavi effettuati nel centro storico negli anni successivi.
Questa struttura fu affiancata nel 1988 dalla Sala Giovanni Piancastelli, una piccola pinacoteca ricavata all'interno del municipio destinata principalmente alla conservazione delle opere dell'artista castellano presenti nel patrimonio pubblico.
Divenuti disponibili i locali dell'ex asilo infantile e ridimensionato, purtroppo, il progetto che prevedeva spazi museali nell'intera struttura, ecco nel 1999 il nuovo Museo civico per unire le raccolte delle due realtà espositive castellane in un unico contenitore con un nuovo allestimento diviso in tre sezioni: archeologica, artistica e storica locale. Da quel momento le tre sezioni sono continuamente cresciute. Acquisizioni e nuove e corpose donazioni nella sezione artistica ed in quella locale, inserimento di nuovi reperti nella sezione archeologica, dovuto principalmente ai sei anni di stage estivo del corso di restauro che hanno permesso di recuperare alle collezioni vari reperti provenienti dai depositi che non erano mai stati ricomposti o restaurati. Nel corso degli anni sono state aggiunte alla sezione archeologica anche alcune vetrine per contenere i nuovi materiali, non modificando però l'originale percorso progettato al momento dell'apertura. Un riordino di questa sezione, sempre posticipato, prende ora forma grazie all'esigenza di un nuovo importante inserimento nelle raccolte. Nel 2011 è stata rinvenuta sul territorio di Castel Bolognese una tomba a inumazione di un guerriero, databile tra il VII e il VI secolo a.C., ascrivibile alla cultura dei popoli Umbri. Lo scavo ed il successivo cantiere di restauro, diretti dalla dott.ssa Monica Miari della Soprintendenza Archeologica dell'Emilia-Romagna hanno permesso di recuperare un significativo corredo costituito da oltre una dozzina di importanti forme ceramiche tra cui un dolio, olle, tazze, coppe, una scodella a quattro anse su alto piede, un kantharos e anche un microvasetto tipo Grotta del Re Tiberio. Oltre alle ceramiche, in origine impilate tra loro e disposte allineate su un fianco del defunto, anche otto oggetti in metallo tra cui punte di lancia e giavellotto, fibule e un coltello.
Tutti questi materiali, restaurati grazie ai finanziamenti messi a disposizione dal gruppo SNAM, nel cui cantiere per la posa di un metanodotto è stata rinvenuta la tomba, e dal Comune di Castel Bolognese, sono in corso di studio e se ne prevede la prossima presentazione all'interno di una grande vetrina realizzata appositamente che permetterà l'esposizione permanente dell'intera sepoltura completa dello scheletro e del relativo corredo.
Una testimonianza importantissima che, oltre ad accrescere localmente la scarsa documentazione archeologica relativa a questo periodo storico presente attualmente nel museo, potrà rappresentare un significativo punto di riferimento per la conoscenza della presenza e diffusione delle popolazioni Umbre sul territorio romagnolo.
L'occasione dell'inserimento di questo nuovo elemento permette ora di effettuare l'auspicato aggiornamento del percorso all'interno della sezione archeologica, dove si sta provvedendo con l'attiva collaborazione dei funzionari della Soprintendenza Archeologica alla revisione e all'integrazione dell'originario materiale didattico e illustrativo con le informazioni relative ai nuovi materiali acquisiti. I lavori sono in corso e se ne prevede la conclusione nei prossimi mesi.

Speciale Allestimenti Museali - pag. 14 [2013 - N.46]

Le molteplici donazioni al Museo  del Senio di Alfonsine escono dal deposito per mostrarsi periodicamente al pubblico

Antonietta Di Carluccio - Direttore Museo della Battaglia del Senio di Alfonsine

Le suggestioni di un piccolo museo passano attraverso la quantità di racconti, oggetti, messaggi che può offrire al visitatore ma anche dalla capacità di stupire con richiami nuovi.
Spesso però gli spazi non consentono di mostrare per intero le collezioni, le nuove acquisizioni e le preziosissime donazioni.
Per un Museo come quello della Battaglia del Senio, infatti, le donazioni sono, oltre che linfa vitale, il segno del riconoscimento come luogo di conservazione della memoria che ne fanno le persone, la realtà circostante. Per coloro che possiedono oggetti, di valore economico anche modesto ma di valore affettivo ed evocativo inestimabile, l'idea della separazione per consegnarli al museo equivale al "riconoscere" il museo e, nel contempo, a mostrare il desiderio di condividere il ricordo. L'atto del separarsene è reso possibile dall'idea di "consegnare" il ricordo a tutta la comunità, di renderlo più vivo ed intenso proprio in quanto condiviso.
Fare una donazione al museo significa, dunque, riconoscerne la vocazione alla conservazione ed alla valorizzazione, ed è quindi un atto di fiducia. Questo atto di fiducia del donatore richiede però al museo una seria accettazione di responsabilità che passa anche attraverso la visibilità e fruibilità dell'oggetto, del reperto o del suo messaggio. Non è possibile dare immediata visibilità a tutte le nuove acquisizioni, a tutti i nuovi oggetti, come il donatore vorrebbe. La richiesta di visibilità è forte. Come soddisfarla?
La rotazione degli oggetti delle collezioni dal deposito alle sale espositive è una prima risposta a questa esigenza. La possibilità di visita ai depositi, almeno per i ricercatori, è un'altra possibile risposta. Ci siamo resi conto però che occorreva qualcosa di più evidente, un mostrare più ampio, una "vetrina" grande, disponibile, fruibile ed, appunto, utile al conservare ed al raccontare in modo condiviso. Occorreva un momento interamente dedicato a questa ricchezza troppo spesso nascosta.
Da questa esigenza sono nati una mostra temporanea, allestita nella Galleria del Museo durante il periodo di maggiore frequentazione dello stesso, la primavera, ed un catalogo da offrire in parallelo e ad integrazione del catalogo del Museo.
La mostra temporanea "Il Museo mai visto" ha consentito di esporre una quantità di oggetti, parte di collezioni, tutti provenienti da donazioni, che altrimenti non avrebbero potuto trovare spazio nelle sale permanenti. Ed attraverso il catalogo, creato a corredo della mostra, è stato possibile rendere sempre viva la possibilità di sbirciare oltre le teche e le vetrine, fin dentro il deposito, pulsante di vita e suggestioni esso pure.
Per la realizzazione della mostra e del catalogo sono stati preziosi la passione e la competenza del conservatore del museo Marco Serena e della esperta di fotografia Serena Sandri; il connubio di queste competenze ha consentito di portare rigore scientifico e passione, tecnica e suggestione in entrambe le esperienze.
A seguito della mostra, inaugurata il 10 aprile 2007, in concomitanza con il nuovo allestimento permanente del Museo, abbiamo ricevuto ulteriori ed importanti donazioni.
Dalla stagione della rotazione e dell'esposizione nasce sempre più forte il sogno di un maggiore spazio per il racconto, di una ulteriore sala espositiva permanente. Nel frattempo, l'estensione dello spazio attraverso mostra e catalogo ci ha consentito di rispettare il patto fatto con i donatori. Vogliamo continuare ad essere il luogo di conservazione e valorizzazione di una memoria importante, che deve essere sempre meno intima e sempre più condivisa.
Anche attraverso un fregio, una mostrina, una gavetta militare, un cancello si raccontano una vita, una speranza, il desiderio di uscire dalla guerra e tornare a vivere. Ed in questo particolare momento può servire a ricordare a tutti che anche dalle crisi più cupe si può uscire.


Speciale Depositi museali - pag. 14 [2013 - N.47]

La ricca varietà dell'offerta museale caratterizza il sistema provinciale di Rimini

Anna Rita Biondi, Luca Vannoni - Ufficio Cultura Provincia di Rimini

Il Sistema Museale della Provincia di Rimini, attivo dal 1993, è attualmente composto dai seguenti 38 musei presenti in tutte le varie zone del territorio.
Riviera: Museo della Regina di Cattolica; Museo del Territorio e Galleria d'arte moderna e contemporanea Villa Franceschi di Riccione; Museo della Città e Domus del Chirurgo, Museo degli Sguardi e Museo dell'Aviazione di Rimini; Museo della piccola pesca e delle conchiglie di Viserbella di Rimini; Museo La Casa Rossa di Alfredo Panzini, Torre Saracena e Museo delle Conchiglie di Bellaria Igea Marina.
Valconca: Centro Studi Naturalistici di San Giovanni in Marignano; Mostra della Rocca malatestiana di Montefiore Conca, Musei di Mondaino (Museo paleontologico e Mostra permanente delle maioliche mondainesi), Museo della Linea dei Goti di Montegridolfo; Museo di Saludecio e del Beato Amato e Mostra permanente Garibaldi di Saludecio; Museo Etnografico e Museo della Linea Gotica Orientale di Montescudo; Museo Naturalistico della Riserva Naturale Orientata di Onferno - Gemmano.
Valmarecchia: Museo Civico Archeologico di Verucchio; Museo Mulino Sapignoli di Poggio Berni; Osservatorio Naturalistico Valmarecchia e Museo/Laboratorio della tessitura di Torriana; MET Museo degli Usi e Costumi della Gente di Romagna e MUSAS Museo Storico Archeologico di Santarcangelo di Romagna; Museo del Pane di Maiolo; Museo Civico della Fortezza e Museo d'arte Sacra di San Leo; Museo Storico Minerario Sulphur di Perticara - Novafeltria; Museo Pinacoteca Gualtieri "Lo splendore del reale"; Museo Teatro Storico Angelo Mariani, Mostra archeologica di Palazzo Fregoso e Museo delle Arti Rurali San Girolamo di Sant'Agata Feltria; Il Mondo di Tonino, I luoghi dell'anima (museo diffuso ideato da Tonino Guerra), Museo Naturalistico del Sasso Simone e Simoncello, Mateureka Museo del Calcolo, Museo Diocesano del Montefeltro Mons. A. Bergamaschi di Pennabilli; Casa Museo S. Colarieti di Casteldelci.
Il Sistema si è originariamente costituito intorno ad nucleo storico di sei/sette musei ai quali negli ultimi dieci anni si sono aggiunte altre nuove realtà. L'aggregazione alla Provincia di Rimini dei sette Comuni dell'Alta Valmarecchia nel 2010 ha rappresentato un ulteriore arricchimento del patrimonio culturale del territorio.
La varietà dell'offerta museale è una caratteristica del Sistema riminese nel quale sono presenti sia istituti museali di rilievo nazionale ed internazionale che realtà medie e piccole le quali svolgono a livello locale un'importante funzione di presidi culturali e sociali.
La ricca pluralità dei contenuti museali del Sistema consente di affrontare la fitta trama storico-culturale del territorio da vari punti di vista e a partire da alcuni temi ricorrenti (archeologia, etnografia, arte, rocche e castelli, natura e scienza, storia) che orientano il visitatore consentendogli di attraversare il territorio lungo veri e propri itinerari culturali dalla costa all'entroterra.
L'archeologia del territorio ha i suoi capisaldi nel Museo della Città di Rimini, nel Museo Civico Archeologico di Verucchio. Per la conoscenza della civiltà contadina è riferimento imprescindibile il MET Museo degli Usi e Costumi della Gente di Romagna di Santarcangelo (oltre al Museo Etnografico di Valliano). La storia dell'arte riminese è documentata nella Pinacoteca del Museo della Città e nel Museo Diocesano del Montefeltro, nel Museo d'Arte Sacra di San Leo, nel MUSAS e nel Museo di Saludecio e del Beato Amato. L'arte contemporanea ha una prestigiosa sede presso la Galleria Villa Franceschi. Meta di migliaia di visitatori è la Rocca di San Leo. Natura e scienza vengono approfondite nei musei naturalistici di Onferno, Pennabilli, San Giovanni in Marignano e Torriana. Mateureka è un originale museo dedicato alla storia del calcolo e della matematica. La storia della seconda guerra mondiale, ed in particolare della linea gotica, viene raccontata nei musei di Montegridolfo e Trarivi. Alle vicende della miniera di zolfo di Perticara è dedicato invece il Museo Sulphur.
In questi anni il Sistema ha cercato di creare un legame sempre più consapevole tra musei, territorio e mondo della scuola favorendo l'accessibilità al patrimonio culturale attraverso varie azioni di promozione coordinata, anche nell'ambito di progetti europei (dall'editoria al trasporto gratuito ai musei, dagli itinerari turistico-culturali alle rassegne di eventi, dal turismo scolastico alla sperimentazione di nuove tecnologie).

Speciale Musei di Romagna - pag. 14 [2013 - N.48]

Il contributo del territorio forlivese per una candidatura condivisa si concentra sul tema "Patrimoni Nascosti - Lavoro culturale"

Elisa Giovannetti - Coordinatrice Comitato di Forlì per Ravenna 2019

Il lavoro che Forlì ha messo in campo a sostegno della candidatura di Ravenna a Capitale Europea della Cultura 2019 ha avuto inizio nel 2010, con l'adesione al Comitato Promotore. Nel 2011 l'Assessorato alla Cultura del Comune di Forlì, ha selezionato attraverso un bando di partecipazione un gruppo di operatori culturali forlivesi per costituire un comitato di sostegno al processo di candidatura di Ravenna, parallelamente agli analoghi comitati costituitisi nella altre città della Romagna. Dal 2011 il comitato di Forlì è costituito da Claudio Angelini, Valentina Bucchi (fino al 2013), Matteo Lolletti, Andrea Panzavolta, Marie-Line Zucchiatti e da Elisa Giovannetti.
Nelle sue prime fasi il lavoro del Comitato è consistito nel coinvolgimento degli operatori culturali della città e nella creazione di momenti di approfondimento sul progetto di candidatura. Dal 2012 sono stati costituiti cinque working group le cui tematiche sono state centrate sul contesto culturale forlivese e sui suoi possibili orizzonti di sviluppo in relazione alle tracce elaborate per la candidatura di Ravenna. I gruppi di lavoro, coordinati dai membri del Comitato, hanno coinvolto circa cinquanta operatori culturali. Da aprile a luglio 2012 i gruppi hanno sviluppato cinque idee progettuali: "Le ciclo vie", coordinata da Matteo Lolletti (una valorizzazione del patrimonio naturalistico romagnolo attraverso la costituzione di rotte ciclo-pedonali di collegamento Forlì-Ravenna), "Casa Corale", coordinata da Claudio Angelini (una riflessione sulle funzioni di spazi culturali in chiave di coesione sociale nella messa a sistema delle Case del Popolo tra Ravenna e Forlì), "Patrimoni nascosti - il Lavoro Culturale", coordinato da Elisa Giovannetti, (una riflessione sugli strumenti per fare emergere il patrimonio delle competenze e delle professionalità culturali in Romagna), "Porta all'Oriente", coordinato da Andrea Panzavolta (una lettura sula Romagna e sulla sua interazione con le culture ad Est dell'Italia), "Musica popolare europea", coordinato Valentina Bucchi (la musica da Ballo in Romagna e in Europa). Contemporaneamente, attraverso il lavoro di Marie-Line Zucchiatti, si è svolta un'opera di coordinamento dei comuni del distretto Forlivese.
Il Comitato Forlivese ha collaborato alla definizione di un calendario di eventi che dal 2012 ha coinvolto una trentina di realtà culturali del territorio nel programma "Prove Tecniche di Ravenna 2019". A partire dal gennaio 2012 si è dato avvio a un lavoro di coordinamento con le altre comunità romagnole che sostengono la candidatura di Ravenna per confrontare le idee progettuali e pensare a un modello comune di rappresentazione. Il risultato è stato l'elaborazione di una "matrice" nella quale le idee progettuali di tutte le città hanno trovato uno spazio di rappresentazione e di integrazione tra loro. La forma della matrice prevede che ogni territorio sia rappresentato da una idea progettuale al fine di mettere le idee progettuali delle diverse città in relazione le une con le altre. La scelta dell'idea progettuale per ogni città è avvenuta attraverso una elaborazione condivisa, basata sul riconoscimento delle specificità dei diversi territori e in coerenza con la struttura generale della matrice, che nel caso di Forlì ha indicato il tema dei "Patrimoni Nascosti - Lavoro Culturale".
Le direttrici su cui si è inteso articolare la candidatura di Ravenna e della Romagna a Capitale Europea della Cultura per il 2019 sono dunque espressione di una visione condivisa, che parte dal basso, dagli operatori attivi sul territorio, e discussa e aderita dal comitato di Forlì, in accordo le une rispetto alle altre, finalizzata a definire le basi per un "Sistema Culturale Romagnolo".

Ravenna 2019 - pag. 14 [2014 - N.49]

Il Museo Internazionale delle Ceramiche collabora dal 2000 alla realizzazione di progetti supportati dalla UE in diversi campi di azione

Claudia Casali - Direttrice MIC di Faenza

I vari programmi presentati dall'Unione Europea hanno offerto, e offrono al Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, ampia possibilità di trovare operatività efficaci, sia in campo tecnico, come per esempio la conservazione del materiale ceramico e il restauro, che nel campo della ricerca, della promozione del patrimonio e della comunicazione delle numerosissime attività. In questo caso il vastissimo materiale ceramico, archivistico, librario, fotografico e didattico ha permesso al MIC di essere presenza fondamentale nelle partnership dei passati progetti Cultura 2000, Interreg e Leonardo da Vinci.
L'ultima esperienza progettuale è terminata nel 2012 e ha affrontato una tematica da sempre di fondamentale importanza, ma che negli ultimi anni ha trovato ampi campi di indagine e sviluppo: la comunicazione museale.
Il progetto "Museum Communicator" (Mu.Com.), presentato nel 2010 all'interno del programma Leonardo da Vinci, ha rappresentato un'opportunità formativa incentrata sullo sviluppo di una figura professionale, oggi strategica all'interno dei musei: il Comunicatore in ambito museale. La collaborazione tra prestigiose istituzioni educative e museali di quattro diversi paesi, Italia, Bulgaria, Regno Unito e Romania, ha permesso di mettere a fuoco, e successivamente di sviluppare, competenze specifiche nel campo della comunicazione.
Elemento fondamentale è stato il coinvolgimento di giovani in ingresso nel mercato del lavoro, ai quali è necessaria una solida formazione di base per rispondere alle attuali sfide di un mercato peculiare come quello "dell'impresa culturale". Essi hanno potuto "testare" il corso on-line sviluppato nell'arco della durata del progetto e ancora fruibile alla pagina www.museumcommunicator.it, gestita dall'Università La Sapienza di Roma. Il corso permette di acquisire competenze standard di alto livello e riconosciute internazionalmente, grazie all'importante partenariato del Progetto. Esse formano-aggiornano professionisti in grado di elaborare e mettere in atto strategie e tecniche efficaci per rendere produttiva la comunicazione con il vasto pubblico, con i mass media e con le reti degli attori territoriali.
Il MIC ha contribuito al progetto in due diversi campi di azione. Il primo ha visto il coinvolgimento dei rappresentanti delle istituzioni culturali del proprio territorio. Infatti, oltre al Dipartimento di Storia dell'Arte dell'Università di Siena e all'Università Ca' Foscari di Venezia, sono state interessate: Università di Ravenna-Dipartimento Beni Culturali, Università ISIA Faenza, Fondazione RavennAntica, Palazzo Milzetti, Museo Carlo Zauli; MAR Ravenna, Dipartimento Cultura - Comune di Faenza. Queste istituzioni, attraverso operatori volontari, hanno seguito lo sviluppo del corso offrendo una visione critico-costruttiva e apportando preziose ed eterogenee esperienze.
Il secondo momento di coinvolgimento è stato l'evento "Un manifesto per il MIC", concorso organizzato dal Museo, che ha visto la partecipazione di moltissimi grafici italiani per comunicare il MIC quale "Monumento UNESCO testimone di una cultura di pace - Espressione dell'arte ceramica nel mondo". Si è trattato di un workshop dimostrativo di grande impatto per l'intero progetto, la messa in pratica di una metodologia. Ogni partecipante ha progettato e realizzato un manifesto inedito, destinato a diventare l'immagine guida del Museo monumento UNESCO. Tutti i lavori dei grafici sono stati sottoposti a una giuria che ha selezionato una immagine coinvolgente e di grande effetto, immagine che da allora è divenuta un elemento di grande riconoscibilità per il nostro museo. La presentazione di tutte le creazioni dei grafici è divenuta una piccola esposizione, presentata in occasione di un workshop tenuto da protagonisti della comunicazione, non solo culturale. Le lezioni magistrali da esso scaturite, su strategie di diffusione del patrimonio museale e sui diversi linguaggi che caratterizzano la didattica dei musei, hanno offerto importanti suggerimenti per una migliore comprensione delle collezioni da parte di un pubblico sempre più eterogeneo e quindi dalle molteplici necessità.
Un progetto europeo quindi di importanza strategica a testimonianza del fatto che la programmazione europea è vera fonte di operatività, ricchezza da condividere tra gli Stati membri, opportunità di crescita e possibilità concreta di "fare Europa".


Speciale Progetti europei per i musei 2014-2020 - pag. 14 [2014 - N.50]

Dopo un passato di "fughe" d'autore, il territorio ravennate dà spazio alla fotografia d'arte

Annamaria Corrado - Giornalista

Paolo Roversi, ravennate, tra i principali fotografi di moda al mondo, una volta ha detto che la luce di Ravenna è unica. A testimoniare, inconsapevolmente, che quello tra Ravenna e la fotografia è un rapporto antico, innato forse, e rimasto a lungo sottotraccia. La potenza iconografica di questa città cinquanta anni fa ha stregato Michelangelo Antonioni che, girando Deserto Rosso, ha creato un capolavoro non solo della storia del cinema, ma dell'arte contemporanea. In passato Ravenna ha partorito fotografi che hanno scelto di andare altrove a cercare fortuna. E l'hanno trovata, come il già citato Roversi, oggi star internazionale della fotografia di moda con base a Parigi. Alex Majoli invece, tra i più giovani fotografi ad essere ammessi nella prestigiosa agenzia Magnum, di cui è diventato presidente, da quasi vent'anni testimonia con le sue immagini i più drammatici conflitti del pianeta. O ancora Ettore Malanca, anche lui fotoreporter di razza.
Ma negli ultimi anni c'è stata un'inversione di tendenza e sul territorio sono nate diverse realtà che si occupano di fotografia, in particolare di fotografia d'arte. Niente più esodo quindi, al contrario la città e il suo territorio sono diventati, grazie a queste nuove realtà promotrici anche di residenze d'artista, luogo di incontro e scambi tra fotografi provenienti da tutto il mondo.
Tra le realtà più attive c'è l'Osservatorio fotografico, un laboratorio permanente di ricerca sulla fotografia fondato nel 2009 da Silvia Loddo, storica dell'arte e della fotografia, e Cesare Fabbri, fotografo e docente di fotografia. L'Osservatorio è nato con obiettivi ben precisi: promuovere e diffondere le conoscenze della fotografia, in relazione soprattutto alla rappresentazione del territorio; conservare, catalogare e valorizzare il patrimonio fotografico locale; incentivare e organizzare ricerche fotografiche e video sul territorio per documentarne trasformazioni ed emergenze. L'Osservatorio inoltre promuove incontri, seminari e convegni di studio, con il coinvolgimento di artisti della fotografia. Dalla collaborazione con le scuole nascono corsi di aggiornamento e laboratori. Sono poi realizzate pubblicazioni sulle ricerche e le esperienze compiute. Non si tratta di un collettivo di artisti chiuso e definitivo. Le squadre di lavoro sono costruite di volta in volta in base ai progetti e coinvolgono fotografi, grafici, studiosi e professionisti, ravennati e non, con l'intento di attivare uno scambio e un confronto attivo con le altre realtà che in Italia e all'estero lavorano sulla fotografia. Il lavoro di ricerca segue due filoni, uno pratico, che confluisce nel progetto Dove Viviamo, e uno teorico, che confluisce nel progetto sulla fotografia. A questi due filoni principali si affiancano altri progetti realizzati in collaborazione con artisti e realtà culturali del territorio. "Looking On", l'ultimo progetto dell'Osservatorio, è un primo esito delle ricerche prodotte. In particolare il percorso Dove Viviamo, nato nel 2009 per costruire un archivio visivo sul territorio; Saluti da Ravenna, edizione speciale di nuove cartoline della città in tiratura limitata, realizzate nell'ambito del percorso di candidatura di Ravenna a capitale della cultura europea 2019, per proporre uno spunto di riflessione sull'immagine contemporanea della città; il ciclo di incontri sulla fotografia, realizzato dal 2010 in collaborazione con il Dipartimento di Beni culturali e la Fondazione Flaminia.
Altra realtà ravennate molto vitale è la galleria dedicata alla fotografia contemporanea MyCamera di via Pasolini. Lo spazio, nato per volontà della fotografa Alessandra Dragoni, ha appena compiuto cinque anni di attività, durante i quali ha ospitato mostre di artisti riconosciuti a livello internazionale e di giovani promesse. In occasione dell'anniversario è stato realizzato un catalogo intitolato "5", che ripercorre personali e collettive di questi cinque anni, con il coinvolgimento di artisti come Galvani, Venturi, Progetto Crinoline, Haring, Guidi, Broomberg & Chanarin. E sono in programma altre mostre, la prima delle quali è dedicata a Lorenzo Senni, esponente di spicco della musica elettronica italiana, ma anche ex allievo di Guido Guidi.
Dalla volontà di un gruppo di fotografi, tra i quali il ravennate Daniele Casadio, è nata Argentica, associazione che si prefigge di divulgare e accrescere la conoscenza del linguaggio fotografico, rivolgendo il suo sguardo a tutte le espressioni artistiche e tecniche della fotografia italiana e internazionale, con particolare attenzione alla produzione dei giovani fotografi.
Uno degli ultimi nati in fatto di fotografia a Ravenna è il Lilith Studio Gallery, inaugurato da Silvia Bigi lo scorso 27 ottobre in via di Roma con un'esposizione dedicata al viaggio.
Alla fotografia è legato il lavoro di NASTYNASTY©, coppia di artisti ravennati formata da Valentina Venturi ed Emiliano Biondelli, il cui percorso si snoda tra fotografia ed editoria indipendente.
A Lugo invece si sviluppa Lugo Land, una collana editoriale di fotografia contemporanea pubblicata per le Edizioni del Bradipo di Lugo. Nato nel 2004 come committenza pubblica del Comune di Lugo, Lugo Land si è proposto  negli anni come progetto indipendente dell'associazione culturale Il Bradipo. La principale linea di attività è la pubblicazione di libri di fotografia, alla quale sono spesso associate la produzione di mostre di fotografia, commissioni sul territorio, residenze d'artista, attività.
Da questa piccola carrellata, sicuramente non esaustiva, non può mancare un cenno veloce a quei fotoreporter che, da anni, seguono la cronaca sul territorio per conto della stampa, come Giampiero Corelli, Fabrizio Zani, Massimo Fiorentini, Antonio Veca.

Speciale Fotografia e Musei - pag. 14 [2014 - N.51]

Le Case dei grandi personaggi italiani promuovono un ricco calendario di eventi in occasione dell'Esposizione Universale di Milano

Associazione Nazionale Case della Memoria

Sono diverse le iniziative che l'Associazione Nazionale Case della Memoria, che mette in rete 48 abitazioni di alcuni dei più importanti personaggi della cultura italiana, ha previsto in occasione di Expo 2015: dalla firma del Protocollo di collaborazione europea fra l'Associazione e numerose case museo europee al programma di appuntamenti A Tavola con i Grandi, dedicato al tema del rapporto tra i personaggi, il cibo e la cultura gastronomica, fino alla presenza all'Expo ad agosto.
Evento particolarmente significativo è stato, a maggio, la firma del Protocollo di collaborazione europea fra l'Associazione Nazionale Case della Memoria, rappresentata dal suo presidente, Adriano Rigoli, e varie case museo presenti in Europa. Il documento ha dato formalmente e ufficialmente vita al Coordinamento Europeo delle Case della Memoria che permetterà alle case museo dell'Unione di fare rete e di collaborare per iniziative e progetti. Il Protocollo non è chiuso ai soli firmatari attuali, ma resta aperto a tutte le Case della Memoria europee che in futuro vorranno aderire. L'intesa, che vede come capofila proprio l'Associazione Nazionale italiana, permetterà di stimolare la competitività e il posizionamento del sistema, offrendo a visitatori e consumatori percorsi turistici integrati. Ecco quindi l'impegno a promuovere eventi comuni e percorsi ad hoc tramite tour operator. Saranno inoltre individuati itinerari turistici, storico-artistici ed enogastronomici per la valorizzazione della rete e dei territori, ma anche progetti di collaborazione e promozione fra due o più soggetti del coordinamento europeo. Infine l'impegno a individuare risorse comunitarie e a promuovere la rete delle Case della Memoria tramite concerti, conferenze e festival.
Altrettanto importante il calendario di A Tavola con i Grandi, promosso proprio in occasione di Expo 2015. Nato dal lavoro delle varie Case, con il coordinamento del presidente dell'associazione e del vicepresidente Marco Capaccioli, è dedicato al rapporto tra le personalità delle case museo, il cibo e la cultura gastronomica. L'idea è comunicare il vissuto dei big della cultura italiana attraverso quegli aspetti della vita quotidiana, come il cibo e i piatti tradizionali, che sono testimoniati dalle abitazioni in cui hanno trascorso la loro esistenza, oggi case museo aperte al pubblico.
Il programma di A tavola con i grandi, che proseguirà nei prossimi mesi, si articola su due piani: uno nazionale, nell'ambito milanese di Expo 2015, e uno locale, con tante iniziative nelle singole case della memoria della rete museale. Ecco allora conferenze di studiosi relative al rapporto del personaggio, o della sua opera artistica, con il cibo, presentazione di lavori culturali, cooking show, degustazioni, visite guidate e animate.
Tutto questo e molto altro, all'interno delle numerose case coinvolte, a partire da Toscana, Emilia Romagna, Piemonte e Umbria: la Casa Museo Sigfrido Bartolini di Pistoia, il Museo Casa Boccaccio di Certaldo (FI), il Castello Sydney Sonnino di Montespertoli (FI), Casa Museo Ivan Bruschi di Arezzo, la Casa del Pontormo di Empoli (FI), il Museo della Badia e la Villa del Mulinaccio di Vaiano (PO), la Casa Guidi di Firenze, Palazzo Datini a Prato, la casa natale di Leonardo a Vinci (FI), la Fondazione Montanelli-Bassi a Fucecchio (FI); la Villa Silvia-Carducci di Cesena, Casa Artusi a Forlimpopoli (FC), Casa Bendandi - Osservatorio Sismologico di Faenza (RA), la Casa dell'Upupa - Studio Ilario Fioravanti a Sorrivoli di Roncofreddo (FC), il Museo Casa Pascoli a San Mauro Pascoli (FC); la casa natale di Silvio Pellico e Casa Cavassa a Saluzzo (CN); Casa Museo degli Oddi Marini Clarelli a Perugia.
L'Associazione Nazionale Case della Memoria è presente infine dal 18 al 23 agosto, Fuori Salone, a Expo 2015, nei Chiostri dell'Umanitaria. Qui, le varie case della memoria sono protagoniste con tanti eventi dedicati al cibo, per scoprire da una prospettiva inedita i grandi protagonisti della storia italiana.
Info e programma: www.casedellamemoria.it

Speciale Musei per Expo 2015 - pag. 14 [2015 - N.53]

Il nuovo grande impegno di valorizzazione della direttrice del Museo Nazionale di Ravenna

Emanuela Fiori - Direttrice Museo Nazionale di Ravenna

La mia nomina a Direttore del Museo Nazionale di Ravenna e ai due siti Unesco della Basilica di sant'Apollinare in Classe e del Battistero degli Ariani, così come le altre otto nomine che hanno sancito il nuovo assetto dei Musei della Regione è ancora talmente recente da indurmi solo a poter ipotizzare i futuri scenari che scaturiranno dall'applicazione pratica della Riforma Franceschini. Il conferimento degli incarichi di direzione per i musei e luoghi della cultura statali non aventi qualifica di ufficio dirigenziale, avvenute il 2 novembre scorso, si configura da un lato come una delle ultime tessere a completamento del  nuovo mosaico museale italiano, dall'altro invece come il punto zero dal quale ripartire per definire ruoli, competenze, ma soprattutto strategie per il futuro del nostro patrimonio.
A caldo, dopo soli venti giorni dall'insediamento ufficiale, risulta temerario  poter restituire una corretta visione d'insieme delle mansioni, autonomie e problemi, ma anche degli entusiasmi di fronte ai quali il nuovo assetto ci ha posto. Funzionari dalla lunga storia professionale nelle soprintendenze Beni Storici e Artistici o Beni Archeologici, ci siamo sempre divisi equamente tra le due anime che compongono il ruolo dello storico dell'arte e dell'archeologo: la tutela, cioè il nostro esercizio quotidiano sui territori di competenza e la valorizzazione, che ognuno di noi ha sempre interpretato e vissuto come il naturale completamento della salvaguardia del patrimonio. Questa inscindibile sinergia è stata modificata dal DPCM 171, che ha inteso in qualche modo 'sgravare' il direttore di Museo dalla complessità dell'esercizio della tutela, lasciandolo finalmente libero di dedicarsi con tutte le proprie forze e competenze alla valorizzazione delle collezioni del museo.
Per l'utenza che, dall'esterno del nostro Ministero, conosce la Riforma attraverso gli articoli dei quotidiani e  l'interpretazione dei media, può essere davvero difficile comprenderne  aspetti e risvolti, soprattutto se  applicati alle diverse realtà delle regioni italiane. Mi piacerebbe riuscire con chiarezza a ridefinire i termini della questione partendo proprio da quanto detto in precedenza, ossia dalla scelta, non nascondo  anche tormentata, che noi  funzionari delle ex Soprintendenze abbiamo dovuto fare tra ambiti in precedenza unificati. Numerose sono le domande che ci si è posti: sarà ancora possibile lavorare in questo senso e in che modo la valorizzazione dei luoghi della cultura si aggancerà al contesto territoriale? Quale livello di autonomia sarà possibile nella progettazione di attività finalizzate  alla valorizzazione ?
Gli articoli dal 30al 35 del DPCM 171 e il Decreto del 23 dicembre 2014 sull'Organizzazione e funzionamento dei musei statali rispondono in parte ai quesiti. Mentre il DPCM 171 definisce il campo di azione e i compiti delle  Soprintendenze Belle Arti e Paesaggio e dei Poli Museali, il DM ridisegna l'ordito delle competenze gestionali, amministrative e tecniche in materia di valorizzazione del patrimonio culturale.
Il decreto presenta sicuramente un museo statale nuovo e moderno già dall'art.2 del Capo I; un museo che in uno statuto dichiara la propria missione, gli obiettivi che intende raggiungere e la propria organizzazione interna. Questo documento non è più la Carta dei Servizi  a cui si affianca, ma una dichiarazione trasparente d'intenti e di programmazione. Segno dell'autonomia culturale di ciascun sito, diverso ma in relazione con gli altri grazie al coordinamento del Polo Museale Regionale. Ad un'attenta analisi, lo statuto appare forse uno dei punti più rilevanti dell'intera riorganizzazione, perchè contiene e comprende tutte le componenti sostanziali dell'istituzione. Obiettivi culturali, strategie comunicative, sinergia territoriale, traino per l'economia attraverso il turismo e assetto finanziario, sono tutti elementi che concatenati contribuiranno rendere moderno  il museo statale. Le nostre realtà museografiche nel perdere questa 'grande madre' che è stata la Soprintendenza sembrano'  affacciarsi  all'età adultà', ma con una autonomia 'controllata' e sempre sancita dal Polo Museale Regionale.
Il compito del Direttore e dei suoi collaboratori (curatori, fundraiser ed esperti di comunicazione), che speriamo presto lavorino al nostro  fianco, sarà quello di ripartire da un punto zero organizzativo, ma mettendo a frutto l'esperienza professionale già consolidata.
Un' articolazione del personale adeguata al modello organizzativo europeo e statunitense necessiterebbe di un numero di unità forse impensabile per la nostra realtà italiana. Quella divisione in dipartimenti che ognuno di noi ha ammirato lavorando all'estero non sarà immediata, soprattutto per i musei meno visitati, ma credo sia un percorso da tentare.
Entrando nello specifico della realtà ravennate, già estremamente variegata per la presenza dei Siti Unesco gestiti dall'Opera di Religione, delle realtà museali comunali e della fondazione Ravennantica potrà ulteriormente arricchirsi attraverso collaborazioni e percorsi comuni di valorizzazione. La possibilità di proporre  attività in collaborazione con gli enti locali  sarà una delle prerogative della Direzione, che dovrà essere sempre sancita dal Direttore del Polo. Tante sono le ipotesi di lavoro che si affacciano come una sfida per chi si accinge ad iniziare il proprio mandato triennale, ma ancora sono in via di definizione i termini operativi necessari  per procedere. Certamente il Museo Nazionale nel complesso conventuale di San Vitale è il luogo paradossalmente meno conosciuto della città, nonostante sia contiguo alla Chiesa di San Vitale, ed è qui che si concentreranno i miei sforzi nella speranza di rendere i suoi tesori  più vicini e vivibile per i visitatori attraverso anche piccole, ma continue, iniziative.

Speciale Direttori Museali - pag. 14 [2015 - N.54]

Storia e strategie del primo museo nazionale italiano dedicato alla creatività contemporanea

Prisca Cupellini - MAXXI Digital Manager

Una piattaforma aperta ai diversi linguaggi della contemporaneità, un museo vivo dalle forme futuristiche disegnate da Zaha Hadid, uno spazio aperto al confronto e al dialogo, un laboratorio di futuro. Progetto ambizioso quello del MAXXI che ciascun settore dell'istituzione persegue con dedizione ed entusiasmo. Così anche la comunicazione digitale.
Sin da prima della sua apertura al pubblico, nel 2010, quando le attività si svolgevano in uno spazio adiacente all'attuale edificio, il museo si è fatto portavoce di sperimentazioni e progetti che potessero in qualche modo aprire la strada a quelli che sarebbero stati gli sviluppi futuri. Ma, come si può ben immaginare, quando si tratta di digitale, tutto è sempre in evoluzione. La tecnologia ci offre continuamente nuovi spunti e opportunità. Il continuo aggiornamento su ciò che accade attorno a noi, anche in ambiti lontani da quello culturale, e l'ideazione di progetti pensati per questi spazi sono forse tra gli aspetti più stimolanti del nostro lavoro. Così come la verifica dei risultati. Lontani dall'idea che un errore sia un fallimento ma che sia un'esperienza che può rafforzare, come bene ci insegna la cultura americana. La sperimentazione di nuovi strumenti e tecnologie è parte integrante delle nostre attività e far parte di un'istituzione che della sperimentazione ha fatto il suo cavallo di battaglia, ci fa sentire al posto giusto nel momento giusto.
Ovviamente tutto ha avuto un punto di partenza. Abbiamo iniziato dalle basi, da quando, nel 2007, con l'edificio in costruzione, abbiamo deciso che il web sarebbe stato lo strumento migliore per raccontare il cantiere di una grande archistar. E quindi l'apertura di un canale YouTube, di un profilo su Flickr, della creazione della prima newsletter e del primo sito internet dedicato, dell'utilizzo di iPod messi a disposizione degli utenti per guardare e ascoltare il cantiere attraverso le parole di chi ci lavorava ogni giorno o per approfondire le proposte culturali che venivano già messe in campo. Tutto per comunicare il MAXXI mentre stava ancora prendendo forma. Fino al 2010, anno della sua apertura ufficiale. A quel punto sono stati messi in campo quei progetti digitali a medio e lungo termine che hanno investito vari settori. Perché, ricordiamoci sempre, il digitale non coinvolge solo la comunicazione. Competenze digitali devono essere parte dell'esperienza lavorativa di ciascun ufficio e settore.
Il mondo del MAXXI Digital spazia così dal sito ufficiale, vincitore nel 2015 ai Lovie Awards di Londra, alle applicazioni mobile, dalle newsletter ai profili sui social network - con il riconoscimento per la migliore gestione nel 2012 da parte di ICOM Italia -, dalle campagne pubblicitarie online ai progetti legati all'offerta culturale del museo fino alla creazione di progetti digitali in collaborazione con partner privati. Ma non solo, arriva anche alla partecipazione nelle attività di CRM per la gestione e la cura dei contatti, ai progetti di digitalizzazione delle collezioni, alla raccolta e analisi dei dati di customer satisfaction, al monitoraggio dei risultati. Ci sono poi proposte di approfondimento, come ad esempio Digital Think-in, l'appuntamento annuale che ha visto la sua prima edizione nel novembre del 2015 e che ha l'obiettivo di aprire un confronto e un dialogo con le più innovative esperienze digitali in ambito culturale per creare nuove idee e opportunità condivise tra istituzioni.
Per tornare alla parte più puramente comunicativa, il piano digitale del MAXXI mette al centro dei suoi obiettivi il pubblico del museo, quello reale, quello virtuale, quello potenziale, mirando  ad accrescere la fruizione e la comprensione delle arti, a provocarne i pensieri e a stimolarne la partecipazione attiva: dalle singole attività giornaliere fino ai grandi progetti internazionali in collaborazione, ad esempio, con il Google Cultural Institute, che vedranno nel 2016 un ulteriore e importante sviluppo.
Insomma, molto sta cambiando in tanti musei italiani. E troppo spesso si fanno paragoni impropri, mettendo ad esempio a confronto il numero di seguaci sui social di istituzioni come il MoMA di New York o il Louvre di Parigi e quelli di piccoli e medi musei italiani. Come se il solo "numero" determinasse in se stesso un risultato di successo o insuccesso anche se estrapolato dal contesto. Dovremmo invece provare a chiederci: quali investimenti economici, all'interno di ciascuna istituzione, vengono dedicati a questo settore? Da quanti professionisti è composto il team digital? Come si integra questo team nella struttura organizzativa? A quel punto, non sarà evidente che il vero problema è ancora, in molti casi, culturale? Un nuovo modello gestionale e strategico è possibile e il lavoro che tante istituzioni come la nostra stanno portando avanti ne è la dimostrazione.

Speciale Musei nell'era della mobilità digitale - pag. 14 [2016 - N.55]

Una sintesi della riflessione sul ridisegno dei musei italiani, presentata a Forlì al convegno "La rete dei musei... lavori in corso" dello scorso 27 maggio

Michele Trimarchi - Professore di Economia della Cultura

Da qualche tempo si parla di musei, in misura e con attenzione maggiore che nel recente passato. Dopo anni di lamente-le sulla differenza di incassi tra musei stranieri - solo alcuni - e italiani - tutti insieme, addoloratamente - e di dispute giudiziarie sulla pertinenza delle gare ex legge Ronchey, la cronaca ne sta esplorando aree finora ignote.
Dall'estate del 2015 si è fatto molto rumore sulla questione dei nuovi direttori, selezionati con un bando internazionale (ne sta per arrivare un'ulteriore infornata) e insediati tra proteste e illazioni. A novembre il MAXXI di Roma ha ospitato la cerimonia di assegnazione dei premi per il Digital Think-In, una sorta di concorso per scegliere i musei italiani distintisi per innovazioni digitali nel loro percorso di visita o comunque in una fase della loro complessa filiera produttiva. Ad aprile 2016 il Capo del Governo ha inaugurato il nuovo allestimento del Museo Archeologico Nazionale di Reggio Calabria, il cui enorme atrio è stato ridisegnato dallo studio ABDR con la consulenza creativa di Alfredo Pirri, che ha finalmente aperto alla vista esterna la parete della sala che ospita i Bronzi di Riace, violando la prassi condivisa (e benedetta dalle non poche vestali della cultura) di tenere segreto il contenuto dei musei. All'inizio dell'estate i dati della Fondazione Torino Musei e, quasi all'altro capo della Penisola, della Reggia di Caserta mostrano l'indiscutibile successo di un approccio orientato al territorio e alla sua comunità, ai canali di comunicazione e di coinvolgimento dei visitatori, alla volontà di non dare per scontato il ruolo simbolico e cognitivo di un museo, che comincia ad apparire sempre meno un contenitore protettivo e sempre più un crogiolo creativo e progettuale che dialoga intensamente con la società contempo-ranea.
Che questo abbrivio sia salutare per un settore che per decenni si è arroccato e ha cercato di restare in vita grazie a mostre temporanee di richiamo, pare evidente. Che l'occasionalità inevitabilmente sporadica dei fenomeni virtuosi esemplificati sopra non possa dipendere soltanto da un direttore demiurgico selezionato con un metodo certo meritocra-tico ma forse non così ragionevole come potrebbe servire, risulta altrettanto evidente.
Per il settore dei musei italiani non occorrono eroi o martiri; ci vuole un ridisegno di alcuni elementi di fondo che tuttora zavorrano l'azione di ciascun museo, cristallizzano i dogmi che continuano a reggerne la tattica, e soprattutto impedisco-no che i musei possano e vogliano costruire una strategia di medio periodo.
Le priorità sono piuttosto palesi, per quanto molti professionisti del milieu museale italiano si ostinino a cercare alibi in modo statico e attribuendo la responsabilità delle attuali questioni ai fondi limitati da una parte, e all'ignoranza della società insieme all'insensibilità delle imprese dall'altra. Ora, le colpe sono ecumenicamente diffuse, e per quanto possiamo immaginare che nessuno intenda danneggiare i musei italiani, dobbiamo prendere atto che tuttora manca un orientamento forte e chiaro verso un nuovo significato dei musei stessi, quanto meno prendendo atto dei radicali mutamenti che stanno avvenendo quotidianamente e sempre meno sommessamente, delle esperienze pur scomposte ma eloquenti di alcuni musei stranieri che non vanno certo imitati in modo pedissequo, ma magari studiati in modo non pregiudiziale per comprendere in quanti e quali possibili modi si può affrontare la stessa propria identità culturale in una fase storica di smantellamento di un edificio che sembrava massiccio e indistruttibile come il paradigma manifatturiero che fonda tutta la scala dei valori sulla misurazione comparativa di grandezze esclusivamente dimensionali.
Proprio da qui potrebbe partire un nuovo abbrivio che restituirebbe ai musei la propria missione di stimolare emozioni, pensieri, ragionamenti, arricchimenti, condivisioni, urgenze creative e coaguli critici attraverso la narrazione intensa, approfondita, ipertestuale ed eclettica di un patrimonio unico e infungibile.
In qualsiasi città e territorio che - caso del tutto normale in Italia - ospiti più di un museo la prassi condivisa consiste nella reciproca indifferenza, spesso nell'arroccamento renitente ai contatti, talvolta allo snobismo sprezzante nei confron-ti di ogni altro museo e istituzione culturale. Dimenticando piuttosto stupidamente l'assoluta inconfrontabilità dell'offerta culturale ciascun museo ritiene sé stesso migliore degli altri. Gli argomenti che si sentono di norma sono, non è un caso, dimensionali e finiscono per riferirsi al numero di visitatori, alle vendite di servizi, o al volume del bilancio. Basterebbe, per mettere a tacere una volta per tutte questi rantoli superbi, far notare che un dato assoluto ha ben poco significato, e che tanto il pubblico, quanto i suoi acquisti e il bilancio di un museo andrebbero interpretati lungo un arco temporale discreto. Le dimensioni di per sé non rappresentano certo un merito, al massimo richiedono una maggiore e più solida responsabilità.
L'ombra di Banqo, in questo caso, è l'ossessione della concorrenza, un grossolano luogo comune nel quale i musei non dovrebbero cadere, quanto meno perché li rende per definizione omogenei, meccanici e oggetto d'interesse da parte di consumatori che decidono in base al prezzo più conveniente. Se fosse concorrenza sarebbe esattamente così. Inoltre ci si dimentica, stranamente, che nessuno visita un museo facendo raffronti tra qualità e prezzo come quando si acquista una lavatrice, un telefono o un pacco di pasta, e che magari la decisione è sostenuta proprio dallo specifico patrimonio che vi è esposto, dalla mostra di un artista amato o ignoto, e - soprattutto - che se è vero, come sostengono gli econo-misti e conferma la nostra esperienza spicciola, che il visitatore è 'addicted' e pertanto accresce la propria esperienza museale a causa dell'esperienza precedente, è consequenzialmente vero che visitando gli altri musei a un certo punto della sua storia personale sentirà il desiderio di visitare anche il nostro.
La presenza nello stesso territorio di molti musei facilita, inevitabilmente, la visita al nostro.
Tempo e spazio dell'esperienza museale vanno dunque reinterpretati. Quanto il tempo suggerisce di sviluppare un disegno strategico che copra un orizzonte temporale sufficiente a verificare la relazione tra semina e raccolto (magari evitando le schegge di marketing convenzionale e la tensione ordalica di ogni attività intrapresa), tanto lo spazio richiede il superamento sistematico e percettibile dell'isolamento in spazi speciali e visibilmente dedicati a un pubblico di iniziati che non intende mescolarsi con la massa, con quella massa che affolla i musei nelle ormai diffuse 'notti' e li evita di giorno.
Il tema vale una sintetica riflessione: molti ritengono che la folla delle notti al museo dipenda dalla gratuità dell'ingresso, lasciando passare il segnale che i poveri non frequentano i musei e in fondo meritano questa sorta di elemosina in-kind per lasciarli divertire; la cosa somiglia tanto alla platea shakespeariana, che accoglieva plebei in piedi offrendogli l'opportunità di piangere la fine di Romeo e Giulietta insieme agli aristocratici che il teatro se l'erano costruito a spese proprie.
A ben guardare, e alcune rilevazioni empiriche sembrano confermarlo, il pubblico delle notti al museo entra sapendo che non incontrerà i dotti delle visite diurne, immaginando - e indovinando - che li guarderebbero con sospettoso disprezzo, che osserverebbero il loro muoversi da neofiti e finirebbero per scoraggiarne l'entusiasmo della scoperta (che poi dovrebbe essere il motivo più serio per visitare un museo).
Uscire dall'isolamento è necessario più che mai, ed è possibile solo con un cambio di passo che prenda le mosse dalla cultura stessa del museo; il territorio urbano e regionale è un solido palinsesto di contenuti e significati, i musei ne dovrebbero rappresentare gli snodi più fertili, purché accettino e costruiscano l'idea di attivare un reticolo fertile di connessioni, scambi e complicità tra di loro (e non si tratta necessariamente di acquisire un'etichetta, ma di agire insieme e in sinergia); di confrontarsi con le organizzazioni e le istituzioni del proprio territorio, cominciando dalle imprese più contigue (si pensi per tutte all'artigianato di qualità) ed espandendosi per comprendere i gruppi sociali, l'associazionismo e le istituzioni non culturali; di condividere servizi e risorse a monte, generando quella massa critica (nel gergo degli economisti, le economie di scopo) che facilita la produzione congiunta e ottimizza lo sforzo finanziario; allo stesso modo, di condividere progetti e azioni a valle, fronteggiando insieme questioni strategiche, relazioni esterne, promozione e formazione del pubblico in modo da condividerne lo sforzo e conseguirne congiuntamente i benefici.
È uno scenario che va costruito gradualmente e sperimentalmente, e che non richiede decreti o finanziamenti dall'alto, ma soltanto buona volontà, ragionevolezza e visione all'interno del sistema museale territoriale.

Appunti dai convegni - pag. 14 [2016 - N.56]

L'ampio spettro di interventi svolti dal Comando dei Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale

Comando Caribinieri Tutela Patrimonio Culturale

L'Arma dei Carabinieri, cogliendo per prima i gravi rischi legati al depauperamento di un settore cardine del nostro Paese, ha scelto di costituire il 3 maggio 1969 un reparto specializzato nella tutela del patrimonio artistico e culturale della Nazione. La lungimirante destinazione delle prime risorse («un ufficiale, otto sottoufficiali, sette militari di truppa, un'autovettura ed un'autogiardinetta 850...») individuò un percorso, rivelatosi poi vincente, che vide l'Italia dotarsi - primo Stato al mondo - di un'unità di polizia espressamente deputata al contrasto del crescente interesse della criminalità nei confronti dei beni culturali. Il progressivo rafforzamento del Reparto speciale ha portato alla costituzione nel 1992 del Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimono Culturale, inserito tra gli Uffici di diretta collaborazione del Ministro.
Il livello di sicurezza dei beni conservati in un museo è fortemente condizionato non solo dalle caratteristiche della struttura che lo ospita e dal suo "intorno", ma anche dal contesto geografico, ambientale, sociale, politico in cui opera. Se la natura geologica e ambientale dei luoghi è particolarmente rilevante in relazione di rischi di calamità naturale, ai fini della sicurezza anticrimine un ulteriore fattore da considerare è la coesione sociale e il livello di civiltà di un territorio.
Mentre in positivo, la conoscenza e la consapevolezza dell'importanza del patrimonio culturale nella collettività può rafforzare l'attenzione e quindi una vigilanza diffusa sull'istituzione, l'esistenza di nuclei di criminalità può favorire la pianificazione di sottrazioni, anche su commissione, e può rendere più facile il traffico delle opere rubate, così come il disagio e i conflitti sociali possono causare disordini e danneggiamenti direttamente o indirettamente rivolti ai beni culturali.
Di fronte a questi pericoli è necessario che il museo rafforzi la vigilanza e collabori attivamente con le Forze dell'ordine per prevenire e contrastare eventuali atti criminali. In una visione lungimirante e complessiva della salvaguardia dei beni culturali, è importante che l'istituto culturale svolga un ruolo attivo nella diffusione della conoscenza promuovendo una valorizzazione sempre più partecipata. Solo la consapevolezza diffusa del valore "identitario" - oltre che estetico e scientifico - del patrimonio culturale, il riconoscimento da parte delle comunità nazionali e locali dell'importanza che riveste, come strumento di arricchimento individuale e collettivo e come risorsa per lo sviluppo culturale ed economico del territorio, possono portare ad una condivisione delle responsabilità di tutela.
L'esperienza degli ultimi anni  ci ha posto dinanzi ad un'ampia gamma di aggressioni al patrimonio culturale in Paesi più o meno vicini a noi, teatri di guerre e di rivolte: saccheggi, distruzioni e furti favoriti dall'instabilità politica e da un'escalation di fanatismo e di violenza, cui fa riscontro la debolezza, I'incapacità operativa o addirittura l'assenza di istituzioni preposte alla tutela.
In particolare lasciano sgomenti le azioni di deliberata cancellazione di testimonianze culturali e religiose di antiche civiltà: dall'abbattimento dei Budda in pietra in Afganistan alle recenti distruzioni di beni culturali in Iraq, Siria, Yemen, Mali e Libia.
I Paesi esterni all'area di crisi sembravano finora al riparo da deliberate distruzioni per mano umana del patrimonio culturale, ma la possibilità di attentati, come ha rilevato drammaticamente l'azione al Museo ebraico di Bruxelles o al Museo del Bardo di Tunisi, può riguardare ormai qualsiasi luogo e può avere come bersaglio anche un museo, in quanto custode di una memoria storica che si vuole negare.
Per questo il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo italiano di recente ha invitato gli istituti periferici a rafforzare le misure preventive, organizzative e procedurali già previste (intensificare il controllo dell'accesso dei visitatori e del personale autorizzato, il controllo e la gestione delle chiavi; osservare le procedure di apertura e chiusura delle sale espositive, di consultazione e di studio e delle sale di controllo; verificare l'efficacia delle misure di sicurezza passiva presenti e provvedere all'addestramento  del personale).
Nelle situazioni di crisi, un ruolo importante viene svolto anche dalle istituzioni internazionali, in particolare dall'UNESCO e dall'lCOM, che si attivano per combattere il traffico di beni trafugati e favorirne il ritorno nel paese d'origine.
La situazione irachena del secondo post-conflict, vista attraverso l'esperienza del Comando CC TPC, è ancor oggi di grande utilità per comprendere ciò che è avvenuto o sta avvenendo in Libia, Egitto, Mali e Siria, nell'auspicio che, con riferimento a quanto previsto dalla Convenzione de L'Aia del '54 e dei protocolli aggiuntivi, ogni Paese senta la necessità di porre preventivamente in essere le misure necessarie per proteggere il patrimonio culturale di cui è custode per l'intera umanità, contro gli effetti prevedibili di un conflitto armato. L'esperienza anche recente ha dimostrato che, oltre alla guerra, anche l'instabilità istituzionale, la violenza dilagante, le agitazioni e i continui disordini dell'ordine pubblico possono avere come conseguenza saccheggi e furti indiscriminati anche di beni culturali. in tutte queste condizioni, i musei - più e prima di ogni altro istituto culturale - rappresentano un obiettivo per la criminalità (preesistente o nuova) interessata all'arte e ai profitti che il traffico illecito può produrre.
Con un controllo del territorio critico o assente e con una convivenza sociale compromessa per il museo è più difficile attivare misure di sicurezza che possano sostenere l'assalto al 'tesoro' custodito.
In ogni modo in tempo di pace la struttura deve organizzarsi autonomamente per far fronte a questi rischi, tutelare il patrimonio culturale che custodisce, quando necessario, attivare prontamente le Forze dell'ordine consentendo loro di intervenire in modo tempestivo ed efficace. In tempo di guerra, invece, e di forte crisi interna, la sicurezza non può essere affrontata che con soluzioni militari o di polizia.

Speciale Patrimonio culturale ed emergenze - pag. 14 [2016 - N.57]

Alcune preziose indicazioni tecnico-operative per la creazione e la gestione di reti

Tiziana Maffei

Speciale Reti e sistemi museali - pag. 14 [2017 - N.60]

Da un giovane Arturo Martini a un inedito Gino Rossi

Gian Carlo Bojani - Direttore Musei Civici di Pesaro già Direttore MIC Faenza

Il 20 maggio 2001 è stato presentato nell’auditorium del Museo di Faenza il libro di Luisa Gregorj sulla fornace Guerra Gregorj a Treviso (Dietro le quinte. Artisti nella Fornace Guerra-Gregorj a Treviso, Giacobino Editore, Susegana 2001). L’occasione ha permesso anche di esporre il cospicuo dono di opere pervenuto alcuni mesi prima al Museo da parte della stessa Luisa Gregorj, di prevalente carattere libertyario. In occasione della presentazione rilevai le affinità di alcune parti del libro con quelle di due classici della narrativa d’argomento ceramico: Champfleury de Il violino di Faenza (Sellerio, 1990, pp. 158-160) e Bruce Chatwin di Utz (Adelphi, 2000, pp. 96-97). Si tratta di certi aspetti che riguardano, in specie, l’empatia forte che può legare l’amatore, il collezionista, l’artista stesso, il proprietario ad alcuni oggetti ceramici e i possibili scatenamenti che possano derivarne per delusioni, inadeguatezze, competitività, timori, sommovimenti inconsci tipici di chi possiede oggetti d’arte. Quando poi questi oggetti paiono animarsi... possono essere condotti via via fino alla distruzione e condurvi chi li possiede. Ho incontrato Luisa Gregorj in anni recenti, tramite il suo concittadino Eugenio Pozzobon, estrosa personalità di antiquario aduso a frequentare Faenza anche al di fuori delle Biennali dell’antiquariato ceramico. La fabbrica Gregorj, però, ebbe rapporti con il Museo faentino già al suo nascere e lo dimostrano le due lettere che riproduciamo, e anche il saggio che Gregorio Gregorj pubblicò nel 1913 su «Faenza» a proposito di alcuni frammenti ceramici trovati in Treviso. Il pannello composto da due parti: la testa del Colleoni del Verrocchio e quella di San Giorgio che uccide il drago del Carpaccio, opere che si trovano entrambe a Venezia, realizzate ciascuna con nove piastrelle lumeggiate in oro e con incorniciatura lignea caso venne inviato nel 1908 a Faenza per l’esposizione Torricelliana. Era un esempio della linea di rilancio che la fabbrica, fra Otto e Novecento, ampliando la produzione di materiali edilizi e realizzazioni decorative, aveva assunto attingendo da figurazioni della pittura rinascimentale, per una parte, e per l’altra da quelle ispirate all’art nouveau. Erano gli stessi pittori, Cesare Laurenti e Piero Murani, assieme a Gregorio Gregorj, soprattutto, a sorreggere tale linea assieme ad altri decoratori. Se l’iconografia rinascimentale e pre-raffaellita s’ispiravano prevalentemente all’arte veneta, bisogna osservare che l’indirizzo fluttuante tra i due orientamenti, peraltro, è tipico del cosiddetto liberty italiano a tal punto che la stessa fabbrica Chini, forse la più decisa libertyaria, quasi parrebbe costituirne l’emblema. Si pensi, fra l’altro, a quel documento straordinario costituito da una lettera del 1913 di Piero Murani a Gregorio Gregorj Murani da due anni aveva lasciato la fabbrica Gregorj per contrasti interni, dovuti praticamente alle baldanze e alle tendenze innovative di “due giovani, e per giunta futuristi, come scrive Murani, i quali dovevano essere del tutto verosimilmente Arturo Martini e Gino Rossi. Di questi artisti, allora emergenti, nella donazione sono presenti due opere molto significative: l’una è già pubblicata, l’altra è inedita, e potrebbe essere un unicum. Quest’ultima è assai vicina nella tipica scomposizione dei volti alle opere di Gino Rossi databili intorno al 1909-10. Per terminare vorrei richiamare due aspetti di tutta la questione Gregorj: l’uno attiene a una particolare tipologia del materiale donato quale è quello delle piastrelle da rivestimento, in cui la fabbrica Gregorj investì molto anche per l’innovazione del gusto e delle tecniche decorative assai singolari almeno per l’Italia. Mi riferisco precisamente a quelle dell’inizio del XX secolo di cui il Museo faentino era sprovvisto. L’altro riguarda la bibliografia. Oltre a segnalarne un’ampia rassegna nel sito web dedicato alla Fornace e curato da Luisa Gregorj (www.guerra-gregorj.it), si sottolinea qui le varie tesi discusse all’Università di Venezia, con approccio prevalentemente di storia dell’architettura, dell’edilizia e dell’urbanistica. È curioso quanto sia stato studiato questo insediamento industriale e, per converso, quanto sia ignorato dalla comunità trevigiana responsabile della sua progressiva distruzione per incuria.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 15 [2002 - N.13]

Un testo di analisi delle capacità artistiche dei bambini scritto da Corrado Ricci e pubblicato nel 1887

Franco Gàbici - Capo Reparto delle Attività scientifiche e museali del Comune di Ravenna

Se il giovane Corrado Ricci, complice la giornata di pioggia di quell’inverno bolognese del 1882, non fosse passato casualmente sotto il portico che conduce al Meloncello, probabilmente non gli sarebbe venuta l’idea di considerare attentamente l’arte dei più piccoli. Sotto al portico, infatti, ebbe modo di ammirare una estemporanea esposizione di lavori "artistici" e "poetici" (oggi noi li chiameremmo "graffiti"), "di poco valore estetico" come la giudicò lo stesso Ricci, che tuttavia lo indussero a riflettere su questo tema che di lì a pochi anni si sarebbe concretizzato nello studio L’arte dei bambini, pubblicato da Zanichelli nel 1887, dopo essere apparso a puntate nello stesso anno sulla rivista «Il Caffaro» di Genova: "La tristezza del giorno, del luogo e dell’anima, che mal comportava gli epigrammi sconci e feroci di coloro che avevano lavorato nella zona superiore - scrive Corrado Ricci all’inizio del suo studio - mi conciliò con l’arte ingenua dei bambini e mi suggerì l’idea di questo studio". Nessuno, prima di lui, aveva affrontato seriamente il problema, troppo spesso liquidato in maniera frettolosa senza considerare che un disegno "infantile" è in realtà un vero specchio dell’anima del fanciullo e sottende interessanti problemi di estetica e di psicologia. Era un po’ come ridare dignità ad un "genere", che ben presto si sarebbe ritagliato spazi di credibilità presso gli austeri addetti ai lavori. Lo dimostra il fatto che subito dopo la pubblicazione ricciana, un docente dell’Università di Lipsia promosse intorno al 1900 una raccolta di materiale grafico infantile proveniente da tutto il mondo per creare nella città tedesca un vero e proprio centro di documentazione e di consultazione. L’arte dei bambini resta ancora oggi un testo validissimo a testimonianza delle straordinarie capacità critiche del Ricci, che seppe leggere, come altri non avevano mai fatto prima di lui, un materiale spontaneo e non viziato da estetismi. Il senso del bello, scrive Ricci, è sicuramente meno sviluppato nei bambini rispetto agli adulti, ma in compenso "è più puro, come è più puro un fiume quando consiste in un filo d’acqua, che non presso alla foce, quando ha già raccolta la furia d’altri torrenti e il fetido contributo delle cloache". Lo studio di Ricci, in ultima analisi, è in fondo un invito ad esplorare le profonde radici dell’uomo e sembra quasi "inventare" una estetica del fanciullo che potrebbe essere paragonata alla poetica del fanciullino di Pascoli. In fondo erano figli della stessa terra e vissero e respirarono la stessa aria. Scriveva Hermann Hesse che dentro di noi c’è una strada che porta all’uomo e un’altra che porta al fanciullo. Ricci, come Pascoli, trovò interessante camminare verso il "fanciullo" e ancora una volta aveva visto giusto, come dimostrano queste pagine che ancora oggi vengono consultate dagli educatori per esplorare in maniera più consapevole il complesso mondo dell’infanzia.

Speciale didattica museale - pag. 15 [2002 - N.15]

Il Museo d’Arte della Città ha inaugurato la nuova stagione espositiva dell’Istituzione con una grande rassegna che mette in mostra un secolo di storia dell’arte
Il progetto espositivo nasce dall’idea di ricostruire uno dei più affascinanti snodi del Novecento, ripercorrendo l’avventura intellettuale di Roberto Longhi (1890-1970), "il maestro degli studi italiani dell’arte", senza dubbio una delle voci più geniali ed eccentriche della storiografia artistica contemporanea. Sono circa 200 le opere raccolte negli spazi espositivi della Loggetta Lombardesca, concesse in prestito da importanti musei come il Centre Pompidou e il Musèe d’Orsay di Parigi, il Musèe d’Art Moderne de Troyes, la Pinacoteca di Brera, la Galleria Nazionale d’Arte Moderna di Roma, il MART di Trento e Rovereto, le GAM di Torino e di Bologna e grazie alla sensibilità di prestigiose raccolte come la Guggenheim Collection di Venezia, la Galerie Krugier di Ginevra e la stessa Fondazione Longhi, con le opere già appartenute allo studioso. Il piano della mostra si sviluppa nel rispetto degli scritti longhiani. Più che di un percorso organico sul piano della ricostruzione cronologica, si è optato per una rivisitazione dei nuclei di riflessione dello studioso, secondo il filo conduttore del suo pensiero, in un continuo scambio tra passato e presente. La mostra prende avvio da Boccioni, a cui Longhi dedicò uno dei suoi testi più precoci (1914) e procede, dopo l’impatto polemico col metafisico de Chirico, con la stagione dell’Impressionismo francese, fino a comprendere gli esiti del Post-Impressionismo e le successive derivazioni fauves. Sono questi i prodromi della modernità, enucleati in un primo gruppo di opere di Courbet e Renoir , di Bazille, Boudin, Cezanne e Sisley. Le vicende del Post-Impressionismo sono documentate da dipinti di Bonnard, Vallotton e da un Seurat, prezioso quanto raro. La pagina successiva è affidata a importanti opere come la superba Femme di Matisse del Centre Pompidou, oltre ai Derain, Dufy e Vlaminck. Un capitolo caro a Longhi fu l’esperienza di alcuni paesisti piemontesi come Fontanesi, Avondo e Reycend, quest’ultimo "scoperto" dallo stesso Longhi e di cui egli possedeva un cospicuo numero di opere, successivamente donate alla Galleria d’Arte Moderna di Torino. Ad essi Longhi riconobbe il merito di avere introdotto in Italia uno sguardo verso il paesaggio, vicino per molti versi alle esperienze degli Impressionisti francesi. Gli anni di trapasso tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento insistono sull’attenzione verso il paesaggio del Tosi di fine secolo e ancora di Bonzaghi, Cavaglieri e del primissimo Guidi. La fiammata futurista e avanguardista si ricompone in un interesse, dichiarato e militante, verso quella pittura di valori che rivendicava il recupero della tradizione e che si espresse in alcuni momenti della Metafisica, di cui appunto La musa metafisica di Carrà ( 1917 ) è il riconoscimento più alto. La riflessione sull’antico è il tema dominante di tutto il periodo compreso tra gli anni ‘20-‘30, gli anni "romani", caratterizzato dalle presenze di Donghi, Socrate, Melli, Trombadori, Broglio, prima delle accensioni cromatiche della "Scuola di Via Cavour" con Mafai, Scipione e Antonietta Raphael. A Carrà, De Pisis, Morandi, alla scultura di Martini, all’eccentrico Maccari, per i quali Longhi mostrò un particolare interesse, sono dedicate intere "stanze" monografiche che scandiscono, pur con intersezioni di date e di percorsi, il periodo compreso fra le due guerre, fino a sporgere, con Leoncillo e Guttuso, oltre la metà del secolo. La complessità delle letture di Longhi è documentata anche da presenze singolari, come "il caravaggesco" Sciltian o, per altri aspetti, a riferimenti internazionali come Berman, Klee e Kandinsky, quest’ultimo in particolare affiancato a Magnelli, come avrebbe voluto Longhi. Controverso quanto significativo fu il rapporto con Picasso, presente in mostra con lo straordinario Portrait de femme (1938) che rappresenta il nodo provocatorio attorno a cui si è addensata la lettura dell’artista catalano. Protagonisti dell’immediato dopoguerra sono alcuni talenti emergenti del tempo come Moreni e Morlotti, per giungere poi a De Stael, a cui va l’importante riconoscimento che consacra l’attenzione di Longhi alle istanze ultime degli anni Cinquanta.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 15 [2003 - N.16]

Un esempio di biblioteca specializzata pensata in funzione dell’utilizzazione didattica dei materiali in essa conservati

Eloisa Gennaro

Quando nel 1999 è stato aperto al pubblico il Laboratorio Provinciale per la Didattica Museale, si è subito avvertito il bisogno di ampliare e migliorare il servizio informativo e documentario, iniziando a costruire un vero e proprio centro di documentazione sulla didattica museale e sui beni culturali e ambientali del territorio ravennate ed emiliano-romagnolo in generale. Tutto il materiale acquisito dal Settore Cultura della Provincia di Ravenna nel corso degli anni è stato sistematicamente organizzato - a seconda delle diverse funzioni - affinché fosse facilmente fruibile dall’utenza, costituita in particolare da operatori museali, insegnanti, studenti della facoltà di Conservazione dei Beni Culturali. Innanzitutto si è voluto dare risalto al materiale didattico, costituito per lo più da fascicoli o schede prodotte dalle aule didattiche dei musei della regione. Tale materiale conta circa 350 esemplari, raccolti in buste trasparenti semirigide disposte verticalmente in scatole aperte, a formare una sorta di archivio verticale agevolmente consultabile, e suddivisi per argomenti quali l’archeologia, l’architettura, l’arte, l’arte industriale, l’etnografia, le scienze e tecniche, le scienze naturali, la storia. Analogamente è stato raccolto il materiale informativo su musei, siti e monumenti dell’Emilia Romagna, suddiviso per i singoli comuni della provincia di Ravenna e per le singole province della regione. Il materiale scientifico - sia monografie che periodici - è invece catalogato in ambito SBN, secondo i parametri standard di catalogazione del Sistema Bibliotecario Nazionale. A scaffale aperto sono collocate circa 2000 monografie, suddivise nelle seguenti sezioni: mostre, musei, museologia e museografia, fotografia, miscellanea, diritto dei beni culturali, catalogazione, restauro, arte, architettura, didattica, beni ambientali e naturali, archeologia, etnografia. I periodici - i cui numeri più recenti sono collocati a vista in appositi espositori - contano invece oltre 20 titoli e riguardano per la maggior parte la gestione dei beni culturali e la locale storia culturale. Il Laboratorio, inoltre, raccoglie un ampio materiale promozionale (opuscoli, pieghevoli, locandine, cartine, fotografie, ritagli di giornali) riguardante sia le attività dei musei emiliano-romagnoli - specialmente le attività a carattere didattico - sia le iniziative promosse da Associazioni, Enti locali, Università ecc. su corsi, concorsi, seminari, conferenze e quant’altro riguardi la fruizione del patrimonio artistico, storico, culturale e naturale del territorio. Nel Laboratorio è raccolto anche materiale divulgativo: si tratta per lo più di pubblicazioni che illustrano sinteticamente i contenuti di mostre temporanee o di collezioni permanenti e che si pongono a metà strada tra le pubblicazioni a carattere scientifico e quelle didattiche. Tra il materiale divulgativo si inserisce anche quello multimediale: videocassette, prodotte in maggioranza dai musei del territorio, e cd-rom riguardanti musei e monumenti italiani. Complessivamente il materiale conservato nel Laboratorio è presente nelle seguenti percentuali: materiale di tipo promozionale per il 45%, di tipo scientifico per il 32%, di tipo informativo per il 12%, di tipo didattico per il 9%, di tipo divulgativo per il 2%. Per le acquisizioni, il Laboratorio, volendo anticipare i bisogni d’informazione di un’utenza specializzata, cerca di accrescere coerentemente la collezione grazie agli scambi bibliografici con altri istituti culturali italiani ma soprattutto attraverso l’acquisto, facendo attenzione a individuare tutte le novità e le proposte più interessanti in materia di didattica museale, di museologia e in generale sui beni culturali, sia tramite ricerche sui cataloghi di libri e periodici in commercio, sulla rete, sui giornali specializzati, sia attraverso visite a librai, a fornitori specializzati e a saloni del libro, sia grazie ai suggerimenti di esperti del settore. Tutto il materiale presente nel Laboratorio è consultabile in sede durante l’orario di apertura della biblioteca; sono a disposizione dell’utenza alcuni posti studio, una postazione al personal computer, un videoregistratore con monitor. La maggior parte dei libri può anche essere presa a prestito: la ricerca si può effettuare tramite il catalogo collettivo in rete del Polo Bibliotecario Romagnolo, a cui è possibile collegarsi da una qualsiasi delle biblioteche aderenti al Sistema Bibliotecario.

Speciale biblioteche dei musei - pag. 15 [2002 - N.14]

Per volontà del Comune, nel complesso "San Rocco" è sorto il Museo delle ceramiche devozionali, provenienti dalla donazione Baroni

Giorgio Cicognani - Curatore progettazione e allestimento

Nella primavera scorsa il Comune di Fusignano, grazie alla generosità del Prof. Sergio Baroni, originario di questa cittadina, ha costituito un primo nucleo di materiale del Museo Civico, che il donatore ha voluto dedicare alla memoria dei genitori. Si tratta di una raccolta di targhe devozionali in ceramica (ben 142), espressioni figurative non solo delle nostre zone, ma anche di diverse regioni italiane, con due pezzi provenienti dalla Spagna e dalla Francia. Queste targhe erano murate sopra le porte d'ingresso o all'interno delle case di città, ma soprattutto in campagna per propiziare il soccorso della Vergine e dei Santi. In alcune aree geografiche era consuetudine dipingere sulle ceramiche scritte epigrafate con invocazioni e preghiere, come ad esempio sotto una Madonna delle Grazie di raffinata produzione faentina dove troviamo scritto: "A nessuno grave sia / dir passando Ave Maria / con fiducia e viva fede / ne avrai somma mercede". L'iconografia presenta in maggioranza raffigurazioni legate alla pietà mariana con una sorprendente ricchezza di soggetti, con titoli coniati dal popolo: Madonna delle Grazie, del Rosario, del Carmelo, del Buon Consiglio, della Cintura, dell'Angelo, del Conforto etc... Vi sono inoltre targhe raffiguranti Santi invocati come protettori e ausiliari: s. Antonio Abate, s. Vincenzo Ferreri, s. Guglielmo, s. Cristoforo, s. Filomena, s. Antonio da Padova, s. Giuseppe etc... Due targhe ci presentano la Natività e alcune raffigurano la Sacra Famiglia e il Presepe. Importante è anche la presenza di un ex-voto del XVII sec. in maiolica di Deruta con la scritta PER.GRA.TIA.REC.UTA. che presenta due devoti inginocchiati sotto alla Madonna dei Bagni. Infine da segnalare due rare targhe, una Madonna col Bambino di produzione riminese datata sul retro 1660 e una Madonna col Bambino prodotta a Montelupo datata sul retro 1661 e siglata P. A. Le targhe con la data o databili per confronto, rivestono particolare importanza per lo studio della storia e l'evoluzione degli stili e per il contributo alla definizione delle tecniche esecutive. L'arco cronologico del corpus va dal sec. XVI a tutto il sec. XX e numerosa è la presenza di manifatture toscane. Di questa ricca collezione non esiste ancora uno studio approfondito, ma ci si augura che venga pubblicato quanto prima, un catalogo a cura del nuovo Museo Civico San Rocco, per illustrare dettagliatamente ogni singolo pezzo raccolto con impegno da Sergio Baroni in numerosi anni di ricerche. La nascita di questo Museo, che accoglierà altre importanti collezioni, realizza il sogno di un illustre fusignanese mons. Antonio Savioli, scomparso nel gennaio 1999, che tanto tempo ha dedicato allo studio e alla ricerca dell'iconografia mariana nelle targhe devozionali delle nostre zone. Mons. Savioli iniziò a studiare questi materiali fin dal 1959 e così scrisse sui "Quaderni" della Biblioteca Vincenzo Monti di Fusignano: "È mio proposito estendere la ricerca di ceramiche devozionali a Fusignano, avendo osservato nel corso di un sondaggio sommario l'esistenza di materiali notevoli se non per le qualità artistiche eccelse, almeno per i riferimenti alla storia della pietà mariana della comunità" ... La sua preziosa indagine è continuata nell'arco di un'intera vita e, grazie al suo impegno, sono state allestite mostre, schedati migliaia di pezzi e pubblicati numerosi cataloghi e articoli inerenti a questi materiali. Ricorderemo tra tutte due delle pubblicazioni, molto ricercate dai bibliofili: L'immagine della B.V. delle Grazie di Faenza e le sue derivazioni, I - Iconografia ceramica. Faenza, 1962 e II - Stampe dei secoli XVII-XIX, Faenza, 1970 ambedue edite dai Fratelli Lega. Tra il Savioli e Vincenzo Baroni, padre del donatore, esisteva fin dalla prima giovinezza un'amicizia e proprio questo legame è stato di stimolo al Prof. Sergio per il ricco lascito che sicuramente riveste una grande importanza anche nell'ambito nazionale proprio per la sua specificità. Il Museo Civico San Rocco diventa così un importante centro di raccolta di ceramiche devozionali, forse unico nel suo genere in Italia.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 15 [2001 - N.12]

Collocata sulla facciata del Museo naturalistico faentino una replica del grande barometro progettato da padre Guido Alfani in occasione della Esposizione Internazionale di Faenza del 1908 nel trecentesimo anniversario della nascita di Evangelista Torricelli

Gian Paolo Costa - Responsabile del Museo Civico di Scienze Naturali di Faenza

La vita culturale della Faenza novecentesca è scandita dalle periodiche celebrazioni Torricelliane in occasione degli anniversari significativi del percorso umano e scientifico (la scoperta del peso dell'aria atmosferica e l'invenzione del barometro) del discepolo di Galileo Galilei, di origini faentine. Tale sequenza di anni inizia con il 1908, trecentesimo anniversario della nascita di Evangelista Torricelli. Oggi, a fianco della grande meridiana in ceramica che campeggia sulla facciata del Museo naturalistico faentino, è visibile una replica ("tecnologicamente aggiornata", per quanto riguarda i materiali utilizzati) del grande Barometro progettato da padre Guido Alfani in occasione della Esposizione Internazionale che si tenne a Faenza nel 1908. Padre Alfani, nato a Firenze nel 1876, Direttore dell'Osservatorio Ximeniano, nel 1909 divenne titolare della prima cattedra di sismologia istituita in Italia. Alfani, su richiesta dell'allora Sindaco di Faenza Gallo Marcucci, progettò un barometro di grandi dimensioni che doveva sovrastare i padiglioni dell'Esposizione, scegliendo di utilizzare, quale liquido barometrico, la glicerina. Scrive infatti il progettista: ".. e mi risultò che, alla pressione di 760 millimetri di mercurio, essa avrebbe avuto l'altezza di metri 8,40; sicché il barometro sarebbe venuto alto circa 10 metri, e le variazioni in altezza sarebbero risultate di millimetri 11,05 per ogni millimetro del barometro a mercurio." Ma, forse per inconvenienti di recapito postale delle indicazioni di Alfani, la colonna che doveva sorreggere il barometro fu realizzata più alta dei previsti 9/10 metri ed il progettista decise, in extremis, di sostituire alla glicerina l'olio di oliva! E dopo due giornate di intenso lavoro, risolti i sopravvenuti problemi di "tenuta" della camera barometrica, dalla sera del 27 agosto 1908 il barometro "…è là che silenziosamente accenna alle variazioni non avvertite della pressione atmosferica, e nella semplicità sua ricorda il nome di quel Grande, che ne scopriva le leggi." Il grande Barometro non sopravvisse all'Esposizione Internazionale. La curiosità di verificare la fattibilità e il corretto funzionamento del "barometro a glicerina" di Alfani ha indotto lo scrivente ed il faentino Enzo Ossani, che si occupa professionalmente di meteorologia, a ricostruire il grande Barometro seguendo il progetto originario, pubblicato sul n. 105 - settembre 1908 - della "Rivista di Fisica, Matematica e Scienze Naturali" (Pavia).

Nuovi progetti - pag. 15 [2001 - N.10]

Esposti in San Domenico a Ravenna nella mostra "Schola Cordis, oggetti devozionali - in particolare stampe e santini riproducenti il Sacro Cuore di Gesù e di Maria - della collezione Gulli Grigioni"

Nadia Ceroni - Conservatore della Pinacoteca comunale di Ravenna

La Chiesa di San Domenico di Ravenna ha recentemente ospitato una significativa mostra intitolata Schola Cordis. Con l'intento di documentare "amore sacro e profano, devozioni, pellegrinaggi, preghiera attraverso il simbolismo del cuore in immagini e oggetti europei" - databili dal XVII alla prima metà del XX secolo - l'esposizione è stata organizzata da Elisabetta Gulli Grigioni, curatrice anche del catalogo, edito dalle Edizioni Essegì. Il concetto di "Scuola del Cuore", che recupera il titolo da un noto libretto del 1629, si "presta a comprendere, in una finalità di celeste e spirituale didattica" non solo immagini legate al simbolismo del cuore - in particolare stampe e santini riproducenti il Sacro Cuore di Gesù e di Maria - ma anche innumerevoli oggetti cuoriformi - o decorati con il simbolo del cuore - legati sia alla devozione pubblica e privata, sia alla vita profana, qui richiamata da doni di fidanzamento o di nozze, ricordi di viaggi o semplicemente strumenti di vita quotidiana. Le preziose opere esposte appartengono alla vastissima collezione della curatrice, che da anni si dedica alla ricerca, alla raccolta e allo studio di oggetti e documenti grafici legati alla tradizione popolare e all'uso dei simboli, in particolare quello del cuore. La mostra fornisce l'occasione per dare avvio, in queste pagine, ad un ragionamento più generale sul collezionismo privato, fenomeno particolarmente diffuso nella nostra provincia. L'interesse e la curiosità, verso questa forma di raccolta privata, sono notevolmente aumentati nel corso degli ultimi anni, anche grazie al moltiplicarsi di mercatini locali, alla comparsa di pubblicazioni specifiche e all'attenzione dei media, che però hanno preferito e dato risalto all'eclettismo o agli aspetti più stravaganti delle raccolte. Una ricerca sull'eterogeneità delle tipologie presenti in provincia, potrebbe costituire l'occasione per riconoscere ai collezionisti - in qualità di studiosi e ricercatori - il ruolo culturale e sociale che meritano. Per i musei locali, infatti, la possibilità di acquisire nuovi fondi patrimoniali o di completare le proprie collezioni, potrebbe essere rappresentata dalla disponibilità dei collezionisti a depositare parte delle loro raccolte nei luoghi destinati per eccellenza all'esposizione, conservazione e valorizzazione dei beni culturali. Il deposito - quale forma di collaborazione tra pubblico e privato - potrebbe sopperire all'esiguità dei bilanci, che non permettono sistematiche programmazioni di acquisti per incrementare i patrimoni museali, per arricchirli e meglio qualificarli. Doni e depositi di privati cittadini hanno reso possibile, nel secolo scorso, la nascita di numerosi musei, la cui possibilità di sviluppo patrimoniale, di promozione, e divulgazione, può passare ancor oggi attraverso il contributo del collezionismo privato. Un'attività che - sgravata da onerosi interventi di conservazione e restauro, così come da quelli dell'inventariazione e della catalogazione - potrebbe beneficiare della collaborazione dei musei e delle biblioteche locali, degli istituti di ricerca scientifica e delle facoltà universitarie.

Collezioni private - pag. 15 [2000 - N.9]

Nuove opportunità per il turismo scolastico in Emilia Romagna

Laura Schiff Simona Giovani - Responsabile Progetto Emporio Scolastico - Dirigente Assessorato Turismo e Commercio Collaboratrice AICER

Fuori Classe è un progetto regionale per lo sviluppo del turismo scolastico, ideato e promosso nel 1998 dall'Assessorato Turismo della Regione Emilia Romagna, in collaborazione con l'Assessorato al Lavoro, Formazione, Scuola e Università, ed Aicer - Progetti e Opere per la Cultura. Il progetto nasce dall'esigenza di offrire uno specifico servizio agli insegnanti che vogliono realizzare un viaggio di istruzione in Emilia Romagna, supportandoli nella ricerca di informazioni e materiali sulle iniziative didattiche ed aiutandoli nell'organizzazione delle visite scolastiche e nella loro preparazione didattica in aula. Le motivazioni principali che hanno indotto ad intervenire nel settore sono molteplici: promuovere tutto il territorio regionale, con una attenzione particolare a quelle zone che sono meno importanti per il turismo tradizionale, ma che possono diventare un'interessante meta del turismo scolastico; contribuire alla destagionalizzazione del turismo; valorizzare altri segmenti del turismo tradizionale, quali il turismo naturalistico, quello delle città d'arte, ecc.; facilitare, sostenere e sviluppare una forma di turismo che più di ogni altra ha una funzione educativa e didattica. Nei due anni di lavoro preparatorio sono state realizzate interessanti iniziative tra le quali: un opuscolo informativo, una serie di convegni e seminari specialistici sul turismo scolastico e la raccolta dei dati utili all'organizzazione dei viaggi, successivamente organizzati e inseriti nella banca dati dell'emporio scolastico che dal mese di marzo di quest'anno è consultabile via internet all'indirizzo: www.regione.emilia-romagna.it/fuoriclasse. Il termine "Emporio" è stato scelto per meglio valorizzare l'idea dello scambio di informazioni e materiali, che avviene per mezzo di internet, tra l'Emporio e le scuole e tra le scuole stesse. La banca dati, continuamente aggiornata e implementata, costituisce il cuore dell'intero progetto e raccoglie numerose schede informative. Le schede delle Risorse turistiche contengono informazioni sulle risorse presenti sul territorio regionale: musei, castelli, rocche, raccolte d'arte, chiese, teatri, parchi, ecc... Ad oggi sono state inserite circa trecento risorse. Le schede, circa trenta, degli Itinerari contengono informazioni riguardanti alcune proposte di itinerari già predisposti per le diverse province. Gli insegnanti possono scegliere tra gli itinerari appositamente costruiti, oppure possono personalizzarli a loro piacimento. Le oltre seicento schede degli Enti contengono invece informazioni sugli enti che operano sul territorio regionale ai quali gli insegnanti possono rivolgersi per avere maggiori e più dettagliate informazioni. Più di seicento schede descrivono: Materiali informativi pubblicati relativi al territorio, alle manifestazioni e alle risorse regionali (depliant, cartine, CD rom, libri, video e altro). Infine si possono consultare più di settecento schede relative a tutte le Scuole dell'Emilia Romagna. All'interno del sito sono state predisposte una pagina di News Letter con la quale saranno divulgate le curiosità, le novità e le notizie di maggior interesse riguardanti il turismo scolastico e le iniziative attuate nel territorio regionale di interesse per il mondo della scuola, una Bacheca virtuale destinata a diventare luogo di scambio di informazioni e/o materiali tra le scuole, una pagina di Documenti utili, tra cui gli atti dei convegni organizzati nel '99, informazioni relative alle agevolazioni per le scuole che desiderano effettuare una visita scolastica in Emilia Romagna e alcune leggi relative ai viaggi di istruzione. Nella pagina dei Link è poi possibile collegarsi ad altre pagine web a carattere regionale e nazionale di interesse per le scuole. A completamento del progetto Fuori Classe a novembre '99 è stata pubblicata una guida rivolta principalmente agli studenti della scuola media inferiore dal titolo Un posto che piace. Guida dell'Emilia Romagna per giovani viaggiatori. L'impostazione tematica e non geografica della guida che impone una scelta degli argomenti trattati in base alle proprie passioni e ai propri interessi, il linguaggio semplice e discorsivo che lascia spazio alla fantasia, le immagini colorate ed esplicative e le tante storie raccontate che rivelano luoghi suggestivi, inediti, ricchi di emozioni e di storia accendono la curiosità nei giovani lettori stimolandoli a scoprire e a visitare l'Emilia Romagna per meglio conoscerla ed amarla.

Esperienze di didattica museale - pag. 15 [2000 - N.8]

L'esperienza di Bruno Munari alla base delle attività del laboratorio di didattica del Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza

Gian Carlo Bojani - Direttore del Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza

Occorre trasformare in qualche modo il Museo dal luogo che è - una raccolta di oggetti sia pure ordinata scientificamente - in un luogo di scoperta, di fantasia, in qualcosa che faccia parte di un gioco. Il laboratorio "Giocare con l'Arte" prepara i bambini al Museo: non tanto con discorsi, ma facendo vedere, toccare, provare e fare in uno spazio appositamente ideato per loro, dove possano recepire e sperimentare alcune fondamentali regole del gioco, come da una piattaforma sulla quale sprigionare la loro personalità creativa. Le regole del gioco sono l'apprendimento di alcune tecniche ceramiche semplici e via via più complesse, anche per la loro combinabilità, e l'uso dei più diversi strumenti e utensili d'intervento sulla e con l'argilla. Fondamentale non è l'opera conclusa, ma i procedimenti attraverso i quali si può raggiungere l'opera: per questo non sono i manufatti esposti al Museo ad ispirare il processo, ma è questo stesso processo che permette di scoprire i "segreti" di quei manufatti in tanti modi codificati dal tempo. Così i bambini scoprono il Museo non per visite guidate, ma individuando in esso quelle opere con caratteristiche simili a quelle da loro stessi sperimentate. Chi li conduce a tali scoperte, o in qualche modo li sollecita, potrà dare anche quelle informazioni storiche, tecniche, estetiche che i bambini a seconda della loro età saranno in grado di recepire o che essi stessi richiedono. Per esperienza, si può dire che le brevi visite al Museo successive ai giochi in Laboratorio, sono avvenute e richieste dai bambini stessi con vero interesse e con la consapevolezza del luogo diverso ma in qualche modo interagente con la loro libertà esplicata nell'ora di laboratorio: nel Museo la loro libertà è soprattutto visiva, orale, ma anche gestuale. Ma il Museo va anch'esso in laboratorio, talora con alcune opere che vengono in qualche modo "smontate" per far scoprire le regole che sono alla base della loro struttura, al loro volume, alla loro pelle, ai loro colori: mai come modelli da imitare. E così avviene per gli artisti che vengono a giocare coi bambini: essi rappresentano il Museo come materia vivente, poiché non sono tanto le loro opere concluse che essi mostrano e illustrano, e che sono già in tanti casi museificate: è il loro approccio diverso coi materiali e con gli strumenti, con le diverse loro intenzioni e sensibilità, con la loro disponibilità al gioco nell'applicazione dei vari linguaggi alla ceramica. Non a caso alcuni di questi artisti hanno esperimentato il materiale ceramico per la prima volta in laboratorio, in tutto e per tutto come gioco: mentre altri, con esperimentata conoscenza, sono stati condotti a confrontarsi nel gioco con la propria arte. L'aura dell'arte si rischiara, si dispiega così negli infiniti rivoli e combinazioni di una operatività i cui risultati possono avere importanza soltanto, e innanzitutto, se è possibile seguirne le regole. Il valore estetico dell'opera fa parte di una propedeutica assai più complessa di quanto si possa esercitare in questo rapporto Museo-Laboratorio: ma in esso sono insite alcune fondamentali coordinate di base che possono condurre, tramite quella "memoria" a cui fa riferimento Bruno Munari, a sedimentarlo e recepirlo col tempo. Dal 1978 il Laboratorio di Faenza costituisce il primo esempio di laboratorio munariano permanente in una sede museale. Vi accedono bambini in età prescolare e scolare di ogni ordine e grado; dal 1998 sono avviate esperienze con studenti di nazionalità diversa, ospiti di alcune scuole medie superiori di Faenza, ed esperienze didattiche con portatori di handicap. Nei prossimi mesi uscirà un quaderno, per i tipi del Centro Di (Firenze), sul Convegno di Studi tenutosi al Museo il 17 aprile 1999 dedicato a Munari: arte come didattica. In esso si potranno verificare le indicazioni che ho dato.

Esperienze di didattica museale - pag. 15 [2000 - N.7]

Come si raccolgono e detengono le armi costruite prima del 1890 che presentano caratteristiche decorative di notevole pregio o realizzate da artefici particolarmente noti

Michele Giambarba - Studio Legale Giambarba di Ravenna

Le armi comuni, da guerra, da sparo e non da sparo, chimiche, giocattolo, per uso sportivo o da caccia che siano, data la delicatezza che rivestono sotto il profilo dell'ordine pubblico, sono al centro di una complessa disciplina che prevede molteplici sanzioni penali. In particolare è imposto l'obbligo di portare a conoscenza dell'autorità preposta il rapporto che si è instaurato con l'arma, sia che si tratti del diritto di proprietà che di godimento, che di mera detenzione ed indipendentemente dalla natura onerosa o gratuita dell'acquisto. La disciplina è particolarmente rigorosa in tema di armi da guerra o tipo guerra essendo praticamente inibita al privato ogni attività, anche la sola detenzione. Vi sono tuttavia importanti eccezioni (art. 10 l. 110/1975) che riguardano le cessioni di armi da guerra cui il privato era stato autorizzato (ai sensi dell'art. 28 T.U.L.P.S.) alla detenzione prima dell'entrata in vigore della legge 110/1975. Ma anche in tali casi il trasferimento è ammesso solo se si tratta di successione a causa di morte o se le armi sono consegnate ai competenti organi del Ministero della Difesa o alle Forze Armate o -e ciò riveste per noi particolare interesse- ad enti pubblici in relazione all'esercizio di attività di carattere storico o culturale. L'erede o il cessionario dovrà comunque dare comunicazione al Ministero dell'Interno, chiedendo una espressa autorizzazione alla conservazione delle armi ricevute. Una disciplina specifica viene prevista per le "armi comuni" da sparo. Per la raccolta e la detenzione di esse è richiesta anzitutto la "licenza" del Ministero per l'Interno ed è previsto l'obbligo di "denuncia" all'ufficio locale di pubblica sicurezza o al comando del Carabinieri per la detenzione. Dalla denunzia sono tuttavia esentanti i possessori di raccolte autorizzate di armi rare o antiche che posseggono la licenza di collezione (art. 38 T.U.L.P.S.). La legge riserva inoltre una specifica disciplina per le armi c.d. "antiche o artistiche o rare o di importanza storica" la cui qualità artistica o storica deve essere documentato dal detentore in sede di denuncia o a richiesta del Questore ove tale documentazione sia insufficiente. La definizione di "arma antica" viene fornita dallo stesso legislatore (art, 10 comma 7, L. 110/1975) che annovera in tale categoria le armi ad avancarica e comunque tutte quelle costruite prima del 1890 (ma non le repliche, considerate a tutti gli effetti come armi comuni da sparo); la disciplina deve invece essere ricercata non nella l. 110/1975, ma nel D.M. 14 aprile 1982 cui l'art. 10 citato fa espresso rinvio. Da questo complesso di norme emerge l'intenzione del legislatore di costituire le armi antiche in categoria autonoma rispetto a quella delle armi da guerra e comuni. Il citato D.M., infatti, sottrae tra l'altro (art. 5) le armi antiche dall'obbligo di catalogazione ed immatricolazione, mentre l'art. 10 l. 110/1975 esclude che le stesse debbano essere conteggiate ai fini del calcolo del numero massimo delle armi detenibili per collezione di cui all'art. 10 comma 6. Inoltre l'art. 1 del decreto citato prevede che le armi antiche, anche se fabbricate per l'uso bellico, non possono essere considerate in alcun caso come armi da guerra. Il D.M. del 1982 citato precisa tuttavia che la nozione di arma antica viene riservata alle sole armi "da sparo", pertanto per le armi bianche la disciplina deve ancora essere ricavata dall'art. 38 Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza che prevede l'obbligo di denunzia delle medesime. Le "armi artistiche" sono definite quelle che "presentano caratteristiche decorative di notevole pregio o realizzate da artefici particolarmente noti". Per la stessa norma sono, invece, "rare di importanza storica" quelle che "si rinvengono in numero limitato o sono collegate a personaggi o ad eventi di rilevanza storico-culturale ". Per le armi in questione è ammessa la collezione previa licenza rilasciata dal Questore (art. 8 D.M. 14-4-1982), entrambe le categorie di armi suddette sono tuttavia considerate dalla legislazione vigente come armi comuni da sparo e quindi, contrariamente a quanto previsto per quelle antiche, sono a tutti gli effetti sottoposte alla disciplina della stessa legge, con la sola differenza che la licenza di collezione che viene disciplinata non dall'art. 10 l. 110/1975 ma dall'art. 8 del D.M. 14-4-1982 e con la sola eccezione della esclusione delle armi artistiche e rare dall'obbligo di immatricolazione e della catalogazione se fabbricate prima del 1920. In ogni caso, e ferma restando tutta la disciplina di legge in materia di cose di interesse storico, artistico e culturale (legge 1089/1939), i direttori dei musei di Stato o altri enti pubblici, o appartenenti ad enti morali cui è affidata la custodia di armi da guerra, di munizioni, di collezioni di armi comuni da sparo, di collezioni di armi artistiche, rare o antiche, devono redigere l'inventario dei materiali custoditi su apposito registro e curare l'aggiornamento puntuale dell'inventario, comunicando ogni variazione alla Questura (art. 32 l. 110/1975).

L'opinione del legale - pag. 15 [1999 - N.6]

Anche i copisti dovranno cautelarsi per non incorrere negli oneri derivati dai diritti d'autore

Michele Giambarba - Studio Legale Giambarba di Ravenna

Ricercatori, artisti, studenti, cultori e operatori del settore in genere possono avere la necessità di procurarsi riproduzioni delle opere esposte nei musei. Dal punto di vista strettamente giuridico bisogna considerare l'ipotesi sotto un duplice profilo, ossia da un lato quello della salvaguardia dei diritti d'autore relativi alle opere e, dall'altro, quello del rispetto della normativa dettata in materia di beni culturali in genere e musei in particolare. Infatti la normativa sul diritto d'autore riserva in esclusiva all'autore dell'opera e ai suoi aventi causa (eredi, cessionari e così via) il diritto esclusivo di "riprodurre" l'opera (art. 13 l.d.a.), intendendosi per riproduzione la moltiplicazione in copie dell'opera con qualsiasi mezzo, quale la fotografia, la copiatura a mano, la stampa, l'incisione, la fonografia, la cinematografia e così via. E' necessario quindi che prima di tutto il museo al quale viene richiesta la copia dell'opera verifichi preliminarmente se detiene o meno la proprietà dell'opera e dei diritti in quanto, se così non fosse, occorrerebbe una espressa autorizzazione del titolare. Nel caso invece più frequente in cui il museo possa autonomamente disporre delle opere, originariamente la normativa era contenuta segnatamente nella L. 340/1965 e nel D.P.R. 1249/1971 che autorizzavano i visitatori ad eseguire gratuitamente le riproduzioni fotografiche mediante apparecchi portatili, senza uso di ponti, lampade o altri mezzi di illuminazione, salvo vietarlo per esigenze di servizio o di conservazione dei beni. In materia è successivamente intervenuta la c.d. Legge Ronchey (n. 4/1993) che ha di fatto sovvertito le preesistenti norme che prevedevano generali criteri ed indirizzi sulle modalità da seguire in materia di riproduzioni fotografiche di opere all'interno di musei e gallerie. Le modalità ora in vigore sono contemplate nel Tariffario per la determinazione dei canoni adottato con decreto 8-4-1994 (G.U. 6-5-1994 n. 104), che prevede anzitutto il rilascio di una specifica concessione da parte del responsabile d'Istituto o della Soprintendenza e precisa inoltre che la riproduzione (quale che sia il mezzo tecnico utilizzato) di beni conservati presso i musei è soggetta al pagamento di canoni (indicati nel tariffario) o, nel caso di riprese per uso personale, per motivo di studio o le riprese a fini istituzionali della ricerca, del rimborso delle spese sostenute dall'amministrazione. Con la nuova normativa diviene quindi preminente lo scopo per il quale viene richiesta la riproduzione delle opere conservate nei musei e si tende ad assicurare ampia autonomia ai responsabili d'istituto che potranno stabilire di volta in volta le modalità della riproduzione le opere conservate nei musei.

L'opinione del legale - pag. 15 [1999 - N.5]

Michele Giambarba - Studio Legale Giambarba di Ravenna

In tema di protezione delle specie protette assume un particolare rilievo la convenzione firmata a Washington il 3 marzo 1973, altrimenti denominata CITES, ratificata con legge 19 dicembre 1975, n. 874, sul commercio internazionale di specie di flora e di fauna selvatiche, loro parti, prodotti e derivati, minacciate di estinzione, e di tutta la normativa ad essa conseguente. In particolare, si segnalano il regolamento CEE n. 3626/82 del 31 dicembre 1982, il regolamento CEE n. 3418/83 del 28 novembre 1983 e il Decreto Ministeriale 31 dicembre 1983. Il presupposto di tale convenzione, di cui si fa menzione nella stessa parte introduttiva, risiede nella presa d'atto che la fauna e la flora selvatiche sono portatori di un valore sempre crescente dal punto di vista estetico, scientifico, culturale, ricreativo ed economico, e che costituiscono per la loro bellezza e per la loro varietà un elemento insostituibile dei sistemi naturali che deve quindi essere protetto dalle generazioni presenti e future. Si assume inoltre che i popoli e gli Stati sono e dovrebbero essere i migliori protettori della loro fauna e della loro flora selvatiche, ritenendosi essenziale, a tal fine, la cooperazione internazionale per la protezione di determinate specie della fauna e della flora selvatiche, contro un eccessivo sfruttamento a seguito del commercio internazionale. Con la convenzione si è quindi inteso disciplinare il commercio -nel senso più ampio e comprensivo delle attività di esportazione- di determinate specie e di uniformare il più possibile la normativa e le prassi, anche mediante la creazione di apposite autorità nazionali, sia scientifiche che amministrative, con compiti specifici. Vengono quindi individuate (negli allegati) tutte le specie minacciate di estinzione restringendone il più possibile le attività commerciali, allo scopo di non mettere ancora più in pericolo la loro sopravvivenza, e autorizzandole solo in condizioni eccezionali conformemente alla convenzione e nel quadro della normativa comunitaria. Ma vengono inoltre individuate le specie che, pur non essendo necessariamente minacciate di estinzione al momento attuale, potrebbero esserlo in un futuro se il commercio non fosse sottoposto a una stretta regolamentazione avente per fine di evitare uno sfruttamento incompatibile con la loro sopravvivenza.A tali scopi si prevede che le attività di cui sopra veng ano effettuate solo da soggetti determinati in possesso di speciali licenze ed autorizzazioni e che per ogni atto intervenga il parere delle autorità competenti (all'uopo create) in grado di certificare che non vi è nocumento alla sopravvivenza della specie interessata. La normativa è in generale piuttosto rigida, tuttavia il rigore viene affievolito, per ovvie ragioni, nei casi di prestito, donazione o interscambio non commerciale fra istituzioni Scientifiche o di ricerca, pubbliche o private, che abbiano ottenuto l'iscrizione nel registro delle istituzioni Scientifiche previsto dall'articolo VII, par. 6, della convenzione. Deroghe alla normativa possono inoltre essere accordate dalle competenti autorità amministrative di| ciascuno degli stati che aderiscono alla convenzione al fine di permettere il movimento, senza permessi o certificati, di specie che formino parte di un giardino zoologico, circo, collezione zoologica o botanica ambulante o altre mostre itineranti. La convenzione prevede inoltre strumenti di consultazione e aggiornamento periodico fra i vari stati, organismi di coordinamento e la possibilità di aggiornare gli elenchi delle specie protette con procedure agevoli su proposta di ciascuno stato. Vengono anche istituiti organismi di studio e consultazione. Gli scopi della convenzione e della normativa conseguente sono rafforzati dalla previsione di un ampio e ben articolato sistema di sanzioni sia amministrative che penali piuttosto severe. Peraltro sono previste sanzioni non solo per le attività commerciali (sia pur nell'accezione più ampia del termine), ma anche per attività strettamente private e per uso personale quali ad esempio la detenzione di determinati esemplari vivi di mammiferi e rettili di specie selvatica e provenienti da riproduzioni in cattività (individuati da appositi decreti), vietata anche in considerazione del potenziale pericolo per la salute e per l'incolumità pubblica, salva apposita autorizzazione del prefetto. In Italia il rispetto della normativa in parole viene assegnato principalmente al Ministero dell' agricoltura. Molteplici funzioni amministrative sono inoltre conferite I alle regioni e agli enti locali e tra queste i compiti di protezione ed osservazione delle zone costiere, il controllo in ordine alla commercializzazione e detenzione degli animali selvatici, il ricevimento di denunce, i visti su certificati di importazione, il ritiro dei permessi errati o falsificati, l'autorizzazione alla detenzione temporanea, le competenze già esercitate dal Corpo forestale dello Stato, salvo quelle necessarie all'esercizio delle funzioni di competenza statale. La convenzione di Washington e le disposizioni europee ed italiane che ad essa fanno riferimento costituiscono pertanto un insieme di norme ben articolate e coordinate fra di loro alle quali si dovrà necessariamente fare riferimento per ogni attività che in qualunque modo abbia ad oggetto le specie protette.

L'opinione del legale - pag. 15 [1999 - N.4]

Avv. Michele Gianbarba - Studio legale Giambarba, Ravenna

Da parte delle istituzioni pubbliche che si occupano dei beni culturali in genere si registra oggi un interesse crescente per tutte le problematiche relative al diritto di autore. Recenti provvedimenti legislativi hanno permesso un uso più intenso e libero delle opere favorendo lo scambio di beni e informazioni fra istituzioni e istituzioni e privati, promuovendo un'ampia attività di catalogazione e archiviazione, la creazione di pubblicazioni la diffusione di siti talematici. La gestione sempre più dinamica dei beni culturali attenta alle esigenze dei suoi fruitori e aperta all'esterno - fino a porre le istituzioni non solo quali custodi del patrimonio storico, artistico e culturale italiano, ma anche promotori della conoscenza e come produttori di opere - implica necessariamente il confronto con le questioni relative alla proprietà intellettuale, all'oggetto e alla circolazione del diritto d'autore. Accade spesso, tuttavia, che l'interesse per le questioni relative al diritto d'autore non trovi sempre un'adeguata soddisfazione per diverse ragioni oggettive. In primo luogo le situazioni regolate dalla normativa sul diritto sul diritto d'autore sono molteplici e differenti l'una dall'altra. Di conseguenza la disciplina legislativa è necessariamente molto tecnica e ricca di sfaccettature, per la stessa natura dei beni oggetto della legge, intrisa di principi non sempre esattamente delineati che consentono, almeno all'apparenza, notevoli margini interpretativi. Inoltre non sono molti gli strumenti a disposizione degli operatori che permettano di attingere informazioni, di scambiare esperienze, di avere chiarimenti e di essere tempestivamente aggiornati. In conseguenza di tutto ciò il diritto di autore appare come materia ostile ai più, creando incertezze anche maggiori di quelle che hanno ragione di esistere. La presente rubrica si offre quindi come tentativo di andare incontro alle esigenze sopraindicate, sia chiarendo e approfondendo tematiche di particolare interesse per coloro ai quali è rivolto il notiziario, sia esaminando i problemi specifici che saranno di volta in volta posti. Si è ritenuto interessante dedicare il primo intervento sul diritto di autore al chiarimento di alcuni principi fondamentali della normativa. In primo luogo è opportuno delineare l'ambito del diritto d'autore cioè dei casi in cui la disciplina viene in considerazione. Fondamentale a questo scopo, è la legge del 22 aprile 1941 n. 633, e successive modifiche, che protegge e regola le espressioni della creazione intellettuale. La legge individua alcuni generi di opere dell'ingegno quali le opere letterarie, scientifiche, musicali, della scultura, della pittura, del disegno, l'incisione, le fotografie, i programmi per computer, ma tale elencazione non ha carattere tassativo ben potendo essere compresa nella tutela qualsiasi espressione di creatività, quale che sia la forma utilizzata. La legge accorda quindi all'autore una serie di diritti che vengono raggruppati in due categorie : i c.d. diritti morali d'autore, irrinunciabili imprescrittibili ed inalienabili, di rivendicare la paternità dell'opera e di opporsi a modificazioni che possano essere in pregiudizio al suo onore e alla sua reputazione, e i diritti di utilizzazione economica. Si osserva quindi che mentre nel linguaggio comune il termine "opera" viene spesso accordato solo alle espressioni più alte dell'arte e della cultura, la legge riserva la tutela alle espressioni della creatività intellettuale prescindendo sia da un giudizio di valore circa detta creatività, sia dal modo e dal la forma che essa assume. Inoltre viene tutelata l'espressione intellettuale in senso astratto indipendentemente dall'oggetto nel quale si intrinseca e materializza l'espressione intellettuale. Le categorie di opere che rientrano nelle tutela della legge è quindi quanto mai ampia e multiforme e le iniziative consentite alle istituzioni culturali fanno sì che le questioni relative al diritto di autore non si pongono solo al momento in cui l'ente acquisisce opere d'arte , ma anche in tutti i casi in cui lo stesso ente cede a terzi le opere che detiene, quale che ne sia il titolo, e nel momento in cui si propone quale "produttore" di opere quali ad esempio cataloghi, CD - Rom, audiovisivi, bibliografie sistematiche, siti multimediali. Un chiaro esempio di ciò è rinvenibile nel tariffario elaborato sulla scorta della legge c.d. Ronchey che presuppone che coloro che saranno chiamati ad applicarla abbiano un buon grado di dimestichezza con i principi della legge sul diritto d'autore e che, riguardando alcuni aspetti della circolazione delle opere e dei diritti, disciplina alcuni casi ulteriori rispetto alla mera acquisizione a fini di custodia e di esposizione al pubblico delle opere. Preso atto dell'esistenza di un gran numero di acquisizioni in cui si impone il ricorso alla disciplina del diritto di autore, può dirsi in via generale che l'acquisizione, l'alienazione e la trasmissione dei diritti d'autore può avvenire secondo tutti gli schemi negoziali consentiti dall'ordinamento giuridico (ad esempio, compravendita, donazioni, usufrutto, e così via), salvo trovare i limiti specifici di volta in volta precisati dalla legge. Le problematiche giuridiche relative al trasferimento dei diritti saranno quindi quelle proprie della contrattualistica e delle obbligazioni. I problemi più specifici sono invece dati dal contenuto del diritto d'autore. Invero l'espressione "diritto d'autore" non rende conto del fatto che detto diritto deve essere scomposto in un'ampia varietà di diritti, specificamente disciplinati dalla legge, che sono indipendenti fra loro sicché' la trasmissione di uno di essi non esclude l'esercizio esclusivo degli altri. Il meccanismo elaborato dal legislatore è tale per cui in campo dell'autore sorgono tutti i diritti esclusivi, ma egli potrà cedere a terzi l'uno o l'altro dei vari diritti di cui è titolare, senza che vi sia dipendenza fra loro. Consegue che nel momento in cui i diritti d'autore formano oggetto di atti giuridici volti all'alienazione o all'acquisto dei diritti d'autore sarà necessario individuare puntualmente i limiti della trasmissione.

L'opinione del legale - pag. 15 [1997 - N.0]

Numerose iniziative sono in programma, per le calde serate estive, in omaggio al "pianeta rosso" in opposizione alla Terra il 29 agosto

Franco Gàbici

Nei mesi di luglio e agosto il Planetario, che da qualche mese ha rinnovato completamente il suo arredo, è aperto due volte la settimana (martedì e venerdì, ore 21) per offrire al pubblico un suggestivo incontro ravvicinato con le meraviglie del cielo stellato. Il cielo estivo di fine agosto sarà dominato dalla presenza di Marte, il "pianeta rosso", che il 29 del mese sarà molto vicino alla Terra (si parla di "grande opposizione") e per ricordare questo importante evento astronomico saranno organizzate alcune conferenze speciali sul pianeta (a pagamento) e osservazioni col telescopio (gratuite). La sera del 29 agosto, inoltre, sarà proiettato all'aperto (ore 21, ingresso libero), in collaborazione con lo Chalet dei Giardini e il Teatro del Drago, il film La guerra dei mondi di Byron Haskin, un classico della fantascienza che proprio quest'anno compie i cinquant'anni (il film uscì infatti nel 1953). La scelta di proiettare questo film, tratto dall'omonimo romanzo dello scrittore inglese Herbert G.Wells, è stata motivata dal fatto che la vicenda narrativa (una invasione della terra da parte di marziani) si svolge proprio in occasione di una "grande opposizione" del pianeta Marte. Complessivamente in questi due mesi estivi il Planetario offre sedici appuntamenti a beneficio di quanti intendessero avvicinarsi per la prima volta ai misteri e alle bellezze del cielo. Si parla di pianeti, di galassie, di ammassi, di missioni spaziali con un linguaggio facile e accessibile a tutti. Una occasione da non perdere.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 15 [2003 - N.17]

Dai racconti delle leggende e tradizioni popolari della campagna estense alle sensazioni e alle attenzioni ai suoni e ai rumori nelle calde notti estive nel Podere Pantaleone di Bagnacavallo

Giuseppe Masetti - Direttore del Centro Culturale "Le Cappuccine" di Bagnacavallo

Per il terzo anno consecutivo a Bagnacavallo, presso l'antico Podere Pantaleone, sono state organizzate dalla Società per gli Studi Naturalistici della Romagna e dal Comune, nell'ambito dei programmi INFEA per l'educazione ambientale, le visite notturne come esperienza guidata alla ricerca dei protagonisti e dei rumori della notte in aperta campagna. Dopo l'inaugurazione della suggestiva pista ciclabile che costeggiando il Canale Naviglio ora collega Villanova al centro di Bagnacavallo lungo un percorso consigliato per la sera, sono state organizzate in aprile due incontri con Eraldo Baldini e Roberto Roda per conoscere le leggende e le tradizioni popolari della campagna estense; poi dal 30 aprile al 2 luglio, sfruttando le sere di novilunio, quasi in assenza totale di luce, si sono tenute otto visite tra la fitta vegetazione del Podere, per affinare le sensazioni e le attenzioni legate all'ambiente notturno. In gruppi di circa una dozzina di visitatori si ascolta dapprima una breve introduzione tecnico scientifica poi, dotati ciascuno di un bad detector per rilevare gli ultrasuoni emessi dai pipistrelli, ci si avvia all'ascolto dei rapaci notturni, degli usignoli e dei grilli, lontano da ogni forma di inquinamento acustico. La guida e il gruppo aiutano anche i più piccoli a vincere paure e suggestioni diffuse lungo un percorso che trova ogni anno visitatori sempre più numerosi al punto da rendere necessaria la prenotazione e l'iscrizione anticipata a queste immersioni nella natura, a pochi passi dal centro cittadino.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 15 [2003 - N.17]

www: rifatto il look al sito del Sistema Museale Provinciale

Eloisa Gennaro

Per favorire la promozione dei musei del Sistema Museale e offrire un più rapido accesso alle informazioni relative al patrimonio e alle attività museali del territorio, la Provincia di Ravenna ha realizzato il sito Web del Sistema Museale Provinciale, presente su Internet dal mese di giugno 2001 all'indirizzo www.sistemamusei.ra.it. La Home Page - a cui è possibile accedere anche attraverso un'animazione in Flash - mostra le cinque sezioni in cui è strutturato il sito. La sezione Sistema Museale Provinciale spiega sinteticamente che cos'è il Sistema e quali sono le sue attribuzioni. Nella sezione Laboratorio Provinciale per la didattica museale sono illustrati i servizi offerti dal Laboratorio: dal mese di settembre sarà consultabile una finestra - aggiornata con frequenza settimanale - che segnala le iniziative e gli eventi museali in corso di svolgimento nell'ambito provinciale; è inoltre possibile trovare l'elenco delle pubblicazioni didattiche 'minori', consultabili nel Laboratorio. La sezione Pubblicazioni elenca le monografie edite nelle tre collane curate dall'Assessorato beni e attività culturali della Provincia di Ravenna: ogni opera è corredata dall'immagine della copertina e da una sintesi dei contenuti o dalle note bibliografiche. In Andar per Musei si trovano le schede di presentazione aggiornate dei venti musei appartenenti al Sistema, con foto di allestimenti e oggetti, orari di apertura, servizi al pubblico, link a eventuali siti museali e possibilità di contattare via e.mail il personale dei musei; corredano questa sezione del sito le schede sintetiche dei restanti musei presenti nella provincia ravennate non appartenenti al Sistema. La sezione Museo inoforma traduce in formato elettronico l'omonima rivista cartaceae; la ricerca degli articoli può avvenire sia in base ai singoli numeri della rivista, ossia in ordine cronologico, sia in base alle singole rubriche, ossia per argomento. Il sito ha una dimensione essenzialmente informativa e si rivolge soprattutto ai potenziali visitatori dei musei, alle persone interessate in generale al patrimonio e alle attività museali del territorio ravennate e agli operatori del settore. Grazie a una navigazione facilitata è possibile trovare velocemente tutte le informazioni desiderate. Il sito sarà continuamente aggiornato nei contenuti e nel futuro si prevede di sviluppare maggiormente il livello di interattività e i servizi offerti agli utenti.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 15 [2001 - N.11]

Un itinerario gastronomico per conoscere i sapori della Bassa Romagna

Maria Rosa Bagnari - Responsabile Centro Etnografico della Civiltà Palustre di Villanova di Bagnacavallo

Il Centro etnografico della Civiltà palustre ha avuto l'onere quest'anno di organizzare la Due giorni di Romagna dei giornalisti dell'ARGA (Associazione Interregionale Giornalisti Agricoltura Alimentazione Ambiente) di Emilia Romagna, Marche, Toscana e Umbria che si è tenuta il 17 e il 18 ottobre scorsi. L'itinerario culturale-enogastonomico che aveva il titolo Conoscere la bioregione Bassa Romagna ha condotto i giornalisti in un percorso alla scoperta di valori e di sapori autentici della nostra terra. La visita comprendeva varie tappe: al Museo Baracca di Lugo, alla sezione naturalistica del Centro Culturale "Le Cappuccine" di Bagnacavallo, al Centro Etnografico della Civiltà palustre di Villanova di Bagnacavallo, concludendosi a Marina di Ravenna per visitare la Nave di Magan. La due giorni prevedeva inoltre buffet abbinati ai vini tipici delle cantine Cevico e Consorzio "Il Bagnacavallo", il pranzo palustre e la grigliata finale di pesce azzurro al Cantiere nautico Dellapasqua dove è ospitata la Nave di Magan

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 15 [2003 - N.18]

La troupe della popolare trasmissione televisiva in visita, per la seconda volta, al Centro Etnografico

Maria Rosa Bagnari - Responsabile Centro Etnografico della Civiltà Palustre di Villanova di Bagnacavallo

A seguito dello speciale L'uomo e la sua terra prodotto per la trasmissione televisiva Geo & Geo, andato in onda nella primavera di quest'anno, il 25 settembre 2003 il Centro Etnografico della Civiltà Palustre è stato visitato nuovamente dalla troupe di Geo & Geo, diretta dalla regista Nadia Testa. L'oggetto di interesse primario è stato il Cantiere aperto del Centro Etnografico della Civiltà Palustre, laboratorio delle tecniche di intreccio delle vegetazioni spontanee delle zone umide, composto da anziani artigiani che detengono inalterato il bagaglio delle arti manuali villanovesi. Questa giornata ha visto all'opera ventidue mestieranti e alcune "azdore" in quanto questa serie di trasmissioni è alla riscoperta dell'uso delle farine appartenenti alla cucina popolare locale e alla tradizione del pane. Ha colpito particolarmente l'attenzione della troupe la presentazione di un omaggio tradizionale che si usava fare nella nostra zona ravennate anche nell'occasione del matrimonio. Esso consisteva in una sporta di erba palustre che conteneva una forma tradizionale di pane, un cartoccio di sale e una bottiglia di vino. Questo omaggio rappresentava la massima espressione augurale in quanto ciascun elemento componente ha un preciso significato simbolico: la sporta rappresenta la casa sulla propria terra, il pane "il necessario", il sale "l'ingegno", il vino "e' di pió".

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 15 [2003 - N.18]

La dimensione personale e quotidiana nella pratica della conservazione: una via insolita per riflettere su temi culturali di carattere sociale

Alba Trombini, Marta Zocchi, Mariapaola Lubrano Lavadera - Responsabili del progetto didattico

Conservare per ricordare, per riflettere e far riflettere. Per aiutare le future generazioni a comprendere meglio le loro radici e a godere della bellezza prodotta nel tempo dall'uomo e dalla natura. Conservare per vivere meglio il qui e ora e lasciare un segno al domani. Può continuare a lungo la lista dei motivi per cui "conserviamo" le espressioni del nostro tempo e quelle ricevute in eredità dai nostri avi. In occasione della mostra dedicata dalla Biblioteca Classense alla bellezza di Ravenna e all'opera di Corrado Ricci e Luigi Rava, si è riflettuto a lungo su questi temi cercando di affrontare l'argomento da prospettive diverse, con linguaggi e metodologie adatte a differenti tipi di pubblico. Tutte le attività collaterali proposte durante il periodo della mostra - corsi, conversazioni d'arte e laboratori - sono state concepite con un intento preciso: affrontare il tema della bellezza e della conservazione partendo dalla sfera personale e quotidiana, per giungere poi alla sua dimensione culturale sociale. Da una conoscenza e presa di responsabilità individuale a quella collettiva. Perché conservare, per chi, in che modo? E poi, ancora, chi era Corrado Ricci? Per molti ravennati è poco più di un nome di una via del centro, così come Luigi Rava è quello di una scuola. Come spiegare ad un pubblico di non specialisti o a bambini e ragazzi della scuola dell'obbligo chi sono questi personaggi, ai quali la nostra città deve così tanto, e cosa ha significato la loro opera nel contesto del panorama culturale di fine '800 e inizio '900? Lo abbiamo fatto partendo dal nostro quotidiano, approfondendo con specialisti del restauro le modalità di conservazione dei piccoli e grandi beni culturali "domestici"; lo abbiamo fatto imparando con un artista illustratore le basi della tecnica del disegno dal vero, così abilmente utilizzata da Ricci nel corso della sua vita; lo abbiamo fatto, infine, costruendo con bambini e ragazzi delle Capsule del tempo con l'obiettivo di tramandare al futuro tutto ciò che oggi per loro ha un grande valore.

Speciale restauro - pag. 15 [2004 - N.19]

L'allestimento della Domus del Triclinio realizza un'operazione di recupero e conservazione dei resti di un'abitazione romana dei primi secoli d.C.

Fondazione Parco Archeologico di Classe RavennAntica

La mostra restituisce alla fruizione del pubblico una domus romana del I-III secolo dopo Cristo, rinvenuta oltre vent'anni fa e ad oggi mai vista. I resti dell'abitazione romana sono stati scoperti durante i lavori di scavo condotti nel 1980 per la costruzione della nuova sede della Banca Popolare di Ravenna. La domus venne distrutta all'inizio del IV secolo d.C. da un violento ed improvviso incendio e fu abbandonata precipitosamente dai suoi abitanti che non riuscirono a mettere in salvo gli arredi di pregio ancora in uso. La sua ricostruzione è particolarmente suggestiva, perché rappresenta uno straordinario spaccato di vita quotidiana: al suo interno è possibile ammirare le pavimentazioni musive originali, oggetti d'arredo e da mensa, reperti decorativi (tra cui un piccolo e pregevole Tritone) che hanno permesso l'identificazione dei resti di un letto tricliniare. Quest'ultimo è un genere di reperto che assai di rado è documentato in uno scavo. L'allestimento di questa grande mostra è anche occasione per proporre ai visitatori un eccezionale contenitore, la "Cavallerizza", la chiesa di San Nicolò del XIV secolo, di recente restaurata, anch'essa mirabile "tesoro" nascosto. La mostra nasce dalla collaborazione della Fondazione Parco Archeologico di Classe RavennAntica con il Comune e la Provincia di Ravenna, la Regione Emilia Romagna, l'Università di Bologna, la Soprintendenza Regionale per i Beni e le Attività Culturali, la Soprintendenza Archeologica dell'Emilia Romagna, la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Ravenna, il Ministero dell'Economia e delle Finanze.

Speciale restauro - pag. 15 [2004 - N.19]

Un convegno ad Imola per parlare di musei e delle nuove riforme nel settore dei beni culturali

Valerio Brunetti - Valerio Brunetti

Promosso dal Centro Studi Storia del lavoro di Imola, presieduto da Angelo Varni, in collaborazione con l’IBC dell’Emilia Romagna, si è tenuto ad Imola il 14 aprile scorso un interessante seminario-convegno sul tema Il museo tra fruizione culturale ed economia della gestione. Obiettivo principale era un’analisi approfondita “del delicato equilibrio tra espressione culturale dei nostri musei e la loro esigenza di soddisfare parametri gestionali di economicità”.
Anche se i lavori si sono sviluppati intorno a questo tema conduttore, in un momento così importante per ila tutela dell’arte e del paesaggio in Italia con l’entrata in vigore del nuovo Codice dei beni culturali, il dibattito non poteva che allargarsi alle incognite e alle aspettative che questa profonda riforma riserva al nostro patrimonio culturale. I lavori, abilmente presieduti e condotti da Andrea Emiliani hanno visto la partecipazione di illustri esperti del mondo economico e del settore beni culturali, locale e nazionale, che hanno sapientemente e piacevolmente “informato” il pubblico, composto quasi esclusivamente da addetti ai lavori. All’appassionata introduzione di Emiliani sulle origini della tutela in Italia, sui problemi della catalogazione e sulla “funzione pubblica” del patrimonio artistico, ha fatto seguito l’intervento di Cesare Annibaldi, difensore non troppo convinto dell’autofinanziamento anche nel settore dei beni culturali: chi presiede un museo oppure opera nella promozione culturale oltre ad essere competente scientificamente dovrebbe essere supportato da anche da una “sensibilità economica”, cosa che, a suo parere, non si insegna nei 35 corsi sui beni culturali delle università italiane.
Mario Serio, direttore del Ministero beni culturali, ha fornito un quadro della situazione museale in Italia e del museo come luogo per la cultura, sottolineando la necessità di giungere da parte degli operatori ad una capacità di dialogo con le discipline scientifiche ed economiche. Elio Garzillo oltre ad aver affrontato le norme della corretta gestione dei musei ha introdotto alcune problematiche che potrebbero sorgere con il nuovo Codice. Massimo Montella ha evidenziato la funzione sociale del museo, auspicato lo sviluppo a livello locale delle reti dei musei e come le pratiche di buona gestione debbano essere premiate da chi controlla sul loro operato. Alessandro Zucchini ha posto l’attenzione sul piano museale triennale della regione Emilia Romagna, sugli standard e gli obiettivi di qualità che ogni museo dovrebbe perseguire, illustrando i fini del questionario di autoanalisi proposto dall’IBC alle strutture museali. Girolamo Sciullo ha analizzato principalmente la normativa, anche in termini economici, riguardante i musei e le norme del nuovo Codice che introducono la definizione per il museo aggiornato e moderno.
Il convegno ha rappresentato, in ultima analisi, un significativo approfondimento di quasi tutte le problematiche, non solo economiche, che una struttura museale deve affrontare per mantenersi in vita e crescere, per aumentare l’interesse dell’utenza e per essere fedele al significato della sua missione: tutela, valorizzazione e stimolo alla fruizione. un tema, questo della missione del museo, dibattuto da molti anni e che Andrea Emiliani ha proposto come argomento di studio per il prossimo convegno.

Appunti dai convegni - pag. 15 [2004 - N.20]

Marionette, burattini, copioni e scenografie. Un altro museo è entrato a far parte del Sistema Museale della Provincia di Ravenna, che arriva così a mettere in rete 35 musei del territorio

Eloisa Gennaro - Responsabile U. O. Beni Culturali della Provincia di Ravenna

Il Museo della Collezione Monticelli – attualmente ospitato all’interno della sede del Teatro del Drago di Ravenna - è un’interessantissima raccolta di marionette, burattini, scenografie, copioni manoscritti e altro materiale che, a partire dal 1840, viene trasmessa di padre in figlio ed ampliata nell’ambito della storica compagnia teatrale della Famiglia Monticelli, di origine lombarda ma residente a Ravenna dalla metà del secolo scorso
Questo piccolo museo specialistico non nasce – come normalmente succede – grazie all’hobby di un collezionista bensì si distingue per essere composto da una raccolta ‘viva’, ovvero formatasi e conservata in quanto protagonista degli spettacoli portati in scena da ben cinque generazioni della famiglia Monticelli dalla metà dell’Ottocento fino ad oggi, a partire da Ariodante - nato a Cremona nel 1826 - famoso scenografo e marionettista, capostipite della compagnia.
La raccolta rappresenta un significativo tassello di storia del teatro e di storia dell’arte, a testimonianza sia della creatività artistica che dell’abilità artigiana, punto d’incontro tra la grande tradizione del teatro e quella delle compagnie girovaghe di spettacolo. Si contano numerosissimi burattini, oltre 50 marionette, più di 150 scenografie (alcune delle quali realizzate da noti pittori), molti copioni manoscritti e tanto altro materiale di tournée quali locandine, lettere, bandi, permessi, contratti e così via. Di notevole interesse sono i pezzi in legno e cartapesta, senza dimenticare la recente acquisizione di una serie di maschere tradizionali emiliane, come Fagiolino, Sandrone e Dottor Balanzone, che risalgono ai primi anni dell’Ottocento.
Si tratta dunque di un museo che espone una collezione non cristallizzata nel passato bensì dinamica, in continua evoluzione, in grado di ingrandirsi, di modificarsi e di proporsi al pubblico in maniera sempre innovativa, attraverso le visite guidate che sottolineano l’intreccio esistente tra i singoli pezzi esposti, i laboratori di costruzione di pupazzi e materiali di scena, gli spettacoli di burattini tradizionali emiliano-romagnoli, i corsi sul teatro di figura.
A partire dal 1979, anno di fondazione della compagnia del Teatro del Drago da parte di Andrea e Mauro Monticelli, l’ultima generazione di famiglia si è impegnata a promuovere la collezione curando una costante attività espositiva, pensata in una duplice direzione: da un lato percorrere la mappa dei principali appuntamenti nell’ambito del Teatro di Figura internazionale; dall’altro, testimoniare la volontà in ambito locale di valorizzare un patrimonio storico, artistico e culturale come fatto di pubblico interesse, ritenendo fondamentale l’attività professionale di una famiglia d’arte storica legata alla vita stessa di Ravenna e dell’Emilia Romagna. A tale proposito vengono organizzate alcune piccole ma significative mostre temporanee dislocate sul territorio – grazie anche alla collaborazione del Sistema Museale Provinciale - di cui l’ultima in ordine di tempo, dal suggestivo titolo Il Teatro dei sogni, è stata presentata nel mese di novembre 2004 presso le sale del primo piano del Museo Civico “San Rocco” di Fusignano.
Una raccolta, dunque, in grado di assumere molteplici forme e percorsi: gli oggetti esposti, diversamente intrecciati e messi in relazione (scenografia, copione, burattino, marionetta), possono far luce su di un pezzo di storia del teatro. Affinché sia pienamente fruito tutto il numeroso materiale che compone la Collezione Monticelli, il Teatro del Drago si sta adoperando per individuare a Ravenna una sede museale più adeguata alle esigenze e potenzialità di una raccolta ‘viva’, che risponda all’ambizione di creare un rapporto profondo e dinamico col suo pubblico.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 15 [2004 - N.21]

Il secondo stralcio del Piano triennale prevede ulteriori interventi di miglioramento

Eloisa Gennaro - Responsabile U.O. Beni Culturali della Provincia di Ravenna

La Giunta Provinciale ha approvato i progetti e gli interventi del Piano museale per l’anno 2005, che rappresenta il secondo stralcio del Piano 2004-2006 approvato lo scorso anno, e che si pone in linea dunque con i criteri e gli indirizzi formulati dal Consiglio Regionale nel Programma regionale degli interventi in materia di biblioteche, archivi storici, musei e beni culturali. Obiettivi, linee di indirizzo e procedure per il triennio 2004-2006, meglio specificati dalla Provincia.
Con il Piano per il 2005 la Provincia cerca di mantenere quote di finanziamento significative a beneficio degli enti, pur nel quadro delle scarse risorse disponibili, nella convinzione che i musei devono essere ben supportati in relazione sia ai necessari investimenti strutturali che alle attività di valorizzazione delle raccolte. Nel Piano si dà conto in maniera analitica delle proposte presentate dai musei del territorio e delle valutazioni per ciascun intervento espresse nel quadro della concertazione con l’IBC e con i soggetti interessati.
Va sottolineato anzitutto come nella nostra provincia la valorizzazione del patrimonio culturale sia un valore fortemente sentito. Ben 26 musei (11 nell’area faentina, 9 nell’area lughese, 6 nell’area ravennate) si sono attivati per realizzare interventi volti da una parte a migliorare le strutture, gli allestimenti e a mettere a norma le sedi – in particolare quelle di pregio storico-artistico – e, dall’altra, a potenziare l’accoglienza e l’informazione al pubblico.
Ricordiamo il recupero della facciata liberty e di un’ala interna del Museo Francesco Baracca di Lugo, le ristrutturazioni e i restauri della Rocca trecentesca di Russi che ospita il Museo civico, del convento delle Cappuccine di Bagnacavallo, sede dell’omonimo Centro Culturale, della Rocca Estense di Bagnara di Romagna, dove a breve inaugurerà il Museo civico. Sono inoltre in fase d’avvio sia la realizzazione di nuovi allestimenti al Museo del lavoro contadino di Brisighella, sia il rinnovamento di alcune sezioni al Museo del Senio di Alfonsine, al Giardino delle Erbe di Casola Valsenio, al MIC e al Museo “Malmerendi” di Faenza.
Tra le proposte per rendere più fruibile e accogliente l’ambiente museo ricordiamo la creazione di banche dati sulle collezioni da parte del Centro Le Cappuccine e del Cardello di Casola Valsenio, l’organizzazione di uno spazio didattico permanente al MAR di Ravenna, la sperimentazione di laboratori creativi al Museo Zauli di Faenza, l’introduzione di attrezzature tecnologiche per proiezioni multimediali, animazioni e visite guidate al Museo della Resistenza di Brisighella, al Museo dei Burattini di Cervia e alla Domus dei Tappeti di pietra a Ravenna.
Occorre precisare che non tutti questi progetti trovano un diretto contributo finanziario nell’ambito del Piano. Si è infatti tenuto conto del vincolo imposto dalla legge 350/2003 (la finanziaria 2004) in base alla quale non è possibile trasferire risorse derivanti da indebitamento a favore dei musei di enti privati, a sostegno dei quali, però, sono state previste nel Piano azioni di sistema per migliorare i servizi al pubblico, la ricerca, la didattica e la valorizzazione delle raccolte.
È appena il caso di ricordare, in conclusione, che quest’anno scade la delibera regionale n. 309 del 3 marzo 2003 che fissava gli standard di qualità a cui tutti i musei devono adeguarsi. A questo proposito la Provincia di Ravenna sta cercando di fornire in ogni modo un supporto di tipo tecnico scientifico agli enti del territorio, in stretto raccordo con l’IBC, avviando seminari, gruppi di lavoro, corsi di aggiornamento: occorre finalizzare le attività all’obiettivo legato agli standard, fermo restando che sono in fase di definizione nuovi indirizzi in merito da parte della Regione.
I nuovi indirizzi dovranno contemperare l’esigenza fondamentale di orientare le energie verso obiettivi irrinunciabili di qualità con le ragioni della finanza locale, che sconsigliano di adottare decisioni drastiche di natura vincolistica con riferimento ai requisiti di accesso alle reti museali e quindi ai finanziamenti. In questa fase pare opportuna una rivalutazione degli obiettivi per assicurare l’equilibro tra i tempi e le risorse disponibili; ma senza tentazioni di rallentamento o riduzione di tensione, per evitare che venga data minor importanza e attenzione alle politiche culturali.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 15 [2005 - N.22]

Il centro Le Cappuccine dedica una mostra al grande medico, botanico e patriota

Giuseppe Masetti - Direttore del Centro Culturale "Le Cappuccine" di Bagnacavallo

Giusto duecento anni fa, il 1° ottobre 1806, nasceva a Bagnacavallo Pietro Bubani, un’importante figura di botanico dell’Ottocento italiano, ancor più noto all’estero, in Spagna e nel Midi francese, per le sue ricerche sulla flora dei Pirenei.
Nel 1829 si laureò giovanissimo in medicina a Bologna, ma le sue passioni si volsero ben presto alle scienze naturali, ai classici latini, alla musica, lasciandolo però “molto amante delle donne e per niente amico della pretaglia”.
Ben presto partecipò infatti ai moti risorgimentali del 1831 presso Argenta e inseguito dalla polizia austriaca trovò riparo prima a Firenze, poi a Lucca, in Corsica ed infine in Francia a Montpellier.
È in quell’Università che il professor Felix Miguel Dunal, apprezzando le sue osservazioni critiche nei confronti delle classificazioni di Linneo ancora in uso nelle accademie botaniche, convinse l’ardito romagnolo ad esplorare per ben 26 anni tutta la vegetazione dei Pirenei, dal Mediterraneo all’Atlantico. Così Bubani indagò dapprima il versante francese, poi quello spagnolo, legandosi profondamente a quella regione che gli sembrò a lungo un “Paradiso terrestre, perché facili i monti, ameni i luoghi e bellissime le donne”.
Rischiando la vita in più di un’occasione egli riuscì a classificar oltre 2.800 specie botaniche scrivendo quasi 3.000 pagine in latino, corredate da osservazioni inedite e rigorose, più volte ricontrollate durante gli 11 anni trascorsi prima della revisione necessaria per la stesura definitiva.
La sua Flora Pyrenaea è un’opera immensa, completa e sistematica, che per la prima volta nella storia abbraccia compiutamente la vegetazione di quella estesa regione. Ma i suoi meriti non si limitano alla vastità dei campioni esaminati: irriverente come in politica e in società, Bubani prese spesso posizione contro il modo asettico e rituale di classificare le piante secondo la tradizione libresca, preferendo invece il “sistema naturale” per il quale si inserivano nelle schede tutte le notizie accessorie, reperite con l’osservazione diretta, utili a descrivere l’ambiente vitale riscontrato in natura.
Lui, che scriveva e leggeva benissimo in latino, con la deferenza per i classici che lo aveva portato in gioventù alla compilazione della Flora Virgiliana, propendeva per un metodo positivista anche nella sua disciplina e sosteneva che non bastava più assemblare testi accademici al chiuso degli studioli. Occorreva invece servire la scienza moderna con la dovuta disponibilità verso le nuove scoperte e le revisioni disciplinari. Fu la sua ostinata determinazione all’analisi sul campo che gli fece rilevare la presenza nei Pirenei centrali di una pianta fino ad allora ignota in Europa, cui diede subito il nome di Dioscorea Pyrenaea Bubani, il giorno 15 luglio del 1845.
Rigoroso, intransigente, polemico anche verso fratelli e concittadini, fece ritorno in Romagna nel 1847, fiducioso nell’amnistia concessa dal papa Pio IX, per riprendere poi la via dei Pirenei nel 1850, deciso a completare, con le sue 20 spedizioni, il grande Erbario lasciato poi in donazione all’Istituto Botanico di Genova.
Passò a Bagnacavallo i suoi ultimi decenni, fra studi approfonditi, l’irrisione dei concittadini e continue tensioni familiari, fino al 12 agosto 1888, quando morì quasi cieco, cadendo banalmente dal balcone del suo palazzo. Il colto esploratore che aveva sfidato polizie reazionarie e cime pirenaiche finiva i suoi giorni sulla via di casa, lasciando una sola diletta figlia che gli sopravvisse appena due anni.
Gli ultimi eredi della sua famiglia, il ramo faentino dei Laderchi e dei Brunetti, oggi residenti a Bologna – dove è sepolto Bubani – hanno disposto il lascito al Comune di Bagnacavallo di interessanti documenti che, insieme alle centinaia di lettere reperite nelle principali biblioteche e musei italiani, saranno utilizzati nelle iniziative che, a partire da settembre, ricorderanno il bicentenario di Bubani, durante la festa di San Michele. Insieme all’IBACN il Centro Culturale “Le Cappuccine” sta infatti preparando per l’autunno una mostra sulla figura del grande botanico che dall’anno prossimo sarà resa itinerante presso i Musei di Scienze Naturali di questa regione.

Personaggi - pag. 15 [2006 - N.25]

L’Ecomuseo di Villanova di Bagnacavallo ha dato vita ad un progetto di recupero di varie tipologie di capanni in canna tipici della tradizione romagnola

Maria Rosa Bagnari - Responsabile dell'Ecomuseo della Civiltà Palustre di Villanova di Bagnacavallo

L’Ecomuseo della Civiltà Palustre è impegnato da oltre vent’anni nella ricerca, recupero e diffusione della cultura e della tradizione romagnola, a stretto contatto con la storia del paese di Villanova di Bagnacavallo, un tempo Villanova delle Capanne, importante centro di produzione di manufatti realizzati con vegetazioni spontanee dell’ambiente palustre, fino agli anni ‘70. La raccolta, unica nel suo genere, propone il ciclo di produzione legato alle cinque erbe utilizzate come materia prima (stiancia, giunco, carice, giunco pungente e canna), evidenziando il rapporto dell’uomo col mondo della valle.
Ed è proprio al ciclo di lavorazione della canna che si lega la progettazione dell’etnoparco “Villanova delle capanne” che prevede la realizzazione di costruzioni rurali in canna palustre, la cui presenza nei territori di origine alluvionale si colloca nei primi insediamenti sorti sui terrapieni, eredità delle antiche dune, o in vicinanza delle vie alzaie. Grazie al grande pregio di fondersi con l’ambiente e di essere le uniche costruzioni dell’uomo ad impatto ambientale zero, si possono definire case della natura, paragonabili ai nidi degli uccelli.
I capanni, un tempo diffusissimi, tanto da essere tratto peculiare dell’ambiente rurale della Bassa Romagna, sono stati in seguito abbattuti e ora sul territorio ravennate ne restano pochissimi esemplari. Questo non è l’unico motivo che ha spinto l’Ecomuseo a riportare in vita e ad impegnarsi, anche economicamente, al recupero delle varie tipologie di capanni della nostra zona; infatti, la maggior preoccupazione è la difficoltà di tramandare le capacità tecniche dei maestri capannai locali, rinomati per abilità e senso estetico, considerato che il prezioso bagaglio tecnico è attualmente patrimonio esclusivo di un’ottantunenne capannaio, allievo del noto maestro Rosetti. Lo studio e il recupero delle tecniche di lavorazione delle erbe palustri si è sempre focalizzata sulla produzione di manufatti d’uso domestico, relegando le tecniche di costruzione dei capanni solo all’aspetto teorico e documentario.
Con la realizzazione dell’etnoparco, l’Ecomuseo ha colto l’occasione per organizzare un corso per allievi capannai per avvicinare e tramandare questa antica arte alle nuove generazioni, tentando di evitarne la scomparsa, come è già avvenuto per la scuola dei maestri d’ascia di Ravenna. Questa tematica è stata al centro del convegno , inserito nei progetti INFEA 2005 della Regione Emilia-Romagna e tenutosi a Villanova di Bagnacavallo il 20 maggio 2006. Tale evento è il primo di una serie di iniziative che hanno come tema comune la memoria, in collaborazione con CEA Fondazione Villa Ghigi, CEA di Nonantola, Centro Agricoltura Ambiente di Bologna, San Teodoro Monteveglio, Gruppo di Ricerca Tecnologie Appropriate di Cesena, Centro Anziani Santa Viola, Auser e Ancescao, Coordinamento regionale Anziani e Università Primo Levi di Bologna. L’etnoparco, progetto del Comune di Bagnacavallo che costituirà parte del percorso espositivo presso la futura sede museale (ex scuole medie), vede ultimati il capanno cantina (o capanna interrata) e il capanno classico romagnolo con paradòsa (parete verticale). È prevista la realizzazione di una cavâna (ricovero per la batana, imbarcazione a fondo piatto tipica del ravennate), di un capanno per gli attrezzi, di un capanno pollaio, delle piccionaie e d’altri servizi comuni nelle borgate villanovesi. Inoltre, l’attuale piantumazione di pini sarà completata con arbusti, cespugli e infiorescenze spontanee, rappresentando così uno spaccato di bosco pinetale. A completamento, sarà realizzato un “orto-giardino dei fiori e degli odori dimenticati”.
Il cantiere dei capanni, che è stato oggetto di grande interesse da parte di musei e parchi archeologici, architetti e geometri, non è un’operazione fine a se stessa ma un incentivo a riscoprire e a porre un’attenzione particolare nei confronti di queste importanti testimonianze di cultura materiale del nostro territorio, che devono essere riconosciute come patrimonio comune ereditario.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 15 [2006 - N.26]

La generosità di Camilla, figlia di Giuseppe Guidi, ha permesso di creare la raccolta più significativa di opere dell’artista castellano

Valerio Brunetti - Responsabile Museo Civico di Castel Bolognese

Solo nel 1996, grazie alla prima mostra che il museo di Castel Bolognese dedicò all'artista, i romagnoli e i castellani riscoprirono il valore e l’originalità dell’arte che Giuseppe Guidi aveva prodotto lontano dal paese che gli aveva dato i natali nel lontano 1881 e con il quale, dopo la sua partenza avvenuta nel 1902, non aveva più quasi avuto rapporti.
Era praticamente sconosciuto a Castel Bolognese, anche se nel 1951 gli era stata dedicata una via: solo le instancabili ricerche di Valentino Donati, biografo degli artisti castellani, avevano portato alla scoperta di un ingente numero di importanti opere di Guidi, pressoché sconosciute, al Vittoriale degli Italiani a Gardone e, quasi contemporaneamente, dell’esistenza in vita della figlia Camilla che conservava gelosamente ricordi ed opere del padre.
Da quel momento il Museo di Castel Bolognese ha iniziato un’opera di riscoperta e valorizzazione di questo artista che aveva girato l’Europa del primo novecento, da Vienna a Parigi, entrando in contatto con le principali tendenze artistiche del momento, che a Limoges aveva appreso l’arte dello smalto e che dopo anni di sacrifici era finito ad insegnare incisione all’Accademia di Brera a Milano dove si era stabilito dal 1908. Qui aveva avuto rapporti di amicizia con importanti artisti come Carrà, Casorati, il faentino Melandri. lo scultore Wildt. Aveva partecipato alle più importanti rassegne d’arte italiane ed Europee e fu più volte premiato. Era uno degli artisti prediletti da Gabriele D’Annunzio che gli commissionò diverse opere. Purtroppo la morte lo colse a soli cinquant’anni nel 1931, quando sua figlia Camilla aveva appena sei anni. Nonostante la tenera età la figlia rimase profondamente attaccata al ricordo del padre e, fino alla sua morte, avvenuta nel 2005, conservò, anche dopo il trasferimento da Milano ad Alassio dove ultimamente viveva, tutti i ricordi in opere e documenti che Guidi aveva lasciato e che miracolosamente erano sopravvissuti alle vicende belliche dell’ultimo conflitto mondiale.
Il lavoro di Donati e del Museo di Castel Bolognese per far conoscere l’artista era stato gratificato con una prima donazione della figlia al museo di un certo numero di opere nel 1999 in occasione dell’apertura della nuova sede dell’istituzione castellana: incisioni, smalti ed altre opere andavano a costituire una parte significativa del nuovo allestimento. Successivamente a Faenza, grazie all’impegno degli Amici dell’Arte, si è tenuta nell’inverno 2003-2004 presso il Palazzo delle Esposizioni una grande mostra che grazie al prestito di numerose opere da parte di istituzioni pubbliche e raccolte private di varie parti d’Italia ha restituito alla Romagna la conoscenza di questo artista, per anni dimenticato dalla sua terra d’origine.
Alla sua morte Camilla ha voluto, attraverso il marito Emanuele Aicardi, che quello che aveva conservato di suo padre fosse donato quasi interamente a Castel Bolognese. La raccolta di opere di Giuseppe Guidi, gia cospicua, si è così arricchita di una trentina di nuovi importanti pezzi: numerose incisioni, grandi quadri a smalto tra cui un’importante polittico sulla vita di Sant’Antonio da Padova, purtroppo non ultimato a causa della morte precoce dell’artista, vasi e ciotole in ceramica, molto rari in quanto Guidi si era dedicato per poco tempo a questa espressione artistica e da cui si evidenzia l’influenza dei rapporti con Melandri. Tra le opere donate anche un tripode in ferro battuto, opera del feltrino Carlo Rizzarda, arricchito dagli smalti di Guidi. Grazie a questa generosa donazione, la raccolta castellana diventa, per varietà e qualità delle opere esposte il riferimento più significativo per la conoscenza dell’opera di questo artista.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 15 [2006 - N.27]

Alle Cappuccine di Bagnacavallo nuovi spazi raccontano al visitatore la storia di Enzo Morelli, un protagonista della pittura italiana del '900.

Diego Galizzi - Conservatore del Museo Civico delle Cappuccine Bagnacavallo

Con l'inaugurazione della nuova Sezione "Enzo Morelli" avvenuta lo scorso 17 dicembre, il Museo Civico delle Cappuccine ha coronato un progetto di grande rilevanza culturale, per valorizzare la figura e l'opera dell'artista bagnacavallese in occasione del 30° anniversario della sua scomparsa. Un progetto nato in primo luogo dalla consapevolezza della straordinaria importanza che il giacimento di opere lasciate al Museo dal Maestro e dalla moglie Anna riveste per la città; un patrimonio che comprende circa trenta opere su tela o su tavola, svariate tempere su carta intelata e un fondo di oltre 2000 fogli tra disegni, acquerelli e tempere.

Nato a Bagnacavallo nel 1896, Morelli si trasferì giovanissimo a Milano, dove, superate le prime difficoltà di inserimento in una città ricca di fermenti culturali, riuscì a ritagliarsi un suo spazio nell'ambiente artistico italiano, stringendo rapporti di stima e amicizia con artisti e uomini di cultura frequentatori del Circolo di Bagutta. Numerose furono le sue presenze alle Biennali di Venezia ed i premi ottenuti in diversi concorsi sul territorio nazionale.

Alla base del suo dipingere c'era, prima ancora che l'appartenenza a qualche corrente artistica contemporanea, un consapevole radicamento alla tradizione pittorica italiana, in particolare alla purezza della grande pittura umbra e toscana del '400. La sua posizione di equilibrio fra modernità e tradizione fu innanzitutto un'esigenza di rigore, una necessità di dipingere in libertà senza stravolgere le basi della sintassi pittorica, evitando cioè le stravaganze di molti suoi contemporanei. Proprio questo suo approccio critico nei confronti di certe esperienze artistiche, come il neoimpressionismo o la metafisica, hanno fatto di Morelli un artista pienamente inserito nella dorsale artistica europea.

Dopo l'importante lavoro di approfondimento critico rappresentato dalla pubblicazione del catalogo completo della donazione, avvenuta nel 1996, il Museo vede ora portato a termine un doveroso lavoro di valorizzazione in sala delle opere di Morelli, offrendo ai visitatori nuove opportunità di fruizione. Il riallestimento della Sezione Morelli si è concretizzato innanzitutto nella risistemazione della preesistente sala secondo i più moderni criteri museografici, e nel recupero di un piccolo locale adiacente come seconda sala riservata all'esposizione, a rotazione semestrale, delle opere su carta che finora avevano trovato occasione di esposizione solo in modo parziale nel corso di alcune mostre temporanee. Fino al prossimo mese di giugno in questa sala si potrà visionare una serie di fogli avente come tema "Vedute lombarde"; si tratta di un omaggio alla terra che ha adottato Morelli per la maggior parte della sua vita.

Nella sala principale si è voluto migliorare la visibilità dei dipinti ma soprattutto raccontare una storia al visitatore, la storia di Enzo Morelli, della sua poetica e della sua vicenda artistica, e questo per mezzo di un nuovo ordine del percorso espositivo e dell'installazione di supporti didattici come pannelli introduttivi e didascalie in grado di fornire in poche righe un appiglio, una chiave di lettura all'opera stessa. Sul fronte della leggibilità, oltre a rimuovere i vetri dai quadri, si è cercato di eliminare il più possibile i disturbi visivi che distraessero l'occhio dell'osservatore dal godimento del dipinto, e questo nonostante un certo affollamento di opere a cui si è pensato di porre rimedio con un nuovo impianto di illuminazione che enfatizzasse l'individualità di ogni singola tela.

Molto è stato fatto in direzione di una certa uniformità di presentazione dei dipinti, in modo che ogni elemento di novità e di sorpresa fosse sempre e unicamente rappresentato dall'opera d'arte.

Alla fine di questo lavoro ci si è accorti che, oltre a raccontare Morelli, il nuovo allestimento è come se mettesse in grado le opere stesse di parlare da sole. Da questo punto di vista crediamo di aver raggiunto gli obiettivi che ci eravamo prefissati. Molte tele, che per anni eravamo abituati e vedere con toni piuttosto cupi e uniformi, ora ci sorprendono per la vivacità e la varietà della tavolozza, sempre tuttavia modulata in maniera molto morbida e sottile, e certamente più evidenti risultano ora gli scarti stilistici dell'artista, che nel corso della sua vicenda artistica non si è mai soffermato su un solo esito espressivo, sperimentando spesso nuove vie e, a volte, ricredendosi.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 15 [2007 - N.28]

L'integrazione tra servizi bibliotecari e museali proposta nel nuovo polo culturale di Massa Lombarda.

Fiamma Lenzi - IBC Emilia- Romagna

Quattro anni orsono, proprio dalle pagine di questa rivista, veniva annunciato l'avvio del progetto per la realizzazione di un Centro culturale a Massa Lombarda ove, con un'innovativa e "coraggiosa" concezione, si intendeva dare vita per la prima volta in Emilia Romagna ad un singolare connubio in grado di proporre l'integrazione fra funzioni e servizi bibliotecari e museali.

Da poco più di un mese, al termine di un complesso iter progettuale condotto in porto dall'Amministrazione comunale in stretta collaborazione con l'Istituto Beni Culturali e la Provincia di Ravenna, ha finalmente visto la luce il nuovo polo culturale, in cui coesistono insieme, in perfetta contaminazione spaziale ed organizzativa, realtà patrimoniali diverse, alle quali corrispondono altrettante opportunità e offerte culturali a disposizione di lettori e visitatori.

Restituendo, da un lato, unità di tempo e di luogo ad un esemplare spaccato del collezionismo tardo-ottocentesco e conferendo, dall'altro, piena visibilità e significato al cammino storico-artistico compiuto dalla città negli ultimi cinque secoli, vi hanno trovato posto lungo il corridoio anulare che circonda la Sala di Lettura - vero cuore pulsante del sistema - e nei locali contigui il Museo e la Pinacoteca, intitolati unitamente alla biblioteca al massese Carlo Venturini, curiosa figura di collezionista e di filantropo illuminato.

Il primo dei nuclei museali trae origine dalle raccolte archeologiche, artistiche, naturalistiche, librarie riunite dal Venturini sotto la spinta della temperie collezionistica del secondo Ottocento, pervasa dalle atmosfere contradittorie ma affascinanti dell'Eclettismo. L'evocazione di terre sconosciute, il richiamo di pittoreschi scenari lontani nello spazio e nel tempo, le suggestioni di un passato che confonde l'esotico con l'antico e li travisa entrambi sono alcune delle chiavi principali per interpretare e "rileggere" in prospettiva museografica questo seducente insieme di oggetti. L'affacciarsi prepotente del positivismo - che il Venturini, medico e uomo di scienza certo non ignorava - contrappunta, all'altro estremo, una seconda e più razionale fisionomia del museo, manifestandosi soprattutto in alcuni segmenti di collezione come quelli dedicati alle scienze naturali.

La Quadreria comunale, sorta nell'avanzato '800 e arricchitasi con il '900, illustra invece alcune espressioni della cultura artistica locale e valorizza figure di pittori assai rinomati come Gian Battista Bassi, Luigi Folli, Angelo Torchi, Uberto e Giselfo Folli, Orfeo Orfei.
L'aggiungersi di opere pittoriche in seguito allo smembramento del patrimonio artistico di enti religiosi si inserisce a pieno titolo in questa linea, documentando da un lato la storia di importanti istituzioni massesi come la Confraternita di Santa Maria Assunta e le chiese di S. Paolo e del Rosario, dall'altro esempi della produzione artistica di personalità quali il Garofalo, il Bastianino, Carlo Massari, il cui operato si intreccia sovente con quello di personaggi storici di primo piano dell'area ferrarese-ravennate.

Se la riunificazione delle strutture massesi in un unico polo puntava ad una loro maggiore interazione, come garanzia di migliore fruibilità da parte dell'utenza e di ottimizzazione qualitativa dei servizi, lo sviluppo del percorso museografico ha tenuto in debito conto la diversa indole che caratterizza Museo e Pinacoteca nelle loro dissimili circostanze formative e nelle loro diverse titolarità - ricordiamo che alcune insigni testimonianze intrinsecamente legate alle vicende di Massa Lombarda fanno ora parte dei beni dell'AUSL Ravenna - ma ne ha anche ricercato la ricomposizione in una cornice culturale unitaria, animato dall'obiettivo tenacemente perseguito di fare di questi spazi un "luogo della memoria cittadina" e riannodare così quel filo della storia che l'incongrua opera dell'uomo ha, come anche qui è accaduto, in qualche modo spezzato.

Oltre ad assicurare maggiore respiro ad una variegata campionatura di reperti archeologici, vetri, ceramiche, maioliche, porcellane, i nuovi arredi realizzati per il museo e l'incremento del loro sviluppo lineare hanno conseguito un notevole ampliamento degli spazi allestiti, che ora includono anche objets de vertu, cammei, avori, pietre dure, micromosaci e un interessante monetiere di oltre cinquecento pezzi, per lo più aurei e argentei che vanno dall'età romana ad emissioni europee ed extraeuropee fra il XVIII e il XIX secolo.

Il dipanarsi del percorso museale a stretto contatto con la Sala di Lettura ottiene anche un collegamento immediato in termini visivi con la biblioteca che annovera nei propri fondi storici il patrimonio librario venturiniano e una considerevole quantità di materiale cartaceo (stampe, disegni, documenti etc.) appartenuto alle sue raccolte.

Ampio spazio è stato riservato alla poliedrica personalità del collezionista. Insieme a cimeli, fotografie, stravanganze e souvenirs di viaggio, una serie di documenti ripercorre paradigmaticamente l'impegno civile e la molteplicità di interessi scientifici e culturali che animarono la vita e l'attività di Carlo Venturini, rappresentando l'immagine più viva e diretta del suo impegno sociale e del suo contributo al progresso delle scienze e delle arti.

Attorno alla metà degli anni '90 l'IBC ha curato il riordino, l'inventariazione, la pulizia dei reperti naturalistici (mineralogia, malacologia, paleontologia) e il restauro di alcuni arredi lignei originali, unico segmento di collezione rimasto intatto nella casa del Venturini in via Bassi. Il tempo e gli accadimenti di una storia ormai più che centenaria hanno inevitabilmente modificato l'integrità del "museo patrio" realizzato da Carlo Venturini e la configurazione che egli aveva inteso dargli. Questa immagine non potrà quindi mai più rivivere, tuttavia la sua riproposizione al pubblico in un ambiente "dedicato", ottenuta ricollocando i materiali secondo i raggruppamenti e gli accostamenti da lui voluti, offre un'efficace e spettacolare visione d'insieme della raccolta nella sua originaria sistemazione. La ricostruzione costituisce un elemento di rilievo per la comprensione dei criteri espositivi adottati dal collezionista nella propria epoca, ma fornisce soprattutto una sorta di "istantanea" che fotografa l'aspetto ormai perduto di una caratteristica casa-museo borghese del tardo Ottocento, di cui rivisita quel legame ideale fra oggetti ed arredi che ne faceva un'entità davvero originale.

Per la Pinacoteca è stata adottata una disposizione che, pur conservando perfettamente distinte e leggibili le titolarità patrimoniali delle opere che la compongono, allinea sull'asse cronologico gli elementi costitutivi del percorso artistico locale, ricercando la contiguità fra opere riconducibili ad una stessa personalità artistica. Snodandosi in senso anulare, con i quadri di maggior pregio artistico (XVI-XVIII sec.) riuniti in un ambiente più protetto e appartato, il percorso fluisce senza soluzioni di continuità in quello della quadreria Venturini che, formata in massima parte da dipinti dell'Ottocento, si offre come ideale raccordo fra le opere più antiche e quelle del '900 collocate nell'area della reception. Dalla potente Resurrezione di Benvenuto Tisi alla manierata e cromaticamente intensa Caduta di S. Paolo del Bastianino, entrambe volute da Francesco d'Este per la chiesa di S. Paolo, dal bel autoritratto del Bassi al malinconico romanticismo della Saffo sulla rupe di Leucade che spinge lo sguardo sognante oltre l'ultimo orizzonte, dall'espressione penetrante del "macchiaiolo" Angelo Torchi, alla sua deliziosa figura di Signora seduta in un interno, dalla splendida marina di Ernest George accompagnata dal bozzetto preparatorio alle incantate vedutine di Massa tratteggiate da Guelfo Folli: innumerevoli suggestioni scaturiscono dal diuturno colloquiare di libri, oggetti, memorie, dipinti e tracciano per il lettore/visitatore, in un continuo gioco di rimandi e rispecchiamenti, contemporanee ed infinite rotte di viaggio.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 15 [2007 - N.29]

Esce in dicembre il Gioco di Ruolo sulla Resistenza, ideato e realizzato dal Laboratorio Provinciale per la Didattica Museale.

Massimo Marcucci - Ufficio Beni culturali - Provincia di Ravenna

Le iniziative promosse nel campo della didattica museale hanno sempre rappresentato una priorità per il Sistema Museale. In effetti già nel 1994 - prima ancora che il Sistema nascesse - la Provincia ha dato vita al Progetto Scuola e Museo, nella convinzione che un nuovo e stabile rapporto tra il mondo della scuola e le istituzioni museali potesse produrre effetti positivi su entrambe le realtà. Corsi di formazione per operatori e insegnanti, nonché convegni a tema, hanno avuto lo scopo di favorire il confronto tra varie esperienze attuate in quegli anni dai singoli musei, in modo da cominciare a collaborare e mettere in pratica una strategia comune da adottare nel campo della didattica.
In realtà si deve proprio a questa iniziativa il merito di aver creato per la prima volta delle proficue occasioni di incontro tra i responsabili dei musei del territorio, sotto la regia della Provincia, realizzando i giusti presupposti per la nascita del Sistema e del suo Comitato Scientifico.
Oggi, uno degli strumenti più importanti gestiti dal Sistema Museale è rappresentato dal Laboratorio Provinciale per la didattica museale, istituito nel 1996 con l'obiettivo dichiarato di valorizzare adeguatamente le attività educative dei musei.

Proprio per arricchire l'offerta educativa, il Laboratorio ha pensato di proporre per l'anno scolastico 2007-08 l'utilizzo del gioco di ruolo (d'ora in poi GdR), ideando e realizzando uno strumento didattico capace di raccontare in modo originale l'esperienza della guerra e della Resistenza nella provincia di Ravenna negli anni 1944-45, offrendo agli studenti un'immersione nella Storia da protagonisti e non da semplici spettatori, senza mediazioni di linguaggio (narrativa, film, fumetto ecc.). Attraverso l'interazione fra i partecipanti al GdR, si vuole far comprendere il periodo dell'occupazione nazifascista dell'Italia dal punto di vista della quotidianità, dell'occupazione militare e della risposta armata da parte dei partigiani, sottolineando soprattutto il contributo alla Lotta di liberazione dato dalla popolazione contadina.

Per chi non lo conosce, potremmo dire che il GdR consiste "nella ricostruzione e nell'elaborazione di una situazione reale, che si presenta in forma problematica, nella quale ciascun giocatore è chiamato a prendere parte attiva mettendo in atto dei comportamenti più o meno codificati dal ruolo assegnatogli". Per giocare occorre anzitutto un "modello", ovvero una rappresentazione della realtà (nel nostro caso la provincia di Ravenna negli anni 1944-45), descritto e regolato attraverso un insieme formalizzato di regole. Tali regole permettono al giocatore di rapportarsi con la realtà nella quale si trova a muovere e ad interagire con essa e con gli altri giocatori mediante azioni di causa-effetto.
Ogni giocatore interpreta un personaggio (la staffetta partigiana, il contadino ecc.), di cui conosce l'aspetto fisico, la storia personale, il ruolo all'interno della società e della storia, le principali caratteristiche personali (forza, carisma, abilità, conoscenze...). II giocatore interpreterà quindi il suo personaggio tenendo sempre presenti le limitazioni, fisiche ed intellettuali, che lo caratterizzano facendolo agire in maniera coerente con esse.

Attraverso il proprio personaggio, entrerà poi in una situazione problematica, la storia vera e propria, il cui inizio è raccontato dal Master (o Narratore), che descrive man mano cambi di ambientazione e gli avvenimenti che mutano la storia. II ruolo del Master, importantissimo nella realtà del GdR, diviene qui fondamentale in quanto il suo compito principale sarà anche quello di massimizzare le potenzialità didattiche del gioco, orientando la discussione fra i partecipanti, guidandone l'attività, stimolando i giocatori a prendere parte attiva al gioco e quindi al processo di apprendimento.

A differenza dei giochi tradizionali, nel GdR non esiste un vincitore: lo scopo è partecipare alla narrazione, diventare attori. E come veri e propri attori, i partecipanti sono chiamati a calarsi nei panni del personaggio che interpretano, a comprenderne le motivazioni e le scelte, la personalità, facendolo agire in maniera coerente rispetto ad uno contesto storico e sociale conosciuto.
Per certi versi, giocare al GdR è come leggere un romanzo o guardare un film, con la sola differenza che il protagonista della storia narrata è il giocatore stesso e le sue azioni determinano lo svolgimento della trama.
Dal punto di vista didattico, rispetto ad una "tradizionale" lezione o visita guidata al museo i vantaggi possono essere i seguenti:
  • apprendimento da parte dello studente/giocatore di determinate conoscenze (la realtà sociale e militare degli anni 1944-45) in maniera non nozionistica ed astratta. Tali conoscenze, indispensabili per interpretare il proprio personaggio e farlo muovere ed interagire con gli altri giocatori, motivano lo studente/giocatore all'apprendimento;
  • formulazione propositiva di domande ed ipotesi sulla base degli input informativi ricevuti (il modello di realtà, il background del personaggio, gli elementi della storia narrata dal Master) che richiedono, da parte dello studente/giocatore, un'analisi dei dati e dei fatti ed una comprensione delle loro relazioni dinamiche di causa-effetto;
  • verifica immediata, attraverso i comportamenti messi in atto dal giocatore, delle interpretazioni date ai dati ed ai fatti;
  • stimolo al lavoro di gruppo, quindi alla comprensione reciproca e all'ascolto;
  • instaurazione, fra i partecipanti, di rapporti di solidarietà e di collaborazione che migliorano la conoscenza fra gli stessi giocatori, anche al di là della sessione di gioco.
Il gioco si compone di due manuali: nel primo (ad uso del Master) è presente un'introduzione al progetto, al GdR e al ruolo del Master, le regole e la storia da giocare compendiate dalle relative schede didattiche; nel secondo (ad uso dei giocatori), oltre alle schede dei personaggi da staccare, si trovano tutte le informazioni e nozioni che serviranno per giocare, in forma sintetica ma esaustiva (la lotta partigiana, le forze in campo, lo scenario, le parole della Resistenza, le parole del nazifascismo, le parole della guerra, i nomi della guerra, la cronologia della guerra), oltre ad una bibliografia minima utile per eventuali approfondimenti.

Il GdR è stato realizzato in collaborazione con il Museo della Battaglia del Senio di Alfonsine, mentre per lo sviluppo tecnico della trama, delle regole di gioco e delle schede tecniche dei personaggi, il Laboratorio e si è avvalso della società "E-nigma" di Ravenna, che da anni opera nel settore della progettazione, sviluppo e realizzazione di giochi.

Speciale decennale del Sistema Museale Provinciale di Ravenna - pag. 15 [2007 - N.30]

L'Esposizione del 1908 creò le premesse per la nascita di un Museo dedicato al noto scienzato inventore del barometro

Marco Mazzotti - Museo Toricelliano di Faenza

La ricorrenza del centenario della grande Esposizione del 1908 costituisce l'occasione per richiamare l'attenzione su quello che è forse il museo meno conosciuto nella città di Faenza, ma che - al pari del MIC - prese avvio proprio da quel grande evento che tanta eco ebbe presso i contemporanei. È risaputo come l'esposizione del 1908 fosse un contenitore di materiali fra loro assai eterogenei, anche se il motivo aggregante fu la figura di Evangelista Torricelli.
In quella circostanza fu allestita una Tribuna Torricelliana, in cui venne esposto un discreto numero di oggetti con l'intento di far conoscere al grande pubblico la vita e i risultati dell'opera del grande scienziato. Si trattava di alcune riproduzioni di strumenti scientifici del Torricelli, quali barometri e cannocchiali, desunte dagli originali conservati nella Tribuna Galileiana a Firenze, grandi disegni esplicativi degli esperimenti torricelliani e poi manoscritti, autografi, quadri, fotografie, ritratti, autografi e altri cimeli.
L'assortita tipologia e l'esiguo spessore quantitativo ostacolarono un'esposizione stabile e scientificamente strutturata dei cimeli torricelliani al termine dell'expo e da allora iniziò un lungo "pellegrinaggio" presso alcune importanti istituzioni culturali cittadine, subendo altresì ulteriori spostamenti all'interno di ognuna di esse. I materiali furono dapprima trasferiti nella sede della Pinacoteca Comunale, presso il Palazzo degli Studi, dove restarono fino al 1920, quando furono trasportati nella Biblioteca Comunale. Si cercò di conferire loro una forma espositiva permanente, che tuttavia fu sempre ostacolata dalla necessità di reperimento di nuovi locali da destinare a magazzini librari.
Nel 1944 i destini del Museo Torricelliano si incrociarono con la volontà dell'Amministrazione Comunale di istituire un comitato cittadino per proseguire gli studi sul Torricelli e organizzare le iniziative in occasione del terzo centenario della morte, avvenuta nel 1647. Gli eventi bellici del novembre 1944 provocarono la distruzione del corpo centrale dell'edificio della Biblioteca e anche la raccolta torricelliana ne fu compromessa. Nonostante ciò proseguì il proposito di istituzionalizzare il comitato e i progetti di ricerca, giungendo nel 1947 alla fondazione della Società Torricelliana, ente morale a struttura accademica, divisa in soci residenti e corrispondenti.
Alla neonata Società fu affidata dal Comune di Faenza la gestione del Museo Torricelliano, incrementatosi nel corso degli anni con ulteriori donazioni, non più strettamente legate alla figura di Torricelli, ma pertinenti ormai a tutta la storia della scienza. Inoltre, ai cimeli fu unita una preziosa dotazione bibliografica, frutto di una selezione dei testi di argomento torricelliano e di storia della scienza operata all'interno delle raccolte della Biblioteca Comunale, successivamente ampliata con la donazione di rari testi di astronomia da parte del ragioniere Domenico Benini.
Le raccolte torricelliane vennero così sempre più a configurarsi come un'unica entità costituita da Museo e Biblioteca. Al 1974 risale il loro trasferimento, unitamente alla sede della Società Torricelliana, nel prestigioso Palazzo Laderchi, dove si trova tuttora. Il Museo e la Biblioteca Torricelliana sono gestiti in convenzione con il Comune di Faenza da parte della Società Torricelliana. Nella ricorrenza delle "Torricelliane 2008" sono allo studio diverse iniziative culturali, tenendo presente che la particolare configurazione di questi materiali costituisce un ulteriore spunto di riflessione sulla complessità del patrimonio museale faentino e sulla necessità di una nuova progettualità complessiva.


Speciale Celebrazioni Torricelliane - pag. 15 [2008 - N.32]

SIMBDEA opera nel settore della museografia demoetnoantropologica

Eleonora Censorii - Segreteria Operativa SIMBDEA

La Società Italiana per la Museografia ed i Beni DemoEtno Antropologici è una associazione culturale senza scopo di lucro attiva dal 2001, che opera nel campo della museografia e delle scienze demoetnoantropologiche (DEA) applicate ai patrimoni culturali con vocazione per i settori della formazione e ricerca scientifica.
Dal 2001 l'Associazione ha curato numerosi progetti per conto di enti locali e nazionali, in diversi ambiti legati al mondo dei musei DEA ed alla tutela e conservazione del patrimonio immateriale, come progetti di allestimento e fattibilità, corsi di formazione, convegni e seminari, seguendo le finalità definite dal proprio statuto:
• proporsi come luogo di riflessione sui beni DEA e sul museo quale fenomeno d'espressione, d'incontro, di produzione culturale e di educazione interculturale;
• promuovere iniziative per lo sviluppo del settore DEA nel sistema dei beni culturali italiano;
• consolidare e sviluppare le competenze antropologiche applicate al museo e ai beni DEA in campo scientifico e professionale;
• promuovere il riconoscimento delle culture locali e "altre" presenti nel territorio e/o documentate e rappresentate nei musei DEA come parte essenziale della memoria comune da radicare nel futuro, e orientare in tal senso la politica dello Stato, delle Regioni e degli Enti Locali.
Tre sono gli assi principali lungo i quali le attività dell'associazione si sono articolate:
• la formazione, per creare una categoria professionale altamente specializzata sulle tematiche della museografia e dei beni DEA, riconoscendo la peculiarità di questi beni e la necessità di strutturare in modo puntuale le aree di specializzazione e competenza;
• la ricerca sui musei, per avere un quadro continuamente aggiornato sul mondo dei musei DEA e sulla loro trasformazione, soprattutto per capirne le necessità e supportare i musei locali nella loro missione di conservazione e promozione del ricchissimo patrimonio che custodiscono;
• la tutela e la promozione del patrimonio immateriale, per lavorare, insieme ai musei ed agli archivi, alla salvaguardia ed alla realizzazione di forme di promozione culturale che valorizzino i territori nella loro complessità, senza svalutarli con promozioni stereotipate e poco rispettose della ricchezza delle identità locali.
Ad oggi, SIMBDEA conta oltre 200 soci su tutto il territorio nazionale e raccoglie sia il mondo accademico DEA che si occupa di musei e patrimoni, che numerosissimi operatori museali, direttori, educatori e catalogatori che si muovono nel complesso settore della museografia DEA. L'associazione ha inoltre attivato numerose partnership con il mondo dell'Università, con Festival a carattere etnografico, e collabora ad alcune delle attività di ICOM Italia, all'interno della Conferenza Nazionale delle Associazioni Museali.
Dal 2002 Simbdea pubblica AM - Antropologia Museale, quadrimestrale su musei e patrimonio DEA con un doppio focus sulle esperienze ed il dibattito sia a livello nazionale che internazionale, mentre dal gennaio 2008 ha due siti: www.amrivista.org, per la rivista AM, e www.simbdea.it, sito istituzionale dell'associazione che comprende delle sezioni di approfondimento sui temi del "fare e pensare musei" e trasmette le novità nel settore.
SIMBDEA è coordinata da un Comitato Direttivo di sette membri eletto durante l'assemblea dei soci ogni 3 anni. Nel 2008 il Comitato è stato rinnovato ed è oggi composto dal Presidente (Pietro Clemente), dal vice-Presidente (Sandra Ferracuti), dal Segretario (Vito Lattanzi) e da altri 4 membri eletti tra i soci: Fulvia Caruso, Mario Turci, Ferdinando Mirizzi, Vincenzo Padiglione. Tutti i membri del Direttivo sono professionisti del settore museale DEA; l'associazione ha anche una Segreteria Operativa che si occupa della gestione dei soci e delle iniziative ed una redazione che si occupa dei due siti web.


Speciale Associazioni Museali Italiane - pag. 15 [2008 - N.33]

Direttore del MIC per più di venticinque anni, dedicò la vita al museo e allo studio della storia della ceramica

Claudio Casadio

Come ricordò a dieci anni dalla morte del suo maestro, Gaetano Ballardini, la prima volta che entrò al MIC aveva appena sedici anni, verso la fine del 1919, e vide l'istituto museale che "si raccoglieva tutto in un capannone solaio dell'ex convento di San Maglorio suddiviso in tre sale" con l'esposizione delle ceramiche orientali e italiane donate da Ercole Alberghi, le ceramiche moderne italiane ed estere e le maioliche faentine dal '300o a tutto l'800.
Chiamato alle funzioni di conservatore con mansioni di segretario amministrativo, Liverani nel 1924 collaborò all'espansione del museo che proprio in quegli anni aprì numerose sezioni, ebbe donazioni importanti come quella da scavi in Egitto e vicino Oriente dello svedese Roberto Martin ed iniziò la costituzione della biblioteca e della fototeca.
Il momento tremendo fu al termine della seconda guerra mondiale quando, di ritorno dalla prigionia nell'aprile 1945, ritrovò il museo completamente distrutto nell'edificio e nelle collezioni e fu accolto da Gaetano Ballardini che lo abbracciò dicendogli "sei tornato, figliolo. Rifacciamo il Museo". Ripresero il lavoro e Liverani, incaricato ad "attendere ai lavori in sede" insieme a Melisanda Lama, nel maggio 1953 portò a Ballardini, poche ore prima della sua morte, "la fotografia dell'allestimento della sala delle Nazioni, l'ultima costruita e ricostruita". Quei lavori di ricostruzione, terminati in meno di dieci anni, furono ricordati dallo stesso Liverani come un vero "miracolo della volontà, della tenacia, della scienza; prova di quanto possa il contributo di uomini di buona volontà ed una buona causa".
Con la morte del fondatore, il direttore del Museo divenne Giuseppe Liverani che continuò un intenso lavoro sulla strada già tracciata. Aumentarono le pubblicazioni, con una collana editoriale interna al museo e con altre edizioni, "alcune di notevolissima mole, altre di felicissima diffusione", continuò costante la pubblicazione della rivista Faenza, venne incrementata la biblioteca, agevolata l'organizzazione del concorso della ceramica d'arte e notevolmente accresciute le raccolte sia di opere storiche, grazie a donazione e recuperi da sterri, che contemporanee con il Concorso d'Arte. Impegno costante fu anche quello dell'insegnamento mantenuto per tanti sia all'Istituto d'Arte faentino che a livello universitario: dal 1967 al 1972 insegnò all'Università di Firenze e dal 1968 al 1971 anche all'Università di Pisa.
Nel 1973 in una intervista rilasciata ad un periodico faentino (Il Progresso, aprile 1973) ricordò che il museo dalla distruzione del dopoguerra era stato completamente ricostruito con una fervorosa opera che aveva consentito di costruire un istituto più ampio di quello perduto per cui, non essendo "opportuno allargare ancora le mostre aperte al pubblico, col risultato di appesantire troppo la visita", il suo auspicio era quello di aumentare i servizi. In particolare Liverani si riferiva allo sviluppo delle 'comodità', cioè l'impianto di riscaldamento e il sistema di illuminazione "per i visitatori delle collezioni, della biblioteca specializzata, della fototeca; alla azione didattica e divulgativa oltre che a quella scientifica" con convegni e pubblicazioni.
Il punto di riferimento per Liverani anche in quell'intervista del 1973 ero quello che aveva condiviso con Ballardini e che avrebbe mantenuto fino alla morte, avvenuta nel 1979, di un museo che non poteva deludere «gli occhi degli operatori e degli studiosi della ceramica di tutto il mondo per la sua apprezzata azione di ricerca, di stimolo e di guida».

Personaggi - pag. 15 [2009 - N.34]

Il territorio ravennate offre un autentico percorso "museale" da percepire con gli occhi e con la mente

Valerio Brunetti - Ispettore onorario Mibac

Paesaggio: parte di territorio che si abbraccia con lo sguardo e che si presenta sotto un certo aspetto. Partendo da questa definizione è immediata la certezza che il paesaggio è tutto ciò che ci circonda in ogni momento della nostra giornata. La nostra mobilità sul territorio, e particolarmente sul nostro ravennate, è accompagnata da un'infinità di paesaggi di un contesto non comune di un territorio che partendo dal mare si spinge fino alla spartiacque appenninico, dalla piatta pianura della bassa ai crinali del brisighellese e del casolano. C'è anche la storia nel paesaggio. È il suo "tessuto", che non sono solo suggestive albe e romantici tramonti, che se sapientemente letto offre un autentico percorso "museale" fatto di un miriade di elementi caratteristici, a volte evidenti a volte impercettibili.
Purtroppo il paesaggio non parla direttamente a chi ne gode. Le secolari pinete, i canali e le opere idrauliche, le superstiti paludi sono tutte pagine di un grande libro di storia del territorio di un grande libro delle trasformazioni del paesaggio nei secoli. Il paesaggio stimola quesiti nel viaggiatore. Chi attraversa le "strade basse" del lughese e del faentino non può non accorgersi che ogni settecento metri le strade si incrociano perpendicolari tra loro. Sono duemila anni che le tracce della centuriazione romana condizionano il paesaggio rurale di queste zone: costruzioni e colture geometricamente connesse alla viabilità. Così anche la via Emilia, il grande asse pedecollinare che nei secoli ha raccolto su di sé prima i centri abitati poi le aree industriali, condiziona fortemente un paesaggio di campi coltivati a viti e frutteti, quasi un giardino, che salgono fino sulle prime colline, dove i fondi sono marcati da filari di pini o cipressi e punteggiati, qua e là, da querce secolari. La via Emilia permetteva in passato al viaggiatore che si spostava da un centro all'altro di godere del paesaggio agreste, oggi i frequenti capannoni e le invadenti pubblicità allontanano il viaggiatore dal pensiero che la strada su cui si trova era percorsa anticamente dalle legioni romane che andavano alla conquista dell'Europa.
Le vallate del Lamone e del Senio, e quelle dei loro affluenti, offrono ancora, fortunatamente, scorci di paesaggi non appesantiti dal cemento. Oltre alle rive di calanchi e agli affioramenti di gesso, girando lo sguardo si possono ancora apprezzare torri medievali e ruderi di castelli, chiese isolate ed edicole votive ancora inseriti nel paesaggio che li ha visti crescere. Oppure godere della visione di case in sasso, spesso in rovina, arroccate tra i monti, ai margini di boschi di castagni o di altre variegate essenze che in autunno offrono tavolozze di rara bellezza. Sono le testimonianze dell'opera dell'uomo che si sono integrate all'ambiente naturale, offrendo all'occhio umano quel paesaggio che in passato gli artisti viaggiatori non mancavano di rappresentare nei loro taccuini e nelle loro opere. Purtroppo non sempre l'uomo è stato rispettoso del paesaggio. E qui l'elenco sarebbe infinito. Abbiamo volutamente trascurato il paesaggio urbano, sicuramente il più familiare ma dal contesto troppo vario e "accidentato". È nel contesto rurale, nel senso più ampio del termine, che si riscontrano autentici attentati al paesaggio.
Spesso sono sgradevoli capannoni, anche ad uso agricolo, edificati nei luoghi più impensati che rovinano il paesaggio. Sono le brutte case costruite a ridosso degli antichi edifici rurali, abbandonati a servizi, che rovinano il paesaggio. Insieme a questi mettiamo le lottizzazioni di seconde case realizzate sui "balconi" che sovrastano le nostre vallate, i "borghi" di pollai sorti ovunque, le opere tecnologiche e le "infrastrutture" realizzate senza interventi di mimesi. Il paesaggio cambia e cambierà sempre. Anche solo lo scorrere delle stagioni è un elemento che condiziona e varia il nostro paesaggio. Ma poi ritorna uguale.
È la mancanza di attenzione da parte dell'uomo che spesso pregiudica la godibilità futura del paesaggio. Quindi più attenzione da parte di tutti per proteggere il paesaggio che vogliamo davanti ai nostri occhi e per poter raccontare alle generazioni future le storie di quelle pinete, di quei canali, di quei boschi, di quelle torri.

Speciale Musei e Paesaggio - pag. 15 [2009 - N.35]

Mezzo secolo di grande fervore per l'Isittuto statale d'Arte per il Mosaico

Marcello Landi - Dirigente Scolastico

Nel 1959-60 l'Istituto d'Arte iniziò il Suo Magistero, il mosaico ebbe il suo primo riconoscimento legale nella Scuola dello Stato italiano. Nella ricorrenza del 50° anniversario sono state messe in atto alcune manifestazioni, molti progetti e qualche riflessione.
Molte sono state le personalità che hanno mosso i primi passi all'Istituto per poi approdare in Italia e in Europa portando nel mondo linguaggi non solo musivi. Dunque, non solo mosaicisti, come si sarebbe tentati di pensare, ma intellettuali, artisti che spaziano nelle più diverse discipline legate alla creatività: pittori, artisti visivi, architetti, restauratori, fumettisti, insegnanti, fotografi, compositori musicali, tecnici teatrali e ancora in molti altri ambiti creativi della società, come se all'Istituto, prima ancora che una "tecnica", si apprendesse una sensibilità che guida il fare di ogni linguaggio. Forse la spiegazione sta nella particolarità del mosaico, la prima tecnica che, già nell'antichità è un linguaggio multimediale.
Tra le attività realizzate negli ultimi anni ricordo l'inaugurazione nel 2007 della Galleria permanente dell'Istituto, che raccoglie le opere di molti Maestri mosaicisti e non solo. Nel 2009 la Galleria è stata intitolata al Maestro Antonio Rocchi e, nell'occasione, si è riproposta la Mostra di 30 mosaici di piccolo formato realizzati anni fa dalla Maestra Luciana Notturni in collaborazione con i più importanti artisti italiani.
In occasione del 50° Anniversario si è iniziato un archivio fotografico digitale di circa 4000 foto, le "Facce da Mosaico", che documenta tutti gli alunni e gli insegnanti passati dall'Istituto. La mostra è attualmente esposta nei locali della scuola in attesa di essere trasferita nel 2010 in un importante luogo espositivo di Ravenna. Presto sarà documentato ed esposto anche il lavoro svolto in collaborazione col Comune di Ravenna per l'arredo urbano delle vie della città. "Profumo di Mosaico" e gli arredi già collocati in diverse via cittadine rappresentano un raro caso di collaborazione tra un'Istituto d'Arte e il Comune di una Città d'Arte, che segue un iter progettuale unico per rigore e metodologia, che vede l'integrazione del nuovo e il rispetto del contesto come elemento prioritario.
La cosa che ci preme è far conoscere i nostri archivi e il nostro patrimonio non ancora valorizzato; per questo, l'Istituto si è reso promotore di un Progetto, in collaborazione con altre Istituzioni culturali del territorio, per la conservazione e la valorizzazione dei "cartoni musivi", copie dipinte dei mosaici ravennati realizzate, nel secolo scorso, dai Maestri restauratori; documenti esclusivi del patrimonio artistico di Ravenna che giacciono disperse in diverse Istituzioni della città e rischiano l'oblio e la distruzione.
Dei molti altri progetti e collaborazioni che sono in corso mi limiterò a citarne solo alcuni.
Presto sarà collocata nella Piazzetta dell'Orto Botanico di Ravenna un'opera realizzata in collaborazione con il Liceo Artistico in bronzo e mosaico; un giglio che testimonierà delle violenze subite da tutte le donne del mondo, un simbolo che è la prima, e forse unica, testimonianza di una città su questo dramma. Quest'estate, in collaborazione con Ravenna Festival, la scuola ha realizzato tre opere musive dedicate alle tre religioni monoteistiche, che sono state consegnate al Rabbino Capo della Comunità di Ferrara, al Vescovo e alla Comunità Islamica della Città di Ravenna. Da due anni è attivo un Corso Serale per il conseguimento del Diploma di Maestro d'Arte per il Mosaico, al cui interno si sta realizzando un "surreale", ma non troppo, ritratto di un grande filosofo partenopeo: il Principe di Bisanzio, in arte Totò, ritratto fra i suoi avi bizantini. Il mosaico sarà esposto a Napoli al Museo dedicato a Totò nel Quartiere Sanità.
Ultima breve riflessione. Una scuola, la nostra, che rappresenta un'eccellenza per l'Italia e che l'Europa ci invidia, ma che la città di Ravenna non sempre sa realizzare. Basterebbe creare un maggiore coordinamento tra le realtà culturali artistiche e imprenditoriali, che significa fare politica culturale, quella politica da molto tempo distratta, per non dire assente.

Speciale Mosaico - pag. 15 [2009 - N.36]

I preziosi fondi incisori delle maggiori due biblioteche della provincia

Daniela Poggiali - Giorgio Cicognani - Fondi Antichi Biblioteca Classense di Ravenna - Fondi Antichi Biblioteca Comunale di Faenza

La Biblioteca Classense di Ravenna conserva numerosi e pregevoli fogli incisi databili dal Trecento al Novecento. Una se pur rapida rassegna deve rendere conto, tra le circa 5000 stampe possedute, di cui 3500 già catalogate, almeno degli esemplari più illustri tra i quali si annovera il fondo delle xilografie, databili tra la fine del Trecento e la fine del Quattrocento, che furono rinvenute nel 1886, all'interno di codici di argomento giuridico dell'abbazia classense. Le quarantacinque xilografie, di soggetto per lo più religioso, erano state incollate dal copista per farcire i suoi scritti sia in relazione al contenuto del testo sia per appagare il proprio gusto estetico. Distaccate dai codici di appartenenza, ebbero da subito grande fortuna critica per la loro rarità e antichità. Per colmare una lacuna sul fronte della storia locale, la Classense acquista da alcuni anni le opere di Marco Dente, incisore ravennate del Cinquecento che fu uno dei più famosi traduttori di Raffaello: a tutt'oggi sono presenti quarantuno incisioni, soprattutto di soggetto storico o mitologico.
Di particolare interesse è anche un volume fattizio, noto come Iconografia Camaldolese, in cui i monaci di Classe, nel Settecento, raccolsero immagini relative a santi e luoghi camaldolesi: una sorta di "storia narrata per immagini" che ripercorre le glorie dell'ordine con incisioni databili tra il XVI e il XVIII secolo. Tra i fondi costituiti in epoca moderna si deve menzionare la notevolissima raccolta dei giochi a stampa che documenta la varietà tecnica e lo sviluppo iconografico dei giochi di percorso e di dadi ed è testimonianza di quella imagerie populaire che ebbe straordinaria diffusione e fortuna. La raccolta comprende anche incisioni antiche, tra le quali, ad esempio, i giochi di dadi seicenteschi di Giuseppe Maria Mitelli. Tra i materiali più interessanti si conserva anche il fondo Biani di carte da gioco, che conta soprattutto esemplari cromolitografati ottocenteschi e primo novecenteschi. Si devono ricordare, inoltre, le importanti raccolte degli artisti contemporanei Giulio Ruffini, Remo Muratore e Tono Zancanaro, il cui corpus incisorio è stato acquisito di recente, donato dall'Archivio Tono Zancanaro, con la collaborazione dell'IBC dell'Emilia Romagna.
L'istituzione del Gabinetto delle stampe e disegni presso la Biblioteca Comunale di Faenza è di recente creazione e risale al 1974. Da ricerche d'archivio, si riscontra che anche prima della distruzione bellica non era mai stata considerata l'ipotesi di una raccolta unitaria che ne sollecitasse l'istituzione forse per la forte tradizione in Faenza della scuola di disegno "T. Minardi" vecchia anch'essa di due secoli, dove, oltre ad abilissimi artigiani, si sono formati grandi incisori e artisti.
La presenza di fogli di stampe faentine nel fondo della Biblioteca è assai importante per ricostruire quel cenacolo di artisti formatosi alla scuola del Marri, come Achille Calzi senior, Francesco Maccolini, Luigi Errani, Francesco Petroncini, Pasquale Bellenghi, Gaetano Utili, Angelo Marabini e Federico Argnani. Arrichisce il fondo locale un originale album ottocentesco appartenuto alla stamperia e calcografia di Angelo Marabini, incisore in Faenza. L'album veniva usato come campionario vendita all'interno della "stamperia" e serviva per mostrare le diverse immagini sacre corredate dei relativi prezzi, assai utile per lo studio sull'iconografia mariana e di alcuni santi. Un'altra importante donazione che ha impreziosito il fondo è stata la collezione di Roberto Sabbatani avvenuta nel 2001. Una raccolta composta di 143 stampe antiche e moderne di grande pregio e rarità. Sono presenti nomi celebri, tanto per citarne qualcuno: Durer, Duvet, Mantegna, Callot, Della Bella, Piranesi fino ad arrivare ai nostri tempi con Picasso, Castellani e Morandi.
Merita una nota particolare la selezione di stampe su seta: una raccolta assai preziosa, se si pensa anche alla delicatezza del materiale, composta da oltre 60 pezzi, il più antico della seconda meà del Seicento, i più numerosi dell'Ottocento.
L'IBC, impegnato da anni nella catalogazione delle stampe conservate negli istituti culturali emiliano romagnoli, ha collaborato alla schedatura dei materiali e si è fatta promotrice di un ricco catalogo che illustra quest'ultima donazione. Al completo il fondo di stampe conta circa cinquemila pezzi.

Speciale grafica - pag. 15 [2010 - N.37]

La Biblioteca Classense di Ravenna gestisce beni di grande rilevanza non solo di carattere librario e documentario ma anche artistico

Claudia Giuliani - Dirigente Istituzione Classense di Ravenna

Biblioteca-museo ai suoi esordi, e comunque nel momento della sua massima espansione nel XVIII secolo, la libreria camaldolese venne da subito affiancata da raccolte artistiche, antiquarie e di curiosità naturali, che sono poi andate a costituire una buona parte delle collezioni museali createsi a Ravenna nei XIX e XX secoli, principalmente il Museo Nazionale e la Pinacoteca Comunale, oggi Museo d'arte della città
Sia la biblioteca che il museo Classensi di epoca camaldolese erano fortemente orientati verso il pubblico esterno, in un programma di collezionismo e arricchimento monumentale che si volgeva a magnificare l'ordine di appartenenza da un lato, e a giovare al pubblico degli studiosi dall'altro. Nell'Ottocento la Classense diviene il grande "collettore" dei beni culturali cittadini e luogo di conservazione per eccellenza, in un'ottica di culto per la memoria patria fortemente legato alle forme di sacralizzazione volute dalla nuova nazione italiana, ed è in tal contesto che si formarono le due collezioni museali che oggi riconosciamo nel Museo del Risorgimento e nel Museo Dantesco.
Oggi la vocazione della Classense si incarna nell'identità di una biblioteca pubblica civica, volta alla promozione della lettura e alla cultura del territorio. In tal contesto le collezioni librarie antiche, come le raccolte di grafica, sempre più si propongono a una rinnovata fruizione, in una valenza che è di ricerca, ma anche didattica.
Le raccolte a valenza museale vanno acquisendo una dimensione sempre meno residuale rispetto alle collezioni librarie, a cui le legano apparentamenti storici e l'originarsi da un comune collezionismo, la cui lettura si presta a operazioni di valorizzazione di interesse nuovo, sia dal punto di vista qualitativo che storico. Un museo Classense ben meriterebbe di inquadrarsi oggi nel panorama dei musei cittadini, e garantire una tutela non disgiunta dalla visibilità, in un contesto di raggiunta qualità dei servizi, in conformità alla vigente normativa regionale. Un museo insomma impegnato nella valorizzazione di collezioni che per importanza e rarità richiedono una rinnovata gestione attenta alla moderna museologia, possibile anche grazie all'acquisizione di nuovi spazi recuperati dagli interventi di restauro architettonico del complesso.
Forse non a molti è noto che proprio in Classense si trova la raccolta di rari strumenti scientifici costituita dall'architetto Camillo Morigia, uno dei pochissimi esempi sopravvissuti del collezionismo scientifico ravennate. Più noto il nucleo di cimeli legati alla figura di George Gordon Byron, da oltre cinquant'anni una delle più amate collezioni della Classense, prestantesi a fruizioni di forte valenza emotiva e suggestione letteraria che un'adeguata esposizione museale potrebbe garantire con continuità ai visitatori. Delle collezioni di numismatica, costituite prevalentemente dalla raccolta di medaglie di grande interesse antiquario, e da un ampio e ancora non del tutto sondato monetiere dal mondo antico al Medioevo, di interesse per il mondo della ricerca e del collezionismo contemporaneo, tanto da costituire un polo di attrazione per donazioni recenti.
La quadreria Classense è la più nota componente di questo aggregato museale, grazie alla pubblicazione di un catalogo dedicato a cura di Giordano Viroli; ne è icona il più importante fra i dipinti su muro realizzati entro le mura ravennati, le Nozze di Cana di Luca Longhi e figli che orna la parete del Refettorio camaldolese. La quadreria è giocoforza spesso, come in questo caso, facente parte del monumento; lo stesso accade infatti degli elaborati pittorici che ornano la monumentale libreria e i suoi annessi, recentemente peraltro sottoposta a un restauro voluto e programmato con l'IBC. Numerosissimi i restauri e gli interventi manutentivi compiuti sull'insieme della quadreria, in particolare sulla componente più erudita e di interesse storico; cosi come non sono mancati lavori di inventariazione e catalogo testimoniati dalle schedature condotte dall'IBC e dagli uffici di catalogazione scientifica classensi.
Il Museo Classense entro l'Istituzione è insomma ormai un percorso d'obbligo, un dovuto passaggio a una dimensione istituzionale e gestionale nuova. Perché non immaginare poi di riagganciarci alla vocazione libraria dell'Istituzione, in questi tempi di epocale svolta della forma e della funzione del libro, dando vita a un museo dedicato alla sua forma tradizionale dall'invenzione della stampa a oggi, un Museo del libro, che dia spazio alla ricerca specialistica e alla didattica e visibilità sempre maggiore a una delle più prestigiose collezioni librarie d'Italia?

Speciale Rinnovo Sistema Museale - pag. 15 [2010 - N.38]

Collezioni, Archivi e Biblioteca convivono al MIC connotandolo come centro di documentazione

Jolanda Silvestrini - Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza

In modo prosaico ma efficace si può assimilare il museo, o il sistema dei musei, a una immensa serra dove le piante più rare possono vivere, essere studiate e protette. Così i musei con i loro exempla.

Contrariamente ai musei d'arte industriale che, a partire dalla metà dell'Ottocento, hanno richiamato al loro interno la parte più viva della ricerca figurativa a imparare e ad adeguarsi agli antichi esempi - sortendo un inarrestabile effetto "negativo" stigmatizzato dalle dissacrazioni delle avanguardie - il Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza è sfuggito a questa categorizzazione. Esso ha raccolto gran parte delle sue prime collezioni nel mondo della più avvertita produzione contemporanea e si è posto al servizio del mondo artistico e produttivo chiedendo anche la creazione di una scuola.

Fin dai suoi primi momenti il MIC avrebbe potuto più propriamente autodefinirsi come un centro di documentazione o come un laboratorio per lo sviluppo dell'arte ceramica artigianale e industriale, e nello Statuto-Programma del 1912 queste intenzioni emergono con chiarezza. Nel corso di un secolo, gli interlocutori del MIC si sono sensibilmente accresciuti andando a comprendere industrie dagli interessi multinazionali, una produzione di nicchia e di ricerca, un artigianato artistico in apprezzabile fase di mutazione, una ceramica intesa come strumento di libera espressione artistica, indagini sui ceramici avanzati o speciali, il design.

Basterebbe questo compito a giustificare la necessità del Museo e le conseguenti funzioni di conservazione e di catalogazione - anche se può apparire paradossale - assurgono a livelli di urgenza per quanto riguarda l'arte più vicina a noi. Occorre rincorrere, acquisire e conservare piastrelle per l'architettura dell'Art Nouveau o i più recenti arredi ceramici di locali pubblici o privati che andrebbero perduti a seguito di improvvide demolizioni, le collezioni di industrie e artigiani che non hanno il tempo o i mezzi per conservare gli esempi della propria attività, opere di particolare importanza artistica. Per non parlare del progressivo elidersi di memorie scritte in un'epoca in cui tanta parte della comunicazione è affidata sempre più al dialogo telefonico o a malfermi siti web.

A questa primaria funzione accentratrice e conoscitiva occorre però garantire una sempre maggiore permeabilità con richieste che possono pervenire dalla società civile a fini educativi, produttivi, conoscitivi, scientifici. In questa ottica il Museo può essere inteso come un filtro: alle tante vie di ingresso devono corrispondere altrettante vie di uscita nella convinzione che la storia è sempre storia contemporanea, pena il suo decadere in uno sterile accademismo. È per questi motivi che accanto alle collezioni permanenti e alle opere ordinate nei depositi, il MIC si è dotato di una Biblioteca specialistica e di una Fototeca, oltre che di Archivi che documentano la sua storia e la storia della ceramica, naturalmente non solo faentina.

La Biblioteca ha raggiunto ormai i 60.000 titoli e migliaia sono anche le riproduzioni conservate nella Fototeca, mentre agli Archivi si sta dando un nuovo ordine mediante la costituzione di un "Archivio della ceramica del Novecento". Il progetto ha per fine quello di raccogliere e di sistematizzare i dati relativi agli artisti e alle manifatture che nel corso del XX secolo hanno tessuto relazioni con il MIC soprattutto con le manifestazioni del Concorso della Ceramica d'Arte Contemporanea o "Premio Faenza". Da materiali fotografici e cartacei è partita un'opera di catalogazione e di inventariazione che sarà a disposizione di tutti coloro che, con varie finalità, si interessano alla ceramica moderna e contemporanea.

Per quanto riguarda la documentazione e la catalogazione appaiono sempre di riferimento le parole di Andrea Emiliani: "I cataloghi non finiscono mai", nel senso che "ogni giorno nuove forme, nuove storie, nuove idee si incontrano e si mescolano, crescono nel dibattito e nello studio".

Un compito cui il MIC non può esimersi, per definizione statutaria e perseguite volontà di partecipare attivamente agli sviluppi dell'arte della ceramica.


Speciale Convergenza Musei Biblioteche e Archivi - pag. 15 [2010 - N.39]

La Giornata FAI di Primavera 2011 celebra l'Unità italiana

Claudia Bassi Angelini - Capo Delegazione FAI Provincia di Ravenna

Il FAI propone una Giornata tra le numerose e non sempre conosciute testimonianze risorgimentali della provincia di Ravenna, da quelle storiche a quelle celebrative, senza dimenticare i significativi documenti lasciati da "artisti-patrioti" del luogo.

Il 26 e il 27 marzo (19° edizione della manifestazione voluta dal FAI su tutto il territorio nazionale) i volontari di Ravenna guidano i visitatori sulle tracce di un percorso "tricolore", come sempre valendosi del prezioso ed entusiastico aiuto degli studenti delle scuole medie superiori e inferiori della provincia che, adeguatamente preparati da esperti, fungeranno da "apprendisti ciceroni", affiancati quest'anno anche dal supporto musicale offerto dagli studenti dell'Istituto musicale G. Verdi di Ravenna.

A Ravenna si aprirà il Museo del Risorgimento, collocato all'interno del Sacrario dei Caduti entro la Chiesa camaldolese di San Romualdo, che a sua volta sarà illustrata ai visitatori. Qui - oltre a importanti documenti storici ufficiali - si trova la raccolta di cimeli risorgimentali appartenuti ai Ravennati che parteciparono ai moti, alle guerre d'indipendenza, nonché alle vicende garibaldine (e in primis naturalmente alla "trafila"dei patrioti locali che misero in salvo Garibaldi in fuga dopo la caduta della Repubblica romana), tutti oggetti carichi di passione patriottica.

Il percorso ravennate toccherà poi alcuni monumenti altamente simbolici: la Statua a Giuseppe Garibaldi di Giulio Franchi (1892), il Monumento ai ravennati morti per l'Indipendenza d'Italia e ad Anita Garibaldi di Cesare Zocchi (1888) e la Statua a Luigi Carlo Farini, copia realizzata da Antonio Bucci nel 1995 (l'originale, opera del ravennate Enrico Pazzi del 1878, venne distrutta nel 1944 nel corso di un bombardamento), lungo un percorso che anche attraverso i nomi delle vie vuole ricordare la lotta per l'Unità d'Italia: Piazza Garibaldi, via Diaz, piazza Anita Garibaldi, viale Farini.

Nei dintorni della città verrà inoltre aperta la Cascina Guiccioli, presso Mandriole, dove la sera del 4 Agosto 1849 morì Anita Garibaldi, e il Capanno del Pontaccio (poi Capanno Garibaldi), dove si rifugiò Garibaldi inseguito dalle truppe austriache.

A Faenza verrà aperto il Museo del Risorgimento e dell'Età contemporanea. La raccolta museale, che va dall'età napoleonica all'Unità d'Italia, contiene interessanti testimonianze storiche e artistiche (tra cui opere di Angelo Marabini e di Domenico Baccarini). Inoltre le visite guidate saranno estese all'edificio che ospita il Museo, il settecentesco Palazzo Laderchi (compresi i locali della riservatissima Accademia Torricelliana, ivi situata), uno dei più significativi esempi del monumentale complesso edilizio neoclassico caratteristico del centro storico di Faenza, le cui decorazioni interne furono eseguite sotto la brillante regia, e talora l'intervento diretto, di Felice Giani.

Particolarmente originale la proposta di Bagnacavallo dove si potrà ammirare un prezioso e raro documento artistico di Pietro Saporetti. Si tratta del dipinto La preghiera delle donne italiche per l'annessione di Roma all'Italia (1869), un olio su tela proveniente da una collezione privata e rimasto inedito fino al 2010, che viene presentato a Bagnacavallo finalmente collocato all'interno del luogo in cui fu concepito dall'autore, la settecentesca ex chiesa dei Battuti Bianchi di Bagnacavallo (oggi Sacrario dei Caduti), a sua volta oggetto della visita.

Chiude la rassegna dei Beni aperti dal FAI un'anteprima assoluta a Lugo: il seicentesco Oratorio di S. Onofrio, l'unica proposta di carattere non risorgimentale della nostra Delegazione, talmente importante da non poterla procrastinare. L'Oratorio riapre infatti al pubblico dopo una lunga chiusura, essendo stato oggetto di restauri che si concluderanno nei primi mesi del 2011. Si potrà così ammirare la ritrovata ricchezza dei suoi stucchi e dei suoi affreschi, nonché l'importante quadreria, opera di Tommaso Missiroli, Carlo Ruina e Ignazio Stern.

Nei presidi presenti in ognuno di questi siti i volontari FAI proporranno libri e materiali divulgativi sul Risorgimento in Romagna a un prezzo di favore riservato ai visitatori della Giornata di Primavera (le visite saranno invece gratuite, anche se risulterà gradita un'offerta al FAI).


Speciale 150° Anniversario dell'Unità d'Italia - pag. 15 [2011 - N.40]

Un nuovo allestimento didascalico a Palazzo Milzetti per soddisfare le tante curiosità sull'edificio e sui suoi proprietari, committenti e artisti

Marcella Vitali, Chiara Magnani - Museo Nazionale dell'Età neoclassica in Romagna di Faenza

In occasione delle Giornate Europee del Patrimonio del settembre 2010, Palazzo Milzetti di Faenza, Museo Nazionale dell'Età neoclassica in Romagna, si è arricchito di un nuovo allestimento a integrazione del percorso di visita. L'intervento interessa due salette del piano nobile, collegate al boudoir e alla Sala gialla, che a differenza degli altri ambienti sono meno caratterizzate dal punto di vista decorativo. Si è in questo modo risposto alle sollecitazioni ed esigenze dei visitatori, che pur avendo notizie relative agli aspetti artistici (grazie ad audioguide, pannelli, depliants), comprensibilmente presentavano richieste e curiosità sull'edificio, i suoi proprietari, i committenti e gli artisti che vi intervennero.
Si è scelto di organizzare le informazioni in due specifici nuclei: in una saletta un video che gira su un monitor LCD 42 presenta in successione le immagini dell'attività dei diversi protagonisti della realizzazione e decorazione del palazzo (gli architetti Giuseppe Pistocchi e Giovanni Antonio Antolini, i pittori Felice Giani e Gaetano Bertolani e i plasticatori Antonio Trentanove e i fratelli Ballanti Graziani), mentre alle pareti una serie di sei pannelli dà informazioni sintetiche sul loro operato; nella saletta successiva un video analogo mostra le vicende dell'edificio fin dalle sue origini, nel XVI secolo, all'epoca della proprietà Bianchelli, il successivo passaggio ai Medici, fino all'acquisto da parte dei Milzetti nel 1602. In seguito sono presentati i committenti della più prestigiosa età neoclassica, soprattutto Francesco Milzetti, cui si deve il grande intervento decorativo, e la moglie Giacinta Marchetti degli Angelini; vengono poi documentati i successivi proprietari Rondinini e Magnaguti, fino all'acquisizione Bolognesi e alla vendita allo Stato italiano nel 1973. Analogamente alla saletta precedente una serie di quattro pannelli offre informazioni sulle famiglie e le diverse vicende. La Direzione del Museo ha individuato un modello di cornice neoclassica in legno con profili dorati, estremamente sobria, in cui sono stati inseriti i testi, preceduti dal logo del museo. L'impressione che si ricava è di discrezione dell'intervento, che va oltre il consueto genere di apparato didattico, privilegiando l'aspetto dell'integrazione con un percorso così fortemente caratterizzato in senso neoclassico, sia per la decorazione che per gli arredi.
I contenuti si propongono quindi di chiarire tanti aspetti delle vicende del palazzo, fino alla sua musealizzazione, e questo grazie a ricerche ed approfondimenti d'archivio, collaborazioni e preziose informazioni, che risultano poi fondamentali per la comprensione sia dei proprietari, che del modo di vita e dell'utilizzo di un edificio così prestigioso, quanto anomalo. È emerso, ad esempio, che già a metà dell'Ottocento era percepito come una tappa nella visita della città, soprattutto se ne aveva la consapevolezza della caratterizzazione in senso museale; al tempo stesso si è chiarito come il committente e la moglie non lo abbiano quasi abitato, mentre i proprietari successivi hanno cercato di salvaguardarne il più possibile l'integrità, nonostante le esigenze della vita quotidiana. Viene inoltre completata l'informazione sull'arredo, grazie a foto d'archivio che mostrano le sale arredate prima di quel passaggio allo Stato italiano definito ad un costo certamente non di mercato, nella consapevolezza dell'importanza dell'acquisizione.
Questo allestimento ha perseguito il compito di definire maggiormente i successivi passaggi che hanno portato quella che è stata un'importante dimora storica a divenire un vero e proprio museo, con una vita istituzionale, aperto al pubblico e con finalità didattiche.

Speciale nuovi allestimenti museali - pag. 15 [2011 - N.41]

Ragioni e sviluppo di una raccolta unica, che unisce il genius loci ai rumori del mondo

Linda Kniffitz - Curaore CIDM del Mar di Ravenna

In una lettera datata 1790 John Adams, futuro presidente degli Stati Uniti, scrive alla moglie: "Non sono le belle Arti di cui il nostro paese ha bisogno. Le utili Arti meccaniche sono ciò che serve ad una giovane nazione". La quale, quindi, doveva starsene lontana da lusso, raffinatezze ed erudizione, e lasciarle - come difatti erano - appannaggio del vecchio continente.

Dopo meno di un secolo la nazione non è più così giovane e gli americani cominciano ad acquistare a piene mani dal patrimonio artistico europeo. Le considerazioni di Adams vengono completamente sovvertite dalla pratica del collezionismo e dalla filantropia dei ricchi borghesi, che portano alla formazione di grandi musei pubblici, utili a educare le masse al bello. Nel giro di tre decenni, all'inizio del XX secolo, le ricche collezioni vengono aperte al pubblico, prima in locali arredati come dimore private, poi in edifici appositamente progettati e allestiti secondo il canone moderno di stile razionalista internazionale: le opere sono esposte su pareti chiare e scarne, gli spazi sono essenziali e privi di arredo.

I grandi musei europei, invece, nascono da occasioni ed eventi non facilmente riconducibili a un'unica genesi, ma in molti casi sono frutto o del collezionismo di principi mecenati o delle soppressioni di enti e ordini religiosi, senza un marcato intento didattico, quanto piuttosto di rassegna dei gusti del collezionista o di una tradizione locale.

È questo il caso della Pinacoteca del MAR di Ravenna, la cui origine risale alle collezioni pittoriche delle grandi Abbazie del territorio, e anche del Museo Nazionale di Ravenna, che viene fondato per esporre gli antiquaria e le altre collezioni eterogenee derivanti dalle soppressioni delle Corporazioni religiose.

La genesi della collezione di Mosaici Contemporanei del MAR è affatto diversa. Il primo nucleo risale al 1959, ed è la serie di mosaici da cavalletto chiamata "Mosaici Moderni", frutto della volontà di Giuseppe Bovini di accostare la tecnica musiva antica all'arte contemporanea: alcuni importanti artisti vennero chiamati a realizzare cartoni pittorici, che i migliori mosaicisti ravennati interpretarono con la tecnica del mosaico bizantino. Furono coinvolti tra gli altri Afro, Birolli, Mirko, Guttuso, Capogrossi, Moreni, Vedova, Chagall, Mathieu, Cagli, Campigli, Corpora, Gentilini.

Nei decenni successivi altre opere si sono aggiunte alla collezione: opere nate dal desiderio di applicare i procedimenti tecnici del mosaico alla pittura gestuale, come la Prova impossibile di Emilio Vedova, o alla resa in scala maggiore dei "blow up" sgranati di Michelangelo Antonioni, realizzati da Luciana Notturni, Daniele Strada, Alessandra Caprara e Silvana Costa. Opere frutto di collaborazioni con l'Accademia di Belle Arti di Ravenna e con Atelier musivi che nascono da bozzetti di Carmi, Giosetta Fioroni, Mimmo Paladino, o da opere di Ontani, Gilardi, Balthus. E poi mosaici creati dagli artisti in piena autonomia: Ines Morigi Berti, Marco Bravura, Marco De Luca, Paolo Racagni, Francesca Fabbri, Dusciana Bravura, Almuth Schops, Marco Santi, Giuliano Babini, e Germano Sartelli, che si è cimentato per la prima volta con il linguaggio musivo. Fino alle acquisizioni più recenti, opere di Lino Linossi, CaCO3, Luca Barberini, Arianna Gallo e Takako Hirai, che si caratterizzano per il marcato stacco dalla tradizione e per un uso del linguaggio musivo che pone in primo piano la resa dei materiali e dell'ordito: sono opere che denotano un'indubitabile competenza tecnica, ma i cui contenuti si iscrivono a buon diritto nelle istanze dei movimenti artistici contemporanei.

La Collezione permanente di Mosaici Contemporanei conservata al Mar è unica nel panorama delle raccolte di Enti culturali. Il Museo ne garantisce la conservazione e la valorizzazione, ma ne cura anche l'arricchimento, con l'intento di seguire l'evoluzione della produzione musiva degli ultimi sessant'anni, a contatto con le avanguardie storiche e con gli esiti più contemporanei della ricerca artistica, promuovendo nel contempo il mosaico quale linguaggio artistico contemporaneo.

Nell'ampliare la raccolta si è sempre cercato di tenere gli occhi puntati sui dibattiti più sentiti e su una scena allargata, dando spazio a mosaici rappresentativi di molteplici contenuti e di potenzialità estetiche nuove: da una parte il bisogno di testimoniare la Scuola di Ravenna, il genius loci; dall'altra la necessità di ascoltare i rumori del mondo.


Speciale Donazioni Museali - pag. 15 [2011 - N.42]

Pesci, anfibi e rettili del territorio sotto osservazione grazie al progetto provinciale "Rivivrò"

Raffaele Gattelli - Presidente Associazione Aquae di Russi

Il Museo della "Vita nelle Acque" di Russi si occupa del mondo dell'acqua e delle creature che hanno mantenuto un legame particolarmente intimo con questo elemento, tanto prezioso quanto insostituibile per la vita. Il Museo sorge infatti al centro di un ampio parco disseminato di laghi dove trovano un ambiente a loro congeniale pesci, anfibi, rettili e uccelli acquatici.
Più che parlare di ciò che il Museo espone parlerò del lavoro che l'Associazione che l'ha creato e che lo gestisce ha svolto e sta svolgendo in ambito naturalistico. Forse non tutti sanno che nei corsi d'acqua e negli stagni della nostra bella regione si sta assistendo ormai da decenni a un rapido e preoccupante rarefarsi di pesci, anfibi e rettili endemici. Questo fenomeno sta portando a forti squilibri che sono destinati fatalmente a vedere perdenti, e a forte rischio di estinzione, molte specie animali di grande valore naturalistico. L'agricoltura intensiva, l'immissione voluta o accidentale di molte specie animali, il prelievo idrico eccessivo o mal gestito e la miopia gestionale di aree di grande valenza naturalistica stanno minando la salute degli ecosistemi acquatici.
Per questo, la Provincia di Ravenna ha varato nel 2010 il Progetto quadriennale RIVIVRƠ (RIequilibrio della Vegetazione, degli Invertebrati e dei Vertebrati della Romagna Occidentale) di cui l'Associazione Aquae Mundi è il protagonista per quanto concerne il monitoraggio, la riproduzione e rilascio di pesci, anfibi e rettili.
Il lavoro è articolato in più fasi che vanno dal monitoraggio delle popolazione naturali alla valutazione degli stress ambientali, naturali e non, che ne minano la capacita di vivere e riprodursi. Si è visto che un ruolo preponderante fra gli stress che determinano la scarsa vitalità e competitività di molte popolazioni di pesci, anfibi e rettili è dovuta a una forzata competizione con specie alloctone (ossia straniere). Si è quindi attivato un piano di cattura con trappole selettive di queste specie: per citare un esempio, nel solo 2011 sono state catturate nel parco del loto di Lugo e nei laghi di Cotignola (entrambe aree protette della Rete ecologica) oltre 300 esemplari di Trachemis scripta, le famigerate testuggini dalle orecchie rosse nord americane. Queste testuggini acquatiche sono particolarmente invasive in quanto predano con grande voracità pesci e anfibi, oltre a competere con la nostra testuggine palustre (Emys orbicularis) per lo spazio e il cibo. Le testuggini americane sono poi state affidate, vive e in buona salute, ad un centro autorizzato dal Ministero per accudirle al di fuori degli ambienti naturali. Altre specie alloctone sono controllate, poiché indesiderabili per l'ambiente.
Contemporaneamente vengono allevate le specie italiane e rilasciate nelle aree protette segnalate dalla Provincia, laddove le condizioni ambientali sono idonee. Nel 2011 sono stati rilasciati esemplari di tinca, luccio, scardola, raganella, rana dalmatina, tritone crestato, tritone volgare e testuggine palustre italiana. Questi esemplari sono stati allevati o cresciuti nell'Oasi di Aquae Mundi.
Uno sforzo particolare viene fatto per ricercare specie ormai estinte in provincia di Ravenna come la rana di lataste, una piccola rana rossa segnalata fino a pochi anni fa nella piana allagata del Bardello e a Punte Alberete. Il lavoro da noi condotto sulle specie animali legate all'acqua è affiancato da un impegno simile, in campo vegetale, dal dipartimento di Botanica dell'Università di Pavia che si preoccupa delle piante acquatiche endemiche da proteggere o trapiantare nelle aree protette del progetto.
Questo lavoro, seppur molto impegnativo e faticoso, ha già prodotto risultati di grande pregio: infatti sono state potenziate o ricreate le popolazioni di pesci, anfibi e testuggini in diverse aree protette della rete ecologica e, aspetto forse ancor più importante, sono stati coinvolti i bambini delle scuole elementari di sette Comuni a partecipare ai lavori di rilascio, creando un interesse del tutto nuovo verso queste affascinanti creature. Qualcosa di positivo resterà nei loro ricordi.
In tempi così sofferti appare ancor più secondario l'interesse per la natura, soprattutto per una natura tanto piccola e apparentemente insignificante quanto quella di uno stagno gracidante di rane e fiorito di ninfee. Ma il punto è che ciò che si sta perdendo, una volta perso, sarà perso per sempre. Dopo, non basterà il denaro a restituircelo.

Speciale Musei e acque - pag. 15 [2012 - N.43]

L'indubbio valore aggiunto del volontariato va considerato in stretto collegamento col tema della professione

Stefano Parise - Presidente AIB

Il tema del volontariato rappresenta un nodo problematico nel panorama delle molte questioni aperte che caratterizzano il panorama bibliotecario italiano. Utilizzati in maniera diffusa e un tantino spregiudicata a integrazione (ma spesso in sostituzione) del personale di ruolo fino al 1 gennaio 2005, quando l'abolizione del servizio di leva obbligatoria ha eliminato gli "obiettori di coscienza", i volontari hanno intensificato e diversificato la loro presenza negli ultimi anni soprattutto grazie all'enfasi data al ruolo del "terzo settore" nell'erogazione di prestazioni proprie dello stato sociale, nel momento in cui la ritirata dell'intervento pubblico allargava gli spazi per la sussidiarietà fra pubblico e privato.
Questa disponibilità diffusa e crescente, lungi dal sollevare un coro unanime di apprezzamento, suscita al contrario equivoci e proteste fra gli addetti ai lavori, che spesso avvertono la presenza di volontari come una minaccia e non come una risorsa. A mio modo di vedere le ragioni di questa reazione sono quattro, complementari e interagenti fra loro:
- l'uso improprio che molte amministrazioni, per insensibilità, scarsa cognizione delle esigenze del servizio bibliotecario e/o opportunismo, fanno dei volontari, intesi come scorciatoia per eludere l'assunzione di bibliotecari professionali;
- un malinteso senso di difesa della professione, che in realtà evidenzia un riflesso parasindacale teso a tutelare il lavoro in biblioteca più che la specificità dei contenuti professionali, soprattutto laddove ai volontari sono affidate incombenze di natura meccanicamente esecutiva;
- una difficoltà a rapportarsi con persone portatrici di background culturali ed esperienze professionali "altre", non di rado estremamente qualificate, che possono avere un effetto destabilizzante sulle consuetudini professionali (intese qui nel senso delle abitudini, dei meccanismi e degli schemi mentali consolidati);
- una pretesa di interventismo, che si ravvisa soprattutto nel volontariato connotato ideologicamente o politicamente nei confronti delle modalità di erogazione del servizio e dei processi organizzativi, che alimenta e giustifica il sospetto di indebite interferenze.
La presenza dei volontari in biblioteca appare quindi afflitta da un sovrappiù di cattiva coscienza mentre andrebbe affrontata senza pregiudizi e attese messianiche.
Solo per fare un esempio, un buon amministratore locale non sarebbe tale se trascurasse di impiegare al meglio la disponibilità - tanto più se organizzata - dei suoi concittadini a svolgere attività di rilievo sociale: fare compagnia alle persone sole, svolgere un servizio di accompagnamento, far attraversare la strada ai bambini davanti a una scuola... Tutte attività utili socialmente che producono vantaggi economici non trascurabili. Parimenti, un buon amministratore non sarebbe tale se, ad esempio, lasciasse che le segnalazioni al tribunale dei minori o ai servizi sociali fossero effettuate da un'associazione di volontari invece che da assistenti sociali e psicologi.
La disposizione al dono (del proprio tempo, lavoro e competenze) rientra nel tema -centrale per il futuro - dell'invecchiamento attivo e ha risvolti diretti sulla tenuta del sistema del welfare. L'anziano non è un individuo il cui sostentamento grava sulla collettività ma un individuo in grado di iniziare un percorso alternativo o nuovo. Il concetto di "longevità attiva" sta diventando il modo prevalente di vivere la terza e la quarta età, ed è presumibile che lo sarà sempre di più. Un invecchiamento attivo, il mantenimento di una rete di relazioni sociali grazie all'impegno nel volontariato ha un effetto preventivo su una serie di patologie e situazioni di disagio e di esclusione sociale che influenzano positivamente i costi dell'assistenza. Senza trascurare il fatto che il volontariato culturale risponde anche al bisogno di vivere attivamente l'esperienza culturale, al di là di qualsiasi calcolo.
Queste dimensioni devono essere raccordate con l'esigenza di garantire una gestione professionale dei servizi bibliotecari. La soluzione del problema è teoricamente semplice: è sufficiente riconoscere validità universale al principio che un volontario non può svolgere compiti riconducibili a quelli di norma espletati dal personale dipendente e che la sua presenza deve essere inquadrata all'interno di un rapporto fra biblioteca e associazioni o organismi del terzo settore, ai sensi della normativa vigente. Che si tratti di "Amici della biblioteca", o di "Gruppi di lettura", la loro richiesta di collaborazione - come ha scritto Giovanni Galli su Aib-cur del 17/02/12 - non è soltanto tesa a utilizzare la biblioteca "ma un poco la costruiscono con noi, specie nelle iniziative culturali".
Il valore aggiunto prodotto dal volontariato organizzato, quando sostiene le attività della biblioteca o svolge compiti che il personale non riesce a presidiare (la consegna di libri a domicilio, le letture nelle scuole, la raccolta fondi, l'organizzazione di attività culturali...), è talmente evidente da non richiedere particolari commenti. L'AIB, per mezzo del suo Osservatorio Lavoro e Professione, sta mettendo a punto un documento che fornirà indicazioni sull'impiego dei volontari alle amministrazioni titolari di biblioteche.
Il profilo più interessante, strettamente connesso al primo, riguarda tuttavia il rapporto fra volontari, ruolo del bibliotecario e auto-percezione di sé come professionisti.
Quello delle biblioteche non è certamente il primo ambito in cui si registra la presenza di volontari né quello in cui se ne fa l'uso più sistematico e intensivo. Il settore dell'assistenza pubblica, ad esempio, si avvale di una serie di figure che hanno mansioni specifiche e non di rado delicate. Essi operano a stretto contatto con il personale medico e paramedico, con mansioni complementari e integrative, eppure non risulta che i medici abbiano a sentirsi minacciati nella loro professionalità, status o prerogative dalla presenza di queste figure, dalle quali al contrario spesso dipende la buona (o cattiva) qualità del contesto entro cui il medico opera.
Il punto fondamentale è che quest'ultimo sa di avere prerogative e responsabilità che non potranno mai essere eluse o scavalcate da altri, perché sancite da leggi dello Stato. Il bibliotecario non si trova nella medesima situazione, il suo lavoro non ha ancora ricevuto un riconoscimento normativo e anzi, sempre più spesso, è declassato nei fatti (e negli emolumenti) al rango di un bidello, di un custode.
Se la percezione media della nostra professione è quella di persone "che leggono libri" o che "distribuiscono libri", non c'è da meravigliarsi che qualcuno possa pensare di utilizzare anche personale non qualificato (e magari non retribuito, come i volontari). Su questo versante, che ha implicazioni normative, l'AIB ha avviato un percorso che dovrà portare - speriamo entro l'anno in corso, con l'approvazione definitiva della legge sulle professioni non ordinistiche - alla certificazione delle competenze e al recepimento dei requisiti di appartenenza alla professione da parte degli enti titolari di biblioteche.
È più difficile, invece, lavorare sulle implicazioni culturali della questione, perché attengono alla percezione sociale della funzione di una biblioteca e del ruolo dei bibliotecari, che è a un tempo funzione e determinante dell'immagine che questi ultimi hanno di loro stessi. Se tutti noi fossimo sofisticati manager della mediazione informativa e se il livello medio delle richieste che il pubblico della biblioteca ci rivolge fosse tale da richiedere, rendere necessario e imprescindibile il possesso di tali elevate competenze e capacità, probabilmente i bibliotecari si troverebbero nella medesima condizione dei medici e non avrebbero ragione di paventare la presenza dei volontari.
Il tema dei volontari, quindi, deve essere visto in stretto collegamento con quello della professione. Bisogna avere la coscienza chiara che in Italia non si assumono abbastanza bibliotecari professionisti ma nel contempo, per onestà intellettuale, riflettere sull'attributo (professionisti) non tanto dal punto di vista della preparazione (un problema enorme, che chiama in causa il sistema universitario) quanto delle funzioni. Essere professionisti significa svolgere attività specialistiche che richiedono necessariamente adeguata preparazione ed esperienza, non delegabili all'ultimo venuto, anche se animato da buone intenzioni. Quali siano queste funzioni - e quali saranno fra dieci anni - è questione che interroga il futuro stesso delle biblioteche. La risposta può darci elementi per tracciare una linea di demarcazione fra ciò che in biblioteca può essere delegato ai volontari e ciò che rappresenta la nostra core activity.
Non riuscire ad individuare tale linea significa condannarsi all'incapacità di difendere la nostra specificità professionale, con il risultato di ridursi a battaglie che hanno il sapore della difesa di una privativa, poco ragionevoli e ancor meno sostenibili.

Speciale MAB e volontariato - pag. 15 [2012 - N.44]

Storico del Risorgimento italiano, a Faenza ricoprì incarichi di direttore di biblioteca e di musei e d'insegnante

Giorgio Cicognani - Conservatore Fondi antichi Biblioteca Comunale di Faenza

Nato a Russi nel 1886, Zama iniziò i suoi studi a Bagnacavallo poi, successivamente, al Ginnasio del Seminario di Faenza dove ebbe occasione di iniziare il suo percorso agli studi umanistici. Percorrere tutte le tappe di Piero Zama non è semplice perché molteplici furono i suoi interessi come ci mostra la sua bibliografia curata da Maria Gioia Tavoni e Giuseppe Bertoni, che va dal 1912 al 1984, e dove si contano ben 1146 titoli. Fu un intellettuale di spicco della vita culturale faentina, protagonista della storia locale, studioso del Risorgimento nazionale, ricercatore del periodo medievale e rinascimentale. Sulla sua figura è già stato scritto molto, non abbastanza forse sulla sua attività di direttore della Biblioteca Comunale, del Museo del Risorgimento e del Museo del Teatro a Faenza.
Nel 1915 prese parte alla prima guerra mondiale, prima come volontario, poi combattendo in prima linea col grado di sottotenente e in seguito di capitano nel Carso, sull'altopiano di Asiago, sul monte Grappa. Importanti sono i documenti da lui donati al Museo del Risorgimento relativi a questa sua partecipazione. Nel 1920 assunse l'incarico di direttore della Biblioteca Comunale, dove rimase fino al 1957. Le iniziative intraprese furono moltissime e diedero un forte impulso alla vita dell'Istituto; potenziò la pubblicazione del Bollettino della Biblioteca dove relazionò sulle varie attività, dalla formazione di nuovi cataloghi dei materiali rari e di pregio, al riordino e apertura di vari Musei.
Nello stesso Bollettino, nel 1924, Zama riferì sul Museo del Risorgimento e in quali condizioni egli prese in consegna i materiali, custoditi fino al 1921 in un locale della la Pinacoteca Comunale. Le sue difficoltà furono quelle di aver trovato una difficile situazione a causa di un "vizio iniziale" e cioè della mancanza di inventario fin dalla nascita del Museo nel 1904.
L'amore per la sua città e per la storia non spaventarono Zama e fra i problemi di acquisire spazi, restaurare sale, incrementare le raccolte librarie, riuscì il 4 novembre 1929 a inaugurare il Museo del Risorgimento. Nel 1931 scrisse: "[...] ma più assai di quanto si può vedere visitando la Biblioteca e i Musei, si può senza ombra di dubbio affermare, che l'Istituto si avvia verso un migliore avvenire".
Nel giugno del 1933 Zama inaugurò il Museo Teatrale e nel ringraziare chi con abnegazione aveva raccolto e donato i cimeli teatrali, e cioè il compianto cav. Arnaldo Minardi, spiegò che era già stato compilato un elenco di oggetti inventariati. Sempre nello stesso anno aprì il Museo Torricelliano.
Oltre alla professione di bibliotecario e museologo, Zama si dedicò anche all'insegnamento nell'istituto magistrale di S. Umiltà come insegnante di lettere dal 1923 al 1947. Tante furono le pubblicazioni su Alfredo Oriani e pubblicò inoltre un gran numero di studi sulle vicende risorgimentali della Romagna, di cui ricordo solo alcuni dei contributi più significativi: La marcia su Roma del 1831; Il generale Sercognani; Giovanni Pianori contro Napoleone III; Don Giovanni Verità prete garibaldino; Luigi Carlo Farini nel Risorgimento Italiano. La sua instancabile ricerca di documenti in vari archivi, lo portò alla stesura di interessanti volumi quali: I Manfredi Signori di Faenza; Romagna Romantica; Donne, avventurieri, signori di Romagna.
Nel 1944 Faenza subì tremendi bombardamenti e ben due grossi istituti culturali furono rasi al suolo: il Museo Internazionale delle Ceramiche e la Biblioteca Comunale coi suoi Musei. Il lavoro di Piero Zama, realizzato in vent'anni di Direzione, fu cancellato totalmente e credo, che per lui, questo sia stato il periodo più duro, ma il suo carattere forte e determinato lo spinse ancora una volta nella difficile ricostruzione. Occorreva innanzitutto ricomporre tutte le raccolte librarie, soprattutto quelle a carattere locale e faentino, poi di nuovo recuperare le raccolte museografiche.
Nel 1947 promosse la nascita della Società Torricelliana di Scienze e Lettere, di cui fu segretario fin dall'inizio e Presidente onorario fino alla morte. Due anni dopo, nel 1949, contribuì alla fondazione della Società di Studi Romagnoli, assumendo anche la carica di Presidente dal 1954 al 1958. Ricoprì varie cariche in sodalizi culturali e molte furono le sue collaborazioni con giornali, riviste nazionali e non. Faenza e la Romagna gli saranno per sempre riconoscenti non solo per i suoi studi, ma per la difesa e la conservazione del patrimonio storico e culturale.

Personaggi - pag. 15 [2013 - N.46]

Un nuovo strumento per riorganizzare e salvaguardare i depositi museali

Stefano De Caro, Carla Pianese - Direttore Generale ICCROM, Stagista ICCROM

Negli ultimi venti anni, la condizione dei depositi museali è peggiorata. Nel 2011, un sondaggio internazionale condotto dall'ICCROM (Centro Internazionale di Studi per la Conservazione e il Restauro dei Beni Culturali) e dall'UNESCO ha dimostrato che il 60% dei depositi museali e dei relativi sistemi di documentazione versa in gravi condizioni, impedendo l'utilizzo adeguato delle collezioni per le attività museali.
Tre mesi di diffusione del sondaggio fornirono 1.490 risposte pervenute da istituzioni museali distribuite in 136 Paesi rivelando un quadro preoccupante che ha cause e problematiche analoghe in tutti e cinque i continenti: mancanza di spazio, locali inadeguati e stracolmi, necessità di pianificazione a lungo termine, mancanza di personale addestrato e conseguente assenza di responsabilità nella gestione. Infatti, mentre molti musei continuano ad acquisire opere in maniera esponenziale per incrementare le proprie collezioni, non esistono adeguate disposizioni per gestire queste attività in continua crescita. L'esigenza di strumenti e soluzioni effettive per la gestione di situazioni già esistenti e deteriorate nel tempo è più che mai immediata e urgente.
In Italia la partecipazione al sondaggio è risultata piuttosto ampia con 65 musei aderenti. Questo numero risulta il più alto dopo gli Stati Uniti d'America e il Canada e implica un forte interesse per questa problematica. I risultati dell'Italia mostrano una situazione potenzialmente a rischio, classificando il 52% dei depositi in una condizione "grave" e "drastica", ovvero con locali completamente pieni o con circolazione difficile all'interno dell'area. Generalmente, la situazione non risulta molto distante da quella mondiale ma richiede comunque una maggiore diffusione del problema e una forte presa di coscienza a livello delle Istituzioni competenti.
Per far fronte a questi problemi, l'UNESCO e l'ICCROM hanno sviluppato in tre anni una metodologia per la salvaguardia e la riorganizzazione di depositi museali di piccole istituzioni (<10.000 oggetti), con risorse e personale specializzato limitato. Questo strumento innovativo denominato RE-ORG è disponibile online gratuitamente (www.re-org.info), con un'ampia documentazione attualmente in tre lingue (inglese, francese, spagnolo). Il sito web contiene numerosi strumenti di auto-apprendimento, materiale didattico, bibliografia, glossario, un gruppo di discussione e casi di studio per sostenere il personale museale o per chiunque voglia intraprendere la riorganizzazione dei depositi in maniera autonoma o per finalità didattiche. Dal suo lancio due anni fa, il sito RE-ORG ha ricevuto più di 16.500 visitatori, e più di 600 utenti si sono registrati per riorganizzare i depositi e seguirne i progressi.
La metodologia è composta da quattro fasi guidate e si concentra su quattro sezioni e aree di responsabilità: management, edificio e spazi, collezione, mobilio e attrezzature. Ogni area di responsabilità viene illustrata descrivendone l'importanza, gli obiettivi e l'impatto finale, i materiali richiesti, consigli e suggerimenti vari. Prima di procedere alla riorganizzazione è possibile effettuare un'autoanalisi di valutazione per identificare la condizione attuale della propria istituzione. Pertanto, lo sviluppo di RE-ORG costituisce uno strumento importante e unico nel suo genere per assistere concretamente i musei di piccole e medie dimensioni nella gestione delle proprie collezioni, non di singoli oggetti, rispetto alla propria situazione istituzionale.
Nel 2011, durante la 27a Assemblea Generale dell'ICCROM i Paesi membri, tra cui l'Italia dal 1960, hanno votato una risoluzione proponendo un Progetto internazionale di riorganizzazione dei depositi di piccoli e medi musei attraverso l'utilizzo di RE-ORG.
Attualmente, l'ICCROM sta lanciando un Progetto Pilota RE-ORG per il 2014-2015 ed è alla ricerca di una Istituzione Partner in uno dei suoi 132 Stati membri per sviluppare una strategia nazionale sulla riorganizzazione dei depositi museali. Gli obiettivi del progetto prevedono di formare una squadra di specialisti, provenienti da 5 o 6 musei selezionati, capaci di migliorare le condizioni dei depositi e di formare altri professionisti nell'applicazione della metodologia RE-ORG, e anche di contribuire allo svolgimento di un programma di sensibilizzazione incrementando la consapevolezza della metodologia RE-ORG per migliorare la gestione delle collezioni museali a livello nazionale (stampa, decisori, professionisti, pubblico generale ecc.). In un mese e mezzo sei Paesi hanno già mostrato interesse al progetto.

Speciale Depositi museali - pag. 15 [2013 - N.47]

La fotografia del sistema museale della provincia di Ravenna svela una presenza capillare e qualificata del patrimonio culturale

Eloisa Gennaro - Responsabile Ufficio MAB Provincia di Ravenna

Nel 1993 l'indagine STIMMA (Sistema Territoriale Integrato Musei Monumenti Archeologia) commissionata dalla Provincia di Ravenna censì sul territorio quarantuno istituzioni museali. Il censimento mostrava una massiccia e diffusa presenza di realtà medio-piccole - tra cui alcune "note" e altre "da scoprire" o "da valorizzare" - e l'eterogeneità delle raccolte conservate, quasi tutte legate strettamente alla storia, tradizioni e cultura del territorio d'appartenenza.
In due decenni la situazione si è naturalmente evoluta, al passo con quanto accadeva nel resto d'Italia. Innanzitutto un dato incontrovertibile: l'aumento vertiginoso del numero di musei o istituti assimilabili, che ora sono diventati cinquantanove (e almeno altri due sono in cantiere...), omogeneamente diffusi su tutto il territorio. Parecchie delle realtà nate negli ultimi vent'anni sono classificabili come raccolte museali, ovvero istituzioni dedite principalmente alla conservazione ed esposizione del patrimonio, spesso di natura privata. Al contempo si è registrato un altro fenomeno: molte delle realtà già esistenti - soprattutto quelle pubbliche - si sono trasformate da semplici depositi o raccolte permanenti in istituzioni orientate ai diversi tipi di pubblico, migliorando spazi e servizi, rafforzando la propria missione scientifico-culturale e la funzione sociale; fenomeno che riflette di fatto la maggiore attenzione ai musei da parte della normativa nazionale, in particolare quella relativa agli standard di qualità, ma anche i maggiori e più qualificati incentivi regionali e provinciali erogati ai sensi della L.R. 18/2000.
Se è vero che il capoluogo, città d'arte famosa per i suoi monumenti d'epoca tardo-antica, presenta il maggior numero di musei (ben sedici su tutto il territorio comunale), seguita da un'altra città d'arte, Faenza, in cui si concentrano dieci istituzioni museali, è da rilevare come in tutti i restanti comuni della provincia - fatta eccezione per due - si localizzano da uno a più musei.
È da evidenziare anche come il territorio ravennate conti su un'offerta fortemente diversificata e specializzata: nove musei d'arte antica, moderna o contemporanea, sei musei archeologici, cinque musei storici, quattro musei di scienze naturali e uno di tecnologia, quattro musei demo-etno-antropologici, otto musei d'arte sacra e devozionale, cinque case-museo, quindici musei specializzati, un giardino botanico e persino un planetario.
La metà dei musei del territorio è di proprietà pubblica, l'altra metà di proprietà ecclesiasistia o privata. Molte sono realtà medio-piccole o anche piccolissime, come ad esempio il Piccolo Museo di Bambole e altri Balocchi di Ravenna, alcune sono istituzioni grandi con ambizioni a carattere internazionale quali il MAR di Ravenna e il MIC di Faenza; ci sono musei ospitati in rocche o palazzi di notevole pregio storico-architettonico come il Museo Nazionale dell'Età Neoclassica in Romagna di Faenza e case-museo di letterati o scienziati. Alcune realtà si limitano alle dimensione di raccolta permanente, altre si caratterizzano per la molteplicità e la vivacità delle funzioni, per un rapporto fortemente identitario e partecipato col territorio quali il MUSA di Cervia e l'Ecomuseo di Villanova di Bagnacavallo, per l'attenzione alla ricerca o per la vivacità e l'originalità degli eventi promossi come il Museo Carlo Zauli di Faenza, solo per fare qualche esempio.
Non è un caso che la Provincia di Ravenna, di fronte a un patrimonio storico-artistico- culturale così ampio, diversificato e frammentato, abbia dato vita nel 1997 al Sistema Museale Provinciale, sottoscrivendo una convenzione con gli enti pubblici e privati proprietari di istituzioni museali dotate di determinati standard minimi. Oggi al Sistema aderiscono trentanove musei del territorio, tra cui tutti quelli civici e statali aventi i requisiti e un'alta percentuale di quelli privati, ad esclusione dei musei ecclesiastici.
Potendo dare in questa sede solo un quadro sintetico dell'offerta museale ravennate, accennando appena alle sue macro caratteristiche, rimandiamo al sito del Sistema Museale Provinciale e ai numeri pregressi della rivista "Museo in-forma" per ulteriori dettagli in termini di performance e assetto finanziario dei musei, informazioni senz'altro utili per determinare la crescita complessiva dei musei aderenti al Sistema - segnatamente quelli più piccoli - in termini di servizi erogati, di patrimonio, di presenza del pubblico.

Speciale Musei di Romagna - pag. 15 [2013 - N.48]

Da Ravenna a Milano, l'intenso percorso culturale del direttore de "I maestri del colore"

Nadia Ceroni - Conservatore MAR di Ravenna

"Sarebbe pertanto augurabile che la Pinacoteca potesse vivere di vita autonoma in un ambiente adeguato e confortevole, come potrebbe essere la nobile ed elegante Loggetta Lombardesca, finemente ritmata e composta negli spazi semplici della facciata e nella modulata sequenza degli archi nel bellissimo chiostro interno, cornice stupenda di un significativo brano di storia locale".
Così auspicava Alberto Martini nella nota storica introduttiva a La Galleria dell'Accademia di Ravenna, primo catalogo a stampa della collezione antica della Pinacoteca pubblicato nel 1959 a sua cura. Compilato secondo criteri moderni, con l'intento di essere una raccolta documentata di notizie storiche e di opinioni edite e inedite sulle opere della raccolta museale, il volume presenta una selezione di dipinti elencati secondo l'ordine alfabetico degli artisti e delle scuole, a quel tempo conservati nei locali dell'Accademia di Belle Arti in via Baccarini.
Il volume venne pubblicato dalla Fondazione Giorgio Cini nella collana dedicata ai Musei e alle Gallerie provinciali - trascurati dalle mode e dai consueti itinerari turistici, eppure ricchissimi di opere di grande valore, spesso inedite e dimenticate - al quinto posto dopo le raccolte d'arte del Museo Correr di Venezia, del Civico di Padova, della Gipsoteca di Possagno e del Civico di Bassano.
Nel percorso culturale di Martini, sono presenti numerosi saggi di argomento ravennate, in particolare sulla pittura riminese del Trecento, pubblicati in prestigiose riviste quali "Paragone", "Arte veneta", "Arte antica e moderna".
A Ravenna Martini fece parte della commissione giudicatrice per la "Mostra di mosaici a soggetto dantesco" - allestita nei chiostri di San Vitale nel 1965 - e coltivò una profonda amicizia con il collezionista d'arte Roberto Pagnani che lo mise in contatto con numerosi artisti di fama internazionale tra cui Mattia Moreni, Georges Mathieu, Ben Shahn.
Nato nel 1931 in provincia di Mantova, Alberto Martini approdò a Ravenna con la famiglia, residente in via Duca d'Aosta 13. Dopo la laurea conseguita a Firenze con Roberto Longhi nel 1954, rimase in città per alcuni anni, ma nel 1958 decise di trasferirsi a Milano, dando così avvio ad un percorso lavorativo in ambito storico-artistico che lo vide prima autore di articoli per varie riviste letterarie (tra cui "L'Approdo", "The Burlington Magazine", "Il Verri") poi condirettore de "I Maestri del Colore", collana artistica innovativa fondata da Dino Fabbri che proponeva la storia dell'arte al grande pubblico non più come repertorio universale ma per affondi sui singoli autori.
Nella recente tesi di laurea di Federica Nurchis sullo storico dell'arte - che fu anche autore di documentari radiofonici e televisivi - intitolata Alberto Martini. Un rivoluzionario a fascicoli e pubblicata dall'Associazione Culturale Casa Testori nel 2013, si sottolinea in particolare l'importanza fondante della fotografia a colori che grazie ai particolari a tutta pagina costituiva uno stimolante invito alla lettura: "sfogliarne le pagine doveva essere per la gente comune come andare al museo".
Cura scientifica e informata divulgazione furono i punti di forza della collana grazie alla quale la storia dell'arte divenne un fatto di massa con grandissima diffusione anche all'estero. Tra i numerosi fascicoli curati direttamente da Martini si segnalano quelli dedicati a Mantegna, Renoir, Van Gogh, Gaugin, Delacroix, Monet, Vermeer, Picasso e in particolare gli ultimi su Giacometti e Morandi, usciti rispettivamente nel 1963 e '64.
Il suo infaticabile impegno culturale si interruppe nel 1965: in un tragico incidente stradale a Santarcangelo di Romagna, Alberto Martini perse la vita assieme a Roberto Pagnani, la cui casa-museo custodisce numerosi ricordi della loro breve ma proficua amicizia.

Personaggi - pag. 15 [2014 - N.49]

Al Museo Baracca si volerà grazie al Programma "Italia Slovenia 2007-2013"

Daniele Serafini - Direttore Museo Baracca di Lugo

Volare sui campi di battaglia della prima guerra mondiale afferenti l'area di programma superando le barriere culturali, per conoscere e valorizzare il patrimonio storico: questo il tema di ALISTO, che si attua con la sinergia tra ricerca storica e sviluppo della tecnologia software dei simulatori di volo. Il progetto ricrea il paesaggio storico con la mappatura sul modello digitale del terreno (DTM) delle foto aeree di guerra italiane e austro-ungariche e consente di vedere dall'alto sia il paesaggio degli anni 1915-18 sia quello di oggi percependone i valori storici e le trasformazioni. Tale strumento di lettura potrà essere utilizzato anche per valutare gli impatti delle grandi opere.
La percezione unitaria e condivisa dei valori storico-culturali del paesaggio consente il superamento del concetto di confine. L'esito della ricerca sarà diffuso con mostre, convegni, pubblicazioni e network che si terranno nei luoghi coinvolti nel progetto comunitario: Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia-Romagna, Slovenia.
L'obiettivo generale del progetto è migliorare la comunicazione e la cooperazione sociale e culturale anche al fine di rimuovere le barriere persistenti rappresentate dalle differenze linguistiche e dalla presenza del confine. Il tema dell'indagine del patrimonio culturale specifico della Grande Guerra, e in particolare delle fonti storiche iconografiche rappresentate dalle riprese fotografiche effettuate dagli aerei utilizzati per la battaglia e per le ricognizioni, è il dato di partenza del progetto. Gli step attraverso i quali si è sviluppata l'attività triennale sono stati i seguenti: 1) riunioni dei partner che svolgono attività di ricerca scientifica; 2) ricognizione dei siti ove sono raccolte le fonti, catalogazione e predisposizione della banca dati condivisa che sarà messa a disposizione della comunità scientifica mediante diffusione dei risultati con attività divulgativa e workshop nonché attraverso il portale internet; 3) riunioni del comitato scientifico per l'esame della banca dati condivisa, al fine di definire i criteri della ricerca orientandola con gli esiti della ricognizione; 4) definizione della metodologia condivisa di progetto per l'elaborazione delle fonti storiche mediante utilizzo delle tecnologie informatiche che consentiranno una diffusione più ampia del dato scientifico, cogliendo contemporaneamente l'obiettivo di migliorare la comunicazione verso un'utenza che non è specificatamente orientata alla fruizione culturale delle vicende storiche e del paesaggio della prima guerra mondiale.
La fruizione visiva e multimediale dei paesaggi storici della guerra posti a cavallo del confine italo-sloveno consentirà di attuare un passo importante per l'abbattimento delle barriere, costituite dalle frontiere che permangono nella coscienza collettiva di quelle popolazioni che hanno fruito del territorio in modo frazionato e spesso traumatico. La ricostruzione digitale dei territori in altro contesto storico e la loro fruizione in chiave didattica, sotto i presupposti di una rigorosa scientificità, permetterà di rimuovere le barriere culturali favorendo la percezione dei valori identitari del paesaggio su base storico-culturale.
Quanto all'obiettivo specifico di ALISTO, si tratta di salvaguardare la conoscenza e la fruizione del patrimonio culturale e accrescerne gli scambi. Tutti i dati derivanti dalla ricerca scientifica attuata presso gli archivi sono confluiti e confluiranno in mostre e i testi saranno organizzati in una banca dati condivisa pubblicata su un portale web. Sarà così salvaguardata e favorita la conoscenza della parte di patrimonio culturale oggetto della specifica ricerca: tale patrimonio infatti sarebbe altrimenti di difficile fruizione in quanto conservato presso istituti accessibili previa autorizzazione e dislocati in contesti geografici distanti.
Le foto storiche aeree e le notizie sui campi di volo della prima guerra mondiale saranno messe a disposizione di un più vasto pubblico attraverso lo strumento dei simulatori di volo, avvicinando così al tema anche le scuole e una fascia di popolazione più ampia di quella interessata al tema specifico della guerra o dell'aviazione. La comparazione con il paesaggio attuale, simulato anch'esso mediante il software, favorirà la percezione delle trasformazioni del paesaggio stesso e l'instaurarsi di una coscienza per la tutela più ampia del territorio.
Il Museo Baracca, a partire da settembre 2014, disporrà finalmente del simulatore di volo, inizialmente collocato nella sede provvisoria nella Rocca Estense, per trovare successivamente spazio nella sede rinnovata del Museo, a partire dal 4 maggio 2015. Nella primavera prossima i risultati del progetto e l'esperienza del simulatore saranno meta di attenzione e di un apposito educational tour di giornalisti, sia della stampa specializzata che di quella a più ampia diffusione, che inizieranno il loro viaggio proprio da Lugo.

Speciale Progetti europei per i musei 2014-2020 - pag. 15 [2014 - N.50]

Una mostra su alcuni fondi fotografici ha dato il via al progetto culturale curato dall'archivio Storico in sinergia con le realtà culturali locali

Patrizia Carroli - Archivio Storico Comunale di Bagnacavallo

Da quasi una decina d'anni l'Archivio Storico Comunale di Bagnacavallo svolge un'attività rivolta alle scuole del territorio al fine di promuovere una didattica delle fonti e fornire i primi strumenti per un uso consapevole della ricerca storica nella sua declinazione locale e generale. Nel corso degli stessi anni è considerevolmente aumentato il numero dei ricercatori (professionisti e non) che utilizzano i documenti a disposizione per indagini personali, di studio e a scopo scientifico. Sempre più le fonti d'archivio vengono utilizzate anche in ausilio a progetti/eventi culturali di più ampio respiro.
Nel corso di questa prolifica attività ci si è spesso imbattuti nella necessità di fare ricorso alle fonti iconografiche: per verificare ipotesi, per avvalorare tesi, per integrare informazioni laddove lo scritto non era sufficiente. Da qui è scaturita l'esigenza di interrogarsi su quale effettivamente fosse la tradizione e la portata del patrimonio fotografico presente in città e sull'opportunità di organizzare questo patrimonio rendendolo fruibile al maggior numero di persone.
A tal fine durante l'inverno scorso, si sono svolti alcuni incontri promossi dall'Archivio Storico e dall'Assessorato alla cultura con rappresentanti dei circoli fotografici locali, associazioni e singoli cittadini interessati per passione o professione alla fotografia. Il confronto tra questi diversi soggetti - detentori a vario titolo di nuclei fotografici - ha portato alla constatazione che il patrimonio fotografico bagnacavallese è "di notevole importanza" per qualità, quantità e storia.
Da questa visione d'insieme è nato il progetto Fototeca. Un progetto che si è declinato in un primissimo momento espositivo, organizzato per le festività di San Michele, nella mostra intitolata Fototec@: il patrimonio fotografico bagnacavallese nelle collezioni pubbliche e private, curata da chi scrive, allestita dallo studio Quadrilumi di Castel Bolognese e il cui catalogo, edito per i tipi di Edit Faenza, è stato realizzato grazie al prezioso contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna.
In mostra dieci fondi fotografici cittadini, prodotti tra il 1864 e il 1980, in un excursus che ha presentato oltre 150 immagini a testimonianza della storia fotografica di Bagnacavallo negli scatti a personaggi illustri e non, alla città, ai momenti di lavoro e tempo libero. La mostra, che ha riscosso un grande interesse di pubblico (più di un migliaio sono state le visite) e una buona critica, è stato l'incipit con cui si è voluto comunicare l'intenzione di avviare a Bagnacavallo un percorso sulla costituzione di un archivio fotografico: un centro istituzionale che si ponga come fulcro di raccolta, conservazione, promozione e valorizzazione della fotografia locale. Un centro a cui potersi rivolgere per fornire o evincere informazioni, conoscenza, approfondimenti e che possa procedere alla necessaria salvaguardia istituzionale di un patrimonio. Una salvaguardia che fino ad oggi è stata appannaggio soprattutto di privati, circoli fotografici, associazioni a cui va la gratitudine dell'intera comunità e che non vogliono essere sostituiti in questo intento, ma identificati come interlocutori necessari per impostare il migliore dei lavori, ora che anche l'Amministrazione si vuole proporre come referente conservativo per la fotografia, concepita sia come elemento sussidiario alla conoscenza, sia come oggetto autoreferente.
Bagnacavallo, in cui già operano per la conservazione e la valorizzazione dei preziosi fondi archivistici, bibliografici e storico-artistici gli istituti culturali di Biblioteca, Archivio storico, Museo civico e Gabinetto delle stampe, nonché l'Ecomuseo delle Erbe Palustri detentore di un patrimonio non solo tangibile nei manufatti, ma del sapere collettivo che li ha generati, crediamo possa, con la Fototeca comunale, assumere il titolo ideale di "città del patrimonio".

Speciale Fotografia e Musei - pag. 15 [2014 - N.51]

Un progetto di ICOM Italia per promuovere in rete i musei italiani davanti alla platea internazionale

Valeria Arrabito - ICOM Italia

Il primo maggio si sono aperti i battenti di "EXPO Milano 2015", un evento che sta coinvolgendo più di 140 Paesi per far conoscere le proprie eccellenze, e per il quale sono attesi oltre 20 milioni di visitatori da tutto il mondo, fino alla chiusura prevista il 31 ottobre 2015. Un vero e proprio viaggio attraverso i sapori e le tradizioni dei popoli della Terra per riflettere sul tema: Nutrire il Pianeta, Energia per la Vita.
Cibo, cultura, ambiente e non solo. "EXPO Milano 2015" rappresenta per l'Italia un'occasione di eccezionale visibilità per promuovere dinanzi a una platea internazionale il patrimonio culturale del nostro Paese, caratterizzato da uno straordinario repertorio di risorse storiche, artistiche, demo-etno-antropologiche e paesaggistiche.
Con l'obiettivo di collegare le attività dei musei italiani - diffusi in vari centri, grandi e piccoli, del nostro Paese - attraverso un sistema di comunicazione omogeneo e efficace, è nato il progetto ExpoinMuseo, che si inserisce nelle attività strategiche sviluppate durante il semestre Expo dal Comune e dalla Camera di Commercio di Milano, che hanno avviato ExpoinCittà, il programma di gestione degli eventi della Città Metropolitana. A partire da tale progetto, in accordo con Assessorato alla Cultura,  coordinamento di ExpoinCittà e Direzione della Comunicazione di "EXPO Milano 2015", ICOM Italia si è fatta promotrice del progetto ExpoinMuseo. È un modo per valorizzare i musei italiani - tranne quelli di Milano e della Città Metropolitana che fanno invece riferimento al progetto ExpoinCittà - proponendo loro un'opportunità di visibilità, attraverso una comunicazione innovativa e coordinata.
I musei di tutta Italia, possono infatti divulgare le proprie iniziative culturali su scala nazionale, offrendo ai partecipanti l'opportunità di visitare contestualmente il patrimonio artistico e culturale del sistema museale italiano. Milano e i musei d'Italia saranno così collegati attraverso l'utilizzo di canali social su cui gli Istituti museali potranno inserire le loro diverse attività durante il periodo di Expo. La promozione degli eventi connessi a ExpoinMuseo avviene attraverso l'utilizzo delle principali piattaforme social (Pinterest e Facebook).
Pinterest rappresenta il contenitore virtuale che acquisisce tutte le iniziative dei musei; le bacheche Pinterest, così come Facebook, utilizzando i loghi di ExpoinCittà e "EXPO Milano 2015", permettono ai musei italiani di collegarsi all'evento in corso a Milano.
ICOM utilizza il logo "ICOM Milano 2016" anche per promuovere la Conferenza generale, che si svolgerà a Milano nel 2016, sul tema "Musei e paesaggi culturali" e che porterà nel capoluogo lombardo circa quattromila museologi da tutto il mondo. In quell'occasione, ICOM Italia perseguirà l'obiettivo di valorizzare il patrimonio museale e paesaggistico italiano su scala nazionale, creando e favorendo le opportunità di reciproca conoscenza tra i professionisti museali che visiteranno il nostro Paese e i singoli contesti territoriali in occasione della Conferenza generale.
Il progetto ExpoinMuseo, grazie alla sua prospettiva bottom-up, si presenta come un laboratorio di idee e buone pratiche all'interno del quale sperimentare nuove modalità comunicative, in una prospettiva social che attivi dinamiche partecipative. Lo staff di ExpoinMuseo fornisce a tutti i musei aderenti uno schema per la comunicazione dei loro eventi, per consentire agli utenti dei social di trovare tutte le informazioni con modalità  immediata e uniforme.
Per questo è possibile consultare la pagina dedicata sul sito di ICOM Italia o contattare direttamente lo staff di ExpoinMuseo per richiedere il tutorial appositamente creato per aderire all'iniziativa: expoinmuseo@icom-italia.org, www.pinterest/expoinmuseo, www.facebook.com/expoinmuseo.

Speciale Musei per Expo 2015 - pag. 15 [2015 - N.53]

La Divina Commedia al MAR di ravenna fra incubi, angosce ed estasi secondo Doré, Scaramuzza e Nattini

Stefano Roffi - Curatore della mostra

Nell'anno delle celebrazioni del 750° anniversario della nascita di Dante Alighieri il Museo d'Arte della città di Ravenna partecipa alle manifestazioni in onore del Sommo Poeta con una importante mostra realizzata in collaborazione con la Fondazione Magnani Rocca di Parma.
La Divina Commedia è stata ed è un'illuminazione culturale in grado di agire profondamente sull'immaginario collettivo. Nel corso dei secoli non ha mai smesso di esercitare una profonda influenza sugli artisti, soggiogati dal fascino e dalla forza delle immagini scaturite dal poema dantesco. La sua potente iconicità ha dato vita a visioni di ogni genere, soprattutto nel corso dell'Ottocento e del Novecento. Sotto questo punto di vista, le serie illustrative di Francesco Scaramuzza e Amos Nattini possono essere considerate le più importanti realizzazioni di questo tipo in Italia, per compiutezza ed estensione del progetto. Tramite il confronto con le celebri incisioni del francese Gustave Doré, la mostra costruisce un percorso che offre al visitatore confronti insoliti, diacronici e ricchi di spunti.
La mostra "Divina Commedia. Le visioni di Doré, Scaramuzza, Nattini", proposta in allestimento integrale con circa 500 opere fino al 10 gennaio 2016, presenta quindi incubi, angosce, estasi di tre fra i più grandi illustratori danteschi in un percorso di notevole suggestione che conduce il visitatore dalle tenebre infernali alla luce paradisiaca.
Secondo la visione pittorica di Nattini la pena dell'Inferno in realtà non è eterna, può trasformarsi in avventura eroica, con possibilità di riscatto. Siamo nei primi decenni del Novecento, tra superomismo, forza, anatomismo insistito, scorci e tagli deliranti e sorprendenti, a tratti cinematografici. Una rivisitazione di Dante in toni completamente diversi da quelli ottocenteschi di Doré e di Scaramuzza che mostrano una visionarietà emozionante ma germogliata nel solco della tradizione.
Nattini (Genova 1892 - Parma 1985) a partire dal 1919 realizza una maestosa serie di cento tavole che costituiscono l'illustrazione d'una speciale edizione della Divina Commedia e vengono esposte a Parigi, Nizza e L'Aja, riscuotendo ovunque un notevole successo. Nelle prime tavole dell'Inferno, Nattini riflette sul compiuto dramma della prima guerra mondiale facendone metafora nella pena d'oltretomba che pare destinata all'umanità nella sua globalità, senza soluzione e senza rispetto per l'individualità; i corpi dei dannati sono ammassati, privi di riconoscibilità, un magma di disperati. Nel procedere della rappresentazione nattiniana - ormai nel pieno degli anni Venti e dell'euforia ideologica diffusa - i dannati acquistano identità in volti e membra novecenteschi, spesso di gran muscolarità, e resistono eroicamente alle vessazioni di demoni ingegnosi, giungendo perfino a farsi beffa della pena che viene loro inflitta (i terribili ghiacci del Cocito infernale si trasformano in una sauna per borghesi grassocci e signore ben pettinate).
Per Nattini l'illustrazione di Dante è un'impresa colossale cui dedica buona parte della propria esistenza; l'esito è un racconto epico che ha il riferimento culturale in Nietzsche e in D'Annunzio, quest'ultimo sodale dell'artista. La tecnica è altissima, virtuosistica, e i colori scelti con una cura cui certo non sono estranei gli interessi alchemici del pittore. I dannati risultano quindi esseri destinati al riscatto, quasi immuni dai pur terribili supplizi; alcuni hanno volti fisiognomicamente definiti come ritratti, a riprova di come nel Novecento la Commedia venga sempre più attualizzata, personalizzata e rivissuta. La concezione vitalistica dell'opera di Nattini viene enfatizzata nelle tavole del Purgatorio, in cui il sapiente uso delle luci e della tavolozza crea atmosfere tra il simbolismo e il fantasy, con l'esaltazione insistita di corpi mirabilmente ariani come quelli che in anni vicini la regista tedesca Leni Riefenstahl celebrava nel suo Olympia. Nel Paradiso, in un tripudio di luce dorata, si stagliano santi e beati vistosamente debitori dalla pittura rinascimentale da Signorelli a Michelangelo; un Paradiso, quello di Nattini, che, visto nella sua complessità, risulta fortemente improntato ai modi dell'Aeropittura, forse la branca più significativa del secondo Futurismo, dominante negli anni Trenta in Italia. Dante è presentato come un eroe aerospaziale lanciato verso la conoscenza ultraterrena attraverso cieli abitati da creature semi-divine, fino a essere ammesso, al culmine dell'ebbrezza siderale, alla contemplazione della Trinità.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 15 [2015 - N.54]

Intervista a Francesca De Gottardo e Valeria Gasparotti, artefici del progetto nato per dare una scossa ai musei italiani online sfruttando il potere del web

Cristina Casadei

L'hashtag #svegliamuseo: chi lo ha inventato e perchè?
L'hashtag è nato insieme al progetto, nell'estate del 2013, da un'idea di Francesca, che stava imparando ad utilizzare gli strumenti social in modo professionale e aveva iniziato a rendersi conto di quanto la realtà museale italiana necessitasse di un cambiamento, di una "svegliata", per l'appunto. Il progetto #svegliamuseo è nato, quindi, con lo scopo di accendere i riflettori sul tema della comunicazione digitale della cultura e di fornire un luogo di discussione per professionisti e appassionati.
Il nome è provocatorio per scelta, nel tentativo di attirare l'attenzione della comunità degli addetti ai lavori, ed è coerente con l'obiettivo e il tono di voce scelti per il progetto: professionale e accurato, ma allo stesso tempo distaccato dai dogmi della comunicazione tradizionalmente elevata della cultura, e più vicino allo stile diretto e chiaro della comunicazione online.

Cosa avevate in mente e cosa avete raggiunto?
Inizialmente Svegliamuseo si era posto l'obiettivo di mettere a disposizione del settore museale italiano una serie di risorse sul digitale e in particolare sull'uso dei social media, per contribuire a evidenziare delle lacune e a fornire possibili soluzioni. Per permettere ai professionisti italiani di confrontarsi con realtà straniere che già usavano questi canali, abbiamo attivato il format dell'intervista, prima in forma scritta, con il blog, e successivamente via video, con le dirette streaming sul canale #svegliamuseo on air. Grazie a questi scambi di informazioni ed esperienze, siamo riusciti a diffondere le voci dei musei più disparati, sia italiani sia stranieri.
Mano a mano sempre più musei hanno iniziato ad adottare i canali social e a trovare la propria strada nel mondo della comunicazione digitale del patrimonio culturale. Moltissime realtà italiane oggi non hanno nulla da invidiare a quelle straniere, e sebbene siano ancora tante le istituzioni che tentennano in questo campo, ci sono anche alcuni esempi notevoli in cui il digitale è pienamente integrato nella realtà museale, sia da un punto di vista teorico sia pratico. Allo stesso tempo, abbiamo continuato anche noi a crescere professionalmente e a confrontarci con diverse realtà - museali e non - durante le conferenze e le esperienze di lavoro all'estero e in Italia. Questo ci ha permesso di sviluppare "la nostra" voce di professioniste e ci ha dato la possibilità di collaborare con alcuni tra i protagonisti museali più attivi in ambito digitale in Italia.
Il nostro focus si è mano a mano spostato sul digitale in senso più ampio e su come questo possa costituire uno slancio per i musei per parlare di innovazione e di rinnovamento dei loro modelli.
L'attività di #svegliamuseo oggi è concetrata sul concetto di community, con l'obiettivo di contribuire a rafforzare le relazioni e gli scambi tra i professionisti del digitale culturale. Organizziamo gli aperitivi #DrinkingAboutMuseums, partecipiamo alle conferenze e condividiamo la nostra esperienza nelle aule universitarie e durante workshop di settore. Crediamo molto nel valore della formazione e della condivisione di best practice per continuare a migliorare il livello della comunicazione digitale dei musei italiani. Cerchiamo anche di rafforzare la rete dei professionisti del territorio milanese, dove entrambe abitiamo, con un particolare interesse per lo sviluppo di politiche condivise, scambio di informazioni e di esperienze.

Un museo che avete svegliato e vi ha reso particolarmente orgogliosi?
#svegliamuseo non ha "svegliato" un museo in particolare. Piuttosto ha attivato un pensiero condiviso già da molti, aprendo una piattaforma che ha agevolato lo scambio di informazioni e il confronto. Quello che ci ha rese orgogliose è stato vedere che è bastato così poco per indirizzare energie che, di fatto, erano già presenti nel settore.
Attualmente lavoriamo entrambe come professioniste individuali e questo ci permette di collaborare con un numero e una tipologia di istituzioni molto variegata. Vediamo casi diversi di istituzioni con esigenze profondamente diverse e cerchiamo di portare la nostra professionalità al servizio di queste, identificando le opportunità e cercando di sfruttarle al meglio. Queste istituzioni, da parte loro, ci mettono tantissimo entusiasmo, voglia di imparare, curiosità e capacità di creare contenuti davvero di livello alto. Le cose negli anni sono cambiate - per fortuna! - e non si tratta più di svegliare nessuno, ma di favorire incontri e connessioni tra persone, professionalità e contesti. Che a ben pensarci è sempre stato lo scopo del progetto, fin da tempi insospettabili.

In un mondo digitale in continua evoluzione, cosa intravedete per il futuro? Cosa state tenendo d'occhio?
Sicuramente il digitale "sociale" ha aperto la strada a una dinamica di comunicazione a due sensi, accessibile e a volte giocosa. Ma di per sé oggi vediamo che molte delle istituzioni che si approcciano a questi (non più) nuovi mezzi online dovrebbero prima chiarirsi le idee sulle strategie e le priorità che sono in azione offline. Molto spesso il digitale e la comunicazione social sono visti come la soluzione per diventare friendly e accessibili, ma a volte si sta solo mettendo un cerotto su un'offerta che di per sé non è né friendly né accessibile. Il digitale fa emergere molto velocemente questa discrepanza perché spinge l'istituzione a essere messa a confronto con la sua voce.
Paradossalmente adesso teniamo più d'occhio le discussioni sull'ambito strategico e di innovazione offline. Quali business model e approcci possono essere adottati dalla cultura per muoversi più velocemente, permettersi di rischiare e testare nuovi approcci, dimostrare che vale (non solo in termini economici ma anche e soprattutto in termini di impatto sulla società)? Come la tecnologia può essere uno mezzo e non un fine per raggiungere questi scopi?

Siamo un gruppo di 42 musei molto eterogenei che hanno in comune tra loro un territorio, consigliereste una comunicazione social di sistema?
Sicuramente consiglieremmo di sfruttare le opportunità di collaborazione e confronto a livello di contenuti e strategia, ma di non forzarle. Usare i momenti giusti per "ricordare" al pubblico che fate parte di un sistema, ma comunicarlo non in maniera istituzionale, piuttosto attraverso i contenuti. I social possono essere anche un modo per comunicare tra di voi e scambiarvi risorse e iniziative.

Cinque cose da fare assolutamente, se uno dei nostri musei volesse svegliarsi!
1) Spegni lo smartphone e il computer. Vai nelle sale, partecipa alle iniziative, comprendi i contenuti e i fruitori. Chi sono i tuoi visitatori? Perché visitano? Perché NON visitano?
2) Guarda alle community esistenti online e offline relative alla tua industria. Annota gli hashtag rilevanti, gli influencer, i temi e i trend a questa legati. Pensa a come puoi sfruttarli per agganciare i tuoi contenuti e le tue iniziative.
3) Cerca di capire quali sono le esigenze strategiche della tua istituzione e se e come i social possano agevolarle.
4) Non buttarti su tutti i canali possibili. Cerca di individuare quelli giusti. Sperimenta, fai prove, vai avanti su quello che funziona e lascia stare quello che non funziona.
5) Guarda quello che i tuoi visitatori fanno online quando sono nel museo. Che cosa fanno? Scattano foto? Cercano informazioni online? Chattano con i loro amici? Se non riesci a capirlo, chiediglielo (ad esempio con un questionario). Le tue attività online dovranno tenere conto di quello che i visitatori già fanno durante la visita e facilitare e potenziare queste attività.


Speciale Musei nell'era della mobilità digitale - pag. 15 [2016 - N.55]

A 50 anni dall'alluvione di Firenze, è sempre più determinante il ruolo del volontariato nella messa in sicurezza dei beni culturali in emergenza

Antonella Nonnis - Coordinatrice Gruppo Protezione Civile Legambiente Marche

Il volontariato di protezione civile ha saputo dimostrare, anche nel corso delle ultime gravi calamità che hanno colpito il Centro Italia il 24 agosto e il 30 ottobre 2016, di poter offrire un contributo importante in diversi aspetti della gestione di un'emergenza.
Volontari sempre più numerosi e soprattutto ben preparati sono divenuti parte integrante del sistema nazionale di protezione civile e proprio il coinvolgimento di tante energie provenienti dal mondo delle associazioni e dalla società civile rappresenta uno degli elementi maggiormente innovativi del sistema di Protezione Civile italiana. Un percorso che ha avuto origine nel secolo scorso con la passione di tanti giovani mobilitati per prestare soccorso e assistenza, integrandoli all'interno di un sistema complesso ma efficace: gli "angeli del fango" dell'alluvione di Firenze del 1966 si sono trasformati in volontari esperti e competenti pronti a intervenire con tempestività, ognuno nel proprio settore, mettendo al servizio della comunità professionalità e competenze.
Legambiente è un'associazione ambientalista nata nel 1980. Tratto distintivo è stato fin dall'inizio l'ambientalismo scientifico, ovvero la scelta di fondare ogni progetto in difesa dell'ambiente su una solida base di dati scientifici, uno strumento con cui indicare percorsi alternativi concreti e realizzabili. L'approccio scientifico unito a un costante lavoro d'informazione, sensibilizzazione e coinvolgimento dei cittadini ha garantito il profondo radicamento di Legambiente nella società.
Lo stesso spirito ha guidato l'associazione nelle attività di protezione civile attraverso l'ideazione di progetti volti a sensibilizzare e informare i cittadini sui rischi che incombono sul territorio e mirati a far crescere una nuova mentalità legata al tema della sicurezza. Dal 1997 Legambiente è intervenuta in tutte le grandi calamità che hanno colpito l'Italia, portando una solidarietà concreta e tempestiva, acquisendo tra l'altro specializzazioni uniche riconosciute in ambito italiano e mondiale, quali la Salvaguardia del Patrimonio Culturale in caso di emergenza e la pulizia delle coste in caso di spiaggiamento di petrolio.
L'esperienza del volontariato ambientale al servizio del patrimonio culturale in emergenza ha inizio nella Regione Marche durante gli eventi sismici avvenuti tra Umbria-Marche nel 1997 e in Molise nel 2002, e si è andata via via consolidandosi fino al 2007 con la firma di un Protocollo Nazione (più volte rinnovato e ancora vigente) che vede coinvolti la Direzione Regionale per i beni culturali e paesaggistici delle Marche con il Dipartimento di Protezione civile della Presidenza del Consiglio dei Ministri, il Dipartimento per le Politiche integrate di Sicurezza e per la Protezione Civile della Regione Marche, l'Associazione Legambiente Nazionale e Legambiente Marche Volontariato.
Nel 2009, con oltre mille volontari, Legambiente ha portato un soccorso tempestivo e concreto alla popolazione abruzzese colpita dal sisma e ha contribuito in modo determinate alla salvaguardia del patrimonio culturale: fin dai primi giorni dell'emergenza, le squadre specializzate di volontari sono state impegnate negli interventi di messa in sicurezza, delocalizzazione e catalogazione dei beni culturali a L'Aquila e negli altri paesi colpiti dal sisma.
In particolare le attività svolte dall'Associazione in emergenza si dividono in due fasi distinte: una di organizzazione del lavoro, l'altra di operatività. Nella prima fase, cosiddetta di avviamento, i volontari hanno collaborato con i funzionari del MiBACT e del Dipartimento della Protezione Civile per l'organizzazione della segreteria, la ricomposizione della banca dati relativa ai beni culturali nelle zone colpite dal sisma, la verifica dell'idoneità delle sedi individuate come magazzini temporanei, l'allestimento di un deposito attrezzato alla fruizione, il reperimento di materiali e mezzi per il recupero delle opere d'arte. La vera e propria fase operativa di recupero e messa in sicurezza delle opere d'arte ha avuto inizio il 13 aprile. In quasi un anno di attività si sono messe in sicurezza 4.999 opere d'arte, catalogate in 3.610 schede di rilievo del danno informatizzate dagli stessi volontari. Gli interventi di delocalizzazione hanno riguardato 3.163 opere, gli interventi di messa in sicurezza in loco sono stati 385 e gli interventi di consolidamento e messa in sicurezza di affreschi sono stati 14. Il lungo lavoro di messa in sicurezza ha visto il coinvolgimento dell'associazione in 115 edifici religiosi, in 2 musei, in 6 edifici pubblici, per un totale di 129 contenitori. Inoltre, i volontari hanno contribuito al recupero e alla messa in sicurezza di 247.532 volumi provenienti dagli archivi e dalle biblioteche de L'Aquila
Questi dati appartengo ad un passato dolorosamente recente, il nuovo Sisma Centro Italia, che ci vede ancora una volta protagonisti attivi, è ancora tutto da scrivere.

Speciale Patrimonio culturale ed emergenze - pag. 15 [2016 - N.57]

In mostra al Museo d’arte della Città interessanti sperimentazioni, fantastiche installazioni e percorsi didattici alla riscoperta dei suoni del nostro quotidiano

Nadia Ceroni - Conservatore Pinacoteca Comunale di Ravenna

La collaborazione tra Arianna Sedioli - atelierista, esperta in didattica e pedagogia musicale - e l’artista Luigi Berardi, ideatori della mostra Ravenna, paesaggi sonori di una città - attualmente in corso alla Loggetta Lombardesca di Ravenna - ha avuto inizio nel 1996. L’esposizione - che rimarrà allestita fino al 24 marzo - rientra infatti nel progetto più ampio ideato dagli stessi autori, denominato L’arte sonora per i bambini, nel quale arte, musica e pedagogia si fondono per produrre e proporre interessanti sperimentazioni, fantastiche installazioni e percorsi didattici alla riscoperta dei suoni del nostro quotidiano. La mostra - come scrive il curatore Claudio Spadoni nel catalogo - suddivisa in "sette stanze da visitare soprattutto come luoghi o stazioni di un percorso simbolico", propone una lettura sensoriale della città, attraverso un viaggio nei suoi paesaggi : da quello urbano, fatto di insediamenti industriali e memorie storico-artistiche, a quello naturale, caratterizzato da pinete e valli, campagna e mare. Ricordi di viaggio e sensazioni percettive sono stati rielaborati da Sedioli e Berardi e trasformati in installazioni d’arte interattive. Lungo il percorso espositivo situazioni ludiche, appositamente create per ascoltare e produrre suoni, si incrociano con macro strutture realizzate per essere toccate e manipolate. Arte e sonorità: un’interessante proposta per stimolare la fantasia del pubblico, un’occasione per giocare e sviluppare la percezione e la creatività di adulti e bambini. Arte e didattica: un binomio vincente a cui la Pinacoteca di Ravenna dedica da anni grande attenzione. Alla mostra è collegato anche il concorso Bidibi.... bodibi... clik: cartoline sonore da Ravenna riservato agli studenti delle scuole elementari e medie inferiori, che mette in palio dieci laboratori musicali offerti da COOP Adriatica e dal Centro Commerciale ESP. Tramite composizioni musicali, poesie, racconti sonori, invenzioni e costruzioni di strumenti musicali, i bambini e ragazzi in visita alla mostra potranno rielaborare il paesaggio sonoro di Ravenna, in totale libertà espressiva. Consegnando i loro lavori alla Segreteria del Museo, entro il 10 aprile, gli studenti potranno partecipare all’estrazione di ricchi premi che verranno attribuiti alle relative scuole di appartenenza. La premiazione avverrà il 25 maggio presso il Centro Commerciale Esp. Il catalogo della mostra, edito da Mazzotta, si avvale di un prestigioso corredo fotografico realizzato dall’artista Guido Guidi. L’iniziativa, frutto della collaborazione tra gli Assessorati alla Cultura e alla Scuola dell’Obbligo del Comune di Ravenna, il Museo d’Arte della Città e COOP Adriatica, sta riscuotendo grande successo e ampia partecipazione da parte di numerose scolaresche. Dal 17 novembre 2001 - giorno dell’inaugurazione - ad oggi, hanno già visitato la mostra più di 210 classi, con un’adesione al concorso di oltre 5500 studenti delle scuole materne, elementari e medie; 300 insegnanti, inoltre, hanno partecipato al corso di approfondimento sul paesaggio sonoro, svoltosi nelle giornate del 20-27-30 novembre 2001. Dati ancora in progress che dimostrano come un originale evento espositivo possa diventare di grande interesse se, come in questo caso, opportunamente collegato ad una straordinaria occasione educativa e formativa, capace di offrire particolari stimoli e atmosfere sia al pubblico degli abituali visitatori dei musei che al pubblico scolastico.

Esperienze di didattica museale - pag. 16 [2002 - N.13]

Una tesi sulla didattica museale in Romagna

Nadia Ceroni

La pedagogia dell’arte nei musei romagnoli è il titolo della tesi di laurea che Federica Falconi ha compilato nell’anno accademico 2000-2001 per l’Università degli Studi di Bologna, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di laurea in D.A.M.S., relatore Prof. Alessandro Serra. Dopo un excursus storico sulle prime esperienze di didattica museale in Italia, Falconi sottolinea come spetti alla recente legislazione nazionale e regionale l’aver contribuito ad affermare la funzione educativa dell’arte, privilegiando i rapporti tra la scuola e il museo e favorendo la fruizione pubblica dei musei. La dissertazione prende poi in esame la situazione attuale in Romagna, attraverso le attività svolte nei musei di Faenza, Ravenna, Cesena, Rimini, Forlì, Santarcangelo, Longiano, Riccione, Cattolica, per finire con la Repubblica di San Marino. Il panorama romagnolo risulta piuttosto interessante e disomogeneo. In generale, l’obiettivo di instaurare un proficuo e duraturo rapporto con il pubblico scolastico è condiviso dalle numerose istituzioni museali, ma le strategie adottate, anche a causa delle differenti possibilità logistiche e finanziarie, sono diverse e vanno dalle tradizionali visite guidate ai progetti didattici veri e propri, elaborati in collaborazione con gli insegnanti e basati sulla continuità educativa. Le esperienze più innovative sono quelle basate sulle attività laboratoriali, grazie alle quali i bambini possono interagire con l’arte, operando in prima persona. A questo proposito la Romagna può vantare, presso il Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, il laboratorio permanente Giocare con l’arte che dal 1978 ha costituito un punto di riferimento fondamentale per la diffusione del metodo di Bruno Munari, ormai entrato a far parte del bagaglio culturale e operativo anche di altri musei romagnoli. Un esempio fra tutti è rappresentato dalla fortunata sperimentazione didattica Ali nel museo realizzata dal Museo degli Usi e Costumi della Gente di Romagna a Santarcangelo. Interessanti attività didattiche vengono proposte anche dal Museo di Stato di San Marino, dove le suggestioni munariane si fondono con quelle più recenti di Marco Dallari. Gli stessi principi erano alla base anche del laboratorio di arti visive Nuova officina dell’immaginario del Comune di Cesena al quale, dopo due anni di attività, sono subentrate altre esperienze didattiche, fra cui laboratori di letture animate che coinvolgono letteratura, teatro d’animazione e opere d’arte. Ormai pienamente affermate, dopo oltre quindici anni di lavoro, le attività del Museo della Città di Rimini, soprattutto a carattere storico, e dei musei ravennati - Museo Nazionale e Pinacoteca Comunale - supportate da strette collaborazioni con la scuola, l’Università e l’Accademia di Belle Arti. Diversa invece l’esperienza della Fondazione Tito Balestra di Longiano, sede tra l’altro del Centro Italiano di Didattica Operativa, che porta avanti un’importante ricerca sull’operare percettivo e mentale, secondo la metodologia operativa di Pino Parini. La tesi è anche ricca di indicazioni bibliografiche e puntualizza molto bene la differenza tra attività didattica e didattica museale, riservando a quest’ultima espressione un contenuto più operativo che scientifico, poiché implica la necessità di acquisire i risultati delle ricerche di più discipline. Configurandosi quale "competenza d’intersezione" porta con sé il carattere della cooperazione e la consapevolezza dei diversi punti di vista e di metodo. Non a caso, la crescente attenzione nei confronti della didattica museale ha prodotto in anni recenti la nascita di strutture accademiche dedicate a questo settore, fra cui il Centro di Didattica Museale dell’Università Tre di Roma, istituito nel 1994.

Tesi e musei - pag. 16 [2002 - N.15]

Figura di alto profilo culturale dei primi decenni del novecento a cui si deve la creazione del Museo Internazionale della Ceramica di Faenza e dell’Istituto d’Arte per la Ceramica che porta il suo nome

Marcella Vitali - Docente Istituto d'Arte di Faenza

Risulta arduo tracciare il breve profilo di una personalità straordinaria per interessi, cultura, opere e lasciti, quale fu quella di Gaetano Ballardini (Faenza, 1° ottobre 1878 - 26 maggio 1953); è certo che la sua opera ha inciso tanto profondamente nella storia culturale di Faenza da diventare un punto di riferimento da cui non si può prescindere quando si considerano le problematiche attinenti le istituzioni culturali della città. La professione in età giovanile di archivista del Comune gli diede modo di coltivare gli studi storici ed in genere quegli interessi per la cultura umanistica che con grande versatilità costituirono di volta in volta il punto di partenza o segnarono il metodo rigoroso d’approccio alla sua attività di ricerca. Nei primi tempi fu vicino all’ambiente delle fabbriche di ceramica con il ruolo di amministratore per la F.lli Minardi e quindi agli artisti che segnarono la grande stagione del liberty faentino e a Domenico Baccarini. L’organizzazione delle prime tre mostre d’arte volute dalla Società del Risveglio, nel 1904, 1905, 1906, fornì la necessaria esperienza per il ruolo di primo piano assunto nella preparazione della Mostra Internazionale d’Arte in occasione dell’Esposizione Torricelliana del 1908, evento di assoluta rilevanza, dal cui ambito scaturirono i contatti necessari con enti, comitati, artisti e manifatture, per la fondazione del Museo Internazionale delle Ceramiche. Ciò che distingue fin dai primi passi il nuovo Istituto, di cui Ballardini è direttore onorario fin dal 1912, anno della costituzione in Ente Morale, fu l’originale fisionomia perseguita dallo studioso che affiancava l’ordinamento delle collezioni ad un programma finalizzato a delineare, più che il consueto luogo di conservazione, un centro propulsore di studi, quindi, fin dai primi mesi la formazione di una biblioteca specializzata per le discipline inerenti l’arte della ceramica e, nel 1913, la fondazione della rivista «Faenza», bollettino del Museo, cui seguirà negli anni anche la creazione di una qualificata fototeca. Negli anni seguenti l’attività del Ballardini fu segnata da un iperattivismo sorprendente: le diverse tappe del museo con la costituzione di varie sezioni e originali mostre didattiche, i rapporti con gli istituti pubblici italiani e stranieri, le relazioni internazionali, i contatti con i musei, i collezionisti e gli archeologi, l’attività quotidiana di schedatura, archiviazione, classificazione, note, appunti e soprattutto gli studi storici e ceramologici. Scorrere la sua sterminata bibliografia (430 voci!) è un po’ ripercorrere i capisaldi della scienza ceramologica, dai numerosissimi articoli su «Faenza» ai diversi studi nella "Collana di studi d’arte ceramica" e di "Note di critica ceramica", al Corpus della maiolica italiana, al fondamentale La maiolica italiana dalle origini alla fine del Cinquecento e ancora, ancora interventi, articoli, collaborazioni a enciclopedie e a riviste italiane e straniere, tutti segnati da una capacità straordinaria di sintesi e da un’invidiabile chiarezza espositiva sia per la specifica conoscenza tecnica sia per la profonda cultura umanistica. Fin dal 1916 lo studioso si adoperava anche per attivare dei corsi serali di ceramica pratica, mostrando grande perspicacia nel chiamare vicino a sé come insegnati gli artisti Domenico Rambelli e Anselmo Bucci ed il tecnico Maurizio Korack. La scuola divenne statale nel 1919, poi Regia Scuola di ceramica nel 1925, divenendo Ballardini stesso direttore, solo onorario fino al 1927. Nel 1938 la Scuola sarà riconosciuta come Regio Istituto d’Arte vedendo realizzati e potenziati importanti settori a fianco dell’attività didattica, come il Laboratorio scientifico-tecnologico, l’officina per la produzione di smalti e colori, l’officina didattica per la decorazione e l’officina di restauro. Museo e Scuola quindi strettamente correlati come centro propulsore di attività e di cultura: dal 1928 sede dei corsi interuniversitari di storia e tecnica della ceramica; dal 1938 avviato il Concorso nazionale della ceramica; per parte sua il Comune di Faenza aveva istituito fin dal 1927 il premio annuale al merito ceramico in onore di Gaetano Ballardini. La guerra poi, fu devastante: i bombardamenti del 1944 distrussero quasi completamente il museo e i luoghi dove era stato posto al riparo il suo patrimonio. Retorico affermare che una personalità come quella di Ballardini non poteva arrendersi. Gli ultimi anni, morirà nel 1953, sono tutti impegnati nella grandiosa e totale opera di ricostruzione con risultati sorprendenti per il grande credito dello studioso nel riuscire a recuperare mezzi e donazioni tali da ricostituire un assetto nuovamente esaustivo. Da questa breve rassegna credo si possa trarre una sola conclusione: la sua opera di studioso e realizzatore, oltre alla naturale considerazione, merita soprattutto un grande rispetto.

Personaggi - pag. 16 [2003 - N.16]

Nove appuntamenti per approfondire il tema della didattica museale in tutti i suoi aspetti, in vista dell’applicazione degli Standard di Qualità

Alba Trombini - Consulente di didattica museale

Per chi si occupa di servizi educativi al museo prepararsi al futuro significa cominciare da subito a riorganizzare le idee e a capire come strutturare sistematicamente le intuizioni che fino ad ora hanno preso vita e consistenza in modo più o meno spontaneo, senza il supporto di indicazioni condivise a livello accademico o istituzionale. L’abbiamo scritto e detto più volte e in diverse occasioni: la didattica è stata fin qui un campo di sperimentazione nel quale tutti i musei si sono misurati usando di volta in volta il buon senso e l’entusiasmo, adottando metodi sperimentati da altri o inventandoli sul campo sostenuti unicamente dalla concretezza dell’esperienza quotidiana. Con la definizione e l’applicazione di standard al campo della didattica museale oggi si ha la possibilità di fare, per la prima volta tutti assieme, un salto di qualità anche in questa specifica area di azione. In che modo? La creatività individuale - che rimarrà sempre e comunque la base di ogni attività didattica originale e stimolante - potrà essere meglio espressa e ampliata grazie all’adozione di passaggi organizzativi e momenti strutturati che consentiranno di esplorare tutte le potenzialità educative delle nostre realtà museali. Il lavoro delle commissioni per la definizione degli Standard è oramai ultimato, il passo successivo sarà costituito dall’applicazione dei parametri individuati da parte di tutti i musei del territorio regionale interessati a ottenere questa certificazione di qualità. In funzione di questo cambiamento ormai prossimo, la Provincia di Ravenna – in collaborazione con l’Istituto per i Beni Culturali di Bologna - ha pensato di prepararsi al futuro organizzando un percorso formativo sperimentale per operatori e responsabili dei servizi educativi nel quale sarà possibile approfondire tutti gli aspetti relativi alla didattica museale, anche quelli meno noti e praticati. Il tema della differenziazione delle proposte educative sarà il punto nodale dell’intero percorso formativo, attorno al quale ruoteranno tutti gli altri elementi: verranno prese in esame le strategie di comunicazione più innovative e studiate le esigenze e le modalità di apprendimento delle diverse fasce di utenza. Saranno analizzati sia gli aspetti normativi collegati allo svolgimento della pratica educativa sia gli elementi fondamentali, fino ad ora poco considerati, di psicologia della percezione, comunicazione e fruizione. Altri temi d’indagine: l’educazione permanente degli adulti, le esigenze dell’utenza disagiata, le dinamiche di relazione all’interno del museo, la differenza fra approccio emotivo e cognitivo-razionale nella fruizione, il concetto di missione educativa e la necessità di una pianificazione organizzata degli interventi, i criteri di valutazione e autovalutazione. Infine il rapporto con la scuola, consolidato da anni di buona pratica, verrà rivisto alla luce della nuova normativa scolastica. I nove appuntamenti si svolgeranno a partire dal mese di settembre con cadenza quindicinale presso la sede del Settore Beni e Attività Culturali della Provincia di Ravenna. Destinatari del corso saranno gli operatori che svolgono attività presso i Musei della regione Emilia Romagna, con precedenza agli appartenenti al Sistema Museale Provinciale di Ravenna. Ogni incontro tematico verrà suddiviso in due parti: la prima dedicata agli aspetti teorici dell’argomento in oggetto e la seconda all’analisi di casi concreti in cui tali aspetti metodologici sono stati applicati nella pratica museale. I docenti e i relatori verranno scelti, d’intesa con l’Istituto per i Beni Culturali, in modo da analizzare ogni aspetto della materia illustrando anche punti di vista differenti: si ascolterà il parere di museologi ed esperti di comunicazione, e si metterà a confronto l’esperienza di direttori e responsabili di sezioni didattiche con quella di pedagogisti e insegnanti. Con l’Istituto si sta inoltre valutando la possibilità di creare per l’occasione un manuale di istruzioni per l’applicazione dei nuovi standard, una guida che potrà essere uno strumento utile per tutti i musei della regione che vorranno aderire al programma di certificazione di qualità.

Esperienze di didattica museale - pag. 16 [2002 - N.14]

Approvato dalla Regione Emilia Romagna il progetto di conservazione, catalogazione, restauro e promozione della collezione di burattini, marionette, scenografie e manoscritti del XIX secolo, di proprietà della Famiglia Monticelli

Roberta Colombo - Teatro del Drago

Il 31 ottobre 2001 alle ore 18, presso la Chiesa di San Domenico (via Cavour) a Ravenna, si è inaugurata ufficialmente l'esposizione dei materiali antichi della Collezione Monticelli. Si contano una cinquantina di marionette, un centinaio di burattini, circa duecento scenografie, oltre cento copioni manoscritti e numerosi materiali cartacei di tournée (locandine, lettere, bandi, permessi), nonché materiale sparso (teste di legno, mani di burattini, costumi per burattini e marionette). La collezione ha la particolarità di essere composta da "pezzi vivi", non assemblati dalle mani di un valente collezionista, ma creati e mantenuti per essere protagonisti degli spettacoli che la Famiglia Monticelli ha prodotto a partire dalla prima metà del XIX secolo fino ad oggi. La mostra rientra in un più vasto progetto regionale che prevede, in tappe successive (la conclusione dei lavori è prevista per dicembre 2003), una serie di interventi di carattere interdisciplinare basati sia su tecniche tradizionali che sulle nuove tecnologie: ordinamento, inventariazione e precatalogazione; restauro scientifico e conservazione; digitalizzazione; creazione di un CD ROM e di un sito Internet; stampa grafica di vari strumenti informativi; circuitazione dell'esposizione nella Provincia di Ravenna, sul territorio nazionale ed europeo. Tale progetto è stato finanziato in base alla Legge Regionale 13/1999 Norme in materia di spettacolo (art. 4, comma 2), come patrimonio storico culturale di spettacolo, ed è stato realizzato dalla compagnia di teatro di figura Teatro del Drago (diretta erede della Famiglia Monticelli), in collaborazione con l'Assessorato ai Beni e alle Attività Culturali della Provincia di Ravenna e all'Assessorato alla Cultura del Comune di Ravenna. In questi mesi si è avviata anche una collaborazione con l'Istituto per i Beni Culturali della Regione Emilia Romagna, soprattutto per quanto riguarda la sezione di ordinamento, conservazione e restauro, mentre per il tour europeo, il riferimento è il programma comunitario Cultura 2000, che prevede un intervento diretto sul mondo dello spettacolo nell'anno 2003. Negli ultimi venti anni, il Teatro del Drago, ha cercato di promuovere e di conservare al meglio le centinaia di materiali che la Famiglia Monticelli si è tramandata di generazione in generazione. A partire dal 1979 è iniziato così un percorso espositivo mirato alla promozione nel settore internazionale e alla volontà di valorizzare la collezione in ambito locale. L'unica strada possibile e percorribile è stata quella di "costanti" ed itineranti mostre; fra quelle realizzate a Ravenna da menzionare nel 1986 Ravenna e la sua tradizione, in cui, a Palazzo Corradini, furono esposte le Collezioni storiche Mazzavillani e Monticelli; seguirono l'esposizione del 1987 presso la Casa Matha, quella del 1995 presso l'Albergo Cappello e quella del 1999 presso Santa Maria delle Croci. In questo contesto importante fu l'esperienza del 1996 con l'apertura provvisoria (un anno) del Museo della Collezione Monticelli presso il Teatro Mariani. Se a queste tappe storiche si unisce l'interesse delle istituzioni forse questo è il momento (almeno questo è il desiderio, nonché il motore propulsivo che ha dato il via al progetto regionale) di pensare ad una sede museale definitiva che possa ospitare la Collezione che, fatta eccezione per i momenti espositivi, giace "al buio" nelle casse e nei bauli. A questo proposito è in atto un accordo con l'Assessorato alla Cultura del Comune di Ravenna, volto alla ricerca di un luogo idoneo che possa ospitare la Collezione Monticelli e, pur nella consapevolezza delle difficoltà che si incontreranno sul percorso, ci si auspica che i tempi siano quelli propizi e maggiormente indicati per tale obiettivo. Tutto il lavoro svolto fino ad oggi perderebbe di importanza e sarebbe in qualche modo vano e inconsistente, se non ci fosse la speranza "concreta" di creare un vero e proprio museo.

Collezioni private - pag. 16 [2001 - N.12]

Sta per essere completato il progetto del Museo Civico di Scienze Naturali di Faenza che permetterà agli addetti ai lavori e ai cittadini di fruire di informazioni dirette sui dati meteorologici del nostro territorio

Antonio Dal Borgo e Gian Paolo Costa

E' ormai idea condivisa e diffusa tra l'utenza, alle soglie del Terzo Millennio, che un Museo territoriale ha ragion d'essere in quanto acquisisce conoscenze, in primo luogo intorno al territorio di pertinenza, le conserva e le rende disponibili. Nell'accezione classica tali conoscenze sono "materializzate" da reperti, abiologici e biologici, corredati da informazioni dettagliate circa luogo di provenienza, data di raccolta, legami con l'ambiente di raccolta, studi specifici eseguiti. Dal 1992 l'Osservatorio Meteorologico "Evangelista Torricelli" è una sezione del Museo Civico di Scienze Naturali, che sovrintende al suo funzionamento; la "capannina" meteorologica dell'Osservatorio si trova nel Giardino Botanico al centro del quale sorge l'edificio museale. Dall'anno 1997 l'Osservatorio è dotato di una moderna strumentazione per l'acquisizione dei dati: sonde automatiche rilevano con elevata precisione i dati meteorologici e li trasmettono ad un computer per la successiva archiviazione. In futuro alcune vetrine museali saranno dedicate all'illustrazione del clima locale e custodiranno gli apparecchi "storici" dell'Osservatorio, inaugurato il 10 maggio 1942. Ma come "esporre" anche al pubblico più vasto i dati rilevati, in genere a disposizione solo degli esperti che chiedono di utilizzarli, ad esempio per studi climatici o per esigenze progettuali? Verso la fine del 1999 è stato avviato il progetto METEOMUSEO, inserito dall'Amministrazione Provinciale di Ravenna nel Piano Museale 2000 e finanziato ai sensi della L.R. 18/2000: un progetto con l'obiettivo di rendere disponibili i dati meteorologici faentini sia al cittadino che all'esperto, in modo facile e diretto. Questo obiettivo è stato realizzato utilizzando due diversi "canali" di comunicazione: la trasmissione via radio e l'attivazione di un sito Internet. Dall'inizio del 2000, in collaborazione con la locale sezione radioamatori ARI è stata attivata la trasmissione dei dati in tempo reale che oggi, con adeguate apparecchiature, possono essere ricevuti in un raggio di oltre 30 km. Per i radioamatori è particolarmente importante conoscere la velocità e la direzione del vento per meglio proteggere le antenne utilizzate nelle loro comunicazioni. È inoltre in via di avanzato sviluppo un sistema di ricezione e visualizzazione dei dati trasmessi via radio, che sarà installato nella primavera del 2001 entro una delle la storiche nicchie "meteorologiche" esistenti sotto il Voltone della Molinella in Piazza del Popolo, ed appositamente volute nell'anno 1905 dall'allora Sindaco Gallo Marcucci. Il sistema sarà dotato di un visore a cristalli liquidi in grado di presentare i dati ricevuti in forma numerica e grafica. In questo modo i cittadini di Faenza potranno consultare in diretta i dati meteorologici passeggiando sotto il loggiato della piazza. Il visore sostituisce gli apparecchi meccanici che si sono succeduti in loco per poco meno di un secolo! Nel mese di luglio dell'anno 2000 è stato attivato il sito racine.ra.it/meteofa, che rende consultabili, in forma grafica, dati meteorologici rilevati a partire dal febbraio 2000: temperatura, umidità, pressione, velocità e direzione del vento e precipitazioni. Purtroppo, al momento, i dati in oggetto sono aggiornati manualmente, nei giorni successivi al loro rilevamento, per mancanza di un collegamento diretto con il sito della Provincia di Ravenna.

Nuovi progetti - pag. 16 [2001 - N.10]

Con le nuove tecnologie informatiche è possibile assicurare ottimi livelli di controllo e di gestione in rete sia sul versante della sicurezza che per la salvaguardia e la tutela delle opere d'arte esposte

Renzo Valmori - Arte e Restauro

Gli ambienti preposti al contenimento ed alla esposizione delle opere d'arte, non sempre garantiscono requisiti ottimali di idoneità ambientale, talvolta sono la causa di conseguenti situazioni considerate a rischio o ad alto rischio per le opere ivi contenute. La climatizzazione negli ambienti museali, supportata da un buon impianto di condizionamento, atto a garantire idonei livelli di conservazione, "controllo di umidità relativa e temperatura con mantenimento dei valori pressoché stabili e costanti", gestito con metodi tradizionali talvolta non è sufficiente ad assicurare requisiti di oggettività e l'errore umano difficilmente quantificabile e/o controllabile, spesso gioca un ruolo importante nel controllo degli impianti. Con appropriati mezzi, oggi è possibile assicurare ottimi livelli di controllo e gestione, sia nel caso di nuove installazioni degli impianti climatici di tipo "elettronico", sia nel caso di trasformazione degli impianti già in opera con metodi tradizionali "analogici". Ciò è possibile avvalendosi di specifici programmi informatici, gestiti da una rete interna LAN, Local Area Network; dove, stazioni operative di controllo "Workstation", collegate mediante modem ad una linea dedicata trasparente esterna, "rete telecom commutata, telecontrollo o collegamento VAN (Wide area Network)", possono adempiere le seguenti caratteristiche: controllo, gestione ed autoripristino dei parametri di sicurezza per le funzioni d'esercizio di una pluralità di sistemi che spaziano dalla climatizzazione, fino ad arrivare alla gestione degli impianti di illuminazione, dei sistemi di sicurezza "anti intrusione", della chiusura ed apertura degli accessi ad orari programmabili e prestabiliti. Tale servizio gestionale, affidato a personale specializzato, ha la pretesa di garantire tre fondamentali caratteristiche: 1 - migliorare fruibilità applicativa degli apparati tecnici, elementi che, di fatto, sono essenziali per una buona conservazione delle opere d'arte; 2 - ridurre sensibilmente l'onere della gestione interno ad una struttura in termini applicativi d'intervento e migliorarne il rapporto; 3 - ridurre l'impatto economico "costi di gestione" che, di fatto, possono talvolta inibire, potenzialità e rinnovamento di una struttura, riducendo nel frattempo la capacità di evolversi e rendersi maggiormente fruibile e funzionale in ciò che la stessa rappresenta. Quanto sopraesposto, troppo spesso considerato ruolo di non fondamentale o primaria importanza nel rapporto opera d'arte, museo, conservazione, diventa oggi sicuramente coadiuvante e talvolta essenziale, per una maggior elevazione del prodotto e delle caratteristiche qualitative di tali strutture. È altrettanto chiaro che la gestione in modo scientifico di uno o più parametri di controllo di una struttura museale, come può essere la climatizzazione, diviene sempre più il compito di personale specializzato, il quale interviene con proprie competenze tecniche, avvalendosi di attrezzature dedicate e studiate per uno specifico, particolare ed appropriato, tipo d'intervento ed utilizzo. Tali interventi, rientrano nella fattispecie dei servizi forniti da aziende specializzate nel settore, dove le stesse riescono a garantire livelli di qualità elevata, a costi relativamente contenuti.

La pagina del conservatore - pag. 16 [2000 - N.9]

Un excursus fra le leggi che tutelano i beni culturali del nostro paese dalla costituzione del regno d'Italia ad oggi

Michele Giambarba - Studio Legale Giambarba di Ravenna

Vogliamo esaminare, sia pur brevemente, l'evoluzione che ha avuto la normativa sui beni culturali per mettere in evidenza i diversi principi che nel tempo hanno ispirato il legislatore. Nell'Italia preunitaria quasi tutti gli stati avevano emanato norme più o meno organiche sulla tutela delle antichità, delle opere d'arte e dei beni archeologici. In tale materia lo Stato della Chiesa può vantare la più antica tradizione di norme volte ad impedire la distruzione e la dispersione dei capolavori e delle testimonianze che si raccoglievano a Roma più che in ogni altro luogo, tanto che fin dal XVII secolo erano stati emanati vari editti che prevedevano controlli di polizia sulla conservazione e sul commercio di opere antichità ed opere d'arte. Nell'ampia normativa dello Stato Pontificio si segnala in particolare l'editto del Cardinale Pacca del 7-4-1820, sotto il pontificato di Pio VII, che viene generalmente riconosciuto come il primo ed organico provvedimento legislativo di protezione dei beni artistici e storici che ispirò provvedimenti analoghi nel regno di Napoli, in Toscana, nel Lombardo Veneto. In Piemonte, diversamente, mancano interventi legislativi importanti al di fuori della costituzione della Giunta di Antichità e Belle arti nel 1832 che aveva lo scopo di proporre provvedimenti per la conservazione degli oggetti di antichità e d'arte. Ovunque vi è quindi la presa di coscienza della esistenza di un patrimonio artistico e storico ma, ad eccezione dello Stato della Chiesa e del Regno di Napoli, che possedevano una normativa che disciplinava anche la conservazione, il restauro, gli scavi, nella legislazione preunitaria manca del tutto il concetto di ricchezza culturale della comunità e lo scopo dei provvedimenti esistenti è prevalentemente quello di evitare la fuoriuscita delle cose d'antichità e d'arte dai confini di ciascuno Stato. La neonata Italia si disinteressò quasi del tutto di beni culturali. L'ideologia dominante vedeva con sfavore ogni ingerenza pubblica in materia in quanto essa si sarebbe necessariamente tradotta nella imposizione di limitazioni alle iniziative individuali e private che collidevano con la concezione dominante della proprietà privata (l'art. 29 dello Statuto Albertino recitava: "tutte le proprietà, senza lacuna eccezione, sono inviolabili"). La sola eccezione è data dalla legge 2359/1865, che prevede la possibilità di espropriazione dei monumenti in rovina per incuria dei proprietari, poiché per il resto, con provvedimento del giugno del 1871, ci si limitò a mantenere in vigore la legislazione già esistente nei singoli Stati preunitari. La prima codifica del principio dell'interesse pubblico, dell'obbligo di conservazione e dei poteri strumentali della pubblica amministrazione relativamente a beni di interesse artistico, storico, archeologico si ebbe con la legge 185/1902 (Nasi) e 364/1909 (Rosaldi). Con dette leggi, sebbene ancora lacunose ed incomplete, venne affermata per la prima volta la natura pubblica dei beni artistici e la necessità di tutela da parte dello Stato. E' solo nel 1939, con le leggi 1089 e 1497, che si registra il primo ed importante tentativo di dare struttura normativa organica e sistematica alla normativa sul patrimonio culturale e paesaggistico italiano e si istituisce un unico Consiglio dell'educazione, della scienza e delle arti ed il riordino delle sovraintendenze. Con tali norme, ed altre connesse, ci si prefiggeva, oltre alla tutela, la valorizzazione dei beni e delle attività culturali, segnatamente sotto forma di sovvenzioni e credito agevolato. In tali norme i beni culturali vengono tuttavia considerati sostanzialmente come mero complesso di "cose" in quanto prevalgono disposizioni volte alla conservazione, alla tutela e alla imposizione di limiti alla circolazione rispetto alle disposizioni volte alla garanzia di fruizione e alla valorizzazione di detti beni. La concezione del bene culturale che traspare è quindi sostanzialmente elitaria, celebrativa e non priva di elementi retorici. Con la Costituzione Repubblicana l'azione dello Stato volta alla tutela e alla promozione della cultura assurge a principio fondamentale della Repubblica. L'art. 9 della Costituzione invero, non si limita a contemplare la "tutela" dei beni culturali, ma sancisce la "funzione culturale" dello Stato e la tutela degli "interessi" inerenti ai beni culturali. Ciò avrebbe imposto una revisione profonda dell'impianto normativo del 1939, ma nonostante la vivacità del dibattito parlamentare e i tentativi delle commissioni parlamentari appositamente istituite, il parlamento rimase di fatto inerte. Tali lavori infatti non giunsero alla promulgazione di norme che superassero la preoccupazione del legislatore di provvedere alla conservazione dei beni di interesse storico artistico e archeologico e di controllarne gli atti dispositivi e non vennero quindi raccolte se non per l'introduzione del Ministero dei Beni Culturali e Ambientali e per mere innovazioni terminologiche. Invero, l'espressione "bene culturale" è entrata nel nostro ordinamento solo in tempi relativamente recenti a seguito della ratifica delle convenzioni internazionali del secondo dopoguerra (la prima apparizione dell'espressione si ha infatti nella convenzione dell'Aja del 1954). Restano tuttavia le conclusioni cui pervennero le predette commissioni (in particolare la Commissione Franceschini istituita nel 1964) che diedero un contributo nella definizione della nozione di bene culturale quale bene immateriale di afferenza pubblica in quanto destinato alla fruizione collettiva - indipendentemente dalla proprietà pubblica o privata - quale testimonianza materiale avente valore di civiltà. Nella legislazione più recente è però ravvisabile il passaggio da una normativa sostanzialmente vincolistica (quale quella del 1939) alla configurazione di un ruolo dinamico della politica dei beni culturali che si pone lo scopo di assicurare la più ampia fruibilità del valore culturale di cui è testimonianza. Il legislatore interviene così accollando allo Stato le spese di restauro qualora il proprietario del bene non sia in condizione di sostenerle (l. 1552/1961), viene introdotto il termine "valorizzazione" (utilizzato per la prima volta nel d.p.r. 805 del 1970) mentre in precedenza si faceva riferimento solo alla "tutela", vengono previste agevolazioni fiscali (l. 512/1982) ed erogazioni liberali in danaro per la promozione di manifestazioni culturali, vengono previsti interventi per migliorare le condizioni di sicurezza dei musei e degli istituti culturali, si regola il regolare accesso ai musei e si tenta di porre rimedio alle disfunzioni organizzative, si consente ai privati la diretta partecipazione alla gestione di servizi collaterali a pagamento in musei, gallerie, biblioteche (l. 4/1993). Da più parti, inoltre, si è messo in evidenza che i beni culturali, fermo restando la prioritaria funzione sociale, possono svolgere un ruolo significativo anche sotto il profilo economico considerandoli non solo quale "costo" per la collettività, ma anche con funzione di stimolo agli investimenti pubblici e privati, fonte di occupazione e sviluppo. Recentissimamente il legislatore è intervenuto con un nuovo importante provvedimento introducendo il Testo Unico in materia di beni culturali e ambientali (decreto legislativo 29-10-1999 n. 240). Tra le novità introdotte vi è l'inserimento, nei procedimenti di costituzione del vincolo, dei meccanismi di garanzia e delle procedure previsti dalla l. 241/90; viene inoltre riconosciuto un più ampio ruolo gestionale alle autonomie locali e viene ampliato l'ambito della tutela essendo comprese nella previsione le fotografie, gli spartiti musicali, le opere cinematografiche e audiovisive e altri bene che seppur non elencati costituiscano "testimonianza avente valore di civiltà". Il sistema previsto da un lato continua a basarsi sui contenuti della l. 1089 del 1939, che risulta sostanzialmente confermata, ma costituisce probabilmente la più consistente operazione di semplificazione e razionalizzazione di tutta la normativa esistente in materia di beni culturali.

L'opinione del legale - pag. 16 [2000 - N.8]

L'impegno di Federculture nel campo della didattica museale nelle varie realtà regionali: da Reggio Emilia a Modena, da Napoli a Pompei e a Milano

Stefania Debbia - Federculture

Federculture è la Federazione di categoria che associa gli Enti e i soggetti gestori dei servizi locali in materia di cultura, turismo, sport e tempo libero. La Federazione aderisce alla CISPEL, l'espressione più qualificata dell'imprenditorialità pubblica locale. Uno degli obiettivi alla base della sua costituzione è stato la creazione di un sistema-rete, in grado di raccogliere le realtà che gestiscono i servizi legati al settore, operare come snodo informativo, operativo e strategico in un'ottica di interazione sinergica fra i diversi soggetti del sistema. Siamo dunque in grado di apportare, da un'osservatorio privilegiato come il nostro, contributi ed esperienze qualificate e mettere a disposizione di tutti i soggetti i nostri strumenti e le nostre conoscenze. Questo breve intervento ha lo scopo di favorire uno scambio di esperienze circa la didattica, per quanto possa essere possibile in modo breve e sintetico, e di offrire spunti di lavoro all'interno dei luoghi deputati alla trasmissione e alla conservazione della nostra cultura. A nostro avviso è importante premettere, ai fini della didattica moderna, come l'attività iniziata a Reggio Emilia dal Prof. Loris Malaguti stia alla base di molte esperienze didattiche in Italia e all'estero. La società Reggio Children, partecipata dal Comune, sta portando avanti l'eredità di questo lavoro, cominciato negli anni '60, che si fonda sull'immagine di un bambino dotato di enormi potenzialità e soggetto di diritti, del quale si vuole promuovere la formazione attraverso lo sviluppo di tutti i linguaggi: espressivi, comunicativi, simbolici, cognitivi, etici, metaforici, logici, immaginativi e relazionali. Un'impostazione questa che vede al proprio centro un'idea di bambino competente alla conoscenza e ricercatore di significati, una cultura dell'infanzia capace di valorizzarne le potenzialità e la creatività. L'esperienza reggiana è stata al centro delle attenzioni di molte realtà in Europa e negli Stati Uniti e ha creato un'importantissima rete di relazioni di cui è esempio il raccordo con Stoccolma, nell'esperienza del museo Junibacken, che ha saputo adattare questo profilo didattico ad un impianto, come quello scandinavo, profondamente diverso dal nostro, in una sintesi dove la didattica si fonde impercettibilmente con il gioco fantastico, con la magia, le favole nordiche e le nuove tecnologie di comunicazione. Non solo, come accennato in precedenza, la lezione è stata recepita da altre culture, ma lo stesso Comune di Napoli si è unito in un "gemellaggio" al Comune di Reggio Emilia per condividere e valorizzare ciascuno le proprie esperienze e competenze. Risale infatti al'98 il protocollo d'intesa fra le due città per investire, quanto più possibile, sulle nuove generazioni e dare un ruolo strategico ai fattori educativi. A Napoli nasce il progetto La scuola addotta un monumento, che riunisce tre diverse istanze: quella didattica (la conoscenza), quella formativa (la nuova cultura del rispetto e della salvaguardia), quella sociale (la responsabilità della cura). Il progetto, di forte impatto, viene presentato a livello europeo, assunto come progetto pilota e sperimentato sul territorio nazionale: dal '97 in Lombardia l'iniziativa Un monumento da adottare fonda i suoi contenuti sulla partecipazione attiva dei musei di Enti locali e di interesse locale, che diventano i referenti nel proprio ambito territoriale, musei sostenuti e affiancati da associazioni e fondazioni culturali, divenuti interlocutori diretti delle istituzioni scolastiche che aderiscono all'iniziativa. Azione che è sicuramente facilitata laddove sia già costituito un Sistema Museale. Per rimanere nella "fertile" area campana, merita interesse un'altra iniziativa promossa dalla Sovrintendenza di Pompei, condotta con la collaborazione di una cooperativa teatrale attraverso un programma di drammatizzazione rivolto esclusivamente agli studenti: un gruppo di attori, in costume romano, conducendo i giovani in alcune zone degli scavi, dove sono ambientate performance teatrali. Le 10.000 presenze di studenti in poco più di sessanta giorni di rappresentazioni, la domanda crescente di offerte differenziate, la possibilità di stipulare "accordi specifici" dai quali ricavare benefici economici per l'amministrazione e, non ultima, l'opportunità di offrire lavoro a giovani volenterosi e qualificati, inducono a pensare che la strada da percorrere sia quella dell'apertura ai privati anche nel settore della didattica. Anche musei di piccole dimensioni, legati a tradizioni e caratteristiche locali, come del resto la maggior parte dei musei civici del nostro territorio, possono essere carichi di spunti: il Museo della Bilancia di Campogalliano, all'interno del Sistema Museale della Provincia di Modena, raccoglie 9.000 reperti che documentano la storia della pesatura e si inserisce direttamente nella realtà produttiva del territorio. La crescente presenza del pubblico premia le scelte dell'istituzione di potenziare l'attività didattica: il Museo si struttura in diverse sezioni e il suo percorso, attraverso l'Area Didattica, è un invito alla scoperta sia nella galleria dei mestieri e delle professioni che nel labirinto dei fenomeni dove si trasforma in vero e proprio itinerario interattivo. Sono infatti possibili sperimentazioni a video e dal vivo sul funzionamento dei vari tipi di bilance e, prima di lasciare il labirinto, ogni visitatore può verificare il proprio peso e confrontarlo con quello che avrebbe nelle condizioni di gravità esistenti sulla Luna o su Giove. La dimensione didattica è comunque presente in tutto lo spazio espositivo con originali punti di sviluppo nel laboratorio attrezzato per esperienze ludico-scientifiche e presto nell'installazione esterna Un arcobaleno di leve, un'enorme bascula funzionante. Attraverso il museo si coinvolge anche l'intero tessuto connettivo urbano e la tradizionale attività che contraddistingue questo territorio. Una delle recenti iniziative ai fini di qualificare l'esperienza didattica è una pubblicazione da poco presentata a Milano, Alla scoperta di Brera, frutto dei lavori dei servizi educativi della Sovrintendenza B.A.S. di Milano e di un gruppo di esperti il cui obiettivo è stato quello di mettere a punto, attraverso il lavoro comune, dei materiali "testati", che potessero essere utilizzati da qualsiasi docente per accostare la propria classe ad un museo e agli oggetti che vi sono contenuti, sfruttando il più possibile la valenza interdisciplinare del bene culturale. Il museo inteso come "oggetto" complesso, che impone una scoperta graduale e sempre diversa e che viene utilizzato come ambiente formativo a tutto campo, luogo dove acquisire nozioni e comportamenti in modo coinvolgente, mai banale e passivo, ma dove vivere emozioni. Le esperienze brevemente descritte fanno emergere come siano grandi gli forzi verso il miglioramento dell'offerta complessiva, ma, a nostro avviso, maggior attenzione dovrebbe essere prestata alla gestione, alla qualificazione e alla formazione delle risorse umane: in quest'ottica Federculture, insieme a CGIL,CISL e UIL ha definito il Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro per il comparto cultura, turismo, sport e tempo libero. La politica di gestione dei musei si sta infatti soffermando sull'individuazione e applicazione degli standard museali minimi e degli standard di qualità, azione all'interno della quale si definiscono le figure professionali relative ai musei e ai sistemi museali. Una figura come quella dell'addetto alla didattica e alla divulgazione scientifica, formata e orientata a questo tipologia di attività, se ben orientata, può diventare un punto di riferimento importante per la sviluppo del museo stesso ma può anche essere condivisa e spesa all'interno di un intero sistema, in un'ottica di razionalizzazione delle risorse, di orientamento alla qualità e miglioramento del servizio

Esperienze di didattica museale - pag. 16 [2000 - N.7]

Salone dei beni culturali - Venezia, Giardini di Castello - Pad. Italia 5/8 dicembre 1997 Appuntamento fieristico per operatori e professionisti dei beni culturali. BBCC EXPO nasce come occasione di promozione e aggiornamento professionale per operatori e professionisti dei beni culturali. Il Salone accoglierà le istituzioni culturali italiane e gli operatori economici ad esse afferenti e ospiterà le realtà europee più dinamiche ed interessate ad intraprendere e consolidare i rapporti di collaborazione con l'Italia dei beni culturali. Accanto alla promozione di progetti, di prodotti e di servizi, nell'ambito del Salone si svolgeranno : 3 convegni : -Le politiche regionali per i beni culturali - La conservazione del patrimonio architettonico monumentale : le amministrazioni pubbliche, le soprintendenze, i privati e il ruolo dell'Università -Handicap, beni culturali e didattica 8 seminari di aggiornamento tecnico : -Lo stato della fotografia in Italia e in Europa -Il museo nella prospettiva della multimedialità -Gestione dei beni culturali ecclesiastici : esperienze a confronto -Utilizzo dei finanziamenti europei in favore dei beni culturali -Educazione al volontariato : ruolo della scuola -Nuove prospettive occupazionali nel settore dei beni culturali - 9° seminario Angela Vinay - l'automazione delle biblioteche - multimedialità - I beni culturali : opportunità e percorsi di comunicazione. Segreteria organizzativa : Palazzo Pesaro Papafava Tel. 041.5235735 bbccExpo.@veneziafiere.it

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 16 [1997 - N.0]

Una mostra incentrata sui cacciatori alati notturni che popolano l'Appennino faentino e la Vena del Gesso

Gian Paolo Costa - Responsabile del Museo Civico di Scienze Naturali di Faenza

Sbandierare "il successo" di una mostra naturalistica che ha totalizzato poco più di 1050 firme sul registro-visitatori può apparire un azzardato, discutibile menar vanto. Tuttavia è un dato di fatto che non può essere attribuito il medesimo "peso" a firme a florilegio di una mostra allestita (ad es.) presso il Museo Civico di Scienze Naturali di Faenza ed a quelle raccolte in occasione di un evento espositivo proposto, nello specifico, in un piccolissimo - ed assai "periferico" - agglomerato di case qual è Zattaglia di Brisighella. Dal 30 marzo al 2 maggio scorsi, presso il Centro sociale "M. Guaducci" di Zattaglia di Brisighella, nell'edificio già sede della soppressa locale Scuola Elementare, è stata visitabile la mostra Occhi nella notte: il Gufo Reale ed altri rapaci notturni a Zattaglia, mostra incentrata sui cacciatori alati notturni che popolano l'Appennino faentino e la Vena del Gesso romagnola in particolare. Non si è trattato, in realtà, di una mostra naturalistica in senso stretto: a fianco di esemplari ottimamente tassidermizzati e di particolare valore documentario (un esempio per tutti: lo splendido esemplare di Gufo Reale rinvenuto morto, a seguito dell'ingestione di un piccione affetto da tricomoniasi, sulla falesia gessosa il 4 agosto 1998), a fianco di questi gioielli della Natura erano esposti "immagini" che degli stessi ha l'uomo (ceramiche artistiche, dipinti e disegni, gadgets). La mostra in oggetto è stata pensata a e per Zattaglia, frazione di Brisighella in val Sintria ai piedi di Monte Mauro, culmine e gemma della Vena del Gesso romagnola, proprio con il fine di promuovere la conoscenza ed il rispetto di un'area naturalistica - l'emergenza gessosa ufficialmente denominata dai primi cartografi del neonato Regno d'Italia, appunto, Vena del Gesso romagnola - di singolare valore e per questo motivo destinata a divenire, a breve, Parco Naturale della Regione Emilia Romagna. La mostra Occhi nella notte aveva in realtà anche lo scopo di testare la possibilità di un futuro utilizzo dell'edificio che attualmente ospita il Centro sociale di Zattaglia quale sede di un piccolo "Centro di Documentazione" tematico. Il buon esito dell'iniziativa ha sciolto ogni dubbio in proposito, consentendo di verificare la buona, specifica funzionalità sia dell'immobile in oggetto sia dell'area ad esso immediatamente circostante, dimostratasi idonea all'allestimento di una ampia struttura coperta temporanea, rivelatasi indispensabile per una "prima accoglienza" di gruppi di visitatori numericamente consistenti. Come di norma, inoltre, il contatto con singoli visitatori e l'effettuazione di visite guidate ha fornito agli operatori professionisti (lo scrivente) spunti assai utili per una prossima, eventuale organizzazione di approfondimenti tematici ed agli operatori occasionali particolarmente motivati che hanno collaborato alla sorveglianza della mostra, ovvero ai giovani studenti del luogo, un'interessante esperienza lavorativa. Una volta di più, infine, si è toccata con mano l'importanza della presenza sul territorio di Musei naturalistici, quali il Museo Civico di Scienze Naturali faentino, vocati, e funzionali, alla raccolta di dati e reperti indispensabili per "valorizzare" puntualmente (cioè illustrare e far conoscere) peculiarità ambientali e naturalistiche locali di rilievo assoluto.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 16 [2003 - N.17]

Continua l'attività didattica di "Tessellae" rivolta ai ragazzi delle scuole elementari

Valentino Montanari - Docente Centro di Sperimentazione Didattica "Tessellae"

Gli studenti delle classi IV e V della scuola elementare di Ponte Nuovo recentemente sono stati protagonisti dell'inaugurazione di un'opera musiva realizzata da loro, dal titolo Un mosaico per la pace, conclusione finale di un lungo itinerario didattico che si è svolto durante l'intero anno scolastico 2000/2001, e che ha visto il coinvolgimento di insegnanti, operatori culturali, genitori e cittadini. Si tratta di una iniziativa contemplata nel progetto denominato Memoria e Narrazione che la Circoscrizione Seconda da anni promuove nei confronti delle scuole del proprio territorio. Per l'anno scolastico in corso ha proposto il tema della Pace: un tema sempre attuale e ricco di grandi principi morali ed etici da non dimenticare, che ha preso spunto dalla memoria ancora viva del tragico evento conosciuto come l'eccidio dei 56 martiri, verificatosi sul finire della 2a guerra mondiale tra Ponte Nuovo e Madonna dell'Albero. Il progetto, dal punto di vista educativo ricco di valenze didattiche trasversali storiche e artistiche, ha perseguito le seguenti principali finalità: - favorire un approccio più efficace alla conoscenza attraverso testimonianze dirette; - avvicinare i ragazzi al patrimonio artistico tipico della nostra città, il mosaico; - sensibilizzare ai valori della solidarietà e della pace; - promuovere le capacità di progettazione, collaborazione e socializzazione. L'area didattica storico-artistica, curata dal Centro di Sperimentazione Didattica "Tessellae", ha svolto un ruolo importante e significativo al fine di conseguire l'obiettivo finale della realizzazione di un mosaico da collocarsi temporaneamente nell'entrata del sacrario dei "56 martiri". L'attività didattica si è articolata in varie fasi. Il punto di partenza è stato un seminario rivolto ai docenti delle classi IV e V sul tema Linguaggio e tecnica del mosaico antico, durante il quale sono state affrontate le principali tematiche del linguaggio storico-artistico del mosaico antico, coinvolgendo i docenti nelle operazioni necessarie alla conoscenza dei rudimenti tecnici della progettazione e realizzazione del mosaico. Nel corso del seminario ogni docente ha sperimentato direttamente l'utilizzo dei materiali musivi, realizzando un piccolo mosaico. Gli alunni delle classi IV e V coinvolti nelle attività del laboratorio di mosaico hanno seguito un percorso didattico mirato principalmente alla conoscenza della storia del mosaico, degli stili più importanti delle scuole musive antiche e delle diverse maestranze del periodo romano (opus), eseguendo infine un piccolo mosaico (particolare pavimentale romano) da parte di ogni studente. Il percorso didattico si è svolto in quattro mattine per ciascuna classe, durante le quali sono state effettuate lezioni teoriche e pratiche, avvalendosi di supporti audiovisivi, facendo scoprire agli studenti volta per volta i segreti della tecnica degli antichi maestri mosaicisti, con l'obiettivo di privilegiare non tanto il prodotto finale bensì la metodologia didattica, volta a recuperare e sviluppare gli aspetti pedagogici della manipolazione, dell'osservazione, della riflessione e della creatività che la tecnica musiva sa dare. A conclusione del percorso didattico artistico, è stato realizzato un grande mosaico costituito da quattro pannelli, formati da 86 formelle di cm 20 ciascuna realizzate dai singoli alunni. Il soggetto sviluppato è il risultato della sintesi di tutto il lavoro svolto nel corso dei mesi precedenti, nei quali si è affrontata la tematica della pace e della guerra, con la finalità di far comprendere le tragedie della guerra e la bellezza e la gioia della pace. Entrando con efficacia nelle atmosfere giuste, con la loro semplicità e spontaneità i bambini sono riusciti a realizzare immagini disegnate, inerenti al tema proposto, di particolare efficacia. A compimento del percorso di studio, comprendente la raccolta dei dati, delle informazioni, le visite guidate sui luoghi della memoria, a tutti gli studenti sono state proiettate delle diapositive opportunamente selezionate a partire dall'arte della preistoria fino a quella moderna, per far conoscere come gli artisti nel corso dei secoli hanno interpretato e rappresentato il tema della guerra e della pace; ogni ragazzo ha poi eseguito un disegno. Dagli elaborati sono stati scelti dei particolari, curando la partecipazione attiva di ogni bambino per far sì che nel mosaico finale ciascuno potesse riconoscere il proprio contributo. L'ultima fase del progetto prevede la realizzazione di un mosaico da parte di un artista, da collocarsi definitivamente nel sito del sacrario. L'opera dovrà essere una ulteriore sintesi di alto contenuto estetico e di riflessione sui fatti della memoria, operando sui dati, sulle informazioni e su tutto il materiale raccolto e prodotto dagli studenti, per lasciare sul luogo della memoria una vera opera d'arte e non un'opera didattica. La realizzazione del progetto ha visto la collaborazione delle classi IV e V della scuola elementare "A. Gulminelli" di Ponte Nuovo (IX Circolo), del Centro di Sperimentazione Didattica "Tessellae", gestito dal Comune di Ravenna unitamente alla Soprintendenza ai Beni Ambientali e Architettonici di Ravenna e della Circoscrizione Seconda.

La pagina del Centro di sperimentazione didattica "Tessellae" - pag. 16 [2001 - N.11]

Un sito internet che propone, in tempo reale, i dati metereologici rilevati dalle sonde dell'Osservatorio Meteorologico Comunale "E. Torricelli" di Faenza

Gian Paolo Costa - Non sono moltissimi, probabilmente, gli articoli di museologia s.l. più temporalmente caduchi delle "note illustrative" (promozionali?, pubblicitarie?) di un sito internet e non solo - è caso specifico del presente articolo - per la naturale evoluzione tecnologica nel settore e per il fatto che comunque questi "servizi" sono offerti in tempo reale e quindi cercano di rispondere alle esigenze degli utenti/fruitori (reali e potenziali), esigenze che possono mutare e/o aumentare con il passare del tempo. Chi scrive vive quotidianamente, insieme ad altri collaboratori (il deus ex machina del sito www.meteofa.org prof. Antonio Dal Borgo, il responsabile dell'Osservatorio "Torricelli" Roberto Gentilini, i tecnici Enzo Ossani e Marco Tredozi...), la precarietà di un prodotto ambiziosamente sovraddimensionato rispetto alle possibilità, soprattutto economiche (v. manutenzioni tecniche e riparazioni hardware e software...), dell'Istituto museale locale che ha pensato, elaborato ed offre il servizio in questione. Sulla home page del sito www. meteofa.org compaiono in tempo pressoché reale i dati meteorologici rilevati dalle "sonde" automatiche posizionate nella capannina meteorologica dell'Osservatorio Meteorologico Comunale "E. Torricelli", ubicata nel Giardino Botanico "ex Orto Paganelli" circostante l'edificio che ospita il Museo Civico di Scienze Naturali di Faenza (via Medaglie d'Oro, 51 - 0546.662425), nonché un'immagine satellitare dell'Italia. Cliccando su quest'ultima e scorrendo lo schermo si può accedere ad altre immagini satellitari, tra le quali (di particolare eloquenza) l'immagine dell'Europa "veicolata" da MeteoFrance. Ma non ci si limita al presente: cliccando sull'icona archivio dati si può accede a migliaia e migliaia di dati meteorologici, numerici e con grafici: l'archivio copre interamente gli ultimi tre anni! Il sito è sicuramente apprezzato ed utile: lo testimoniano il numero degli accessi (4560 con 6213 pagine viste nel mese di agosto 2003) diretti o attraverso il link sul sito della Coop. Intesa di Faenza, le richieste di attestazione di eventi che provengono da uffici legali e tecnici in genere, nonché l'intervista che segue, rilasciata dal responsabile del Servizio di Allergologia del Presidio Ospedaliero di Faenza, dott. Oliviero Quercia. "[...] Sono già due anni che utilizziamo i dati che ci fornisce il Museo Civico di Scienze Naturali di Faenza per quel che concerne le variazioni giornaliere della temperatura, dell'umidità, dei venti e delle precipitazioni: sul tetto dell'Ospedale abbiamo un apparecchio che "cattura" giornalmente i pollini ed il monitoraggio da noi effettuato risente moltissimo delle situazioni climatico-atmosferiche del momento e della loro variazione. I dati fornitici dall'Osservatorio Meteorologico faentino, ora attraverso internet, sono essenziali per una lettura minuziosa delle nostre rilevazioni, finalizzate alla diagnosi, alla prevenzione ed alla terapia del paziente affetto da asma/rinite allergica. I dati del monitoraggio pollinico sono consultabili presso l'ambulatorio di allergologia oppure sul sito della Sezione di Aerobiologia dell'Associazione Allergologi-Immunologi territoriali e Ospedalieri (www.pollinieallergia.net)".

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 16 [2003 - N.18]

Il ricordo di un intellettuale colto e discreto che si distingueva non solo per la profonda preparazione ma anche per la disponibilità, la cortesia, la sensibilità

Franco Gàbici - Capo Reparto delle Attività scientifiche e museali del Comune di Ravenna

"Sembra che la natura si prenda piacere di rapirci nel più bello della loro carriera quegli uomini, che ella ha caricato di favori". Questa considerazione di Giacomo Leopardi si adatta benissimo per ricordare il dottor Luigi Malkowski, vice bibliotecario della Classense, a Ravenna, prematuramente scomparso nel dicembre scorso all'età di cinquant'anni. Entrato in Classense nel 1983, fu subito in sintonia con l'austerità del luogo. Uomo discreto, profondamente colto, dimostrò sempre grande disponibilità verso chiunque bussasse alla sua porta per chiedergli qualsiasi tipo di informazione. Ed erano in molti a cercarlo, perché nel suo vocabolario personale non esisteva il "no". Dopo aver frequentato il Liceo classico Galvani di Bologna, si laureò in filosofia, ma coltivò sempre interessi letterari, Dante e Pascoli in particolare. In Classense curava soprattutto l'importante sezione delle acquisizioni, un compito che ha sempre svolto con grande scrupolo e con quella cognizione di causa che gli veniva da un robusto impianto culturale di fondo, che lo portava a non escludere dalle sue attenzioni nessuna disciplina. Studioso di Dante, trovò la sua giusta collocazione come segretario dell'"Opera di Dante" e in questa veste ha sempre organizzato le Letture dantesche curando anche le manifestazioni del settembre dantesco. La morte prematura gli ha impedito di portare a compimento la catalogazione dei materiali del Museo dantesco, un progetto al quale stava lavorando da tempo. Per l'editore Fara, inoltre, aveva scritto nel 1994 la prefazione alla ristampa anastatica di un volume di Paolo Costa che raccoglie Vita di Dante e Della elocuzione. Fra i suoi lavori ricordiamo gli articoli La biblioteca come officina editoriale, Manara Valgimigli ritrovato e Le memorie di Dante pubblicate su riviste e la monografia Il crocifisso ligneo della chiesa del Suffragio a Cervia. Fu attivo anche come vice presidente della Società di studi ravennati. Malkowski ha sempre lavorato in quel clima di discrezione che ha caratterizzato la sua vita, i cui ritmi sembravano scanditi su un tempo interiore che non andava quasi mai d'accordo con i ritmi moderni. Per questo amava Santi Muratori e Manara Valgimigli, dei quali ricordava spesso episodi che illuminavano i tratti del loro carattere. Li considerava vicini perché sentiva di appartenere alla stessa latitudine culturale. E di Santi Muratori continuava ad aggiornare lo "schedario", il grande monumento che ha lasciato in eredità Muratori e che richiederebbe oggi una figura istituzionale per continuare il suo importantissimo aggiornamento in maniera metodica per evitare lacune ed omissioni, ma soprattutto per garantire una continuità a quel personalissimo modo di scrivere la storia locale avviato dal Muratori stesso. La chiesa gremita nel giorno dei funerali ha dato la misura della stima e dell'affetto della città per un operatore culturale che forse non è stato valorizzato come avrebbe meritato. Ma il dottor Malkowski non si è mai preoccupato di propagandare se stesso, preferendo al clamore e all'apparire la stima vera degli amici. Ci resta il ricordo di una persona seria, scrupolosa, sempre sorridente. Luigi era una persona pulita e senza ombre e queste affermazioni non sono indotte dalle solite indulgenze che fanno sempre capolino quando si ricorda una persona che non è più. Luigi era veramente così e per questo il suo ricordo e il rimpianto di non averlo più ci accompagneranno sempre.

Personaggi - pag. 16 [2004 - N.19]

Il bio-monitoraggio dell’ambiente attraverso le api, in collaborazione con l'Istituto Nazionale di Apicoltura di Bologna

Gian Paolo Costa - Responsabile del Museo Civico di Scienze Naturali di Faenza

Poco più di una ventina di anni fa, chi scrive allenava una squadretta di pallacanestro: uno fra i bimbetti emergeva, per attitudini fisiche e “psicologiche”. Sono trascorsi gli anni e nella tarda primavera del corrente anno 2004 Davide Balbi (il succitato potenziale professionista della pallacanestro faentina nel frattempo aveva collezionato un paio di lauree…) propone a chi scrive di posizionare alcuni alveari all’interno del giardino botanico circostante il Museo Civico di Scienze Naturali di Faenza. L’interesse ‘da apicoltore’ - produttore di miele - di Balbi era attirato dallo scintillante e vario patrimonio floristico del giardino botanico del Museo ma anche dal ricco corredo/arredo verde dei viali urbani e dei vasti giardini presenti all’interno del raggio d’azione delle “sue” operaie (1,5 km circa).
All’osservazione dello scrivente che nell’area edificata cittadina da tempo gli Enti di controllo preposti (in primis l’A.R.P.A. dell’Emilia Romagna) avevano attivato centraline per monitorare l’inquinamento urbano presente (polveri sottili, metalli pesanti ecc.) l’apicoltore faceva notare che le api, alla pari di altri bioindicatori (normalmente utilizzati a questo fine) – per quanto ne era a conoscenza personalmente – possono efficacemente affiancare i sistemi tradizionali di monitoraggio in un ambito, un “sistema” di controllo integrato dell’ambiente. E che, ad ogni buon conto, egli avrebbe provveduto a sottoporre il miele prodotto alle analisi di prammatica (specificamente approfondite).
Da queste considerazioni, e dalla contestuale verifica in bibliografia dell’effettivo utilizzo delle api quali agenti di monitoraggio di inquinamento urbano, all’aver maturato la decisione di interpellare l’Istituto Nazionale di Apicoltura di Bologna per attivare anche in Faenza (a cura del locale Museo naturalistico) un bio-monitoraggio dell’ambiente attraverso l’analisi di pollini raccolti e di miele prodotto da api, il passo è stato assai breve.
Claudio Porrini, del Dipartimento di Scienze e Tecnologie Agroambientali dell’Università di Bologna e collaboratore dell’Istituto Nazionale di Apicoltura, confermava che “con il monitoraggio tramite api è possibile mettere in evidenza i periodi e le zone più esposte ai diversi inquinanti analizzati” - in particolare metalli pesanti quali piombo, nichel e cromo, e benzo[a]pirene - e forniva ragguagli puntuali circa i protocolli di indagine, codificati a seguito di ricerche specifiche oramai ventennali.
In conclusione: in attesa di reperire i fondi occorrenti per organizzare l’indagine “di dettaglio” ed esperire le analisi necessarie si è provveduto a verificare le potenzialità dell’area installando alcune arnie, previe indicazioni e verifiche tecniche dei competenti uffici A.S.L. di zona. Al centro dell’area verde retrostante l’edificio museale si è recintata – come da normativa specifica – la porzione di giardino oramai da anni in corso di naturalizzazione spontanea ed i primi riscontri attestano un’attività delle api assai intensa e produttiva. È stato altresì possibile verificare puntualmente e de visu quali piante attirano maggiormente le api: i Cisti (molto scenografiche le immagini riprese di bottinatrici sui fiori rosa di Cistus incanus), il Biancospino (Crataegus monogyna) e l’Amorpha fruticosa, letteralmente “aggredita”.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 16 [1997 - N.0]

La maggior parte dei musei appartenenti al Sistema Provinciale apre le porte al pubblico per l’Open day di domenica 24 aprile

Eloisa Gennaro - Responsabile U.O. Beni Culturali della Provincia di Ravenna

Giunta alla sua seconda edizione, l’iniziativa Open day – promossa l’anno scorso dalla Provincia di Ravenna e che ha visto partecipi oltre 60 biblioteche delle tre province romagnole – presenta una notevole innovazione, ovvero la concomitante apertura di musei e biblioteche del territorio. Lo spirito che anima l’iniziativa è quello di aprire le porte gratuitamente e in un giorno festivo per attrarre e incuriosire chi vive sul luogo, soprattutto il pubblico delle famiglie, oltre ai turisti e agli studenti che di norma frequentano già tali istituzioni.
Sono ben ventitre i musei appartenenti al Sistema Museale della Provincia di Ravenna che hanno deciso di aprire domenica 24 aprile, non solo per promuovere le collezioni esposte, le varie attività normalmente svolte e i servizi offerti al pubblico, ma più di tutto per mostrare come i beni museali siano uno strumento per apprendere in maniera non passiva e nozionistica la storia sociale, artistica e naturalistica del proprio territorio, rendendo il museo un vero laboratorio di conoscenza capace di sviluppare capacità critiche e creative.
Proprio per rinnovare l’idea di museo (che persino il vocabolario della lingua italiana registra ancora come sinonimo di “cosa antiquata”), in sintonia con la rivisitazione e l’ampliamento della mission del museo stesso, da qualche anno le istituzioni emiliano-romagnole pongono sempre maggiore attenzione – accanto ai tradizionali compiti di conservazione e studio – alla fruizione e alla promozione delle raccolte, sia potenziando le attività didattiche, pensate per fasce diversificate di visitatori, sia migliorando gli strumenti di comunicazione, sfruttando le tecnologie multimediali.
Ecco che la maggior parte delle iniziative proposte per domenica 24 aprile mostrano questo nuovo impulso verso la piena valorizzazione delle proprie collezioni: visite guidate e animate; percorsi a tema e interattivi; proiezione di audiovisivi; esposizione di opere conservate nei depositi; presentazione di pubblicazioni scientifiche e didattiche; laboratori ideati per bambini ed adulti, e così via.
Visite guidate con esperti sono organizzate, in particolare, dai musei di Alfonsine, di Casola Valsenio, di Cervia, di Fusignano, di Ravenna, di Riolo Terme e di Russi. Per i più piccoli sono previste visite animate o laboratori creativi al museo di Castel Bolognese (con regalo finale), al Museo Dantesco di Ravenna e all’Ecomuseo di Villanova di Bagnacavallo. Un’iniziativa tutta dedicata agli adolescenti è invece quella presentata dal Centro “Le Cappuccine” di Bagnacavallo (anche qui con sorpresa in omaggio), che tra l’altro in questa occasione inaugura il nuovo ingresso ricavato nella settecentesca ex Chiesina delle Cappuccine. Pomeriggio di poesia è la proposta di Casa Monti di Alfonsine, mentre il Museo Civico Ugonia di Brisighella mette in mostra alcuni acquarelli normalmente non esposti al pubblico.
L’Open day è dunque un piccolo, ma significativo segnale dato dagli operatori culturali del territorio al fine di far emergere un patrimonio culturale diffuso che troppo spesso resta nascosto alla comunità o è vissuto come esperienza episodica, per far scoprire come esso, anche attraverso l’interazione tra le varie istituzioni culturali del territorio (musei e biblioteche, ma anche archivi, teatri, aree naturalistiche e siti monumentali) possa rispondere alla differenziata domanda culturale.
Il calendario delle iniziative messe in campo dai 54 musei e dalle 79 biblioteche della Romagna è consultabile sia sul sito della manifestazione all’indirizzo www.racine.ra.it/openday, sia negli opuscoli in distribuzione presso tutti i punti informativi e culturali cittadini. I musei della provincia ravennate e i servizi da loro offerti sono presentati, come sempre, anche nel sito del Sistema Museale Provinciale all’indirizzo www.sistemamusei.ra.it.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 16 [2005 - N.22]

L’apertura festiva e gratuita si è mostrata non un approccio occasionale ma come un’opportunità per i musei del territorio di promuovere una frequentazione attiva e personalizzata

Eloisa Gennaro - Responsabile U.O. Beni culturali della Provincia di Ravenna

L’Open day dei musei e delle biblioteche romagnole, evento promosso dalla Provincia di Ravenna per avvicinare il pubblico che normalmente non frequenta tali luoghi ma soprattutto per incoraggiarne una fruizione attiva attraverso una serie di proposte educative, si è rivelato un utile momento di riflessione circa le strategie di valorizzazione che i musei del territorio possono mettere in atto.
Ricordiamo che sono stati ventitrè i musei del Sistema Museale Provinciale che hanno aperto gratuitamente le proprie porte domenica 24 aprile 2005. Molti i responsabili e direttori di musei che hanno apprezzato l’iniziativa, dichiarando la propria disponibilità a replicare nel 2006 ma anche dando alcuni suggerimenti per la prossima edizione.
Naturalmente alla Provincia viene richiesto un contributo decisivo per coordinare e pubblicizzare l’evento, predisponendo opuscoli, manifesti, locandine e dépliant da mettere in distribuzione presso diversi punti cittadini, campagne di comunicazione su stampa, radio e tv locali, calendario delle iniziative consultabile anche in rete. Gli strumenti promozionali, per raggiungere l’obiettivo, non devono limitarsi ad elencare gli istituti aderenti all’open day, bensì devono fornire lo spunto per svariati percorsi di visita, suggerendo itinerari storico-cronologici o tematici che tocchino trasversalmente più musei posti nello stesso territorio. E poiché sono davvero molteplici i percorsi che possono essere proposti, non sarebbe da sottovalutare l’ipotesi di organizzare due o tre open day nel corso dell’anno.
È del tutto naturale che la maggioranza dei visitatori ha varcato la soglia di quei musei che all’apertura festiva straordinaria hanno abbinato visite guidate, mostre a tema, attività laboratoriali, performance ecc., pensate per precisi segmenti di pubblico. Ricordiamo ad esempio le oltre 200 persone andate al Centro Le Cappuccine di Bagnacavallo, che nel corso di tutta la giornata ha proposto eventi diversificati, dall’inaugurazione di un nuovo spazio museale, alla visita di una mostra tematica, all’incontro con gli adolescenti per presentare il progetto Il mio diario – il mio museo.
È dunque opportuno programmare per tempo l’iniziativa – che tra l’altro potrebbe svolgersi annualmente sempre nella stessa data (ad esempio la prima domenica di primavera e/o d’autunno) – per permettere non solo una più efficace promozione ma soprattutto per riuscire ad organizzare tante micro iniziative individuali o da condividere con altri musei del Sistema, al fine di far scoprire a un pubblico sempre più ampio, oltre a quello di scolari e turisti, come i musei locali siano luoghi pieni di storia e di vita, ossia capaci di incuriosire, far riflettere, emozionare.
L’Open day può così diventare uno strumento per sperimentare e promuovere nuove iniziative, in sintonia con la rivisitazione e l’ampliamento della ragion d’essere del museo stesso, che pone sempre maggiore attenzione - accanto ai tradizionali compiti di conservazione e ricerca – alla valorizzazione delle collezioni, sia potenziando le attività didattiche sia migliorando gli strumenti informativi.
In conclusione, evidenziamo il dato più scontato: la gratuità ha fatto registrare un numero di visitatori superiore a quello che si registra nelle giornate festive a pagamento. Pensiamo ad esempio alle tante persone affluite al Museo d’Arte della città di Ravenna o al Museo delle Ceramiche di Faenza, ma anche alla Rocca di Riolo Terme o al Museo Baracca di Lugo, che proprio a partire da questa iniziativa ha abolito stabilmente il biglietto d’ingresso. La gratuità di fatto incoraggia soprattutto la comunità locale, che – non dimentichiamolo – rappresenta il pubblico privilegiato dei nostri musei, caratterizzati dalle piccole dimensioni e da collezioni strettamente legate al territorio che le ospita e alla loro storia.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 16 [2005 - N.23]

Il Piano Museale Provinciale come strumento di programmazione e di crescita

Eloisa Gennaro - Responsabile U.O. Beni Culturali della Provincia di Ravenna

Il 22 febbraio la Giunta Provinciale ha approvato i progetti e gli interventi del Piano museale per l’anno 2006, terzo e ultimo stralcio del Piano Provinciale 2004-2006; in attesa delle nuove linee guida regionali in materia, è questa un’occasione per tracciare un breve profilo di uno strumento quale il Piano museale, analizzando – seppure in maniera estremamente sintetica – l’impatto che ha avuto sul territorio in questi sei anni di vita.
Introdotto dalla L.R. 24 marzo 2000, n. 18 che disciplina biblioteche, archivi, musei e beni culturali, il Piano museale è approvato annualmente dalla Provincia in conformità al programma poliennale regionale, tramite concertazione con i Comuni e previo parere dell’IBC. Il Piano contiene sia le iniziative che la Provincia e i musei intendono realizzare, con indicazione delle risorse messe a disposizione, sia le proposte relative agli interventi di competenza dell’IBC in materia di catalogazione e restauro dei beni museali.
Più precisamente, i Piani annualmente redatti dalla Provincia mettono in campo cinque risorse diverse (per quanto riguarda l’entità delle prime tre voci vedi grafico n. 1):
- finanziamento con fondi provinciali dei progetti presentati dai musei;
- fondi regionali trasferiti alla Provincia e da questa distribuiti tra i progetti presentati dai musei;
- interventi diretti della Provincia con fondi propri, a beneficio della rete museale nel suo complesso;
- quota di finanziamento a carico dei singoli musei pubblici e privati convenzionati;
- proposte di intervento diretto dell’IBC.
Grazie a tali risorse, il Piano persegue gli obiettivi innovativi promossi dalla legge regionale, da un lato favorendo una maggiore organicità degli interventi in fase di programmazione, dall’altro, incentivando la riqualificazione delle istituzioni museali attraverso l’individuazione e l’applicazione di alcuni standard di qualità.
Se il 2000 può considerarsi un anno sperimentale, a seguito alle linee di indirizzo per il triennio 2001-2003 emanate dalle Regione, il Piano diviene, a partire dal 2001, un utile strumento di programmazione che permette alla Provincia di svolgere efficacemente il ruolo di ente di coordinamento e di promotore dello sviluppo delle realtà culturali locali; un ruolo che si può particolarmente apprezzare in un territorio come quello ravennate, in cui il patrimonio museale è caratterizzato da un altissimo tasso di frammentazione.
È appena il caso di ricordare che la Provincia di Ravenna ha messo in rete ben 37 musei presenti sul territorio proprio al fine di valorizzare al meglio questo ricco patrimonio in una logica di sistema, sfruttando appieno le possibili sinergie tra strumenti e risorse disponibili. Grazie a frequenti occasioni di confronto con i musei aderenti alla rete e ad una costante azione di consulenza e di supporto, la Provincia – in attuazione delle linee guida regionali – è riuscita in questi anni a realizzare un quadro chiaro ed organico dei fabbisogni, delle eccellenze e delle criticità, assicurando una maggiore qualificazione in fase di pianificazione ed attuazione degli interventi nonché convogliando sul territorio sempre maggiori risorse (come sottolineato dalla stessa L.R. 18/2000).
I Piani Museali predisposti dal 2000 ad oggi hanno costantemente previsto sia la realizzazione di progetti di sistema sia l’assegnazione di contributi ai progetti presentati dai musei del territorio; i fondi provinciali e regionali, nonostante i vincoli crescenti di natura finanziaria, hanno contribuito in misura significativa al miglioramento dei servizi offerti dai musei ponendosi essenzialmente due obiettivi fondamentali:
- il potenziamento delle strutture e dei servizi al pubblico, al fine di supportare i musei del Sistema nell’adozione degli standard di qualità;
- lo sviluppo del Sistema Museale Provinciale ed il rafforzamento del legame tra musei e territorio.
Gli interventi direttamente gestiti dalla Provincia sono stati finalizzati soprattutto al potenziamento della strumentazione tecnologica e dell’automazione dei musei nonché alle iniziative di comunicazione e di promozione che mirano a valorizzare i musei del Sistema. Nel primo caso ricordiamo il progetto “Musei in rete”, che ha dotato i musei di varia strumentazione tecnologica, e il progetto sperimentale “Camus” di navigazione virtuale dedicato alle pinacoteche dei tre comprensori territoriali, ultimamente implementato prevedendo percorsi sempre più curati nella loro realizzazione in altri musei della rete provinciale. Nel secondo caso ricordiamo il progetto “Aule didattiche” e il progetto “Audioguide”.
Gli interventi dei singoli musei sono stati rivolti primariamente all’adeguamento strutturale delle sedi (in particolare quelle di pregio storico-artistico), alla messa in sicurezza degli impianti, all’allestimento di sale espositive e di aule didattiche, agli interventi volti a migliorare l’informazione e l’accoglienza al pubblico, ai progetti e studi di fattibilità, all’abbattimento di barriere architettoniche.
Il grafico (n. 2) aiuta a visualizzare il numero degli interventi realizzati, relativamente alle diverse tipologie di investimenti previsti nei Piani negli anni 2000-2006. Come si vede, le priorità sono rappresentate dagli interventi per gli allestimenti espositivi e per la messa a norma degli impianti. D’altra parte, gli interventi strutturali sulle sedi hanno permesso l’apertura di musei come la Pinacoteca Comunale di Faenza, il Museo Civico di Russi, il Museo del Castello di Bagnara di Romagna, il Centro Culturale Venturini di Massa Lombarda e altri ancora.
Va sottolineato come nella nostra provincia la valorizzazione del patrimonio museale sia un valore fortemente sentito, nonostante i tagli ai bilanci degli Enti locali: è sempre di norma alto il numero dei musei che partecipa agli incontri di concertazione con Provincia e Regione in vista della predisposizione dei Piani; sono musei di proprietà di enti pubblici o di privati convenzionati, distribuiti in modo omogeneo su tutto il territorio provinciale e spesso caratterizzati dalle limitate dimensioni.
Occorre precisare che negli ultimi anni non tutti i progetti hanno trovato un diretto contributo finanziario nell’ambito del Piano; si è infatti tenuto conto del vincolo imposto dalla legge 350/2003 in base alla quale non è possibile trasferire risorse derivanti da indebitamento a favore dei musei privati, a sostegno dei quali, però, sono state previste alcune azioni di sistema per migliorare i servizi al pubblico, la didattica e la valorizzazione delle raccolte.
Ricordiamo infine le tipologie d’intervento da parte dell’IBC, ovvero la catalogazione e il restauro dei beni museali. A partire dal 2000 le proposte avanzate dai musei sono state in totale 65 per la catalogazione e 50 per il restauro; molteplici sono stati gli interventi sul territorio provinciale posti in atto dall’IBC per i progetti ritenuti prioritari (su alcuni degli interventi di restauro effettuati si dà conto a pag. 4 della rivista).
In questi anni la Provincia di Ravenna ha supportato gli enti del territorio nel difficile percorso di sviluppo e di valorizzazione delle istituzioni museali, segnatamente quelle di minori dimensioni; in particolare, si è cercato di portare tutte le istituzioni ad un livello minimo omogeneo, nell’ambito di un processo di crescita progressiva e integrata di tutte le realtà culturali. È aumentato il numero dei musei aderenti al Sistema, a dimostrazione del crescente interesse verso la rete museale provinciale; gli indicatori di qualità mostrano che grazie ad un maggior coordinamento si possono intensificare le iniziative congiunte, a beneficio di tutti i musei; in tal modo, è stato possibile elevare gradualmente il numero complessivo dei visitatori. Tutto ciò compatibilmente con le risorse disponibili, in un quadro complessivo entrato purtroppo in sofferenza.
In prospettiva, appare evidente che per un ulteriore salto di qualità serve realizzare alcune condizioni quali la definizione a livello politico di un programma condiviso di potenziamento e di maggiore integrazione delle iniziative, sia di valorizzazione che di investimento, e la ricerca di fonti di finanziamento adeguate, pubbliche e private, nella consapevolezza che in una congiuntura economica difficile come quella attuale è indispensabile unire le forze e focalizzare l’attenzione su alcune priorità da individuare in area vasta.
In ultima analisi, si rende ancor più necessario mettere in rete le energie, le risorse, le idee.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 16 [2006 - N.25]

Il secolo d’oro di Ravenna e i suoi protagonisti sono l’oggetto di studio della nuova mostra allestita nella chiesa di San Nicolò a Ravenna

Raffaella Branzi Maltoni - Ufficio Stampa Fondazione RavennaAntica

Capitale del mosaico e snodo fondamentale dell’arte paleocristiana, Ravenna rende omaggio al suo secolo d’oro, con una grande mostra e con la riscoperta di San Severo.
Santi Banchieri Re – Ravenna e Classe nel VI secolo, San Severo il tempio ritrovato è il titolo dell’evento proposto da RavennAntica e dal Comune di Ravenna nella splendida cornice del complesso di San Nicolò. La mostra è curata dal grande medievalista Carlo Bertelli e da Andrea Augenti, docente di Archeologia Medievale all’Università di Bologna. L’esposizione illustra gli anni che segnano il tramonto del Regno dei Goti e il trionfo dei Bizantini, quel VI secolo in cui prende forma il mito di Ravenna. È la fase in cui la città compie un febbrile sforzo per dotarsi di una serie di strutture e monumenti in grado di mostrarla all’altezza del suo nuovo ruolo politico di capitale dei domini di Bisanzio in Italia. Al centro di questo impegno costruttivo ci sono le basiliche: San Vitale e San Michele in Africisco a Ravenna, Sant’Apollinare e San Severo nel vicino porto di Classe.
San Severo, l’ultima delle grandi basiliche del VI secolo, è il fulcro della mostra Santi Banchieri Re. L’operazione culturale di RavennAntica ha permesso, infatti, di riscoprire la figura del vescovo Severo e il suo tempio, e soprattutto di riportare alla luce i bellissimi mosaici pavimentali originali della chiesa. Dopo decenni di oblio, grazie a un’importante opera di recupero condotta a Ravenna sotto la direzione di Paolo Racagni, coordinatore scientifico del restauro, i mosaici di San Severo tornano a splendere e rappresentano un nuovo fulgido esempio dell’arte che ha reso famosa Ravenna nel mondo, con un notevole campionario di motivi decorativi.
La mostra ricostruisce il più ampio contesto geografico - l’area del Mediterraneo - e politico - il mondo bizantino - in cui nasce e s’afferma il mito di Ravenna. Il processo è mostrato attraverso le architetture delle basiliche e l’arte dei mosaici, ma anche con la rappresentazione dei protagonisti dell’epoca: i Vescovi e i Santi, i Banchieri e i Monarchi. Innanzitutto i vescovi Severo, Ecclesio, Ursicino, Massimiano. I Re e gli Imperatori, da Teodorico ad Amalasunta, da Giustiniano a Teodora. Poi Giuliano l’Argentario, il banchiere che finanzia la costruzione delle grandi basiliche.
Accanto ai mosaici di San Severo, Santi Banchieri Re propone altri capolavori dell’arte antica, provenienti dai più importanti musei d’Europa e anche dall’Oriente: tre splendidi mosaici siriani del VI secolo esposti per la prima volta al pubblico italiano; il mosaico della Domus di Via Dogana a Faenza (V secolo); le statue che raffigurano presumibilmente Teodora, Amalasunta e Atalarico; preziosi documenti come il Codice Virgilio Vaticano, il De materia medica di Dioscoride, il dittico del console Boezio e le Complexiones in Epistulas Apostolorum di Cassiodoro. E ancora, vesti preziose e monili, monete delle zecche di Roma, Ravenna, Costantinopoli.
Con questa grande mostra Ravenna racconta e celebra se stessa, la sua vocazione cosmopolita e la sua centralità nella storia dell’arte.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 16 [2006 - N.26]

Un'inedita collaborazione tra il MAR, il MIC e la Pinacoteca di Faenza ha dato vita a uno straordinario evento espositivo dedicato a Domenico Baccarini.

Claudio Casadio - Direttore della Pinacoteca Comunale di Faenza

Le ricerche artistiche europee tra Otto e Novecento - Liberty, Simbolismo ed Espressionismo in primo luogo - non sono rimaste estranee alla realtà artistica romagnola ed anzi hanno lasciate varie tracce anche a Ravenna e Faenza. Ci furono, ad esempio, i cartelloni pubblicitari dell'Esposizione regionale a Ravenna del 1904 dove Mario Dudovich e Achille Calzi portarono aria nuova e ci fu soprattutto l'esperienza faentina dove, proprio nel primo decennio del Novecento, si andò formando un gruppo di artisti che ha fortemente segnato in tanti settori, dalla grafica alla pittura e alla scultura, l'arte romagnola dei decenni successivi.

A distinguersi nel gruppo fu Domenico Baccarini, scomparso a soli 24 anni nel 1907 che, come ha scritto Claudio Spadoni in un esame delle arti visive ravennati nel secolo scorso, ha interpretato il lascito ottocentesco calandolo «in un sottofondo di ansie, irrequietezze, di appetiti culturali che erano insieme l'eredità più intrigante dell'ultimo Ottocento e il richiamo del moderno».

Proprio a ricordare quell'importante vicenda, a cento anni dalla morte dell'artista che ne fu il maggiore protagonista, sono state attivate le Celebrazioni Baccariniane, che vedono un ampio programma di iniziative promosso da un apposito Comitato, costituito da Regione Emilia-Romagna, Provincia di Ravenna, Comuni di Ravenna e Faenza, Istituto per i Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna, Museo d'Arte della città di Ravenna, Museo Internazionale delle Ceramiche e Pinacoteca Comunale di Faenza.

Al centro delle Celebrazioni ci sono tre diversi eventi espositivi dedicati ai vari momenti e aspetti dell'opera di Domenico Baccarini.

Al Museo d'Arte della città di Ravenna, si tiene dal 25 febbraio al 3 giugno la mostra "Domenico Baccarini. Una meteora del primo Novecento", una grande antologica dedicata all'opera di Baccarini. L'esposizione, curata da Claudio Spadoni con il contributo di UniCredit Banca e Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, intende documentare la precoce attività dell'artista faentino attraverso la selezione di un centinaio di capolavori tra dipinti, disegni e sculture. Oltre al grande trittico "L'umanità dinnanzi alla vita", opera incompiuta, realizzata dall'artista nel periodo romano, attenta riflessione sull'uomo, tra la vita e la morte, sono esposti i dipinti del periodo veneziano, i numerosi ritratti e gli intensi autoritratti, le vedute di Faenza e i tanti scorci famigliari. Degna di attenzione è la produzione scultorea in mostra a Ravenna, una cinquantina di opere a documentare lo straordinario talento di Baccarini. Si possono ammirare i gruppi plastici con figure femminili, quali "Sensazioni dell'anima" o "Primavera", i tanti ritratti dell'amata Bitta, le piccole figure infantili, omaggio alla figlia Maria Teresa, i grandi busti dei personaggi e degli artisti con cui Baccarini fu amico e sodale, quali Beltramelli, Costetti, Golfieri, Nonni, Zanelli.

A Faenza, presso la Pinacoteca Comunale che custodisce il maggior fondo di opere dell'artista, apre invece dal 24 febbraio al 17 giugno la mostra "Domenico Baccarini. Disegni dalle Collezioni comunali". Nelle raccolte conservate dagli istituti culturali faentini è documentata l'intera produzione di Baccarini: dalle esercitazioni scolastiche presso la Scuola di Arti e Mestieri di Faenza, frequentata sotto la guida del maestro Antonio Berti, al drammatico autoritrattato fatto poco prima della morte. Grande spazio è dedicato ai disegni con temi familiari, quando le modelle dei lavori di Baccarini erano la madre, la sorella, la nonna, la sua compagna Bitta e la piccola figlia Maria Teresa. Nell'intensa produzione baccariniana importanti sono anche i disegni dedicati agli amici, agli ambienti faentini e i lavori realizzati prima a Firenze e poi a Roma. Notevoli poi anche i disegni come illustratore, sia per le copertine di periodici che per la collaborazione avviata con lo scrittore Antonio Beltramelli per illustrare le sue novelle.

Il Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza dal 24 febbraio al 27 maggio ospita la mostra "Art nouveau a Faenza. Il Cenacolo Baccariniano", che presenta opere dell'artista faentino e dei suoi amici coinvolti nei ritrovi del cosiddetto "cenacolo" (riferito dapprima alla Scuola di Arti e Mestieri, poi al retrobottega della madre Maddalena), dove Domenico Baccarini, Ercole Drei, Giovanni Guerrini, Pietro Meandri, Francesco Nonni, Domenico Rambelli, Giuseppe Ugonia, Publio Zanelli (per citarne solo alcuni) s'incontravano per disegnare e intagliare, per parlare d'arte e di letteratura contemporanea. L'intento è quello di restituire l'ambiente culturale faentino del primo decennio del '900, spingendosi fino al terzo, dopo il quale i protagonisti del "cenacolo" cambiarono ideali artistici, al seguito o meno delle avanguardie. E per tratteggiare assonanze e fonti ispirative, in sintonia con l'Italia e l'Europa, l'esposizione fornisce la possibilità di confronto con opere provenienti da musei e collezioni italiane e straniere di artisti famosi, molti dei quali presenti a Faenza nella esposizione del 1908. In mostra presso il Museo Internazionale delle Ceramiche vi sono dipinti, disegni e incisioni di artisti come Klimt, Knopff, Munch, Pellizza da Volpedo, Martini, Balla, Costetti e Segantini che affiancano la ricca e bella documentazione sui lavori degli artisti del "Cenacolo baccariniano".

Completeranno il programma varie iniziative, anche di associazioni culturali di Ravenna e Faenza, la pubblicazione di due cataloghi, conferenze e la produzione di un film dedicato alla vita di questo artista che ha davvero vissuto intensamente per l'Arte.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 16 [2007 - N.28]

All'indomani dell'Esposizione, un gruppo di giovani artisti faentini scrisse una delle più interessanti pagine culturali romagnole

Claudio Casadio - Direttore Pinacoteca Comunale di Faenza

Nel primo decennio del Novecento la Faenza artistica è stata non solo interessante e vivace, ma anche un punto di riferimento nazionale e di produzione elevatissima. È il periodo in cui da un lato concludono la loro importante attività maestri come Antonio Berti e Tomaso Dal Pozzo, mentre la direzione della Pinacoteca Comunale e della Scuola di disegno è affidata ad un altro grande protagonista come Achille Calzi. In città svolge le sue prime attività di organizzatore e uomo di cultura appassionato d'arte il giovane Gaetano Ballardini, che poi diventerà il fondatore del Museo Internazionale delle Ceramiche e maggior ceramologo italiano del Novecento, e personaggi tra loro diversi ma alquanto significativi come Alfredo Oriani e Dino Campana sono non solo ben conosciuti ma spesso presenti e attivi negli ambienti della vita culturale.
Al centro delle attenzioni è però l'attività di quel gruppo di ragazzi raccolti sotto il genio artistico e l'impulso di Domenico Baccarini. A far parte di quel gruppo, generalmente riconosciuto con il nome di Cenacolo Baccariniano, sono artisti come Ercole Drei, Giovanni Guerrini, Francesco Nonni, Domenico Rambelli, Pietro Melandri, Riccardo Gatti, Giuseppe Ugonia, Odoardo Neri e Orazio Toschi.
Si tratta di giovani che hanno finito di frequentare la Scuola Comunale di Arte e mestieri nei primissimi anni del secolo scorso e che, oltre ad avere consolidato una forte amicizia tra di loro, hanno sviluppato in comune la forte passione per l'arte e la voglia di emergere. Una volontà che li porta ai numerosi incontri di quello che verrà successivamente definito, a partire da una pubblicazione del 1929, il Cenacolo Baccariniano e alle numerose discussioni e confronti anche su lavori artistici fatti insieme. Giovani che tengono contatti con il mondo sia leggendo le riviste d'arte come "Emporium" sia frequentando le mostre nazionali come quella di Torino del 1904 e di Milano del 1906 e soprattutto guardando a quanto avveniva nel mondo artistico di città come Firenze e Roma e alle Biennali di Venezia, dove si muovono inizialmente come spettatori (ma già nel 1905 il precursore Domenico Baccarini viene invitato a partecipare con tre disegni).
La morte precoce a soli 24 anni di Baccarini, nel 1907, segna la fine del gruppo ma restano in seguito le singole vocazioni artistiche che consentono di proseguire quella strada iniziata fin dagli anni della formazione scolastica, sotto la direzione di Antonio Berti. Si tratta di percorsi alquanto diversi che portano comunque importanti riconoscimenti nazionali ed internazionali.
Ercole Drei si dedica alla scultura e frequenta l'Accademia di Belle Arti a Firenze con maestri come Adolfo De Carolis, Augusto Rivalta e Giovanni Fattori, partecipa alla Biennale di Venezia del 1912 e si trasferisce a Roma. Francesco Nonni si specializza nella xilografia, partecipa alle biennali dal 1910 al 1914, promuove riviste e caratterizza con i suoi disegni l'immagine della Romagna negli anni venti e trenta. Giovanni Guerrini affresca le sale della mostra torricelliana del 1908, si afferma per le sue litografie con partecipazioni alle biennali del 1912 e del 1914 e alla mostra dell'Associazione degli acquafortisti e incisori di Londra nel 1916, insegna all'Accademia di Belle Arti di Ravenna dal 1915 e nel 1926 diventa direttore artistico dell'Enapi a Roma. Pietro Melandri vive alcune esperienze in varie parti di Italia, tra cui Milano, rientra a Faenza dopo la Prima Guerra Mondiale ed avvia una splendida carriera di ceramista, come fece anche Riccardo Gatti dopo aver vinto nel 1908 la medaglia d'argento per la scultura alla mostra d'Arte della manifestazione torricelliana. Domenico Rambelli partecipa con la scultura dedicata ad Antonio Berti alla Biennale del 1907, diventa insegnante di plastica nella scuola serale di ceramica nel 1916 e negli anni venti realizza i grandi monumenti di Viareggio, Lugo e Brisighella. Altri artisti come Orazio Toschi, Odoardo Neri e Francesco Ugonia si trasferiscono rispettivamente a Firenze, Gonzaga e Brisighella continuando una intensa produzione che li ha portati, come nel caso delle litografie di Ugonia, ad opere di grande importanza e bellezza che uniscono in modo impareggiabile poesia, arte e tecnica dimostrando ancora una volta anche il valore della scuola e del periodo formativo vissuto da quel singolare gruppo riunito dalla passione di Domenico Baccarini.

Speciale Celebrazioni Torricelliane - pag. 16 [2008 - N.32]

AMACI è la più giovane delle Associazioni e riunisce professionisti e istituzioni attivi nel settore dell'arte contemporanea

Cristian Valsecchi - Segretario Generale AMACI

Il disegno associativo che nel 2003 ha dato luogo alla costituzione di AMACI, Associazione dei Musei d'Arte Contemporanea Italiani, è nato dall'esigenza condivisa dai direttori di vari musei e centri d'arte contemporanea di collaborare al fine di favorire il coordinamento dell'attività dei musei associati e di costituire una politica culturale comune per promuovere l'arte moderna e contemporanea in Italia e all'estero.
Un primo obiettivo che l'Associazione si è posta, attraverso l'organizzazione di incontri periodici tra i direttori dei musei, è stato quello di favorire ed incentivare il costante dialogo tra le istituzioni coinvolte, permettendo così agli associati di meglio comprendere la natura di musei tra loro eterogenei (dall'assetto proprietario e gestionale a quello delle collezioni e dell'attività culturale, a quello del contesto territoriale di riferimento), di interrogarsi sul ruolo e sull'identità del museo d'arte contemporanea nella nostra società, e di approfondire, attraverso l'analisi delle esigenze comuni, specifiche linee di azione da intraprendere attraverso l'attività associativa. Nella consapevolezza dell'importanza dello scambio di informazioni e conoscenze tra le istituzioni museali e, dunque, per renderlo ancora più incisivo, a partire dal 2008 si è ritenuto opportuno promuovere incontri di settore, destinati ai professionisti di specifici ambiti operativi del museo (collezioni, mostre temporanee, servizi educativi, comunicazione, amministrazione), utili all'individuazione e all'approfondimento di problematiche alle quali rispondere con soluzioni comuni, nonché di pratiche di successo da diffondere nel sistema dei musei associati allo scopo di migliorarne la gestione operativa.
L'attività sopra descritta è affiancata dalla realizzazione di iniziative principalmente destinate alla promozione dell'arte del nostro tempo, tra le quali la rivista I love museums, fondata nel 2003 in concomitanza con la costituzione dell'Associazione, e la Giornata del contemporaneo, manifestazione nazionale promossa con cadenza annuale.
I love museums, il cui progetto editoriale è attualmente in fase di revisione, rappresenta l'organo di informazione ufficiale dell'Associazione e si propone di costituire un luogo di dibattito e di riflessione sulla situazione attuale dei musei e delle istituzioni che si occupano di arte contemporanea, cercando di restituire una panoramica aggiornata non soltanto del sistema museale italiano e delle problematiche ad esso strettamente connesse, ma anche dell'arte in generale.
La Giornata del Contemporaneo, invece, si propone come occasione di sensibilizzazione dell'opinione pubblica rispetto al ruolo dell'arte contemporanea nello sviluppo dell'identità culturale e nell'innovazione sociale ed economica del nostro Paese. Con la collaborazione dei musei associati, e con il sostegno della PARC, il primo sabato di ottobre tutti gli operatori e le organizzazioni di settore sono chiamati ad aprire gratuitamente i propri spazi e le proprie collezioni e mostre al pubblico, promuovendo anche attività collaterali. Giunta alla sua quarta edizione, nel 2007 la Giornata ha coinvolto quasi seicento organizzazioni presenti sul territorio nazionale, evidenziando un significativo incremento di partecipanti rispetto alle precedenti edizioni (+ 178% rispetto all'edizione 2005, + 76% rispetto all'edizione 2006), che hanno offerto gratuitamente ad un pubblico, stimato in quasi 100.000 visitatori, oltre 700 iniziative culturali.
In linea con gli scopi associativi, che richiedono un orientamento dell'attività istituzionale anche a livello internazionale, l'Associazione ha di recente iniziato un percorso di collaborazione con analoghe organizzazioni a livello europeo, proponendosi di promuovere anche all'estero l'immagine del sistema dei musei italiani, che risulta spesso ancora sfuocata anche a causa di un contesto istituzionale che troppo a lungo ha manifestato una scarsa sensibilità e attenzione del nostro Paese verso gli aspetti culturali e artistici della contemporaneità, rendendo così difficoltosa la crescita e lo sviluppo dei nostri musei.


Speciale Associazioni Museali Italiane - pag. 16 [2008 - N.33]

Cent'anni fa il patrimonio finì per essere tutelato proprio in virtù di una sensibilità - mai esplicitata - che si respirava in epoca futurista

Roberto Balzani - Docente di Storia contemporanea, Università di Bologna - Ravenna

Trattare di conservazione nel contesto di un fascicolo dedicato al Futurismo può apparire una scelta ardita o forzata, a seconda dei punti di vista.
 Dalla prospettiva strettamente filologica, Marinetti non ha molto a che vedere col patrimonio, almeno con quello tradizionale delle "antichità e belle arti", così com'era canonizzato nei primi decenni del secolo. È nota, viceversa, la sua idiosincrasia verso tutto ciò che sapesse di passatismo, a partire dai musei: un'opzione nel segno della rottura radicale col codice classicista, che non a caso aveva ispirato per contrasto, fra il 1902 e il 1909, il tentativo d'impedire con una legislazione assai avanzata il depauperamento dell'Italia, "cava" di capolavori.
Erano state proprio le avanguardie a sollecitare, presso gli osservatori e gli appassionati, l'urgenza di una grande operazione di salvataggio: ciò che i redattori del "Giornale d'Italia" e di "Emporium" osservavano nelle esposizioni di artisti contemporanei provocava un tale sgomento da indurre la sensazione che una lunga stagione culturale stesse volgendo al termine. Da Angeli a Ojetti, le voci che si erano levate in difesa della tradizione artistica del paese apparivano veementi e concitate, come se la minaccia di una decadenza incombente avesse l'effetto di rendere più concreta la consueta retorica ispirata alla damnatio temporum. Esiste un nesso ben preciso, quindi, fra gli obiettivi di salvaguardia promossi da un vasto ceto intellettuale e trasformatisi in un'imponente petizione giunta fino al tavolo del presidente del Senato nel 1908, da un lato, e, dall'altro, il mondo apparentemente liminare, marginale e antiaccademico della sperimentazione artistica, al quale il Futurismo, nell'età dei manifesti e delle riviste, avrebbe dato dignità di movimento.
Non già una relazione diretta, quanto piuttosto l'opposta reazione a una percezione comune di cambiamento di clima: come se i punti fermi dei linguaggi estetici e delle cronologie fossero entrati in una crisi irreversibile, minati da un'opera di demolizione paragonabile a quella che la teoria della relatività, nel medesimo torno d'anni, operava nel campo delle scienze fisiche. Il patrimonio incarnato nei "beni" e soprattutto nelle "cose" - così recitava l'art. 1 della L. 364/1909 - sembrava non sfuggire alla più generale contestazione delle genealogie accertate dai procedimenti positivi, per subire uno sguardo dissacrante ora benevolmente ironico (alla Gozzano), ora dettato da una lucida volontà di liquidazione (nei futuristi). E ciò mentre la classe politica lo elevava finalmente a ricettacolo di una parte cospicua dell'identità nazionale. Il 1909 fu dunque un anno contraddittorio: l'avanguardia andò in un senso, il Parlamento, sigillando la prima grande legge sul patrimonio, in un altro.
 Strana contraddizione, che la dice lunga sulla frattura culturale apertasi in Europa, una faglia della quale passava pure per la "vecchia" Italia, intenta a elevare improbabili barriere di fronte ad un nemico mobile e vivace, che presto avrebbe attratto a sé una buona porzione della gioventù intellettuale. Se la conservazione dei beni culturali fosse stata classificazione, semplice gerarchia del bello, il destino del patrimonio sarebbe forse stato segnato. Ma anche allora, e benché la legge non lo dicesse esplicitamente, c'era dell'altro: l'idea diffusa, ad esempio, che i processi di patrimonializzazione delle "cose" d'interesse archeologico, storico o artistico non fossero solo il frutto di una mera registrazione del valore intrinseco dell'oggetto, quanto la sintesi di un investimento culturale in qualche modo sociale e collettivo, che talvolta non aveva nulla a che vedere con l'estetica.
Il patrimonio, così come ci appare oggi, nella sua materialità e nella sua immaterialità, finì per essere difeso proprio in virtù di una sensibilità non scritta e non esplicitata, che si respirava nell'ambiente e nel contesto. In una certo senso, agli stessi futuristi, alla ricerca della provocazione e della dissacrazione antipassatista, faceva gioco descrivere le "antichità e le belle arti" secondo uno schema canonico: sfuggiva tuttavia anche a loro la percezione che la temperie cui essi dovevano la propria forza s'era insinuata fra le carte degli eruditi, trasformandoli - da difensori un po' rétro del canone aureo del classicismo - in dinamici componenti delle "brigate" degli "amici dei monumenti", con tanto di bicicletta, di kodak e di calzoni alla zuava.
Come al solito, la realtà profonda appare più sorprendente della generalizzazione superficiale: un motivo in più per accertarla, nell'anno del duplice centenario.

Contributi e riflessioni - pag. 16 [2009 - N.34]

La testimonianza di vita e di studio del più importante geografo italiano

Claudia Giuliani - Dirigente dell'Istituzione Biblioteca Classense

Dal 2008 una nuova collezione libraria arricchisce le biblioteche ravennati. Si tratta della Biblioteca Gambi-Vergnano, derivante dalla libreria privata di Lucio Gambi e della moglie Ornella Vergnano.
Lucio Gambi (1920-2006) è stato il più importante geografo italiano del secondo Novecento; ravennate, alla città che gli diede i natali, e alla Classense dove svolse i primi studi e a cui in seguito offrì più volte il suo prezioso contributo di saperi e ricerche, ha voluto lasciare la sua ricca biblioteca e le carte dell'archivio personale. Ancora in vita Lucio Gambi volle seguire il lascito consegnando personalmente libri e carte, curando che venissero catalogati e collocati secondo la rigorosa "ragione" dei suoi studi.
Attraverso la sua personale biblioteca si ripercorre la vita di studi di un innovatore, che seppe aprire la geografia al contributo metodologico della ricerca storica, letteraria, sociologica e demografica. Aperto egli stesso al dibattito culturale, ma anche politico, dei suoi anni, partecipò alla Resistenza, militando nel movimento Giustizia e Libertà, e sempre visse in prima persona la politica: a Milano, quando docente di Geografia umana all'Università statale, si impegnò attivamente nel dialogo col movimento studentesco, o a Bologna dove non fu solo a lungo docente, ma contribuì attivamente alla nascita delle regioni; primo presidente dell'Istituto Beni Culturali della Regione Emilia Romagna, concepì le linee di indirizzo e di crescita di un istituto che resta fondamentale per la tutela e la valorizzazione dei nostri beni regionali.
Le sue vicende bene si leggono nelle carte e il suo percorso di studi e ricerche nei libri che scelti, raccolti, postillati continuano a testimoniarne l'indefesso impegno. La donazione è costituita da una raccolta libraria composta da circa 19.000 volumi, tra monografie, opuscoli e testate di periodici, e da un fondo d'archivio che riunisce i corsi universitari - tenuti dal 1951 al 1989 nelle Università di Messina, Milano e Bologna - i manoscritti inediti, le ricerche rimaste incompiute. Oltre ai libri, nella raccolta sono presenti le tesi di laurea, discusse da Lucio Gambi tra il 1960 e il 1990 nelle Università di Milano e di Bologna, ed una ragguardevole raccolta di materiale cartografico (circa 800 pezzi) e di cartoline e di fotografie (circa 15.000 pezzi). La raccolta libraria è interamente fruibile dal pubblico, collocata a scaffale aperto nei bei mobili che costituirono l'arredo dello storico negozio ravennate appartenuto alla famiglia Fabbri e da essa donato, mobili allestiti all'interno degli spazi recentemente restaurati degli appartamenti che furono degli abati camaldolesi Viceversa, il fondo d'archivio, formato personalmente dall'autore, per esplicita volontà testamentaria, sarà consultabile solo dopo il novembre 2018. I documenti cartografici e la raccolta di cartoline e fotografie sono in fase di catalogazione a cura dell'IBC.
L'organizzazione dei materiali librari, secondo la classificazione decimale Dewey, si lega alle partizioni disciplinari disposte da Gambi durante la sua attività di studio. Biblioteca d'autore, e come tale sottoposta ad un trattamento catalografico estremamente rispettoso delle peculiarità degli esemplari e dell'uso che la lettura e lo studio vi impressero, la raccolta Gambi rivela del suo raccoglitore metodo di studio e vastità di interessi, consentendo una più piena comprensione dell'identità culturale che gli fu propria.

Personaggi - pag. 16 [2009 - N.35]

Le numerose competenze delle Direzioni Regionali recentemente costituite dal MiBAC

Carla di Francesco - Direttore Generale per i Beni culturali e paesaggistici Regionale dell'Emilia Romagna

Dal 2001 il Ministero per i beni e le attività culturali è stato interessato da un rapido susseguirsi di riforme che lo rendono oggi sostanzialmente diverso dalla storica "direzione generale antichità e belle arti", le cui competenze, sottratte nel 1975 al Ministero della Pubblica Istruzione, confluirono nel nuovo Ministero per i beni Culturali e Ambientali voluto da Giovanni Spadolini.
Il nuovo assetto del MiBAC fa capo alla più generale riforma della pubblica Amministrazione degli anni '90 del Novecento, complesso legislativo che ridisegna la ripartizione di competenze tra Stato e Regioni, a favore del decentramento delle funzioni statali. In questa ottica, il MiBAC ha costituito nuovi Uffici di valenza regionale, aggiungendoli a quelli da sempre presenti sul territorio, cioè Soprintendenze, Archivi di Stato e Biblioteche statali: dopo un primo triennio che potremmo definire di sperimentazione in cui alle neo-istituite Soprintendenze Regionali erano affidati compiti alquanto generici di coordinamento, nel 2004 è entrata in vigore la riforma che ha istituito le Direzioni Regionali per i Beni Culturali e Paesaggistici, i cui compiti sono esplicitati dal DPR 233/2007, come modificato dal DPR 91/2009. Secondo la formulazione dell'art. 17, "coordinano l'attività delle strutture periferiche del Ministero... presenti nel territorio regionale; queste ultime... costituiscono articolazione delle Direzioni regionali"; si tratta, quindi, di Direzioni Generali territoriali del Ministero a cui fanno capo Soprintendenze, Archivi di Stato, Biblioteche Statali.
In primo luogo esse "curano i rapporti del Ministero e delle strutture periferiche con le regioni, gli enti locali, e le altre Istituzioni presenti nella regione", cioè sono i primi interlocutori del territorio, e in questa veste costruiscono insieme agli attori istituzionali strategie di tutela, valorizzazione e fruizione che mirano ad integrare le azioni delle strutture statali con quelle degli enti locali; attuano, cioè, una visione della presenza statale non separata e ristretta nelle esclusive competenze di tutela, ma di attiva proposta e partecipazione alle politiche culturali del territorio. Protocolli d'intesa e accordi sono lo strumento amministrativo principale di questo nuovo modo di lavorare insieme, nel quale le Soprintendenze e la Direzione per il MiBAC, e gli enti locali e altri soggetti istituzionali istituiscono un confronto periodico per portare a soluzione progetti strategici di largo respiro, o la valorizzazione di musei e siti archeologici, o la realizzazione di interventi di restauro, o, comunque, i temi che vengano ritenuti di interesse tale da richiedere un percorso di questo tipo. Per la periferia del MiBAC è in questa funzione la vera novità della riforma, che vede la Direzione Regionale responsabile anche della programmazione e della "stazione appaltante", ovvero dell'individuazione e attuazione dei lavori di restauro sui beni culturali definiti assieme alle Soprintendenze, e finanziati dal Ministero; e, ancora, responsabile dell'erogazione dei contributi economici ai lavori di restauro e conservazione attuati da privati ed enti sui beni culturali tutelati di loro proprietà.
Alcune delle competenze della Direzione Regionale erano a suo tempo svolte dalle Direzioni centrali, come quelle relative alle dichiarazioni di tutela (i vincoli) ai sensi degli articoli 10, 12, 13 del Codice Urbani o alla autorizzazione delle alienazioni dei beni di proprietà pubblica: oggi il processo che inizia con la proposta di tutela da parte delle Soprintendenze (cd avvio del procedimento) per i beni di proprietà privata, o con l'immissione delle schede edificio nel sistema informatico del Ministero per gli Enti pubblici, viene concluso con un decreto di dichiarazione di interesse dalla Direzione Regionale; e non c'è dubbio che, unito alle competenze sulle alienazioni dei beni pubblici, questa nuova organizzazione permette di gestire l'enorme crescita delle richieste molto meglio che nel passato e nei tempi stabiliti dal regolamento.
Numerose le competenze di tipo puntuale delle Direzioni Regionali, tra cui quelle relative all'espressione dei pareri su progetti di carattere intersettoriale (i casi, per esempio, dei progetti spesso complessi che vedono insieme nella tutela beni architettonici e beni archeologici, come i parcheggi sotterranei), un tempo frammentati tra le Soprintendenze ciascuna per la propria parte di competenza.

Contributi e riflessioni - pag. 16 [2010 - N.37]

Una giornata nazionale di studi e un tavolo di lavoro finalizzati a promuovere una cultura specifica per la gestione dei Piccoli Musei italiani

Giancarlo Dall'Ara - Docente di Marketing nel Turismo - Università di Perugia

I Piccoli Musei non sono e non vanno visti come una versione ridotta dei grandi, e anzi proprio l'idea che i "piccoli" siano dei "grandi incompiuti" è il peccato originale che ha impedito a molti di loro di riuscire ad avere un legame più forte con il territorio di appartenenza, di sviluppare un maggior numero di visitatori, e in ultima analisi di poter svolgere il proprio ruolo.
Sembra accadere per i Musei di piccola dimensione esattamente quello che accade nel mondo delle Imprese del nostro Paese: formazione, norme e cultura gestionale sono sempre su misura dei grandi. E i piccoli anziché valorizzare le loro specificità, imitano i grandi, rischiando di aggiungere ai limiti propri della dimensione ridotta, ulteriori svantaggi o diseconomie. E soprattutto aumenta la distanza psicologica con i residenti, che infatti sono i primi a non entrare nei musei.
Se si osserva quanto viene fatto dai Piccoli Musei del nostro Paese si vede chiaramente che il loro modello di riferimento è dato dai musei di grande dimensione. Se andate a visitare un piccolo Museo appena nato, o ristrutturato, è molto probabile che l'allestimento, l'illuminazione, le ricostruzioni, i percorsi, gli spazi per la didattica ricordino "le ricostruzioni asettiche, le illuminazioni da stadio o catacombali, i colori sordi o luccicanti dei muri" che caratterizzano i musei di grande dimensione. E se un grande Museo organizza un bookshop o una caffetteria o un catalogo, ecco che il piccolo cerca di allestire almeno un banco vendita, un punto ristoro e un pieghevole. Guardate anche il dilagare degli acronimi MuMi, MUF, MAN..., tutti ripresi sull'onda del successo dei grandi Musei internazionali, con i Piccoli che cercano di imitare i grandi almeno nel nome.
Per non dire dei profili professionali previsti, che sono gli stessi, o meglio sarebbero gli stessi se ci fosse la possibilità di assumere più personale.
Personalmente ritengo che per gestire un Piccolo Museo e per far sì che questo possa esplodere tutte le sue specificità e potenzialità, sia in relazione al territorio e ai residenti che in relazione ai visitatori, occorra una cultura specifica, una cultura diversa da quelle attualmente dominanti, e cioè da quella tradizionale tutta schiacciata sulla conservazione (product oriented), e ovviamente anche da quella tutta orientata al consumatore (market oriented).
Una cultura specifica per i piccoli musei comporta in primo luogo il fatto che un museo di piccola dimensione debba essere "piccolo fino in fondo", debba cioè puntare sulla cura dei dettagli, instaurare relazioni calde con la comunità, e con i visitatori, e anzi si debba ricentrare proprio sul tema dell'accoglienza. Come è evidente infatti il tema dell'accoglienza è quello più critico e al tempo stesso il limite dei musei di grande dimensione; questo perché grandi spazi e numero elevato di visitatori impongono di gestire l'accoglienza secondo procedure e standard che finiscono per irrigidire le relazioni con i visitatori, renderle asettiche, impedendo una gestione dell'accoglienza calda e relazionale, come quella che può caratterizzare invece i Piccoli Musei, con tutti i vantaggi di marketing e di fidelizzazione che ne derivano, se li si sa gestire.
Il viaggio in un museo è un viaggio verso l'autenticità, e questa aspettativa può essere accolta perfettamente da chi coordina le attività di un Piccolo Museo, che dovrà tendere ad accentuare gli aspetti rituali della visita, che fin dall'ingresso deve riuscire a offrire l'esperienza di una immersione nella cultura del luogo, qualcosa di molto diverso da una semplice visita ad un museo.
L'ingresso al museo, la porta, la soglia, l'organizzazione degli spazi e dei servizi, l'arredo sono alcuni degli elementi attraverso i quali si rende tangibile l'accoglienza del Museo. Il mio consiglio è di togliere le rigidità del banco di accettazione, di togliere centralità alla cassa che di solito si trova bene in vista, di spostarla, di evitare l'effetto "biglietteria" o "hall d'albergo", e di tendere piuttosto a creare una atmosfera meno burocratica, meno museificata e più relazionale.
Il museo non è fatto solo di contenuti e contenitore, ma è fatto anche di persone: chi accoglie, chi accompagna, chi spiega sono le persone. Per questo tutto l'ambiente del museo deve essere relazionale. I percorsi di un piccolo museo non devono essere superaffollati di oggetti e di stimoli, al contrario si devono caratterizzare per esporre poche testimonianze, e non sempre le stesse. E questo in un piccolo museo è possibile. E anche se la dimensione è ridotta vanno comunque previsti luoghi di riposo e spazi vivibili.
Intervenire sugli spazi rendendoli accoglienti è la precondizione per rompere la separazione, che spesso si è creata tra musei e comunità locale, così da rendere più "familiare" l'esperienza museale. E visto che il tema del rapporto con i residenti e la comunità locale è strategico per il ruolo di un Piccolo Museo, se non altro visto il ruolo di traino verso gli altri visitatori potenziali che possono esercitare i residenti, chiarisco subito che le altre condizioni per entrare in sintonia con il territorio sono relative:
• all'organizzazione dei servizi (personalmente riterrei strategica una porta di accesso privilegiata, meglio se diversa da quella principale, e gratuita per i residenti, in particolare per i giovani);
• all'organizzazione delle attività del museo, che dovranno essere più vicine alla cultura e alle aspettative dei residenti;
• e ovviamente all'immagine del museo stesso, che oggi è percepita come respingente soprattutto da parte dei residenti.
Come credo sia già emerso da quanto detto in precedenza, per essere accogliente un Museo deve anche poter contare su personale che abbia le competenze necessarie. Penso in particolare al profilo del gestore di un Piccolo Museo, che non è propriamente quello del direttore di un Museo, ma penso anche alla necessità che il personale di contatto sappia raccontare il museo, alle competenze necessarie per essere "narratore di luoghi", per la gestione del "Ricordo", e penso naturalmente anche alle competenze di base. In Francia a questo proposito è appena stata pubblicata una ricerca sui musei che rivela che "la mancanza di entusiasmo da parte del personale è drammatica".
Il contributo che un approccio italiano al marketing - per intenderci niente a che vedere con il marketing di impronta americana che ancora domina la letteratura sull'argomento nel nostro Paese - è quello di riflettere sul tema dell'accoglienza e della gestione di un Piccolo Museo assumendo l'ottica dell'ospite, che in italiano significa sia colui che ospita che colui che è ospitato. In base a questa ottica non ci deve essere separazione tra noi e i visitatori, e loro non sono affatto il target, il bersaglio dell'approccio bellico tradizionale del marketing che ha portato i musei italiani a fare propri, in maniera acritica, i concetti di mission, di vision, e strumenti quali i gadget, il merchandising.... dietro i quali c'è l'ottica del "visitatore come consumatore". Quella del visitatore-ospite è oggi un approccio necessario anche agli altri Enti che gestiscono i beni culturali nei quali, a volte, l'antiturismo è palpabile, anche se non dichiarato.
L'invito è dunque quello di tornare ad ascoltare la domanda con umiltà.
Naturalmente questi sono solo alcuni spunti, che derivano dalla mia esperienza, ma sono certo che esistano tante altre esperienze che potrebbero cominciare a colmare il vuoto culturale del quale si è detto, e dare vita ad una cultura nuova per la gestione dei Piccoli Musei.
Per questo nel Convegno organizzato a Castenaso lo scorso 7 maggio, abbiamo pensato di creare uno spazio di riflessione che non sia la solita riflessione sui Musei, e un appuntamento nazionale, una Giornata nazionale che porti i problemi dei piccoli Musei all'attenzione del Paese. E per tutto questo abbiamo dato vita ad un tavolo di lavoro che delinei i principi nei quali si possono riconoscere i Piccoli Musei che vogliono essere Piccoli fino in fondo, e che vedono nella loro dimensione anche la loro grande risorsa. Ecco queste sono le mie speranze, i miei obiettivi per i quali cerco alleati.

Contributi e riflessioni - pag. 16 [2010 - N.38]

Le problematiche conservative e di fruizione delle realtà ibride biblioteca-museo-archivio come la Classense di Ravenna

Claudia Giuliani - Dirigente Istituzione Classense di Ravenna

L'entità ibrida delle biblioteche-museo, o delle biblioteche-archivio o di entrambe queste realtà unite in varie, composite combinazioni, stranamente non è stata sufficientemente affrontata negli ultimi anni dalla peraltro assai ricca, letteratura professionale.

Ora è la gestione della fruizione la fase che si impone all'attenzione delle complesse realtà che, sotto il nome di biblioteche storiche, o di conservazione, hanno sino ad oggi privilegiato la tutela, conservando libri e documenti, manoscritti e stampe, oggetti d'arte e di antiquaria, accanto poi, spesso, a complessi archivistici vetusti e di primaria importanza storica. Assai più frequentemente di quanto si creda, forse, e soprattutto negli istituti di conservazione di pertinenza municipale, di storica rilevanza locale, si verifica la "pacifica convivenza" fra beni librari - preponderanti - e beni museali. Ad esempio, nella Biblioteca Classense, che alla caduta dell'antico regime sotto i colpi dell'invasione napoleonica fu dichiarata depôt littéraire, divenendo il luogo dell'accumulo di quel patrimonio che diverrà poi "beni culturale", sopravvivono, accanto agli imponenti fondi librari, nuclei di collezioni museali di assai varia composizione: dalla medaglistica alla numismatica, dalle collezioni pittoriche agli strumenti scientifici, ai cimeli appartenuti a personalità letterarie o storiche.

Accanto a realtà museali già costituite e storicizzate, come il museo dantesco o le collezioni risorgimentali, altri nuclei museali, senza nome o identità, sono stati fino ad oggi sottoposti alla tutela dei bibliotecari. Non diversamente gli archivi. Lo strutturato e noto Archivio Storico del Comune di Ravenna si affianca a collezioni archivistiche di personalità in qualche modo legate alla cultura ravennate. Non diversamente dalle metodologie in uso per i fondi librari già nella fase della tutela, si sono affrontate le problematiche inerenti conoscenza, quantificazione, inquadramento storico degli oggetti o dei documenti e, dove presenti, delle collezioni. A seguire, catalogazioni, restauri, condizionamenti conservativi hanno però richiesto competenze specialistiche di consueto non possedute dal personale addetto alle biblioteche.

Va rilevato che il primario obiettivo della conservazione, una volta raggiunto, conduce al naturale esito di attività gestionali finalizzate alla fruizione. Oggi affrontiamo nuovi problemi, peraltro, sia detto per inciso, non avendo ancora superato i vecchi. Come garantire una fruizione dei beni museali in una biblioteca? Non nella direzione di sporadici casi di esposizioni temporanee o effimeri eventi, ma in programmate prassi quotidiane. Alcuni esempi, nel caso Classense, oltre alla a lungo vagheggiata esposizione delle collezioni risorgimentali, oggi nell'omonimo Museo, sono stati l'esposizione permanente degli strumenti scientifici di Camillo Morigia e il lungo lavoro di studio e recupero della quadreria che ne consente oggi la pressoché totale fruibilità nelle sale della Biblioteca. Anche i mappamondi coronelliani, così come i mappomondi inglesi settecenteschi di George Adams, sono oggi visibili negli spazi del corridoio grande e dell'Aula Magna.

Sul versante della convivenza con gli archivi pubblici o di personalità, essa si è sviluppata felicemente sulla scia, si direbbe, di una sostanziale condivisione di problematiche conservative e gestionali, sì da realizzare una fruizione comune: i fondi storici, antichi e speciali della biblioteca sono consultabili contestualmente a quelli archivistici con grande vantaggio della ricerca, che può liberamente attraversare le stesse tematiche su complessi documentari diversi, ma emanazione delle stesse realtà storiche, politiche o culturali. Si intravedono quindi sviluppi positivi nella direzione del mantenimento di contiguità che spesso consentono inedite ricostruzioni.


Speciale Convergenza Musei Biblioteche e Archivi - pag. 16 [2010 - N.39]

Il Mar partecipa alle celebrazioni dell'unità nazionale con un progetto di restauro relativo a tre opere raffiguranti re Vittorio Emanuele II e re Umberto I

Nadia Ceroni - Curatore del MAR di Ravenna

Le due tele che ritraggono il Re Galantuomo furono dipinte da Andrea Besteghi, pittore bolognese (1817-1869) che occupò la cattedra di pittura nell'Accademia di Belle Arti di Ravenna nel 1858, assumendone poi la direzione dal 1864 al 1869. Tra i numerosi quadri ad olio, in particolare ritratti - realizzati dal Besteghi e citati negli Atti dell'Accademia - vale la pena di ricordare quelli a figura intera della contessa Geltrude Monsignani Sassatelli (1861) e del marito, conte Ferdinando Rasponi (1862) ritratto in divisa della Guardia Nazionale, a testimonianza del suo impegno per la causa risorgimentale: due opere acquisite dalla Provincia di Ravenna, oggi esposte nel corridoio della presidenza.

Il ritratto di Umberto I si deve invece alla mano di Arturo Moradei (Firenze 1840 - Ravenna 1901) che, chiamato a Ravenna nel 1870 a insegnare pittura nella locale Accademia, ebbe per allievi i maggiori artisti ravennati dell'ultimo Ottocento. L'artista è presente anche nella collezione moderna della Pinacoteca con numerosi quadri che raffigurano brani di vita romagnola e personaggi del contado ravennate.

Conservate sino ad oggi nei depositi del museo, queste tre tele ad olio, di grandi dimensioni, sono state inserite nel Piano museale 2010, che prevede la richiesta di finanziamenti regionali destinati al loro restauro e il successivo deposito al Museo del Risorgimento di Ravenna, quale contributo permanente del Mar alla raccolta, all'esposizione e alla valorizzazione delle testimonianze storiche, dei cimeli e degli oggetti d'arte dall'epoca pre-unitaria alla prima guerra mondiale, ai quali è stata assegnata la giusta dimensione museografica.

La Loggetta Lombardesca, inserita nei "Percorsi Risorgimentali Ravennati" - volume pubblicato nel 2007 dall'editore Longo per la cura di Antonio Patuelli e Beppe Rossi - conserva altre opere che rimandano all'epoca risorgimentale. Si tratta in particolare di alcuni busti in marmo raffiguranti personaggi ottocenteschi (Alfredo Baccarini, Ippolito Rasponi, Lorenzo Ginanni Corradini, Carlo Arrigoni) e cardinali (Alessandro Malvasia, Agostino Rivarola, Luigi Amat, Lavinio de' Medici Spada) eseguiti dagli scultori Ferdinando Martelli Sarti, Enrico Pazzi, Gaetano Monti, Cincinnato Baruzzi, Ignazio Sarti, per i quali sono in corso lavori destinati a darne adeguata esposizione e valorizzazione.

Si segnalano inoltre i pastelli di Vittorio Guaccimanni (Avamposto a cavallo con effetto di neve, Due soldati a cavallo, Soldati a cavallo in manovra) e le incisioni raffiguranti il Capanno di Garibaldi.

Nella collezione moderna trova posto un Ritratto di Romano Pratelli, in divisa garibaldina, eseguito da Carlo Ademollo (1824-1911), artista fiorentino, volontario nel 1859 e 1866, autore di numerosi episodi storici tra cui La breccia di Porta Pia e L'incontro di Vittorio Emanuele II e Garibaldi a Teano.

Altre opere di interesse risorgimentale, ma non rintracciabili, sono elencate nell'Indice degli Atti dell'Accademia. Tra queste, alla voce Vittorio Emanuele II, si citano: Ritratto a penna eseguito dal conte Santo Matteucci di Forlì, Gruppo in plastica fatto dal prof. Ferdinando Sarti e Ritratto inciso in rame da A. Lauro di Torino su disegno di Masutti (1860); "La Torre Sabauda", progetto di monumento in Roma ideato dal prof. Raffaele Dalpino (1882).


Speciale 150° Anniversario dell'Unità d'Italia - pag. 16 [2011 - N.40]

Il Museo del Risorgimento di Faenza espone bandiere, uniformi e stoffe, superando le problematiche di conservazione o

Giorgio Cicognani - Curatore del Museo del Risorgimento e dell'Età Contemporanea di Faenza

Nell'ottobre 2009 ha riaperto al pubblico, dopo diversi anni, in alcune sale al primo piano dello storico Palazzo Laderchi, il Museo del Risorgimento e dell'Età Contemporanea di Faenza. Il Museo fondato nel 1904, inizialmente ospitato presso la Pinacoteca e successivamente, nel 1922, annesso alle raccolte della Biblioteca Comunale, è rimasto lì fino agli anni Settanta e dopo vari passaggi, ha trovato ora la sua definitiva sistemazione.
La famiglia Laderchi, fu una delle più antiche famiglie faentine, ha contribuito alla storia e allo sviluppo della città, soprattutto durante il periodo risorgimentale con personaggi di rilievo come Lodovico, Achille e Francesco. La raccolta del Museo è costituita da armi, bandiere, stampe, uniformi, fotografie e cimeli vari in numero assai elevato e copre un arco di tempo che va dal periodo napoleonico fino alla II Guerra Mondiale e alla Resistenza.
In attesa di restaurare e rendere a norma altri locali, in cui poter esporre nuovi cimeli e completare un vero e proprio percorso museografico, ci si è limitati, in questa prima fase, ad un'esposizione di documenti e di oggetti, scegliendoli tra i più significativi, fino ad arrivare all'Unità d'Italia.
L'allestimento di un museo non è sempre cosa semplice, soprattutto in presenza di raccolte non omogenee e spazi, luci o altri elementi vanno attentamente studiati per una corretta conservazione del patrimonio e una buona lettura e fruibilità dell'oggetto da parte del visitatore. Un museo storico, che conserva documenti e cimeli riguardanti principalmente le vicende passate della propria città o territorio, deve poter trasmettere a un pubblico non solo locale ciò che è stata la microstoria di quel luogo. In questa prima fase di allestimento sono state predisposte alcune teche con basamento in metallo e la parte superiore in vetro, realizzata con una struttura inclinata in modo da offrire al visitatore un contatto più diretto con gli oggetti, ma soprattutto una lettura nitida dei materiali cartacei. Si è cercato inoltre di rendere l'esposizione più idonea nelle sue forme, ma non invasiva per la bellezza delle sale elegantemente decorate e del salone affrescato da Felice Giani.
I finanziamenti messi a disposizione erano molto scarsi e pertanto è stato necessario ricorrere al riutilizzo di alcune basi lignee preesistenti che sono state laccate e attrezzate con vetrinette anch'esse inclinate. Per proteggere dalla luce eccessiva i cimeli e per arredare meglio le stanze si è provveduto ad installare nuovi tendaggi. Nella sala Saviotti (dal nome del suo decoratore) fanno bella mostra alcuni ritratti ottocenteschi tra i quali quelli dei due grandi protagonisti del Risorgimento faentino: Achille e Francesco Laderchi.
A un anno di distanza dalla sua riapertura il lavoro di allestimento è proseguito con l'inaugurazione di una nuova sezione dedicata a bandiere, uniformi e stoffe. I materiali esposti sono di grande pregio, ma fragili e delicati e per questo si è scelta un'illuminazione soffusa per consentire una buona stabilità dei colori. Infatti, nello speciale settore dei tessili antichi, che comprende dal minuscolo frammento di stoffa all'imponente bandiera, a sciarpe e fazzoletti, molteplici sono le problematiche legate alla conservazione ed esposizione. Fra i reperti esposti in questa saletta è stata recuperata una rara sciarpa rossa di lana indossata dai volontari faentini che parteciparono all'insurrezione di Urbino nel 1860. Date le precarie condizioni del tessuto, divorato dalle tarme, è stato necessario predisporre uno speciale supporto sintetico su cui è stato riporto. Nella collezione delle uniformi, conservata nelle raccolte del Museo, sono state scelte per motivi di spazio quattro giacche, esposte in vetrine riutilizzate che hanno permesso, nella parte inferiore, opportunamente illuminata, di disporre oggetti appartenuti a vari patrioti.
Un'attenzione particolare è stata rivolta ad una rara bandiera del I Battaglione Civico della Guardia Nazionale di Faenza; si tratta di un tricolore ad asta confezionato e ricamato dalle donne faentine che è stato opportunamente restaurato prima di esporlo in una speciale teca di protezione appositamente realizzata.

Speciale nuovi allestimenti museali - pag. 16 [2011 - N.41]

Al Museo di Bagnacavallo i dipinti di Sonia Micela e altre interessanti collezioni di incisioni

Diego Galizzi - Conservatore Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo

Tra le funzioni fondamentali di un museo certamente vi è un'attenta politica di accrescimento delle proprie collezioni, da attuarsi compatibilmente con le proprie finalità culturali e con le effettive possibilità di poter conservare e valorizzare le nuove acquisizioni. Naturalmente ciò comporta che all'atto della donazione scaturiscano delle responsabilità in noi operatori e responsabili museali, che non possiamo certo limitarci ad "incamerare" oggetti d'arte ma dobbiamo sentirci investiti della necessità di legare ad ogni donazione un progetto, che sia semplicemente sulla fattibilità di un'adeguata tutela oppure su un percorso di valorizzazione che possa anche comportare un ripensamento dei percorsi espositivi. Con tutta evidenza, dunque, il museo è per definizione un'istituzione in divenire, lontana dai cliché che lo vogliono una struttura immobile e polverosa.

Su questo tema il Museo Civico delle Cappuccine può annoverare negli ultimi mesi delle novità importanti, che vanno ben oltre l'ordinario e quasi quotidiano accrescimento delle collezioni attraverso lasciti di singole opere, per la maggior parte materiale grafico che interessa il Gabinetto delle Stampe. L'ultima in ordine di tempo è la donazione al museo di un corpus pittorico di grande pregio e consistenza: si tratta di più di un centinaio di dipinti della pittrice di origini bagnacavallesi Sonia Micela (1924-1988), opere che gli eredi, dopo averne pazientemente curato la raccolta e l'inventariazione, hanno deciso di lasciare alla nostra istituzione nella convinzione di poterne in questo modo valorizzare ulteriormente l'opera e tramandarne la memoria. La donazione si caratterizza per la sua straordinaria organicità e per l'esauriente rappresentatività della vicenda artistica della pittrice. Si va dalle prime nature morte realizzate negli anni della formazione all'Accademia di Brera, arricchita peraltro dalla sua frequentazione con Carlo Carrà, fino alle ultime composizioni e ai paesaggi della fine degli anni '80, pezzi di notevole pregio per capacità di sintesi e forza espressiva. Nel mezzo ci sta una lunga ed entusiasmante carriera fatta di tanta passione per la pittura e di discreti riconoscimenti a livello anche internazionale, sebbene il suo lavoro appaia tutt'ora troppo poco considerato, e certo il museo si proporrà di colmare questa lacuna attraverso studi, eventi espositivi e pubblicazioni. Da sottolineare nella biografia della Micela la sua convinta adesione alla Resistenza, cui contribuì come staffetta partigiana, e la triste vicenda della morte della madre e del nonno nel 1924 a seguito di un'aggressione fascista ancora ricordata in una lapide in Piazza della Libertà a Bagnacavallo.

Sul fronte della grafica quest'anno il Gabinetto delle Stampe ha potuto incrementare i propri fondi con l'acquisizione della collezione milanese Riva-Parati, ricca di una cinquantina di incisioni antiche e contemporanee di sicuro interesse. Tra questi fogli compaiono opere di importanti incisori del secolo scorso, basti citare Lino Bianchi Barriviera, Tono Zancanaro, Remo Wolf e Nani Tedeschi, ma anche esemplari antichi come alcune incisioni tratte dai ritratti di Holbein realizzati da Francesco Bartolozzi. Sempre sul fronte della grafica in questi giorni si sta perfezionando il lascito di circa un centinaio di opere dell'incisore forlivese Francesco Giuliari, venuto a mancare lo scorso anno, al quale dedicheremo un approfondimento espositivo.

Lo stratificarsi di questi occasioni di arricchimento dovute a donazioni o lasciti testamentari sono senza dubbio segnali che testimoniano una certa attrattività della nostra istituzione museale in termini di attenzione e di riconoscimento del lavoro svolto. È anche grazie a queste continue iniezioni di nuova linfa che presto si dovrà procedere alla ridefinizione degli assetti espositivi della sezione contemporanea del museo, e conseguentemente alla ridefinizione della sua identità futura.


Speciale Donazioni Museali - pag. 16 [2011 - N.42]

Al Museo Nazionale di Ravenna un singolare ritrovamento subacqueo

Paolo Novara - Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici, Ravenna

Nell'agosto del 1936, al largo della foce del Reno, furono ripescate casualmente due erme, di cui una frammentaria, raffiguranti due personaggi barbati. La notizia fu raccolta dalla editoria specializzata, ma non ebbe alcun'eco popolare.
Il Museo Nazionale di Ravenna, il cui definitivo allestimento nella nuova sede presso San Vitale era stato portato a termine da poco, accolse i due pezzi che furono collocati nella saletta IV del secondo piano e in quella sistemazione i busti sono descritti nella guida del Museo edita nel 1937 per cura di Santi Muratori nella collana Itinerari dei musei e monumenti d'Italia (pp. 20-21). Negli anni immediatamente successivi, in quello stesso luogo al largo di Porto Corsini, furono recuperate altre tre erme (vd. Le Arti, a. III, p. 467 e a. V, p. 139).
Il disastroso susseguirsi degli eventi legati alla seconda guerra mondiale nella nostra regione, distolse l'attenzione nei confronti del Museo ravennate e solo nei primi anni '50 del Novecento, quando il Museo fu riaperto al pubblico dopo le ristrutturazioni resesi necessarie per i forti danni subiti dalle strutture, le erme destarono l'interesse degli studiosi. Ciò anche in virtù del fatto che nel 1954, sempre casualmente, fu ritrovato un frammento che completava uno dei pezzi rimessi in luce nel 1936. Nella impostazione postbellica della esposizione, le cinque erme furono inserite nel percorso museale mantenendo la collocazione originale (nella saletta IV del secondo piano), come le descrive la guida del rinnovato Museo curata da Giuseppe Bovini nel 1951 (pp. 30-33).
Risale al 1953, il primo, importante studio monografico dedicato ai cinque busti ravennati. Lo si deve a Paolo Enrico Arias (vd. Jahrbuch des Deutschen Archaeologischen Instituts, n. 68, pp. 102-123). E alla indagine di Arias si deve anche la più esaustiva, e a oggi accettata, spiegazione del motivo di una tale presenza nell'Adriatico. Lo studioso, infatti, legò tali materiali a un carico inviato dal cardinale Ippolito II d'Este a Ferrara: trovandosi la nave da trasporto in avaria in prossimità della foce del Reno, le erme sarebbero state gettate in mare per liberarsi del peso e scongiurare l'affondamento, che però avvenne ugualmente. Ippolito II d'Este (1509-1572), figlio della celebre Lucrezia Borgia e del duca di Ferrara Alfonso I, dopo aver bruciato le tappe nella carriera ecclesiastica, divenne cardinale e fu nominato governatore di Tivoli. Malgrado i tiburtini non ne gradissero la presenza, Ippolito accettò l'incarico principalmente per gli interessi che intendeva rivolgere al ricco patrimonio archeologico che la cittadina poteva offrire. Egli entrò nella nuova sede nel 1550 e poco dopo diede l'avvio alla realizzazione, su progetto di Pirro Ligorio, di una villa che ancora oggi costituisce uno dei più significativi esempi di residenza rinascimentale in Italia. In quello stesso frangente, Ippolito intraprese la raccolta di materiali archeologici dal circondario tiburtino e da Roma.
Nel 1567 a Ferrara, il duca Alfonso II incaricò Pirro Ligorio di progettare all'interno del castello una nuova biblioteca in cui, accanto ai volumi, voleva fosse creato un antiquarium in cui collocare antiche erme di poeti, filosofi e uomini illustri. A tale scopo, Ligorio delegò Alessandro de' Grandi, agente degli Este a Roma, alla ricerca di diciotto busti. Notizia di tali materiali è riportata in alcuni dei codici di Ligorio oggi conservati a Torino e recentemente editi per cura della Venetucci (Libri degli antichi eroi e uomini illustri, XLIV-XLVI, cod. J a. II. 10).
Le cinque erme ravennati raffigurano Milziade, in due versioni con epigrafe greca e latina e senza epigrafe, il tipo detto Dionysos-Platon, Epicuro e Carneade. Di tre dei busti (i due di Milaziade e quello di Epicuro, che Pirro Ligorio individuava come di Aristide o Temistocle) sappiamo, da una lettera inviata dal de' Grossi al duca Alfonso II nel 1571, che erano state rimesse in luce poco tempo prima sul Celio e concesse all'antiquario da Ippolito d'Este per il progetto ligoriano dello studiolo ferrarese (vd. B.P. Venetucci in Studi di Memofonte, V, pp. 66-67); degli altri due non conosciamo la provenienza.
Gli studi condotti dal Frêl negli anni '60 del Novecento (Felix Ravenna, s. 3, nn. 48-49, pp. 5-17), hanno permesso di individuare in tutte le erme ravennati, tracce di rilavorazione e di mastici cinquecenteschi, fornendo così una ulteriore prova per escludere in modo tassativo l'ipotesi che questo singolare ritrovamento avvenuto lungo la costa dell'Adriatico possa essere riferito a un relitto affondato nell'antichità.

Speciale Musei e acque - pag. 16 [2012 - N.43]

Realizzare poli archivistici intesi non come magazzini ma come istituti di conservazione di tipo nuovo

Stefano Vitali - Soprintendente Archivistico Emilia-Romagna

Di "poli archivistici" locali o regionali così come di "archivi della città" o di "città degli archivi" si parla da tempo, anche se non è sempre ben chiaro se con tali espressioni ci si riferisca semplicemente a depositi di dimensioni più o meno cospicue in grado di ospitare documentazione appartenente a più soggetti o a vere e proprie istituzioni archivistiche di nuovo tipo.

La maggiore popolarità che questa tematica si è conquistata recentemente è l'effetto della penuria di risorse che affligge il mondo degli archivi a fronte di una sempre maggiore necessità di spazi in grado di ospitare la crescente produzione documentaria. Si è invece un po' smarrita, negli ultimi tempi, la proposta culturale che animava i primi progetti formulati quasi un ventennio fa e che intendevano rappresentare un ripensamento del modello istituzionale, centrato sulla rete degli archivi di stato, attorno al quale si è andata configurando la conservazione del patrimonio archivistico dopo l'Unità. Tale ripensamento prendeva atto dello sviluppo, nella seconda metà del Novecento, di un diverso modello conservativo di natura policentrica, emerso, più che da un consapevole disegno istituzionale, da spontanee dinamiche sociali e culturali e caratterizzato da una diffusa disseminazione sul territorio di luoghi-istituti di conservazione pubblici e privati. Con la crisi di risorse e di prospettive politico-culturali, che ha investito negli ultimi dieci anni l'Amministrazione archivistica statale, gli stessi archivi di stato periferici, perdendo la centralità istituzionale e culturale che avevano nel passato, sono diventati una fra le molte componenti di questo nuovo modello di conservazione. Più che dall'appartenenza a una rete nazionale governata dal centro, la loro identità si definisce sempre più in ambito locale mentre l'efficacia della loro azione è direttamente proporzionale alla capacità di rispondere alle esigenze del territorio e di stringere legami con le istituzioni politico-amministrative e culturali che in esso operano.

Non esistono dubbi sui positivi effetti del policentrismo per la ricchezza, diversificazione e pluralità delle iniziative di conservazione, di valorizzazione, di promozione e di coinvolgimento di un pubblico di tipo nuovo. Non ne possono però ignorare alcuni limiti non solo in termini di possibile o effettivo spreco di risorse, di duplicazione di iniziative e di tendenziale abbassamento del livello qualitativo della produzione e dell'offerta culturale, causata dalla fragilità delle strutture che se ne fanno carico, ma soprattutto per il rischio che il policentrismo assuma le forme di una frammentazione sempre più esasperata e scarsamente motivata da ragioni storiche o culturali o dalla natura della documentazione conservata, una frammentazione che è disorientante per gli utenti e che impedisce una oculata gestione della conservazione e dell'iniziativa culturale.

Che "il policentrismo va[da] (...) in qualche modo "governato", se si vuole soddisfare le attese del pubblico nei confronti di ottimali servizi culturali", lo sosteneva già Isabella Zanni Rosiello nella I Conferenza Nazionale degli Archivi nel 1998. Governare il policentrismo significa sviluppare azioni di coordinamento fra le istituzioni archivistiche, ma oggi significa anche adoperarsi a contenere e a ricomporre il frazionamento conservativo, soprattutto quando ha scarse radici storiche e quando avrebbe invece forti motivazioni culturali la convergenza all'interno di un'unica istituzione archivistica delle fonti che documentano, nel loro complesso e con accentuati caratteri sistemici, la storia di una città o di un territorio: basti pensare agli archivi comunali o a quelli provinciali e di stato presenti in una stessa città o a istituti culturali affini che conservano la medesima tipologia di documentazione.

È innegabile che tale ricomposizione sia un'impresa complessa, da molteplici punti di vista, non ultimo quello giuridico-istituzionale. Essa può realizzarsi solo se sostenuta da una diffusa volontà politica, perseguita costruendo accordi, intese, collaborazioni fra stato, regioni, province, comuni e soggetti privati con l'obiettivo di creare poli archivistici intesi non come semplici, per quanto capienti magazzini, ma come istituti di conservazione di tipo nuovo. Il quadro istituzionale all'interno del quale sviluppare una simile iniziativa esiste già ed è l'accordo stipulato nel febbraio 2010 fra il MIBAC e le Regioni per la costituzione del Sistema archivistico nazionale che prevede all'articolo 3 la costituzione di tali poli. Purtroppo in moltissime realtà tale accordo è rimasto sulla carta così come sono rimasti sulla carta i Comitati di Coordinamento Regionali, che ai sensi dello stesso articolo dovrebbero essere istituiti su impulso delle Regioni.

Non c'è dubbio che questa inerzia sia oggi estremamente negativa e sia un'ulteriore conferma di come solo un'iniziativa dal basso, che contrasti le mai sopite tentazioni neo-centraliste, statali e regionali, possa offrire una prospettiva concreta ai poli archivistici.


Speciale Sistemi Culturali Locali - pag. 16 [2012 - N.45]

Al Museo Francesco Baracca di Lugo storie straordinarie di oggetti di trincea riciclati nell'uso quotidiano

Bruno Zama - Curatore della mostra "Dalla guerra alla Pace"

Per la prima volta in Italia, il Museo lughese accoglie l'esposizione tematica di riutilizzi, trasformazioni e ricicli per uso quotidiano di materiale bellico inerte della Grande Guerra, che comprende pezzi ormai divenuti unici al mondo, a quasi cento anni dall'inizio della prima guerra mondiale. Curatori della mostra sono Bruno Zama e Angelo Nataloni che, oltre alle loro collezioni, espongono i migliori pezzi di Mauro Calderoni, Enrico Venturi, Sergio Donati, Maurizio Manfroi, Mirko Crepaz, Paolo Taroni.
Si tratta ad esempio di una bicicletta da bersagliere dispersa nel fango, raccolta, pulita e riciclata per portare la famiglia in gita; elmetti riutilizzati e trasformati in scaldini e molto altro; involucri inerti di bombe a mano in calamai, lampade ad olio, candelabri; bossoli in vasi di fiori, alambicchi, fermaporta, borse per l'acqua calda, lampade, caraffe, recipienti, giocattoli, impugnature per utensili agricoli o artigiani. E ancora: divise modificate e riutilizzate nella vita quotidiana; filo spinato dei reticolati trasformato in crocifissi, fruste "sbattiuova", legacci per l'agricoltura; coperchi di gavette in grattugie; scatolette alimentari in posacenere, o piccoli colini; baionette in normali coltelli da cucina o cacciaviti. Inoltre, grazie alla raccolta del collezionista Roberto Zalambani costituita da giornali, libri e riviste europee del periodo 1912-1922, si ha disposizione un'occasione unica per sfogliare la stampa originale del periodo.
Il visitatore vedrà anche pezzi rari che si sono salvati dalle fonderie, quando per esempio montanari divenuti "recuperanti", nel primo dopoguerra, vendevano tutto ciò che era rimasto sul campo di battaglia. Perché i metalli erano venduti alle fonderie, l'esplosivo veniva riconsegnato all'esercito o utilizzato in cave, il legno delle casse di munizioni arso nei focolari: non si buttava via nulla, e soprattutto era necessario bonificare al più presto i terreni che sarebbero dovuti diventare nuovamente produttivi per gli sfollati rientranti. A dir la verità già i soldati avevano cominciato a creare, per se stessi o per altri, oggetti e souvenir (ad esempio frequenti erano i bossoli di piccolo calibro decorati con incisioni, o piccoli capolavori di accendini, tagliacarte, penne e addirittura giocattoli ricavati da munizionamenti e cartucce) in previsione del ritorno a casa.
E proprio il ritorno alla vita civile accelerò esigenze e fantasia. Fu così che questi pezzi furono trasformati non più al fronte, ma da artigiani, agricoltori, massaie e ragazzini che si misero a riciclare ciò che la guerra aveva abbandonato sui campi di battaglia, facendo di necessità virtù: vi era un'esigenza disperata di tutto per ripartire, e quando si è poveri l'ingegno riesce a supplire alle infinite carenze. Così, molti di quegli oggetti ritrovati furono modificati per ciò che occorreva; oggetti nati per uso bellico divennero protagonisti nella vita civile e magari gioiosa della quotidianità. Ironia della sorte, i materiali che la guerra tolse, la guerra restituì.
In un mondo povero in partenza e pesantemente provato dalla guerra, il meglio della produzione industriale era rimasto abbandonato sulle vette alpine, e allora se la massaia non sapeva come scolar la pasta... pronti, da un elmetto si toglie l'interno in cuoio, con cui magari si risuolano le scarpe, si fora il guscio con una piccozza militare ed ecco un bellissimo ed indispensabile scolapasta! Gli stessi elmetti furono impiegati anche come secchi per raccogliere la frutta o per seminare, come imbuti, come vasi da notte, come nidi, come pentole per cuocere le castagne, come coprivivande, mestoli, crogiuoli, oppure in cima ai comignoli come coperchio su alcuni mattoni, per abbeverare gli animali da cortile, per coprire il palo del pagliaio affinché l'acqua non lo bagnasse inumidendo poi la paglia; addirittura trasformati in offertori per raccogliere le elemosine in chiese danneggiate, o in lavandini di fortuna, o ancora impiegati per svuotare i pozzi neri. Le matasse di fili del telefono venivano riusate invece per fare ciabatte, per impagliare le sedie, fiaschi e damigiane. La fantasia non aveva limiti ed ecco quindi borracce trasformate in borse termiche o addirittura in chitarre, granate divenute lampade o pestelli e tanti altri oggetti che vale davvero la pena di vedere.
La mostra, organizzata dal Museo Baracca, dall'Associazione La squadriglia del Grifo e dall'Unuci di Lugo, con il contributo del Lions Club International e la collaborazione dell'Associazione di recuperanti "Il Piave", è visitabile fino al 28 aprile 2013.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 16 [2013 - N.46]

La candidatura di Ravenna a capitale europea della cultura rappresenta un'occasione per il territorio romagnolo

Claudio Leombroni - Responsabile Sistemi informativi e Reti della conoscenza

I criteri generali di selezione per gli anni 2007-2019 delle città capitali europee della cultura sono sostanzialmente due: la dimensione europea del programma di iniziative e la sua focalizzazione sulla città, il territorio circostante e i cittadini, nonché l'inserimento 'durevole' delle iniziative nel programma di sviluppo culturale e sociale della città. Una città attrattiva e partecipativa, dunque, ma anche capace di concepire una programmazione culturale non occasionale.
Tali criteri consentono d'acchito due considerazioni. La prima è che nel caso ravennate il 'territorio circostante' della città candidata coincide con quello romagnolo. Si tratta di una configurazione estesa, ma fondata su un dato socio-culturale percepibile: la Romagna può essere interpretata come pluralità di città o come 'città diffusa'. Tale, almeno, può essere la percezione della dimensione urbana del cittadino romagnolo nell'epoca delle reti e tale, ad esempio, è la percezione dello spazio da parte dell'utente della rete bibliotecaria. La seconda considerazione è che questa dimensione urbana dilatata, unita alla dimensione cittadina tout court, può essere utilmente intersecata con le prospettive della 'città creativa' e del 'distretto culturale'. È proprio in questa intersezione che possiamo cogliere appieno il contributo degli istituti culturali romagnoli al progetto di candidatura.
Sull'idea e sulla prassi di città creativa si scrive ormai da anni, in particolare da quando Richard Florida ha avanzato la discussa tesi (The rise of the creative class, New York, Basic Books, 2002) che la competizione urbana non si fonda più sui bassi costi delle infrastrutture o della mano d'opera quanto piuttosto sulla capacità di attrarre lavoratori creativi: quella classe creativa capace di produrre investimenti e crescita economica. A differenza della categoria putmaniana di capitale sociale, la creatività floridiana collega i profili propulsivi della crescita alla attrattività e apertura delle città più che ai legami comunitari. In altre parole città tolleranti, aperte alle novità, inclusive, dotate di infrastrutture per la cultura, per la vita sociale e l'interazione quotidiana sono in grado di attrarre talenti e di generare la crescita dei territori. Le cinque tracce del progetto di candidatura da questo punto di vista connotano un habitat creativo interessante.
Le condizioni fondamentali per la crescita di una città sono individuate da Florida nelle "3 T" (Talento, Tecnologia e Tolleranza). Sulla base di questi fattori sono costruiti degli specifici indici di creatività: numero di esponenti della classe creativa, loro incidenza sul totale della forza lavoro e percentuale di abitanti con titolo di studio superiore (Talento); presenza e incidenza di industrie del settore ICT, disponibilità di banda larga ecc. (Tecnologia); incidenza della popolazione straniera sul totale dei residenti e loro integrazione, tolleranza nei confronti dei diversi stili di vita (Tolleranza). Nel 2005 Florida e Irene Tinagli definirono l'indice di creatività italiano (R. Florida, I. Tinagli, L'Italia nell'era creativa, Milano, Creativity Group Europe, 2005). Ne risultò un'ottima posizione per le tre province romagnole: Rimini al nono posto, Ravenna al quindicesimo e Forlì-Cesena al ventiquattresimo. Le città romagnole condividono quindi anche un habitat creativo che avvalora ulteriormente la condivisione del progetto di candidatura. Vale la pena precisare che biblioteche, archivi e musei e le loro configurazioni di rete o sistemiche sono uno degli elementi che favoriscono un ambiente creativo.
Le teorie di Florida hanno suscitato molte discussioni: basti solo pensare alle critiche al rapporto causale fra creatività e crescita economica avanzate da Jamie Peck o a Allen J. Scott. In questa sede, tuttavia, ci interessa evidenziare come le città della Romagna siano interconnesse anche da un ambiente creativo oltre che da ragioni storiche, sociali, culturali o più prosaicamente da servizi di area vasta. Potremmo utilizzare anche il concetto di 'mosaicizzazione' proposto alternativamente da Scott (Creative cities: conceptual issues and policy questions, "Journal of Urban Affairs", 28 (2006), n. 1, p. 1-17), ma ai fini del nostro ragionamento sarebbe un'ulteriore conferma. Anzi, interpretare la realtà urbana romagnola in termini di mosaicizzazione, ossia di aree metropolitane connesse in rete (competitive o complementari) significa comunque individuare un più sofisticato tessuto connettivo consentaneo con molte delle cinque tracce del progetto di candidatura.
Su questa base si possono immaginare processi di sviluppo culture-driven, ma non è peregrino immaginare anche un distretto culturale romagnolo, dove i processi culturali siano strumenti di produzione di valore in quanto integrati/integrabili con altri settori del territorio o dei sistemi locali. Dobbiamo essere consapevoli − e gli studi di Pier Luigi Sacco lo dimostrano − che il ruolo della cultura diventerà sempre più di tipo sinergico-abilitante, ossia fornirà ad altri comparti del sistema produttivo contenuti, strumenti e creatività. Soprattutto, fornirà valore aggiunto in termini di valore simbolico e identitario. Da questo punto di vista il progetto di candidatura dovrebbe porsi l'obiettivo di consolidare un distretto culturale e in questo ambito archivi, biblioteche e musei non possono non essere asset essenziali.

Ravenna 2019 - pag. 16 [2013 - N.47]

La rete museale di Forlì, con il fulcro al San Domenico, investe sugli aspetti più innovativi della creatività

Cristina Ambrosini - Dirigente Servizio Pinacoteca e Musei Comune di Forlì

Il progetto di restauro del San Domenico di Forlì, antico convento, poi sito militare e ora complesso museale di proprietà comunale, nasce contestualmente al piano che definisce il nuovo sistema delle istituzioni culturali e dei relativi contenitori. Si tratta di un'operazione culturale integrata che, partendo da una idea di riorganizzazione degli istituti culturali, ha saputo individuare nel territorio i contenitori più adatti, definire una gerarchia di priorità e passare all'azione.
La realtà museale forlivese presenta una complessità di nuclei già ampiamente storicizzati, costituiti in buona parte nell'Ottocento e accresciuti grazie alle numerose donazioni di privati cittadini. Negli anni si è cercato quindi di creare una rete museale cittadina che, includendo le diverse sedi museali, avesse un nucleo centrale al San Domenico, destinato a divenire il fulcro della vita cittadina forlivese.
Dopo il restauro negli spazi disponibili al primo piano viene subito trasferita, dal Palazzo del Merenda, una prima parte di opere della Pinacoteca Comunale. Qui viene inoltre collocata, in una sala apposita, la sala ovale, l'Ebe, celebre opera dello scultore Antonio Canova, massimo esponente del neoclassicismo. La parte restante della Pinacoteca civica esposta al Merenda - in particolare la quadreria Piancastelli e i quadroni seicenteschi - attende ancora un progetto di riallestimento, che potrà attuarsi non appena ultimato il restauro della chiesa di San Giacomo, destinata a ospitare le mostre temporanee.
Attuando forme di collaborazione con la Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì sono state organizzate a partire da dicembre 2005 mostre di grande rilevanza per qualità e quantità delle opere e per il successo di pubblico. Fra le altre Marco Palmezzano. Il Rinascimento nelle Romagne, Melozzo da Forlì. L'umana bellezza tra Piero della Francesca e Raffaello, Wildt L'anima e le forme tra Michelangelo e Klimt, Novecento: Arte e Vita in Italia fra le due guerree la prossima in programma da febbraio 2014 Liberty. Uno stile per l'Italia moderna.
Ciò ha stimolato Forlì a credere maggiormente nella sua vocazione di città d'arte e di cultura, investendo in modo crescente sulle attività e sui contenitori culturali nonché sugli aspetti più innovativi della creatività.
Ha preso avvio una stagione di esposizioni e iniziative che permettono ai forlivesi, e non solo, di vivere il San Domenico anche al di fuori dei momenti dedicati alle grandi mostre, con proposte che includono mostre di approfondimento sulle collezioni permanenti (fino al 6 gennaio è visitabile la mostra archeologica Santarelli, Mambrini, Aldini. Curatori delle antichità), visite guidate, concerti aperitivo, laboratori didattici e animazioni per famiglie, ad esempio il Festival dei Bambini, in programma il 4 e 5 gennaio prossimo, un intero fine settimana dedicato ai più piccoli.
Dal nuovo anno l'offerta museale forlivese verrà arricchita con l'apertura di Palazzo Romagnoli, collocato nel cuore della città storica, a due passi dal San Domenico: sarà la sede delle collezioni civiche del Novecento. Troveranno qui collocazione i Morandi della Donazione Righini, le sculture di Wildt legate alla figura di Raniero Paulucci de Calboli e una selezione di opere pittoriche e plastiche rappresentative del vasto e composito patrimonio novecentesco forlivese.
Nel Palazzo sarà finalmente riconsegnata alla città la collezione Verzocchi, che, nata dalla volontà di un affermato imprenditore d'origine forlivese e donata al Comune di Forlì nel 1961, raccoglie opere di artisti italiani di generazioni diverse e di diverse tendenze artistiche, da Guttuso a Donghi, da Vedova a De Chirico, uniti da uno stesso filo conduttore: Il Lavoro. L'apertura di questa nuova sede espositiva sarà anche l'occasione per testare i nuovi strumenti di comunicazione e di rapporto con il pubblico messi in campo in questi mesi, newsletter, pagina facebook, questionari di customer satisfation e naturalmente il sito web, che verrà rivisto e aggiornato.
Diffusa è l'esperienza di chi, pur disponendo di uno o più musei nella città, nelle frequentazioni di luoghi di quotidiana familiarità , non ne avverte così naturalmente il richiamo, eppure essi tanto da raccontare e da donare al nostro presente, garbati compagni di un viaggio nel cuore della bellezza e dell'arte. Autenticità e intensità di questo singolare viaggio, pur nelle oggettive difficoltà economiche del tempo presente, sono le basi su cui Forlì punta per un rinnovato dialogo con cittadini e visitatori.

Speciale Musei di Romagna - pag. 16 [2013 - N.48]

Il Museo della Vita contadina in Romagna di San Pancrazio inaugura il nuovo allestimento
Le origini del Museo di San Pancrazio risalgono al 1967,quando, nell'ambito di una attività di ricerca sulla civiltà materiale promossa dalla locale scuola elementare, si costituì il primo nucleo documentario relativo agli oggetti di lavoro e della casa contadina, denominato Raccolta Etnografica. Il primo nucleo della collezione, ospitato in alcuni locali della scuola elementare di San Pancrazio, si è negli anni notevolmente arricchito e sono state avviate, ai fini di valorizzazione e promozione della raccolta, attività didattiche rivolte alle scolaresche,fino ad arrivare al 1994, quando la Raccolta fu trasformata, grazie alla Associazione Culturale La Grama di San Pancrazio che tutt'ora gestisce il Museo tramite una convenzione con il Comune di Russi, in Museo, inserito nel Sistema Museale Provinciale,cambiando denominazione da Raccolta Etnografica Romagnola a Museo della Vita Contadina in Romagna. Il Museo rappresenta oggi un'importante risorsa culturale ai fini della valorizzazione e della trasmissione della cultura e delle tradizioni locali; la stessa sede, finanziata con risorse pubbliche e realizzata ex novo nell'anno 2009, simboleggia il valore che il Comune di Russi ha attribuito alla collezione che oggi, con il nuovo allestimento, ha acquisito una fisionomia precisa e ben delineata.
Il percorso progettuale ha fornito spunti di riflessione partendo dal concetto ormai consolidato di "smaterializzazione" degli oggetti a favore di supporti multimediali che hanno contribuito alla creazione di una dimensione emotiva e suggestiva del percorso espositivo,partendo dal presupposto di una più ampia valorizzazione della cultura locale e dei suoi elementi distintivi e caratterizzanti come le tradizioni, i simboli, i costumi e le credenze. Presupposto di base è stato quello della fruibilità sempre più ampia del patrimonio etno-antropologico locale e della scoperta di nuovi linguaggi e strumenti per la trasmissione di saperi che pongono i visitatori di fronte ad un processo di conoscenza di una cultura portatrice di elementi e caratteri così peculiari. Con il nuovo allestimento, la cui cura scientifica è stata affidata a Mario Turci, sono stati ricollocati gli oggetti della collezione a seguito di una cernita dove si sono esclusi gli oggetti meno significativi a favore di quelli a più stretta valenza simbolica.
Seppure la funzione del museo non si realizza esclusivamente nella fase espositiva, perché la pratica museale vede il delinearsi di plurime funzioni (conservazione, catalogazione, restauro, ricerca e valorizzazione), il momento di "mostrare" precede ogni altro aspetto. Il percorso espositivo evidenzia così i complessi aspetti di una realtà storica e culturale ed è, per sua stessa natura, uno strumento selettivo. Il progetto del Museo di San Pancrazio si sviluppa attorno a quella centralità identitaria del mondo contadino che si esprime nella casa rurale: la casa è il centro "esistenziale" della famiglia contadina; la cura della famiglia e della prole, la sussistenza economica e le tradizioni alimentari e gastronomiche, i riti di
passaggio, la festa, l'incontro tra le generazioni, la narrativa e la fiaba, ne fanno il luogo percepito come centrale e generativo del rapporto con il mondo.
Il percorso di visita sviluppa nel visitatore la percezione di informare e provocare al contempo sorpresa e stupore, attraverso sequenze visive che lasciano un senso di attesa e di progressiva scoperta. Nel Museo ogni presenza assume, in quanto "musealizzata", la funzione di simbolo, di indizio di una storia già avvenuta, di un fenomeno già consumato.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 16 [2014 - N.49]

Coinvolgimento, proposte speficiche e contaminazioni dai "luoghi relazionali" della Riviera Adriatica

Valentina Ridolfi - Comitato Artistico Organizzativo di Ravenna 2019 Comune di Rimini

La partecipazione del Comune di Rimini al percorso di candidatura di Ravenna a Capitale europea della Cultura del 2019 si è sviluppata in maniera strettamente interrelata alle politiche culturali dell'amministrazione comunale e al lavoro del Piano Strategico di Rimini, che rappresenta uno strumento di riferimento basilare per il governo del nostro territorio nei diversi ambiti tematici, cultura inclusa. Quando, nel 2010, Rimini ha aderito al Comitato promotore di Ravenna 2019, si stava compiendo la prima fase di elaborazione del Piano strategico, strumento che, nel nostro caso, è stato realizzato in maniera comunitaria con il coinvolgimento attivo di una settantina di associazioni provinciali del tessuto economico, sociale e culturale. In particolare, il supporto alla candidatura di Ravenna si è inserito all'interno delle attività del Gruppo di lavoro Cultura del Piano Strategico, che ha operato in stretto raccordo con l'Assessorato alla Cultura del Comune collaborando progressivamente a tre tipologie di azioni: la realizzazione delle iniziative condivise con Ravenna e la Romagna, l'elaborazione di alcune proposte culturali specifiche, la partecipazione a un tavolo di lavoro interterritoriale con le altre città della Romagna.
Tra gli eventi comuni, si ricordano il "Treno della Cultura", progetto attuato in collaborazione con diverse scuole della Romagna nell'ottobre del 2012, la partecipazione ai diversi calendari di "Prove Tecniche" con proposte di enti e associazioni del territorio riminese, la partecipazione ad "Agorà", l'organizzazione della camminata della primavera 2014 per "You'll never walk alone. La Romagna in cammino verso il 2019" e la partecipazione al calendario di iniziative denominato "What if Romagna" nel giugno 2014.
Parallelamente, le proposte culturali elaborate da Rimini per Ravenna 2019 sono state progressivamente messe a punto e approfondite, nel costante confronto con il Comitato artistico organizzativo di Ravenna 2019, per confluire nel primo dossier di candidatura e verranno ulteriormente perfezionate nei prossimi mesi per il bid book definitivo.
Contestualmente, il tavolo di lavoro interterritoriale con le altre città della Romagna ha operato per delineare una matrice progettuale che incrociasse le tematiche peculiari della singole città delineando un piano-guida culturale integrato della Romagna in vista del 2019. Un piano capace di valorizzare le vocazioni più proprie di ciascun territorio aprendole a diverse "contaminazioni" da parte delle altre realtà.
Il contributo specifico che Rimini ha portato alla candidatura riguarda il tema dei luoghi della città come luoghi di incontro e di relazione, con particolare riferimento alla dimensione della contemporaneità che da sempre caratterizza Rimini e la sua offerta culturale e turistica. L'obiettivo del percorso di progetto è quello di creare un rapporto fluido tra contenitori culturali valorizzati come luoghi di relazione e luoghi non culturali "rivitalizzati", in maniera permanente o temporanea, grazie alle relazioni che la cultura contemporanea può creare.
Tale proposta si traduce in due linee progettuali: la prima è incentrata sul valore relazionale dei luoghi tradizionali della cultura e dell'heritage (come biblioteche e musei), la seconda prevede un grande happening europeo sul tema della cultura temporanea e dei rapporti tra creatività e spazi urbani non convenzionali. Una sorta di prima prova in nuce di questo secondo progetto è la Opening night dell'iniziativa "Fluxus", realizzata per celebrare i 2000 anni del ponte di Tiberio nell'ambito del programma di "What if Romagna".
Una terza linea progettuale sempre dedicata al tema dell'incontro e dello scambio è rappresentata dal progetto di "Mostra degli Artisti Europei in Emilia-Romagna" che si svolgerà nel 2019 tra Rimini, Forlì e Ravenna e spazierà dall'arte antica fino alle molteplici espressioni della contemporaneità.
Per quel che concerne, infine, la matrice progettuale interterritoriale, Rimini vi concorre, oltre che con il proprio tema specifico dei luoghi relazionali, con alcune proposte di progetto che si intersecano con i temi proposti dalle altre realtà della Romagna: dall'agri-cultura alle competenze culturali, dalla cultura del ben-essere alla valorizzazione dei patrimoni culturali, materiali e immateriali, delle nostre preziose aree interne.


Ravenna 2019 - pag. 16 [2014 - N.50]

Una sintesi dell'intervento tenuto il 2 ottobre al convegno "Il riuso dei contenuti digitali dei beni culturali"

Giuseppe Abbamonte - Direttore Media e dati DG CONECT Commissione Europea

Il digitale è fonte di nuova vitalità per il nostro patrimonio culturale. Grazie alla digitalizzazione sono sviluppati nuovi strumenti di cura, preservazione e restauro del patrimonio. Il digitale amplifica inoltre le opportunità di accesso e di utilizzo dei beni culturali.
Uno degli aspetti più affascinanti offerto dalle tecnologie digitali è la possibilità d'interazione. Digitalizzare una collezione non significa soltanto riprodurla, ma anche permettere nuove possibilità di studio, scambio di opinioni, e coinvolgimento dei cittadini. La digitalizzazione permette di adattare con più efficacia i contenuti storici e culturali alle sensibilità e ai bisogni di oggi. Ciò è particolarmente interessante per settori quali il turismo, l'educazione e il tempo libero. Grazie ad essa, tutti possono avere accesso a contenuti culturali, senza limiti di spazio o di tempo. Non solo, ognuno di noi può generare, riutilizzare e valorizzare le collezioni culturali disponibili in rete attraverso la condivisione delle proprie conoscenze ed esperienze. Le implicazioni socio-culturali di un accesso più ampio al patrimonio culturale sono significative.
La Commissione Europea promuove la digitalizzazione, il libero accesso e il riutilizzo dei contenuti culturali, anche attraverso il finanziamento di progetti di ricerca e innovazione. La Commissione finanzia inoltre Europeana, il portale europeo della cultura. Si tratta di uno spazio virtuale che offre una visione d'insieme sulla cultura europea attraverso i secoli. Grazie ai fondi del programma europeo CEF (Connecting Europe Facility), Europeana andrà oltre la sua funzione di punto di accesso ai contenuti digitali di musei, archivi e biblioteche europee. Diventerà infatti una piattaforma con servizi specializzati per istituzioni, creatori di contenuti e per tutti gli amanti della cultura. Una piattaforma che offrirà a tutti la possibilità di conoscere e vivere la cultura dei paesi europei, che fornirà supporto alle istituzioni culturali che intendono mettere a disposizione i loro contenuti e aiutare le industrie creative a sviluppare prodotti culturali.
I contenuti accessibili attraverso Europeana devono aumentare. È difficile capire e giustificare perché, ancora oggi, molti importanti musei, gallerie, biblioteche e archivi non abbiano messo a disposizione i loro contenuti digitali attraverso il portale. Le istituzioni culturali che l'hanno già fatto hanno beneficiato di un aumento di visibilità e del potenziale numero di visitatori virtuali e fisici. Queste istituzioni hanno capito che il patrimonio digitale rappresenta un universo straordinariamente dinamico e interattivo. Le loro collezioni digitali sono gratuite e aperte a chiunque. Le opere sono presentate in un modo innovativo. È possibile consultare fonti diverse allo stesso tempo. Si possono ottenere informazioni su opere della stessa epoca presenti in paesi diversi e scoprire nuovi capolavori. Si possono aggiungere immagini, utilizzarle in modo creativo, creare mostre personali e condividere storie su blog interattivi. Mi rammarico del fatto che l'Italia non sia all'avanguardia nello sforzo di digitalizzazione del patrimonio culturale. L'Italia è il paese con il maggior numero di siti dichiarati dall'UNESCO patrimonio dell'umanità e che ospita la metà delle opere d'arte del mondo. Tuttavia solo il 10% del nostro patrimonio è stato digitalizzato e solo una piccola parte di esso è accessibile via Europeana. Inoltre, la qualità delle immagini digitali non è sempre alta. Eppure, il potenziale - anche economico - della digitalizzazione del patrimonio culturale è evidente. L'Italia è la quinta destinazione turistica a livello mondiale. I dati confermano che il turismo culturale rappresenta circa il 40% dell'intero settore. La digitalizzazione e le tecnologie digitali - come realtà virtuale, 3D, musei interattivi - possono attrarre nuovi visitatori nei musei e luoghi culturali, permettendo di scoprire tesori culturali nascosti, magari lontani dalle destinazioni turistiche più popolari.    
Tutte le istituzioni culturali italiane dovrebbero perciò riconoscere nella digitalizzazione una grande opportunità. La digitalizzazione di opere culturali dovrebbe essere una delle attività centrali di tali istituzioni. Il potenziale che ne deriva in termini di visitatori disposti a vedere le opere dal vivo non va sprecato. Questo è del resto uno dei messaggi-chiave nella Presidenza italiana dell'UE in ambito culturale, che condivido appieno.
È chiaro che la digitalizzazione e l'acquisizione di nuove tecnologie hanno un costo non indifferente. Di fronte a tale sfida, gli istituti culturali si trovano a sperimentare nuove modalità di finanziamento. Il crowdsourcing e la sponsorizzazione hanno riscontrato successo nel campo delle attività di restauro o nell'organizzazione di mostre. Grazie alla generosità di società come Philips e di Telefonica, il Rijksmuseum di Amsterdam e la Biblioteca Digitale Nazionale Spagnola sono riusciti a offrire online le loro collezioni digitali. Anche l'Europa fa la sua parte. Grazie ai fondi strutturali europei, la digitalizzazione del patrimonio culturale ha fatto progressi in alcune regioni italiane, oltre che in paesi come la Lituania, la Grecia e la Slovacchia.
L'avvento del digitale ridefinisce il ruolo e le modalità di essere custodi del patrimonio culturale. È nostro dovere avvicinare sempre più persone al patrimonio culturale europeo italiano. Le istituzioni culturali europee e italiane debbono pertanto attivarsi maggiormente per sfruttare le opportunità offerte in tale senso dal mondo digitale, come Europeana. Un accesso più ampio alla cultura e maggiore visibilità per il patrimonio culturale europeo sono del resto gli obiettivi-chiave che devono guidare il nostro lavoro, sia nel mondo analogico che in quello digitale.


Le opinioni espresse dall'Autore sono a titolo personale e non rappresentano necessariamente quelle della Commissione


Appunti dai convegni - pag. 16 [2014 - N.51]

La sintesi dell'intervento presentato a Ferrara l'8 maggio al convegno "Museo e comunità" organizzato da ANMLI

Giuliano Volpe - Presidente del Consiglio Superiore 'Beni culturali e paesaggistici' del MiBACT

Il mondo dei beni culturali in Italia è in movimento. I gravissimi problemi relativi ai drammatici tagli alle risorse e al personale e al blocco del turn over non sono ancora risolti, ma si respira un'aria nuova. La riforma del MiBACT voluta dal ministro Franceschini, nonostante i problemi e le tante critiche, apre nuovi spiragli e opportunità, grazie a un maggiore equilibrio tra tutela e valorizzazione, due attività tra loro fortemente intrecciate cui si attribuisce finalmente pari dignità, in particolare con la nuova centralità assegnata alla gestione dei musei e dei luoghi della cultura. In questo senso va il progetto di dar vita finalmente a un Sistema museale nazionale, con poli museali regionali e una rete di grandi musei dotati di autonomia amministrativa e gestionale.
La principale delle innovazioni riguarda una diversa considerazione della valorizzazione, da molti ancora oggi equiparata a una bestemmia, a una forma di volgarizzazione e contaminazione della 'purezza' della cultura. Si tenta, finalmente, di avviare una vera e propria 'rivoluzione copernicana': guardare, cioè, al patrimonio culturale con gli occhi dei cittadini, dei visitatori, degli utenti e non solo con quelli dei funzionari, dei soprintendenti, dei professori, degli specialisti. È un po' come, nella Scuola e nell'Università, guardare alla formazione con gli occhi degli studenti e non solo con quelli dei docenti.
Parlare di valorizzazione significa, infatti, soprattutto affrontare il tema del rapporto con i cittadini. I continui richiami al patrimonio culturale come 'bene comune' hanno spesso, infatti, il sapore della retorica. Lo straordinario articolo 9 della nostra Costituzione, al quale si fa giustamente continuo riferimento, andrebbe applicato in tutte le sue parti e non solo nella seconda, quella che afferma un principio fondamentale, cioè che la Repubblica "tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione". Va recuperata anche la prima parte: "La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica". Nel dettato costituzionale si lega strettamente la tutela alla promozione della cultura, cioè a quella che oggi chiamiamo 'valorizzazione', una parola che nel 1947 non era ancora parte del vocabolario italiano dei beni culturali.
Una grande innovazione riguarda la comunicazione, che non andrebbe intesa come una sorta di concessione paternalista fatta dalle vestali della cultura al volgo, ma come un'azione necessaria e pienamente coerente con il significato reale della tutela e della valorizzazione. Un dovere, cioè, per mantenere viva la memoria e per rinnovare il senso del patrimonio culturale.
Quante volte capita di osservare visitatori che si aggirano spaesati nelle sale di un museo o tra un groviglio di muri di un parco archeologico? Si avverte in molti un senso di inadeguatezza, esclusi come sono dalla comprensione del significato stesso di reperti, di strutture, di siti.
I supporti didattici, quando presenti, sono il più delle volte poco chiari, concepiti per pochi, di fatto riservati solo a specialisti o a un pubblico particolarmente colto, concepiti nel tipico linguaggio 'esoterico', iper-tecnicistico, da 'addetti ai lavori'. Per non parlare di pinacoteche e musei d'arte, che, come ha denunciato anche Chiara Frugoni, "sono luoghi dove è preponderante un giudizio stilistico, che sfugge non solo al comune osservatore, ma anche a chi non sia proprio un addetto ai lavori".
 Da un lato prevale tuttora un'idea elitaria, per cui la divulgazione è considerata ancora oggi un'attività marginale, posta a un livello assai inferiore rispetto alla ricerca scientifica, dall'altro persiste una sostanziale impreparazione tecnica e culturale ad affrontare la comunicazione in maniera matura, utilizzando adeguatamente tutti gli strumenti e i linguaggi disponibili.
Servirebbe, inoltre, affermare definitivamente un approccio olistico al patrimonio culturale e paesaggistico, superando una concezione settoriale e disciplinare e considerando il paesaggio quale elemento comune, tessuto connettivo, filo unificante dei vari elementi del patrimonio culturale. Infine, è un errore continuare a contrapporre patrimonio culturale e sviluppo, perché la sfida consiste nel saper costruire nuove forme di sviluppo durevole e sostenibile grazie anche al patrimonio culturale.
Il nostro patrimonio va tutelato e conservato, ma questo dovere andrebbe attuato con la capacità dell'innovazione e il coraggio del cambiamento e non confondendo conservazione con conservatorismo.
Sono necessari una forte carica innovativa, il coraggio del cambiamento, la costruzione collettiva di un progetto che guardi al futuro e ai giovani, mentre al contrario sembrano ancora prevalere la conservazione di piccole rendite di posizione, la tendenza alla frammentazione in piccoli gruppi autoreferenziali, la chiusura difensiva in sempre più ristrette enclave, la sindrome da torcicollo che costringe molti a guardare, rimpiangendolo, solo al passato. Solo un confronto vivace e aperto può produrre quell'innovazione metodologica e teorica, le cui ricadute sarebbero importanti sia nella ricerca, sia nella formazione, sia nella gestione del patrimonio, sia nella creazione di nuove opportunità lavorative. La parola d'ordine è: 'costruiamo una alleanza degli innovatori', dovunque essi siano, prescindendo dalle appartenenze e dalle afferenze.

Appunti dai convegni - pag. 16 [2015 - N.53]

Dalla sinergia tra Bagnacavallo e Ravenna prende vita un progetto di interesse nazionale dedicato alla grafica d'arte

Diego Galizzi - Curatore della Biennale

La memoria di Giuseppe Maestri, della sua garbata umanità e del suo instancabile impegno nel promuovere a Ravenna una cultura artistica priva di stereotipi e aperta alle novità del contemporaneo, è ancora molto viva in città, e non solo tra gli amici o tra gli intellettuali e gli artisti che hanno avuto a che fare con lui. La sua opera è infatti insospettabilmente diffusa fra molti piccoli collezionisti e appassionati d'arte, tanto che possiamo dire che sono molte le case dei ravennati in cui oggi è possibile ritrovare le sue incisioni. Le ragioni di ciò vanno sicuramente ricercate nella particolarità della sua proposta, che ci racconta l'immagine fantastica di una città che ancora si rispecchia nel suo passato silente e quasi leggendario, esattamente come gli ori e i blu delle paste vitree si rispecchiavano nelle antiche acque che le facevano da contorno. È una poetica onirica e sottilmente colta, ottimistica e fresca, con un amore per il colore che non si limitava a infondere nei suoi lavori figurativi, ma lo ricercava anche nella parola, quella in dialetto, colorita e dunque irrinunciabilmente espressiva, secondo un filone profondamente radicato nella terra di Romagna.
Se ha per certi versi segnato l'ambiente culturale ravennate, Giuseppe Maestri è stato anche una figura di riferimento a Bagnacavallo, dove grazie ai suoi consigli e al suo incoraggiamento si è potuto istituire nel 1990 il Gabinetto delle Stampe Antiche e Moderne, una realtà - oggi parte delle attività del Museo Civico delle Cappuccine - che negli anni è cresciuta fino a diventare uno dei centri più riconosciuti a livello nazionale per l'incisione contemporanea.
Nasce da qui, dalla volontà di riconoscere il portato di quest'uomo di cultura e di rendergli un doveroso omaggio, il progetto del Museo delle Cappuccine di istituire, all'insegna del suo nome, una Biennale artistica dedicata al linguaggio grafico dell'incisione, e di farlo sin da subito sotto il segno di una collaborazione tra Comune di Bagnacavallo e Comune di Ravenna, affinché essa possa svolgersi, nelle sue varie articolazioni, in entrambe le città. Questo non solo per unire idealmente i due luoghi più strettamente legati all'attività di Maestri, ma anche per incentivare un percorso inter-cittadino di scambio di visitatori in un'auspicabile logica di sinergia e di integrazione delle realtà culturali del territorio. La Biennale, che vede la luce in un momento importante per Ravenna, che quest'anno si fregia del titolo di Capitale Italiana della Cultura, beneficia del Patrocinio del MiBACT, della Regione Emilia-Romagna e della Provincia di Ravenna, nonché della collaborazione di partner come la CNA Provinciale, Grafiche Morandi e la stamperia d'arte 74/B di Milano. Il comitato scientifico è composto da Ermes Baioni (incisore e collaboratore del Gabinetto delle Stampe di Bagnacavallo), Marzia Faietti (direttrice del Gabinetto Disegni e Stampe degli Uffizi, Firenze), Diego Galizzi (responsabile del Museo Civico delle Cappuccine) e Maria Grazia Marini (direttrice del MAR di Ravenna). La manifestazione si pone un orizzonte temporale proiettato verso una continuità pluriennale, e ha l'ambizione neanche troppo nascosta di diventare nel tempo uno dei principali appuntamenti artistici in Italia dedicati alla grafica d'arte.
Come si è detto, l'oggetto della Biennale è l'incisione, un linguaggio artistico di grande tradizione, sofisticato dal punto di vista tecnico e, soprattutto, ricco di grandi potenzialità espressive, anche se purtroppo oggi si può dire che sia generalmente sconosciuto ai più. L'idea di fondo è proprio quella di cercare di far uscire l'incisione da quella nicchia fatta di specialisti e di pochi conoscitori in cui pare essere relegata nel panorama artistico odierno, contribuendo alla valorizzazione e alla divulgazione del linguaggio grafico e stimolando la realizzazione di nuove opere incisorie aperte alle nuove sensibilità del contemporaneo, anche attraverso una particolare attenzione al lavoro dei giovani artisti. Alla base di quest'arte così sofisticata sta la potenza evocativa del segno, che costruisce e modella figurazioni spesso attraverso la monocromia di un unico inchiostro, altre volte per mezzo di più colori dati da una o più matrici di stampa. Proprio l'uso del colore era una delle caratteristiche più evidenti dell'opera incisoria di Maestri, per questo la Biennale è dichiaratamente aperta anche alle sperimentazioni cromatiche, in un contesto che, al contrario, rimane per lo più legato alla stampa monocroma.
L'evento principale della manifestazione è rappresentato dal 1° Premio di incisione "Giuseppe Maestri" | Ravenna #2015, che si tiene nella prestigiosa sede espositiva di Palazzo Rasponi (inaugurazione sabato 19 dicembre). Il premio è rivolto ad alcuni tra i più significativi incisori attivi nel panorama nazionale; la partecipazione avviene infatti dietro specifico invito degli organizzatori sulla base delle indicazioni fornite da esperti del settore appositamente individuati. Tra i 27 artisti che partecipano a questa edizione è possibile ritrovare diversi nomi importanti, accanto ad altri di una generazione più giovane ma che già si sono imposti all'attenzione degli addetti ai lavori per il loro talento. Ne fanno parte Ciro Agostini, Carlo Barbero, Alfredo Bartolomeoli, Federico Romero Bayter, Mario Benedetti, Sebastiano Benegiamo, Maria Pina Bentivenga, Sandro Bracchitta, Rodolfo Ceccotti, Cinzia Fiorese, Monica Franchini, Fumitaka Kudo, Stefano Luciano, Ivo Mosele, Guido Navaretti, Toni Pecoraro, Maria Rosaria Perrella, Lanfranco Quadrio, Angelo Rizzelli, Sergio Saccomandi, Andrea Serafini, Fulvio Tomasi, Giovanni Turria, Gianni Verna, Elisabetta Viarengo Miniotti, Nicola Villa e Roberta Zamboni.
Dedicato alle giovani promesse under 40 è invece il 1° Premio per giovani incisori | Bagnacavallo #2015, la cui mostra è ospitata al Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo (inaugurazione venerdì 18 dicembre). Le 56 incisioni che fanno parte della fase finale del premio sono state selezionate tra più di 140 opere pervenute, a testimonianza della grande attenzione che ha riscosso questa prima edizione del premio e del rinnovato fermento che sembra di intravvedere nelle aule delle accademie d'arte intorno al linguaggio grafico.
L'ultima sezione della Biennale, che aprirà il 27 febbraio 2016, è la mostra L'onirica navigazione. Omaggio a Giuseppe Maestri. Si tratta di una selezione di opere a tema dalle collezioni del Gabinetto delle Stampe, che verrà ospitata anch'essa nelle sale del Museo delle Cappuccine. Il tema dell'onirica navigazione è un tributo all'incisore ravennate nella prima edizione della Biennale a lui dedicata, nonché una voluta citazione del titolo dell'ultima mostra personale allestita da Maestri, proprio a Bagnacavallo, nel 2008.
Per info: www.museocivicobagnacavallo.it

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 16 [2015 - N.54]

Il genio immaginifico dell'artista russo incontra la verve narrativa di Gogol' in autunno a Bagnacavallo

Diego Galizzi - Direttore Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo

Marc Chagall è entrato nell'immaginario di molti come un artista incantatore che ci ha fatto sognare e viaggiare in un mondo privo di peso, ma acceso da colori intensi, irreali, favolistici. Tutti conoscono le sue opere pittoriche fatte di violinisti, animali ammiccanti, ebrei che si librano sui tetti... Ma quanti possono dire di conoscere la sua produzione grafica?
Si tratta certamente del suo lato meno noto presso il grande pubblico, eppure non meno importante, anzi, espressione ancor più autentica del suo straordinario genio immaginifico. Può apparire sorprendente, eppure è lo stesso Chagall a confessarcelo: "Qualcosa mi sarebbe mancato se, a parte il colore, non mi fossi impegnato, in un certo momento della mia vita, anche con l'incisione".
Quando nel 1923 l'editore francese Ambroise Vollard decise di affidare a Chagall la realizzazione del primo dei suoi grandi cicli ad incisione, quello dedicato all'illustrazione del testo di Gogol' Le anime morte, lo fece ben conscio che quell'artista di origine russa, zigomi alti, faccetta furba, "sguardo di una volpe negli occhi azzurro-cielo" (come ebbe a dire sua moglie Bella), doveva la sua notorietà essenzialmente al suo universo fatti di colori sognanti e evocativi. In quel momento Chagall accettò la sfida, intuendo che c'era spazio per annullare completamente il colore per riassumere la propria forza espressiva dentro il segno grafico, e rigorosamente monocromo, dell'acquaforte. C'era spazio, in sostanza, per inoltrarsi nel mondo dell'immaginazione a tal punto da lasciare persino il colore alla soggettiva e istintiva fantasia delle persone.
La mostra Il villaggio di Chagall. Cento incisioni da 'Le anime morte', in programma al Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo dal 17 settembre al 4 dicembre a cura di chi scrive e di Michele Tavola, è l'occasione giusta per conoscere quello che forse è il vertice assoluto della produzione grafica dell'artista russo.
Nel ciclo illustrativo delle Anime morte, composto in tutto da 107 incisioni all'acquaforte (con qualche intervento all'acquatinta) di cui 96 tavole fuori testo, la carica immaginativa e onirica di Chagall si sposa perfettamente con le infinite possibilità comunicative del linguaggio dell'incisione. Non solo, in esse risiede un incontro del tutto speciale: quello tra il genio creativo dell'uomo che ci ha fatto scoprire come si raccontano le cose con gli occhi di un bambino e la verve narrativa, a tratti caricaturale, della penna di Gogol'.
Ne scaturisce un racconto per immagini strepitoso, che attraverso le rocambolesche avventure di Cìcikov, protagonista del romanzo, restituisce con nitida freschezza la degenerazione morale, le miserie e i paradossi della società zarista del tempo. Già, perché Chagall - proprio come Gogol' - lavora alle Anime morte mentre è lontano dalla patria, e per lui è un'occasione unica per tornare con la mente ai vasti panorami della sua terra, ammantandoli di lirismo, sogno e nostalgia. Le strade indolenti dell'immaginaria città di N., i suoi funzionari boriosi, le sue campagne cosparse di isbe, di contadini e di greggi, si tramutano così in una sorta di parodia della sua Vitebsk. Ma al di là dell'operazione nostalgia, per Chagall è anche un modo per svelare al mondo l'essenza più profonda del popolo russo, di quella Madre Russia che egli ama - e insieme detesta - visceralmente: "Perché in Russia con sono che l'ultima ruota del carro. E perché tutto ciò che faccio sembra loro bizzarro e tutto ciò che fanno loro a me pare superfluo. Perché dunque? Non posso più parlare. Io amo la Russia".
Con questa mostra, che per la prima volta porta a Bagnacavallo l'opera di un maestro del Novecento dalla grandezza assoluta, il Museo Civico delle Cappuccine oltre a consolidare il suo ruolo di centro votato alla valorizzazione e alla conoscenza della grafica d'arte, vuol celebrare con un evento di ampio respiro il 40° anniversario della sua nascita, dell'inizio cioè di una storia, fatta di molte persone, di appassionata volontà di raccogliere, tutelare e comunicare le testimonianze culturali della città e di divulgazione della cultura artistica.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 16 [2016 - N.56]

Un utile e concreto vademecum nel testo approvato dall'assemblea nazionale dei soci di ICOM Italia riunitasi il 10 ottobre  a Roma

Anche solo negli ultimi anni, ci siamo trovati di fronte a tre grandi calamità naturali - i terremoti dell'Aquila del 2009, dell'Emilia-Romagna del 2012 e dell'Italia Centrale del 24 agosto 2016 - che hanno posto anche a ICOM Italia non solo la necessità di sensibilizzare e attivare i propri Soci nella prevenzione delle calamità naturali e nella preparazione a stati di emergenza, ma nei momenti di crisi di porre anche in atto azioni a favore delle strutture e dei beni culturali colpiti.
L'esperienza maturata ha portato a redigere un decalogo, del e per il nostro Comitato, che individua gli interventi che sarebbe opportuno mettere, o non mettere, in atto nei casi di emergenza dovuti a calamità naturali.
ICOM Italia, in prima persona, invita a:

1. Non promuovere raccolte di fondi o di generi di soccorso a favore delle vittime
A questo provvedono già, e con maggiore efficacia, molti altri soggetti. Nel partecipare al dolore per le vittime e ai disagi per i sopravvissuti ICOM Italia invita i propri soci a partecipare, a titolo individuale e secondo le proprie preferenze, alle forme di aiuto che ritengono più utili. Si impegna piuttosto, quando la fase di emergenza è terminata a promuovere raccolte di fondi mirate a realizzare gli obiettivi proposti ai punti 8) e 9) di questo decalogo.

2. Non raccogliere né diffondere in prima persona notizie sullo stato di emergenza
Esistono soggetti deputati a questa funzione in grado di raccogliere e diffondere informazioni e ritiene un errore far circolare notizie che rischierebbero di essere parziali e rapidamente superate. Al termine delle indagini realizzate con le modalità descritte al punto 6, redige un rapporto e lo trasmette a ICOM per la diffusione su scala internazionale.

3. Non organizzare proprie unità di intervento nell'immediato dopo calamità
Non essendo un ente riconosciuto dalla Protezione Civile, ICOM Italia non ritiene opportuno diventarlo per le stesse ragioni che portano a escludere la raccolta di fondi, notizie ecc. Il Comitato opera in prevenzione, sostenendo nei musei un'attività di formazione di volontari attraverso l'adesione alle organizzazioni di volontariato riconosciute (come Legambiente, i gruppi di Protezione civile comunali ecc.) e ricorre alle competenze e esperienze che essi acquisiscono per definire e migliorare i propri protocolli d'intervento.

4. Dotarsi, a livello nazionale e/o regionale, di propri protocolli di intervento commisurati alle proprie forze da attivare al presentarsi di qualunque emergenza
Individuare un protocollo nazionale con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (nell'ambito dell'Accordo di collaborazione stipulato con il MIBACT il 25 maggio 2015) e protocolli regionali con le sue strutture periferiche, individuando i responsabili della loro attivazione nell'ambito dei Coordinamenti regionali esistenti e/o della Commissione Sicurezza ed Emergenza.

5. Stabilire preventivamente, in tutti i casi in cui è possibile, accordi di collaborazione con le strutture regionali che intervengono in caso di crisi
Attraverso i Coordinamenti regionali possono essere definiti accordi con le Unità di Crisi Regionali del MIBACT e con le Regioni per operare: in prevenzione con l'integrazione delle banche dati, la predisposizione dei piani di sicurezza ed emergenza museale, l'individuazione dei depositi; in emergenza nel rilevamento dei danni alle strutture e ai beni culturali, individuando modalità di effettuazione e forme di consegna e integrazione dei dati raccolti. Ovunque possibile ICOM Italia agisce, anche a livello regionale, nell'ambito dei Coordinamenti MAB esistenti (o attivabili nell'occasione) e dello Scudo Blu che integra le competenze di ICOM Italia, AIB, ANAI con quelle di ICOMOS e degli altri enti che vi aderiscono.

6. Attivarsi - quando possibile in ambito MAB e nel quadro dello Scudo Blu italiano - per la raccolta di informazioni sullo stato delle strutture e dei beni culturali nelle aree interessati
Nell'ambito dei protocolli regionali d'intervento la raccolta di informazioni è attivata non appena le condizioni dell'emergenza in atto la rendono possibile, sul territorio investito, direttamente e indirettamente, dalla calamità, attraverso modalità standard definite su scala nazionale. I dati raccolti sono comunicati nelle forme stabilite dal protocollo nazionale e dagli Accordi di collaborazione regionale sottoscritti.

7. Collaborare - nell'ambito dello Scudo Blu - alla rilevazione dei danni alle strutture mettendosi a disposizione delle amministrazioni responsabili
Raramente i danni sono limitati ai soli beni e la rilevazione di quelli subiti dalle strutture richiede la messa in campo di competenze che solo parzialmente hanno i professionisti museali soci di ICOM Italia. Per questo è opportuno che loro rilevazione, contestuale - quando possibile - a quella dei beni, avvenga nell'ambito dello Scudo Blu Italia, a garanzia che siano presenti tutte le competenze specialistiche necessarie.

8. Individuare, sulla base dei dati raccolti, i musei da proporre "in adozione" - in accordo con l'Amministrazione responsabile -nella progettazione e realizzazione degli interventi di messa in sicurezza e di recupero finalizzati alla loro riapertura al pubblico
"Adottare un museo" significa prendersene cura: analizzare insieme alla sua Amministrazione responsabile e al Direttore i danni subiti dall'edificio e dalle collezioni e individuare con loro l'intero percorso necessario a renderlo nuovamente accessibile.
Rispetto a questo obiettivo ICOM Italia, può mettere a disposizione a titolo gratuito, le competenze necessarie a elaborare un progetto - di messa in sicurezza o di recupero, di proseguimento dell'attività - individuandone il costo e promuovendo la raccolta dei fondi necessari a realizzarlo in forme ovviamente concordate con l'Amministrazione, ma preferibilmente 'donando' non solo l'ideazione del progetto, ma la sua elaborazione esecutiva e, se possibile, anche la sua realizzazione.

9. Predisporre le attrezzature e la strumentazione necessaria ad allestire depositi di emergenza in cui ricoverare i beni culturali danneggiati o in condizione di rischio dall'emergenza
È la proposta di maggior impegno elaborata alla luce delle esperienze del sisma dell'Aquila e dell'Italia centrale e delle riflessioni che ne sono scaturite, e che s'intende mettere in pratica ora, a calamità avvenuta, e come misura preventiva da porre in atto non appena le condizioni del post calamità lo consentono.
Strutture adatte a contenere beni culturali, in aree prossime ma a una distanza di sicurezza dai territori direttamente o indirettamente colpiti da calamità, crediamo sia relativamente facile trovarle. Più complesso attrezzarle rapidamente se non si dispone di tutti i dispositivi necessari ad assicurare il ricovero e una conservazione che potrebbe essere prolungata nel tempo. Situazione per la quale va garantita nel tempo la sicurezza sotto tutti i punti di vista, e la possibilità di realizzare i primi interventi manutentivi di emergenza con personale qualificato.
Nella progettazione esecutiva vorremmo associarci a Enti con competenze specifiche in materia di conservazione, e a tutti i soggetti, pubblici e privati, disponibili a sostenerne sul piano finanziario e/o dei beni e servizi necessari, la realizzazione.
Per questo l'Assemblea dei soci riunita a Roma il 10 ottobre impegna il Presidente pro tempore e il Consiglio direttivo di ICOM Italia a dare immediata esecuzione al progetto, attivandosi nella ricerca di partner scientifici ed economici, pubblici o privati, per la sua ideazione e realizzazione sperimentale nelle aree colpite dal sisma del 24 agosto 2016.

10. L'Assemblea dei soci di ICOM sottopone anche alla Presidente e al Board di ICOM di prendere in esame la proposta di costituire un fondo internazionale di riserva cui attingere per gli interventi di adozione, di messa in sicurezza e recupero dei beni danneggiati
Il Fondo internazionale di riserva, immediatamente utilizzabile in caso di necessità ed erogato ai Comitati nazionali di ICOM sotto forma di prestito senza interessi, dovrebbe essere costantemente reintegrato attraverso la raccolta fondi e le sponsorizzazioni degli interventi di adozione, di messa in sicurezza e recupero dei beni danneggiati o di acquisto di strutture e dispositivi destinati ad allestire depositi di emergenza in caso di calamità.
Poter disporre, in attesa dell'effettiva erogazione da parte dei soggetti pubblici e privati sostenitori di progetti, delle somme necessarie ad attivarli, sotto forma di prestito senza interessi e con il solo impegno di restituirle ad avvenuta liquidazione dei contributi deliberati, consentirebbe infatti di rendere immediatamente esecutivi i progetti approvati dai Comitati nazionali proponenti e valutati positivamente - sul piano tecnico e finanziario - da parte di ICOM.


Speciale Patrimonio culturale ed emergenze - pag. 16 [2016 - N.57]

La nozione di 'patrimonio culturale' tra normativa e uso comune

Daniele Jalla - Già Presidente ICOM Italia

L'espressione patrimonio culturale (dal latino patrimonium: insieme di cose appartenenti al padre, da pater con il suffisso -monium) entra in uso nell'accezione corrente nel corso della prima metà del XX secolo, sostituendo altre designazioni: 'antichità', 'antichità e belle arti', e in particolare 'monumenti', termine applicato anche ai beni mobili e utilizzato, ad esempio, da Alois Riegl nel suo Culto moderno dei monumenti (Denkmal)1. Negli anni Trenta è presente, con la specificazione 'storico e artistico' e/o 'nazionale', nel linguaggio giuridico francese e spagnolo2 e, nel 1948,anche nella Costituzione italiana che all'art. 9 lo propone nella forma di "patrimonio storico e artistico della Nazione".
Nelle lingue neolatine si afferma definitivamente nel dopoguerra nella forma di 'patrimonio culturale dell'umanità' nella risoluzione della quinta sessione della Conferenza generale dell'UNESCO di Firenze (1951) per avere la sua massima diffusione dopo il 1972, a seguito dell'adozione della Convenzione per la protezione del patrimonio mondiale culturale e naturale dell'UNESCO. In inglese il termine Cultural Heritage o semplicemente Heritage, come in Francia patrimoine, sostituisce il precedente property3.
In Italia
L'espressione patrimonio culturale è proposta in Italia per la prima volta dalla Commissione Franceschini del 1967. Composta di due commi, la Dichiarazione I afferma: "Appartengono al patrimonio culturale della nazione tutti i Beni aventi valore di civiltà. Sono assoggettati alla legge i Beni di interesse archeologico, storico, artistico, ambientale e paesistico, archivistico e librario, ed ogni altro bene che costituisca testimonianza materiale avente valore di civiltà".
Nella Nota alla Dichiarazione, la Commissione specifica che il primo comma della Dichiarazione "costituisce un'enunciativa di principio che si riferisce a tutti i Beni culturali, quindi anche a quelli che o per natura - come i Beni immateriali (ad es. proprietà letteraria, diritti d'inventore) - o per ragioni storico-giuridiche - come i beni adibiti alla ricerca scientifica - non sono assoggettati alle disposizioni di legge, ma sono regolati da altre leggi. [...] Il secondo comma individua invece quei Beni che, avendo una realtà materiale, possono formare diretto oggetto di disciplina nella futura legge sui Beni culturali"4.
Mentre l'espressione 'beni culturali' si afferma già alla metà degli anni Settanta con la nascita nel 1975 del Ministero per i beni culturali e ambientali, per quella di 'patrimonio culturale' bisogna attendere il 2004 e il Codice dei beni culturali e del paesaggio: "la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale concorrono a preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura" (art. 1). L'art. 2 indica che esso "è costituito dai beni culturali e paesaggistici".
Il Codice unifica dunque in un unico genere quanto all'art. 9 nella Costituzione era distinto in "paesaggio" e "patrimonio storico e artistico della Nazione", associando contemporaneamente la tutela alla valorizzazione e finalizzandole entrambe a quanto nella Costituzione era solo correlato ("la promozione dello sviluppo della cultura", comma 1), oltre a sostituire la Nazione con la "comunità nazionale".
Materiale e immateriale
Sino a tempi molto recenti, a partire dalle Convenzioni UNESCO, la nozione di patrimonio culturale resta strettamente ancorata ai beni materiali ed è distinta dal patrimonio naturale. Dagli anni Ottanta emerge però la volontà di farne una nozione onnicomprensiva: "alla storia di un popolo, alla lingua, espressione vivente di una realtà, i costumi e le tradizioni, la letteratura scritta e orale [...] le conoscenze scientifiche e l'esperienza umana. [...] Il patrimonio è l'insieme dei principi e valori spirituali che cementano la vita in comune di un popolo e danno senso alla vita quotidiana"5.
Gli ultimi decenni del XX secolo, quando si sviluppa una forte attenzione per la memoria orale, e la cultura materiale e popolare, la nozione di patrimonio si estende a un numero sempre maggiore di beni, in quella che è stata definita "inflazione patrimoniale"6. Restano però distinti l'ambito del materiale, oggetto di produzione normativa, nazionale e internazionale, da quello dell'immateriale, pertinente più al campo della ricerca e della documentazione che non della 'tutela'.
La "svolta immateriale"7 è recente e si sviluppa a livello mondiale a partire nuovamente da una Convenzione UNESCO: quella del 2003 per "la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale": il "patrimonio culturale immateriale, trasmesso di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalle comunità" ed è costituito da "le prassi, le rappresentazioni, le espressioni, le conoscenze, il know-how - come pure gli strumenti, gli oggetti, i manufatti e gli spazi culturali associati agli stessi - che le comunità, i gruppi e in alcuni casi gli individui riconoscono in quanto parte del loro patrimonio culturale".
Il patrimonio immateriale non può essere 'protetto' con le modalità applicate al patrimonio materiale, ma può essere 'salvaguardato' attraverso "misure volte a garantir(n)e la vitalità ivi compresa l'identificazione, la documentazione, la ricerca, la preservazione, la protezione, la promozione, la valorizzazione, la trasmissione, in particolare attraverso un'educazione formale e informale, come pure il ravvivamento dei vari aspetti di tale patrimonio culturale"8.
In Italia (2)
Al di là delle meritorie iniziative ministeriali a sostegno del patrimonio immateriale in particolare da parte dell'Ufficio Patrimonio Mondiale UNESCO, per il Codice del 2004 il patrimonio culturale è costituito dai soli beni materiali. Nel 2008 l'introduzione dell'art. 7 bis ha parzialmente sanato questa assenza, prevedendo che "le espressioni di identità culturale collettiva contemplate dalle Convenzioni UNESCO per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale e per la protezione e la promozione delle diversità culturali, adottate a Parigi, rispettivamente, il 3 novembre 2003 ed il 20 ottobre 2005, sono assoggettabili alle disposizioni del presente codice qualora siano rappresentate da testimonianze materiali e sussistano i presupposti e le condizioni per l'applicabilità dell'articolo 10".
Sul piano normativo, in sostanza, non si sfugge da una visione del patrimonio culturale fondata sulla materialità dei beni che lo compongono, seppure in un quadro concettuale che ha pienamente accolto l'idea, promossa sin dagli anni Settanta da giuristi come Massimo Severo Giannini e Sabino Cassese, che un "bene culturale non è la cosa (res) che lo rappresenta. È una qualificazione giuridica, riferita a una cosa in ragione della cosiddetta 'realità' del bene culturale: una connotazione immateriale, una qualità incorporea, un'attribuzione che riflette un apprezzamento sociale di capacità rappresentativa della cosa, accertato ufficialmente e riconosciuto erga omnes. La cosa è il supporto, il bene culturale è il suo valore pubblico"9.
Non è tanto l'impianto normativo a costituire un problema: le leggi si possono migliorare e anche solo un maggior sostegno agli interventi dedicati al patrimonio immateriale sarebbe un segnale positivo. In questione è una concezione del patrimonio che - sebbene non solamente in Italia - permane fondamentalmente ancorata e limitata alla materialità dei beni, alla loro dimensione fisica, estetica, formale, in sostanza assai più alle cose che non ai valori.
La frantumazione del patrimonio culturale
Le norme non hanno solo forza normativa, ma anche un impatto culturale che si riflette nelle politiche e nelle pratiche, condizionandole tanto in Italia, dove "l'intera tradizione di tutela del patrimonio [...] passa attraverso testi giuridici"10.
Prendiamo le categorie con cui i beni culturali sono descritti e classificati, da ultimo nel Codice del 2004, in quella forma 'tradizionale' rilevata criticamente dalla Commissione Franceschini: suddivisi in mobili e immobili, i beni culturali restano 'cose', suddivise in base all'interesse: artistico, storico, archeologico o etnoantropologico, oltre a essere rappresentati dalle raccolte di musei, pinacoteche, gallerie; dagli archivi; dalle raccolte librarie delle biblioteche; dalle cose riferite alla storia politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura in genere; o che interessano la paleontologia, la preistoria e le primitive civiltà; la numismatica; i manoscritti, gli autografi, i carteggi; gli incunaboli, le stampe e le incisioni, le carte geografiche e gli spartiti museali; le fotografie e le pellicole cinematografiche; le ville, i parchi e i giardini; le pubbliche piazze, vie, strade e spazi aperti; i siti minerari; le navi e i galleggianti; le architetture rurali (art. 10 del Codice). E, ancora, da: gli affreschi, gli stemmi, i graffiti, le lapidi, le iscrizioni, i tabernacoli ed altri elementi decorativi di edifici, esposti o non alla pubblica vista; gli studi d'artista; le aree pubbliche; le opere di pittura, di scultura, di grafica e qualsiasi oggetto d'arte; le opere dell'architettura contemporanea di particolare valore artistico; i mezzi di trasporto; i beni e gli strumenti di interesse per la storia della scienza e della tecnica; le vestigia del patrimonio storico della Prima guerra mondiale (art. 11).
Questo sistema descrittivo porta a una frantumazione del patrimonio in una molteplicità di generi e tipi che ha orientato e condizionato il suo studio, la sua catalogazione, la sua tutela e valorizzazione, creando e rafforzando steccati di natura disciplinare o di competenza istituzionale (tra Stato e Regioni, ma anche tra Soprintendenze e istituti). Si è riflessa anche sulle professioni, definite in base a un sistema misto: disciplinare (archeologi, storici dell'arte, architetti, demoetnoantropologi, antropologi fisici), di istituto (archivisti, bibliotecari), di mestiere (restauratori, collaboratori restauratori di beni culturali, esperti di diagnostica e di scienze e tecnologia applicate ai beni culturali) (art. 9-bis) con la curiosa ma spiegabile, assenza degli storici e dei professionisti museali e anche delle professioni legate ai beni paesaggistici.
Un doppio movimento
Nessuna ricomposizione sembra possibile se il riferimento al patrimonio resta implicitamente quanto saldamente ancorato alla materialità dei beni, ai saperi e alle competenze specialistiche che ogni tipologia implica nella loro gestione e cura: dalla ricerca, all'ordinamento, alla conservazione, all'interpretazione.
È piuttosto nella dimensione intangibile del patrimonio culturale - propria ai beni materiali quanto a quelli immateriali - che essa diventa possibile. Ma richiede un doppio movimento.
Da un lato assumendo che il patrimonio culturale comprende indistintamente tutti i beni che ne fanno parte: mobili e immobili, materiali e immateriali (e dovremmo fermarci a questo livello di distinzione, evitando di andare oltre), non importa se assoggettabili o meno alla legge, se oggetto di misure di protezione, di salvaguardia o di promozione: "il patrimonio è quanto ci riguarda, una sorta di riserva di energie millenarie"11.
Dall'altro evitando di assumere il patrimonio culturale come un'astrazione, una nozione cui riferirsi in senso generico, ma individuando al suo interno i singoli oggetti patrimoniali che ne fanno parte. Tutti gli oggetti patrimoniali che la Convenzione di Faro del 2005, superando la distinzione fra beni materiali e immateriali, individua come patrimonio culturale e cioè "tutte le risorse ereditate dal passato che le popolazioni identificano, indipendentemente da chi ne detenga la proprietà, come riflesso ed espressione dei loro valori, credenze, conoscenze e tradizioni, in continua evoluzione. Esso comprende tutti gli aspetti dell'ambiente che sono il risultato dell'interazione nel corso del tempo fra le popolazioni e i luoghi"12.
"Tutti gli aspetti dell'ambiente": e cioè tutti gli oggetti cui attribuiamo un valore patrimoniale, siano essi materiali o immateriali, mobili o immobili, perché dotati di una riconoscibile e riconosciuta identità propria, e che possiamo considerare, oltre le distinzioni tra beni 'culturali' e 'paesaggistici', 'oggetti patrimoniali', unità minima di un insieme - il patrimonio culturale - da scomporre e ricomporre costantemente nelle sue relazioni interne e nel rapporto che ognuna delle sue innumerevoli parti ci consente di stabilire con l'umanità di cui è espressione e testimonianza, con quell'invisibile13 che andiamo cercando in esso per esistere come comunità, non importa se locale, nazionale o semplicemente umana.

1 A. Riegl, Il culto moderno dei monumenti. Il suo carattere e i suoi inizi, a cura di Sandro Scarrocchia, Abscondita, Milano 2011.
2 A. Desvallées, Émergence et cheminement du mot patrimoine, in "Musées et collection publiques", 208, 1995 [in versione aggiornata alla voce Patrimoine in Dictionnaire encyclopedique de muséologie, Armand Colin, Paris 2011].
3 M. Vecco, L'evoluzione del concetto di patrimonio culturale, Franco Angeli, Milano 2011 e Concetti chiave di museologia, a cura di A. Desvallées e F. Mairesse, Armand Colin, Paris 2016.
4 Per la salvezza dei beni culturali in Italia, vol. I, Colombo, Roma 1967.
5 P. Ramirez-Vazquez, L'avenir du patrimoine et le patrimoine de l'avenir, in ICOM 80. Actes de la 12ème Conference générale du Conseil international des musées, ICOM, Paris 1981.
6 N. Heinich, La fabrique du patrimoine, Éditions de la Maison des Sciences de l'Homme, Paris 2009.
7 G. Satta, Patrimonio culturale, in "Parole chiave", 49, 2013, pp. 1-18
8 UNESCO - Convenzione per la salvaguardia del patrimonio culturale immateriale. Conclusa a Parigi il 17 ottobre 2003.
9 G. Severini, L'immateriale economico nei beni culturali, in "Aedon - Rivista di arti e diritto on line", 3, 2015.
10 A. Emiliani, Una politica per i beni culturali, Einaudi, Torino 1973.
11 J.-P. Babelon, A. Chastel, La notion de patrimoine, Liana Levi, Paris 1994.
12 Convenzione quadro del Consiglio d'Europa sul valore dell'eredità culturale per la società, Consiglio d'Europa - (CETS NO. 199) FARO, 27.X.2005.
13 K. Pomian, Collezione, in Enciclopedia, Vol. III, Einaudi, Torino 1978.


Speciale lessico condiviso: il concetto di patrimonio - pag. 16 [2017 - N.58]

I percorsi didattici sul mosaico del Centro Tessellae

Valentino Montanari - Docente Centro di Sperimentazione Didattica "Tessellae"

Uno dei compiti assegnati alla scuola è di sviluppare lo spirito di osservazione degli studenti, aiutandoli ad acquisire nuove conoscenze partendo da dati sperimentali, visivi, orali o scritti. Le attività artistiche, nel loro complesso, contribuiscono in modo determinante alla crescita intellettuale del singolo individuo, e laddove questa crescita non avviene si originano carenze intellettuali gravi, spesso incolmabili, tali da lasciare segni indelebili nello sviluppo della personalità e da condizionare negativamente il resto della vita. L’educazione artistica ricopre un ruolo fondamentale e decisivo nell’ambito educativo, sia come metodo di indagine della realtà sia come strumento per esprimerla. Essa non va intesa però come semplice invito ad esprimere solamente le innate capacità manuali ed intellettuali dello studente, ma deve essere intesa anche come processo continuo di acquisizione di determinate conoscenze tecniche, letterarie e filosofiche del pensiero e della esperienza storico-culturale dell’uomo. A mio avviso l’educatore deve incoraggiare ogni singolo studente ad esercitare il disegno, guidandolo nell’acquisizione di una tecnica artistica, indipendentemente dalle capacità del sapere fare, come avviene nell’educazione letteraria o scientifica. L’educatore deve soprattutto preoccuparsi di orientare il lavoro in una direzione critica, fornendo opportunità e strumenti di qualsiasi genere inerenti alla tematica; deve sapere accompagnare lo sviluppo della sensibilità "artistica" dello studente nelle varie fasi evolutive, fornendolo degli strumenti necessari e incoraggiandone la riflessione critica, assumendo quasi un ruolo di consulente tecnico, più che limitarsi a trasmettere o imporre conoscenze. La formazione artistica, pertanto, passa attraverso tutte quelle attività di ricerca letteraria, scientifica, tecniche e manuali, che si intersecano tra di loro, ma che si esprimono attraverso il fare: disegno, mosaico, affresco e così via, fino all’acquisizione di un vero e proprio linguaggio artistico personale che si interseca e si plasma in un percorso ininterrotto, nel modo di fare scuola. Ecco l’importanza fondamentale del ruolo pedagogico che può assumere uno spazio ben organizzato, con attrezzature professionali disponibili all’uso di intere classi, dove gli studenti possono trovare un ambiente a loro misura, accogliente e invitante, per attuare esperienze teoriche e manuali integrate nei programmi delle attività curriculari sull’arte. Il Centro "Tessellae" dispone di spazi adeguati per promuovere tali attività, come ad esempio il laboratorio di mosaico. Il percorso didattico del laboratorio di mosaico si rivolge a studenti delle classi quarta e quinta della scuola elementare, di prima e seconda media inferiore e delle scuole medie superiori. Si sviluppa in 15/18 ore di lezione per ogni modulo didattico proposto, e comprende tre momenti fondamentali: a) un primo approccio alla didattica del linguaggio musivo, condotto con gli studenti, così articolato: -visione di materiali audiovisivi, considerazioni ed osservazioni sui vari stili musivi antichi; -visione di diapositive, informazioni e valutazioni generali di carattere storico sull’arte musiva; -informazioni tecniche sui materiali musivi utilizzati dagli antichi mosaicisti: marmi, pietre, sassi, smalti vetrosi, componenti e modi di lavorazione; -i supporti: muri e pavimenti; gli attrezzi necessari per la lavorazione; b) la preparazione del reticolo sul soggetto scelto per la realizzazione; l’acquisizione degli elementi tecnici in merito al taglio dei materiali, le prove di taglio. I primi approcci avvengono con la posa delle tessere su dei piani realizzati con la sabbia umida, facendo eseguire agli studenti semplici esercizi per apprendere i segreti della posa delle tessere, le varie inclinazioni e l’incidenza della luce; -la magica luce del mosaico: come scegliere le tessere dalla ciotola, esercitazioni con le tessere di cartone; tutti gli elementi necessari per comprendere i principi fondamentali del linguaggio musivo, in modo preciso e improntato sulla riflessione critica; c) l’ultima fase comprende la realizzazione del mosaico a tecnica diretta, con l’utilizzo di materiali marmorei o vetrosi, e le valutazioni finali di gruppo sull’esperienza didattica svolta.

Esperienze di didattica museale - pag. 17 [2002 - N.13]

Il Museum Ladin di San Martino in Badia... uno spettacolo di Museo!

Gian paolo Costa - Responsabile del Museo Civico di Scienze Naturali di Faenza

Gli appunti che seguono necessitano di una prefazione, ad un tempo postfazione esplicativa del titolo. La condanna per un "operatore museale" che ha scelto e vive il suo lavoro per e con passione, è quella (oltreché economica) "a" non poter visitare un Museo. Nello specifico: quando chi scrive entra in un Museo - e ciò accade, tuttora! - non lo visita ma osserva accuratamente l’arredo della biglietteria, la tipologia delle "sedute", i contenitori degli oggetti esposti (alias vetrine) le didascalie (quale carattere è stato utilizzato? quale corpo? quale colore?), la cromia degli allestimenti, le sorgenti luminose, gli effetti scenici ecc. ecc. E nel contempo valuta le reazioni dei figli (nel caso in esame di sette e undici anni) che, a fine visita, utilizza per verificare "che cosa hanno imparato e che cosa è rimasto della visita". Quest’anno, nella seconda metà di agosto, ho "scoperto" la val Badia, una delle cinque valli della enclave (se mi è consentita la "forzatura" nell’uso di questo termine) ladina in Alto Adige. All’ingresso della valle, a San Martin de Tor, ho visitato il Museumladin di Ciastel de Tor. Inaugurato nell’estate dello scorso anno 2001, il Museo della Cultura Ladina è un Museo da visitare: è una sorta di inno, gradevolissimo, della tecnologia informatico-elettronica applicata alla museologia. Che sia una creazione recentissima lo attesta anche il fatto che chi scrive è stato uno dei primissimi acquirenti (la seconda volta che si è recato al Museo, anche per fare conoscenza del direttore) della (bella) guida breve, fresca di stampa. Orbene: l’ingresso avviene attraverso una moderna biglietteria-book shop (in realtà un fornitissimo mini market di sussidi informativi, didattici e gadgets) esterna all’edificio museale (un castello, appunto). Pagato il biglietto, viene consegnato ad ogni visitatore un traduttore simultaneo portatile munito di cuffie auricolari, alle quali vengono ovviamente sostituiti i feltri ad ogni utilizzo. Quando si entra nel Museo, e successivamente in ognuna delle sale del Museo, il "traduttore" inizia automaticamente ad illustrare ciò che, altrimenti, si può ascoltare "in ambiente" in lingua ladina. Ed una volta iniziata la visita le sorprese si susseguono senza soluzione di continuità. È il caso, ad esempio, dell’apparato descrittivo dell’insediamento fortificato dell’età del bronzo (1600-1250 a.C.) di Sotciastel, o della presentazione delle tracce rinvenute in loco di avvenuta "quadrettatura" romana del territorio (centuriazione in ambiente montano) o, ancora, dell’evoluzione geologica in presa diretta delle dolomiti e via dicendo. Il top, per lo scrivente, viene comunque toccato nella saletta dei potenti. Ci si trova davanti a riproduzioni fedelissime di quadri e si inizia ad ascoltare la storia del duca Sigismondo d’Austria (padre di alcune decine di figli illegittimi), della badessa Verena von Stuben e di alcuni altri potenti locali dell’epoca (metà del ‘400). La storia delle loro "vicissitudini" viene raccontata dai protagonisti medesimi in prima persona: sono i volti ritratti nei quadri a parlare, muovendo le labbra e volgendo gli occhi al "quadro interlocutore"! Ma al visitatore rimane qualcosa di questo viaggio spettacolare alla scoperta dei Ladini? A sera i miei figli, interpellati su che cosa gli era piaciuto di più, mi hanno dimostrato che avevano "anche" ascoltato e memorizzato: uno dei due mi ha illustrato le modalità tecnico-realizzative della filigrana d’argento di Cortina d’Ampezzo (io, operatore museale, avevo comprato una scatolina in filigrana per un regalo ma non avevo avuto tempo di prestare attenzione alla guida elettronica!).

Appunti di viaggio - pag. 17 [2002 - N.15]

Nuove proposte didattiche al Museo della Vita Contadina di San Pancrazio di Russi

Marta Zocchi - Responsabile attività didattiche Museo della Vita Contadina in Romagna

Con l’avvio del nuovo anno scolastico è ripartita l’attività didattica al Museo della Vita Contadina di San Pancrazio. Già da alcuni anni il Museo si rivolge prevalentemente alle scuole elementari e medie inferiori offrendo quattro percorsi legati ai cicli produttivi della canapa, del grano, del latte e del baco da seta, anche se, su richiesta delle insegnanti, possono essere preparati percorsi diversi modellati sulle esigenze della classe. I bambini dopo un’accurata visita alla specifica sezione del Museo vengono coinvolti in un momento di partecipazione attiva durante il quale preparano pane e formaggio, assaggiano gli alimenti da loro preparati, seguono l’allevamento del baco da seta, gramolano, filano e tessono la canapa. Poi portano a casa quaderni didattici, foto ed elementi vari utili per realizzare in classe cartelloni a ricordo dell’esperienza appena vissuta. Il Museo cerca quindi di svolgere a pieno ritmo il ruolo educativo e didattico di un museo etnografico facendo conoscere ai bambini di oggi la quotidianità del passato e il "sapere contadino" aiutandoli ad instaurare con essi un rapporto dialettico. Quest’anno il Museo ha deciso di coinvolgere nelle sue attività nuove tipologie di visitatori: le famiglie, i gruppi e le associazioni culturali, ma prima di tutto vuole avvicinarsi all’utenza dei disabili, fascia di pubblico spesso trascurata dai musei italiani. Si ritiene, infatti, che i laboratori del Museo, coinvolgendo tutti e cinque i sensi, si possano prestare benissimo ad un approccio continuo con quei soggetti affetti da varie patologie. Il progetto Una giornata al Museo si rivolge quindi a coloro che, a causa di una o più menomazioni, sono svantaggiati nelle loro relazioni con l’ambiente circostante. Ed è proprio per questo motivo che riteniamo fondamentale avvicinarli al Museo e alla civiltà contadina che esso rappresenta. I tre percorsi didattici (Il grano e il pane, Il latte e il formaggio, La canapa e la tessitura) già attivati per le scuole, verranno, quindi, proposti ai soggetti affetti da disabilità di età e patologie diverse e alle loro famiglie. Si darà loro la possibilità di usufruire di attività ludiche ma allo stesso tempo riabilitative presso il Museo, che accentueranno e svilupperanno gli apparati sensoriali e la manualità, promuovendo così un’iniziativa che andrà ad integrare i servizi forniti dal Consorzio per i Servizi Sociali. Obiettivo principale è quello di coinvolgere i ragazzi in attività nuove e piacevoli, senza la pretesa di insegnare loro a fare qualcosa, ma con il proposito di farli sentire bene e a loro agio in un ambiente nuovo e in un’atmosfera familiare che permetta loro di farsi trasportare dagli odori, dai gusti e dalle sensazioni tattili. La proposta Dal mondo contadino al computer: Internet entra al museo, invece, è rivolta ai genitori e ai bambini della scuola elementare di San Pancrazio. Il Museo vuole diventare un luogo di aggregazione, un punto di riferimento per le famiglie per avvicinare i bambini al computer e educarli ad un corretto uso di Internet, utile strumento di ricerca, di studio e di divertimento. L’iniziativa si articolerà in 5 incontri (per un totale di 10 ore di attività) che si svolgeranno il sabato mattina a partire dall’8 febbraio dalle ore 10.00 alle ore 12.00, all’interno della sala Multimediale del Museo (per informazioni: tel. 349-7881929).

Esperienze di didattica museale - pag. 17 [2003 - N.16]

Un’iniziativa di carattere formativa rivolta, non solo agli insegnanti, ma anche ad un pubblico più vasto attraverso iniziative specifiche sul territorio

Anna Lina Morelli - Esperta numismatica

Sta prendendo il via, con la prima delle iniziative previste, il Progetto dal titolo Dal baratto all’euro. La lunga storia della moneta, realizzato dal Comune di Ravenna (Servizio Diritto allo Studio e Università), in collaborazione con l’Università degli Studi (Cattedra di Numismatica delle Facoltà di Lettere e Filosofia di Bologna e di Conservazione dei Beni Culturali di Ravenna), con la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Ravenna e con la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia Romagna. L’iniziativa si inserisce a completamento della attività formativa degli insegnanti, svolta già da due anni su questo argomento di particolare attualità, e si rivolge ora ad un pubblico più vasto attraverso iniziative specifiche sul territorio, grazie alla collaborazione, collaudata da anni, con i Comuni di Russi e Cervia e con la Fondazione Flaminia di Ravenna, che hanno contribuito alla realizzazione di strumenti divulgativi sull’argomento e di occasioni di incontro, quali conferenze e mostre. Il 31 maggio ha avuto luogo infatti, presso il Dipartimento di Conservazione dei Beni Culturali il primo incontro aperto al pubblico con la conferenza della Dott.ssa Laura Cretara, Direttrice Artistica della Scuola dell’Arte della Medaglia e del Museo Numismatico della Zecca, alla quale si deve il conio del pezzo da 1 euro italiano, sul tema del processo creativo della moneta metallica moderna. Questo primo incontro sarà anche l’occasione per presentare il progetto complessivo che prevede, oltre ad una successiva conferenza sul tema della storia della moneta attraverso le vicende e la documentazione proveniente dal territorio ravennate, la realizzazione di strumenti informativi agili e moderni. Per il prossimo autunno infatti è prevista l’uscita di un fascicolo didattico, volto ad illustrare i molteplici aspetti della moneta e la sua evoluzione storica, affiancato da un CD-rom interattivo che consentirà sia una utilizzazione più mirata a livello didattico che una ulteriore possibilità di approfondimento per quanti si interessano all’argomento. A questi strumenti di facile consultazione e apprendimento si accompagneranno varie esposizioni pubbliche. A Ravenna, presso il Centro didattico Tessellae (Via Galla Placidia 2, per prenotare le visite tel. 0544-38101 ) saranno visibili materiali originali, esplicativi del lavoro dell’incisore nella creazione di monete e medaglie moderne, inoltre saranno esposti gli euro spiccioli dell’Italia e delle altre nazioni con lo scopo di illustrare i significati delle diverse raffigurazioni. Particolarmente stimolanti risulteranno, di conseguenza, le due esposizioni attualmente in corso, presso il Museo Nazionale di Ravenna: Il gruzzolo di via Luca Longhi. Città, monete e mercanti nel medioevo, che consente riflessioni sul ruolo di cambiavalute e banchieri dall’antichità all’età moderna ed Il Giubileo e i suoi simboli. Le medaglie pontificie del Museo Nazionale di Ravenna, attraverso la quale è possibile comprendere la natura della medaglia e il suo valore artistico e simbolico. A Russi, presso il Museo Archeologico sito nella Rocca dell’antico castello, verrà allestito, a partire da Settembre, il percorso didattico La moneta nell’economia della villa, fruibile da parte delle Scuole e di tutti gli interessati, con modalità che saranno definite, inoltre verranno presentati in sede locale il fascicolo didattico ed il CD-rom. A Cervia, nelle sedi scolastiche, dal prossimo autunno, si terranno lezioni su Le monete raccontano la storia, allo scopo di far conoscere l’importanza della documentazione proveniente dal territorio; inoltre sarà organizzato un incontro aperto al pubblico per tracciare una breve storia della moneta dalla sua nascita all’epoca attuale ed illustrare il fascicolo ed il CD-rom, quali utili strumenti didattici informativi. Le proposte di riflessione sull’introduzione dell’euro e sulla scomparsa delle monete nazionali potranno infatti suscitare gli interessi e le curiosità di un vasto pubblico, anche di non esperti, e, in particolare, fornire agli insegnanti e agli studenti della scuola primaria e secondaria molteplici spunti didattici nei diversi ambiti: dagli studi sociali, alla storia politica, religiosa ed economica, dalla geografia alla conoscenza della realtà locale, e, naturalmente, all’educazione artistica.

Esperienze di didattica museale - pag. 17 [2002 - N.14]

Al Centro Tessellae prende il via il seminario di aggiornamento per docenti per l'anno scolastico 2001/2002

Valentino Montanari - Docente Centro di Sperimentazione Didattica "Tessellae"

Nell'ambito della programmazione delle attività di questo anno scolastico, il Centro "Tessellae" promuove un seminario rivolto ai docenti delle scuole elementari, medie e superiori dei Comuni di Ravenna, Russi, Cervia e delle Provincie di Ravenna, Ferrara, Forlì-Cesena e Rimini. L'attività formativa proposta è incentrata su diverse tematiche, volte ad individuare strumenti utili per un intervento didattico nello studio della storia, della storia dell'arte e delle discipline sociali. Le lezioni saranno corredate da supporti multimediali, da percorsi museali e da attività di laboratorio, che consentiranno momenti di studio e di riflessione, individuando nuove didattiche e percorsi di ricerca. Gli obiettivi principali delle proposte sono quelli di presentare dei percorsi didattici storici e di comunicazione non verbale, utili ad arricchire i curriculi disciplinari, sollecitando le curiosità e l'interesse degli studenti, e volti a favorire una solida educazione al patrimonio, introducendo nell'esperienza didattica una fruizione permanente e consapevole delle offerte culturali del territorio. Gli insegnanti partecipanti potranno sperimentare direttamente le metodologie e i contenuti con i loro alunni, avvalendosi del supporto dei docenti esperti che operano nel Centro. Gli argomenti trattati sono di notevole interesse e di attualità, come ad esempio il seminario La lunga storia della moneta: dal baratto all'euro, nel quale "partendo dalla ricca realtà numismatica della città di Ravenna si vuole richiamare l'attenzione degli insegnanti sul fenomeno della moneta unica europea e preparare all'uso del nuovo strumento monetale. Attraverso supporti audiovisivi e mltimediali e l'analisi diretta dei materiali sarà possibile comprendere i fenomeni storici, economici, tecnico-artistici che caratterizzano la moneta, secondo un itinerario cronologico-tematico, in cui saranno messe in particolare risalto le testimonianze locali". La seconda proposta tratterà un personaggio importante per la storia di Ravenna, vissuto a cavallo tra il V e il VI sec. d.C., in un seminario dal titolo Teoderico e.... dintorni, che "vuole illustrare gli aspetti della figura di Teoderico quando dovette affrontare il problema di immettere in una nazione romana un forte numero di, diremmo oggi, extracomunitari, diversi dai Romani per cultura, abitudini, comportamenti, religione. Come considerare questo personaggio? Un re diabolico come lo presenta la tradizione latino/cristiana o un grande capo di origine semidivina come appare nell'opera germanica?" Il terzo seminario si intitola L'uomo nella natura: "Minerali, vegetali, animali costituiscono l'affascinante tessuto dell'universo di cui l'uomo è pienamente partecipe. L'osservazione dei segni scolpiti, miniati e mosaicati ci farà spaziare fra miti, fiabe e sogni... e cogliere la sorprendente attualità di questo vasto mondo immaginario". Il quarto seminario Oggi si va al museo è articolato in due momenti: o La natività. "La lettura di affreschi, dipinti su tavola e tela, scultura e mosaici sarà l'occasione per sviluppare il tema del Natale così ampiamente rappresentato nelle opere d'arte" o Caccia al... tesoro!!! "Un itinerario ricco di sorprese e curiosità potrà offrire spunti e suggestioni agli allievi e avvicinarli al Museo in modo gioioso e creativo". La quinta proposta, dal titolo Il mosaico antico, è di ordine teorico e pratico, e affronta la problematica culturale dell'arte del mosaico nel corso della nostra storia, dalle origini ai giorni nostri. Si tratta di un excursus sulla storia del mosaico attraverso i tempi e gli stili: conoscere i processi di fabbricazione e scoprire i segreti estetici-artistici per comprendere procedimenti creativi articolati e complessi di questa tecnica molto antica, praticata da Babilonesi, greci, Romani, Bizantini. Il percorso formativo proposto ai docenti intende analizzare il mosaico antico nei suoi procedimenti artistici cogliendo l'estensione del suo potere di significazione; l'attività svolta nel laboratorio di mosaico sarà finalizzata alla conoscenza della tecnica cosiddetta "indiretta".

Esperienze di didattica museale - pag. 17 [2001 - N.12]

Salvaguardare, per conservare, i reperti museali che risentono delle modificazioni climatiche dell'ambiente in cui sono collocati

Innocenzo Ossani - hh - Manutenzioni e installazioni in elettronica

La "vita" (= la conservazione nel tempo) di un oggetto di interesse culturale dipende in primo luogo dalle caratteristiche fisico-chimiche dell'ambiente nel quale tale oggetto è "immerso". Ricerche e studi specifici hanno evidenziato la grande importanza delle condizioni climatiche (e microclimatiche) per una corretta conservazione, nello specifico, del patrimonio museale. I reperti custoditi nei musei (lignei, bronzei, cartacei ecc.) risentono, più o meno repentinamente e pesantemente, delle condizioni ma soprattutto delle modificazioni microclimatiche alle quali sono o possono essere soggetti. Lampade ed impianti di illuminazione in genere, ad esempio, producono calore e quindi variano la temperatura dell'ambiente; le variazioni termiche a loro volta inducono modificazioni del locale tasso di umidità. Si è visto come analoghe variazioni, in assoluto persino molto più pesanti, siano prodotte da un numero di visitatori elevato, e comunque "non sostenibile" dall'ampiezza degli ambienti espositivi. Un impianto di condizionamento dell'aria produce, in prossimità delle emissioni, un brusco e quanto mai dannoso mutamento microclimatico; nel caso di brusche interruzioni nel funzionamento di un impianto di climatizzazione, inoltre, le repentine variazioni "microclimatiche" sono oltremodo pericolose. La moderna ricerca museotecnica ha puntato la sua attenzione anche sulle problematiche connesse ai trasferimenti di opere ed oggetti "a rischio microclimatico". I progressi tecnologici registrati negli ultimi anni hanno affinato strumenti e software di monitoraggio. In particolare il tecnico museale può fare affidamento su sensori di dimensioni minime i quali posizionati, ad esempio, a fianco delle opere o dei reperti in genere, sono in grado di misurare costantemente temperatura e umidità. In caso di trasferimento di beni museali, tali sensori possono essere utilissimi per monitorare a posteriori le eventuali escursioni termo-igrometriche alle quali un reperto è stato soggetto all'interno della confezione individuata per il suo trasporto: ovviamente detti sensori rendono possibile anche la sperimentazione preventiva di custodie ed imballaggi, relativamente a tali problematiche. Al termine del viaggio di trasferimento (preventivo, nel caso appunto di una sperimentazione preliminare) una volta aperto l'imballaggio, leggendo i dati registrati con l'ausilio di un computer, potrà conoscere ciò che è avvenuto durante il trasferimento. I sensori avranno registrato sia i valori rilevati a cadenze programmate sia i valori massimi e minimi comunque raggiunti (indipendentemente dalla "scansione temporale" preimpostata). Analoghi monitoraggi "in continuo" possono essere ovviamente effettuati installando i suddetti sensori all'interno nelle teche protettive che custodiscono oggetti esposti. La comodità d'uso di questo tipo di strumenti, con diverso grado di precisione, è notevole: sono poco più grandi di una scatola di fiammiferi da cucina ed alcuni incorporano un display che permette la visualizzazione dei dati in tempo reale. Ovviamente, una volta trasferiti su di un dischetto da computer, i dati sono gestibili e graficabili utilizzando un comune "foglio elettronico". La batteria che alimenta tali sensori ha una durata che raggiunge i tre anni.

La pagina del conservatore - pag. 17 [2001 - N.10]

I casi di applicazione della normativa fiscale in relazione ad insegne e cartellonistica

Michele Giambarba - Studio Legale Giambarba di Ravenna

Le società concessionarie della riscossione delle imposte pare che abbiano in corso un'azione volta alla riscossione dell'imposta comunale di pubblicità relativamente ad insegne e cartelli apposte da musei ed altre istituzioni culturali. Sebbene la richiesta dell'imposta possa suscitare perplessità nei soggetti tenuti al pagamento, essa è in effetti del tutto legittima e fondata sulle previsioni del Decreto Legislativo promulgato il 15-11-1993 n. 507 che ha innovato la materia. Si invitano quindi gli interessati a rispettare la normativa fiscale, sottolineando che il contenuto culturale delle iniziative, la partecipazione di enti pubblici e la eventuale gratuità delle iniziative per le quali viene effettuata la pubblicità di per sé non sono elementi sufficienti ad escludere il presupposto impositivo. Si ritiene utile segnalare tuttavia che esistono alcuni (pochi) casi in cui l'obbligo di pagamento dell'imposta viene meno. Secondo il predetto provvedimento, infatti, la pubblicità in parola è esente da imposta se viene "effettuata in via esclusiva dallo Stato o dagli enti pubblici territoriali" (art. 17, lett. g), di conseguenza, qualora l'Ente Locale assuma direttamente l'onere di effettuare la pubblicità, detta imposta non dovrebbe essere dovuta. Sono pure esenti "le insegne, targhe e simili la cui esposizione sia obbligatoria per disposizione di legge o regolamento, sempre che le dimensioni del mezzo usato non superino il mezzo metro quadrato di superficie". Infine si segnala che secondo la risoluzione del Ministero delle Finanze 41/e del 16-3-1999 è stata esclusa la sussistenza del presupposto impositivo nel caso di pubblicità effettuata da una associazione (non quindi da una società) non avente scopo di lucro per iniziative senza scopo di lucro.

L'opinione del legale - pag. 17 [2000 - N.7]

È stata finalmente inaugurata nei locali del Palazzone di Sant'Alberto la nuova sede del museo che contiene la collezione Brandolini, nucleo originale del museo ravennate

Franco Gàbici

Il 24 aprile scorso è stata ufficialmente inaugurata la nuova sede del "Museo ornitologico e di scienze naturali" nel Palazzone di Sant'Alberto, compiendo così un primo importantissimo passo per la valorizzazione delle sue collezioni, in particolare della sezione Brandolini, che costituì il nucleo originale attorno al quale andò crescendo e sviluppandosi il museo in questi ultimi trent'anni, da quando cioè le sorelle di Brandolini decisero di lasciare al Comune di Ravenna la collezione ornitologica del fratello, il cui primo esemplare (un pettirosso) risale all'11 novembre del 1906. Dalla sede della "Loggetta Lombardesca", dove il museo ebbe il suo spazio fin dai primi anni Settanta del secolo scorso, il Museo trasoloca in periferia, per essere inserito in un contesto più affine alle sue collezioni. Un Museo, infatti, non deve essere considerato una "cattedrale nel deserto", ma una struttura che in qualche modo si inserisca nel contesto di un territorio del quale vuole essere innanzittutto storia, documentazione e lettura. E il Palazzone di Sant'Alberto, che sorge proprio all'ingresso del Parco del Delta del Po, sembra costituire la sede naturale per ospitare un patrimonio faunistico che ha il suo habitat proprio in queste zone. Il progetto del riallestimento del Museo prevede l'utilizzazione di tutto il "Palazzone" come spazio espositivo e della ex scuola elementare come deposito e magazzino. Ci sarà spazio, dunque, per la rotazione delle collezioni, in modo da fare assumere al Museo non un aspetto "ingessato", ma una fisionomia variabile che si inserisce in una programmazione articolata. Al momento si è proceduto all'allestimento di alcuni "segmenti", il primo dei quali contiene una grande vetrina di dieci metri per gli uccelli di grandi dimensioni e alcune vetrine a parete per i passeriformi. Un secondo segmento è dedicato allo sviluppo dell'ornitologia con particolare attenzione all'opera di Alfredo Brandolini. Si passa quindi alla storia della nidificazione dove si possono ammirare alcune interessanti ricostruzioni. Di grande effetto la ricostruzione del nido di una cicogna, costruito all'estremità di un camino. Nel quarto segmento sono state esposte le collezioni delle farfalle e delle conchiglie, mentre i restanti spazi saranno destinate agli uffici, al laboratorio del tassidermista, alle attività didattiche e alla biblioteca, che fa parte integrante del corpus del Museo e che sarà ospitata nella suggestiva "sala del camino" utilizzando le scaffalature originali donate al Comune dalle sorelle Brandolini. La biblioteca, costituita da circa cinquemila volumi e opuscoli, nacque come supporto allo studio e alla catalogazione delle collezioni, ma fu costituita anche con lo spirito del raffinato bibliofilo, come stanno a dimostrare le undici preziose "cinquecentine", fra le quali va ricordata la Storia naturale di Plinio, il Libro del modo di conoscere di Federico Giorgi e libri sulla caccia decorati da bellissime incisioni.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 17 [2003 - N.17]

Al MIC di Faenza è aperta, fino al 31 dicembre, la mostra sulla ceramica italiana dei secoli XV-XVI proveniente dal Museo dell'Ermitage di San Pietroburgo

Iolanda Silvestrini - Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza

Al Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza è possibile visitare fino al 31 dicembre la mostra Il Secolo d'Oro della Maiolica. Ceramica italiana dei secoli XV-XVI dalla raccolta del Museo Statale dell'Ermitage: un'occasione unica sotto molti punti di vista. Le centoventicinque opere in esposizione tornano per la prima volta in Italia, dopo che il gusto e la passione per l'arte dei collezionisti ottocenteschi le ha portate al museo di San Pietroburgo. La mostra spropone quindi anche come occasione per celebrare la capitale culturale russa che quest'anno festeggia i trecento anni della sua fondazione. Sono maioliche bellissime quelle che tornano a Faenza, nel centro più importante di produzione della ceramica, conservando intatte la lucentezza e la freschezza dei colori, come se fossero state appena decorate. Portano con sé tutta la vitalità del periodo artistico in cui sono state create, il Rinascimento, che è anche il momento storico in cui ceramica e arte alta si sono avvicinate di più, si sono mescolate. Riportano anche le storie della politica, del costume, della mitologia, della religione, in una forma di arte applicata nello stato di grazia del suo secolo d'oro. Secolo d'oro che ha riflesso il suo splendore nei principali centri di produzione dell'Italia centrale, da Faenza a Castelli, Deruta, Urbino, Castel Durante (oggi Urbania), Pesaro, Rimini, Ferrara, Gubbio, disegnando quasi un'unità geografica nuova, che trova la sua coerenza proprio nelle preziose maioliche istoriate rinascimentali, in cui paesaggi, figure, storie tratte dalla mitologia e dalla Bibbia si avvicinano molto ai modelli pittorici dei grandi maestri del Rinascimento, da Mantegna a Raffaello, in un'ideale unione creativa e artistica. Gli artisti che hanno realizzato le coppe, i piatti, i vasi in mostra a Faenza riunivano in una sola figura l'abilità del pittore e la maestria dell'artigiano. Le raffigurazioni sontuose, che su di noi esercitano il fascino maggiore, dovevano fare sempre i conti con la foggia e la destinazione d'uso degli oggetti nei quali si inserivano. Oggetti che avevano forme e destinazioni eterogenee e molto particolari: accanto ai piatti e alle coppe più tradizionali troviamo vasi da farmacia, destinati a contenere infusi di "cento tipi di violette", calamai dalle forme plastiche a tutto tondo, "guttatoi" o porta liquori con le forme di Bacco, a custodire le essenze e gli elisir preziosi, rinfrescatoi per le fiasche. Questo insieme di caratteristiche ha attirato l'attenzione di tre importanti collezionisti russi, A.P. Basilewsky, M.P. Botkin, A.L. Stigliz, che tra Otto e Novecento hanno dato corpo alla preziosa collezione dell'Ermitage. La mostra delle ceramiche rinascimentali dell'Ermitage consente anche di ripercorrere la storia della formazione di uno dei più grandi musei d'Europa: la storia della collezione delle maioliche italiane dell'Ermitage è inseparabile infatti da quella del museo. Le ceramiche erano parte integrante degli oggetti preziosi che adornavano le sale del Palazzo d'Inverno e delle altre residenze dello Zar prima che l'Ermitage diventasse museo statale. La catalogazione delle opere e la ricostruzione del percorso che le ha portate prima a San Pietroburgo, e oggi in mostra, è un'impresa ardua e in parte ancora incompleta, nonostante il lavoro congiunto di studiosi russi e italiani per produrre un catalogo della maiolica italiana. E non è un caso che proprio il museo faentino rappresenti un luogo privilegiato, in questo senso, perché fu proprio il suo fondatore Gaetano Ballardini a iniziare un'opera di catalogazione della maiolica italiana datata che ha posto le basi per un importante rapporto tra il museo dell'Ermitage e quello di Faenza: rapporto sfociato in una corrispondenza epistolare che non si è mai interrotta e in questa mostra, che oltre a esporre pezzi rari e di eccezionale importanza artistica, rappresenta dunque anche un nuovo inizio per una stagione di studio della maiolica. Questo evento si presenta sotto il doppio profilo di appuntamento fondamentale per gli intenditori del genere e di occasione unica per i semplici appassionati che vogliono accostarsi a questa arte affascinante, colta nel momento del suo massimo splendore. Del suo secolo d'oro, appunto. La mostra è corredata da un catalogo edito e distribuito da Mondadori Electa, contenente il saggio di Carmen Ravanelli Guidotti, conservatore del Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, e delle esperte scientifiche del Museo Nazionale dell'Ermitage Nina Biryukova ed Elena Ivanova.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 17 [2003 - N.18]

I musei storici del Sistema tracciano percorsi per la conservazione della memoria degli eventi del territorio e sono punti di riferimento per una didattica viva e documentale

Giuseppe Masetti - Direttore Istituto Storico della Resistenza

Alle soglie del sessantesimo anniversario della Liberazione, mentre tutti convengono sul dovere di ricordare, sulla necessità di una memoria responsabile, resta da capire come, ad una distanza cronologicamente modesta ma culturalmente abissale, sia possibile dare luogo ad un insegnamento della storia per quella parte centrale del Novecento a cui il dibattito attuale sembra oggi ricorrere solo per riaccendere processi e giudizi.
I giovani risentono inevitabilmente di queste tensioni irrisolte, in primis dalle generazioni dei protagonisti ed a seguire da quelle dei narratori, finendo spesso per ricorrere ad una storia fai-da-te, senza bollini di qualità, supportata solamente dalle stringate nozioni dei programmi televisivi o dalla navigazione in internet. Quasi mai riescono a raggiungere quei testi documentati che noi vorremmo consigliare loro per orientarli all'onestà intellettuale, al rigore della ricerca, alle categorie della complessità e della relatività che sono necessarie per attraversare le ricche foreste della storia del secolo appena concluso.
Fortunatamente la provincia di Ravenna ospita sul proprio territorio alcune realtà museali, con un buon patrimonio documentale, in grado di rappresentare bene l'incrocio fra storia e territorio, fra cultura e senso del tempo. Un viaggio-inchiesta, come si usava fare tanto tempo fa, potrebbe partire dal complesso del Cardello a Casola Valsenio, vero monumento al nazionalismo d'inizio secolo, collegato alla Biblioteca Oriani nel cuore di Ravenna, ove si trova il più ricco patrimonio bibliografico sulla storia contemporanea dell'intera regione. Oppure ci si potrebbe recare a Lugo, nella casa museo di Francesco Baracca per capire come la ricca borghesia romagnola mostrava il proprio decoro e si impadroniva dei nuovi miti attraverso la fucina della Grande Guerra. All'estremità nord della provincia il museo della Battaglia del Senio, ad Alfonsine, racconta i mesi finali della seconda guerra mondiale in Italia, la crescita di un movimento di resistenza in pianura e la sosta dei grandi eserciti alleati nelle nostre umide campagne. Sono mostrati i primi segni dei nuovi consumi di massa insieme ad un'antica cultura materiale che riutilizzava tutto e non buttava nulla, la capacità distruttiva degli armamenti ed il labile confine tra apparati militari e dimensione civile durante una guerra moderna, che doveva rapportarsi ad un territorio particolare.
All'estremità opposta della provincia, presso le sorgenti appenniniche del fiume Senio, in cima alla collina di Cà Malanca, c'è un altro piccolo museo della resistenza romagnola: racconta della necessità di sottrarsi ai rastrellamenti dei tedeschi, di avere basi sicure per tenere in vita una vera organizzazione militare clandestina, di come vivevano i contadini poveri della montagna. Sono tutti luoghi accessibili, in continua attività, alla ricerca di nuove documentazioni, da visitare e tornare a vedere, dotati di grande attenzione per la comunicazione didattica e la storia locale; dispongono di manuali e siti aggiornati, propongono visite guidate, percorsi tematici e documenti video per ampliare le specifiche conoscenze. Appartengono tutti al Sistema museale della Provincia di Ravenna, vengono sostenuti e stimolati dalla rete dei musei ad essere in un certo senso anche musei del territorio, poiché il tema dell'identità locale sembra essere il richiamo più efficace per parlare ai giovani, ricordare loro ciò che di particolare è accaduto lì, che ha lasciato "tracce di civiltà", oggi fruibili soprattutto dalla scuola.
Infine una particolare attenzione ai servizi per la memoria dei luoghi e per la didattica permanente viene fornita anche dall'Istituto Storico della Resistenza e dell'età contemporanea con sede ad Alfonsine,(tel 0544.84302 e-mail istorico@racine.ra.it) a fianco del museo della Battaglia del Senio: oltre ai documenti cartacei si possono trovare anche lì anche una biblioteca specializzata sul Novecento, una videoteca ben fornita a cui si può accedere con il prestito interbibliotecario del tutto gratuito, oltre ad un ricco archivio sonoro con centoventi storie di vita fornite da personaggi ormai del tutto scomparsi. Dallo Sportello Scuola dell'Istituto vengono inoltre organizzate escursioni su itinerari di interesse storico, come l'Isola degli Spinaroni nella Pialassa ravennate, viaggi della memoria nei lager nazisti, visite a centri collegati al circuito nazionale degli Istituti Storici e delle Scuole di Pace. Tutti questi centri sono perfettamente consapevoli di contribuire all'organizzazione di una memoria pubblica, e non ad un presidio nostalgico, che viene legittimata solo dalle continue visite di studenti odierni e di cittadini futuri.

Esperienze di didattica museale - pag. 17 [2004 - N.19]

Una “mysteriosa” storia a fumetti coinvolge alcuni musei del Sistema Museale della Provincia di Ravenna

Massimo Marcucci - Massimo Marcucci

Quando si parla di fumetto si fa spesso confusione. Il vocabolo stesso, involontariamente, la favorisce, avendo più di un significato: fumetto è la nuvoletta che esce dalla bocca dei personaggi disegnati, è la storia realizzata mediante disegni e dialoghi contenuti nelle nuvolette, è l’albo cartaceo, è l’opera narrativa o cinematografica di contenuto banale, superficiale. Sovente però gli si attribuisce un significato che non ha: quello di genere narrativo.
Sulla scorta di tale convinzione, nelle librerie come nelle biblioteche gli viene riservato un angolo più o meno grande, alla stregua della narrativa poliziesca, di quella rosa o di quella fantascientifica. Ed è così che sullo stesso scaffale si trovano le avventure di Asterix e quelle di Corto Maltese, quelle dei Peanuts e quelle di Tex, il cui unico punto di contatto è il linguaggio con il quale quelle storie sono raccontate. Già, il linguaggio. Perché il fumetto non è un genere ma un linguaggio vero e proprio, che possiede una propria grammatica e propri esclusivi codici d’espressione. Non a caso uno dei più grandi autori di comics d’oltreoceano, Will Eisner, ha coniato per il fumetto la definizione di arte sequenziale mentre Hugo Pratt lo definiva letteratura disegnata.
È proprio da queste considerazioni che si è partiti quando si è pensato di realizzare un prodotto diverso, in termini di approccio e proposizione, rispetto a quelli già esistenti (la guida Andar per musei, la collana di monografie dedicate ai musei del Sistema, la stessa rivista Museo in-forma); un prodotto nato per promuovere dal punto di vista conoscitivo i musei appartenenti al Sistema Museale della provincia di Ravenna e avvicinare a questa realtà il pubblico più giovane. Compito strategico della Provincia è infatti quello di favorire la fruizione del patrimonio culturale del proprio territorio da parte di un pubblico sempre più ampio e differenziato.
Per far ciò si è pensato di produrre un’opera di fiction a fumetti che incuriosisse il lettore grazie alla storia narrata, ma, al contempo, veicolasse, senza troppa evidenza e pedanteria, informazioni sui musei coinvolti e solleticasse la curiosità del lettore per spingerlo a visitarli. L’ideazione dell’albo e la sua progettazione sono partite dalla constatazione della minore attenzione riservata alla realtà museale locale da parte dell’Università e degli Istituti scolastici superiori presenti sul territorio provinciale, rispetto all’oramai consolidato trend che vede le scuole elementari e medie inferiori inserire la visita al museo come parte integrante dell’attività curriculare.
Lo scopo dichiarato è quello di avvicinare un pubblico d’età compresa fra i 15 e i 25 anni all’istituzione museale, che spesso viene da questi avvertita come sinonimo di polvere e noia, nella convinzione che se guardata con diversa attenzione possa divenire un importante momento di apprendimento e stimolo culturale anche al di là dell’ambito strettamente scolastico o accademico.
La scelta del fumetto non è stata fatta perché lo si consideri un linguaggio semplice e quindi più adatto ad un pubblico poco avvezzo alla lettura, ma perché è un linguaggio verso il quale il pubblico giovanile dimostra minor diffidenza rispetto ad altri e perché grazie ad uno dei due codici che lo compongono – quello iconico – ha permesso non solo di raccontare a parole ma anche di presentare visivamente i musei. Particolare attenzione infatti è stata posta sia alla corrispondenza storica e alla storia sia a quella grafica, chiedendo al disegnatore di essere molto accurato nel riportare sulle tavole i vari ambienti dei musei, gli allestimenti e gli oggetti conservati, ed addirittura il volto dei direttori o del personale dei musei stessi.
Si è voluto inoltre mostrare molteplici momenti della vita dei musei, cogliendo i direttori e il personale intenti in attività di didattica con le scuole, di allestimento di mostre temporanee, di catalogazione, di ricerca scientifica, di cura dell’esposizione permanente, di restauro ecc. per evidenziare come all’interno di queste realtà siano peculiari non solo i beni esposti, ma anche i laboratori didattici e di restauro, i depositi e gli archivi, gli spazi di informazione e i cataloghi informatizzati.
Il progetto realizzato dalla Provincia di Ravenna si inserisce nel solco di quanto già da anni altre Amministrazioni hanno attuato, ovvero comunicare e fare cultura attraverso il fumetto. Non è un caso che spesso in tali iniziative sia stato con successo utilizzato come testimonial il professor Martin Mystère, personaggio che, grazie alla sua omniscente cultura e alle sue storie cariche di mistero, è presente da vent’anni nelle edicole.
Ed è proprio ricalcando le tracce del genere “mysterioso” che la storia scritta a quattro mani da Massimo Marcucci e Gianni Barbieri e disegnata da Riccardo Crosa – il tutto sotto la supervisione di Eloisa Gennaro, responsabile del progetto – vede Caterina Valenti e Marco Donati, una studentessa e un assistente della Facoltà di Conservazione dei beni culturali a Ravenna, coinvolti in una vicenda che, iniziata ai tempi di Dante, intersecherà varie epoche storiche, sconfinerà nel giallo e nell’esoterismo, vedrà coinvolte la setta dei Fedeli d’amore e quella degli Accoltellatori di Ravenna e metterà a repentaglio la vita di un eccentrico studioso locale sulle tracce di un oggetto di grande potere.
L’albo prevede, oltre alla storia di 64 tavole, una sezione di approfondimento nella quale da una parte si dà conto al lettore di quanto nel racconto sia frutto della fantasia degli sceneggiatori e di quanto corrisponda a verità, e dall’altra si parla dei sette musei appartenenti al Sistema Musale Provinciale, veri “protagonisti” della storia.
Infine, una mostra didattica rivelerà attraverso l’esposizione delle tavole originali disegnate da Riccardo Crosa, delle pagine della sceneggiatura e di altro materiale il dietro le quinte di questo progetto. La mostra aprirà i battenti a Ravenna nel mese di ottobre e sarà poi ospitata da alcuni musei del territorio, per finire in esposizione permanente presso il Laboratorio Provinciale per la Didattica Museale.
Per ulteriori informazioni è possibile consultare dal mese di settembre il sito del Sistema Museale (www.sistemamusei.ra.it) oppure telefonare al n. 0544.35142.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 17 [2004 - N.20]

Il database dei materiali didattici del Laboratorio Provinciale è ora on-line sul sito del Sistema Museale

Silvia Massari - Silvia Massari

La Provincia di Ravenna ribadisce l’importanza della didattica museale con la realizzazione di un archivio elettronico del materiale didattico raccolto in un’apposita sezione del Laboratorio per la Didattica Museale. L’obiettivo è quello di costruire, anno dopo anno, una sorta di catalogo critico del materiale didattico, un archivio che cresca e si arricchisca fino a diventare un riferimento abituale per operatori, docenti e studenti.
Realizzato sotto forma di database, l’archivio si pone come una risorsa fondamentale di informazioni riguardanti i supporti e le proposte didattiche offerti ai visitatori dai musei emiliano-romagnoli, ma anche da tanti musei nazionali. Basta consultare le aree tematiche contenute, raggiungibili tramite la ricerca per soggetto, per notare la grande quantità dei contenuti ospitati: arte, archeologia, arte industriale, architettura, etnografia, etnologia, scienze naturali, scienze e tecniche, storia.
L’utente può orientarsi in modo agile all’interno del database grazie ad una pagina di ricerca semplice e intuitiva, mediante la quale è possibile interrogare l’archivio impostando i parametri desiderati. Il database infatti permette di effettuare ricerche sia movendosi su diversi campi sia inserendo chiavi di ricerca particolari sia usando caratteri speciali.
Una volta selezionato il libro prescelto, dalla schermata contenente i risultati in forma abbreviata, si può accedere alla scheda completa del libro, finalizzata a trasmettere tutte le informazioni necessarie per avere una prima idea del materiale. La prima sezione della scheda è di tipo puramente anagrafico, con i dati caratteristici di ogni pubblicazione; la seconda è invece dedicata ad informazioni descrittive del materiale; la terza sezione è centrata sugli aspetti più strettamente didattici del materiale, ed è quindi la più interessante per chi consulta l’archivio a scopi di ricerca o documentazione.
Il database è consultabile sia presso il Laboratorio, sia on line all’indirizzo www.sistemamusei.ra.it/didattica

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 17 [2004 - N.20]

Il bilancio di un EcoMuseo con venti anni di attività nel nome della “bioregione”

Maria Rosa Bagnari - Responsabile del Centro Etnografico di Villanova di Bagnacavallo

Si è festeggiato quest’anno il ventennale delle attività dell’Ecomuseo della Civiltà Palustre di Villanova di Bagnacavallo, realtà museale con un progetto dinamico, con la spiccata vocazione di recuperare una Romagna antica e persa nelle arti, nelle ritualità, nelle espressioni gergali e nei prodotti legati alle economie del territorio, ovvero una terra dimentica delle proprie tradizioni.
I progetti didattici rivolti alla scuola di ogni ordine e grado, si ispirano da sempre ai criteri della Bioregione e propongono esperienze che offrono allo studente la sensazione di trovarsi a contatto diretto con un mondo che conserva inalterato il proprio patrimonio culturale. Ogni rudimentale attrezzatura, inalterata nel tempo, ogni manufatto, assolutamente autentico, vengono presentati da sempre da volontari che hanno nelle mani la sapienza della loro storia. Questa realtà, riconosciuta dal Convegno Nazionale degli Ecomusei e dalla Guida europea degli Ecomusei, evidenzia il disagio della perdita di identità del territorio, riconosciuto come la capitale dell’utilizzo dell’erba di valle. L’EcoMuseo si pone come strumento postmoderno inserito perfettamente nell’attuale contesto del mondo della globalizzazione, che evidenzierà sempre più gli aspetti della biodiversità. Nell’ambito delle attività del ventennale sono state previste attività di ricerca e scambi culturali di grande impegno quali:
• il progetto Rubia: ricerca di etnobotanica finalizzata alla realizzazione dell’Atlante dell’Utilizzo delle Vegetazioni Spontanee e Semi-spontanee dei Paesi del Mediterraneo. L’equipe italiana è condotta dal professor Pietro Luigi Clemente, della cattedra di Antropologia Culturale e di Storia delle Tradizioni Popolari dell’Università di Firenze; le attività 2004 proseguono i lavori previsti in un piano triennale di attività, con la presentazione del progetto europeo in Spagna (giugno-luglio 2004);
• incontro internazionale sulla tifa e sul giunco lacustre: le realtà che si sono scambiate le proprie esperienze di recupero nella meravigliosa terra di Sardegna sono state Santa Giusta di Oristano, nota per “i fassois” di barche di giunco che si sono potute ammirare riunite in una regata storica (dal 22 al 27 luglio), il villaggio dei pescatori di Cabras, con le affascinanti case di falasco, purtroppo oramai estinte e Puno e Huanchaco del Perù, con le straordinarie imbarcazioni e le isole di tifa;
• un altro importante momento dedicato al tema del recupero delle arti manuali che si basano sull’uso di vegetazioni spontanee, è stato l’incontro col gruppo di ricerca Tiveron di Treviso, che è stato ospite alla Sagra della Civiltà delle Erbe Palustri;
• la partecipazione a Senigallia al Salone del Prodotto Tipico e delle Antiche Arti Manuali più note dei paesi d’Italia, svoltosi dal 7 al 11 luglio;
• l’organizzazione del padiglione della cultura romagnola al salone “Sapeur” Sapori d’Europa di Forlì. Il culmine delle attività si è avuto con la XX Sagra Civiltà delle erbe palustri che si è tenuta a Villanova di Bagnacavallo dal 10 al 13 settembre 2004. Queste giornate evocative sono state finalizzate al recupero di un’immagine di Bassa Romagna autentica, non offuscata da falsi folclori.
La manifestazione, da considerarsi unica al mondo per la singolarità della proposta, presenta l’unico nucleo di anziani artigiani, con bagaglio tecnico inalterato, in grado di eseguire le antiche tecniche di intreccio, tessitura e torsione delle erbe di valle. Essi hanno incontrato mestieranti di altri paesi d’Italia impegnati nel recupero di antiche arti di particolare interesse. Anche le osterie hanno proposto i “mangiari” del vallarolo. Le innumerevoli mostre, ricche di documentazione e testimonianze, sono state dedicate alla vita delle terre d’acqua dolce. Gli spettacoli e le animazioni hanno proposto momenti evocativi e saranno primariamente dedicati al dialetto, ai balli della vera tradizione presentati coi costumi della propria terra. Particolare attenzione è stata riservata alle serenate e alla canzone popolare. In questa festa fra canne, giunchi e barche d’acqua dolce, non è mancata l’attenzione alla didattica museale, che come sempre, si è rivolta ad un turista attento e a caccia di sapori veri.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 17 [2004 - N.21]

Pubblico Esposte a Ravenna le opere che documentano l’attività di Mimmo Paladino per il teatro

Nadia Ceroni - Conservatore Museo d'Arte della Città

Il Museo d’Arte della città di Ravenna dedica a uno dei maestri della Transavanguardia un inedito allestimento di sculture, fotografie, disegni, dipinti e bozzetti che documentano più di venti anni di dialogo dell’artista con il teatro. Nato a Paduli, in provincia di Benevento nel 1948, affascinato dalla visione degli artisti Pop americani alla Biennale del 1964, Domenico Paladino espone per la prima volta a Napoli nel 1968 presso la Galleria Carolina di Portici, presentato da Achille Bonito Oliva, il critico d’arte che lo affiancherà nel corso di tutta la sua carriera artistica.
Rappresentante del nucleo storico della Transavanguardia – assieme a Sandro Chia, Francesco Clemente, Enzo Cucchi e Nicola De Maria – Paladino è noto al pubblico ravennate per aver partecipato a numerose mostre collettive negli spazi della Loggetta Lombardesca: Anniottanta (1985); Arte Santa (1986); Disegnata (1987); L’autoritratto non ritratto (1988); Musica da camera (1990). Due sue opere sono presenti nella Collezione Contemporanea del museo: Vanità, mosaico realizzato nel 1988 e L’albero della vita, cartone preparatorio per un mosaico pavimentale, realizzato nel 1984 per il Parco della pace a Ravenna.
Giornate di studi in memoria di Giuseppe Bovini
Il Centro Internazionale di Documentazione sul Mosaico, nuova sezione del Museo d’Arte della città di Ravenna organizza un convegno di studi dedicato alla chiesa di San Michele in Africisco, dal titolo S.Michele in Africisco e l'età giustinianea.Giornate di studi in memoria di Giuseppe Bovini, che si terrà il 21 e 22 aprile 2005 presso la Sala dei Mosaici (in P.zza Kennedy) di Ravenna.
Interverranno per l’occasione eminenti studiosi italiani e stranieri.
Artista di fama internazionale, l’opera di Paladino “ha le divisioni tipiche dell’arte tradizionale, esplicandosi nel campo della pittura, della scultura e della grafica”. In essa ricorrono immagini che rimandano ad un universo arcano e primitivo, dove le forme sono tradotte in segni eleganti e semplificati, “anzi, è proprio il passaggio dall’immagine, come linguaggio analogico, al segno, dove l’immagine ha un significato logico, a costituire il tratto più tipico dell’universo formale di Paladino”.
All’interno della sua vastissima produzione artistica – che comprende superfici di grandi dimensioni e opere di forte impatto visivo, grandi sculture in bronzo e installazioni in cui sperimenta la contaminazione tra le diverse forme espressive, ma anche composizioni tendenti ad un evidente rigore e alla semplificazione delle strutture – il 1990 segna l’anno in cui inizia il suo intenso rapporto con il teatro: invitato dal regista Elio De Capitani e da Franco Quadri, allora direttore della Fondazione Orestiadi, realizza la scenografia della Sposa di Messina di Schiller.
La passione per il disegno – che è costante nel lavoro di Paladino e sfocia nell’incisione – è il tema centrale delle mostre allestite a Trento e a Torino negli anni 1992 e ’94. Primo fra molti artisti italiani, nel 1994 espone anche a Pechino, celebrato dal gotha della critica d’arte contemporanea cinese.
Dopo la mostra al Belvedere di Firenze, nel 1993, l’artista ha di nuovo modo di dialogare con uno spazio urbano realizzando nel ’95 una memorabile montagna di sale in Piazza Plebiscito a Napoli, avvenimento che gli procura ulteriori richieste di installazioni in contesti architettonici: Poggibonsi, Positano, Cosenza. Altri interventi per il teatro vengono realizzati nel 2000, tra cui le scenografie dell’Edipo Re con la regia di Mario Martone per il Teatro Argentina di Roma, per le quali Paladino vince il Premio UBU come miglior scenografo.
Per la Fondazione del Teatro San Carlo di Napoli realizza nel 2002 la scenografia del Tancredi e nel 2004 le scenografie per l’Edipo a Colono, rappresentato a Roma per la regia di Mario Martone, che gli fanno vincere il Premio UBU per la seconda volta.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 17 [2005 - N.22]

Il ruolo del Comune di Ravenna in materia di pedagogia e didattica del patrimonio

Donatella Mazza - Dirigente del Servizio Diritto allo Studio e Università del Comune di Ravenna

Il Comune di Ravenna, tramite l’attività del Servizio diritto allo studio ed università che ha il compito istituzionale di arricchire ed innovare l’offerta formativa del sistema scolastico ed universitario del nostro territorio, persegue da molti anni con continuità ed impegno gli obiettivi che stanno alla base del filone educativo dell’approccio ai beni culturali, nella convinzione che esso sia il tramite per conquistare risultati importanti nel processo educativo delle nuove generazioni. Tramite la pedagogia e la didattica del patrimonio (così viene chiamata questa area di intervento dal Consiglio d’Europa che sostiene l’azione dei vari Paesi erogando finanziamenti ed incentivando scambi fra docenti, classi ed esperti nell’ambito di specifici programmi, in primis il Programma Socrates Comernius) è possibile infatti adottare e praticare i principi che stanno alla base dell’insegnamento più avanzato:
• il valore della pedagogia della scoperta
• la potenzialità sperimentale dell’atelier didattico
• la ricerca-azione come strategia capace di mediare didatticamente i giacimenti culturali del territorio potenziando in senso sperimentale e multidisciplinare l’ossatura del curricolo nel rispetto ed in stretta collaborazione con le Istituzioni scolastiche che detengono il compito fondamentale di emancipare gli allievi sul piano della conoscenza specialistica e della cultura in senso lato.
Sarebbe lungo, e spero comunque di averne l’opportunità più avanti nelle pagine di questa rivista, descrivere l’intensa attività realizzata dalla struttura che ho il grande piacere ed il grande privilegio di dirigere, sia all’interno d’esperienze europee quali Le classe europee del patrimonio e i Giardini e parchi storici in Europa laddove il Comune di Ravenna è partner di Paesi europei che dimostrano sensibilità e disponibilità ad agire in questo campo, sia all’interno dei copiosi ed articolati progetti ideati e realizzati presso “Tessellae”, Centro di sperimentazione didattica cogestito con la Soprintendenza per i beni architettonici e per il paesaggio: un luogo magico ove la ricerca viene perseguita con tenacia e piacere, nella certezza di operare per innovare la didattica ed i linguaggi senza perdere di vista il fine ultimo degli interventi che è quello di educare al bello, al riconoscimento delle proprie origini, al saper interpretare i segni della storia lavorando su fonti vive, a difendere e valorizzare i beni preziosi che insistono sul nostro straordinario territorio.
I musei, i Centri di sperimentazione didattica, le biblioteche, i monumenti, i siti archeologici sono luoghi insostituibili ove è possibile far decantare le conoscenze settoriali, consumate nelle aule scolastiche in ossequio ai vincoli dei programmi, in un quadro di riferimento globale nel quale inserire l’apprendimento che diviene originale e personalizzato perché elaborato criticamente dall’allievo secondo stimoli scientificamente pensati dagli esperti e dagli insegnanti nell’ambito dell’unità didattica condivisa.
È possibile e indispensabile, dunque, operare in favore di una metaconoscenza che, basandosi sull’interesse, sulla curiosità, sull’emozione (ancora tanto viva nel segmento della scuola dell’obbligo), ridoni fecondità al pensiero specie nella realtà attuale, così complessa, variegata e dispersiva in cui risulta sempre più difficile individuare il nucleo essenziale e funzionale dell’apprendimento.
Sono profondamente convinta che l’educazione ai beni culturali vada ben oltre la conoscenza perché con essa si persegue l’educazione e la formazione globale di ogni cittadino per tutto l’arco della vita e perché con essa – ed i risultati ottenuti rinsaldano tale convinzione – è possibile portare a sintesi teoria e pratica, stimolare l’intelligenza divergente troppo compressa dalle ragioni della tecnologia e del progresso scientifico, rileggere il nostro quotidiano con emozione e riconoscenza.

Esperienze di didattica museale - pag. 17 [2005 - N.23]

Dallo scorso autunno è presente a Ravenna una nuova delegazione provinciale del Fondo per l’Ambiente Italiano

Claudia Bassi - Capo Delegazione FAI di Ravenna

Da alcuni mesi il FAI (Fondo per l’Ambiente Italiano) è tornato a Ravenna, dove mancava da più di un anno: nello scorso autunno una nuova delegazione provinciale si è infatti costituita nella nostra città.
Ne è a capo Claudia Bassi Angelini e ne fanno parte Maria Grazia Antoniacci, Claudia Baldini, Gian Luca Bandini, Alessandra Benini, Nadia Ceroni, Antonia Gentili, Claudia Giuliani, Giancarlo Pasi, Fedora Savini, Massimo Silei.
Fondato nel 1975 da Giulia Maria Mozzoni Crespi, che da allora ne è Presidente, il Fondo per l’Ambiente Italiano ha infatti come “scopo esclusivo l’educazione e l’istruzione della collettività alla difesa dell’ambiente e del patrimonio artistico e monumentale” e possiede e gestisce beni di grandissimo valore (ricevuti per donazione, eredità o comodato), li restaura e li apre al pubblico. Oggi in Italia sono 36 i Beni sotto la sua tutela che sono tornati ad essere accessibili ai visitatori.
La maggior parte dei finanziamenti per i costosissimi lavori di restauro e di mantenimento proviene al FAI dalle iscrizioni (attualmente gli aderenti sono più di 70.000) ma - affinché il FAI possa continuare la sua missione - è necessario che i suoi affiliati continuino ad aumentare. L’attività dei volontari delle delegazioni provinciali è pertanto rivolta ad ampliare i consensi del FAI, sensibilizzando la cittadinanza ai suoi valori e divulgandone i propositi, un obiettivo perseguito con tenacia anche dalla nuova delegazione FAI di Ravenna, che in questi mesi si è ripetutamente segnalata per le sue iniziative in campo culturale.
Basti ricordare il convegno del dicembre scorso La selva antica di Ravenna a cento anni dalla legge Rava, in occasione del centenario della legge Rava per la tutela delle pinete ravennati. Organizzato in collaborazione con l’Università di Bologna – Polo scientifico didattico di Ravenna, il convegno ha suscitato l’interesse degli studiosi e della cittadinanza, tanto che nel prossimo autunno ne verranno pubblicati gli Atti.
Di grande interesse anche le conferenze sul tema del mosaico svolte in aprile (relatori Linda Kniffitz, Curatrice del Centro Internazionale di Documentazione sul Mosaico, e Claudio Spadoni, Direttore del Museo d’Arte della città di Ravenna), per non parlare del successo registrato dalla Giornata di Primavera del 25 e 26 marzo, l’evento più importante del FAI, che si svolge su tutto il territorio nazionale e che si propone di aprire al pubblico beni solitamente chiusi. La delegazione di Ravenna, che ha organizzato un Itinerario barocco per chiese ravennati (tre delle quali di difficile accesso), ha visto l’afflusso di oltre 3000 visitatori.
Né va dimenticata l’attività interna della Delegazione, come gli incontri conviviali e le “serate FAI” finalizzate a conoscere meglio i restauri operati dal FAI, oppure i viaggi, l’ultimo dei quali a Tivoli, dove gli aderenti hanno potuto ammirare anche Villa Gregoriana, lo straordinario Parco restituito al pubblico nel 2005 grazie ai restauri del FAI, che ne ha la tutela. Un’attività che in pochi mesi ha fatto registrare un considerevole aumento delle iscrizioni (la delegazione FAI di Ravenna conta oggi 380 aderenti) e che si intensificherà nel prossimo anno (per informazioni: tel. 0544 460208; claudiabassi.fai@libero.it).

La pagina della Valorizzazione - pag. 17 [2006 - N.26]

La Provincia di Ravenna promuove i suoi musei pubblicando il secondo volume della collana a fumetti “I misteri dei musei”

Massimo Marcucci - Provincia di Ravenna U.O. Beni Culturali

“Per quel che mi riguarda, penso che il fumetto possa essere un’arte, ma non sta a me definirmi artista. Se alcuni vedono in me un artista, mi va bene, ma io mi definisco un autore di fumetti, anche se non amo l’espressione ‘fumetti’. Preferirei qualcosa come ‘letteratura disegnata’ o ‘disegni scritti’”. A parlare così era Hugo Pratt, il padre di Corto Maltese, nel corso di una lunga intervista-libro All’ombra di Corto. Dalla prima pubblicazione dei colloqui raccolti da Dominique Petitfaux sono oramai passati sedici anni e finalmente anche in Italia si comincia a guardare al fumetto in maniera diversa.
Il fumetto ha sempre avuto vita magra nel nostro paese. Utilizzato nella propaganda del regime fascista, miniera di eroi (uno per tutti Romano il Legionario) di italiche virtù, condannato a partire dal secondo dopoguerra da insegnanti e da pedagoghi come corruttore della lettura e della morale dei giovani, tanto da veder presentati in Parlamento, a partire dal 1951, diversi progetti di legge richiedenti a gran voce un controllo preventivo sulla stampa a fumetti, fortunatamente bocciati, ma che diedero origine da parte degli stessi editori e, parallelamente a quanto succedeva negli Stati Uniti, ad una commissione di autocensura con tanto di marchio da apporre sulle copertine degli albi a fumetti, MG/garanzia morale.
Accusato dai benpensanti di corrompere la società (negli anni ’50 sparirono da Tex Willer scollature e spacchi e, a volte, pistole e coltelli), nei due decenni successivi, con la nascita di Diabolik e dei suoi epigoni neri, il fumetto divenne la fonte di ogni crimine, come se prima del suo apparire, nel 1962, non avvenissero furti e omicidi… In quegli anni a poco valsero il volume di Umberto Eco Apocalittici e integrati, nel quale lo studioso accordava al fumetto dignità di studio.
Nonostante ciò la nascita della rivista Linus (1965), sul cui primo numero apparve un confronto fra Eco, Vittorini e Oreste del Buono proprio su questi temi, forma una sorta di spartiacque per il fumetto in Italia. Il suo programma infatti prometteva di far conoscere ai lettori italiani, soprattutto a quelli adulti, una letteratura a fumetti di alta qualità corredata da puntuali interventi sulla sua storia. Oggi il sasso lanciato nello stagno da Eco ha prodotto cerchi concentrici sempre più ampi che - seppur con difficoltà e diffidenze da parte di lettori, educatori ed intellettuali - hanno permesso al fumetto di guadagnarsi una sua dignità letteraria. È di questi tempi il successo che ha arriso alle due collane a fumetti nate dalla collaborazione del gruppo Repubblica/L’Espresso con il gruppo Panini, che oltre al riscontro di copie vendute (nell’ordine di milioni) ha mostrato la ricca varietà di temi, che a parità degli altri linguaggi, il fumetto può affrontare passando dall’umorismo di Lupo Alberto, al dramma della Shoah con Maus (premio Pulitzer) nonché mostrando la ricchezza di stili e storie presenti nei volumi e negli albi pubblicati nel nostro paese (la BD franco-belga, i comics americani, l’historietas argentina, i manga giapponesi).
Già sulle pagine di questa rivista, in occasione dell’uscita del volume a fumetti Ombre Arcane, si notava come generalmente ci si riferisca al fumetto come ad un genere, alla stregua della letteratura gialla, rosa o di fantascienza mentre affermavamo, senza tema di smentita, che si tratta di un linguaggio con una propria grammatica e propri esclusivi codici d’espressione. Will Eisner, uno dei più grandi autori di comics, padre della cosiddetta graphic novel che negli anni ’70 ha fatto compiere un balzo in avanti nel modo di scrivere e pensare a fumetti, definiva il linguaggio fumettistico arte sequenziale.
Nel suo Fumetto ed arte sequenziale Eisner scriveva: “Il formato comic book presenta un montaggio di parole e immagini, e di conseguenza al lettore viene richiesto di impiegare le proprie capacità interpretative sia visive che verbali. Gli elementi costitutivi delle illustrazioni (per esempio la prospettiva, la simmetria, la pennellata) e quelli della letteratura (per esempio la grammatica, l’intreccio, la sintassi) si sovrappongono tra loro. La lettura di un fumetto è un atto che coinvolge sia la percezione estetica che la comprensione intellettuale. [...] Nel loro stato più semplice, i fumetti impiegano una serie di immagini ripetitive e di simboli riconoscibili. Quando queste immagini e questi simboli vengono usati più volte per trasmettere idee analoghe, diventano un linguaggio ... o una forma letteraria, se si preferisce. Ed è questa applicazione disciplinata che crea la ‘grammatica’ dell’Arte Sequenziale”.
È proprio partendo dall’assunto fumetto=linguaggio, che il progetto “Gulp! I fumetti al museo”, promosso dalla Provincia di Ravenna e supervisionato dalla responsabile del progetto Eloisa Gennaro, ha inteso valorizzare – principalmente pensando al pubblico più giovane che non ha preclusioni di sorta verso il fumetto – i musei del territorio in maniera diversa e complementare rispetto alle altre tipologie di materiale promozionale curate dal Sistema Museale Provinciale. E si è pensato di realizzare non qualcosa di didascalico sul tipo della Storia d’Italia di Enzo Biagi, che con la letteratura disegnata a poco a che spartire, ma di ideare una storia di taglio mistery-esoterico, che strizza l’occhio al personaggio a fumetti Martin Mystère presente in edicola ormai da più di 25 anni, ben prima del banale Codice da Vinci di Dan Brown.
Ombre Arcane, il primo volume della collana “I misteri dei musei” uscito nel 2004, ha ricevuto un’apprezzabile accoglienza sia in termini di vendite (oltre ai musei della rete provinciale il volume è stato distribuito in tutta Italia attraverso le librerie e le cosiddette fumetterie) che di pubblico e critica; una buona recensione è tra l’altro apparsa anche su TuttoLibri, dorso culturale del quotidiano La Stampa.
Forte di ciò la Provincia di Ravenna ha pensato di ripetere l’esperienza allo scopo di promuovere la conoscenza di ulteriori musei del territorio, elaborando il soggetto per una seconda storia, stavolta ambientata a Lugo (il primo volume, ricordiamo, era in buona parte ambientato a Ravenna) e prospettando per il futuro un terzo episodio ambientato nel faentino, così da coprire tutto il territorio provinciale, dando vita ad una vera e propria collana di guide ai musei sotto forma di albo a fumetti.
Il nuovo volume, intitolato Il fuoco segreto, vede il ritorno del vulcanico studioso di storia locale, Epaminonda Vallicelli, già protagonista di Ombre Arcane, che si trova ora implicato in una bizzarra storia che coinvolge un finto mago, il famoso Asso dell’aviazione Francesco Baracca, un sinistro palazzo di Lugo, una porta magica, uno spartito per il quale si può uccidere e morire, un inquietante idolo babilonese.
La rocambolesca vicenda, scritta dall’estensore di queste note, è stata sceneggiata da Gianni Barbieri che, a partire dal 1992 ha iniziato l’attività di sceneggiatore per testate popolari (Intrepido, Lazarus Ledd, Hammer, Samuel Sand) e underground (Tribù, Mah!gazine), scrivendo per Vittorio Giardino Eva Mirand (Lizard, 2005). I disegni sono di Luca Genovese che, dopo aver frequentato la scuola internazionale di comics di Firenze, ha pubblicato le sue opere a partire dal 2001 con il Centro del Fumetto “A. Pazienza”, Indy Press, Oni Press e Eura Editoriale e Black Velvet.
A dicembre verrà esposta a Palazzo Grossi – sede del Settore Cultura della Provincia - una piccola mostra permanente che raccoglierà tavole originali e materiali utilizzati dietro le quinte per realizzare i due volumi editi, e contemporaneamente farà conoscere i tanti musei del Sistema Museale Provinciale protagonisti delle due storie. La mostra sarà inoltre ospitata dal 19 al 27 gennaio presso la Biblioteca Oriani di Ravenna, prevedendo - in occasione del giorno di apertura - la presentazione ufficiale al pubblico de Il fuoco segreto.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 17 [2006 - N.27]

Un'ampia rassegna delle opere di Mino Maccari al Museo delle Cappuccine di Bagnacavallo e ai Magazzini del Sale di Cervia.

Giuseppe Masetti - Direttore del Museo Civico Le Cappuccine di Bagnacavallo

Un segno di vitalità da parte dei musei, di attenzione al turismo estivo, ma anche capacità progettuale e volontà di collaborazione tra due amministrazioni comunali, sono alla base di questa originale iniziativa, promossa dalla C.N.A. della provincia di Ravenna che ogni estate regala ai turisti del "nonsolomare" un importante evento artistico. Dopo le grandi mostre tenute a Cervia negli anni scorsi dedicate ad Andy Warhol e ad Antonio Corpora, quest'anno l'idea si è estesa a due prestigiosi contenitori e la scelta è caduta sulla vasta produzione grafica e pittorica di Mino Maccari (Siena 1898 - Roma 1989), presente nelle due mostre con oltre duecento opere, alcune delle quali del tutto inedite.

Il progetto espositivo congiunto ha previsto così di collocare a Bagnacavallo le prime opere dell'artista, quelle comprese tra il 1924 ed il 1948, in cui si raffina la grande inventiva del disegnatore e dell'incisore, che passò dalla xilografia all'uso del linoleum come matrice di supporto per realizzare a basso costo ed in tempi brevissimi le fulminanti composizioni presenti sulle copertine del suo periodico "Il Selvaggio".
Per questo motivo, e per la grande fiducia che Maccari ed altri riposero inizialmente nel nuovo regime, la sezione bagnacavallese è stata intitolata "L'età selvaggia", pensando agli entusiasmi giovanili più legati al movimento di Strapaese, condiviso con artisti come Soffici, Morandi, Carrà e scrittori come Tobino, Bilenchi e Cardarelli, in opposizione al gruppo di Novecento, più sensibile alle influenze culturali d'Oltralpe. Sono esposti a Bagnacavallo fino al 5 agosto anche rarissimi numeri della rivista curata da Maccari, con i disegni di copertina poi ristampati, le prime cartelle d'incisioni, i documenti del suo lungo sodalizio con Leo Longanesi e volumi della sua breve stagione editoriale. Nel presentare l'autore Sergio Zavoli ha voluto precisare che Mino Maccari fu "...tra i rari maestri di quella sapienza breve che ha nutrito, con l'epigramma e il segno veloce, una stagione intellettuale ed artistica tra le più mercuriali del Novecento".

La sezione collocata ai Magazzini del Sale di Cervia fino al 19 agosto, con il titolo "Cose mai viste", attraverso più di cento dipinti, descrive invece la produzione degli anni Sessanta e Settanta, incentrata sugli oli e sulle tecniche miste più riconoscibili, nelle quali la figura femminile compare spesso, con la graffiante ironia che percorre tutte le opere di Maccari.

Per conoscere più da vicino l'autore, prolifico e longevo ma sempre schivo ai riflettori, è visibile in entrambe le sedi, un programma audiovisivo di oltre un'ora, contenente le rare interviste concesse dall'artista toscano, a partire dagli anni '60 fino ai primi anni Novanta.

Accompagna entrambi gli eventi un ricco catalogo di tutte le opere esposte, realizzato dalle edizioni Friarte di Roma, contenente una presentazione dei curatori ed una prefazione di Sergio Zavoli.

L'ingresso gratuito ed un calendario di visite guidate, aggiornate sull'apposito sito interattivo www.mostramaccari.it, rendono l'evento particolarmente fruibile nel corso dell'estate ravennate.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 17 [2007 - N.29]

Regolamenti e carte dei servizi.

Daniele Jalla - Presidente di ICOM Italia

Nel 1960 una legge dello Stato di appena due articoli, la 1080, portò al riconoscimento dei musei "non statali", ne determinò la classificazione in multipli, grandi, medi, minori, prevedendo anche che, entro un anno dal loro riconoscimento, essi adottassero un proprio regolamento.
Fu una legge importante, fortemente voluta dall'Associazione nazionale direttori e funzionari dei musei locali, che ne salutò l'approvazione come "evento rivoluzionario" in primo luogo perché, per la prima volta dall'Unità d'Italia, veniva formalmente riconosciuta l'esistenza dei musei locali. Ma anche e soprattutto perché - come sottolineò Vittorio Viale nel convegno dell'Associazione che si tenne a Bologna nel 1961 - i regolamenti offrivano ai musei l'occasione per assicurarsi quelle "condizioni sufficienti... sia nei riguardi della conservazione dei materiali sia nei riguardi del pubblico godimento sia dell'azione culturale e didattica connaturata al carattere e agli scopi dei nostri istituti", che oggi definiremmo standard minimi di funzionamento.

Negli anni successivi furono molti i regolamenti approvati in base alla legge e parte di essi sono tuttora in vigore, con le poche modificazioni imposte dalle nuove normative. Certamente invecchiati, in parte inadeguati, questi regolamenti costituiscono comunque un prezioso punto di riferimento per la loro qualità tecnica, frutto di una meditata e competente redazione del regolamento tipo che è alla base della loro stragrande maggioranza: simili per struttura e articolato, essi sono la coerente espressione di un'idea di museo che in buona misura è anche quella che, nel corso dell'ultimo decennio, ha portato a riconsiderare la necessità di dotare i musei di norme scritte, come condizione essenziale per la loro esistenza e soprattutto per il loro buon funzionamento.

La prima tappa del processo che ha fatto riemergere, a quarant'anni dalla legge 1080, l'urgenza di aggiornare o anche solo di dotare i musei di un proprio regolamento, coincide - com'è noto - con la sua ri-identificazione in quanto istituto, non assimilabile alla sola collezione che conserva ed espone, com'era stato per quasi un secolo. È il recupero di questa identità che ripropone la centralità dei regolamenti museali per dare forma e sostanza giuridica al museo in quanto soggetto il cui "status" giuridico, le cui finalità (la cosiddetta "missione") e funzioni, la cui organizzazione e i cui rapporti con l'amministrazione responsabile e il pubblico costituiscono l'oggetto di atti costitutivi, di statuti e di regolamenti.

Una seconda tappa corrisponde all'adozione, prima a livello ministeriale, poi da parte di molte Regioni, dei cosiddetti standard museali: un insieme di requisiti minimi, in assenza dei quali un museo non può essere considerato tale e che costituiscono al tempo stesso la condizione essenziale affinché la qualità del suo servizio risulti adeguata tanto rispetto alla conservazione dei beni quanto alle esigenze e aspettative del pubblico. L'adozione dell'Atto di indirizzo ministeriale sugli standard risale al 2001, e, di poco più recenti sono gli standard definiti da alcune Regioni, tra cui l'Emilia-Romagna nel quadro di norme che, oltre a prevedere forme di riconoscimento dei musei, hanno sollecitato l'adozione di nuovi regolamenti e contribuito a diffondere - anche tra gli amministratori - una nuova cultura della qualità.

La ripresa di una tradizione trascurata per decenni coincide tuttavia con alcune importanti novità. Due in particolare meritano di essere sottolineate, anche perché corrispondono agli aspetti più significativi e interessanti, agli occhi di un osservatore esterno, del modello di Regolamento e di Carta di servizi elaborati dalla Provincia di Ravenna per proporre ai musei del Sistema Provinciale un punto di riferimento comune, sollecitando al tempo stesso ciascun museo a integrare, adattare e sviluppare i due modelli in funzione delle proprie specifiche caratteristiche.

Rispetto agli anni Sessanta infatti non sono soltanto cambiati i tempi, imponendo di aggiornare le norme alle necessità presenti, ma si è anche sviluppata una riflessione sui modi stessi attraverso cui redigere un sistema di norme in grado di soddisfare più esigenze al tempo stesso. Da un lato per individuarne con maggiore precisione la specifica missione del museo, necessariamente diversa da caso a caso, pur nel quadro di quelle comuni finalità e funzioni contenute nella definizione generale di museo dell'ICOM, l'International Council of Museums. Dall'altro per stabilirne le dotazioni minime, in termini di spazi e strutture, di risorse economiche e umane, tali da assicurare condizioni adeguate di sicurezza, ma anche rendere possibili prestazioni di qualità tanto nella gestione e cura delle collezioni quanto nei servizi al pubblico.

Le due principali novità fra i regolamenti esistenti e quelli attuali o in corso di elaborazione, consistono in primo luogo nella prospettiva di non puntare solo e necessariamente a redigere un regolamento unico, quanto piuttosto di dotare ogni museo di un sistema di norme più articolato che, preveda il ricorso a più strumenti per strutturare e orientare l'organizzazione e il funzionamento di un museo: un insieme di norme che, oltre a stabilirne le regole generali di funzionamento, ne indirizzi nel dettaglio le attività attraverso strumenti più agili e flessibili, attraverso ordini di servizio, circolari, procedure... tali da costituire nel loro complesso una sorta di manuale di qualità del e per il museo.

Da un punto di vista pratico questo significa scegliere di non inserire tutto nel Regolamento, ma di far sì che esso, al di là di quanto norma direttamente, demandi ad atti di organizzazione interna la regolamentazione quotidiana e di dettaglio, che è anche quella che va aggiornata con maggiore frequenza e adattata alle singole situazioni. Questa prospettiva amplia l'ambito delle norme, ma le rende anche più flessibili e non corrisponde a null'altro che a cercare di trasformare le buone pratiche in procedure, e i rapporti - interni ed esterni al museo - in codici di comportamento definiti perché scritti e adottati dall'autorità di volta in volta responsabile.

Una seconda indicazione porta a cercare di integrare il Regolamento con la cosiddetta Carta dei Servizi che, oltre ad essere una relativa novità per i musei, costituisce uno strumento essenziale almeno da due punti di vista. Nei confronti della struttura definisce le prestazioni richieste all'equipe, in termini di doveri e di obiettivi da perseguire e raggiungere. Rispetto all'utenza consente di individuare i suoi diritti, ma permette anche di conoscere meglio natura, caratteristiche e organizzazione del museo e di renderne così trasparente e verificabile il funzionamento da parte di tutti: pubblico, personale e amministratori.

I modelli di Regolamento e Carta dei Servizi del Sistema Museale della Provincia di Ravenna corrispondono a entrambe queste linee di indirizzo, costituendo - come si è detto - un riferimento normativo particolarmente apprezzabile, la cui qualità dipende anche dal fatto che sollecita un processo di responsabilizzazione degli amministratori e degli operatori, rispettandone da un lato l'autonomia e dall'altro stimolandone la creatività. Una capacità, quest'ultima, basilare anche in quell'attività apparentemente arida e burocratica rappresentata dalla definizione delle norme e delle procedure, ma che in verità costituisce il fondamento e l'architettura invisibile non solo di ogni museo ma di qualunque istituzione, pubblica come privata.

Tanto più dunque i musei integreranno gli schemi e i modelli proposti, adeguandoli, adattandoli, integrandoli a partire dalla propria esperienza e realtà, tanto più potrà dirsi riuscito un processo che si apre avendo tutte le condizioni per concludersi nel migliore dei modi.

Speciale decennale del Sistema Museale Provinciale di Ravenna - pag. 17 [2007 - N.30]

Memoria collettiva e cornice intrigante di storie antiche: apre il Museo del Castello di Bagnara di Romagna

Fiamma Lenzi - IBC della Regione Emilia-Romagna

Cornice di racconti epici o fiabeschi, fastosa dimora signorile, vigile baluardo di mille assedi, emblematico modello di una cultura del costruire che ha saputo sfidare i secoli, incarnazione di ideologie del potere e del governo sul territorio, metafora di riconquistate identità, testimone vivente del tempo, incastonato nel nostro presente, il castello è il segno e il simbolo per eccellenza di una storia reale, o anche solo immaginata, appartenente alla comunità intera che alla sua ombra, generazione dopo generazione, ha vissuto, lavorato, sperato.
Valorizzare questa magnifica eredità culturale che i predecessori hanno affidato ai posteri, perché a loro volta la trasmettessero al futuro, facendone lo spazio scenico in cui si ripercorre la lunga vicenda temporale che ha portato la comunità a divenire quel che è e dove se ne tratteggiano identità, cultura, tradizioni, è un proposito che il Comune di Bagnara ha fatto proprio. A questo impegno ha dedicato energie e risorse, nella convinzione non solo di restituire alla città il suo "luogo" di memoria collettiva, ma di consegnare ad un bacino ben più vasto - quello della bassa Romagna - un valore aggiunto, un'opportunità di conoscenza e di qualificazione sociale, di sviluppo culturale e turistico.
Un percorso scandito da tappe importanti - una Carta Archeologica come strumento propedeutico alla pianificazione urbanistica e territoriale, una prima sezione museale imperniata sulle testimonianze dell'antichità, la promozione degli scavi archeologici nella motta dei Prati di S. Andrea, sito della Bagnara più antica, il trasferimento del municipio e il recupero a fini museali dell'intera struttura della Rocca - che hanno trovato coronamento il 28 giugno con l'inaugurazione del Museo del Castello.
Chi lo visita potrà aprirne le porte con molte chiavi di lettura, potrà cogliere, nello snodarsi del percorso attraverso le sale, i camminamenti, i sotterranei, il mastio, il bastione, la corte, la molteplicità di suggestioni di cui la Rocca è portatrice, con il suo essere ad un tempo protagonista di primo piano dell'immaginario collettivo contemporaneo e testimonianza senza pari di intrecci culturali, sociali, storici legati all'età medievale, alle sue figure, ai suoi eventi, alle sue conquiste.
Realizzato grazie al coordinamento fra varie realtà istituzionali (Comune di Bagnara, Provincia di Ravenna, IBC, Soprintendenza Archeologica dell'Emilia-Romagna, Facoltà di Conservazione dei beni culturali dell'Università di Bologna, l'Associazione Intercomunale della Bassa Romagna), il Museo permette di intraprendere diversi percorsi nel passato, alla riscoperta di numerose angolazioni.
Si possono così rivisitare i momenti nodali della storia di Bagnara e di questa parte delle terre di Romagna, a cominciare dall'instaurarsi dei primi villaggi stabili all'incirca cinque millenni fa, quando la sedentarizzazione costituisce un tutt'uno con l'insorgenza dell'agricoltura e dell'allevamento e vede in seguito lo sviluppo di attività artigianali, su cui finirà per primeggiare la metallurgia. Poi sarà la volta del dominio romano, con il suo saper "governare" il territorio, farlo proprio, conferire al paesaggio un volto ed un'organizzazione che ancora danno orizzonte a noi moderni. Verrà infine l'età di Mezzo, che porterà con sé un nuovo ordine, un diverso assetto entro il quale matureranno le condizioni per la nascita della prima comunità di Bagnara, ai Prati di S. Andrea. E con l'Alto Medioevo i villaggi cederanno il posto alle fortezze: avrà origine il fenomeno dell'incastellamento, connotando in modo significativo la fisionomia insediativa della bassa Romagna e Bagnara stessa, che ne rappresenta uno fra gli esempi più rimarchevoli. Proprio in ragione di ciò la Rocca sarà sede anche di un centro di studio dedicato a questo tema così pregnante della storia medievale.
Ma il castello parla anche di sé, delle sue origini, delle sue forme, delle trasformazioni che le mutate condizioni storiche e l'evolvere delle tecniche militari hanno preteso da questa struttura antica, eppure capace di rigenerarsi, di piegarsi a nuove funzioni per contemporaneità continuamente rinnovate. Capace oggi di essere un museo per la sua comunità e un museo di se stesso: non dismissione di un presente che non sa che farsene e quindi ne cristallizza l'essenza, ma realtà culturale in grado di "stare nel tempo" e di raccontarsi al futuro.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 17 [2008 - N.32]

L'umanità del maestro cotignolese che ebbe come allievi generazioni di artisti romagnoli e che fu Giusto fra le Nazioni

Orlando Piraccini- Raffaella Zama - IBC- Storica dell'arte

Un ritratto di Luigi Varoli è quanto si propone al pubblico con l'esposizione promossa dal Comune di Cotignola nell'ambito del programma celebrativo per il 50° anniversario della scomparsa del celebre artista. Non solo il Varoli pittore e creativo poliedrico d'indubbio valore e protagonista della vicenda figurativa romagnola del '900, ma anche il Varoli maestro d'arte e di vita per tanti giovani nella sua scuola di Cotignola e, infine, il Varoli dell'impegno civile e umanitario, protettore degli Ebrei e per questo insignito del titolo di "Giusto fra le Nazioni".
Varoli nasce a Cotignola nel 1889: presto viene avviato al lavoro presso una fornace di stoviglie e, nello stesso tempo, frequenta la locale Scuola comunale di disegno, poi quella tenuta a Lugo dal noto scultore e pittore cotignolese Domenico Visani. Si iscrive l'Accademia di Belle Arti di Ravenna, dove il direttore Vittorio Guaccimanni ben presto apprezzerà le sue doti. Nel 1915 parte per la guerra in trincea; nel 1920 acquisisce l'abilitazione all'insegnamento presso l'Accademia di Belle Arti di Bologna e nel 1922 è licenziato a pieni voti ai Corsi Superiori di pittura a Roma. A partire dai primi anni Venti inizia la sua attività di insegnante presso la Scuola Arti e Mestieri di Cotignola e avvia altre scuole con la lavorazione della ceramica, costruendo forni nelle città di Roma, Ravenna, Modigliana, Massa Lombarda, Bagnacavallo e Fusignano.
Artista poliedrico al quale non vi è materia o tecnica che sia sconosciuta - scolpisce il legno e la pietra, batte il ferro, plasma l'argilla e la cartapesta - viene descritto da Balilla Pratella come solitario animatore della bassa Romagna. Profondamente radicato alla sua terra d'origine, dedica la sua vita all'insegnamento: una vita per trasmettere il bello dell'arte o l'abilità di un mestiere, ma anche il piacere della musica (nel 1931 si diploma in contrabbasso presso la Regia Accademia Filarmonica di Bologna) in una scuola organizzata come una bottega all'antica, senza confini con la sua casa. Muore a Cotignola nel 1958, lasciando eredi dei propri insegnamenti gli allievi più dotati della sua scuola.
La mostra a lui dedicata si articola in tre momenti, cominciando dalla sezione intitolata Varoli pittore. Scoperte e ritrovamenti allestita al pianterreno di Palazzo Sforza come una sorta di prolungamento del soprastante Museo Varoli ed incentrata su una rivisitazione della sua pittura attraverso una nutrita selezione di opere inedite o poco note provenienti dal collezionismo pubblico e privato di ambito romagnolo.
Il percorso espositivo continua poi con Varoli maestro d'arte all'interno della Casa Museo Luigi Varoli, dove si documenta l'attività della Scuola d'arte e Mestieri di Cotignola: attraverso opere di vario tipo, documenti e fotografie viene ricostruito il fervido cenacolo cotignolese, che grazie alla presenza ed all'opera di Varoli è stato un punto di riferimento altamente qualificato per l'ambiente artistico romagnolo negli anni centrali del secolo scorso.
Allestita presso la Chiesa del Suffragio, la sezione Varoli Giusto fra le Nazioni illustra la personalità dell'artista, uomo di grande statura morale, impegnato sul fronte civile e sociale nell'ambito della comunità cotignolese.
La mostra è accompagnata da un volume della collana editoriale "Immagini e Documenti" dell'IBC comprendente saggi di Federica Francesconi, Orlando Piraccini, Aldo Savini, Raffaella Zama, schede ed illustrazioni delle opere esposte. La pubblicazione comprende, inoltre, un primo regesto del "catalogo generale" delle opere di Luigi Varoli tuttora in fase di compilazione.
Alla mostra cotignolese è strettamente collegato l'allestimento nella Sala del Carmine di Massa Lombarda (gennaio 2009) della mostra Grandi Maestri: Avveduti, Folli, Varoli, Visani. Origini ed attualità delle scuole d'arte e mestieri nel territorio ravennate, che presenta altri protagonisti della vicenda figurativa romagnola del '900.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 17 [2008 - N.33]

A ottobre riapre al pubblico il Museo del Risorgimento e dell'Età Contemporanea di Faenza

Giorgio Cicognani - Conservatore ai Fondi antichi Biblioteca Comunale di Faenza

Il Museo del Risorgimento e dell'Età Contemporanea di Faenza ha trovato finalmente la sua definitiva sede in alcuni dei prestigiosi locali di Palazzo Laderchi. Diversi infatti sono stati nel tempo i locali che hanno ospitato le ricche raccolte formatesi nel corso di decenni grazie alle generose donazioni.
L'origine del Museo risale al 1904, quando fu allestita in modo permanente, in un locale annesso alla Pinacoteca Comunale, una mostra dedicata al contributo dei Faentini al Risorgimento Italiano, già presentata all'Esposizione Regionale Romagnola di Ravenna. Intorno agli anni Venti, il Museo fu chiuso per consentire un ampliamento degli spazi espositivi della Pinacoteca. Una mostra sull'indipendenza italiana, tenutasi nel 1921 presso i locali del Palazzo Comunale, determinò un ulteriore incremento della raccolta con documenti e cimeli sulla prima guerra mondiale. L'esposizione ebbe grande successo e ricevette consenso del pubblico faentino tanto è vero che l'anno successivo fu pubblicato un piccolo catalogo e si auspicò che le raccolte museali fossero riordinate presso la Biblioteca.
Successivamente, nel 1929 il Museo fu riaperto e ordinato nei locali della Biblioteca Comunale, diretta in quel momento da Piero Zama famoso storico del Risorgimento e durante questo periodo, specialmente negli anni 1935 e 1936, vi furono numerose donazioni. Nel 1960 alla documentazione ottocentesca e coloniale si aggiunsero altre testimonianze sulla lotta di liberazione. Il nucleo più significativo, dall'età napoleonica all'Unità d'Italia, è costituito da stampe, fotografie, dipinti, proclami, locandine, armi, bandiere, uniformi e cimeli vari.
Il materiale rimase esposto al piano terra della Biblioteca fino al 1975, anno in cui per motivi di ampliamento, si decise di trasferirlo in deposito esterno in attesa di una sede idonea. Ora la collezione ha trovato la sua definitiva collocazione in un'ala di Palazzo Laderchi. L'importanza di questo edificio si lega alle molteplici vicende di uno dei più antichi casati faentini quello della famiglia Laderchi, che tanto ha contribuito alla storia e allo sviluppo della città soprattutto durante il periodo risorgimentale. Il Palazzo fa parte di quel complesso edilizio monumentale prospiciente alla piazza che caratterizza il centro storico e ne è uno degli elementi più significativi sia per la felice posizione, sia per il valore dell'architettura e delle decorazioni interne.
In attesa di adeguare a norma gli ambienti e di acquisire ulteriori spazi espositivi al fine di poter preparare il progetto per un idoneo percorso museografico che valorizzi tutto il patrimonio conservato, il Museo riapre con l'esposizione di una piccola selezione dei più importanti documenti faentini e cimeli che vanno dall'età napoleonica alla metà dell'Ottocento. L'esposizione parte con la presentazione di documenti, fotografie e una bandiera del periodo risorgimentale che sono stati restaurati nell'ultimo decennio grazie a contributi dell'Istituto Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna e dell'Amministrazione Comunale di Faenza.
Nella saletta adiacente si trovano alcune immagini dei protagonisti dell'Unità d'Italia. Di grande interesse un ritratto di Aurelio Saffi dipinto in maiolica da Angelo Marabini e un busto in terracotta raffigurante Giuseppe Mazzini realizzato da Domenico Baccarini, firmato e datato 1900. Nel Salone delle feste o Galleria di Psiche sono esposti bandi editti documenti e ritratti a partire dal 1794 fino a Pio VII. Di rilievo un busto in marmo bianco di Napoleone I attribuito allo scultore Raimondo Trentanove. Nell'ultima sala sono presenti armi e documenti, quadri e cimeli vari che si riferiscono esplicitamente a personaggi ed avvenimenti accaduti a Faenza durante la prima metà dell'Ottocento. Spiccano tra i ritratti quelli di Achille e Francesco Laderchi ed una rara miniatura raffigurante il generale Giuseppe Sercognani.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 17 [2009 - N.35]

Le mappe bizzarre e promettenti dell'Antropologia museale

Pietro Clemente - Professore di Antropologia Culturale all'Università di Firenze, Presidente di Simbdea

Fare una cartografia oggi dell'Antropologia Museale impone il ricorso a una mappa bizzarra e dinamica. Perché gli oggetti, i terreni, le forme della pratica sono molto diverse: dal criticare i musei, al farli, dal dirigerli, allo studiarne il bisogno sociale, dal considerarli come forme innovative al vederli come superati, dal fare musei domestici, a farli 'estranei', al farli di cultura materiale, o di beni immateriali, di culture locali italiane o di culture locali ex coloniali, o al farli in Africa o in Oceania o solo formare e suggerire forme museali in paesi non occidentali.
Antropologia museale è inoltre fare ricerca etnografica, ma anche expografia, occuparsi di catalogazione e di "negoziazione dei significati", di restauro e di saperi nativi, di tradizioni popolari e di etnologia, difendere musei dotati di aura storica e pieni di oggetti e farne modernissimi e senza oggetti, vedere i musei come prigioni, come modi di collezionare il mondo e vederli invece come luoghi di ricomposizione, zone di contatto. Viverli come istituzioni culturali ma avere un assessore che li considera occasioni elettorali. Fare musei d'autore, musei di comunità, musei di servizio pubblico.
Ma la lista non si ferma qui, si apre solo a una mappa radicalmente dinamica perché una nuova stagione di musei è ancora in stato nascente, talora con intenzioni ambigue, come i temi del turismo e dello sviluppo locale con cui si connette, come i finanziamenti europei e gli aiuti ai paesi terzi. Ci sono le nuove tecnologie che rendono sempre più possibile fare musei virtuali, musei immersivi, interattivi: appena aperto uno se ne immagina già un altro diverso.
Antropologia museale è un campo di tensioni multiformi che contiene dei principi 'disciplinabili' e quindi possibile oggetto anche di una disciplina. Se si dà uno sguardo alla museografia che dall'Italia e dal Continente Nero si aggira intorno all'Africa, uno dei campi 'storici' della etnologia e della museografia italiana si trovano strane somiglianze: il museo italiano della deportazione (nazifascista) di ieri a Fossoli con il museo dei campi profughi Saharawi (fatto dal Fronte Polisario nei campi profughi di un popolo impegnato a tornare nel Sahara ex 'spagnolo'occupato dal Marocco) di oggi, i musei postcoloniali in Africa con (per forza e purtroppo) a quelli ex coloniali da noi. I temi dei musei africani sono, mutatis mutandis, quelli dei nostri rovelli contadini europei dove al centro ci sono la memoria e l'identità del territorio, anche se sul versante non occidentale si intuiscono sfide che debbono essere giocate favorendo la massima autonomia, evitando che la museografia africana sia un sottogenere di quella europea e un'eredità coloniale, ma trovi modi nuovi di vivere e raccontare. Ma in tutte le riflessioni emerge soprattutto il tema cosa possiamo comunicare, come possiamo servire ai problemi del presente.
Probabilmente è questa idea che fa da guida oggi all'Antropologia museale e fa unità nella bizzarria dei suoi oggetti. Un'idea di utilità sociale, di "valorizzazione" che va nettamente oltre la funzione di "conservare" ed è tesa ad affermare la consapevolezza che il museo è "risorsa" (di cultura e di sviluppo fondamentalmente) e che quindi non concerne essenzialmente il passato ma il futuro. Forse si può dire che "il tamburo parlante" (nome del Centro di Documentazione di Montone creato da Enrico Castelli, e impegnato nel rapporto Italia-Africa) è una buona immagine del museo d'oggi che comunica messaggi, che cerca di entrare anche nel tam tam del pubblico, di intercettare con idee e segnali parte del popolo pellegrino dei visitatori.
Lo sguardo dei musei africani aiuta i nostri a vedersi, non come meri luoghi della tutela conservativa, ma anche come agenzie, talora urgenti, della formazione e della educazione collettiva, e insieme come luoghi che non sono 'regge', 'tesori nascosti' per facoltosi e raffinati uomini di gusto, né spettacoli di massa, las vegas con la minuscola, ma cercano di connettersi con progetti di vita del territorio.
I musei oggi sono luoghi aperti, comunicativi e dinamici. Se devono trovare un punto simbolico di ostilità esso resta quel mondo delle gallerie e pinacoteche che si è nel tempo definito come luogo di uno statuto sociale e intellettuale di censo, ovvero il museo come luogo dove sono imprigionate opere dell'ingegno umano che venendo da vari mondi e diversi paesaggi vengono chiuse in una cella comune, ed esibite come in uno zoo, luoghi chiusi al paesaggio esterno, nati come luoghi di potere e di ricchezza materiale e simbolica, in cui lo sguardo deve essere carico di esperienze pregresse per essere adeguato al cambio di tempo e di mondo che c'è tra un chiodo e l'altro di una parete, e in cui la custodia per la tutela diventa regola della fruizione. Questi luoghi pieni di inutili e inflazionati "capolavori" sono per l'antropologia museale in movimento magazzini aperti di possibili nuovi musei nati per essere guardati da tutti.
Il museo d'oggi cerca di comunicare con il paesaggio esterno, possibilmente anche in termini di risorse: gli ecomusei piemontesi nascono in un contesto di valorizzazione del territorio alpino da parte degli abitanti che lo "presidiano", ma sono anche poli di un turismo che si vuole sostenibile, e riferimenti di un sistema della biodiversità che ha a che fare con la natura ma anche con un vivacissimo movimento di riconoscimento della diversità alimentare. È su questo fronte che i musei cercano di non essere solo passivi ed esosi gestori di risorse dello Stato e degli Enti Locali ma progettatori di flussi turistici, di circuiti alimentari, di competenze e professionalità congeniali al museo.
Spesso la memoria anziché essere oggetto di estetizzante nostalgia è punto di riferimento per la ricerca relativa ai saperi naturalistici, alimentari, di manutenzione del territorio, si fa davvero utile a gestire il futuro. È logico che in questi casi il museo è anche fuori del museo, se esso è servito a saper fare i muretti a secco, a fare un piatto o un alimento della cucina del passato, a riconoscere un'erba medicamentosa, a far capire e condividere a un cittadino la complessa organizzazione e l'esperienza collettiva richiesta da una comunità montana. Proprio per la loro forza di contestualizzazione, la loro critica storica i musei demo-etno-antropologici sono uno dei nodi più vivaci di questo flusso critico in cui il museo non è più quello contro il quale se la prendevano i futuristi, ma è un modo attuale di gestire le fratture della vita dei territori, il nesso difficile tra locale e globale, il gioco del viaggio e della diversità che è il turismo sostenibile, la restituzione di futuro all'esperienza storica della gente.
Se è vera la sensazione di una nuova immagine di successo del museo nel nuovo millennio e per le nuove generazioni, noi stiamo cavalcando un processo di nuova popolarità e di proliferazione di tipologie dei musei, in cui anche la impronta occidentale può essere riletta e mutata o rivissuta e moltiplicata. In questa nuova popolarità il museo è soprattutto una 'funzione' connettiva (tra i vivi ed i morti, tra ambiente e storia, tra esperienze passate e future, tra territorio e memoria, tra entrata e uscita, tra progettisti e fruitori ecc.) che si concretizza in una istituzione culturale ora riconosciuta dalla legge. Ma resta fondamentale che il museo è i musei, il loro crescere e cambiare. Il loro parlare, concorrere, polemizzare. È il loro 'egocentrismo' radicale che ci chiede progetti di rete e di interconnessione di interconnessioni, la loro varietà di politiche e di figure professionali che ci richiede attenzione e tutela delle competenze e dibattito sulle politiche, il loro organizzarsi in 'campi' o settori in cui 'corporazioni' si istituiscono e quelle nuove confliggono per affermarsi (e noi vogliamo che l'Antropologia Museale sia anche un movimento per affermare la specificità antropologica dei musei), il loro raccogliere finanziamenti di nuovi soggetti (l'Europa, le Fondazioni bancarie, i Comuni, gli aiuti ai paesi terzi, l'Unesco), il loro essere guardati dagli antropologi come aspetto dei processi di 'patrimonializzazione' di parti della vita, il loro andare oltre gli oggetti materiali per evocare i saperi e i racconti e le voci.
C'è sempre maggiore vicinanza tra etnografia e museografia, poetiche e politiche si intrecciano e dialogano. In questo si intravede anche un 'disciplinamento', nel senso del profilarsi di una disciplina che faccia da guida al percorso tra le mappe bizzarre e promettenti del tessuto che connette e fa i musei.


Contributi e riflessioni - pag. 17 [2009 - N.36]

Al Mar di Ravenna una grande mostra sul noto movimento inglese

Claudia Casali - Responsabile organizzazione mostre temporanee Mar di Ravenna

Con il termine "Preraffaellismo" si definisce un movimento artistico innovatore che letteralmente invase la cultura britannica a metà dell'Ottocento schierandosi contro l'accademismo dell'arte ufficiale, a favore di un'arte che partiva dai presupposti della letteratura e della figurazione medievale, prima di Raffaello, come si evince dal nome scelto. Gli artisti della confraternita preraffaellita si interessarono non solo a temi letterari o artistici: guardarono anche alla bellezza senza tempo del paesaggio, dell'architettura e delle città che incontravano nei loro frequenti ed appassionanti viaggi di studio. Due furono le figure chiave raccoglitrici di queste passioni italiane: da un lato Dante Gabriel Rossetti, dall'altro John Ruskin. Il primo era uno dei quattro figli di un esule italiano, scappato a Londra a causa delle persecuzioni del Governo borbone di Napoli. Rossetti visse fin da piccolo nella letteratura e nella cultura italiane: il padre insegnava lingua italiana e divenne professore all'Università di Londra. Il sogno di visitare l'Italia, però, per lui non si realizzò mai: nonostante i tanti bellissimi ricordi che i numerosi amici pittori gli portavano dai viaggi italiani, mai osò varcare la Manica e le Alpi per conoscere de visu l'amata Italia. Erano altissime le aspettative che Rossetti riponeva nel suo sogno italiano: avrebbe preferito vivere nelle emozioni della letteratura e dell'arte, piuttosto che provare una cocente delusione. Il suo fu quindi un viaggio letterario ed artistico che spinse però altri a viaggiare e ad ammirare le nostre meraviglie.
L'altra figura chiave di questo percorso preraffaellita è John Ruskin. Fin da piccolo era solito viaggiare in Italia con la famiglia in una sorta di grand tour, poi i viaggi si fecero sempre più frequenti e divennero il materiale dei suoi tanti studi sulla storia dell'arte, raccolti sia in Modern Painters che in Pietre di Venezia. Nei suoi viaggi era solito portare con sé amici pittori, come Burne-Jones, o incoraggiare amici pittori a viaggiare e a documentare per lui determinati edifici, paesaggi, opere d'arte. Per Ruskin l'Italia era un luogo magico da cui trarre ispirazione non solo artistica ma anche spirituale. Uno dei suoi grandi meriti fu quello di organizzare dettagliati rilievi di monumenti in diverse parti d'Italia ad opera di giovani artisti da lui assunti come Burgess, Bunney o Randal che documentarono le architetture italiane per la scuola di disegno a lui intitolata a Oxford. I disegni degli artisti preraffaelliti si caratterizzano per una meticolosa attenzione al dettaglio, al particolare essenziale e rilevante, nulla era lasciato alla distrazione.
Sia per Rossetti che per Ruskin l'esperienza culturale italiana aveva una dimensione didattico-morale nonché spirituale, di elevazione e in taluni casi di vera e propria "redenzione".
Attorno a queste due figure chiave gravita la mostra "I Preraffaelliti. Il sogno del '400 italiano" allestita negli spazi del Museo d'Arte della città di Ravenna in collaborazione con l'Ashmolean Museum di Oxford, e curata da Colin Harrison, Christopher Newall e Claudio Spadoni. Oltre 150 opere documentano gli interessi di questi artisti nei confronti dell'arte, della letteratura, del paesaggio e della storia italiani, partendo proprio dalle fonti di ispirazione: in mostra saranno esposte opere di Beato Angelico, di Perugino, di Bertucci, della Bottega di Gentile da Fabriano, per citarne solo alcuni. Un particolare risalto verrà dato alle incisioni di Carlo Lasinio dedicate al ciclo di affreschi del Camposanto di Pisa, documento su cui gli artisti inglesi studiarono e trassero spunto per importanti dipinti.
Divisa in sette sezioni l'esposizione affronta i temi letterari, l'influenza di Rossetti su certa sensibilità artistica, il ruolo di Ruskin e dei cosiddetti paesaggisti inglesi, la funzione archeologica e topografica del rilievo monumentale, Giovanni Costa e la pittura degli "Etruschi", l'esperienza musiva di Burne-Jones a Roma. Come afferma uno dei curatori, Christopher Newall, "L'Italia, con le sue città, fu luogo di pellegrinaggio divenendo una nuova Gerusalemme per persone che credettero in un'arte come costituente vitale di una vita civile ed elemento che ne dava piena giustificazione". La mostra sarà aperta tutti i giorni dal lunedì alla domenica fino al 6 giugno 2010. Per informazioni: www.museocitta.ra.it o tel.0544 482477.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 17 [2010 - N.37]

Il fascino del "museo del cielo" di Ravenna cresce ma non invecchia

Marco Garoni - Responsabile del Planetario di Ravenna

"Una nuova struttura costituisce sempre un arricchimento del dibattito culturale, ma la realizzazione del nostro Planetario, assume, in questa città dal denso spessore di storia, significati del tutto particolari. La sua presenza si colloca alla fine di un iter storico culturale iniziato secoli fa. Questa cupola metallica sarà sicuramente per la città un'istituzione da mostrare con orgoglio e da gestire con l'intelligenza e la consapevolezza di avere a disposizione uno strumento efficacissimo da utilizzare non per costruire un centro astronomico tout court, ma per realizzare il referente di una cultura scientifica..." (dall'articolo dell'allora sindaco Giordano Angelini sull'inaugurazione del Planetario di Ravenna).

Era un sabato il 1° giugno del 1985. Nei giardini pubblici di Ravenna veniva inaugurata una strana struttura: il Planetario. Cosa fosse lo sapevano in pochi. Oggi, dopo venticinque anni, la parola Planetario incuriosisce ancora. Cosa si cela dietro, o meglio, sotto quella cupola? È da questa curiosità che siamo partiti ed è per soddisfarla che continuiamo. L'Astronomia è la scienza più antica ed affascinante; nel firmamento l'uomo ha cominciato a leggere i ritmi della natura scanditi dai movimenti regolari degli astri e ciò gli è servito ad organizzare la sua vita e a formulare le prime descrizioni matematiche dell'Universo. Lo studio e l'osservazione del cielo sono un importante momento d'incontro che lega insieme storia, geografia, letteratura, scienza, usanze e tradizioni. Non proponiamo l'astronomia solo come una della tante discipline scientifiche ma ci piace raccontare il suo ruolo fondamentale nella formazione del pensiero scientifico e filosofico. Vogliamo soprattutto sottolineare come la volta stellata sia uno strumento pratico e divertente per avvicinarsi allo studio della natura. Sono queste le linee guida fondamentali dalle quali partiamo per la nostra attività divulgativa e didattica.

Per tutto questo usiamo il Planetario che in realtà non è una struttura ma uno strumento; per essere più precisi è un complicato proiettore in grado di riprodurre su una cupola l'immagine della volta stellata visibile ad occhio nudo da ogni parte del mondo. Le stelle che si contano sono alcune migliaia. Nulla di paragonabile al cielo che purtroppo abbiamo perso dietro un alone lattiginoso causato dall'inquinamento luminoso. Forse anche questo è uno dei motivi che hanno portato il Planetario all'interno del Sistema Museale Provinciale: il planetario come museo del cielo, di quel cielo perso irrimediabilmente, nascosto non sotto metri di terra ma da migliaia di lampioni. Il planetario come "terzo cielo" di Ravenna, dopo quello vero e quello della volta del Mausoleo di Galla Plancidia (così sottolinea sempre Franco Gàbici, primo direttore del Planetario). Osservare il cielo al Planetario vuol dire immergersi completamente tra quelle stelle che per secoli hanno aiutato l'umanità a progredire, ad esplorare, a conoscere il nostro mondo e l'universo che ci circonda. Lo strumento, grazie ai suoi meccanismi, permette di mostrare, accelerati, i principali moti celesti consentendoci di seguire le altrimenti lentissime variazioni della volta stellata.

Quando è stato inaugurato, il Planetario di Ravenna era il secondo in Italia, ora se ne contano un centinaio. Tutti questi anni di intenso lavoro hanno permesso al nostro di essere uno dei centri più importanti a livello nazionale e nella nostra città è ormai un'istituzione culturale radicata. Questi risultati sono stati ottenuti anche grazie ad una fortunata collaborazione tra l'amministrazione comunale e Associazione Ravennate Astrofili Rheyta (A.R.A.R.) che sin dall'inaugurazione garantisce, con l'impegno di molti astrofili, tutte le attività che si svolgono nel corso dell'anno.

In questo 2010 abbiamo festeggiato quanti negli anni hanno contribuito, con il loro lavoro e la loro passione, alla crescita ed ai risultati fino ad ora ottenuti, le migliaia di curiosi, di scolaresche, di famiglia che sono rimaste affascinate da quel cielo limpido e terso che ogni giorno sotto la nostra cupola appare e stupisce ancora. È sempre stupendo sentire la meraviglia dei ragazzi quando compare quell'infinita distesa di stelle.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 17 [2010 - N.39]

L'arte italiana del secondo dopoguerra in mostra al Mar

Davide Caroli - Responsabile organizzazione mostre temporanee MAR di Ravenna

Negli anni che vanno dal 1945 al 1953 l'arte in Italia vive quello che possiamo considerare forse il più vivace e animato momento culturale di tutto il nostro Novecento: nascono movimenti, vengono redatti manifesti, fervono dibattiti culturali che dividono in opposti schieramenti intellettuali e artisti.

Queste vicende sono raccontate nella mostra L'Italia s'è desta 1945-1953. Arte italiana nel secondo dopoguerra, curata da Claudio Spadoni, che ha preso il via il 13 febbraio scorso e che fino al 26 giugno sarà visitabile presso le sale del Mar.

Lo scenario temporale è delimitato da un lato dalla fine del secondo conflitto mondiale e dall'altro dalla grande mostra di Picasso in Italia, a Roma prima e poi a Milano, che, per molti aspetti, segna uno spartiacque fra il dopoguerra del rinnovamento, dei dibattiti culturali, delle costituzione di gruppi e movimenti, e la seconda parte degli anni Cinquanta. Per la prima volta viene offerto in un'unica mostra un quadro complessivo di quelle stagioni cruciali della storia artistica italiana. Un fermo immagine che registra non solo il nuovo che ribolle, ma anche la vitalità di ciò che il montare di quest'ansia di modernità europea andava relegando ad una ingiustificata considerazione marginale: pur da sponde diverse la premessa comune degli artisti italiani sembra essere la rimozione senza appello di quasi tutto ciò che era accaduto fra le guerre, comprese le opere di maestri come Carrà, De Chirico, Morandi, Sironi ed altri che la mostra documenta.

Ma questo evento espositivo è in primo luogo il racconto del voltar pagina di una generazione alla ricerca, affannosa e creativa, di nuove possibilità espressive che cambiano decisamente volto all'arte italiana, da Milano a Roma, da Venezia a Torino. Erano gli anni in cui gli artisti italiani più impegnati identificavano in Picasso l'imprescindibile alternativa europea alla chiusura provincialista e le sue opere rappresentavano un modello fondamentale della modernità, per linguaggio e contenuti ideologici. L'infatuazione Neocubista, secondo il modello di Guernica, trova riscontro in gran parte degli artisti, da Guttuso a Leoncillo, mentre il bisogno di un legame tra arte e oggettività si esprime nelle diverse forme di Realismo di Peverelli, Testori, Sassu.

Lo schieramento di maggiore visibilità fu il Fronte nuovo delle Arti, derivato da quella Nuova Secessione Artistica varata dal critico Marchiori col sostegno di Birolli. La modifica del nome rispondeva alle esigenze di garantire un comune coinvolgimento anche politico. Mancava la concordia sulle scelte linguistiche, e la frattura fra realisti e astrattisti si fece in breve insanabile per l'inopinato intervento del ben noto e autorevolissimo politico che si firmava col nom de plume Roderigo.

In ambito romano nel 1947 nasceva Forma 1, ovvero il gruppo astratto votato a Balla, a Kandinskij, con artisti come Accardi, Dorazio, Perilli, Turcato. Il frenetico bisogno di cambiamento che caratterizzava le vicende della ricerca non figurativa, trovava riscontro ancora a Roma intorno alla Gruppo Origine con Burri e Capogrossi e a Firenze con il Gruppo dell'Astrattismo Classico, entrambi nati nel 1950.

Intanto a Milano Fontana nel 1947 dava vita allo Spazialismo insieme a Crippa e Dova e l'anno dopo, sempre nel contesto milanese ricco di fermenti, nasceva il MAC Movimento Arte Concreta, composto fra gli altri da Dorfles, Munari e Sottsass. Nel 1952 Baj, Colombo e Dangelo sottoscrivevano il Manifesto della pittura Nucleare, e nello stesso anno Venturi presentava il Gruppo degli Otto, con la formula dell'Astratto Concreto. Un particolare risalto viene dedicato anche a coloro che portarono avanti ricerche personalissime come Burri, Carol Rama, Spazzapan, e alcuni giovani bolognesi come Romiti, Bendini, Vacchi, figure sostanzialmente isolate rispetto ai gruppi ufficiali.

Tra le sezioni che in mostra documentano tutte queste diverse esperienze trova spazio anche il racconto della situazione della scultura italiana di quegli anni, con un tentativo di risposta alla domanda posta da Martini in un suo celebre scritto La scultura lingua morta. Pur concentrata sull'arte, la rivisitazione degli otto anni che traghettarono l'Italia alla contemporaneità trovano in mostra esempi di intersezioni con le altre arti, come il cinema, per ricostruire l'immagine estremamente composita di una Italia nuova.

Per informazioni: tel.0544482477, www.museocitta.ra.it.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 17 [2011 - N.40]

Ravenna dedica una mostra al grande studioso e archeologo che cento anni fa fondò la rivista Felix Ravenna

Federica Cavani, Emanuela Grimaldi - Museo Nazionale di Ravenna

Nel 2011 ricorre il centenario della prestigiosa rivista Felix Ravenna fondata da Giuseppe Gerola.
Per l'occasione il Dipartimento di Archeologia dell'Università di Bologna in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici di Ravenna organizzano una mostra dedicata al suo fondatore, ripercorrendo l'attività del grande studioso e archeologo e i suoi rapporti con le personalità scientifiche del periodo. La mostra, che si terrà dal mese di ottobre presso il Museo Nazionale di Ravenna, presenterà materiali in gran parte inediti, taccuini di scavo, manoscritti, lettere, disegni, oggetti e preziose fotografie.
Giuseppe Gerola nacque il 2 aprile 1877 ad Arsiero (Vicenza) da una famiglia di origine roveretana. La sua formazione universitaria avvenne tra Padova e Firenze, dove si laureò presso l'Istituto Superiore di Studi Storici. Conseguì inoltre il diploma di archivista paleografo, il diploma di Magistero in Storia e trascorse un periodo a Berlino presso uno dei massimi diplomatisti tedeschi.
Dal 1900 Gerola compì un importante apprendistato archeologico a Creta, dove raccolse molti materiali relativi ai monumenti veneziani. Fu direttore del Museo Civico di Bassano del Grappa (1903-1906) e del Museo Civico di Verona (1906-1910), cariche che lo portarono ad approfondire la storia dell'arte. Forte di queste sue esperienze, nel 1909 divenne ispettore per la Soprintendenza ai Monumenti di Venezia, Verona e Mantova.
Il 27 settembre 1910 Giuseppe Gerola fu trasferito a Ravenna come ispettore e fu nominato direttore del Museo Nazionale. Pochi mesi più tardi, anche grazie al sostegno di Corrado Ricci, divenne Soprintendente ai Monumenti di Ravenna, con competenze sulle province di Ravenna, Ferrara e Forlì.
Il periodo della sua permanenza in città fu segnato da una straordinaria attività che si concretizzò in molteplici ambiti nei quali dimostrò sempre una spiccata lucidità e versatilità. A Gerola si deve anche la sistemazione degli uffici della Soprintendenza nonché dell'attuale sede del Museo Nazionale, a seguito del trasferimento nell'ex monastero benedettino di San Vitale.
Con un approccio globale ai problemi di conservazione, restauro e valorizzazione, Gerola promosse numerosi interventi sia a Ravenna che in tutto il territorio di competenza, privilegiando i monumenti romano-bizantini e medievali. Nell'affrontare i complessi problemi che l'esperienza ravennate gli presentava per la prima volta, maturò un metodo di lavoro basato su un'attenta e precisa analisi delle fonti storico-archivistiche e sull'esame concreto delle strutture degli edifici, considerandone tutte le modifiche susseguitesi nel corso del tempo. Gerola non mancò di occuparsi anche del restauro dei mosaici, comprendendone a pieno le peculiarità e adottando il suo consueto atteggiamento critico.
Fra i diversi interventi si segnalano quelli alla chiesa di San Vitale, dove il Soprintendente proseguì i lavori voluti dal Ricci ai mosaici parietali e, nel 1911, diede avvio agli scavi del deambulatorio per ripristinare le quote pavimentali originali. Nello stesso periodò ebbe inizio una vasta campagna di restauri finalizzata alla sistemazione della Cappella Arcivescovile secondo l'originaria struttura architettonica. Nel 1916, a seguito dell'acquisto del Battistero degli Ariani da parte dello Stato e dell'avvio di un radicale intervento di recupero, Gerola iniziò approfondite operazioni di scavo che portarono al rinvenimento dei diversi livelli della pavimentazione e al ritrovamento di frammenti musivi e in stucco appartenenti alla scomparsa decorazione parietale. Sempre nel 1916, a seguito di una bomba austriaca che provocò il crollo di parte della facciata e del portico, Gerola intraprese il ripristino delle strutture e delle aree musive compromesse della chiesa di Sant'Apollinare Nuovo.
Il Soprintendente restò a Ravenna sino al 1920, ma già dal 1916 iniziò a interessarsi ad altri progetti, lavorando per il riordino del patrimonio della sua regione d'origine, da attuarsi al termine della guerra. In effetti, fu poi comandato nel Trentino a sovrintendere alla tutela dei beni artistici, archeologici, bibliografici e archivistici. Di lì a poco fu nominato dirigente dell'Ufficio Regionale per i Monumenti, le Belle Arti e le Antichità, poi Soprintendenza all'Arte Medioevale e Moderna del Trentino, con competenze anche sull'Alto Adige. Gerola morì a Trento il 21 settembre 1938.

Personaggi - pag. 17 [2011 - N.41]

Palazzo Milzetti di Faenza si arricchisce del pregevole dipinto Allegoria della guerra di Felice Giani

Anna Colombi Ferretti - Direttrice Museo Nazionale dell'Età Neoclassica in Romagna di Faenza

La Società di Santa Cecilia, Amici della Pinacoteca di Bologna, ha fatto dono allo Stato, e in particolare alla Soprintendenza per i Beni Storici e Artistici di Bologna, del dipinto a tempera su carta di Felice Giani che raffigura l'Allegoria della guerra (cm 18,8 x 31). Il bellissimo foglio riproduce una scena che lo stesso Giani dipinse su una delle volte del faentino palazzo Milzetti, Museo Nazionale dell'Età Neoclassica in Romagna, gestito dalla Soprintendenza bolognese. Il dipinto si riferisce alla decorazione della sala detta della Pace e della Guerra nel percorso di visita di palazzo Milzetti.

La storia di questa donazione parte nel novembre 2010, quando la casa d'asta Christie's di Milano presentò tre opere di Giani: il foglio con l'Allegoria della Guerra e altre due figure rappresentanti Venere come allegoria della terra e Anfitrite come allegoria dell'acqua. Anche le due figure femminili riproducevano pitture realizzate in palazzo Milzetti, e precisamente nella volta del Gabinetto d'Amore, nella serie dei quattro elementi. Entrambe le sale fanno parte della meravigliosa sequenza dell'appartamento al piano nobile del palazzo, ristrutturato da Giovanni Antonio Antolini e decorato dal Giani per conto di Francesco Milzetti. Il lavoro del Giani è documentato dal 1802 al 1805.

È noto che le più belle decorazioni d'ambiente eseguite nei palazzi spesso venivano replicate in forma di piccoli dipinti, a richiesta dei collezionisti. Nel caso del Giani, non se ne conoscono molti esemplari.

La Società di Santa Cecilia ha scelto, per donarlo allo Stato, il più bello e il più grande dei fogli presentati dalla Christie's. Lo hanno acquistato ad asta conclusa, portando a termine una trattativa privata. Con entusiasmo e gratitudine l'opera è stata presa in carico nell'inventario del Gabinetto Disegni e Stampe della Pinacoteca Nazionale di Bologna.

Né questa movimentata scena, elegantemente costruita entro una campitura ovale, né le altre due figure nei fogli più piccoli, compaiono negli studi sul Giani, e dunque anche sotto questo aspetto si tratta di novità. Questa Allegoria della Guerra costituisce un'ulteriore prova della straordinaria, virtuosa mano per cui andava famoso il pittore, che nel piccolo formato ripropone la stessa fattura smagliante che si vede sulla volta del palazzo faentino, ma con una pennellata ancora più veloce, che lascia in evidenza andamenti grafici e finge con sapienza un'invenzione improvvisata al momento.

La sala della Pace e della Guerra è chiamata anche sala di Annibale, perché al centro della volta il riquadro maggiore mostra Annibale giovinetto condotto dal padre Amilcare davanti all'altare di un dio pagano a giurare odio eterno per i Romani: un episodio di fama letteraria, narrato da Tito Livio. Ai due lati di questa scena si trovano i magnifici ovali con il Trionfo della Guerra e il Trionfo della Pace. Un manoscritto anonimo, all'incirca di metà Ottocento, descrive meglio i soggetti: il Trionfo della Guerra raffigura precisamente il console Marcello; dall'altra parte alla guida del carro vi è una figura femminile, che è appunto la Pace, la Pax Augusta che il primo imperatore di Roma riuscì a imporre a tutti i popoli su cui regnava.

Il personaggio dipinto nell'allegoria di Giani è un uomo che sapeva apprezzare le arti e le scienze, e che coniugava queste qualità con un grandissimo valore militare. La sua figura nella sala dell'appartamento di Francesco Milzetti non può non essere intesa come un indiretto omaggio a lui.

Alla luce di queste riflessioni il dono che la Soprintendenza ha ricevuto per il suo museo faentino acquista un significato molto intenso. La scena che Giani replicò in piccolo formato è un brano pittorico di vivida bellezza, ma la possibilità che nasce da questo dono è quella di metterlo in dialogo con l'ambiente e la situazione che sono indissolubilmente legati alla sua nascita. Da questo appare tutta la profondità del legame di queste decorazioni neoclassiche con la cultura antica, e non solo quella figurativa, e insieme il fervore che accompagnava questo momento di riscoperta del mondo antico. Questo vale in modo particolare per Faenza, che fu sede di un vero cenacolo di studi sulla classicità. Faenza per Felice Giani fu come una seconda patria, e questo contribuisce a spiegare l'accensione della fantasia che anima la sua mano nelle meravigliose rievocazioni delle antiche storie che vi lasciò.


Speciale Donazioni Museali - pag. 17 [2011 - N.42]

Figura di riferimento della ricerca speleologistica e naturalistica faentina degli ultimi cinquant'anni

Pier Paolo Biondi - Gruppo Speleologico Faentino

La costante ricerca di Luciano Bentini, unita a un'acuta analisi dei fenomeni naturali, gli ha sempre reso possibile trovare risposte adeguate ai molteplici quesiti che regolarmente, alle riunioni di gruppo speleo, gli proponevano. Attento ricercatore e raffinato bibliofilo, era veramente esperto nelle tematiche della ricerca speleologica e naturalistica, conoscenza che aveva acquisito in anni di studio appasionato.
Pensando a lui ricordo come iniziò la nostra avventura. Di ritorno a casa, appena libero dagli obblighi di leva (era stato tenente di artiglieria in Friuli) organizzammo la prima uscita extraregionale del costituito Gruppo Speleologico "Vampiro". Queste alcune frasi dal suo diario della spedizione in Abruzzo, avvenuta nell'agosto del 1963, pubblicate in Speleologia Emiliana anno II n. 1: "... abbiamo letto tutte le pubblicazioni sul Gran Sasso e sull'Appennino Abruzzese che abbiamo trovato, ma le notizie relative alle grotte sono molto scarse. ... nelle potenti pile di strati calcari dell'Appennino Abrezzese grotte ne devono esistere molte e se avremo fortuna qualcosa di interessante troveremo".
Negli anni precedenti la spedizione avevamo conosciuto in Brisighella G.B. Morning, solitario peleologo triestino che, nel dopoguerra, aveva ripreso le esplorazioni nell'area carsica, interrotte negli anni '40. Naturalmente, in occasione di ogni licenza militare, Luciano era dei nostri e, con una vecchia Balilla riverniciata mimetica, ci univamo al Mornig per le nostre esplorazioni in grotta.
Fu in quelle occasioni che si consolidò l'intenzione di autonominarci "Gruppo Speleologico" denominato per non essere troppo seri e impegnativi, "Vampiro". L'andare con Morning ci permise di conoscere ed esplorare le pieghe più riposte della Vena e incentivò ancor di più Luciano nella ricerca di ogni traccia storica, lasciata da precedenti esplorazioni, per riprenderla e proseguirla. La raccolta, non solo di fonti bibliografiche, ma di qualsiasi reperto che meritasse curiosità, fu per lui una costante. Nulla veniva dimenticato in uno scaffale qualsiasi, ma veniva ritrovato e ripreso per lo studio e il confronto, anche a distanza di anni.
La necessità di accentrare in un unico luogo reperti, bibliografie, foto, materiali per l'esplorazione si fece presto pressante e fu necessario un nostro punto di ritrovo che non fosse una panchina lungo il Viale della Stazione. Questo ci portò ad occupare alcune sale sopra l'attuale sede del Rione Rosso in Faenza. Riparammo alla meglio i gravi danni che l'edificio aveva sofferto nel corso degli ultimi bombardamenti e mentre allestivammo scaffali e bacheche, liberando così spazio prezioso nelle nostre singole abitazioni, si andò consolidando il primo nucleo del Museo Speleologico Romagnolo. Questo Museo sotto l'indiscutoibile regia di Luciano, si è consolidato nel tempo fino a divenire parte integrante del Museo Civico di Scienze Naturali di Faenza, gestito, recentemente, proprio dal Gruppo Speleologico su mandato dell'Amministrazione Comunale.
Alle prime spedizioni extraregionali di ricerca ed esplorazione in Abruzzo (1963-1964) delle quali fu animatore, seguirono le ricerche sul territorio della Repubblica di S.Marino e, in collaborazione con l'Unione Speleologica Bolognese, in Sardegna, nel Sopramonte di Urzulei e Dorgali. Queste ricerche furono coronate da attente e minuziose relazioni, con approfonditi studi geologici e idrologici, che, spesso, permisero di prevedere i futuri sviluppi delle future esplorazioni spleologiche.
Caratteristici i suoi quadernetti di campagna, a copertina nera, sui quali veniva annotato tutto, dal diario di giornata agli schizzi sull'ambiente visitato. Nulla veniva tralasciato per documentare ciò che poteva servire per una futura analisi. Per la tutela dell'ambiente e della natura fu sempre estremamente intransigente, scevro da qualsiasi forma di compromesso.
Avrebbe voluto trasformare in parco ogni ambiente come aveva potuto vederlo o immaginarlo in una vecchia foto d'epoca, intatto e non contaminato. I suoi attesi e temuti interventi nei molti convegni per l'istituendo Parco della Vena del Gesso Romagnola, ai quali partecipammo presso le comunità locali, non potevano avere immediato successo perchè erano troppo poco o per niente "politici".


Personaggi - pag. 17 [2012 - N.43]

Il riordino, l'inventariazione e la valorizzazione degli archivi passa anche dal prezioso apporto di cittadini giovani, meno giovani e diversamente abili

Luigi Contegiacomo - Presidente ANAI Veneto

Stando alle statistiche e agli esiti sui dibattiti sempre più frequenti sul vertiginoso calo dell'impegno in politica da parte dei nostri giovani, desiderosi di contare e di portare la loro voce, ma purtroppo troppo spesso inascoltati dai centri decisionali, si scopre al contrario che un'altissima percentuale di giovani cerca in altri percorsi e in altri obiettivi la propria realizzazione o quanto meno il proprio desiderio di essere utili alla società in maniera trasversale a fedi e convinzioni politico-religiose. Il volontariato è divenuto oggi il collante dei tanti milioni di giovani e giovanissimi che vedono in questo una risorsa straordinaria in cui formarsi un'identità non convenzionale e trovare o ritrovare se stessi.
Ciò non vale unicamente per il volontariato sociale e nel cooperativismo internazionale, ma anche in un campo più ristretto, ma di grande suggestione e potenzialità, quale è quello dei beni culturali. In un paese come l'Italia, dotato di un patrimonio artistico-culturale unico al mondo, tanto che si arriva a pensare ereticamente che sia "fin troppo", il numero delle associazioni di volontariato che si occupano di beni culturali è aumentato in maniera proporzionale al calo delle risorse umane ed economiche di quelle istituzioni che a tali beni dovrebbero provvedere e che tali beni dovrebbero tutelare e salvaguardare. Ed ecco che, a fronte di un calo spaventoso negli ultimi anni dei finanziamenti per musei, biblioteche, archivi, che conduce inevitabilmente alla chiusura di molti luoghi della cultura italiani, a fronte di un rapido calo, oramai irreversibile, delle risorse umane, con il mancato avvicendamento dei pensionati con giovani e fresche leve, pur sfornate a migliaia dagli atenei, si assiste a un aumento esponenziale delle organizzazioni di volontariato, ma forse ancor più del volontariato individuale, magari veicolato da organizzazioni laiche o religiose, se non spesso dalle stesse parrocchie o dalle amministrazioni comunali, proprietarie di biblioteche, raccolte artistiche, archivi.
Ecco che quindi ad Associazioni come le Auser, che promuovono e valorizzano con intelligenza la terza età (ma non solo), facendo dei meno giovani veicoli di esperienze, professionalità, intuizioni, altrimenti destinati alla dispersione e all'inerzia, si affidano oltre che la collaborazione alla gestione di musei, di biblioteche, mostre etc., anche riordini o gestioni di piccoli archivi, fianco a fianco con operatori di parrocchie e biblioteche locali. Molto importante è soprattutto l'apporto che tali volontari possono dare alla valorizzazione: si pensi a quanti insegnanti in pensione, appassionati di storia e di conoscenza, si prestano a ricostruire tramite archivi comunali e parrocchiali, ma non solo, la storia della propria comunità, delle famiglie che la compongono, delle realtà lavorative e aziendali che costellano lo sviluppo dei nostri centri urbani o l'evoluzione dei nostri borghi agricoli. A tali associazioni che possiamo in qualche modo definire trasversali alle componenti sociali e che si avvalgono spesso di "ex" dipendenti, desiderosi di offrire ancora il loro contributo alla società, si aggiungono le associazioni di elitè, come Lions Club, Rotary, etc., spesso coinvolte nella valorizzazione se non addirittura - e al dire il vero non sempre opportunamente quanto a scientificità - nel riordinamento e inventariazione di archivi, sia pur in genere sotto il controllo degli organi deputati alla vigilanza su tali preziosi beni culturali, come le Soprintendenze Archivistiche.
Potenzialmente di grande interesse potrebbe essere l'impegno in alcune realtà locali di persone diversamente abili (associate o in forma individuale), le cui conoscenze, professionalità, attitudini potrebbero offrire un apporto non trascurabile alla conservazione, restauro, valorizzazione del patrimonio archivistico italiano, contribuendo con competenza anche maggiore dei professionisti veri e propri agli allestimenti di mostre documentarie e di percorsi non convenzionali, grazie alla maggiore percezione delle problematiche che spesso impediscono l'accesso ai siti della cultura da parte di portatori di handicap motori, visivi, uditivi, ma anche, perché no, psichici. Si pensi alla possibilità di creare con loro e per loro percorsi tattili, olfattivi, multimediali alternativi, che non possono e non devono limitarsi solo ai grandi luoghi della cultura, ma che devono essere allestiti anche nelle più modeste realtà locali, compresi gli archivi, le raccolte miste, documentarie, librarie, museali, botaniche. Si pensi alla possibilità di illustrare con meccanismi olfattivi ad esempio raccolte botaniche e illustrarne nel contempo in modo multimediale i cartigli tecnici, le caratteristiche visive, le proprietà documentate da erbari e schede botaniche, spesso conservati in archivi locali, siano essi comunali, siano essi parrocchiali o privati.
Ma veniamo alla categoria dei giovani e di coloro che non cercano nel volontariato una nuova possibilità di impegno post-lavorativo, come fa sempre più spesso il meno giovane, stanco del gratificante ma per certi versi anche avvilente ruolo di nonno-babysitter, ma un arricchimento vero dal punto di vista formativo e lavorativo: i giovani. Si pensi a quanti studenti delle scuole superiori e delle università si avvicinano al nostro mondo in occasione di stages e tirocini formativi, accostandosi con grande meraviglia, spesso con vero profondo stupore, a un mondo sconosciuto, quello delle fonti che sino a quel momento hanno appreso solo dai libri di testo e che grazie all'attività promossa dall'istituto dell'alternanza scuola-lavoro o dai tirocini possono finalmente toccare con mano: si tratta di una forma, se vogliamo, di volontariato indotta, meno spontanea forse, ma sicuramente stimolante e propedeutica alla conoscenza "vera" e concreta di un mondo ai loro occhi sino a quel momento non reale, bensì virtuale, al pari della realtà che imparano a conoscere fin dalla più tenera età tramite internet e giochi come le play stations e che spesso creano in loro confusione identitaria e alienazione sociale.
Toccando con mano, annusando, respirando i documenti cartacei o pergamenacei, i volontari si tuffano in un mondo sconosciuto ma molto più tangibile di quello della rete, in un mondo che apre loro altre prospettive e che rischia di appassionarli: da quei giovani spesso sbocciano i volontari del dopo-adolescenza, i tanti giovani che vogliono approfondire e che son disposti a investire il loro tempo nella schedatura di fotografie, manifesti, disegni, libri, giornali, materiale in qualche modo atipico, cui spesso gli addetti ai lavori non hanno tempo da dedicare, oberati come sono dai carichi di lavoro quotidiani spesso insostenibili a causa della scarsità di personale. Lavori, quelli affidati a tali volontari, apparentemente minori, ma importanti per la formazione professionale dei volontari e per il censimento e la valorizzazione delle fonti stesse, destinate spesso a una forma di apartheid documentale.
Altrettanto importante è l'esperienza che possono fare i giovani (e non solo) nei lavori di indicizzazione di inventari e schedari, spesso ricchi di nomi e di elementi specifici che vanno tesaurizzati per comprenderne a fondo la potenzialità: si pensi agli indici delle parti contraenti degli atti notarili, o ai repertori catastali, agli indici di catastici, o ancora a toponimi e indici onomastici legati a mappe o a lavori edilizi (commissioni d'ornato o edilizia pubblica), o legati a inventari dotali, a fascicoli personali di "maniaci" o "esposti", a cartelle cliniche, o a fascicoli personali di studenti, insegnanti, etc. Non si tratta di lavori riservati unicamente ad addetti ai lavori dotati di preparazione e formazione specifica, ma di lavori semplici, cui anche il neofita può avvicinarsi senza timore ma con curiosità e passione, partendo da corsi di formazione di base che forniscano loro le "armi" per la comprensione del lavoro che andranno a svolgere.
Se ne ottiene senza grandi sforzi e senza spreco di risorse economiche un coinvolgimento di risorse volontarie in un'attività che è soprattutto di valorizzazione e che può sfociare nella collaborazione con enti locali, archivi di stato, aziende, all'allestimento di mostre, pubblicazioni, percorsi didattici che arricchiscono l'offerta di servizi da parte delle istituzioni stesse, proprio grazie all'apporto di chi ha un approccio non istituzionalizzato con la ricerca e lo studio e che può mettere a frutto le proprie potenzialità (informatiche, grafiche, multimediali, artistiche) nella creazione di un valore aggiunto, quello della valorizzazione del bene culturale.

Speciale MAB e volontariato - pag. 17 [2012 - N.44]

Da febbraio 2013 il MAR dedica una mostra all'arte dei folli, da Bosch all'Art brut, da Ligabue a Basquiat

Davide Caroli - Responsabile organizzazione mostre temporanee MAR di Ravenna

Il Museo d'Arte della Città di Ravenna prosegue la sua indagine su temi di grande interesse ancora da approfondire con l'ambizioso progetto espositivo dal titolo Borderline - a cura di Claudio Spadoni, direttore scientifico del museo, e Giorgio Bedoni, psichiatra, psicoterapeuta, docente presso l'Accademia di Brera - in programma dal 17 febbraio al 16 giugno 2013. L'obiettivo della mostra è di superare i confini che fino ad oggi hanno racchiuso l'Art Brut e "l'arte dei folli" in un recinto, isolandone gli esponenti da quelli che la critica (e il mercato) ha eletto artisti "ufficiali".

Già nella cultura europea del XX secolo diversi protagonisti delle avanguardie e psichiatri innovatori guardarono in luce nuova le esperienze artistiche nate nei luoghi di cura per malati mentali. Le ricerche di quegli anni avevano avviato una revisione radicale di termini quali "arte dei folli" e "arte psicopatologica", prendendo in esame queste produzioni sia come sorgenti stesse della creatività quanto come una modalità propria di essere nel mondo, da comprendere al di là del linguaggio formale. Così nel 1912 Paul Klee, in occasione della prima mostra del movimento artistico del Blaue Reiter alla Galleria Thannhauser di Monaco aveva individuato nelle culture primitive, nei disegni infantili e in quelli dei malati mentali le fonti dell'attività creativa. Nel 1922 lo psichiatra tedesco Hans Prinzhorn pubblicò un testo dal titolo "Bildnerei der Geisteskranken ("L'attività plastica dei malati di mente") che segnerà la fine dello sguardo positivista sulle produzioni artistiche nate negli ospedali psichiatrici. Infine, nel 1945 Jean Dubuffet conia la nozione di Art Brut avviando così una nuova epoca di ricerche in questo campo.

Oggi il termine "borderline" individua una condizione critica della modernità, antropologica prima ancora che clinica e culturale. In questo senso la mostra intende esplorare gli incerti confini dell'esperienza artistica al di là di categorie stabilite nel corso del Novecento, individuando così un'area della creatività dai confini mobili, dove trovano espressione artisti ufficiali ma anche quegli autori ritenuti "folli", "alienati".

Dopo una ampia Introduzione introspettiva, con opere di Bosch, Bruegel, Goya e Géricault, l'esposizione sarà organizzata per sezioni tematiche. Le creazioni di Art Brut saranno comunque una presenza costante nel percorso della mostra. Nel Disagio della realtà verranno presentate importanti opere di artisti del calibro di Dubuffet, Tancredi, Wols, Appel, Jorn, affiancati ai lavori di artisti dell'Art Brut, outsider della scena artistica, per stabilire confronti sull'ambiguo confine tra la creatività degli alienati e il disagio espresso dall'arte ufficiale dell'ultimo secolo. Il Disagio del corpo comprenderà una serie di lavori dove è protagonista il corpo, che diviene l'estensione della superficie pittorica e talvolta opera stessa nelle sue più sorprendenti trasformazioni, descritte in toni ludici, poetici, talvolta violenti. Esempi eloquenti ne sono le opere di Basquiat, Moreni, Zinelli, Rainer, Baj e Masson.

All'interno dei Ritratti dell'anima ampio spazio verrà dedicato ad una sequenza di ritratti e soprattutto autoritratti, una delle forme di autoanalisi inconsapevole più frequente nei pazienti delle case di cura, con opere di Kubin, Ligabue, Moreni, Sandri, Viani. Due maschere Sepik vengono inserite quali emblematici manufatti di arte primitiva, provenienti dalle popolazioni indigene del fiume Sepik in Melanesia. Un'intera sala verrà poi dedicata ad Aloïse Corbaz, storica autrice dell'Art Brut.

La mostra proseguirà con una sezione dedicata alla scultura, la Terza dimensione del mondo con inediti di Gervasi, Righi e ancora grandi manufatti di arte primitiva. Infine, nel Sogno rivela la natura delle cose (titolo che richiama una mostra della Fondazione Mazzotta del 1989), verrà definito l'onirico come fantasma del Borderline con una selezione di dipinti di surrealisti come Dalì, Ernst, Masson, Brauner, oltre alla presenza di Paul Klee, grande estimatore dell'arte infantile e degli alienati, e dell'autore di Art Brut Scottie Wilson.

La mostra è possibile grazie alla collaborazione di svariati musei e collezioni pubbliche e private.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 17 [2012 - N.45]

Il Museo Civico Varoli tra i protagonisti di un prezioso documentario RAI

Massimiliano Fabbri - Responsabile Museo Civico Luigi Varoli di Cotignola

Il 4 marzo 2013 è stato presentato a Cotignola, in anteprima nazionale, il documentario "Cotignola il paese dei giusti" realizzato dal giornalista e autore televisivo Nevio Casadio e prodotto da Rai 150 anni per la trasmissione "La storia siamo noi". La data scelta per la prima proiezione pubblica e per la messa in onda da parte di Rai, avvenuta due giorni dopo, ha coinciso con la Giornata dei Giusti istituita dal Parlamento Europeo nel 2012 fissata per il 6 marzo, anniversario della morte di Moshe Bejski.
L'inchiesta di Casadio è stata possibile grazie anche all'Amministrazione comunale che, attraverso il Museo Varoli, ha fornito un importante sostegno organizzativo e logistico alla campagna di video-interviste e riprese che ha coinvolto vari luoghi di Cotignola, dal Museo stesso alla scuola Arti e Mestieri, dai paesaggi delle cave della fornace agli argini del Senio, dal Teatro Binario alla Chiesa del Suffragio, dal Parco Zanzi al Giardino dei Giusti e inoltre il Museo della Battaglia del Senio di Alfonsine, il cimitero ebraico di Lugo e quello di guerra di Piangipane, la Sinagoga di Bologna.
Il documentario ha permesso al comune di Cotignola, non solo di celebrare la ricorrenza, ma anche di proseguire la sua opera di salvaguardia e trasmissione della storia e memoria dei suoi quattro giusti - Luigi e Anna Varoli, Vittorio e Serafina Zanzi - e di tutta una comunità ospitale che mise in atto, durante l'ultimo conflitto, un'efficace e anomala rete dell'ospitalità e solidarietà salvando quaranta ebrei italiani, nascosti e protetti nel piccolo paese della Bassa Romagna. Un'accoglienza straordinaria, resa possibile da una struttura organizzativa che coinvolse parti dell'Amministrazione (a partire dal commissario prefettizio Zanzi fino agli impiegati dell'anagrafe) e poi la Curia e il CLN, l'artista Luigi Varoli e semplici cittadini che offrirono le loro abitazioni, affetto e ogni sostegno necessario anche a rifugiati politici e sfollati. È la storia di un'esperienza pressoché unica perché è un'intera comunità quella che si prestò a imbastire questa vincente maglia di protezione; comunità capace di un altruismo incondizionato pur muovendosi in uno scenario tragico e pericoloso (il fronte si blocca e staziona sul Senio per 145 giorni: un paese blasted off the map questo appare agli alleati mentre sorvolano, a liberazione avvenuta, quello che resta di Cotignola...).
Se spesso, dietro a ogni ebreo risucchiato dalla micidiale macchina dello sterminio ci fu una spiata o delazione, è al contempo vero che alle spalle di ogni vita salvata ci furono altrettante donne e uomini giusti che si opposero all'orrore; la denuncia era la via più facile, ma questo a Cotignola non avvenne, così come in altri centri dell'Emilia-Romagna, su tutti il commovente caso di Villa Emma a Nonantola dove don Arrigo Beccari sostenne l'opera di salvataggio di una settantina di giovani ebrei dell'Est europeo, come ben testimonia la mostra "I Giusti tra le Nazioni. I non ebrei che salvarono gli ebrei in Emilia-Romagna 1943-1945" a cura del Museo Ebraico di Bologna che, dopo essere approdata al Museo Varoli è ospite al Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo dal 27 marzo al 28 aprile.
Grazie al lavoro di Nevio Casadio, il comune di Cotignola amplifica e approfondisce ulteriormente quel percorso di ricerca e studio e divulgazione intorno alla propria storia, culminato nel 2012 con l'inaugurazione di una nuova sezione del Museo dedicata ai Giusti e, di riflesso, alle vicende che si muovono sullo sfondo della seconda guerra mondiale. Anche per questo l'allestimento museale si snoda attraverso diverse tipologie di narrazioni, dalle interviste ai testimoni che costituiscono l'ossatura del documentario del regista Fabrizio Varesco, alle immagini e suoni della camera nera di David Loom, racconto affidato a un'immersione in un flusso di immagini quasi perdute e familiari, continuamente affioranti e poi ancora sommerse, capaci di restituire una visione oscillante tra uno sguardo plurale e collettivo e uno intimo e interno. Questi materiali, prodotti e acquisiti permanentemente, ribadiscono come il Museo non sia solo passivo contenitore e raccolta di oggetti e collezioni, ma catalizzatore di storie e narrazioni poetiche, funzionante come stimolo produttivo e fertile per una memoria da coltivare costantemente, per tenere all'erta una coscienza critica che si nutre necessariamente di nuovi sguardi e stratificazioni e collegamenti.
Grazie alla concessione Rai, il documentario "Cotignola il paese dei giusti" è entrato a far parte del patrimonio del Museo Varoli, visibile all'interno della sezione dei Giusti.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 17 [2013 - N.46]

Debutta quest'anno a Bagnacavallo il 1° Festival Nazionale dell'Incisione Contemporanea

Diego Galizzi - Conservatore Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo

L'incisione è una forma di espressione artistica che solo in pochi possono dire di conoscere da vicino, anzi, si potrebbe quasi considerare un linguaggio di nicchia, eppure ciò non toglie nulla al fascino di questa forma d'arte così carica di tradizione e di storia, che ha visto tra i suoi più grandi esponenti maestri del calibro di Dürer, Rembrandt, Goya, o più recentemente Giorgio Morandi, solo per citarne alcuni. Tuttavia sarebbe un errore pensare agli incisori oggi come a una cerchia di artisti iperspecialistici e rinchiusi nel solco di una tradizione tecnica che li rende refrattari al cambiamento. Tutt'altro! Fare incisione oggi significa anche essere sperimentatori versatili, aperti alle contaminazioni, alle istanze e alle sfaccettate sensibilità del contemporaneo.
Per questo, per cercare di avvicinare il grande pubblico alla conoscenza del modo di intendere oggi l'incisione in Italia, quest'anno il Gabinetto delle Stampe del Museo Civico di Bagnacavallo propone un appuntamento che rappresenta una delle principali novità nel panorama delle manifestazioni che si occupano dell'arte incisoria. Nasce infatti il 1° Festival Nazionale dell'Incisione Contemporanea, Bagnacavallo#2013, un articolato programma di eventi artistici che avrà il suo momento culminante nel fine settimana del 18-20 ottobre prossimo e che vedrà convergere su Bagnacavallo un variegato pubblico di artisti, galleristi e appassionati di questo particolare genere di espressione artistica.

Si tratta di un progetto che in qualche modo eredita le esperienze maturate dall'istituzione bagnacavallese in questo settore nel corso degli ultimi anni, dal Repertorio degli Incisori Italiani al Forum nazionale dell'arte incisa, rilanciandole - per così dire - in un evento-contenitore che ha l'ambizione di diventare un appuntamento di rilevanza nazionale, in grado di offrire, da un lato, occasioni di confronto e approfondimento agli addetti ai lavori, dall'altro tante opportunità per il pubblico di avvicinare e conoscere l'antica arte dell'incisione, i suoi principali protagonisti di oggi, le sue tecniche e le sue curiosità.

Si apre il lungo autunno dell'incisione a Bagnacavallo con una sorta di anteprima Festival, ovvero la mostra "Anatomie dell'effimero. Sette visioni di transitorietà": un coinvolgente percorso espositivo allestito a partire dal 15 settembre nei magnifici ambienti dell'ex convento di San Francesco, il cui filo conduttore sarà l'incisione. Una riflessione, quasi un gioco, che nasconde in sé un ossimoro: come incidere, fissandolo, l'effimero. La mostra, curata da chi scrive, vedrà artisti giovani e affermati confrontarsi sulla tematica della provvisorietà e della trasformazione, dando a questi concetti così impalpabili forma e corpo attraverso un percorso di circa un centinaio di opere.

La mostra-mercato "Carte in Fiera", altro appuntamento del Festival, animerà invece la tradizionale Festa di San Michele nel fine settimana 28-29 settembre. Ospitata anch'essa nel complesso conventuale di San Francesco, la manifestazione sarà un'occasione preziosa per prendere contatto con gli incisori presenti in più di venti stand. Sarà così possibile soddisfare le proprie passioni collezionistiche o, più semplicemente, osservare, sfogliare e discutere con gli autori dei loro lavori.
Il programma diventa fitto e variegato nel fine settimana del 18-20 ottobre. È questo il momento clou del Festival, tre giorni in cui si concentreranno inaugurazioni di mostre, seminari, workshop, occasioni di intrattenimento e altro. Si va da un'intera giornata di studi dedicata alle prospettive e alle nuove tecniche dell'incisione contemporanea (Teatro Comunale Goldoni, 19 ottobre), all'inaugurazione della mostra "L'incisione in Italia oggi. Linguaggi, poetiche, tendenze" (Museo delle Cappuccine), o a una mostra di ex-libris ed ex-musicis, allestita tra il Teatro Goldoni e la Biblioteca Comunale Taroni, e che sarà un omaggio a Giuseppe Verdi per la ricorrenza dei 200 anni dalla sua nascita. Non mancheranno presentazioni di libri, tra i quali spicca un fresco di stampa "Repertorio degli Incisori Italiani", curato dal Gabinetto Stampe bagnacavallese, workshop di approfondimento delle tecniche della xilografia e del bulino, e tanti incontri didattici rivolti soprattutto a bambini e ragazzi.
Il Festival Bagnacavallo#2013 gode del patrocinio di MiBAC, Istituto Nazionale per la Grafica, Regione Emilia-Romagna, Provincia di Ravenna e Unione dei Comuni della Bassa Romagna.
Per saperne di più e avere informazioni dettagliate sul programma: www.festivalincisione.it


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 17 [2013 - N.47]

Da Fondazione Culture a MAB Santarcangelo, la gestione del MET passa per progetti sempre più partecipati e integrati

Mario Turci - Direttore MET - Museo degli Usi e Costumi della Gente di Romagna di Santarcangelo

Quando un museo è produttivo? Quando riesce a esporre raccolte? Quando adotta corrette prassi di conservazione? Quando fa "parlare" le opere e le testimonianze che conserva?
Certamente in ognuno di questi aspetti risiede un tassello dell'efficacia del museo, e ancora nella sua azione didattica e scientifica, nella ricerca, nelle produzioni. L'analisi particolareggiata di ogni singolo aspetto del valore culturale dell'impresa museale ci porterebbe lontano per scoprire, forse, alla fine, che è nella complessità del suo approccio con la realtà e la cultura il valore della sua presenza e della sua produttività. Ma quale produttività?
Per l'esperienza del Museo Etnografico di Santarcangelo questa è da individuarsi in larga parte nel raggiungimento di quegli obiettivi che nella dimensione della socialità rintracciano gli spazi per una "azione" museale finalizzata alla partecipazione del museo e allo sviluppo della comunità locale.
Il Museo, inaugurato nel 1981, nasce dall'appassionato lavoro di raccolta promosso, dalla fine degli anni '60, da un gruppo di volontari. Risale al 1985 l'apertura del Centro Etnografico per la Ricerca e la Documentazione e l'avvio delle campagne di ricerca e di produzione documentaria. Con questo Centro il Museo si dota di archivi e di strumenti di diffusione scientifica predisponendo laboratori di ricerca per promuovere lo studio delle tradizioni popolari, la produzione di documentazione audiovisiva, testi, esposizioni periodiche, convegni, giornate di studi e iniziative didattiche. Il Centro infatti dispone di una biblioteca ed emeroteca specializzate in demo-etno-antropologia e di importanti archivi delle fonti audiovisive, fotografiche e iconografiche. Dal 1996 il Museo ha assunto la forma organizzativa di Istituzione pubblica e addotta la sigla MET (Museo ETnografico) nel proprio logo. Nel 2011 il Museo celebra i quarant'anni della propria storia e nel 2012, assieme a tutti gli istituti culturali di Santarcangelo, passa sotto la gestione di Fo.Cu.S (Fondazione Culture Santarcangelo).
Lo spirito della storia passata e attuale del MET è nella sua "ragion d'essere" sintetizzata nel documento di missione, per noi eloquente più di ogni altra considerazione. Tale documento è assunto come costante guida di programma; leggiamone un estratto:
"Il MET individua nella dimensione della restituzione culturale il valore della propria operatività. Restituzione in termini di partecipazione attiva alla cultura e alla crescita del luogo in cui il museo risiede per porsi, fedele alla sua natura tematica e museale, come polo d'interesse sociale stimolo di riflessioni sulla qualità della vita, centro propulsivo di iniziative mirate alla formazione e dialogo sulle questioni dell'identità, della diversità e della appartenenza. Il MET si rivolge a tutti i cittadini indistintamente al fine di:
- contribuire allo sviluppo della comunità locale e del proprio territorio;
- partecipare, per quanto di sua competenza, alle vicende e ai progetti di crescita civile e culturale della propria realtà sociale;
- concorrere a quella riflessione sulla qualità della vita che scaturisce dalla coscienza dell'imprescindibile rapporto fra memoria e identità storico-culturale.
- Il MET inoltre pone particolare attenzione ai valori dell'incontro sociale, al recupero di un corretto rapporto fra consumo, sfruttamento delle risorse e manualità, alla conoscenza della storia quale garanzia per la realizzazione di prospettive sul futuro individuale e collettivo."
Sono diversi gli ambiti dell'azione del Museo di Santarcangelo, alcuni tradizionali e propri della operatività di un museo e altri legati alla necessità di mantenere il Museo come polo attivo di dialogo con il pubblico. L'attivazione di iniziative e ambiti specifici è legata anche alla partecipazione del Museo alle reti locali per la didattica e la valorizzazione dei patrimoni territoriali, alle richieste e valutazione del pubblico e all'opportunità di aprire "alleanze" e co-produzioni. Ambiti d'iniziativa sui quali attualmente (oltre ai tradizionali) il MET sta investendo risorse progettuali sono:
- didattica e formazione insegnanti;
- accessibilità ai musei e al patrimonio culturale;
- museo partecipato;
- PAM club;
- archivio fotografico di 56mila immagini;
- comunicazione web;
- rapporti di rete quale capofila (Rete dei musei istituzionali della bassa val Marecchia);
- biblioteca specializzata, emeroteca e archivi.
Non ultimo il MAB Santarcangelo: Musei, Biblioteca civica e Archivi, oggi riuniti nella Fondazione di partecipazione Fo.Cu.S, che ha attivato tavoli di lavoro per progetti sempre più integrati. Musei, Biblioteca e Archivi, posti sotto la medesima gestione stanno formalmente, dal 2012, attivando un'integrazione di programma, progetto e gestione economica rispettosa delle specificità scientifiche e culturali dei diversi istituti, ma indirizzata alla gestione e offerta culturale e di servizi su di un unico progetto e programma.

Speciale Musei di Romagna - pag. 17 [2013 - N.48]

Il Museo d'Arte della città di Ravenna ospita fino al 15 giugno una grande e originale mistra sulla storia degli affreschi staccati e strappati

Davide Caroli - Responsabile organizzazione mostra temporanee MAR di Ravenna

L'idea di organizzare e allestire, con la collaborazione istituzionale della Soprintendenza per i Beni Storici, Artistici e Etnoantropologici di Bologna, presso le sale del Museo d'arte della Città, una mostra storica degli estrattisti, discende e trova fondamento in alcune dense pagine tracciate da Roberto Longhi su "Paragone" ancora nel lontano 1957 che prendevano le mosse dalla coeva inaugurazione della prima "Mostra di affreschi staccati" curata da Ugo Procacci.

Più di cinquant'anni or sono Longhi sentì per primo, anche sull'onda emozionale del successo di critica e di pubblico che vennero attribuiti alla mostra fiorentina, l'urgenza e la necessità di un'esposizione che potesse ripercorrere la secolare storia e fortuna della pratica del distacco delle pitture murali "nella sua alternativa di successi e di contrasti, di proposte radicali e di remore" così da "spargere riflessi preziosi anche sulla storia del gusto italiano e del suo vario atteggiarsi verso il proprio passato", ma anche e soprattutto su quella della conservazione, della teoria e della tecnica del restauro, del collezionismo e della salvaguardia e tutela di quella fondamentale parte dell'antico patrimonio pittorico italiano.

Quella proposta, quanto mai innovativa e d'attualità per l'epoca, cadde però nel vuoto.

Ora, a più di mezzo secolo dall'avvio della "stagione degli stacchi" e della parallela "caccia alle sinopie", e ad un ventennio dalla sua conclusione, anzi, dal quasi totale abbandono della prassi del distacco, la mostra ravennate è una prima assoluta. Si tratta di un percorso espositivo composito, misto, risultato del susseguirsi di singole sezioni organizzate secondo un ben definito indirizzo cronologico in cui si sviluppano pienamente i presupposti storici su cui si è fondata la fortuna della prassi estrattista fra il Settecento e il Novecento.

Ai primi saggi cinque-seicenteschi a massello fanno seguito alcuni dei bellissimi affreschi trasportati da Giuseppe Canart durante gli scavi di Pompei ed Ercolano, poi quelli trasportati su tela dai primi epigoni di Antonio Contri, l'inventore della tecnica dello strappo (sebbene oggi non esistano opere strappate a lui riconducibili). Dipinti murali di Cennino Cennini, Bartolomeo Cesi, Pellegrino Tibaldi, Prospero Fontana, Garofalo, Niccolò dell'Abate, Bernardino Luini, Giulio Campi, Ludovico Carracci, Guercino, Domenichino a testimoniare la frenetica attività, fra la seconda metà del Settecento e il primo quarto dell'Ottocento, di Giacomo Succi, Giovanni Maria Sonsis, Sante Pacini, Girolamo Contoli, Stefano Barezzi.

Seguono poi altrettante pitture strappate o staccate, collocate su tela o su altri materiali, riconducibili alle mani di illustri maestri come Giulio Romano, Girolamo Romanino, Moretto, Lelio Orsi, Annibale Carracci, Guido Reni e all'azione artigianale - datata alla seconda metà del XIX secolo - di estrattisti come Giovanni Rizzoli, Giovanni Secco Suardo, Antonio Zanchi, o ancora i fratelli Steffanoni.

Senza dimenticare i tanti primitivi distaccati fra la fine dell'Ottocento e primi decenni del Novecento, come Berlinghiero e Francesco da Rimini, per poi chiudere il percorso espositivo con la stagione degli stacchi: affreschi trasportati - spesso con le loro sinopie - a partire dal secondo dopoguerra grazie al supporto istituzionale e scientifico delle sovrintendenze, dell'ICR e dell'OPD, da restauratori come Arturo Raffaldini, Ottorino Nonfarmale sì per motivi conservativi e di salvaguardia, ma anche, talvolta, è bene ricordarlo, per fruibilità e studio. Opere di Giotto, Altichiero, Buffalmacco, Benozzo Gozzoli, Correggio, Ludovico e Annibale Carracci, che chiudono l'itinerario, ma aprono a un dibattito ora più che mai attuale che necessita da troppo tempo di risposte esaustive.

 


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 17 [2014 - N.49]

Al MIC dal 27 giugno al 1° febbraio 2015 è in mostra la scultura ceramica italiana del secondo dopoguerra: da Fontana a Leoncillo, da Melotti a Ontani

Claudia Casali - Direttrice MIC di Faenza

La mostra su Arturo Martini, inaugurata nell'autunno 2013 nelle sedi del Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza e di Palazzo Fava a Bologna, ha fornito importanti spunti di riflessione sull'evoluzione storico-artistica del linguaggio ceramico nel dopoguerra. Martini, pur essendo il più importante scultore figurativo del Novecento italiano ed europeo, fu un grande innovatore che seppe guardare oltre la propria poetica legata agli antichi e ai grandi padri della scultura italiana, introducendo nel proprio percorso soluzioni precorritrici di codici espressivi poi adottati nel secondo dopoguerra. Soprattutto negli ultimi anni della sua intensa creazione, l'artista trevigiano fornì spunti poi adottati dai suoi allievi e dalle generazioni successive, soluzioni legate all'informale, al neocubismo, alla dimensione astratta della scultura, elementi affrontati anche teoricamente da Martini nel suo ultimo famoso pamphlet, edito nel 1945, dal titolo "Scultura lingua morta".
È da queste premesse che è stata concepita la mostra dal titolo "La scultura ceramica italiana del secondo dopoguerra", che ha inaugurato presso il MIC di Faenza il 27 giugno. L'esposizione è organizzata grazie al fondamentale contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna, e con la collaborazione di un Comitato scientifico di studiosi d'eccezione: Maria Vittoria Marini Clarelli, Luigi Ficacci, Cecilia Chilosi, Flaminio Gualdoni, Nico Stringa e Claudia Casali.
L'obiettivo di questa mostra è ripercorrere le principali tappe della nostra storia scultorea ceramica attraverso protagonisti che ne hanno indubbiamente cambiato le prospettive, grazie a contenuti innovativi e straordinariamente contemporanei.
Per la prima volta vengono esposti assieme i grandi protagonisti del cambiamento della scultura ceramica e per la prima volta viene documentato, con un prestigioso catalogo, un percorso di innovazione estetica e di novità linguistica. La ceramica contemporanea oggi è linguaggio privilegiato nel sistema dell'arte contemporanea e oggi più che mai diviene riferimento per tanta parte della produzione artistica giovanile.
Questa mostra è l'occasione per evidenziare un dialogo tra generazioni, con uno sguardo sovranazionale, che pone al centro una materia, la ceramica, declinata nelle tante poetiche che hanno interessato il nostro XX secolo, includendo anche gli artisti stranieri che hanno notevolmente influito sulla produzione ceramica artistica nazionale (Jorn, Diato, Fontana, Matta).
Partendo da Melotti, Leoncillo, Fontana, Valentini, per giungere ai più "contemporanei" Ontani, Paladino, Bertozzi&Casoni (per citare i nomi più noti), neocubismo, informale, pop art, minimalismo, arte concettuale, figurazione sono i temi analizzati per fornire uno sguardo ad oggi inedito di un percorso di grande eccellenza artistica, nella quale l'Italia ha avuto un ruolo chiave indiscusso.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 17 [2014 - N.50]

Una mostra itinerante dedicata a un Maestro della fotografia italiana fa tappa al Museo d'Arte della città di Ravenna fino all'11 gennaio 2015

Davide Caroli - Responsabile Ufficio Mostre Mar di Ravenna

La mostra Guido Guidi Veramente è il risultato della proficua collaborazione tra tre diverse istituzioni europee - MAR di Ravenna, Fondation Henri Cartier-Bresson di Parigi e Huis Marseille di Amsterdam - e testimonia l'apertura di Ravenna e dei suoi programmi culturali a un orizzonte internazionale; e lo fa rendendo omaggio a un artista ormai riconosciuto come un Maestro, per l'importanza dei suoi lavori ma anche per l'attenzione alla didattica e per aver creato attorno a sé un gruppo sempre in crescita di giovani studenti e collaboratori a cui trasmette le sue conoscenze e le sue visioni.
Concepita fin dall'inizio come mostra itinerante, Veramente ha trovato il suo naturale approdo proprio a Ravenna, un ritorno a casa dunque per l'artista, nato nel 1941 a Cesena, dove tuttora vive e lavora, ma che a Ravenna - come racconta lui stesso nell'intervista presente sulle pagine di questa rivista - ha frequentato il liceo artistico e dove dal 1989 è docente di Fotografia presso la locale Accademia di Belle Arti. La sua formazione dal 1956 è proseguita a Venezia dove ha studiato prima Architettura allo IUAV e successivamente Disegno industriale, seguendo i corsi di Bruno Zevi, Carlo Scarpa, Luigi Veronesi e Italo Zannier.
Dalla fine degli anni Sessanta Guidi ha realizzato importanti ricerche personali, indagando il paesaggio e le sue trasformazioni e sperimentando al contempo il linguaggio fotografico stesso. Nel 1989 ha avviato a Rubiera, con Paolo Costantini e William Guerrieri, Linea di Confine per la Fotografia Contemporanea.
La mostra ripercorre quarant'anni della sua carriera, i cui maestri sono stati da una parte i pittori italiani del Rinascimento, da Piero Della Francesca a Domenico Veneziano, Giovanni Bellini, Antonello Da Messina, dall'altra i fotografi americani del Novecento, da Walker Evans a Paul Strand, Stephen Shore, Lee Friedlander.
Attraverso le fotografie e i libri si passa dagli esperimenti in bianco e nero degli anni Settanta, alle serie a colori come Preganziol, una bellissima serie, piena di semplicità e mistero realizzata nel 1983 all'interno di una stanza vuota di una casa nell'omonimo paese del trevigiano; In between cities, un itinerario fotografico percorso, alla metà degli anni Novanta, lungo il tracciato dell'antico asse viario tra la Russia e Santiago de Compostela; sino al recente lavoro sui paesaggi ordinari della Sardegna contemporanea, realizzato da Guidi nel 2011 su commissione dell'Istituto Regionale Etnografico.
Al Museo d'Arte della Città  di Ravenna, grazie alla cura di Silvia Loddo, storica della fotografia che da diversi anni segue attivamente le ricerche e l'attività didattica di Guido Guidi, è poi eccezionalmente esposta anche una selezione di fotografie di Ravenna, proposte dal fotografo come un omaggio alla città, che completa e arricchisce il percorso studiato dalla curatrice Agnes Sire, direttrice della Fondation Henri Cartier-Bresson.
A corredo di questa mostra è stato realizzato, con la collaborazione dell'editore inglese MACK, un prezioso volume accompagnato da un testo critico a cura di Marta Dahò.
Grazie alla disponibilità del maestro Guidi sarà inoltre possibile partecipare ad alcune visite guidate alla mostra in sua compagnia, scoprendo perciò dalla viva voce dell'autore come e perchè sono nati certi scatti e certi lavori.
Per informazioni dettagliate sulla mostra ed eventi collaterali: www.mar.ra.it

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 17 [2014 - N.51]

Una campagna nazionale nata "dal basso" per difendere attraverso dieci priorità l'infrastruttura culturale finora di competenza delle Province

Marianella Pucci, Luciano de Venezia - Promotori e curatori di 'A chi compete la cultura? '

La recente entrata in vigore della Riforma delle Province italiane (L. 56/2014, cosiddetta "Legge Delrio") ha avuto tra i suoi effetti quello di mettere in discussione l'esistenza di strutture e servizi culturali fino ad oggi di competenza provinciale. Dal 1° gennaio 2015, infatti, la loro gestione è stata rimandata per legge ad altri enti - Regioni e Comuni in primis - chiamati ad occuparsene per il futuro. Eppure ad oggi sono pochissime le Amministrazioni che hanno provveduto a legiferare in tal senso ed è per questo che circa 100 musei, molti prestigiosissimi, 18 biblioteche storiche e le reti e i sistemi ad essi collegati affrontano il rischio di una chiusura imminente o, nella migliore delle ipotesi, di un drastico ridimensionamento dei servizi.
La campagna A chi compete la Cultura? è nata per sensibilizzare le Istituzioni, il sistema culturale italiano e tutta l'opinione pubblica su un tema così grave, urgente e diffuso, che mette a rischio una parte importante del patrimonio nazionale, minaccia di impattare negativamente su migliaia di utenti e visitatori e, non da ultimo, su esperienze e competenze di un intero comparto professionale. Partita durante gli ultimi giorni del 2014, l'iniziativa ha subito lavorato su un duplice fronte, mediatico e istituzionale. Su web, social network, tv e giornali ha provveduto a divulgare in poche settimane un argomento di per sé abbastanza complesso, presentandone gli aspetti principali e spiegandone nel merito i rischi, per poi continuare a informare, sensibilizzare e aggiornare quotidianamente un'audience sempre maggiore. Nel contempo ha voluto coinvolgere istituzioni, professionisti e operatori culturali, ottenendo il sostegno di ICOM Italia, AIB, ANAI e MAB, le principali associazioni professionali del settore, che hanno condiviso l'azione e che continuano a lavorare per portare l'argomento sui tavoli istituzionali nazionali.
Simbolo dell'intera campagna è la petizione on line A chi compete la cultura? (https://www.change.org/p/a-chi-compete-la-cultura), un manifesto-appello con il quale si definiscono dieci priorità essenziali, chiedendo alle autorità coinvolte di:
1. salvare il funzionamento di centinaia di musei, biblioteche, archivi, istituti e sistemi culturali finora di competenza delle Province;
2. tutelare il patrimonio da loro conservato e valorizzato;
3. garantirne l'apertura, la continuità e la qualità dei servizi;
4. tutelare e conservare gli edifici che li ospitano, spesso essi stessi di enorme valore;
5. garantire il funzionamento delle tante reti e sistemi che gravitano attorno ad essi;
6. salvaguardare le competenze di centinaia di operatori culturali e gli anni investiti in ricerca, conservazione e valorizzazione, senza disperderne le professionalità in altri incarichi e funzioni;
7. ottimizzare la gestione finanziaria di questi istituti senza effettuare tagli lineari ma attraverso un'azione di trasparenza, razionalizzazione delle spese, valorizzazione del merito e individuazione di nuovi modelli gestionali;
8. garantire continuità ai progetti europei e agli accordi nazionali e internazionali che questi istituti culturali hanno in essere, tutelando gli investimenti pubblici e privati degli ultimi anni;
9. garantire che gli enti e le istituzioni chiamati a decidere sulla gestione di questi beni culturali non effettuino valutazioni "politiche" ma "tecniche", all'interno di una visione necessariamente strategica e condivisa;
10. invitare ai tavoli decisionali in tutta Italia i rappresentanti delle principali associazioni professionali della cultura.
In poche settimane dal suo lancio, la campagna ha avuto buoni riscontri, portando alla ribalta nazionale un argomento delicato e complesso, raccogliendo segnalazioni dai territori e, non da ultimo, mobilitando molte comunità locali, che a loro volta si sono fatte promotrici di azioni in difesa di singole istituzioni in tutta Italia.
Seppure non sia stata ancora trovata una soluzione definitiva a un problema così articolato, ci sono segnali incoraggianti per il futuro, in parte stimolati dalla prima vera campagna in difesa del patrimonio culturale nazionale partita "dal basso" e pianificata in maniera continuativa e strategica. Un'azione di comunicazione che prosegue e che, lungi dall'opporsi ai cambiamenti, parte dal salvataggio di un'infrastruttura culturale importante e diffusa per sollecitare la nascita di azioni di rete e la sperimentazione di forme innovative di sostenibilità.

Riflessioni - pag. 17 [2015 - N.53]

Il ricordo di una figura eclettica che a Fusignano ha guidato la Biblioteca Piancastelli e la riscoperta dell'opera musicale di Arcangelo Corelli

Giuseppe Bellosi - Biblioteca comunale di Fusignano

Alfredo Belletti ci ha lasciato il 3 ottobre 2004. Era nato nella campagna fra Lugo e Cotignola il 18 ottobre 1925, ma era fusignanese di fatto. Aveva studiato al Ginnasio del Seminario di Faenza, al Liceo Classico di Ravenna e all'Università di Bologna. Aveva partecipato alla Resistenza ed era stato il primo segretario della sezione fusignanese del Partito Comunista Italiano, dall'aprile 1945. Verso la fine di quell'anno si era dimesso e non era più tornato alla politica attiva. Da allora si era dedicato agli studi storici locali e alla musica classica.
Si era anche occupato dell'istruzione di giovani calciatori per il Baracca Lugo, dove aveva avuto come allievo Arrigo Sacchi, che ha sempre considerato Alfredo come un punto di riferimento e ha dedicato a lui le pagine iniziali del suo recente Calcio totale, dove scrive: "Dopo i miei genitori, l'uomo che ha segnato di più il mio destino è stato Alfredo Belletti [...]. A lui devo tutto. È stato lui a iniziarmi al mestiere di allenatore. Mi ha insegnato il calcio".
Fino al 1990 Belletti aveva diretto la Biblioteca Comunale di Fusignano, quella biblioteca che aveva voluto alla fine degli anni Cinquanta in una cittadina in cui probabilmente tutti la ritenevano un lusso superfluo. Fusignano gli deve anche l'idea dei Congressi internazionali di studi corelliani, nati nel 1968 e giunti nel 2013 alla settima edizione, congressi che hanno consentito a tanti studiosi italiani e stranieri di confrontarsi e di dare un contributo fondamentale non solo alla conoscenza dell'opera di Arcangelo Corelli e della musica barocca, ma anche al rinnovamento della musicologia. Ha scritto Luigi Petrobelli, direttore scientifico dei primi congressi: "Non credo ci sia fusignanese che possa contraddirmi se dico che, senza Alfredo Belletti, tutte le attività corelliane di Fusignano [...] non si sarebbero mai potute realizzare. Al suo entusiasmo - ma anche alla sua intelligenza, alla sua tenacia - ma anche alla sua cultura si deve se oggi noi guardiamo a Corelli, ed alla sua musica, in maniera totalmente nuova".
La complessa formazione culturale di Alfredo (i suoi interessi e le sue conoscenze spaziavano dalla storia alla musica, dalla letteratura alle scienze umane, dal cinema al calcio), pur non esibita, traspariva dalla sua conversazione, sempre originale e vivace, e diventa evidente nei suoi saggi, frutto di rigorose ricerche d'archivio e di sterminate letture e caratterizzati da una qualità di scrittura che li rende appassionanti.
Alfredo non è riuscito a vedere pubblicata la sua ultima grande impresa, La storia di Fusignano, che raccoglie i contributi di un gran numero di studiosi, curata insieme con Massimo Baioni e me, ma da lui ideata e uscita per i tipi di Longo nel 2006. Ricorda Baioni: "Nel progetto e nella realizzazione di questa storia di Fusignano [...] i lettori potranno riconoscere il senso profondo del suo lavoro, la passione per la ricerca, l'inesausta vivacità intellettuale; gli amici avranno il privilegio di ritrovarvi anche l'eco di tante conversazioni e il ricordo vivo di uno spirito libero".
Tra i suoi scritti il più bello è, a mio avviso, un piccolo libro pubblicato nel 1996 dalla Parrocchia di San Giovanni Battista, dal titolo pascoliano Gli altri son poco lungi, in cui Alfredo ricostruisce la storia del cimitero di Fusignano come storia di una comunità nel suo porsi di fronte alla morte, e nel quale inserisce una dedica toccante: "Ai miei compagni d'infanzia, di adolescenza, di gioventù - Gustavo Filippi, Bruno Guerrini, Genuzio Ghetti - ed ai miei familiari, che tutti mi hanno lasciato prima del tempo".
"Non so rassegnarmi a morire del tutto nel cuore dei miei concittadini", aveva scritto Carlo Piancastelli rievocando il motivo oraziano non omnis moriar. Questa frase Alfredo la volle riprodotta sullo sfondo della sala in cui aveva allestito una mostra piancastelliana nel 1988, per il cinquantenario della morte del grande bibliofilo, e certo la sentiva un po' sua: anche lui ci ha lasciato confidando di non morire del tutto. E noi siamo certi che Alfredo continuerà a vivere nel ricordo e nel cuore dei fusignanesi e dei romagnoli.

Personaggi - pag. 17 [2016 - N.55]

La mostra mercato della ceramica artistica, gemellata con Aubagne e Argentona, dal 2 al 4 settembre coinvolge molti musei faentini

Stefania Mazzotti - MIC di Faenza

Anche nel 2016 Argillà Italia è ospitata a Faenza, città importantissima per la ceramica e il cui nome Faïence è conosciuto in tutto il mondo proprio come sinonimo di maiolica.
Alla sua quinta edizione questo evento si sta sempre di più caratterizzando come l'appuntamento di riferimento dell'artigianato ceramico contemporaneo internazionale in Italia. Tre giorni per passeggiare nel centro storico della città, fare acquisti, curiosare tra le bancarelle, tre giorni per conoscere a fondo la cultura ceramica attraverso una visita al Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, ma anche visitando i cortili privati e altri luoghi espositivi della città come il Museo Carlo Zauli, il Museo della Fondazione Guerrino Tramonti, la Pinacoteca Comunale, il Liceo Artistico Ballardini, il Palazzo delle Esposizioni, il Teatro e la Galleria d'Arte Comunali, che presentano un calendario fittissimo di mostre, conferenze sull'arte ceramica e oggetti di design contemporanei.
Quest'anno gli espositori saranno ben duecentocinquanta, cento in più rispetto alla passata edizione, di cui centoventitre italiani rappresentati di tutte le regioni e centoventisette provenienti da tutta Europa (Austria, Belgio, Estonia, Francia, Germania, Lettonia, Malta, Paesi Bassi, Polonia, Portogallo, Regno Unito, Repubblica Ceca, Romania, Russia, Slovenia, Spagna, Svizzera, Ungheria) con una particolare affluenza dalla Francia che, per questa edizione, è stata scelta come Paese Ospite e a cui, nell'ambito di "Vive la France", presenta, attraverso la città di Aubagne, una mostra alla Sala Rossa del Comune e alla Sala dei Cento Pacifici del Teatro, di suoi artisti e ceramisti selezionati a documentare la ricca vitalità del suo territorio, con tre mostre una dedicata ai Santons, le caratteristiche statue in maiolica che appartengono alla tradizione del sud della Francia, una alla produzione ceramica di Aubagne e l'altra al design ceramico di Christine Gini e Moira Dilillo.
La Fondazione MIC di Faenza, che da quest'anno è diventata l'organizzatrice di tutta la manifestazione, sarà anche il fulcro della progettazione degli eventi collaterali ufficiali che per questa edizione porterà diverse mostre, tra cui alcune anche da paesi molto lontani come l'India e la Corea.
Come per ogni edizione di Argillà il MIC propone in particolare un calendario di conferenze dedicato a progetti, percorsi artistici e innovativi nell'ambito ceramico soprattutto contemporaneo, coinvolgendo protagonisti del settore che si sono distinti negli ultimi due anni. Inoltre al Museo saranno allestite due mostre: la X edizione del Simposio di Gmunden, un progetto di eccellenza dell'arte ceramica contemporanea e una mostra di arte ceramica coreana, congiunta a un progetto di scambio culturale tra Faenza e Icheon.
Poi ancora Andrea Salvatori e i CaCO3, in un dialogo tra ceramica e mosaico alla Galleria Comunale d'Arte, e un omaggio ad Alberto Cavallini, nel Foyer del Teatro Masini. Al Ridotto del Teatro Masini ci sono anche Espresso and Cappuccino Cups, un progetto espositivo dedicato alla tazzina; un ricordo dei Maestri faentini Mario Pezzi, Arnaldo Sangiorgi e Dante Servadei. Inoltre, arriva ad Argillà la mostra Grand Tour, con le ceramiche tradizionali da tutta Italia, organizzata da AiCC - Associazione Italiana Città della Ceramica e la didattica proposta dal Laboratorio Giocare con la Ceramica del MIC.
Il Museo Carlo Zauli, oltre a curare una installazione in città degli artisti italiani Luca Baldelli, Massimo Luccioli, Carlo Pizzichini, ospita un workshop e una mostra di Shozo Michikawa, artista giapponese che sarà protagonista anche di una performance al tornio in Piazza del Popolo (in collaborazione con Officine Saffi).
Tra i tanti eventi, quelli più spettacolari da segnalare sono il Mondial Tornianti, con partecipanti da tutto il mondo; EUraku, competizione internazionale dedicata alla tecnica raku; WASProject, con le innovative stampanti 3D per l'argilla; un forno di mattoni forati, per una cottura ceramica in notturna e l'artista Eva Roucka, dalla Repubblica Ceca, che realizzerà un'opera in ceramica "dal vivo" che poi verrà installata nel Museo all'aperto della città di Faenza. Un'apoteosi di eventi, insomma, che coinvolgerà tutta la città.
Il calendario completo è sul sito di Argillà Italia www.argilla-italia.it.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 17 [2016 - N.56]

Un’interessante esperienza della Provincia di Venezia che sposa l’SBN con la rete dei musei, favorendo, in un unico servizio, gli scambi informativi di operatori e utenti

Settore Scuole Cultura e Servizi ai Disabili Sensoriali della Provincia di Venezia

Il Sistema Bibliotecario Museale Provinciale sBMp, è nato nel 1997 per iniziativa dell’Assessorato alla Cultura della Provincia di Venezia che ha inteso con questo progetto dare avvio a nuove politiche per la valorizzazione dei beni culturali del territorio provinciale. Come avviene nella gran parte del nostro Paese, infatti, anche nella nostra provincia, accanto ai grandi musei e ai più conosciuti enti di cultura della città di Venezia, sono capillarmente diffusi nel territorio strutture museali ed espositive, centri storici di interesse monumentale, biblioteche di pubblica lettura e biblioteche scolastiche, associazioni e organismi attivi nel campo culturale. Un insieme di soggetti assai numeroso e un patrimonio di beni di grande interesse e qualità da valorizzare, da far conoscere, da mettere in relazione, da rendere fruibile al pubblico. L’obiettivo del sBMp è di rispondere a queste esigenze utilizzando il modello della rete sistemica, favorendo la collaborazione e la cooperazione tra i promotori di cultura, offrendo un’immagine complessiva dell’offerta culturale del territorio provinciale. La condivisione delle finalità che il Sistema persegue fa sì che oggi il sBMp conti tra i suoi aderenti diciassette musei e luoghi espositivi, quarantadue biblioteche civiche e dieci biblioteche scolastiche, coprendo l’intera provincia. Tutti questi soggetti sono collegati in rete telematica attraverso il sito Internet del sistema (www.provincia.venezia.it/sbmp) che consente gli scambi informativi e le relazioni in modo agile e diretto e offre al pubblico la possibilità di percorrere itinerari reali e virtuali alla scoperta della provincia. La navigazione permette di accedere a questi percorsi con varie chiavi: seguendo gli itinerari tematici, archeologico, storico-artistico ed etnografico che si snodano nel territorio attraverso musei, centri storici, siti di interesse archeologico ed ambientale; consultando le schede informative dei singoli partecipanti alla rete, con le informazioni per la visita, l’accesso ai servizi, e le attività in corso; esplorando il catalogo bibliografico unico provinciale per la ricerca e la documentazione. Il sito web offre anche una versione ridotta in lingua inglese, destinata a veicolare informazioni per la visita ai musei e al territorio della provincia agli utenti stranieri. Prossimamente saranno disponibili le versioni in tedesco, francese e spagnolo. In questi mesi stiamo sperimentando una nuova architettura delle pagine web delle biblioteche del Sistema, rese più dinamiche e facilmente aggiornabili in sede locale, per garantire una sempre maggiore completezza e attualità delle informazioni all’utenza. Le attività del sBMp sono rese possibili da una vasta rete di cooperazione che vede partecipi l’Istituto Universitario di Architettura di Venezia, la Fondazione Scientifica Querini Stampalia di Venezia, il Sistema Bibliotecario Urbano del Comune di Venezia, la Soprintendenza Archeologica del Veneto, i Comuni e gli Istituti scolastici della provincia. Il finanziamento delle iniziative è garantito da stanziamenti sul bilancio provinciale e da contributi regionali. Ringraziamo Museo Informa e la Provincia di Ravenna per l’ospitalità che ha voluto riservarci e ci auguriamo che la conoscenza reciproca possa migliorare il nostro lavoro e ci stimoli a stringere più stretti rapporti tra due realtà che molto hanno avuto in comune nel loro passato e che molto in comune possono avere anche oggi.

La pagina del Sistema Bibliotecario Museale della Provincia di Venezia - pag. 18 [2002 - N.13]

Osservazioni sul territorio veneziano: da "Biblioteca colorata" a "Avviso ai museonauti"

Dora De Diana - Collaboratrice della Fondazione Querini Stampalia di Venezia

Uno dei compiti del Sistema Bibliotecario e Museale della Provincia di Venezia è quello di sviluppare la conoscenza e l’approfondimento delle attività educative legate al bene culturale sul territorio e di promuovere una linea di lavoro specifica sulla didattica delle biblioteche e dei musei, soggetti che, oltre ad essere il luogo della conservazione e del mantenimento della memoria, riconoscono essenziale offrire un’esperienza di tipo conoscitivo agli utenti e ai visitatori, per accrescere e completare quel patrimonio formativo che l’istituzione scolastica dà o ha dato. La "missione" didattica della biblioteca e del museo doveva essere perciò indagata per conoscere gli strumenti con cui è realizzata e per creare i presupposti per progettare e rendere possibile una didattica bibliotecaria e museale di sistema, per questo è nato l’Osservatorio sulla didattica bibliotecaria e museale del sBMp. Concretamente l’Osservatorio è un archivio che raccoglie i documenti che riguardano la didattica del bene culturale, un luogo in cui si stanno catalogando le proposte che biblioteche e musei offrono come servizio educativo all’utenza. I materiali catalogati in data-base in linea al sito www.provincia.venezia.it/istruzione.assistenza, ricercabili per argomenti e per tipologia, sono consultabili presso la biblioteca della Fondazione Querini Stampalia, (dal lunedì al venerdì: 16.00-20.30, sabato: 14.30-20.30, domenica e festivi: 15.00-19.00). La fase di raccolta ed organizzazione della documentazione ha reso evidente che "la didattica si fa!", che la volontà di utilizzare il bene culturale come strumento per l’approfondimento educativo è una prassi ormai consolidata per le istituzioni culturali del territorio veneziano. Le biblioteche operano davvero in diversi ambiti. Per l’educazione alla biblioteca si organizzano visite per le scuole e laboratori didattici per favorire la lettura, con animazioni, giochi, incontri con l’autore. Ricordiamo il progetto di educazione alla lettura Tamtam di Cavarzere, la mostra di illustrazione per l’infanzia e il progetto La biblioteca per la città di Jesolo, i corsi di aggiornamento per gli insegnanti di Meolo, i progetti A caccia in biblioteca di San Michele al Tagliamento, e Biblioteca colorata di Portogruaro, il laboratorio Fiabe truccose di Vigonovo, la sezione ragazzi della biblioteca di San Donà e le attività educative della biblioteca di Chioggia. Per l’educazione nella biblioteca viene sviluppato il ruolo delle biblioteche in rapporto al territorio, con l’organizzazione di visite guidate a musei e monumenti: un esempio per tutti la promozione del progetto Avviso ai Museonauti della biblioteca di Portogruaro per il Museo Nazionale di Portogruaro; con le ricerche sui fondi di storia locale, gli studi sulla preistoria e sulla storia antica del Veneto (biblioteche di Fossalta di Portogruaro, di Marcon e di Noale); ancora si organizzano corsi di lingua, di teatro, di fotografia e progetti di educazione civica. Anche i musei offrono un panorama interessante operando in stretta collaborazione con le associazioni che si occupano dell’educazione al territorio, come la cooperativa L’Arco di Portogruaro, lo Studio Associato Dimensione Cultura di Concordia Sagittaria, l’interessante Progetto Arcobaleno della Fondazione Artescuola - Premio Altino, in ambito archeologico; la società Aurea di Mestre, il Cavaliere Azzurro, l’Associazione Terre in Valigia o il progetto Sentire l’arte di Venezia per l’ambito storico-artistico, oppure tutte le cooperative del territorio che hanno realizzato per la Provincia di Venezia, Assessorato alle Politiche Ambientali i laboratori di Educazione all’ambiente. Il panorama dimostra volontà e impegno delle istituzioni per rendere accessibile il bene culturale e sollecita ad operare perché questo patrimonio di esperienze e progettualità possa diventare comune. Conoscenza e condivisione delle esperienze già consolidate sono il presupposto perché in futuro la collaborazione tra biblioteche e musei diventi così continuativa da poter realizzare dei progetti comuni proprio all’interno dell’osservatorio, ma anche per elaborare congiuntamente indicazioni metodologiche sul fare educazione bibliotecaria o museale. Un opuscolo di prossima pubblicazione, a cura del sBMp, darà conto di tutte le attività educative realizzate da biblioteche e musei della provincia di Venezia.

La pagina del Sistema Bibliotecario Museale della Provincia di Venezia - pag. 18 [2002 - N.15]

Un accurato restauro permetterà di presentare al pubblico in occasione della settimana santa una grande tempera su cartone proveniente dalla Chiesa si San Francesco di Brisighella

Giorgio Cicognani - Ispettore onorario ai Beni Artistici e storici

Negli ultimi decenni la conservazione ed il restauro hanno fatto grandi passi avanti nelle metodologie di intervento; ciò è dipeso sia dall’aumentata sensibilità dell’opinione pubblica (sollecitata dalla consapevolezza della rapidità di alcuni fenomeni di degrado) sia dello sforzo consapevole dei tecnici e degli storici dell’arte. Sull’esempio dei risultati ottenuti da pochi "precursori" essi hanno contribuito, con un lavoro comune, all’ampliamento delle conoscenze e alla messa a punto di nuovi trattamenti. Nel settembre del 1991 l’Istituto per i Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna, in occasione del Primo Salone d’arte, ha promosso a Ferrara un convegno che aveva come titolo La conservazione e il restauro oggi. Dalla manualità artigiana alla ricerca pluridisciplinare, pubblicandone successivamente gli atti in quattro volumi (Firenze, Nardini, 1992). Un impulso notevole al recupero delle opere d’arte è stato dato, nella nostra Regione, dalla Legge n. 18/2000 che ha stanziato notevoli somme per il restauro di numerosi pezzi. Usufruendo in parte dei contributi di tale legge il Museo Civico "G. Ugonia" di Brisighella ha recuperato una grande scultura in terracotta del sec. XVI, raffigurante una Madonna con Bambino e con l’aiuto di uno sponsor privato ha curato il restauro di una grande tempera su cartone proveniente dalla Chiesa di S. Francesco (di proprietà del Comune) raffigurante due angeli inginocchiati sotto una croce con sudario ripiegato, contornata da putti, opera attribuibile alla cerchia faentina di Adriano Baldini e Savino Lega. La tempera, composta da numerosi fogli di carta grigia incollati fra loro, si presentava in pessime condizioni sia per l’usura sia probabilmente per le notevoli dimensioni che ne hanno reso difficoltoso un buon ripiegamento. Nel verso aveva numerosi, vecchi rattoppi sia incollati che rinforzati nei margini con maldestre cuciture (eseguite con un sottile spago) fatte evidentemente con l’intento di reggere meglio il peso dell’intero cartone una volta appeso. Tutto il verso, oltre ai vecchi rattoppi, era sporco di escrementi di uccelli, polveri varie e piccoli residui di calcinacci e gesso che avevano fatto presa sulla carta. Nei margini, in modo particolare sul lato destro, presentava delle grosse lacune e così sugli altri lati; presentava inoltre delle vistose sgocciolature che hanno lasciato il segno, a seguito dell’umidità. Il procedimento di restauro è iniziato con la pulitura del verso. Per prima cosa si è proceduto, con una spazzola elettrica, ad una buona spazzolatura (che ha portato via lo sporco più superficiale) a cui è seguita l’asportazione con il bisturi di tutto lo spessore di sporco che si era sedimentato. Si è quindi proceduto alla rimozione col bisturi (e sempre a secco data la sostanza a tempera con cui è eseguita l’opera) delle varie toppe, provvedendo a eliminare i fili con cui erano state cucite, asportando contemporaneamente la grossolana colla di farina con cui erano state incollate. A questa prima operazione è seguita un’accuratissima spolveratura a mezzo di spazzola aspirante, badando bene di non procurare altri danni al cartone già deteriorato dalle numerose, piccole e grandi mancanze e dai frequenti fori. Una volta perfettamente pulita, si è cercato di spianare la tempera con la pressione di un ferro caldo, cosa non facile dovendo agire a secco. I bordi dei fogli che compongono l’insieme (quasi tutti scollati nei margini di attacco) sono stati nuovamente incollati usando la colla glutofix. A questo punto è iniziato il reintegro delle parti mancanti e dei fori con colla glutofix ed un supporto di carta giapponese di spessore adatto. Nella parte superiore (dove l’opera veniva attaccata ad un supporto per essere esposta) si evidenziavano dei fori a distanza regolare. Si è provveduto quindi a rinforzare tutto il lato superiore con carta giapponese e garza. Sono state infine riprese le lacune con il colore (Windsor & Newton) ad acquerello e tempera per dare unicità al dipinto. Dopo questo accurato restauro, eseguito a Roma dalla restauratrice Maria Paola Tella, l’opera è ritornata al suo primitivo splendore e verrà presentata al pubblico nella prossima primavera in occasione delle festività pasquali in quanto si ricollega a tale periodo il suo originario uso. Veniva infatti esposta nella Chiesa di S. Francesco durante la settimana santa in una cappella laterale dove era stato allestito il sepolcro per celare l’altare e gli arredi sacri.

La pagina del conservatore - pag. 18 [2003 - N.16]

Un’interessante esperienza di un museo che ha aperto la sua biblioteca al pubblico

Dino Casagrande - Direttore del Museo della Bonifica di San Dona' di Piave

Le biblioteche dei musei, costituitesi come supporto alle attività di studio e di ricerca proprie dell’istituzione museale, rappresentano un patrimonio documentario specialistico di notevole interesse, talvolta anche con caratteristiche di rarità e pregio. Tuttavia la loro natura strumentale alle funzioni museali fa sì che molto spesso restino precluse alla consultazione pubblica o, al più, risultino accessibili solo a pochi privilegiati studiosi. Ciò non accade per una gelosa volontà di nascondere, ma per l’impossibilità per i musei, sempre costretti da scarse risorse umane, finanziarie e di spazio, di garantire il servizio di consultazione pubblica. Ma la "vocazione al pubblico" che oggi i musei si riconoscono, ha creato una nuova sensibilità anche nei confronti dell’apertura delle biblioteche museali e si assiste ad interventi quali la catalogazione informatizzata delle collezioni librarie che costituiscono il presupposto necessario per l’accesso al patrimonio. Tra i musei del Sistema Bibliotecario Museale Provinciale, ci pare interessante proporVi l’esperienza del Museo della Bonifica di San Dona’ di Piave che ha aperto le porte della sua biblioteca. La biblioteca è nata contemporaneamente al museo, soprattutto come servizio interno con l’obiettivo di dotare la direzione ed i collaboratori di idonei strumenti bibliografici a supporto dell’attività di studio, schedatura e catalogazione dei materiali posseduti dal museo. È stata, infatti, dotata inizialmente di opere inerenti per la maggior parte, le materie che presiedono all’articolazione delle sezioni espositive di impostazione multidisciplinare spaziando dall’archeologia, alla storia delle bonifiche alle collezioni demoetnoantropologiche e naturalistiche. Il Museo della Bonifica è definibile, in tal senso, come un museo del territorio nato per affermare l’importanza delle bonifiche nello sviluppo dell’intera area del Basso Piave, quale grandioso intervento di trasformazione ambientale realizzato in particolar modo tra la fine dell’800 e la prima metà del ‘900. La ricerca del materiale librario si è spinta anche verso la creazione di un fondo antico, mediante il reperimento di preziosi volumi stampati nei secoli scorsi, dal XVI al XIX, riguardanti la storia della Repubblica di Venezia che, secondo le antiche cronache, qui ebbe i suoi natali, nel 697 d. C., nella mitica Cittanova, che è tuttora una frazione di San Dona’ di Piave. Oltre a queste opere, la collezione bibliografica è stata dotata di preziosi volumi riguardanti le antiche tecniche agrarie e le scienze antiche anche perché il museo proprio per la sua configurazione può rientrare anche tra i musei scientifici. È stata anche acquistata una collezione di carte geografiche antiche relative sempre al territorio e carte militari ed opere relative alla Grande Guerra che qui ha avuto momenti particolarmente drammatici e cruenti in seguito ai quali la città è stata completamente distrutta. Completa la collezione cartografica anche una preziosa copia del primo atlante d’Italia, il Magini, stampato a Bologna nel 1620 (ma è la terza edizione del Ferroni del 1632). Un vero decisivo passo in avanti nella dotazione di materiale della biblioteca è dovuto alla donazione Ronchi. Il prof. Vittorio Ronchi, docente universitario di agraria e pioniere della bonifica, di origini sandonatesi, già Alto Commissario per l’Alimentazione nel Governo De Gasperi, in una carica che lo vide protagonista nella grande opera di ripresa dell’economia e nel riuscire a reperire in quei momenti difficili le risorse per sfamare la Nazione, lasciò, alla sua morte, nel 1987, tutta la sua biblioteca personale, di impostazione universitaria, alla città di San Dona’ di Piave che la destinò alla biblioteca specializzata del Museo. Si è così consolidata la dotazione di una biblioteca che ora dispone di circa 5000 volumi. Il lavoro di catalogazione non è ancora concluso, la biblioteca è comunque aperta al pubblico per gli studenti, studiosi ed appassionati nei giorni di apertura dell'istituto (di mattina da martedì alla domenica dalle 9,00 alle 12,00 e di pomeriggio da martedì a sabato dalle 15,00 alle 18,00).

La pagina del Sistema Bibliotecario Museale della Provincia di Venezia - pag. 18 [2002 - N.14]

Quali norme si debbono rispettare per poter scambiare, prestare o comunque trasferire temporaneamente le raccolte, o parte di esse, da un museo all'altro in ambito nazionale, senza incorrere in qualsiasi sorta di illeciti?

Michele Giambarba - Studio Legale Giambarba di Ravenna

Per circolazione dei beni culturali intendiamo - in estrema sintesi - tutti quegli atti che hanno come effetto il trasferimento della proprietà da un soggetto ad un altro. In questo ambito la disciplina è estremamente rigorosa e delicata e si presta a notevoli differenziazioni sia a seconda del proprietario del bene, sia in base alla categoria a cui appartiene il bene. Per ciò che concerne i beni immobili di interesse storico e artistico e le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi e delle biblioteche appartenenti allo Stato, alle Regioni, alle Province e ai Comuni, è noto che essi facciano parte del demanio accidentale. Ne consegue, almeno in linea di principio, la loro inalienabilità assoluta, l'impossibilità di essere acquistati per usucapione, di essere oggetto di esecuzione forzata e di formare oggetto di diritti da parte di terzi. È interessante osservare che esistono tuttavia una serie di disposizioni tendenti, almeno a prima lettura, a superare il principio di inalienabilità dei beni del demanio storico e artistico. Per un breve periodo di tempo è stata in vigore una norma (contenuta nell'art. 12 della legge 127/1997 sullo snellimento dell'attività amministrativa) che aveva di fatto sdemanializzato la categoria di beni immobili di interesse artistico e storico dello Stato, Regioni, Province e Comuni in quanto li aveva assoggettati al regime dei beni culturali la cui vendita è soggetta ad autorizzazione da parte del Ministero. La norma venne poi abrogata dalla legge 191/1998, per cui la tutto è tornato alla situazione preesistente, tuttavia anche adesso sembra potersi individuare un certo cambiamento in atto che deve essere segnalato e che lascia ipotizzare una futura progressiva sottrazione al regime demaniale dei beni immobili di interesse storico e artistico. La normativa in parola è contenuta nella legge 448/1998 che, all'art. 19, prevede che nell'ambito del processo di valorizzazione del patrimonio immobiliare statale, il Ministro del tesoro, del bilancio e della programmazione economica, per la loro più proficua gestione, può conferire gli immobili storico artistici a società, anche se non potranno essere venduti. Si tratta evidentemente di una innovazione rispetto al passato che riduce il rigore derivante dalla demanialità e che si pone in coerenza con i molteplici tentativi di aprire ai privati la gestione del bene culturale. Se l'inalienabilità resta quindi tuttora il principio vigente per i beni appartenenti allo Stato, o ad altro ente territoriale, diversamente i beni culturali appartenenti ai privati, siano persone fisiche o enti non riconosciuti, indipendentemente dalla categoria alla quale appartengono (beni immobili, collezioni, serie di oggetti, archivi etc.), possono essere venduti a chiunque, fermo restando, in alcuni casi, la possibilità per lo Stato di esercitare il diritto di prelazione. Occorre però distinguere, per i beni di proprietà pubblica non assoggettati al regime demaniale e per i beni delle persone giuridiche private senza scopo di lucro, tra quelli per i quali si rende necessaria l'autorizzazione del Ministero e quelli per i quali invece tale autorizzazione non è richiesta. L'articolazione della legge è molto ampia, ma pur con una certa approssimazione può dirsi che nella prima categoria rientrano le cose immobili e mobili che presentano interesse artistico, storico, archeologico, o demo-etno-antropologico, le cose immobili che, a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell'arte e della cultura in genere, rivestono un interesse particolarmente importante, i beni archivistici, i beni librari, appartenenti allo Stato o ad altri enti pubblici territoriali, fatta eccezione per i beni demaniali o comunque assoggettati alla disciplina per i beni demaniali. Vi rientrano inoltre i beni mobili o immobili di interesse storico artistico culturale e i beni immobili che a causa del loro riferimento con la storia del paese rivestono un interesse particolarmente importante, le raccolte, le collezioni per le quali sia intervenuta la dichiarazione di eccezionale interesse storico artistico. Allo stesso modo, chi volesse dare in garanzia (pegno o ipoteca) un bene culturale deve chiederne l'autorizzazione al Ministero nei casi in cui tale autorizzazione viene richiesta. Anche laddove non sia richiesta l'autorizzazione viene comunque prevista la "denuncia", che deve essere presentata entro trenta giorni dal trasferimento, al Ministero (presentata al competente soprintendente) degli atti che in tutto o in parte a qualsiasi titolo trasferiscono la proprietà o la detenzione di beni culturali, al fine di potersi sostituire all'acquirente. L'omissione di tale adempimento comporta conseguenze assai importanti quali la nullità dell'atto traslativo e sanzioni penali mentre in caso di incompletezza della denuncia la conseguenza sarà che lo Stato potrà esercitare in qualsiasi momento la prelazione. Lo scopo è infatti, oltre quello di consentire allo Stato di essere "informato" su tutti i cambiamenti della proprietà che interessano i beni culturali, anche quello di consentire al Ministero di acquistare i beni culturali oggetto di cessione allo stesso prezzo stabilito nell'atto di alienazione. Sotto questo aspetto il Testo Unico del 1999 ha innovato rispetto alla precedente disciplina prevista dalla l. 1089/1939 e del d.p.r. 1409/1963 (sui beni archivistici dei privati) in quanto che ora la denuncia è necessaria anche per tutti quei beni culturali, anche se di proprietà pubblica, per i quali non sia prevista l'autorizzazione. Sostanzialmente negli stessi casi in cui ne è ammessa la vendita, i beni culturali possono inoltre essere oggetto di permuta. Lo scambio di pari valore, nel caso, non deve essere considerato sotto il profilo del valore economico del bene ma in termini di interesse culturale che il bene può esprimere. L'utilità di detta normativa si rappresenta soprattutto per i musei; invero, se la demanialità delle raccolte del museo ne impedisce la dispersione, può talvolta essere troppo rigida nel senso di creare sovrapposizioni o impedire una efficace politica di valorizzazione delle opere principali dei musei che, ad esempio, potrebbero razionalizzare le loro esposizioni e coordinamento fra gli istituti posti nello stesso territorio. Il Testo Unico disciplina inoltre le attività commerciali in ambito nazionale avente ad oggetto i beni mobili culturali. La normativa, contenuta altresì nel Testo Unico di Pubblica Sicurezza e nella legge 44/1975, è volta segnatamente ad arginare i fenomeni della ricettazione e della esportazione clandestina di beni culturali ed impone una serie di oneri aggiuntivi rispetto al commercio di cose comuni. Viene quindi previsto un obbligo di dare preventiva informazione all'autorità locale di pubblica sicurezza, al Ministero e alla regione. Tale informativa peraltro è imposta anche qualora il commercio non abbia ad oggetto cose di particolare interesse archeologico, artistico o storico, ma culturali in senso ampio per i quali non sia intervenuta la notifica. Lo scopo è quindi quello di raccogliere una banca dati al fine di agevolare il controllo amministrativo sugli esercenti il commercio di cose d'arte. Nel quotidiano esercizio della loro attività gli antiquari sono quindi soggetti a particolari obblighi. In particolare è prevista la tenuta di un registro delle operazioni che compiono giornalmente con le generalità di coloro con i quali svolgono operazioni di compravendita e le caratteristiche dei beni venduti o acquistati; hanno inoltre l'obbligo di porre a disposizione dell'acquirente gli attestati di autenticità e di provenienza delle opere e degli aggetti medesimi e all'atto della vendita l'antiquario o il gallerista deve rilasciare copia fotografica dell'opera o dell'oggetto con retroscritta dichiarazione, firmata, di autenticità e indicazione di provenienza.

L'opinione del legale - pag. 18 [2001 - N.12]

Un Centro nato per progettare e sperimentare la didattica dell'arte e del patrimonio culturale locale

Valentino Montanari - Coordinatore del Centro di Sperimentazione didattica Tessellae

Il Centro di Sperimentazione Didattica Tessellae è nato poco più di tre anni fa, voluto dal Comune di Ravenna e dalla Soprintendenza per i Beni Ambientali e Architettonici di Ravenna, con finalità di promuovere sul territorio attività di ricerca e sperimentazione didattica sulle tradizioni artistiche del nostro territorio. Da subito ha suscitato l'interesse di molti docenti delle scuole locali e di altre scuole italiane e straniere; moltissime le scolaresche che hanno frequentato le attività dei laboratori: dal mosaico, all'affresco, alle monete antiche, alle ricerche in loco presso i nostri monumenti più importanti. Uno degli obiettivi principali che ci proponiamo è quello di far vivere e percepire ai giovani studenti un'autentica e diretta esperienza del discorso "disegnato", che scaturisce dallo studio dei mosaici, degli affreschi, delle monete antiche, dei sarcofagi, al fine di riscoprire messaggi e significati; facendoli ridiventare sentimenti e parola nello stesso tempo consentendo agli studenti di apprendere quegli aspetti antichi, che sono senz'altro momenti fondamentali e decisivi per una formazione completa, giusta ed equilibrata, offrendo ai singoli individui maggiori opportunità al fine di scoprire se stessi e quelle sicurezze individuali necessarie alla formazione delle singole coscienze e personalità. Un momento fondamentale per il conseguimento di questi obiettivi è sicuramente costituito dal contatto reale con le cose. Il ricco patrimonio artistico ravennate ci permette di individuare percorsi didattici di ricerca sul campo e di promuovere attività laboratoriali, che si collocano come un passaggio indispensabile per conoscere a fondo il linguaggio musivo e dell'affresco, attraverso l'uso delle mani e l'impiego dei concetti acquisiti. Pertanto il laboratorio intende essere un momento non complementare, aggiuntivo, collaterale, bensì fondamentale per l'intero itinerario didattico. Come per qualsiasi aspetto della vita, l'impiego del corpo e di tutto ciò che giunge alla mente e al cuore passa attraverso il contatto dei nostri organi di senso. Ed è qui che emerge l'importanza delle attività manuali, perché manipolare, disegnare, tagliare le tessere, impastare, premere, togliere e quant'altro, permette allo studente di produrre l'opera, di costruirla direttamente, e non soltanto di guardarla, di leggerla, di pensarla. Nell'ultimo anno il Centro Tessellae è stato protagonista di uno stage internazionale sul tema La Pédagogie du Patrimoine en Europe. Lo stage, promosso dal Comune di Ravenna, dall'Accadémie de Nantes, dalla Commission de la Comunautè Européenne e dal "Programme Socrates - Comenius 3.1", è durato otto giorni ed ha annoverato oltre venti partecipanti tra docenti e dirigenti scolastici che si occupano della pedagogia del "Patrimonio", provenienti da undici Paesi europei. Anche l'anno scolastico 2000/2001 vede un'attività didattica intensa e promettente. Tra le numerose iniziative dirette agli studenti, si segnala la proposta formativa rivolta ai docenti delle scuole elementari, medie e superiori dei Comuni di Ravenna, Cervia, Russi e delle provincie di Ravenna, Ferrara, Forlì-Cesena e Rimini, comprendente un seminario di aggiornamento dal tema Comprendere l'arte… conoscere la storia. Il seminario prevede relazioni, percorsi museali, attività di laboratorio, per consentire ai docenti partecipanti di acquisire nuove metodologie di lavoro volte ad analizzare tecniche artistiche, a comprendere specifici linguaggi iconografici, ad interpretare storicamente materiali e testimonianze presenti nel territorio. Numerosa è la documentazione sulle attività didattiche svolte dal Centro, attraverso la produzione di filmati, di pubblicazioni cartacee e la realizzazione del cd-rom La Pédagogie du Patrimoine en Europe: esperienze sul territorio e metodologia; questo materiale è a disposizione delle Scuole che ne facciano richiesta.

Esperienze di didattica museale - pag. 18 [2001 - N.10]

Una polemica di cento anni fa sulle balaustre dei balconi della Loggetta lombardesca di Ravenna

Nadia Ceroni

Il "Corriere di Romagna" (Ravennate) del 20 giugno 1903 riportava una curiosa polemica, relativa "alla forma da darsi alle ringhiere dei balconi e delle arcate" della Loggetta Lombardesca. Il Monastero di Santa Maria in Porto, soppresso nel 1798, era stato ristrutturato negli anni 1885-87 per essere adibito a caserma militare ospitante, per volontà del Governo, il 12° corpo d'armata. Alla facciata originaria, prospiciente gli attuali Giardini Pubblici - ex Ippodromo e precedentemente Orto e Giardino del Monastero - erano state tolte le balaustre dei tre balconi e della Loggetta, assieme a quelle dei quattro balconi del chiostro interno. In previsione dell'Esposizione Regionale Romagnola, che sarebbe stata allestita l'anno successivo proprio negli spazi dell'Ippodromo, del chiostro e della Loggetta di Porto, nel 1903 furono avviati nuovi lavori di restauro della facciata, sotto la direzione di Corrado Ricci, comprendenti anche la riapertura delle arcate delle logge. Per la forma da assegnare al coronamento delle balaustre, furono presentati due progetti: l'uno, di Gaetano Savini, che proponeva la balaustra a colonnette; l'altro, di Romolo Conti, che preferiva le fuseruole. Alla controversia, riportata dai giornali locali, prese parte anche il pubblico. Una anziana signora, Maria Mazzanti, testimoniò che "in sua giovinezza, dimorando allora nei chiostri di Porto con suo padre che ne era il custode" ricordava bene che le balaustre erano a colonnette. Una lettera di Vesi Gaetano, che negli anni 1867 e seguenti era stato sagrestano nella chiesa di Porto, diceva invece di ricordare le balaustre a fuseruole. La lettera fu pubblicata nel "Faro Romagnolo" del 28 giugno 1903. Nonostante le opposizioni del Savini e il ritrovamento di un frammento di colonnetta di marmo, murato in una parete al piano superiore della loggia, la scelta della Soprintendenza, e del pubblico, cadde sulle fuseruole. Anche gli attuali otto dischi di porfido e di serpentino, in corrispondenza delle colonne della facciata, vi furono collocati nel 1903, in sostituzione di quelli originali che pare fossero "di Giallo e Rosso di Verona". È quanto ci tramanda Gaetano Savini ( 1850-1917 ) nella sua monografia Memorie illustrate di Ravenna. Sulla questione anche Corrado Ricci non sembrò essere molto d'accordo, dato che scrisse al Sindaco: "Io mi limiterò a dire qui che nelle deposizioni orali d'entrambe le parti ho poca fiducia. Ricordarsi di un particolare d'un monumento qualsiasi trasformato da lungo tempo, è cosa estremamente difficile anche per chi si è occupato e si occupa ex-professo d'arte e della sua storia. Michelangelo interpellato dal Vasari sulla forma di certa scala, proprio da lui Michelangelo disegnata, rispose di non averne più preciso ricordo e di non poter fornire le richieste notizie senza tema d'involontariamente errare. E si trattava di Michelangelo!".

Ricerche e curiosità - pag. 18 [2003 - N.17]

I vincoli diretti e i vincoli indiretti sugli edifici di interesse storico, artistico e culturale di cui al D. Lgs. 490/1999

Michele Giambarba - Studio Legale Giambarba di Ravenna

Il regime giuridico a cui la normativa vigente sottopone le cose di interesse storico, artistico culturale e ambientale si costituisce e si differenzia a seconda della loro appartenenza. Il particolare status di cosa soggetta alla tutela speciale si determina infatti attraverso procedimenti differenziati a seconda che il proprietario della cosa sia un ente pubblico territoriale (Stato Regione, Provincia, Comune), ovvero corpi od enti morali, ovvero ancora soggetti privati e si differenzia - almeno in parte - perché le cose di interesse culturale e ambientale, quando rientrino nel demanio pubblico, sono assoggettate al regime giuridico demaniale. Gran parte della disciplina che qui interessa è contenuta nel nuovo Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali (D. Lgs 490/1999) che abroga molteplici norme precedenti (in particolare la L. 1089/1939) di cui tuttavia fa proprio in massima parte il contenuto. In particolare, per le cose di interesse storico ed artistico appartenenti ai privati la legge prevede che il Ministro proceda ad un atto di notifica dell'interesse pubblico, seguito dalla trascrizione della notifica (ove si tratti di immobili) o dalla iscrizione in appositi elenchi (ove si tratti di beni mobili). La notifica pertanto, presuppone un decreto ministeriale di imposizione del vincolo sul bene, riconoscendone l'interesse pubblico per le particolari qualità, che viene poi portato a conoscenza dell'interessato, e determina per queste categorie di cose la soggezione alla speciale legislazione di tutela che prevede molteplici obblighi, ma anche incentivi ed agevolazioni - segnatamente fiscali - a carico dei proprietari per la conservazione, la circolazione, la fruizione, la manutenzione di detti beni. L'apprezzamento da parte della Pubblica Amministrazione dell'interesse storico e artistico di un edificio ai fini dell'imposizione dei vincoli non è un giudizio puramente artistico sul valore del bene, ma una valutazione, che avviene a seguito di una istruttoria che non è soggetta a particolari forme, ma che è normalmente espletata dalla Soprintendenza competente, dell'interesse pubblico a tutelare le cose che, in quanto attinenti direttamente o indirettamente all'arte, sono meritevoli di conservazione. L'intervento pubblico a protezione del patrimonio artistico e storico non resta però circoscritto ai soli beni che direttamente rivestono quell'interesse. Esso si estende infatti anche su altri beni che, pur non possedendo quella intrinseca natura e non essendo quindi soggetti allo stesso regime si trovano con quelli in una particolare relazione in presenza della quale si rende necessario una sorta di loro asservimento in funzione della piena attuazione dell'interesse pubblico alla integrità delle cose di interesse storico e artistico. Il fenomeno riguarda esclusivamente le cose immobili alle quali è infatti connaturale avere una collocazione spaziale che contribuisce a dare loro un particolare significato. Queste opere hanno quindi tra i loro connotati quello costituito dalla situazione ambientale dove sono sorte e che poi esse stesse hanno creato. Da qui la necessità che la salvaguardia di questi si allarghi fino a comprendere una area più vasta dove essi mantengono certi rapporti prospettici, architettonici e anche sociali con gli insediamenti in cui furono collocati o che attorno ad essi sono venuti a svilupparsi. A questa tutela ambientale dei beni artistici e storici si perviene attraverso vari istituti del nostro ordinamento; alcuni di questi appartengono alla materia del patrimonio artistico e storico, e assumono quindi questa protezione ambientale come loro fine proprio ed esclusivo, altri si collocano in settori diversi dell'azione amministrativa e collaborano allo stesso risultato in una prospettiva più ampia in quanto sono diretti a regolare l'assetto ambientale e territoriale nel suo complesso. Tra i poteri dell'Amministrazione nell'ambito sopra enunciato, il Ministro ha facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l'integrità delle cose immobili soggette a tutela artistica e storica (ossia la conservazione materiale) o che ne sia danneggiata la prospettiva e la luce (esigenze che si pongono in particolare modo per strutture di particolare pregio architettonico e che implicano il mantenimento di una certa visibilità complessiva, di speciali punti di vista o da luoghi distanti) o che ne siano alterate le condizioni di ambiente (per conservare continuità stilistica e storica con gli insediamenti che circondano l'edificio) e di decoro (affinché nelle vicinanze del momento non si realizzino opere contrastanti sotto l'aspetto formale, con lo stile o il significato storico artistico). Tali norme hanno piena autonomia dalle prescrizioni contenute negli strumenti urbanistici (piani regolatori, regolamenti edilizi e così via) che comunque devono essere rispettate. In relazione ai predetti poteri dell'Amministrazione si suole parlare di vincolo indiretto per dare evidenza al fatto che gli effetti giuridici dei provvedimenti in essa previsti, pur esplicandosi su beni diversi da quelli dotati di pregio artistico e storico, sono funzionalmente connessi al vincolo che grava su questi ultimi. Tra le prescrizioni contenute nei decreti di imposizione possono esservi innanzitutto la previsione di obblighi di rispetto di distanze e misure, ma possono avere il contenuto più vario come ad esempio l'obbligo di sottoporre i progetti di opere alla preventiva autorizzazione del Soprintendente, che comunque deve vigilare sul rispetto delle previsioni imposte dal vincolo.

L'opinione del legale - pag. 18 [2001 - N.11]

Attraverso visite guidate animate ed esperienze di atelier, la nuova Sezione Didattica promuove la conoscenza delle collezioni permanenti e delle offerte espositive temporanee del museo

Nadia Ceroni - Conservatore Museo d'Arte della Città

A partire dall'anno scolastico 2003-2004, il Museo d'arte della Città di Ravenna si è dotato di una nuova Sezione Didattica, con l'obiettivo di promuovere la conoscenza delle collezioni permanenti della Pinacoteca, di avvicinare il pubblico giovanile alle offerte espositive temporanee e alle numerose attività che qualificano l'istituzione museale, di migliorare il rapporto di fruizione tra il museo e il pubblico. Attraverso visite guidate animate ed esperienze di atelier, bambini e ragazzi potranno diventare prima spettatori e poi protagonisti del processo creativo che sta alla base dell'esperienza artistica. Le proposte didattiche, per l'anno scolastico appena iniziato, vogliono offrire agli studenti e ai loro insegnanti l'opportunità di accostarsi alla realtà eterogenea dell'arte e del museo in forma stimolante e divertente, attraverso percorsi articolati e studiati per ogni specifica fascia d'età. All'interno del percorso educativo di ogni singolo individuo, l'arte potrà così diventare un veicolo di informazione e formazione privilegiato, uno strumento di conoscenza del mondo e di se stessi, un'occasione per affinare la propria sensibilità estetica. Nel calendario delle proposte, il primo appuntamento è previsto dal 16 novembre 2003 al 15 febbraio 2004, con un'antologica dedicata ad Aldo Mondino, uno dei più versatili protagonisti della scena artistica contemporanea. Per questo artista, la Sezione Didattica del museo ha previsto una visita animata alla mostra con attività di laboratorio, necessaria per far comprendere il linguaggio eclettico e multiforme di Mondino, attraverso i diversi aspetti della sua poetica: dal tema del viaggio a quello religioso, dalla letteratura ai giochi di parole, all'utilizzo di materiali insoliti come la cioccolata e lo zucchero. Dal 29 novembre 2003 all'11 gennaio 2004, verrà presentata al pubblico una mostra dedicata al tema della Natività, intitolata Presepi storici dal XVIII al XX secolo. Il percorso didattico comprende sia opere antiche, conservate nella Pinacoteca, sia presepi tridimensionali realizzati, nelle loro varianti storiche, dal periodo d'oro della tradizione napoletana fino ai nostri giorni. Il confronto tra materiali diversi, tecniche e stili eterogenei, stimolerà soprattutto la creatività di bambini e ragazzi, per i quali l'iniziativa rappresenta un'occasione per trascorrere il Natale al museo. In primavera, dal 29 febbraio al 30 maggio 2004, la Loggetta ospiterà una mostra di acquerelli inglesi, provenienti dal Williamson Art Gallery & Museum di Birkenhead. L'osservazione dei lavori di Gainsborough, Turner, Constable e Rossetti - solo per citare alcuni degli importanti artisti ospitati per l'occasione - offrirà lo spunto per sondare e sperimentare in presa diretta le potenzialità tecnico-espressive dell'acquerello con l'aiuto di operatori didattici ed artisti. Alle tre proposte, collegate al calendario espositivo del museo, si aggiungono anche il nuovo percorso tematico e il relativo quaderno didattico prodotti dalla Pinacoteca. Mangia l'arte: menu con i quadri è un divertente viaggio storico-artistico alla scoperta di quadri antichi, moderni e contemporanei in cui sono raffigurati gli alimenti. Nella storia dell'arte il cibo è stato spesso dipinto con funzione marginale, decorativa o simbolica fino a diventare genere a se stante nel Seicento, quello della "natura morta". Il quaderno comprende anche una parte ludica nella quale si propongono giochi, disegni e menu ideali da realizzare nel museo, a scuola o a casa. Anche questa proposta rappresenta un'occasione in più per giocare con il patrimonio artistico del museo, per conoscerlo e valorizzarlo, ma anche per stimolare studenti e insegnanti a riflettere sul cibo e sulle abitudini alimentari di ieri e di oggi.

Esperienze di didattica museale - pag. 18 [2003 - N.18]

Il Centro Etnografico della Civiltà Palustre di Villanova di Bagnacavallo ha partecipato ad un convegno svoltosi a Biella dal 9 al 12 ottobre 2003

Maria Rosa Bagnari - Responsabile Centro Etnografico della Civiltà Palustre di Villanova

Dopo l'interesse suscitato dalla pubblicazione Ecomusei. Guida europea curata da Maurizio Maggi, si avvertiva l'esigenza di un incontro nazionale che facesse il punto sulla situazione di musei considerati di nicchia e forse anche incompresi. Il convegno, oltre agli autorevoli interventi, che portavano un contributo dalle varie zone d'Italia, prevedeva, nella seduta conclusiva, l'intervento e il confronto con esperti europei. Tra le varie iniziative, il programma contemplava la mostra dei poster degli ecomusei nazionali, le mostre-laboratorio, realizzate nelle cantine dello splendido borgo medievale di Ricetto di Candelo, riservate a realtà particolari di arti e mestieri, le presentazioni di minoranze linguistiche tramite esperienze del teatro della memoria Racconta terre e persone, escursioni ad alcuni ecomusei del biellese, serate con drammatizzazioni sulla vita delle filande e graditissime cene tipiche. Il Centro Etnografico della Civiltà Palustre ha partecipato all'esposizione dei poster ed allestito una mostra di intrecci e trame medioevali e ottocenteschi, tipici delle valli ravennati, con relativo laboratorio di costruzione degli antichi colini del pesce e delle funi, realizzate con la sola manipolazione. L'interrogativo condiviso da molti partecipanti all'incontro, e che io riporto con particolare riferimento alla mia terra di Romagna, poneva in discussione la validità della denominazione specifica Ecomuseo e la necessità di una certificazione d'autenticità. Nell'Italia dei paesi, fatta di tante realtà particolari, è urgente tutelare le specificità territoriali, come non si è mai fatto prima d'ora. La terra di Romagna ha preferito dare risalto a falsi folklori e tradizioni. Nelle molte manifestazioni predominano forme espressive che subiscono sempre più l'influenza d'oltre confine, considerandone solamente i risvolti economici, senza preoccuparsi di preservare usi e costumi locali. Nemmeno nei confronti delle forme abitative tipiche, delle strutture poderali in perfetta armonia col territorio, delle tipologie specifiche delle imbarcazioni d'acqua dolce e relativa scuola di maestri d'ascia si è applicata alcuna politica conservativa. Allora gli ecomusei sono chiamati a svolgere il ruolo di tutori dell'autenticità, ad essere veri e non verosimili, per diffondere una politica di valorizzazione della cultura del territorio agendo come strumento didattico e favorendo la comunità interessata a riappropriarsi della propria identità. Dalle numerose opinioni dei partecipanti, è emersa una volontà comune relativa alla necessità di definire la Carta degli Ecomusei, utile a sottolineare l'importanza della conservazione del bagaglio culturale locale e a definire questa categoria di musei "post-moderni" che nascono da impulsi popolari ed esprimono il disagio della perdita di identità dei territori. Questi musei non sono identificabili o catalogabili fra le raccolte, i parchi, le collezioni, né fra i musei cittadini o le case museo, l'ecomuseo non sta chiuso in un contenitore, ma l'importanza delle sue azioni sta nella forma espressiva e nella forza comunicativa che riesce a portare con sé. L'ecomuseo cambia il concetto di bene culturale in quello di patrimonio comune. L'esigenza di chiarezza e di salvaguardia è evidente anche nella nostra regione, dove le poche realtà accreditate dalla guida europea, che da sempre operano stimolate dalla vocazione bioregionalistica, non sono riconosciute. Possiamo facilmente incontrare, sulla stampa informativa, il termine ecomuseo utilizzato per realtà che non rappresentano un legame forte e specifico con le caratteristiche del territorio in cui sorgono. Questo certamente non è rispettoso dell'impegno prestato da ciascuna comunità nella comunicazione fra generazioni, nell'importante intento di riappropriarsi dell'identità persa.

Appunti dai convegni - pag. 18 [2004 - N.19]

Piccoli primitivi al Museo Civico di Scienze Naturali di Faenza si cimentano in laboratori in cui si ricostruisce il passato per comprendere il presente

Gian Paolo Costa - Gian Paolo Costa

Il giorno 18 giugno 2004, alle ore 21.00, ha avuto luogo in Casola, a cura dell’Amministrazione casolana e della locale Biblioteca Comunale “G. Pittano” una serata pubblica di presentazione del percorso didattico di archeologia (Preistoricasola) realizzato con la classe IA della Scuola media “A. Oriani” di Casola Valsenio dagli archeologi – Roberto Deriu ed Elettra Occhini – del gruppo Gesti Ritrovati. Il percorso in oggetto, articolato in lezioni teoriche, laboratori pratici ed escursione finale, è nato per una specifica richiesta delle insegnanti Cesarina Badiali e Giovanna Tanganelli al termine del corso di aggiornamento Un viaggio lungo oltre 5 milioni di anni nella Vena del Gesso.
Riolo Terme, nella valle del Senio, sorge immediatamente a valle della dorsale gessosa denominata Vena del Gesso romagnola, area carsica di assoluto valore ambientale-naturalistico, paesaggistico, storico e storico-archeologico, di interesse Comunitario, futuro parco Regionale; Casola Valsenio immediatamente a monte della suddetta, che il fiume Senio attraversa in località Borgo Rivola (“stretta di Rivola”).
Nel corso della serata ai genitori dei giovani studenti e agli intervenuti sono state illustrate le fasi salienti dei laboratori attraverso alcune presentazioni in power-point, puntuali e ben realizzate da Deriu ed Occhini, ed un accattivante video girato dallo studente Matteo Bellini e montato dalla professoressa Rita Neri. Nell’atrio della sala sede della presentazione gli archeologi di Gesti Ritrovati hanno esposto, per l’occasione, una selezione di oggetti in selce e ceramica realizzati dai medesimi a scopo dimostrativo e dai giovanissimi neo-preistorici durante i laboratori casolani.
Nel primo di questi, che potremmo intitolare Lavorare la pietra per sopravvivere, i ragazzi hanno concorso alla realizzazione di strumenti in selce usualmente utilizzati dall’Uomo cacciatore-raccoglitore nell’Età della Pietra (con utilizzo – anche – della caratteristica selce dei Crivellari che localmente si rinviene in “arnioni” all’interno della roccia gessosa), strumenti che poi hanno utilizzato ricreando fasi di post-macellazione paleolitica.
Nel corso degli incontri del secondo laboratorio – Produrre ceramica nell’Età del Bronzo – i ragazzi, partendo da argilla raccolta in calanchi ubicati nelle immediate vicinanze della Vena del Gesso (argilla sminuzzata, “raffinata” ed arricchita con la sabbia emendante necessaria), hanno realizzato recipienti ceramici poi cotti in forno a fossa nel terreno; quali modelli sono state proposte ai ragazzi paleo-ceramisti le tazze monoansate rinvenute, intatte ed in giacitura primaria, dallo speleologo triestino Giovanni “Corsaro” Mornig all’interno della caverna preistorica della grotta Tanaccia (Brisighella) nel maggio dell’anno 1935 (tazze riferibili alla cultura di Polada, Bronzo Antico: XXII-XVIII secolo a. C.)
La serata si è conclusa con l’annuncio, da parte di Luciana Baruzzi, Dirigente dell’Istituto Comprensivo, dell’intenzione di promuovere ed organizzare un prossimo Corso di aggiornamento specifico al fine di veicolare tra gli insegnanti l’iniziativa didattica in oggetto, i risultati ottenuti ed alcune delle idee-forza del percorso progettato ed attuato: l’Uomo – in ultima analisi – è arrivato sulla Luna anche grazie all’impegno, al lavoro, alla fatica dei propri più antichi progenitori (che iniziando a lavorare la pietra hanno avviato quella “corsa tecnologica” tuttora in atto) e grazie alle conoscenze via via acquisite dai nostri avi ed antenati nel corso di alcune migliaia di secoli. Anche “dietro casa”, molto vicino a noi, esistono tracce di eccezionale importanza, spesso assai poco conosciute e valorizzate, che “ci fanno toccare con mano” il nostro passato, vecchio, antico e remoto, e che ci testimoniano con immediatezza la costante fatica – da sempre – di “essere Uomini”. L’integrazione dei programmi scolastici con simili laboratori didattici finalizzati a “ricostruire il passato per comprendere il presente” permettono agli allievi, come nel caso specifico, di verificare direttamente come “l’ingegno e la laboriosità fossero ben attivi e presenti nell’uomo preistorico”.

Esperienze di didattica museale - pag. 18 [2004 - N.20]

Far partire i ragazzi dall’osservazione delle opere per arrivare a creative espressioni individuali

Silvia Stoppa - Sezione didattica MAR

“Non era più la forma esteriore delle cose a interessarmi, ma quel che di affettivo io provavo nella mia vita. (…) Non si trattava più di presentare una figura esteriormente somigliante, ma di vivere, e di realizzare solamente quel che mi aveva coinvolto affettivamente, o che desideravo.”
(Alberto Giacometti, Scritti)

Come portare l’arte di Alberto Giacometti tra i banchi di scuola? Come riuscire ad avvicinare all’universo complesso e misterioso di uno dei grandi protagonisti del Novecento, bambini e ragazzi di tutte le età? È dalle riflessioni stesse dell’artista, trascritte nei suoi taccuini in forma di appunti e commenti alle opere cui lavorava, che nasce e prende corpo l’idea fondante dei progetti didattici pensati per la grande mostra antologica organizzata dal Museo d’Arte della Città di Ravenna (aperta fino al 20 febbraio 2005). Per tutta la vita Giacometti disegna, dipinge, scolpisce figure: che si tratti di persone incrociate casualmente per strada o di amici e parenti carissimi (la madre, il fratello Diego, la moglie Annette), la sua unica e costante preoccupazione è quella di riuscire a dare forma all’identità, superando il dato meramente esteriore e fisionomico per raggiungere ed esprimere la verità interiore di ognuno.
L’osservazione diretta delle opere presenti in mostra, selezionate a seconda delle diverse fasce d’età, costituisce la base fondamentale su cui viene impostato un percorso di approfondimento delle principali tematiche affrontate dall’artista, con particolare riferimento al genere del ritratto e dell’autoritratto. Il confronto con le opere prepara e introduce il momento laboratoriale, durante il quale bambini e ragazzi possono tradurre le sollecitazioni ricevute in elaborazioni individuali e sperimentare in prima persona la rappresentazione di un soggetto a loro scelta, affettivamente significativo (un amico, un membro della famiglia, un compagno di scuola…), cercando di superare lo stereotipo della verosimiglianza. Lo scopo di questo tipo di approccio è quello di stimolare nei bambini e nei ragazzi un diverso sguardo nei confronti della realtà che li circonda, uno sguardo in grado di andare oltre il livello della pura apparenza e di cogliere, nelle persone che vivono loro accanto, quelle caratteristiche e specificità che le rendono uniche, inconfondibili, speciali. “In una cultura simbolica e complessa come la nostra, all’identità non basta il corpo della persona. Fra me e l’altro da me occorre, per il mio riconoscimento, una serie di comportamenti, di gesti, di oggetti capaci di rappresentarmi, e rispetto ai quali io e gli altri possiamo mettere in scena il processo di relazione all’interno del quale le identità si costruiscono, si descrivono, si consolidano.” (M. Dallari, L’esperienza pedagogica dell’arte).
I ritratti eseguiti in laboratorio, infatti, realizzati con la tecnica del collages, del filo di ferro e della creta (in ossequio all’ideale estetico di Giacometti), non intendono rimanere fedeli alla semplice evidenza esteriore delle persone rappresentate ma di queste riescono a raccontare con sorprendente e divertita precisione, con ironia e profondità, aspetti del carattere, manie, abitudini e persino difetti. Per arrivare a questo ogni bambino, ogni ragazzo, a seconda dell’età e della relativa capacità di consapevolezza e di riflessione, può scegliere di fare ricorso a diverse tipologie di linguaggio, narrativo, metaforico o simbolico, così come proposto dalle opere in mostra e dagli esempi di altri grandi artisti contemporanei che, in modi diversi, si sono accostati alla rappresentazione della figura umana prescindendo dal dato visivo e lasciando spazio alla libertà espressiva e al gusto per la provocazione.
L’esperienza del laboratorio è aperta a tutte le scuole - da quella dell’infanzia alla secondaria superiore - e, in particolari giornate, alle famiglie. Per informazioni e prenotazioni: Museo d’Arte della Città di Ravenna – Sezione didattica; tel. 0544.482042 - 482760 - 482765.

Esperienze di didattica museale - pag. 18 [2004 - N.21]

Stimoli, sfide e riflessioni dall’undicesimo Corso di aggiornamento “Scuola e Museo”, organizzato ad ottobre dalla Provincia di Ravenna

Alba Trombini - Consulente museale

In quanti modi si può crescere al museo, individualmente e collettivamente? Quali sono le condizioni ideali affinché avvengano processi di crescita ad ampio raggio al museo? Gli esperti invitati ad esprimersi provenivano da ambiti disciplinari diversi: dall’antropologia museale al management culturale, dalla ricerca pedagogica alla sperimentazione didattica.
Non si può pensare di educare adulti e bambini alla cultura della memoria e della conservazione – la cultura del museo – se non si lavora prima sulla definizione e organizzazione del museo interiore, ha affermato in apertura al corso Duccio Demetrio, professore di Filosofia dell’Educazione alla Bicocca di Milano. Il riconoscimento dell’esistenza di un egomuseo, il micromuseo delle memorie personali, è un prerequisito fondamentale perché un individuo si interessi poi alle memorie altrui custodite al museo vero e proprio. E Demetrio individua nella scrittura di sé, nella pratica autobiografica, lo strumento ideale per giungere a comprendere anche le storie degli altri, che possono esprimersi in una dimensione ristretta familiare (dando vita agli oikomusei) o più ampia come succede nell’ambito degli ecomusei.
Cresce il museo, e con esso chi ci lavora dentro, ogni volta che ci si interroga sulle modalità di interazione fra persone in visita e spazi museali, sostiene Laura Carlini, responsabile del Servizio Musei dell’IBC, che ha illustrato la sua tesi attraverso numerosi ed eloquenti esempi dalla scena internazionale.
Ci sono nuovi strumenti di studio qualitativo che possono essere utilizzati con efficacia in questa direzione: Alessandro Bollo (ricercatore della Fondazione Fitzcarraldo di Torino) ha presentato alcune tecniche messe a punto nella realtà museale piemontese: in primo luogo l’indagine osservante dei comportamenti dei visitatori (come si muove la persona, come si relaziona agli oggetti, agli altri, allo spazio allestito e al percorso), e quindi la definizione di una termografia del museo che – attraverso un uso suggestivo della metafora del calore – individua i punti caldi e freddi del museo. Questa metodologia rappresenta un passaggio significativo da una pura e semplice elaborazione di dati numerici all’analisi delle aspettative e degli atteggiamenti degli individui che frequentano i musei.
Cresce il museo e la realtà sociale che lo circonda tutte le volte che siamo capaci di creare alleanze fra ciò che è fuori e ciò che è dentro alle sue mura, fra persone e istituzioni diverse, fra tutti gli elementi costitutivi della comunità cittadina; si matura tutte le volte che ci si interroga su ragione museale e ragione politica, afferma Mario Turci dalla sua prospettiva di antropologo museale e invita a chiedersi di continuo: il museo serve, è utile? Aiuta lo sviluppo della qualità della vita?
Si cresce molto al museo come pubblico ogni volta che si è capaci di scegliere un tema specifico, e di concentrarsi su quello, partendo dall’ascolto delle proprie risposte fisiche ed emotive; è provato da studi e ricerche sul campo, quando l’informazione in ingresso si sedimenta sulla percezione e sul vissuto personale, è più facile che la conoscenza che ne deriva si fissi in modo duraturo. Questo almeno è ciò che tocca con mano ogni giorno nei suoi laboratori ai musei veneziani Silvia Gramigna, storica dell’arte e ideatrice del metodo Sentire l’arte.
Paola Goretti, docente di Scenari all’Università dell’Immagine di Milano ed eclettica interprete di una didattica museale incline alle contaminazioni fra arti ed altre espressioni della creatività umana, ci ha invece immerso totalmente nella suggestione del racconto. La narrazione al museo – la tecnica dello story telling che sempre più viene utilizzata nei musei europei – è uno strumento didattico efficace per accompagnare la persona all’incontro con gli oggetti, i concetti o le opere d’arte. E diventa ancora più efficace e suggestiva, come modalità di mediazione, quando si esprime con accenni poetici.
E parlando di poesia si è conclusa la lunga riflessione dei relatori: Giovanni Barberini, responsabile di Casa Museo Vincenzo Monti di Alfonsine, con intelligente ironia, ha raccontato di come la casa natale di Monti, trasformata in spazio museale, stia rivivendo oggi la sua vocazione letteraria attraverso percorsi poetici e narrativi che vedono coinvolti i protagonisti della scena culturale contemporanea. E ha infine suggerito di raccogliere l’invito a crescere al museo non come possibile ricchezza per il futuro – un tempo che non esiste dal suo punto di vista filosofico – ma come sfida nel presente.

Appunti dai convegni - pag. 18 [2004 - N.21]

Le nuove visite animate al Museo Dantesco di Ravenna vengono condotte da Dante “in persona” che narra la propria storia agli alunni delle scuole elementari

Daniela Poggiali e Marta Zocchi - Istituzione Biblioteca Classense

Da questo anno scolastico il Museo Dantesco di Ravenna propone agli studenti delle scuole elementari un nuovo metodo di fruizione del materiale esposto: si tratta di una visita animata in cui i bambini vengono coinvolti direttamente nell’attività, stimolati opportunamente dagli operatori didattici.
La visita animata è una metodologia operativa che si presta particolarmente ad essere utilizzata per i bambini della scuola primaria poiché permette una forte interazione tra operatori e visitatori e lascia spazio, oltre che all’esposizione didascalica tradizionale, anche ad attività ludiche meno consuete.
Il Museo Dantesco, strettamente legato all’allestimento voluto da Corrado Ricci nel 1921, espone i cimeli che furono donati in memoria del poeta, a partire dal 1865, quando, in occasione del centenario della sua nascita, si verificò una sostanziale rinascita del culto di Dante, cui diede un ulteriore rilevante contributo il fortuito ritrovamento delle ossa del poeta.
Il museo ha una vocazione prevalentemente turistica e presenta materiali ed argomenti di non facile approccio per i bambini, che ancora non possiedono nozioni sufficienti per la comprensione di temi che sono, per loro natura, abbastanza complessi.
Considerando questi presupposti, l’Istituzione Biblioteca Classense, che cura la gestione del Museo con l’Opera di Dante, ha promosso l’elaborazione del progetto Dante racconta. L’avventura del poeta a Ravenna, che si pone l’obiettivo di far conoscere anche agli scolari delle elementari la figura di Dante e alcuni dei monumenti ravennati che testimoniano il forte legame del poeta con la città di Ravenna: il percorso è stato studiato per stimolare l’immaginazione e la fantasia dei piccoli visitatori, in modo da associare l’aspetto divulgativo e didattico della lezione alle emozioni suscitate dal fascino del racconto e del gioco.
La visita al museo prevede il dialogo tra due operatori che interpretano la parte di Dante e della guida del museo e che, conversando con i bambini, li conducono a ritroso nel tempo, alla scoperta della vita del poeta, della sua opera, dei suoi rapporti con la città di Ravenna, delle tante piccole e grandi curiosità legate agli oggetti esposti.
Al fine di rendere la visita più piacevole ed accattivante e di attirare in maggior misura l’attenzione dei bambini, è stata realizzata una grande sagoma colorata in cartone con l’effigie del sommo poeta, che nasconde la figura dell’animatore che lo interpreta.
Durante il percorso, con l’ausilio di schede e tabelloni didattici, gli studenti sono invitati a rispondere ad alcune domande, che permettono di valutare quanto i piccoli ascoltatori già sanno della vicenda dantesca e quanto riescono a cogliere, nell’immediato, dagli oggetti esposti al museo.
A completamento dell’attività viene consegnata ai bambini una scheda didattica nella quale vengono offerti alcuni spunti di riflessione e di gioco sulla visita effettuata.
Il progetto, che è stato elaborato da chi scrive con la collaborazione delle volontarie del Servizio civile Alessandra Bollini, Filomena Gaspari, Simona Sansovini e Annarita Tasselli, si inserisce in un più ampio programma di divulgazione culturale e valorizzazione del patrimonio delle collezioni museali comunali curate dalla Biblioteca Classense.

Esperienze di didattica museale - pag. 18 [2005 - N.22]

La Settimana della cultura scientifica e tecnologica ha coinvolto, a Faenza, scuole, enti di ricerca ed associazioni

Luigi Alberghi - Gruppo scientifico C.I.D.I. - Faenza

Qual è il livello della cultura scientifica in Italia (ma non solo)? Piuttosto carente in base alle statistiche! Intendo parlare della cultura scientifica diffusa, senza voler discutere delle eccellenze che pure continuano ad emergere, in mezzo a molte difficoltà strutturali. La diminuita affluenza alle Facoltà scientifiche sta a dimostrare che l’interesse per la scienza e la tecnologia sembra attenuarsi, soprattutto nelle fasce giovanili. Sarebbe interessante analizzarne le possibili cause, ma ciò esula dagli obiettivi del presente intervento. D’altro lato si assiste – fatto che può sembrare contraddittorio – ad un crescente interesse per gli eventi di divulgazione che ogni anno, anche a livello nazionale vengono proposti.
Localmente, a cura del Comune di Faenza, è questo il quinto anno che si svolgono diverse attività di divulgazione scientifica in occasione della Settimana della cultura scientifica e tecnologica. Esse coinvolgono scuole, enti di ricerca, associazioni e gruppi.
Dato per assodato (ma nella mentalità diffusa non lo è) che la scienza e la tecnologia siano non solo uno strumento per l’innovazione e la produzione di beni, ma parte importante della cultura di un popolo con la stessa dignità delle altre forme di ricerca e di espressione, occorre individuare le forme migliori per dare alle nuove generazioni il gusto per la ricerca e la conoscenza.
Quali strutture, allora, per incontrare la scienza? La scuola è la struttura centrale. Tuttavia emerge sempre di più l’esigenza di arricchire l’offerta formativa attraverso strutture più flessibili e meglio fruibili (chiamiamoli ad esempio Science Center) che si pongano al servizio delle scuole, ma che offrano anche una cerniera tra la scienza praticata e i cittadini. Occorre distinguere la funzione dei musei in cui sono raccolti, ad esempio, antichi strumenti scientifici, dove la bellezza degli stessi costituisce un valore di tipo storico ed artistico, dalla presente proposta che è volta a stimolare l’attenzione alla bellezza e al fascino della ricerca attiva nella natura, per far rinascere lo stupore di fronte alle sue meraviglie e per carpirne i suoi segreti.
Gli eventi singoli (mostre ecc.) sono momenti limitati e, spesso, con essi, finisce l’interesse momentaneamente suscitato. La didattica della scienza potrebbe invece, in strutture stabili, divenire costante, attraverso l’attivazione di laboratori scientifici modulari, soprattutto per la fascia della scuola di base. Il contatto diretto dei ragazzi con i fenomeni del mondo che li circonda per abituarli anzitutto alla osservazione, alla manipolazione e alla interattività è essenziale.
Che la capacità di osservazione stia alla base di ogni formazione alla scienza non è una banalità. Oggi, infatti, i ragazzi rischiano di perdere progressivamente il senso della realtà, sommersi come sono dalle rappresentazioni virtuali e consumistiche che la televisione e il computer propinano loro in continuazione. Il contatto con fatti e fenomeni, deve inoltre avvenire attraverso una modalità ludica che susciti curiosità e voglia di sperimentare con le proprie mani. L’esperienza fatta in alcune scuole elementari e medie del faentino dal gruppo cui appartengo, mi ha confermato in ciò: insieme ad alcuni colleghi insegnanti abbiamo costruito un “laboratorio mobile” con attrezzature semplici e di basso costo e ci siamo messi al servizio delle scuole.
Una struttura stabile, infine, permetterebbe di porsi anche come attrazione per le famiglie, nei week-end, accentuando l’aspetto giocoso ed interessante della scienza, ma offrire anche diversi livelli di approfondimento. A seconda infatti delle capacità e della disponibilità, uno stesso exibit può essere non solo un gioco ma diventare occasione di indagine e di arricchimento culturale. Un abbinamento poi tra un museo d’arte e un “museo” scientifico potrebbe diventare un “pacchetto” appetibile rivolto anche al turismo scolastico.

Esperienze di didattica museale - pag. 18 [2005 - N.23]

La mostra che celebra la vita e l'opera del famoso storico dell'arte

Nadia Ceroni - Conservatore del Museo d'Arte della città di Ravenna

Il percorso di ricerca avviato dal Museo d’Arte della Città di Ravenna, volto a far luce su grandi temi e figure centrali della critica e della storia dell’arte moderna e contemporanea, propone quest’anno al pubblico una grande mostra dedicata allo storico dell’arte Francesco Arcangeli, inaugurata il 18 marzo scorso.
Il titolo stesso dell’esposizione – Turner Monet Pollock. Dal Romanticismo all’Informale – trae spunto dalla riedizione delle lezioni accademiche che Arcangeli tenne presso l’Ateneo bolognese nel 1970-71 e sottolinea il profondo coinvolgimento dello studioso emiliano nei confronti dell’arte moderna e contemporanea, come dimostrano i suoi numerosissimi scritti dedicati ad artisti europei ed italiani, redatti fra il 1941 e il 1973.
Bolognese (1915-1974), allievo di Roberto Longhi, fin dagli anni giovanili aveva concentrato i suoi studi soprattutto sull’arte emiliana con interventi su giornali, riviste e cataloghi, spaziando dal Trecento ai fatti contemporanei. Nel 1967 aveva ricoperto la cattedra di storia dell’arte medievale e moderna presso l’Università di Bologna e nel 1972, tra le sue ultime pubblicazioni, aveva scritto Lo spazio romantico, evidenziando ed esaltando la rivoluzione spaziale operata dal romanticismo inglese e in particolar modo da Turner.
La mostra, infatti, attraverso una selezione di circa 130 opere, prende avvio dai romantici inglesi – Turner, Constable, Reynolds e Gainsborough – cui fanno seguito figure artistiche primarie della pittura francese quali Corot, Courbet, Cezanne, Renoir, Sisley e Monet.
Per l’Ottocento italiano sono esposte opere di Fontanesi, Fattori, Lega, Segantini, mentre la prima metà del Novecento è rappresentata da Klee, Soutine, Permeke, Carrà, De Pisis e Morandi.
Il periodo dell’Informale, “che rappresentò per Arcangeli la condizione in cui arte ed esistenza risultavano inscindibili”, vede come protagonisti, tra gli altri, Fautrier, Dubuffet, De Kooning e soprattutto Polloch, “vero filo rosso di un percorso modernamente romantico”.
L’esposizione si avvale di un prestigioso comitato scientifico composto da Bianca Arcangeli, Andrea Emiliani, Michel Laclotte, Edouard Pommier, Ezio Raimondi, Michela Scolaro, Claudio Spadoni e Bruno Toscano.
Il catalogo, edito da Mondadori Electa, contiene saggi di Marco Antonio Bazzocchi, Andrea Emiliani, Antonio Paolucci, Ezio Raimondi, Michela Scolaro, Claudio Spadoni, Bruno Toscano, Elena Volpato e significative testimonianze di Bianca Arcangeli e Mina Gregori.
Nei mesi precedenti l’inaugurazione – con l’obiettivo di mettere a fuoco i protagonisti e i tratti salienti di un secolo e mezzo di storia dell’arte, presi in considerazione dalla mostra – il MAR ha organizzato un ciclo di lezioni propedeutiche all’evento espositivo, che hanno riscosso l’interesse e la presenza di un pubblico numeroso ed eterogeneo.
L’esposizione – che resterà allestita fino al 23 luglio 2006 – intende evidenziare l’importanza dell’operato critico e storico dello studioso emiliano nella vicenda moderna della storia dell’arte, le cui indagini appassionate “sono tuttora modelli di umanità e di sapienza imprescindibili per un ulteriore progresso della conoscenza” (per informazioni: 0544482017/482775/482487).

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 18 [2006 - N.25]

Appunti per una visita virtuale ad una casa colonica dell'800 nel faentino

Alessandro Baldini, Gian Paolo Costa - Studioso di edilizia rurale, Museo Civico Scienze Naturali di Faenza

Le potenzialità del virtuale informatico in ambito museale sono probabilmente infinite. Nel campo delle ricostruzioni di ambiente, ad esempio, l’illustrazione (nel senso più ampio del termine), la proposizione di ambienti naturali ed antropici attraverso la loro “vitalizzazione” – o più spesso “rivitalizzazione” – si può materializzare in veste di sussidi che di norma si offrono come i punti informativi di maggior effetto scenico e di maggior pregnanza comunicativa, se così si può dire, di un Museo o di una struttura assimilabile.
Sostituire alcuni usuali pannelli didattici (ovvero “rituali” fotografie e didascalie a stampa) con sussidi multimediali facilmente ed intuitivamente fruibili che in tempo reale offrano al visitatore risposte alle più diverse domande anche attraverso, nello specifico, ricostruzioni d’uso di spazi ed ambienti, può consentire il recupero didattico-esemplificativo di particolari strutture quali quella oggetto del presente contributo.
Da un lato la struttura fisica “musealizzata” s.l. della quale viene proposta la lettura rimane libera da orpelli quali i classici sussidi informativi e/o ricostruzioni “dioramiche” in situ, dall’altro la ricostruzione d’uso virtuale fruibile dall’utente può essere la più varia: parziale, tematica, di confronto, cronologica o quant’altro.
A pochi chilometri da Faenza sorge una abitazione rurale di particolare (e verificata attraverso diverse visite scolastiche) valenza storico-documentaria, una “fattoria” rimasta sostanzialmente intatta dal 1899: questa infatti è la data dell’ultimo, consistente intervento di restyling edilizio che ha riguardato un edificio colonico più vecchio, del quale ad ogni buon conto restano tracce a volte ben evidenti, non di rado addirittura sostanziali.
Simili porzioni – assai articolate – di micro ambienti antropico-artificiali, quali una casa colonica completa di ampia corte ed immobili di servizio, possono essere lette “a fondo” e compiutamente solo da veri specialisti del settore quali, nel caso in oggetto, il coautore della presente nota Alessandro Baldini.
Diamo qualche esemplificazione puntuale, ma comunque senza alcun ordine logico, iniziando con un esempio toponomastico: in una località quale San Pietro in Laguna – in passato l’acqua non doveva mancare, in assenza di una efficiente rete scolante – non è un caso che si trovi una via Prosciutta: nello specifico il nome non è indizio di locale produzione di insaccati, ma attesta antichi lavori di “prosciugamento” (bonifica idraulica).
Per quanto riguarda l’orientamento delle tipiche, vecchie – ed antiche – case coloniche faentine, queste ultime avevano la facciata rivolta a sud per godere della più ampia insolazione: alla parete, nelle vicinanze della porta d’ingresso, erano “appoggiate” piante eliofile utili, quali il rosmarino, il melograno, il giuggiolo, l’uva “dolce”. L’ingresso principale ed ampio della stalla era rivolto ad est, per poter governare le mucche ed utilizzare la forza lavoro animale fin dalle prime luci dell’alba: dalla parte opposta, verso ovest, la porta di servizio portava alla “buca del letame” e consentiva l’uso ottimale della luce del Sole al tramonto.
L’abitazione era in diretta comunicazione con la stalla. Al primo piano, verso nord, con porte interne idonee a garantire la ventilazione degli ambienti e finestre chiuse da grate antintrusione, si trovavano i locali magazzini delle derrate alimentari familiari; al lato opposto, sopra la stalla, poteva essere ubicato un magazzino di fieno con “caduta” diretta nella stalla.
Nella ampia corte posta a mezzogiorno e sede di tutti i grandi lavori stagionali (trebbiatura, sgranatura ed essiccazione del mais, battitura dei fagioli e della fava ecc.), nelle vicinanze delle rimesse, svettavano imponenti alberi alla cui ombra stazionavano – nelle torride giornate estive – gli attrezzi da lavoro in legno e ferro: il ferro era soggetto a pericolose dilatazioni termiche, il legno al “ritiro” per eccessiva essiccazione. In una porzione recintata della medesima corte erano coltivati i fiori “per i morti al cimitero” e gli ortaggi per la famiglia.
Per decine di secoli, fin dai tempi della locale colonizzazione “centuriale” romana, l’Ager Faventinus (particolarmente vocato all’agricoltura) è stato una successione di unità poderali e relative abitazioni, unità giustapposte ma indipendenti: sorta di monadi all’interno delle quali si perseguiva – nei fatti – il massimo grado di efficienza ed autosufficienza energetica. Autosufficienza che imponeva rigidi rapporti dimensionali: ad esempio estensione del fondo/forza lavoro animale/dimensioni del nucleo familiare residente e via dicendo. Monadi per altro assolutamente esposte a forze esterne imprevedibili e spesso incontrollabili, sia naturali, eventi meteorologici estremi, ad esempio, sia artificiali, come guerre ed epidemie.
Chi scrive ha avuto modo di verificare, con diversa tipologia di utenti (adulti e bimbi della scuola elementare), l’elevata valenza didattica e culturale di una struttura rurale quale quella ottocentesca sopradescritta, sostanzialmente intatta nel contesto di un intorno ambientale sufficientemente ampio. I locali s.l. dei corpi edilizi in oggetto, liberi da sovrastrutture ed orpelli didattici, si presentano estremamente leggibili nella loro evidente, per così dire estrema, funzionalità storicamente acquisita.
Nell’autunno del 2004, ad esempio, la visita alla “fattoria” in questione è stata effettuata in itinere nel Corso di Aggiornamento per insegnanti dal titolo Globali e Biodiversi: insieme per conoscere e salvaguardare la biodiversità locale e globale. Con utenti di scuola elementare (classi di Tredozio) si è organizzata l’escursione faentina Amarcord: alla casa colonica del 1870, concretizzatasi nella realizzazione di diversi elaborati grafici tra i quali una bella sintesi plano-aasonometrica a vivaci colori ed a grandi dimensioni, con appunti d’uso dei fabbricati e della corte. Sul poster in oggetto, sotto l’appariscente disegno-ricostruzione realizzato dagli scolari-visitatori, carte topografiche a diversa scala mostrano l’ubicazione del fabbricato rurale, a testimonianza del primo approccio di questi bimbi con la rappresentazione cartografica di un territorio di pianura centuriato in epoca romana.

Esperienze di didattica museale - pag. 18 [2006 - N.26]

Respirare la storia alla Rocca di Riolo

Maura Morigi, Silvia Tamburini, Fabiana Succi - Cooperativa Atlantide, Cervia

Il 7 ottobre 2006 ha aperto il Museo del Paesaggio dell’Appennino Faentino, allestito all’interno della Rocca di Riolo Terme. Questa rocca, in quanto esempio magnifico di antica fortificazione difensiva della Valle del Senio, è un Museo del Territorio e al tempo stesso un punto informativo, di documentazione, conservazione e valorizzazione della memoria storica del territorio. È un Museo del tempo e dello spazio: del tempo perché la struttura, in quanto testimonianza di un periodo storico, è in grado di rievocare il Medioevo, trasmettendone emozioni e conoscenza; dello spazio perché rappresenta il territorio nel suo insieme, un bene da conservare e da comunicare, con tutte le espressioni e i segni del lavoro sedimentati nei secoli.
La Rocca è quindi sicuramente il luogo più idoneo a ospitare il Museo del Paesaggio dell’Appennino Faentino. Il nuovo Museo contribuirà a valorizzare maggiormente la struttura, insieme a diversi percorsi di conoscenza progettati e ideati dalla Cooperativa di studi e servizi ambientali e turistici “Atlantide” di Cervia, che gestisce la struttura dal 2004. Il Museo del Paesaggio, realizzato con un finanziamento europeo (Obiettivo 2), è stato progettato per far rivivere il passato con gli strumenti del futuro e per catturare l’attenzione di tutti: adulti, bambini, studenti, appassionati e esperti del settore. Situato nella parte più alta del mastio, il nuovo Museo è particolarmente dedicato alla scoperta della formazione geologica che contraddistingue il territorio, la Vena del Gesso Romagnola. In questo spazio sono esposti, grazie alla Soprintendenza per i Beni Archeologici dell’Emilia-Romagna, vari reperti rinvenuti nell’area di Riolo Terme e all’interno delle principali grotte della zona. A completare il percorso si affiancano filmati sulla storia, sull’archeologica e sull’ambiente del territorio faentino. Il Museo offre inoltre ai visitatori la possibilità di osservare il paesaggio “oltre le mura”, con cannocchiali posizionati all’interno del cammino di ronda, per osservare la vallata da vari punti di vista panoramici.
Come gli spazi dedicati al Museo del Paesaggio, anche l’interno della Rocca è allestito in modo particolare e suggestivo, con installazioni visive e sonore e la presenza di plastici che mostrano le peculiarità storiche territoriali, riproponendo gli usi e le caratteristiche difensive della fortificazione. Inoltre è possibile scoprire i diversi aspetti del Medioevo attraverso percorsi specifici.
Il percorso Assalire e proteggere, che si sviluppa all’interno delle casematte, è dedicato alle tecniche di difesa e offesa in periodo medievale, con l’esposizione di modellini di macchine da guerra utilizzate durante gli assedi, riproduzioni di armi e parti di armature utilizzate per la difesa personale.
Al primo piano del mastio si possono scoprire gli Scudi di pietra. Questo percorso permette di approfondire le tecniche di edificazione utilizzate nel medioevo per la costruzione di opere difensive quali rocche e castelli, i cosiddetti scudi di pietra. Un plastico interattivo, un supporto audiovisivo e alcuni laterizi rinvenuti nella zona testimoniano le diverse fasi costruttive della Rocca di Riolo.
I misteri di Caterina è un terzo percorso, che si svolge nella sala del pozzo all’interno del mastio e che presenta, attraverso un’installazione sonora, la vita, le gesta e gli amori di Caterina Sforza, ultima grande Signora di Riolo, anche chiamata “Leonessa delle Romagne”. Sono innumerevoli quindi le offerte per i visitatori: tanti itinerari turistico-culturali del comprensorio, percorsi guidati per “toccare con mano” la Rocca e il Museo, visite guidate della struttura accompagnati da Caterina Sforza. Grande enfasi viene data inoltre all’organizzazione di spettacoli quali esibizione d’armi e duelli in costume storico, tornei di tiro con l’arco medievale, danze tardomedievali, appuntamenti con gli antichi mestieri.
Sempre tese ad approfondire il Medioevo, all’interno della Rocca e del Museo si propongono attività didattiche dedicate alle scuole di ogni ordine e grado, tra cui un itinerario di tre giornate Mille e non più mille, tre giorni di vita nel Medioevo, in cui gli studenti scoprono questo periodo storico accompagnati da un educatore esperto della Cooperativa Atlantide. La trecentesca Rocca di Riolo è quindi oggi un importante centro di studi, scoperte e attività, in evoluzione continua, per respirare la storia e immergersi nel medioevo.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 18 [2006 - N.27]

Un originale museo dedicato ai giochi del passato è nato nel centro di Ravenna grazie alla passione di un'attenta collezionista.

Franco Gàbici

In tempi passati, quando la società riservava alla donna un futuro esclusivamente di casalinga, alle bambine veniva insegnata nelle scuole medie inferiori l'economia domestica (il corrispondente dei maschi, invece, era il "lavoro", quasi sempre il traforo...) e la bambola costituiva il regalo femminile per antonomasia. Nella famosa poesia di Giovanni Pascoli "X agosto" il padre del poeta faceva ritorno a casa e recava in dono proprio due bambole, a riprova di un antico costume. I maschi, invece, venivano "tirati su" con palloni e soldatini di piombo.

La bambola, dunque, non era semplicemente un giocattolo, ma diventava il simbolo di un modo di concepire una vita in cui le mansioni all'interno della famiglia erano già predefinite. E lo dimostrano queste considerazioni apparse su un articolo del 1895 dove si leggeva: "La donna da ragazza si trastulla con la bambola per prepararsi istintivamente a ben adempiere i suoi lavori allorquando sarà madre di famiglia: la bambola - conclude l'articolo - è la sua prima scuola".

E a questi manufatti del mondo femminile è stato recentemente dedicato a Ravenna un interessante museo, il "Piccolo museo delle bambole e altri balocchi", messo insieme con tanta grazia e passione da Graziella Gardini Pasini, collezionista e studiosa di costumi e di tradizioni. Il graziosissimo Museo è stato allestito in un locale di via Fantuzzi, all'interno del monumentale Palazzo Rasponi Murat.

Varcare la soglia di questo Museo significa davvero entrare in un'altra dimensione, dove si assapora la magica atmosfera del gioco che sanno creare i giocattoli di una volta. Le bambole erano amorosamente accudite dalle bambine, che si trasformavano in sartine per confezionare piccoli indumenti. Ma la bambola costituiva anche un civettuolo strumento di arredo e in diverse case, quando la massaia voleva dare risalto a una bella coperta, poneva in mezzo al letto matrimoniale una bambola elegantemente vestita.

Nel Museo si trovano tutte le tipologie di questi giocattoli, a cominciare da quelli confezionati con il panno (le cosiddette bambole di pezza) e via via fino a quelle di celluloide, che avevano gli arti snodabili. Famosissime erano le bambole Lenci, che prendono il nome da una particolarità di panno morbido e resistente, ed è curioso ricordare come il nome Lenci, che deriva da un nome tedesco, nasconde anche l'acrostico latino: Ludus Est Nobis Constanter Industria.

Grande successo ebbero anche le bambole parlanti che dopo opportuni "scuotimenti" emettevano un pianto, mentre altre ancora ripetevano la parola "mamma". Di grande effetto erano le bambole che una volta adagiate riuscivano a chiudere gli occhi.

Alcune bambole sono firmate e portano il nome del design, come la graziosa Kewpie, opera dell'americana Rose O'Neil. Si trattava di una bambola interamente in bisquit e con gli arti snodabili molto diffusa negli anni Venti soprattutto a causa del suo basso costo. È una bambola tutta speciale, conosciuta come Amore o Lola (in Italia aveva il suo alter ego in "Cirillino", costruito da Ernesto Peruggi), che era oggetto di doni fra innamorati. Il suo nome, infatti ("Kewpiw" si pronuncia "Kiupì"), richiamava Cupido, il dio dell'amore.

Uno degli aspetti più affascinanti per chi giocava con le bambole era il loro vestirle con abitini eleganti e anche questo aspetto è molto curato nella mostra. Si trova perfino un piccolissimo ventaglio per bambola che risale al Settecento, a testimonianza di un giocattolo che è sempre stato usato per la delizia delle bambine.

Nel Museo, però, non si ammirano solamente bambole, ma anche certi giocattoli che facevano, per così dire, da contorno e che in qualche modo completavano il gioco: piccole stufe economiche e servizi di tazzine in miniatura.

Va da sé che un Museo di questo genere non vuole essere una banale esposizione di pezzi, ma sottende anche un valore didattico. Dalla "bambola", infatti, partono itinerari sul nostro come eravamo e sulla evoluzione del giocattolo stesso. Anche la bambola, dunque, può essere considerata uno strumento per fare cultura.

Nuovi progetti - pag. 18 [2007 - N.28]

Con La Duna degli Orsetti i musei animano la spiaggia facendo incontrare due realtà: il puro divertimento e la cultura.

Roberta Colombo - Teatro del Drago - La Casa delle Marionette

Quest'anno per la prima volta alcuni musei del Sistema Museale Provinciale sono usciti dalle "mura" delle loro "case" per partecipare tutti insieme all'iniziativa culturale La Duna degli Orsetti, organizzata presso lo stabilimento balneare Duna degli Orsi di Marina di Ravenna dall'Associazione Culturale Duna dei Libri, dal Teatro del Drago e dalla Casa delle Marionette. Quattro mercoledì per quattro mesi estivi per quattro orsetti per quattro musei: il MAR di Ravenna, il MIC di Faenza, La Casa delle Marionette di Ravenna e il Centro Gioco Natura Creatività La Lucertola - Museo del Giocattolo del Comune di Ravenna.

Si tratta di interventi mirati, a tema, rivolti ad un pubblico di bambini e bambine a partire dai quattro anni, col preciso scopo di divulgare l'arte museale e di aprire le porte - in senso virtuale e materiale - ad un nuovo modo di concepire l'entità museo, non più solo come spazio fisico, ma anche come identità culturale, esistente anche al di fuori del luogo d'origine. La rassegna Duna degli Orsetti è una manifestazione culturale col preciso scopo di portare il museo, ma anche il teatro, la letteratura, l'editoria e le biblioteche in un luogo ameno, fuori dalla "norma" o dalla pratica d'uso, ovvero la spiaggia. Per far incrociare due pubblici, due realtà, due modi di vita: il puro divertimento e la cultura. Dimostrando che divertimento e cultura non sono così divergenti ma assolutamente compatibili e come uno possa arricchire l'altro di stimoli e idee e soprattutto come questa sinergia possa trasformarsi in ricchezza, informando e stimolando un nuovo pubblico che per motivi fra i più diversi non è solito frequentare i musei, le biblioteche e i teatri.

Un mercoledì dei mesi di giugno, luglio, agosto e settembre la spiaggia della Duna degli Orsi si colora di rosso con le Creature Fantastiche dell'Orsetto Rubino, di verde con il Cibo dell'Orsetto Smeraldo, di blu con l'Acqua dell'Orsetto Zaffiro e di giallo con i travestimenti dell'Orsetto Topazio. Il palinsesto di ciascuna giornata è ricco di laboratori, eventi tematici, animazioni-gioco, incontri con gli autori e spettacoli dal vivo, dalle 16,30 fino a tarda sera, comprensivi di happy merenda e cena.

Gli interventi dei musei aderenti al Sistema Museale si sono già svolti il 20 giugno e il 4 luglio. In giugno è stata la volta del Museo Internazionale Ceramica di Faenza con il laboratorio di ceramica "Sorprese di terra", che partendo da esperienze di pura manipolazione delle tre argille messe a disposizione dal laboratorio (la creta grigia, la pirofila rossa, la terraglia bianca), ha attraversato le tecniche ceramiche di base utilizzando le modalità operative/concettuali ispirate da Bruno Munari. Qui il gioco si sviluppa secondo linee non tradizionali, inattese, con trasformazioni e deformazioni, che partono da riflessioni sulle forme/superfici per approdare verso forme/volumi a sorpresa. Gli esiti del gioco sono stati interpretati e animati riferendosi alle Creature Fantastiche, tema di sfondo della prima giornata dell'iniziativa.

Nello stesso pomeriggio era presente in spiaggia anche il Museo del Giocattolo con il laboratorio "Calamari di Sabbia" in cui Roberto Papetti insieme ai bimbi ha sperimentato una tecnica di "sabbia" per rappresentare, raffigurare e fantasticare gli animali delle profondità marine.

Il 4 luglio è stato il turno del museo "La casa delle Marionette", che per l'occasione ha allestito un laboratorio di cucina biologica dalla quale sono usciti buonissimi Burattinbiscotti, che i bambini dopo aver impastato e creato con le forme dei loro pupazzi preferiti, hanno cotto e - gnam - mangiati! Nel corso della seconda giornata era presente anche la sezione didattica del Museo d'arte della Città di Ravenna, con il laboratorio Uova, limoni e pennelli: partendo dalle suggestioni dei dipinti di Felice Casorati e in particolare dalle sue caratteristiche nature morte, i bambini hanno realizzato una propria personalissima composizione attraverso il collage e il disegno ispirata al cibo preferito di ognuno di loro.

Il programma completo della rassegna Duna degli Orsetti è disponibile sul sito www.teatrodeldrago.it.

Esperienze di didattica museale - pag. 18 [2007 - N.29]

Un' analisi dei profili economici delle reti museali presentata in occasione del convegno "Reti e sistemi museali in Italia" organizzato a Mantova il 19 maggio 2008 da Icom Italia

Michele Trimarchi - Professore di Economia della Cultura Università di Catanzaro

Il fenomeno della aggregazioni territoriali dei musei, recente ma intensamente percepito e analizzato nel nostro Paese, può essere interpretato da molteplici prospettive. Certamente può apparire paradossale che in un quadro istituzionale tuttora caratterizzato da un rigido centralismo e dalla totale assenza di parametri in base ai quali tarare il sostegno finanziario del settore, i musei attivino reticoli di cooperazione nel territorio. A ben guardare, non sono pochi i casi in cui reti, distretti e sistemi (comunque li si voglia definire sul piano formale) sono utilizzati per aggirare gli spigoli di una legislazione sempre più obsoleta: il primo sistema museale così definito, quello umbro, nacque tra gli altri motivi come escamotage per poter reclutare risorse umane facendo prevalere l'intuitus personae sulla par condicio formale, e per poterle impiegare secondo i bisogni contingenti; ci si accorse tutti che un uso razionale del lavoro nei musei avrebbe presupposto un elevato grado di flessibilità, cosa che regole e accordi vigenti impediscono del tutto.
Da allora reti (o network per gli xenofoni), sistemi, distretti e addirittura musei diffusi occupano l'immaginario istituzionale a livello di Regioni, Province e Comuni. Sul versante statale, i tentativi di aggregazione istituzionale - dal successo molto parziale rispetto alle aspettative - rimangono comunque nell'alveo delle eccezioni. La materia è complessa, e sarebbe semplicistico ritenere che i musei italiani possano abbandonare d'un fiato un paradigma di riferimento consolidato e condiviso che li continua a considerare custodi e testimoni anziché produttori e innovatori. La normativa sulla valorizzazione la dice lunga sulla resistenza binaria a intaccare anche solo concettualmente il core business dei musei, relegando ai margini della loro attività istituzionale l'attivazione di canali relazionali con il pubblico. Valorizzazione è una parola brutta, esclusivamente italiana, brutale nel suo richiamo implicito al ricavo e asfittica nella pretesa di separare in modo binario la salvaguardia materiale e cognitiva dell'offerta culturale da una parte, e la sua volgarizzazione dall'altra.
Incidere senza una strategia di lungo periodo su un terreno fragile e complesso ha finito così per accentuarne gli elementi critici. La percezione - infondata, ma ampiamente condivisa - di una concorrenza tra il settore dei musei e la cosiddetta industria del tempo libero, insieme al convincimento che anche i musei si trovino in una situazione di reciproca e accesa concorrenza, sono stati aggravati dall'inedita competizione (quanto meno, dal confronto guardingo) tra pubblico e privato, laddove il pubblico si è sentito scavalcato e utilizzato per i guadagni di gestori privati meno esperti e poco legittimati, e il privato ha voluto ricoprire il ruolo di cireneo lamentando incomprensioni ma preferendo una libertà senza interferenze e complicità.
Nel frattempo il pubblico continuava a evolvere, anche grazie al confronto penalizzante con le esperienze all'estero; e si affacciava con decisione un pubblico nuovo, goffo quanto si vuole ma fresco e convinto, che in mancanza di progetti strategici sull'accesso finiva per intasare le mostre blockbuster, le notti bianche e simili manifestazioni mordi-e-fuggi.
Su questo coagulo di sviste si può fare qualche commento. Innanzitutto, ritenere che i musei si trovino in concorrenza nei confronti di televisione, cinema, internet e quant'altro è un semplicissimo errore. La competizione presuppone e richiede omogeneità dei prodotti e fungibilità delle scelte. Siamo all'estremo opposto dello spettro, dal momento che il patrimonio museale è composto - con tutta evidenza - da prodotti eterogenei e inconfrontabili, e che le scelte dei fruitori non rispondono a valutazioni prezzo-qualità, ma all'urgenza di visitare "quel" museo, o "quella" mostra. Paradossalmente, il fruitore onnivoro e poco selettivo si trova più facilmente tra le coorti stendhaliane che non tra i contemporanei emergenti. Né si può dire che il museo subisca il successo della televisione: tutti i visitatori guardano anche la televisione, e ciò non gli impedisce di amare la cultura.
Allo stesso modo, ragionare di concorrenza tra i musei ignora un dato fondamentale: ciascun fruitore culturale non frequenta - poco o molto - una sola istituzione, in quanto la sua domanda è rivolta ai contenuti dell'offerta, dovunque essi siano resi disponibili. Anzi, la teoria economica dell'addiction, secondo cui il ripetersi dell'esperienza culturale conduce il consumatore a uno stato di vera e propria "dipendenza" e dunque lo induce a formulare una domanda crescente, si riferisce al sistema dell'offerta culturale nel suo complesso; quanto più un visitatore frequenta gli altri musei, tanto è più probabile che a un certo punto della sua esperienza finisca per entrare anche nel mio. Senza dimenticare che in questo modo il significato della qualità si sposta dalla certificazione convenzionale di un posizionamento di rilevanza verso il grado di capacità dialogica e di stimolo cognitivo che l'offerta può fornire al visitatore. Non sono tanto la bellezza e l'importanza, asseverate dalla critica maggioritaria, a rilevare, quanto le modalità con cui l'offerta culturale è organizzata in modo da fornire efficaci stimoli al fruitore.
Anche le relazioni tra pubblico e privato appaiono - nel contesto attuale - discutibili e infertili. Più che prestare attenzione alle forme contrattuali o allo status giuridico del proprietario o del gestore, sarebbe necessario rivedere radicalmente processi e meccanismi interni al settore dei musei, in modo da identificare quelli che richiedono un approccio pubblicistico (ossia improntato all'imparzialità, alla mancanza di lucro, alla realizzazione di garanzie), e quelli per i quali è preferibile un approccio privatistico (ossia snello e flessibile, capace di sintonizzarsi alle esigenze contingenti, attento alla responsabilità gestionale e finanziaria).
Non è detto che tali qualità debbano attribuirsi in modo binario ai rispettivi settori: al contrario, sarebbe il caso che esse li innervassero entrambi secondo le convenienze e i bisogni. Deburocratizzare le procedure e i contratti di lavoro nel settore museale pubblico, coinvolgere i privati nella progettazione e nell'organizzazione dell'offerta, spingere entrambi ad attivare scambi e investimenti nel territorio, sono necessità ormai indifferibili cui non si può rispondere con l'ennesima griglia regolamentare.
Solo in un quadro strategico, coerente e privo di pregiudizi reti e sistemi museali possono essere utilmente posti al servizio del benessere collettivo. Ricordando che esso passa per l'identità, il senso di appartenenza e la qualità della vita della comunità locale, prima e più importante destinataria dell'offerta culturale e del suo molteplice valore.

Contributi e riflessioni - pag. 18 [2008 - N.32]

Il Museo Civico di Castel Bolognese "ricovera" due antiche sculture e le sostituisce con opere moderne realizzate appositamente

Valerio Brunetti - Responsabile Museo Civico di Castel Bolognese

Alla fine della seconda guerra mondiale, in seguito alla distruzione della settecentesca residenza municipale di Castel Bolognese, fu deciso di adibire a nuovo comune l'ex convento di San Francesco, soppresso nel Settecento e trasformato in scuola nel XIX secolo su progetto dell'architetto Giuseppe Mengoni.
Il porticato del chiostro seicentesco fu destinato ad accogliere tutte le lapidi e le imprese della comunità castellana recuperate dagli edifici pubblici distrutti dalla guerra. Insieme a loro anche le due piccole statue in terracotta raffiguranti San Petronio e l'Immacolata Concezione, patroni di Castel Bolognese, che ornavano la facciata del vecchio Municipio dal 10 ottobre 1785, giorno in cui furono benedette e collocate. Le due opere, attribuite da Antonio Corbara al plasticatore bolognese Giacomo De Maria (1762-1838), furono collocate su due alte mensole ai lati degli ingressi del nuovo comune e lì sono rimaste fino ai giorni nostri.
Nel 1988 furono oggetto di un intervento conservativo nell'ambito di un progetto sul restauro del cotto.
Nel 2007, anche in seguito all'allarme generato dal furto dei leoncini in bronzo che ornavano la fontana in piazza a Faenza, è stata eseguita a cura del Museo Civico un'attenta ricognizione per verificarne le condizioni di sicurezza e lo stato di conservazione generale. Alla fine si è ritenuto opportuno collocarle all'interno del Museo per proteggerle e bloccare il degrado dovuto all'esposizione all'aperto.
Il vuoto lasciato dalle statue dei patroni sotto il loggiato andava colmato, anche perché oggetto di devozione popolare. Dapprima si era pensato alla realizzazione di copie, poi, insieme all'Amministrazione comunale, è stata proposta la realizzazione di due nuove opere in terracotta, affidando il lavoro di esecuzione a due noti scultori che operano a Castel Bolognese: Cesare Ronchi e Alberto Mingotti.
A Ronchi, personalità originale nel panorama della scultura italiana, abituato a creare soggetti religiosi, il compito di "pensare" e realizzare il San Petronio. Ne è scaturita un'opera che si ispira all'iconografia tradizionale con un'originale modernità, che raffigura San Petronio, con mitria e pastorale, chino in avanti per porgere alla comunità il suo modello di amore e di pace, simbolicamente rappresentato dal modellino, che regge nella mano sinistra, della chiesa a lui dedicata esistente in paese.
A Mingotti, scultore in ceramica della nuova figurazione tra i più noti attualmente in Italia e in Europa, l'onere di realizzare l'Immacolata. L'autore si è allontanato dagli schemi tradizionali che generalmente vedono la raffigurazione della Madonna ricca e maestosa per proporre una giovanissima Maria, vestita sobriamente, naturalmente semplice, come doveva essere realmente una giovane donna della terra di Galilea. Una Madonna povera, vicina al senso del quotidiano, come messaggio di una Chiesa che guarda ai poveri. "Un'immagine devota e sorpresa per il dono di Grazia ricevuto" l'ha definita l'arciprete Dall'Osso. Le opere sono state presentate alla comunità castellana con due distinte cerimonie, prima presso la sala consigliare del Municipio, poi nella chiesa di S:Petronio dove sono state benedette alla presenza di autorità civili e religiose, e successivamente collocate sotto al portico del comune.
Con questo intervento il Museo Civico, affiancato dall'Amministrazione comunale, ha assicurato la tutela e la conservazione delle due opere settecentesche del De Maria, entrate a far parte delle collezioni museali, ed ha arricchito il patrimonio artistico locale con due nuove opere di indubbia qualità ed originalità.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 18 [2008 - N.33]

L'artista viaggiatore: dal MAR si parte per quattro continenti

Nadia Ceroni - Conservatore Museo d'Arte della città di Ravenna

Alle numerosissime proposte di viaggio che oggi si offrono al turista, quella di viaggiare attraverso le opere di artisti viaggiatori è senz'altro un'esperienza particolarmente gratificante per gli occhi e la mente.
È quanto propone il Mar una mostra che celebra l'epopea di quel particolare "turista" che usava matite e pennelli per fissare la bellezza dei luoghi visitati, per archiviare i ricordi ed esprimere forti emozioni: L'artista viaggiatore. Da Gauguin a Klee, da Matisse a Ontani intende evocare le atmosfere di quattro continenti - Africa, Asia, America Latina e Oceania - attraverso le opere di artisti europei affascinati dal mito dell'esotico.
Partendo dal realismo ottocentesco, il fascinoso percorso della mostra si snoda attraverso il postimpressionismo, l'espressionismo, il surrealismo e l'astrazione per approdare ad artisti viaggiatori contemporanei come Mondino, Boetti e Schifano. Un centinaio di opere documentano le esperienze biografiche e creative di numerosi artisti europei che - come scrive Claudio Spadoni nel catalogo della mostra della Silvana Editoriale - "hanno fatto del viaggio una necessità espressiva o almeno hanno volto l'esperienza esotica in soluzioni linguistiche congeniali alla loro indole, se non decisive per la loro poetica".
Ambienti suggestivi, vegetazioni lussureggianti, colori vividi, luci abbaglianti diventano i protagonisti di un percorso artistico che trova il suo fondamento nell'orientalismo e nel primitivismo, i due movimenti responsabili di aver innestato una svolta decisiva nell'arte europea tra Ottocento e Novecento, determinando il desiderio del ritorno alla natura, nella ricerca delle proprie origini e di paradisi incontaminati.
Materiali etnografici provenienti dal Museo " Luigi Pigorini" di Roma, globi terrestri e celesti del Settecento, modelli storici di galeoni, antiche carte geografiche introducono le sezioni della mostra. Da Caffi, Ussi, Pasini e Guastalla - le cui opere raccontano i viaggi al seguito di spedizioni diplomatiche nel Medio Oriente e nel Mediterraneo - si passa ai postimpressionisti europei, tra cui Gauguin, e all'espressionismo dei tedeschi Nolde e Pechstein e del francese Matisse, in Oceania nel primo decennio del '900, mentre le potenzialità della luce e del colore del continente africano attirano Klee, Macke e Moillet prima a Tunisi e poi ad Hammamet, Oskar Kokoscka in Egitto e Jean Dubuffet nei deserti algerini; Tobey e Mathieu, protagonisti dell'Informale, ci conducono invece nel continente asiatico con le loro derivazioni dal calligrafismo giapponese.
La mostra è introdotta da una vera chicca, la Boite en valise di Marcel Duchamp, la valigia dell'artista contenente copie in miniatura, fotografie e riproduzioni a colori delle sue opere più significative. Un percorso espositivo emozionante che considera il viaggio come opera d'arte, ma anche come strumento al servizio dell'arte per il fatto di esserne il motivo ispiratore per eccellenza: il viaggio extraeuropeo in tutte le sue forme, come curiosità, come piacere di scoprire e descrivere nuovi mondi, come desiderio artistico di isolare frammenti di esperienze, dando loro forma e significato.
Nel viaggio, come dice Luigi Ontani a proposito dell'Oriente "c'è ancora una dimensione particolare, un'illusione che non ritrovo da nessun'altra parte, non è un incantamento ma un respiro spirituale che diventa esempio di diversa contemporanea civiltà".
Le opere esposte - provenienti da collezioni private, gallerie d'arte, musei nazionali e internazionali, tra cui Venezia, Roma, Milano, Parma, Piacenza, Liegi, Berlino, Francoforte, Hannover, Berna, Parigi, Belgrado e Lille - si propongono quindi al visitatore come una sorta di carnet de voyage e raccontano le impressioni e le emozioni degli artisti nel loro incontro con terre e popoli lontani. Curata da Claudio Spadoni e Tulliola Sparagni, l'esposizione rimarrà allestita dal 22 febbraio al 21 giugno (info: tel. 0544-482477; info@museocitta.ra.it; www.museocitta.ra.it).

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 18 [2009 - N.34]

Il 13 e 14 ottobre avra luogo la sedicesima edizione del Corso "Scuola e Museo" sul tema di musei e paesaggio

Daniele Jalla - Presidente ICOM Italia

Musei e paesaggio è il titolo del corso di aggiornamento sulla didattica museale «Scuola e Museo», organizzato dalla Provincia di Ravenna per l'anno scolastico 2009-10 presso il Ridotto del Teatro Alighieri di Ravenna. Il corso si propone di indagare come i musei hanno contribuito e possono partecipare alla tutela e alla valorizzazione del paesaggio. Sarà anche l'occasione per ricordare che la legislazione italiana di tutela del paesaggio trae origine proprio dalla celebre difesa della pineta di Ravenna e inoltre che è trascorso un secolo dalla legge «Per le antichità e belle arti», nel 1909 approvata quando Ministro della Pubblica istruzione era il ravennate Luigi Rava.
Il corso è organizzato in una giornata e mezzo di studi e prevede la partecipazione, come relatori, di storici, storici dell'arte, architetti, geografi, pedagogisti e professionisti museali. Grazie al patrocinio di ICOM Italia e dell'IBC è stato possibile riunire intorno allo stesso tavolo di lavoro specialisti e studiosi quali Roberto Balzani, Roberto Cecchi, Maria Pia Guermandi, Claudio Spadoni, Mario Neve, Silvia Dell'Orso, Claudio Rosati, Lionella Scazzosi, Luca Baldin, Andrea Del Duca, Giuseppe Pidello, Giuseppe Masetti, Laura Carlini, Aldo De Poli, Ivo Mattozzi, Marina Foschi, Massimiliano Costa. Il corso si rivolge, come in passato, agli insegnanti, al personale scientifico dei musei, agli educatori museali, agli operatori del territorio e a studenti universitari delle facoltà umanistiche e pedagogiche.
Introduce la giornata di studi Daniele Jalla, che farà anche da moderatore della sessione mattutina della prima giornata, dedicata alla ricostruzione del clima entro cui si sviluppò, agli inizi del secolo scorso, la difesa della pineta e della concezione di paesaggio che attraverso essa si esprimeva, per passare, immediatamente dopo, a un bilancio a due voci della legislazione e dell'azione - statale e regionale - di tutela, anche alla luce di un confronto interdisciplinare sulla odierna nozione di paesaggio. Lo stretto legame che esiste fra i nostri musei e il territorio, di appartenenza e riferimento, fa infatti sì che le loro collezioni ne propongano sovente l'immagine nel tempo, documentandone le trasformazioni.
Su queste basi, la sessione pomeridiana - coordinata dalla giornalista Silvia Dell'Orso - verterà sul confronto tra le diverse possibili interpretazioni del ruolo che i musei hanno e intendono avere rispetto al paesaggio, illustrando alcuni casi esemplari a livello nazionale e locale. Molti musei italiani sono infatti variamente impegnati nella gestione di beni, edifici, monumenti posti sotto la loro responsabilità, partecipando così direttamente alla conservazione e comunicazione del patrimonio culturale presente attorno a loro. Altri, nel loro quotidiano operare, sono coinvolti in attività e iniziative che hanno al centro il paesaggio - naturale, agrario, industriale, urbano - svolgendo un ruolo di protagonisti attivi nella sua tutela e valorizzazione.
Aldo De Poli, docente di Storia dell'Architettura all'Università di Parma, apre e modera la seconda giornata di studi, che affronterà il tema dell'educazione al paesaggio, passando in rassegna alcuni progetti e iniziative promosse da soggetti istituzionali diversi in ambito regionale, con l'intento di contribuire alla conservazione e interpretazione del patrimonio paesaggistico locale da vari punti di osservazione.
Grazie al confronto tra le diverse interpretazioni del ruolo che i musei, ma non solo, hanno e intendono avere rispetto al paesaggio, il convegno si pone l'obiettivo di suggerire le linee guida per un più diretto e coordinato impegno dei musei nella tutela e valorizzazione del paesaggio e le diverse forme di collaborazione che - su questo tema possono essere stabilite con il mondo della scuola.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 18 [2009 - N.35]

Un bene culturale che Ravenna condivide con il mondo

Nadia Ceroni - Corservatore Mar di Ravenna

Sotto la denominazione Progetto Guidarello il Museo d'Arte della Città ha raccolto e organizzato varie iniziative destinate ad approfondire la conoscenza e la divulgazione della scultura più nota della Pinacoteca ravennate, scolpita nel 1525 da Tullio Lombardo.
Punto di partenza del progetto: il restauro della lastra funebre di Guidarello Guidarelli, destinato a rimuovere le sostanze organiche che alteravano la superficie lapidea (per lo più depositi di untuosità e sporco dovuti in particolare all'attenzione del pubblico femminile nei confronti della statua) e ad accertare la natura petrografica del manufatto artistico di cui si è stabilita la provenienza (marmo di Carrara). I lavori - eseguiti dalla Scuola del Restauro della Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Ravenna - sono stati condotti a cantiere aperto per permettere al pubblico di conoscere sul campo la metodologia adottata per l'occasione e di assistere in diretta alle operazioni di pulitura e manutenzione.
Supportato da analisi chimiche e indagini diagnostiche, l'intervento conservativo ha prodotto ulteriori occasioni di studio e di confronto tra discipline diverse. Alla prima fase conservativa si è affiancata quella documentaria, destinata a recuperare ulteriori informazioni bibliografiche, archivistiche e storico-artistiche sul personaggio raffigurato, sull'autore della statua, sui vari allestimenti nelle dimore che hanno accolto la lastra funebre (dalla chiesa di San Francesco al Quadrarco di Braccioforte, dall'Accademia di Belle Arti alla Pinacoteca del Mar) e sul fenomeno significativo della diffusione delle copie in gesso di Guidarello.
Più volte replicata nel corso dell'800, copie della scultura sono state infatti acquisite da numerosi musei all'estero - tra cui Boston, Londra e Ottawa - ma anche da istituzioni pubbliche e private in ambito nazionale - tra cui la Scuola Comunale di Disegno "Tomaso Minardi" di Faenza, l'Istituto Statale d'Arte di Firenze, la Fondazione "Il Vittoriale degli Italiani" di Gardone Riviera - sulla base di una sorprendente modulistica fatta predisporre da Sigismondo Romanini, direttore dell'Accademia di Belle Arti. I risultati dei lavori, degli studi, delle ricerche e delle indagini effettuate vengono ora raccolti in una pubblicazione articolata in due sezioni: la prima dà conto, attraverso i contributi di Andrea Emiliani, Nadia Ceroni e Daniele Carnoli della complicata questione attributiva, della relazione dei multupli e degli allestimenti; la seconda, degli interventi di restauro e della diagnostica con i contributi di Cetty Muscolino, Marzia Jacobellis, Elena Cristoferi e Gian Carlo Grillini con Diego Cauzzi e Lorenzo Lazzarini.
Il volume - patrocinato dal Ministero per i Beni e le Attività Culturali, dalla Regione Emila-Romagna e dalla Provincia di Ravenna - sarà presentato al pubblico nell'ambito di una Giornata di Studi in cui il Museo intende sottoporre l'opera allo sguardo incrociato di diverse prospettive disciplinari e proporre alcuni temi di riflessione: Marco Bazzocchi (Università di Bologna) si occuperà del clima letterario che vede rivivere il mito romantico decadente del "bel morto"; Graziella Magherini (psichiatra, psicoanalista e presidente dell'International Association for Art and Psychology) interverrà sui fenomeni da lei studiati delle statue baciate e del coinvolgimento emotivo degli spettatori di fronte alle opere d'arte; Adriana Augusti (Soprintendenza speciale per il Polo Museale di Venezia) relazionerà sulla presenza e sulle opere di Pietro e Tullio Lombardo a Ravenna durante la dominazione veneziana; ad Andrea Emiliani (presidente Accademia Clementina di Bologna) spetterà il compito di affrontare la complicata vicenda attributiva; Roberto Balzani (Università di Bologna-sede di Ravenna) interverrà sul mito del condottiero romagnolo.
L'incontro - previsto per il 13 novembre - sarà presieduto e coordinato da Bruno Toscano (Università Roma Tre). La Giornata di Studi è organizzata dal Mar quale evento collaterale alla XXXVIII edizione del Premio Guidarello per il Giornalismo d'Autore promosso ogni anno da Confindustria Ravenna. Restauro e pubblicazione - che uscirà per la collana "pagine del mar" a cura di Nadia Ceroni, Alberta Fabbri, Claudio Spadoni - sono stati realizzati grazie al contributo della ditta Maie Spa di Fornace Zarattini.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 18 [2009 - N.36]

Apre una nuova sezione permanente al Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza

Franco Bertoni - Curatore delle Collezioni Moderne e Contemporanee del MIC di Faenza

Dal 13 marzo 2010 il percorso permanente del MIC si è arricchito di opere con l'inaugurazione di una nuova sezione. La Sezione Italia Novecento, vasta circa 2000 metri quadrati, ospita oltre 900 ceramiche d'arte: una selezione operata nelle raccolte del Museo, che - solo relativamente al secolo scorso - possono vantare oltre 10.000 opere.
L'Italia e Faenza - inglobata in questa sezione - hanno significato molto per la storia della ceramica moderna e contemporanea e in questa sezione sarà possibile avere una visione di ampio spettro di quanto realizzato da ceramisti e da artisti: dagli splendori Art Nouveau fino alle perfezioni esecutive di Bertozzi & Casoni e di Luigi Ontani degli anni Duemila. Una novità è costituita dalla presenza di opere pittoriche e scultoree relativamente a quegli artisti che, pur dedicandosi alla ceramica, hanno raggiunto riconoscibilità e affermazione con altri mezzi espressivi. Un modo per sottolineare quei rapporti e relazioni che la ceramica ha tessuto con i più generali movimenti dell'arte tout court e in cui è oggi, finalmente, inserita a pieno titolo.
La ceramica italiana del XX secolo può vantare un primato nel contesto mondiale coevo per la quantità delle espressioni e per i livelli qualitativi raggiunti da artisti della ceramica, manifatture, botteghe e fornaci artigianali. Ciò che è avvenuto in campo ceramico in Italia è registrabile solo in minima parte in altre aree geografiche, dove la pur alta qualità è legata essenzialmente al nome di una manifattura, a un geniale artista o ad aree o periodi circoscritti. In Italia si è assistito, al contrario, a un proliferare di artisti, industrie e botteghe che, lungo tutto l'arco del secolo, hanno avanzato una tale quantità di proposte espressive che attende ancora chiara registrazione e piena valutazione. Tutto il territorio nazionale, con centri, spesso, nelle città di più antica tradizione ceramica, è stato disseminato da produzioni dalla vita più o meno lunga ma sempre di alto livello e attente alle tendenze emergenti e agli sviluppi culturali e artistici del periodo. Va detto, inoltre, che le più alte espressioni di alcuni momenti della storia dell'arte italiana (l'Art Nouveau, il Futurismo, il Déco e l'Informale ad esempio), grazie ai contributi di pittori, scultori, architetti e artisti della ceramica, sono rinvenibili proprio in questo settore artistico. Una forma espressiva che, grazie a figure come Leoncillo, Lucio Fontana, Salvatore Fancello, Arturo Martini, Agenore Fabbri e Nanni Valentini, è riuscita a superare un ambito di 'arte minore' o 'decorativa' in cui era tradizionalmente relegata per conquistare, finalmente, un ruolo di pari dignità con le altre arti.
Nel XX secolo si sono dedicati alla ceramica artisti come Galileo Chini, Alfredo Biagini e Angelo Biancini fino a Giosetta Fioroni, Ugo Nespolo e Giacinto Cerone; architetti come Gio Ponti e Guido Andlovitz fino a Ettore Sottsass; pittori come Aligi Sassu e Tono Zancanaro fino a Enrico Baj; scultori come Fausto Melotti e Alberto Burri. Accanto a questi protagonisti si è sviluppata una miriade di contributi che insiste in prestigiose manifatture quali Richard Ginori, Società Ceramica Italiana, Rometti, ILCA, SPICA e tante altre, in centri di antica tradizione ceramica quali Albissola o Vietri sul Mare, in solitarie figure quali Rodolfo Ceccaroni o in autorevoli interpreti di un materiale quali Guido Gambone, Marcello Fantoni, Alessio Tasca, Pompeo Pianezzola.
Dopo la crisi di fine Ottocento anche Faenza recepisce gli stimoli dell'Art Nouveau con le nuove produzioni delle Fabbriche Riunite di Ceramiche e Fabbrica dei Fratelli Minardi con Domenico Baccarini e Achille Calzi. Soprattutto nel periodo tra le due guerre - fondato il MIC e aperto il Regio Istituto per la Ceramica per volontà di Gaetano Ballardini - si assiste a un rifiorire di botteghe e di una attività artistica che è, ben presto, oggetto dell'attenzione nazionale. Pietro Melandri, Francesco Nonni, Riccardo Gatti, Mario Ortolani, Mario Morelli, Anselmo Bucci e Domenico Rambelli sono solo alcuni dei protagonisti di questa felice stagione. Nell'immediato dopoguerra è soprattutto Angelo Biancini a esprimere un magistero scultoreo che troverà ulteriori esiti in Carlo Zauli. Alfonso Leoni, introduce grandi elementi di novità e di rottura mentre il riferimento alla storia di Gianna Boschi verrà recepita negli anni Ottanta da una nuova generazione di artisti quali Aldo Rontini, Nedo Merendi e Alberto Mingotti.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 18 [2010 - N.37]

Il MIC di Faenza ospita una mostra itinerante dedicata alle note maioliche cinque-seicentesche

Carmen Ravanelli Guidotti - Conservatore alle raccolte retrospettive del MIC di Faenza

Aperta al pubblico dal 24 aprile al 22 agosto 2010, la mostra "La maiolica italiana di stile compendiario. I bianchi", promossa e sostenuta dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno, intende analizzare la produzione maiolicata che ha avuto il maggior successo in Italia e in molte altre aree europee. Fiorita a Faenza verso la metà del '500, in pochi lustri la moda dei bianchi si diffuse in gran parte del territorio peninsulare e all'estero. Il loro successo è largamente attestato da umanisti, poeti e prosatori; per esempio, l'umanista faentino Pier Maria Cavina, alla fine del '600 riconosce alla rivoluzione dei bianchi quel segno, che ognuno sa, che tirò a se gli occhi di tutta l'Europa: dunque, se da una parte lascia intendere come si fosse ormai alla fine di un ciclo plurisecolare della maiolica, dall'altra però dà la misura della vastità della portata della fortuna delle maioliche bianche e polite, cioè di smalto candido e di forbita bellezza.
Per questa ragione il MIC celebrò i bianchi con una grande iniziativa del 1996, col desiderio di mettere a fuoco le linee fondamentali del fenomeno faentino conduttore, ma anche con l'auspicio di una successiva ripresa degli studi sull'argomento a raggio peninsulare: auspicio che ora è stato accolto con questa importante iniziativa dedicata ai bianchi italiani. La mostra ha il pregio di rappresentare l'ampiezza dell'orizzonte toccato dalla corrente dei bianchi e le sue proiezioni da nord a sud della penisola e da est a ovest dell'Europa, ed altresì di far conoscere quanto l'adesione a quella formula di successo sia stata in molti centri talvolta radicale e come la sua fortuna si sia protratta per un secolo e mezzo, sino alla fine del '600.
La cosiddetta rivoluzione dei bianchi è una cosa sola con quella riforma della pittura che ha fatto evolvere lo stile maiolicato verso un genere di pittura abbreviata, unita ad una forte decantazione cromatica, con una tavolozza ristretta a pochi colori e diluita, di languida stesura: da qui la definizione di Gaetano Ballardini - accredita da molti decenni nella ceramologia - di stile compendiario, ispirato alla pictura compendiaria degli antichi. Le opere esposte chiariscono come le officine settentrionali si attengano strettamente ai modelli ispiratori di Faenza, tanto da produrre vasellami talvolta difficilmente distinguibili da quelli faentini, mentre le officine centro-meridionali mostrano un'adesione più legata ai vari sostrati regionali, popolari, che si esplica soprattutto nella pittura: questa infatti, pur lasciando campo al bianco, rimane legata al segno di contorno, piuttosto marcato e coniugato ad una tavolozza che mantiene sempre una notevole vivacità cromatica.
Le tematiche decorative e il repertorio figurativo invece sono comuni ai bianchi italiani: stemmi di famiglie nobili, figure allegoriche, ma anche ritratti, animali, ghirlandine di fiori, ecc. Più rari sono gli istoriati, rappresentati in mostra con alcuni saggi di grande impegno pittorico, a piena superficie, con complesse quanto evocative scene profane, bibliche e di storia romana, interpretate sempre con grande leggerezza di ductus e con una tavolozza decantata.
La corrente dei bianchi va di pari passo con una svolta tecnologica, che punta alla qualità dello smalto, che in tutte le aree italiane si mostra di grosso spessore, di un bianco latteo molto coprente, che si adagia morbidamente sulle superfici delle forme grezze in biscotto ed è cifra cromatica dominante. Tutti i centri che aderiscono alla rivoluzione tecnico-formale dei bianchi sono accomunati anche da una accelerazione produttiva dei vasellami di monumentali servizi da tavola (credenze) per mezzo di stampi, cavati dagli argenti come dicono le fonti dell'epoca, che quindi mostrano fogge molto mosse, baccellate, ricche di dettagli plastici, a segnare il passaggio dal Manierismo al Barocco.
Su un totale di 145 opere, la sezione di Faenza è presente con 26 pezzi per lo più inedite, molte delle quali esibiscono le segnature delle botteghe più prestigiose: Mezzarisa, Calamelli, Bettisi, Mazzanti, Vicchi ecc. con opere che cronologicamente si pongono dalla metà del XVI alla seconda metà del XVII secolo.
Alla fine del '600 lo storico portato dei bianchi può dirsi esaurito: da questo momento un'inversione di tendenza spinge le botteghe italiane ad adottare nuove tecnologie, che di lì a poco si dimostreranno vincenti sul mercato: la terraglia "ad uso di Inghilterra" e la porcellana che, come scrive Longhi, sarà la regina di tutto il secolo.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 18 [2010 - N.38]

Dall'11 dicembre una mostra in quattro Comuni propone una fertile commistione tra racolte museali, identità del territorio, sguardi e opere contemporanee

Massimiliano Fabbri - Curatore della mostra

"A nera. Una lezione di tenebra", è un progetto di arte visiva che coinvolge i comuni di Bagnacavallo, Cotignola, Lugo e Fusignano, i rispettivi spazi espositivi e musei, proponendo una fertile commistione tra raccolte, identità del territorio, sguardi e opere contemporanee; opere che in taluni casi occupano temporaneamente alcune di queste stanze e ambienti, creando una sorta di cortocircuito e discorso parallelo che, se da un lato affronta e si misura con temi antichi e urgenti quali tenebra e oscurità, dall'altro è "costretto", inevitabilmente, a tenere conto di una specificità dei luoghi che ospitano ed accolgono le mostre.

Un percorso complesso e stratificato quindi, che ci auguriamo avvincente e affascinante, e che nasce e si costruisce su e intorno al nero, clima, umore o pigmento (misterioso) che attraversa e sostiene tutte le opere in mostra, collegando tra loro una serie di autori che giocano con questa mancanza, distanza o scarsità di luce, con una specie di senso di perdita insito nella visione e nell'atto stesso del vedere. E che il disegno e architettura dell'esposizione affiancano e sovrappongono alla densità di cose e memorie presente in questi edifici.

Il percorso espositivo si divide in quattro sezioni, una per Comune: ciascuna di esse risponde, con modalità e letture differenti, ad un'anima, vocazione o identità, non troppo segreta, che governa e caratterizza il Museo che li ospita; non solo, o non tanto, nel tentativo di precisare ulteriormente la specificità dei "contenitori", ma soprattutto nella possibilità e volontà di ricavarne aperture, domande e potenziali direzioni, utili a ulteriori riflessioni e movimenti. Altri sguardi. Una traccia sommersa che, nell'affiorare, offre inneschi e congiunzioni, e rivelarsi di affinità.

A Bagnacavallo, al Museo Civico delle Cappuccine, inseriti in particolare all'interno del percorso della Pinacoteca (l'unico Museo, tra quelli coinvolti, che possiede una galleria che dal medioevo arriva sino ai giorni nostri), esporranno Laura Baldassari, Lorenzo di Lucido, Stefano Mina, Erich Turroni, Massimiliano Fabbri, Mirko Baricchi, Gianluca Costantini, Orthographe, Mara Cerri + Magda Guidi, Stefano Ricci, Anke Feuchtenberger, in una sezione caratterizzata da un andamento e ritmo che procede per stanze e visioni in successione (qualcosa che ha a che fare con l'incontro e la scoperta, quasi una catena o flusso di apparizioni).

Questa sezione, intitolata Ombre e fantasmi rappresenta la prima stazione: a guidare e accompagnare questo episodio uno scritto della poetessa e pittrice Sabrina Foschini. Una mostra questa, in cui il linguaggio della pittura la fa da padrone, vero e proprio scenario e teatro di spettri; a cui si affianca il disegno, forma vitale e non finita, tra cui ricordiamo un importante e significativo intervento di Ricci e Feuchtenberger che disegneranno direttamente a parete, ispirandosi, in parte, ai preziosi libri antichi custoditi in archivio, tra cui le visioni sorprendenti ed esatte racchiuse nelle tavole di Aldrovandi.

A Cotignola la mostra si svilupperà e articolerà abbracciando tre spazi, coinvolgendo a Palazzo Sforza il piano terra e il Museo Luigi Varoli, per poi chiudersi a Casa Varoli, nuovo spazio museale, vera e propria casa d'artista - recentemente riallestita - dove, un'atmosfera da wunderkammer, rende giustizia alla curiosità inquieta e febbrile del maestro cotignolese.

I fotografi Casadio e Maioli inseriranno le loro immagini direttamente all'interno di Casa e Museo, a creare un dialogo serrato con i tanti volti e sguardi catturati da Luigi Varoli. È giusto ricordare inoltre che gli scatti polaroid che Casadio esporrà, sono stati realizzati nel corso di due residenze d'artista che il fotografo ha tenuto a Cotignola, a ribadire il valore produttivo che riveste questa mostra e la funzione di stimolo, incontro e rete connaturate al progetto e operazione. Il titolo della sezione, che accoglierà un intervento critico dello storico dell'arte Alessandro Giovanardi, è Maschere. Specchi. Immagini, condizione doppia dello sguardo e del tentativo, problematico, di rappresentazione. Qui esporranno Dacia Manto, Franco Pozzi, Nicola Samorì, Cristiano Carloni-Stefano Franceschetti, Daniele Casadio, Alex Maioli.

A Lugo, la terza mostra, intitolata Mappe e labirinti, si concentrerà alle Pescherie della Rocca. Pur non intervenendo direttamente al Museo Francesco Baracca, a questa storia e vicenda, sotterraneamente, rimanda, grazie ad una serie di suggestioni che vanno da una certa astrazione che governa la sezione, a una forte e marcata presenza della mappa, di cosa come vista dall'alto, da occhio meccanico o in volo. E poi, tra i meccanismi e gli automi artigianali di Bocchini, e le proiezioni video luminose di Loom, non possiamo non collegarci ed agganciarci a un'anima futurista propria della città. Gli artisti qui presenti sono Francesco Bocchini, Federico Guerri, Simone Pellegrini, Carlo Sabiucciu, Mirco Tarsi, Mattia Vernocchi, David Loom; un testo della poetessa Roberta Bertozzi si aggiunge ed intreccia a questa labirintica sequenza.

A Fusignano, presso il Museo Civico San Rocco, è ospitata l'ultima tappa del percorso, intitolata Cenere. Polvere. Frammenti. Una sezione che si misura e fa i conti, in qualche modo, con il sacro, il residuo e l'idea di rovina, quasi si trattasse di un racconto andato in frantumi, un resoconto o cronaca dell'apocalisse; come se all'arte spettasse anche un compito di cucire strappi e ferite. Una (fallimentare) preghiera che tenta di aggiustare le cose e il mondo. Qui Massimo Pulini, Nero, Giovanni Blanco, Silvano D'Ambrosio, Graziano Spinosi, Cesare Baracca, Raniero Bittante, Claudio Ballestracci, Monica Pratelli, Maurizio Battaglia; l'intervento critico è della storica dell'arte Maria Rita Bentini. In questa mostra segnaliamo il doppio intervento di Pratelli e Battaglia che entreranno con le loro opere all'interno della raccolta di targhe ceramiche devozionali ospitate in maniera permanente nel museo fusignanese.

L'esposizione sarà corredata da un importante e corposo catalogo che, oltre ai testi degli autori sopra citati, si avvarrà di un'appendice rappresentata da cinque interventi o saggi, a opera di Eleonora Frattarolo (arte), Serena Simoni (arte e donne), Pier Marco Turchetti (filosofia), Elettra Stamboulis (fumetto) e Cristina Ventrucci (teatro); scritti che affrontano il nero, vera e propria nebulosa, da altre angolazioni e punti di vista, superando e oltrepassando le opere esposte, per collegarsi anche ad altre discipline, linguaggi e modi di vedere.

Per informazioni su inaugurazioni, aperture, orari e appuntamenti collaterali come visite guidate, conversazioni e spettacoli, consultare il sito:www.aem-selvatica.org.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 18 [2010 - N.39]

Al refettorio del Museo Nazionale una serie di incontri sugli otto monumenti UNESCO di Ravenna, dall'iconologia alla conservazione

Cetty Muscolino - Direttore Museo Nazionale di Ravenna

L'anno 2011 sarà segnato da un importante ciclo di conferenze sui monumenti UNESCO. L'iniziativa ha preso il via l'8 febbraio con la presentazione del volume Ravenna. Otto Monumenti Patrimonio dell'Umanità scritto da Clementina Rizzardi, e prosegue, con la cadenza di una conferenza al mese, fino a giugno, per riprendere a ottobre, dopo la pausa estiva. Il calendario è costruito rispettando l'ordine cronologico dei monumenti ravennati.

L'iniziativa, frutto della collaborazione fra la Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il Paesaggio di Ravenna, il Comune di Ravenna e l'Archidiocesi di Ravenna e Cervia, si pone come obiettivo la promozione del patrimonio artistico che costituisce la principale ricchezza della città e testimonianza del suo ruolo di capitale nella Tarda Antichità.

Gli incontri, che si svolgeranno presso il Museo Nazionale, nel suggestivo scenario del refettorio del complesso benedettino di San Vitale, saranno caratterizzati dalla partecipazione di relatori di diversa formazione che potranno contribuire a illustrare aspetti talora inediti e a fornire chiavi di lettura non consuete.

I partecipanti agli incontri avranno pertanto l'opportunità di approfondire le peculiarità delle architetture e dei mosaici nella loro relazione fra Oriente e Occidente, di chiarire i complessi aspetti dottrinali manifestati nelle preziose tessiture musive, di essere aggiornati sulle scoperte e le singolarità emerse durante i più recenti interventi di restauro. Si tratta di occasioni speciali per rileggere i testi musivi e cercarne le fonti ispiratrici, per comprendere i rapporti fra i due battisteri, ariano e ortodosso, per rileggere quel mirabile palinsesto dei cicli musivi ravennati rappresentato dalla Cappella di Sant'Andrea, per essere aggiornati sulle novità emerse in cantiere.

Perché sempre nuovi aspetti emergono, nel corso dei lavori, e ci confermano l'inarrestabile processo della conoscenza, che di continuo ci apre nuovi spiragli che ci consentono di avvicinarci sempre più, a piccoli passi, alle verità espresse dal gioco variegato delle tessere musive. Dobbiamo infatti tenere a mente, quando si parla di mosaico, che si tratta di argomento delicato e complesso, il cui studio per tanto tempo è stato parziale e limitato, proprio perché mancava quella convergenza di sguardi necessaria a una comprensione più ampia, come lucidamente scriveva Giuseppe Gerola agli inizi del Novecento: "Nessuno poi degli studiosi che si accinse a quell'esame [dei mosaici], credette di dovere sviscerare l'argomento, studiandolo in tutti i suoi lati e impiegandovi tutti quei sussidi che la critica suggerisce: bensì chi fece fidanza sui soli dati storici, chi si appoggiò sui criteri archeologici, chi giudicò in base al puro esame tecnico, chi si accontentò delle ragioni stilistiche".

Con l'auspicio di aver creato una proficua convergenza di sguardi si segnalano, fra i relatori, la professoressa Clementina Rizzardi, per San Vitale, e il Soprintendente architetto Antonella Ranaldi, per Galla Placidia, per gli assunti di ordine teologico e dottrinale contributi di grande interesse verranno da monsignor Giovanni Montanari e monsignor Guido Marchetti, per le problematiche relative alla Basilica di Sant'Apollinare in Classe e al Mausoleo di Teodorico gli architetti Anna Maria Iannucci, Emilio Roberto Agostinelli e Valter Piazza, per gli aspetti documentari la dottoressa Paola Novara e per gli ultimi esiti dei sistemi informativi il dottor Marco Orlandi, per gli apparati decorativi musivi e le metodologie di intervento la dottoressa Cetty Muscolino, direttore dei lavori, con i restauratori Ermanno Carbonara e Claudia Tedeschi.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 18 [2011 - N.40]

La nuova tappa del progetto che porta l'opera di Zauli fuori dalle mura del proprio Museo vede una doppia mostra a Cerva e a Bagnacavallo

Matteo Zauli - Direttore del Museo Carlo Zauli di Faenza - Curatore della mostra

Sono un uomo che ama profondamente un "grumo" di argilla, che vuole vitalizzarlo, dargli piano piano forma, più vita, esaltando e riordinando i suoi infiniti ritmi e le misteriose tensioni che in esso si nascondono. Non mi oppongo alla materia, ma a questa mi adeguo, cercando di capirla, fondendola alla mia fantasia, plasmando forme che seguono una genesi, una vita, una serie di esaltazioni possibilistiche. Invece di comprimere forzatamente e distorcere innaturalmente cerco di cogliere, il più acutamente possibile, le forme naturali invisibili che al suo interno si celano, che respirano e vogliono "essere". (Carlo Zauli, 1984)
Così Zauli descriveva il proprio lavoro, arrivato ormai alla maturità del proprio sviluppo. Il grumo di argilla di cui parla è parte di quella terra che, in ogni accezione del termine, egli pone al centro della propria vicenda artistica. Terra che, innanzitutto, significa materia sensibile, punto di partenza di ogni propria opera, piccolissima o monumentale, fosse essa in ceramica, bronzo, marmo o carta. Terra che simbolicamente rappresenta la vita stessa, la primigenia energia, la sensualità che dalla natura si trasmette alle forme e all'umanità stessa.
Quella terra che, riarsa dalla lama dell'aratro, si prepara ad essere seminata ad ogni nuova stagione e a germinare nuove forme di vita, in un ciclo senza fine, estraneo alla caducità della nostra stessa esistenza.
Ma terra anche in senso molto specifico e determinato: la propria terra, la propria radice, quella Romagna citata molte volte in titoli di opere del periodo più felice, - l'inizio degli anni settanta - quella terra da cui, pur avendo uno spazio a Milano e ricevendo allettanti proposte dal Giappone, non ha mai voluto allontanarsi troppo.
Terra che rivive - questo il titolo della rassegna - è in tale occasione la nuova tappa del progetto itinerante sull'artista che da quattro anni sta portando l'opera di Zauli fuori dalle mura del proprio museo e dei propri depositi. L'evento, organizzato da CNA insieme a istituzioni pubbliche e private del nostro territorio, si prefigge lo scopo di documentare e celebrare l'opera di Carlo Zauli attraverso due mostre e un'installazione in due luoghi bellissimi e prestigiosi della propria terra d'origine: la Romagna che, dunque, abbraccerà ancora più intensamente uno dei propri artisti più amati.
Il progetto espositivo si fonderà sul dialogo tra il lavoro dell'artista, esaminato per tematiche, e due spazi prestigiosi ed affascinanti del nostro territorio.
Ai Magazzini del Sale di Cervia (luglio-agosto 2011), spazio che aprirà la rassegna ai primi di luglio, l'opera di Zauli verrà presentata in tre sezioni divise per tematiche che, attraversando il lavoro dell'artista faentino lungo quarant'anni di attività, ne sintetizzeranno l'arte ceramica e scultorea. Viaggio intorno a un vaso, Fremiti naturali e Zolle saranno le tre parti della mostra che sarà integrata con installazioni video che ne potenzieranno il fascino estetico.
L'esposizione al Convento di S. Francesco a Bagnacavallo (settembre-ottobre 2011), invece, ruoterà intorno alla relazione tra il carattere fortissimo del luogo e l'opera di Zauli. L'aspetto severo, grezzo, quasi postbellico di quel luogo spettacolare esalterà e sarà esaltato dalla tipologia di opere scelte, i Primari Esplosi: opere che l'artista considerava uno dei vertici della propria ricerca, tutte realizzate tra l'inizio degli anni settanta e la metà del decennio successivo.
Il percorso espositivo in ogni sua tappa sarà corredato da un ampio e generoso allestimento didascalico che avrà la funzione di introdurre il visitatore all'universo artistico di Zauli e a facilitarne la comprensione dell'opera. In occasione delle mostre verrà edita una pubblicazione con l'omonimo titolo, a cura di Flaminio Guadoni, Danilo Montanari editore, che conterrà anche stralci critici tra i quali Giulio Carlo Argan, Giorgio Cortenova, Yoshiaki Inui, Claudio Spadoni, Cesare Vivaldi.
Per ulteriori informazioni: www.museozauli.it.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 18 [2011 - N.41]

Nuova linfa al Museo con opere di Baccarini, Marabini, Avveduti e Calzi

Giorgio Cicognani - Curatore del Museo del Risorgimento e dell'Età Contemporanea di Faenza

La riapertura del Museo del Risorgimento e dell'Età Contemporanea nell'ottobre del 2009 e l'attuale ricorrenza dei 150 anni dell'Unità d'Italia hanno sicuramente favorito la disponibilità di diversi donatori che hanno lasciato importanti cimeli, notevoli non solo dal punto di vista della documentazione storica, ma anche di grande interesse artistico; infatti alcune opere qui descritte sono del tutto inedite di noti artisti. Per motivi di spazio illustrerò solo alcuni dei pezzi più significativi, alcuni dei quali già esposti, mentre altri seguiranno il riordino delle collezioni attualmente in atto.

Un primo nucleo si compone di due ceramiche antiche, fotografie e medaglie, il secondo di un dipinto ad olio, una drappella riccamente ricamata e varie fotografie della I Guerra Mondiale, segue un disegno di Giuseppe Calzi.

La rarità del primo nucleo è data dal ritratto di Giuseppe Mazzini in maiolica, entro cornice di noce; l'autore del raffinato dipinto è Angelo Marabini (1819-1897). L'opera realizzata nel 1881, precede di alcuni anni l'incarico dato al Marabini dal Comune di Faenza, di dipingere i tondi in maiolica dei tre grandi protagonisti dell'Unità d'Italia: Mazzini, Cavour e Garibaldi, per la Sala del Consiglio Comunale. Le ceramiche fanno bella mostra entro ricche lapidi in marmo databili al 1884. In mancanza di un forno proprio il Marabini faceva cuocere le sue opere in diverse fornaci faentine e forlivesi; in questo caso il "mago del pennello" realizzò il ritratto presso la fabbrica Gorini, come si evince dal marchio a fuoco sul retro. Quest'opera va ad arricchire il ricco corpus di ritratti eseguiti dal Marabini presenti in diversi musei e raccolte pubbliche.

La seconda ceramica è un piccolo bassorilievo in terracotta che raffigura Giuseppe Garibaldi ed è attribuita al grande artista faentino Domenico Baccarini (1882-1907). L'opera si può far risalire alla fine dell'Ottocento o essere coeva al bellissimo busto in terracotta di Giuseppe Mazzini datato e firmato dallo stesso Baccarini nel 1900. Il Golfieri nel catalogo della mostra baccariniana, tenutasi a Faenza nel 1983, scrive: "...ha ricordo che Baccarini, da ragazzo, abbia eseguito in plastica un busto di Garibaldi..."; purtroppo però di quest'opera non è rimasta traccia. Nello stesso catalogo sono riprodotti alcuni disegni del volto dell'Eroe dei due mondi.

Seguono due rare fotografie all'albumina della seconda metà dell'Ottocento che raffigurano Garibaldi a cavallo: una, mentre incontra popolane e picciotti in ambiente siciliano, l'altra, un incontro con signori della borghesia in ambiente non identificabile. Queste fotografie animate, come fossero istantanee, sono fedeli riproduzioni di opere pittoriche che ricordano momenti salienti delle imprese del Generale e quasi certamente venivano stampate in più copie per far conoscere e celebrare questi avvenimenti. Una ricerca più approfondita ci potrebbe rivelare se queste pitture sono ora esposte in qualche collezione pubblica. Le fotografie sono conservate entro piccole cornici d'epoca in legno di noce.

Di particolare rilevanza nel secondo nucleo un inedito dipinto ad olio del pittore lughese Giulio Avveduti (1889-1986): ritratto dell'avv. Pier Paolo Liverani tenente di fanteria nella I Guerra mondiale. Il Tenente è anche l'autore di un importante album fotografico, un vero reportage, che documenta la vita in trincea degli italiani e degli austriaci e gli avvenimenti bellici di quella Grande Guerra.

Ricordiamo infine un disegno su carta a spolvero per una realizzazione ceramica di Giuseppe Calzi (1846-1908) che raffigura Giuseppe Mazzini. il Calzi, animato da spirito risorgimentale e patriottico, fu uno degli organizzatori e primo donatore del nostro Museo del Risorgimento.

Credo sia importante a questo punto, un'ulteriore visita alle sale per ammirare queste opere finora inedite, ma soprattutto come segno di gratitudine per chi le ha conservate in modo eccellente ed ora le ha messe a disposizione della nostra comunità.

Un grazie a tutti i donatori per la loro attenzione, generosità e discrezione.


Speciale Donazioni Museali - pag. 18 [2011 - N.42]

Caravaggio, Coubet, Giacometti, Bacon... Giovanni Testori e 500 anni di grande pittura europea in mostra al Mar di Ravenna

Nadia Ceroni - Conservatore Museo d'Arte della Città di Ravenna

Claudio Spadoni, curatore della mostra che rimarrà aperta al Museo d'Arte della città di Ravenna fino al 17 giugno 2012, prosegue nel suo lavoro di ricerca e di restituzione divulgativa della critica d'arte. Negli anni passati le mostre del Mar erano state dedicate a Roberto Longhi, Francesco Arcangeli e Corrado Ricci, riscuotendo un notevole successo di pubblico e di critica.
Questa volta il direttore artistico del Mar ha rivolto la sua attenzione ad uno degli intellettuali più discussi del Novecento italiano: Giovanni Testori (1923-1993), scrittore, drammaturgo, pittore, critico d'arte, poeta, regista, attore. Dal 1952 allievo di Roberto Longhi, risale al 1954 la sua prima opera narrativa "Il dio di Roserio". Negli anni Sessanta, segnati dal sodalizio con Luchino Visconti, Testori raggiunge la notorietà presso il grande pubblico e dalla metà degli anni Settanta prende il posto di Pier Paolo Pasolini come commentatore del Corriere della Sera. Di lui, in più occasioni, si sono occupati, hanno scritto e commentato i suoi diversi lavori - frutto di una personalità vulcanica e laboriosissima - personaggi del calibro di Elio Vittorini, Pier Paolo Pasolini, Piero Citati, Indro Montanelli, Vittorio Sereni, Attilio Bertolucci, Alda Merini, Carlo Bo, Giorgio Bocca e Dario Fo.
"La mostra dedicata a Testori - scrive Spadoni nell'introduzione al catalogo - abbraccia l'arco cronologico enorme di cinque secoli, da Foppa e Gaudenzio fino ai Nuovi Selvaggi, i pittori tedeschi saliti alla ribalta negli anni Ottanta del secolo scorso: le ultime puntate critiche, si può dire, dello studioso, drammaturgo, pittore, opinionista controcorrente del Corriere della Sera".
E, infatti, il percorso della mostra è articolato in diverse sezioni e periodi della storia dell'arte studiati da Testori, a cominciare da Manzù, Matisse, Morlotti; a seguire la pittura di realtà in Lombardia del Cinquecento e del Seicento - fondamentali rimangono gli scritti di Testori per i cataloghi della mostra del Manierismo piemontese e lombardo del Seicento a Torino nel 1955 - e i manieristi. E poi ancora, Caravaggio - con il capolavoro "Ragazzo morso dal ramarro" che la Fondazione Longhi di Firenze ha prestato alla mostra - per approdare, dopo Géricault, Courbet e la Nuova Oggettività tedesca, a Bacon e Giacometti fino a Cucchi e Paladino.
Si è accennato alla restituzione divulgativa del lavoro di Spadoni che si traduce nella volontà di accompagnare il visitatore della mostra nella comprensione più profonda del lavoro di Testori, definito "uomo dalle scelte coraggiose, perfino estreme, sostenute agitando paradossi, clamorosi ossimori, dissacrazioni anche sconcertanti cui corrispondono celebrazioni e riscoperte inattese, magari anche difficilmente sostenibili". Ma questa è la sfida di una divulgazione dell'arte che non vuole omologarsi a scelte facili, forse di più sicuro impatto mediatico, ma lontane deliberatamente dalle convenzioni e dai luoghi comuni che, purtroppo, caratterizzano molte attività espositive.
La mostra, oltre alla collaborazione della Compagnia del Disegno di Milano, gode di un prestigioso comitato scientifico, composto dal curatore e da Marco Antonio Bazzocchi, Andrea Emiliani, Mina Gregori, Antonio Paolucci, Ezio Raimondi e Alain Toubas.
Per i visitatori più piccoli sono disponibili su prenotazione, come ormai abitudine consolidata del museo ravennate, i laboratori didattici; i visitatori adulti possono richiedere visite guidate o partecipare agli appuntamenti settimanali che il museo organizza durante tutto il periodo in cui la mostra rimarrà allestita.
Per ogni informazione: tel. 0544 482017, ufficio.stampa@museocitta.ra.it, www.museocitta.ra.it.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 18 [2012 - N.43]

La nuova mostra di Selvatico spore si snoda in sei musei del Sistema, con sguardi e opere contemporanee

Massimiliano Fabbri - Curatore della mostra

E bianca. Una parola diversa per dire latte è una mostra sulla perdita e gli abbandoni, su quello che resta, sugli oggetti che ci sopravviveranno, su vuoti scenari, avamposti artici e deserti. Sulle ossa e scheletri, sulle conchiglie e sassolini e molliche del pane. Sulle immagini che affiorano dalla memoria e poi sbiadiscono, o che proiettiamo sullo spazio ancora vergine del cervello, sullo sconfinato del foglio o della tavola. Sullo stupore abbagliante della visione, sul suo impedimento a tratti invincibile e sul candore tattile dei materiali, ora luccicanti come cristalli o stelle, ora opachi polverosi volatili come calce e gesso. E contatto con purezza levigata irreale di marmo. Opalina liquidità dell'occhio.

Bianchi evanescenti e impalpabili come nebbia o nuvola, materni come latte uova farina zucchero, aspri respingenti come lame. Il ritorno a casa e il panorama sconosciuto, l'essenza ultima interna delle cose e il velo che le occulta e bagna e copre lasciandone intuire a tratti le forme. Si sta come sospesi tra un bianco che acceca mangia corrode e uno che è rivelazione e carezza. Che il bianco porta sempre con sé un tentativo di orientamento, reazione al labirinto assoluto, quello dove non abbiamo più coordinate, sperduti in uno spazio infinito. Galleggianti come astronauti. Luogo incerto illimitato immenso da cui partire e a cui ritornano le cose, condizione estrema, superficie pura. Polvere e luce. Ancora a inseguire bagliori intermittenti.

Margine, limite imposto a cui si chiede di raccontare il mondo tutto o quasi, attraverso una visione fallimentarmente enciclopedica, contraddittoria perché affidata adun colore che spesso si associa all'assenza, al grado zero o tabula rasa, eppure capace di abbracciare l'intero spettro delle emozioni e percezioni. Che tiene la morte così come la visione angelica, l'astrazione estrema raggiunta per via di levare e la carta geografica o la pagina che aspetta la scrittura; il freddo glaciale siderale e il caldo accogliente del nido e bambagia e lenzuola pulite profumate fresche. Tra rapimenti scoperte e catalogazione ossessiva autistica.

La mostra si divide in sei sezioni, tutte riconducibili al bianco, umore che governa il progetto, declinato e ramificato attraverso diverse temperature e intensità che corrispondono ad echi vocazioni identità dei singoli musei che, per empatia affinità, chiamano ed accolgono il lavoro degli artisti a creare una sorta di doppio racconto o riflesso. Una trama che diventa narrazione, stratificazione di significati e immagini che si congiungono e collegano per corrispondenze e contrasti. Gemmazioni. Crescite.

Sogni e memorie alle Cappuccine di Bagnacavallo, unica pinacoteca tra i musei coinvolti ad ospitare una galleria che dal medioevo arriva sino al novecento, è della pittura e a questo linguaggio è affidata l'apertura e il racconto di questa sezione, sequenza di immagini e finestre, processione di lampi e bagliori da un mondo perduto. Se la fotografia è sempre la scena di un delitto che blocca congela uccide, la pittura apre invece e scardina e fa il tempo esploso, ci raggiunge e chiama da un'altra dimensione, offre uno spazio altro che ha sempre a che fare con il ricordo mobile e instabile di una visione. Ferita, smagliatura del tessuto che ci permette di entrare accedere ad una specie di realtà parallela, che non si dà facilmente e va come ascoltata. All'improvviso, talvolta, risucchiante distanza. Che la pittura aspetta e il movimento è il nostro e nostra la proiezione sul quadro.

A Fusignano al San Rocco e Suffragio Geometrie e altre meraviglie della natura e crescita. Uno sguardo nostalgia attraversa molte delle opere di questa mostra: una rappresentazione della natura che diventa, nella ripetizione mantra, cura e preghiera, filtrata da un fare artigianale lento a farne un diario dei giorni. Le materie, le tecniche e i modi di fare acquistano allora un significato particolare, domestico, dettano ritmo e cadenza - disegno cucito ceramica mosaico - quasi a intonare una litania perpetua, un canto delle ore oscillante tra due poli, uno cristallizzato in geometrie, dove il dato naturale sembra venire addomesticato, l'altro fatto di andamenti più curvilinei e sensuali e procedenti per accumuli e sviluppi imprevedibili caotici. Onde e sciami e ventosità.

Le targhe devozionali e l'ex ospedale ottocentesco che le ospita ci parlano di un luogo di guarigione, e allora ecco la natura riparatrice, la terapia. Prima madre a cui tornare, che accoglie e mangia, crudele e sotto attacco. Un timore. Da proteggere e difendere, con riti anche, e il cucire e un disegno decorativo ossessivo sono strategie e sortilegi per capovolgere il mondo, o salvarlo, per comprendere l'ordine segreto e la regola e numero che lo governa. Per raggiungere un equilibrio e quiete. Respiro che contempla morte e rinascita, tra ordine, sviluppo matematico e improvvise accelerazioni tumorali barocche. Griglie, strutture e sinuosità vegetali.

Ad Alfonsine Innesti, in quello che non è solo un museo di guerra ma una raccolta di storie e genti che racconta del fronte sul fiume Senio e della distruzione avvenuta ai danni dei paesi affacciati; questa mostra parte da una piccola sezione che conserva un gruppo di oggetti lasciati indietro e abbandonati dopo il passaggio degli eserciti. Oggetti militari che gli abitanti hanno poi riutilizzato mettendo in pratica un atteggiamento in bilico tra la decontestualizzazione del ready-made e lo sguardo iconoclasta che cambia di significato alle cose, senza negarle del tutto, infischiandosene della loro funzione, per necessità certo, per felici intuizioni dettate dal bisogno e povertà, eppure resta sottotraccia qualcosa in più, un destino beffardo delle cose, un'amara ironia di fondo. E allora un elmetto nazista diventa un badile per raccogliere letame, una cassetta metallica contenente armi si trasforma in stufa, una griglia metallica per decolli su terreni fangosi dà il là ad una serie di cancelli visibili tuttora in Romagna. Una poetica del riciclo e riutilizzo che non è distante dalla ricerca di molti artisti che operano veri e propri innesti a partire da un alfabeto frammentato di oggetti. Rifare mondi a partire da cose già esistenti, rinominarle con nuovi assemblaggi e relazioni inconsuete a risignificarle, spostarle e riportarle in vita. Talvolta congelate in una frigida ibernazione lattiginosa.

Dall'attitudine vorace e bulimica di Varoli che trova raccoglie conserva reperti e chincaglierie (ancora una volta il collezionismo) muove la mostra di Cotignola: Archeologie. Tra il biancore lapideo glaciale del marmo e pietra, e quello osseo animale minerale cartilagineo di un bestiario bambino: fossili, impronte, corpi velati, superfici scheggiate, paesaggi intrappolati e misteriose città affioranti, fotografie da albori corrose e svanenti, e una scultura che si fa mappa, sito visto dall'alto, soglia e discorso sul tempo. Mondo scoperchiato da uno scavo, con luce che inonda rivela. La mostra abbraccia e si estende a tutto il museo in un vero e proprio cortocircuito tra collezioni e opere contemporanee.

A Lugo Esplorazioni e avventure. Anche se il museo non viene coinvolto direttamente, la figura eroica dell'aviatore Francesco Baracca aleggia, indica e traccia un possibile percorso a cui si affianca un altro fantasma di lughese illustre, quello di Agostino Codazzi cartografo e geografo e rivoluzionario. S'impone allora uno sguardo a volo d'uccello, un occhio belva che vede fruga ruba, una prospettiva aerea sulle cose; e poi la dimensione della scoperta e avventura, tra l'infimo quotidiano e l'esotico improbabile sorprendente. Indagine condotta principalmente dalla fotografia, linguaggio che, nonostante tutto, è ancora il mezzo più credibile a cui affidarsi per trafiggere la realtà. E poi il disegno, sguardo immaginifico.

Infine Massa Lombarda, Regni bambini, il tutto e niente dell'infanzia e la collezione Venturini, sorprendente raccolta fuori tempo massimo di naturalia e mirabilia; un accumulo simile a quello del fanciullo che riempie le sue tasche delle cose che trova e incontra nelle sue scorribande, un catalogo di possibilità e giochi, un abecedario del mondo.

E poi la pinacoteca a chiudere idealmente il cerchio con l'inizio di E bianca rappresentato da Bagnacavallo. Oltre alle raccolte questa sezione coinvolge anche il Centro giovani con una narrazione affidata a molteplici linguaggi che ci restituiscono un universo lieve e incantato, capace di affondi e inquietudini.

E se il museo è il bianco e il territorio ancora da scrivere, questa mostra plurale è allora il disegno che aspira ad essere mappa, tentativo di mettere le cose in relazione e stabilire rapporti, di tracciare nuove linee e traiettorie che triangolano punti sparsi nello spazio devastante. Una costellazione, una collana di perle e denti e lucine, un catalogo infinito. Un museo dell'innocenza.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 18 [2012 - N.45]

Fino al 26 maggio al Museo Nazionale di Ravenna una mostra fa dialogare arte musiva antica e contemporanea

Cetty Muscolino - Direttore Museo Nazionale di Ravenna

La mostra, curata da Giovanni Granzotto e Antonella Ranaldi, offre al vasto pubblico l'opportunità di avvicinarsi all'arte musiva contemporanea attraverso le opere - dipinti e mosaici - degli artisti più rappresentativi del XX e XXI secolo e vuole altresì essere un omaggio al novantunenne Riccardo Licata.
Licata, di origine siciliana, nato a Torino e cittadino di Parigi, è un artista a tutto tondo che affascina per la sua umana cordialità e l'entusiasmo di un fanciullo. Giunto a Parigi nel 1957 con una borsa di studio si fa presto apprezzare per la sua versatilità, all'età di ventotto anni assiste Gino Severini nell'insegnamento presso l'Ecole d'Art Italienne e dal 1961 al 1995 è docente di mosaico presso l'Ecole Nazionale de Paris. Nel 1954 il comune di Genova aveva bandito un concorso per la realizzazione di un ciclo musivo per decorare il Palazzo della Regione. Dal momento che il regolamento ammette un solo progetto per artista, Licata è indeciso se orientarsi verso l'astratto o il figurativo. Ricorre allora a un singolare espediente e, inventandosi uno pseudonimo, partecipa con ben due opere che poi si collocheranno al primo e al secondo posto nella graduatoria. Gli verrà affidata la realizzazione dei dieci mosaici figurativi che ancora oggi si possono ammirare.
Licata è un artista costantemente affamato di esperienza e di conoscenza e, senza prediligere una tecnica rispetto a un'altra, persegue un disegno creativo completo dove i vari strumenti pratici sono mezzi per diffondere nel modo più ampio e vario la sua vena artistica, la sua visione del mondo. La sua arte non è imbrigliata in recinti perché non considera una musa seconda a un'altra, come dichiara in un'intervista: "Per quanto mi riguarda, dipinti e mosaici hanno la medesima importanza, così come gli acquarelli o le incisioni; non le considero arte maggiore o minore come le definiva una certa critica deficiente. I mosaici sono per me eccezionalmente interessanti".
L'articolato linguaggio segnico-simbolico che viene via via elaborando e che diventerà la sua cifra distintiva mostra tutta l'energia dei moti interiori che vengono veicolati, senza preferenze, dal disegno e dalla pittura sui più svariati materiali, dall'incisione in tutte le sue derivazioni, dalla scultura, dai rilievi in bronzo e in vetro, dagli arazzi, dai gioielli e dal mosaico. La sua creazione è caratterizzata da una singolare facilità nell'esecuzione: quando disegna si immerge a capofitto nella carta e, assorto nella sua attività come in uno stato di trance, muove serratamene matite e pastelli sulla superficie e in maniera quasi automatica compone, modifica e sovrappone vari piani prospettici, trasferendo di getto le sue impressioni e le assonanze musicali in una mirabile composizione. La leggerezza e la libertà espressiva di Licata non vengono meno nel passaggio dalla pittura al mosaico, dove la ricerca cromatica lo porterà a concentrarsi sull'alternanza di poche tinte primarie, sull'accurata selezione dei materiali, sulla predilezione di tessere di grande dimensione e spessore.
La sua scrittura quasi stenografica o automatica, i cui segni ricordano pittogrammi cretesi, ittiti, o ideogrammi cinesi, è duttile e lontana da stereotipi. È una lingua in continuo divenire che si appoggia al colore e allo spazio ed evoca il suono; ogni frase può essere pronunciata una sola volta perché non descrive immagini o concetti noti, ma realtà e verità personali, e ogni segno è carico di qualità evocative e simboliche.
In mostra si possono ammirare opere di Afro, Basaldella, Capogrossi, Celiberti, Ciussi, Deluigi, Dorazio, Paladino, Pizzinato, Santomaso, Severini, Emilio Vedova... e mosaici di Babini, Bravura, De Luca, CaCo3, Galli, Marzi, Racagni...
L'esposizione vuole altresì aprire un dialogo fra l'arte musiva contemporanea e quella antica, attraverso le importanti testimonianze del Museo Nazionale di Ravenna. Un confronto stimolante che induce a riflettere quanto abbia significato per molti artisti mosaicisti la conoscenza dei mosaici della città. La genesi dei mosaicisti formatisi nell'ambito di Ravenna si pone proprio nel rapporto che questi artisti hanno avuto con le testimonianze musive ravennati. È stato infatti per la necessità di riparare queste opere che gli artisti-restauratori a partire dai primi del Novecento hanno dovuto penetrare nel cuore dei mosaici per recuperare un'arte perdutasi nel tempo.
Solo da una profonda conoscenza può scaturire infatti la possibilità di andare oltre e il restauro e l'approccio diretto con i mosaici del V e VI secolo è stato per molti artisti la via regia per comprendere lo spirito del mosaico antico, acquisirne la magistrale lezione per poi declinarla liberamente là dove li spingeva l'estro creativo.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 18 [2013 - N.46]

Il dialogo sperimentale secondo il Museo Carlo Zauli di Faenza

Cristina Casadei - Curatrice MCZ di Faenza

Coloro che vengono al Museo Carlo Zauli restano affascinati dall'atmosfera del luogo. Di certo perché porta i segni della storia importante di uno scultore che vi ha realizzato tutti i suoi lavori fin dal 1949, ma anche perché in questi luoghi, anche dopo la sua scomparsa, si continua a respirare una vivacità laboriosa e creativa.
Ci piace definire il nostro come un luogo di sperimentazione, per gli eventi proposti, le attività didattiche, la fitta programmazione volta al sostegno del territorio, l'itinerario senza frontiere dedicato a Carlo Zauli, ma soprattutto per l'uso della ceramica. MCZ affronta infatti le attualità dell'arte attraverso un mezzo espressivo antichissimo, eredità lasciataci dallo scultore scomparso, reinterpretato ogni volta in modo inedito dagli artisti che, seguiti da maestri ceramisti, si trovano a sfidare le regole della materia.
Marco Tagliafierro, curatore milanese con cui collaboriamo da due anni, parla ora di noi su Art*Text*Pics, uno dei blog più seguiti in Italia per l'arte contemporanea, citando Aida Bertozzi, la nostra ceramista, e altri artigiani che come lei: "... sono abituati al confronto con gli artisti e sono soliti considerare il loro ruolo non come quello di un mero operatore, anzi, cercano, piuttosto, lo scambio, il confronto sincero, che diventa la doppia mandata; la visione, spesso, distante dalla tecnica, propria dell'artista contemporaneo, stimola l'artigiano a trovare nuove tecniche o metodologie...". Si parla di noi per una mostra appena inaugurata a Milano, dedicata al lavoro di Luca Monterastelli che si è cimentato direttamente con la ceramica, da lui poi unita ad altri materiali, con risultati sorprendenti.
Negli anni non ci siamo mai sottratti allo spirito di ricerca e sperimentazione degli artisti, rispettando il loro approccio ingenuo alla materia, che ci ha posto davanti a sfide che normalmente il ceramista non ha in mente di affrontare. Abbiamo ignorato regole, fragilità, dimensioni, geometrie, strutture complesse, inventando soluzioni, affrontando delusioni e ripartendo da zero.
È forse anche per questo spirito che istituzioni prestigiose italiane come Via Farini a Milano e Fondazione Bevilacqua La Masa a Venezia collaborano con noi, inviandoci artisti appositamente selezionati per la sfida ceramica. Ed è forse anche per questo che artisti importanti raccolgono il nostro invito in residenza nonostante i bassi budget e la location decentrata: sono ben 4 gli artisti presenti nella nostra collezione protagonisti della 55 Biennale di Venezia: Piero Golia e Sislej Xhafa al Padiglione Italia, Yuri Ancarani e Diego Perrone all'interno di Palazzo Enciclopedico a cura di Massimiliano Gioni.
Sfide ed esperimenti che avvengono in modo diverso e senza certezza negli esiti, ma che danno enormi soddisfazioni, visibili nelle nostre sale e dal 2014 esposti in altri luoghi italiani, tangibile testimonianza in continuo divenire.
Attualmente, oltre a lavorare su una grande installazione di angurie in ceramica per Maura Biava, artista italiana trasferita in Olanda, la nostra ceramista sta sviluppando il progetto di Lorenzo Commisso, vincitore del bando indetto da MCZ per gli atelieristi di Bevilacqua La Masa. È possibile realizzare un 33 giri in ceramica e farlo suonare con una puntina da dischi? Nei nostri laboratori girano copie di Cheap Imitation di John Cage, e solo a ottobre, durante la Settimana del Contemporaneo, sapremo cosa Lorenzo e Aida saranno riusciti a realizzare.
Dal 2010 inoltre, per ampliare i nostri orizzonti tecnici e osare nuovi esperimenti, ospitiamo maestri internazionali per workshop e open studios. A luglio 2013 avremo Marc Leuthold, ceramista sorprendente i cui pezzi sono esposti anche al Metropolitan di New York.
Con i progetti itineranti sull'opera di Carlo Zauli e con quelli legati alle Residenze d'Artista siamo entrati a pieno titolo nel circuito principale dell'arte contemporanea, pur facendo orgogliosamente parte, attraverso il Sistema Museale Provinciale del patrimonio culturale del nostro territorio. Per tutti gli appuntamenti con MCZ: www.museozauli.it/agenda/

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 18 [2013 - N.47]

Direttore del MIC di Faenza per oltre venti anni, ha dato un forte impulso allo studio della ceramica di cui rivendicava l'autonomia espressiva

Claudio Casadio - Direttore Pinacoteca Comunale di Faenza

All'improvviso, dopo aver postato un ultimo messaggio su Facebook, nel maggio scorso è morto Gian Carlo Bojani. Da qualche anno aveva lasciato Faenza per tornare nelle Marche, dove era nato, ma la sua vita è strettamente legata alla ceramica e al Museo Internazionale faentino.
Nato nel 1938 a Fano si era laureato a Firenze e poi specializzato all'Istituto Superiore di Studi Medievali dell'Università Cattolica di Louvain in Belgio. Arrivato a Faenza nel 1974 era diventato direttore del MIC nel 1979 per mantenere tale incarico fino al 2001. Sono stati gli anni in cui si è realizzato gran parte del progetto del nuovo Museo faentino, che ha ora superato i 10.000 metri quadrati espositivi, e in cui oltre a organizzare tante mostre - spesso a grande carattere internazionale come quella del Raku - si sono realizzate molteplici iniziative nel mondo della ceramica. Gli impegni maggiori di Bojani come direttore del Museo sono stati forse quelli relativi al Concorso Internazionale delle Ceramiche, allo sviluppo della sezione restauro, alla catalogazione con la realizzazione delle serie di volumi monografici sulle opere del Museo, alla direzione della rivista Faenza.
Nel campo degli studi ha realizzato più di 400 pubblicazioni dedicate nella quasi totalità alla ceramica. In lui, che come diceva spesso aveva incorporato il "bacillo" della ceramica grazie alla città di Faenza, gli studi ceramologici avevano un carattere totale, nel senso che non credeva nelle specializzazioni estreme ma nella storia della ceramica in quanto tale. Dimostrando capacità di interessi molteplici, la maggior parte dei suoi studi, o in ogni caso le sue maggiori passioni da studioso, sono state dedicate alla ceramica arcaica del Trecento, per il cui studio ha ricevuto l'ultimo suo incarico universitario da Ferrara, e alla ceramica del Novecento. Il suo impegno maggiore è stato dunque quello di mantenere viva l'attenzione sulla specificità ceramica, continuando gli studi di Ballardini e Liverani, ma rafforzandola nel confronto con tutta la produzione artistica e le grandi vicende della storia.
Nella ceramica, o meglio nella maiolica, vedeva riflessa tutta la storia regionale e nazionale e nello stesso tempo rivendicava per la tradizione e l'arte ceramica l'autonomia espressiva. Non a caso proprio in uno degli ultimi suoi articoli pubblicato nella rivista D'A scrisse sull'arte ceramica che è diventata "talmente grande nella contemporaneità che di tante opere non è più nemmeno importante rendersi conto che sono di ceramica, talmente esprimono una autonomia espressiva pur originata da materiali e tecniche".
Quanto sia stato importante il suo impegno negli studi e nella ricerca faentina lo potrebbero dimostrare centinaia di episodi, testi e citazioni. Tra tutto quanto, in una scelta quasi casuale, può essere sufficiente ricordare quanto scrisse Sauro Gelichi nell'introduzione a una sua pubblicazione del 1992. Per il docente di Archeologia medievale dell'Università di Venezia, allora giovane ricercatore concretamente impegnato nelle campagne di scavo per la Soprintendenza, "Faenza, il suo Museo, la sua Biblioteca e, soprattutto, il suo direttore" erano una conoscenza unitaria ricordata "con un misto di ammirazione e soggezione". Quando ci fu una prima importane occasione di indagine "Il Museo Internazionale delle Ceramiche, e il suo nuovo direttore, fu in quella, come in altre successive situazioni, particolarmente sensibile all'esigenza di dare alla ricerca una diversa svolta metodologica, aderendo all'idea di affrontare lo scavo con metodo stratigrafico e fornendo ad esso tutto il supporto logistico possibile".
Gian Carlo Bojani è stato anche redattore di questa rivista del Sistema Museale della Provincia di Ravenna e al termine della sua esperienza faentina ha diretto i Musei Civici di Pesaro. Attualmente era coordinatore di Casa Raffaello a Urbino dove negli ultimi due anni aveva ospitato due mostre dedicate agli artisti faentini Alfonso Leoni e Guido Mariani.

Personaggi - pag. 18 [2013 - N.48]

La collezione contemporanea del Museo Carlo Zauli in mostra a Venezia fino al 4 maggio

Cristina Casadei - Museo Carlo Zauli Faenza

Per la prima volta la collezione contemporanea in ceramica del Museo Carlo Zauli di Faenza esce dal museo e diventa una mostra, inaugurata il 2 aprile a Palazzetto Tito, sede della Fondazione Bevilacqua La Masa Venezia, e a cura di Stefano Coletto, della FBLM, e Matteo Zauli, direttore del MCZ.
È davvero un grande riconoscimento che un'istituzione, il cui programma di residenze è fra i più antichi d'Europa, compie verso il nostro lavoro con gli artisti e la ceramica. FBLM è una delle maggiori istituzioni italiane dell'arte contemporanea, nata nel 1898 da un lascito testamentario con il preciso scopo di dare spazio alle ricerche artistiche giovanili, integrandole al suo ruolo di sede espositiva di fama internazionale. La collezione Zauli, cresciuta negli anni attraverso il progetto curatoriale Residenza d'Artista MCZ e le altre collaborazioni con gli artisti, vanta nomi di fama nazionale e internazionale, ma anche di giovani. Artisti diversissimi uniti dal comune denominatore della ricerca: ognuno di essi infatti ha incontrato con noi la ceramica per la prima volta o quasi, portando il mezzo espressivo della tradizione locale a una visione completamente inedita. È infatti la sperimentazione l'aspetto con cui il MCZ ha portato avanti in questi dodici anni il lavoro con artisti, insieme ad artigiani ceramisti faentini, e studenti del territorio e delle accademie italiane, in esperienze ogni volta nuove ma sempre di larga condivisione.
Scrive Angela Vettese nelle note introduttive del catalogo che accompagna la mostra "... Ne è nata una collezione in fieri non soltanto di opere, ma anche di atteggiamenti estetici e di relazioni umane, nel continuo dialogo tra artisti più o meno giovani e maestri specifici della tecnica. Se qualcosa di simile potesse accadere anche a Vietri, Deruta, Grottaglie e tutti i luoghi italiani di produzione ceramica, se addirittura questo si estendesse a un know how del vetro, del legno, del marmo, di tutto il campo della decorazione così a lungo demonizzato e isolato, il nostro paese si potrebbe trovare con molte frecce al suo arco per rinnovare una traduzione del ben fatto che ci appartiene da sempre. Ma che non può che rinsecchire, se lasciata a se stessa e senza l'aiuto di quello sguardo strabico, barbaro, indagatore, ingenuo, curioso e dunque innovatore che è, appunto, quello degli artisti".
Questa esclusiva collettiva presenta ventinove opere di ceramica realizzate da altrettanti artisti e il titolo "in forma di ceramica" allude all'invenzione creativa che, da una parte, trova ispirazione nelle caratteristiche straordinarie di un materiale nobile, dall'altra, si scontra con i limiti spesso imprevedibili che esso pone; il risultato del processo è tensione e stupore, concretezza e leggerezza di un pensiero che, materializzandosi, si maschera di forme.
La mostra, che si apre al piano terra di Palazzetto Tito con Edison Clouster, grande installazione con ceramica, neon e lampadine di Luca Trevisani, ospita nelle sale al piano superiore opere che vanno dalla grande e celebre Madonna di Alberto Garutti, al "non-vinile" di Lorenzo Commisso, disco in ceramica ascoltabile sul suo giradischi, fino allo stuzzicadenti in terracotta realizzato da Sislej Xhafa nel 2006, ai coriandoli multicolori in grès di Eva Marisaldi e agli esiti delle ricerche scientifiche di Frosi e Perrone con il CNR.
In occasione dell'evento è stata edita una pubblicazione a cui hanno collaborato Daniela Lotta, Guido Molinari e Marco Tagliafierro, curatori di alcune delle edizioni di Residenza d'Artista MCZ.
Tanti gli artisti esposti: Yuri Ancarani, Salvatore Arancio, Sergia Avveduti, Maura Biava, Lorenza Boisi, Pierpaolo Campanini, Gianni Caravaggio, David Casini, T-Yong Chung, Lorenzo Commisso, Frosi-Perrone, Alberto Garutti, Francesco Gennari, Giovanni Giaretta, Piero Golia, Simon Mcgrath, Eva Marisaldi, Mathieu Mercier, Maurizio Mercuri, Luca Monterastelli, Bruno Peinado, Chiara Pergola, Marco Samorè, Daniel Silver, Luca Trevisani, Davide Valenti, Daniele Veronesi, Sislej Xhafa, Italo Zuffi.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 18 [2014 - N.49]

Il Museo ravennate si arricchisce della preziosa collezione "Valentina Accame" segnando un ulteriore importante traguardo

Graziella Gardini Pasini - Piccolo Museo di Bambole e altri Balocchi di Ravenna

Il Piccolo Museo di Bambole e altri Balocchi ha aperto le sue sale al pubblico il 7 dicembre del 2006, incontrando da subito la curiosità e l'interesse, oltre che della cittadinanza, delle scuole e soprattutto dei sempre più numerosi turisti che aggiungono ai loro itinerari anche questa, per certi versi inusuale, meta.
In questi anni il materiale esposto è notevolmente aumentato sia in termini numerici che di valore collezionistico. Sono stati inseriti alcuni pezzi particolarmente difficili da reperire ma importanti per l'allestimento di un corretto e preciso percorso museale che partendo dal 1850 giunge al 1950, ripercorrendo la storia del giocattolo più famoso con pezzi delle marche più note, ma anche con pezzi unici o semplicemtente curiosi. Inoltre il Museo ha ricevuto da privati svariati esemplari di giocattoli, bambole e bambolotti che man mano sono stati inseriti nel percorso museale secondo un preciso metodo che rispetta il periodo di fabbricazione, i materiali utilizzati, i marchi di fabbrica.
Per le sue caratteristiche, tre anni fa il Museo ha ricevuto dalla Regione Emilia-Romagna il riconoscimento di "Museo di Qualità". Nel 2013 è stato pubblicato anche un nuovo catalogo, inserito nella collana "Monografie" curata ed edita dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna.
Per questa struttura, il 2014 ha segnato un nuovo traguardo, qualcosa di veramente straordinario. Alla sua titolare Graziella Gardini Pasini, alcuni mesi fa, è stata offerta una donazione di oltre 800 bambole da parte di una famiglia genovese. Si tratta di un'intera collezione frutto di un'accurata ricerca realizzata dalla signora Valentina Accame. Ai primi contatti sono seguiti scambi di telefonate, la visita al Museo di un membro della famiglia e l'invio delle fotografie di tutta la collezione.
Una proposta così allettante e di grande soddisfazione, che ripaga degli sforzi tenacemente profusi dal Museo - di proprietà privata e uno dei pochi in Italia dedicati alle bambole - nel promuovere la cultura del giocattolo, ha richiesto il massimo impegno.
Dopo un periodo di accordi per fare coincidere le date di disponibilità, sono state fissate le giornate per organizzare il trasporto di tutto il materiale da Genova a Ravenna. Quattro facchini specializzati di una nota ditta di trasporti che non a caso ha il nome "Cristoforo Colombo"  hanno perfettamente fasciato, inscatolato e caricato le bambole sotto gli occhi emozionati dei donatori e di chi riceveva questa preziosa collezione raccolta in tanti anni con amore, passione e competenza.
Ora queste belle pupe dagli occhi lucenti, dalle ciglia folte, dai capelli biondi e bruni, dagli abiti a trine e a pizzi e nastri di seta escono dalla carta e dall'ovatta in cui sono avvolte per ricevere una nuova collocazione.
Le bambole di panno, le famose "Lenci" di Torino che hanno fatto sognare varie generazioni di bambine di tutto il mondo, sono state le prime a essere collocate nelle teche del Museo e sono già esposte per il piacere dei visitatori. Fra di esse vale la pena segnalare una bambola "Modello 109" del 1926 e una rara bambola con la bocca dipinta atteggiata - diversamente dalle tipiche bambole Lenci con espressione imbronciata o tutt'alpiù sorpresa - in un sorriso. Particolarmente graziosa è inoltre una bambola della serie "Mascotte" con il viso stupito visto che sulla testa le è "caduto" un gattino.
Nella collezione non mancano bauletti contenenti corredini per bambole di varie epoche, completi da lettini e culle. Fra gli abiti, anche una divisa da Balilla completa di fez, che potrà far mostra di sè accanto a una bambola già presente al Museo vestita da Piccola Italiana. Una piccola scatola non più grande di una mano di bambino, foderata di seta grigia contiene un servizio da toeletta per la bambola: pettini, spazzole e specchio realizzati in avorio e perfettamente conservati.
Mentre alcuni oggetti sono in miniatura altri sono a grandezza naturale. Alcuni bebè di terracotta dalle espressioni sorridenti e dalle guance rubiconde hanno le dimensioni di un bimbo vero; con le loro braccia tese, i dentini bianchi che fanno capolino tra le labbra rosse semiaperte suscitano ricordi lontani di giochi e desideri.
Piccola, ma particolarmente curiosa per il dettaglio della realizzazione, una scatola a forma di edificio la cui apertura del tetto e di una parete rivela un'insegnante con la sua classe di sei alunni seduti ai banchi davanti ai loro libri. Completano l'ambiente la cattedra, il pallottoliere, la lavagna.
Un pannello informerà presto i visitatori che tutte le bambole contrassegnate da un cuoricino di panno rosso appartengono alla collezione "Valentina Accame" gentilmente donata a suo ricordo. A completare questo lascito sono state donate due casse di libri che andranno a incrementare il posseduto già esistente della biblioteca del Museo, che vanta circa quattrocento volumi riguardanti la letteratura classica per l'infanzia e l'adolescenza, stampati in varie epoche e lingue. Si tratta di testi specifici sulla storia delle bambole e del giocattolo che offriranno un motivo in più agli "addetti ai lavori" per visitare il Museo.
Proprio sul lato scientifico il Museo si sta adoperando per studiare, riconoscere, datare i pezzi, soprattutto i più rari, prima di esporli al pubblico.
In realtà il Museo, che è ancora denominato "piccolo", non può più essere considerato tale. Purtroppo per la totale impossibilità di ampliare gli spazi espositivi dell'attuale sede, divenuti insufficienti con l'arricchirsi continuo delle collezioni, non tutte le bambole che da Genova sono giunte a Ravenna potranno essere esposte. Per ora avverrà una sorta di rotazione, ma è assolutamente auspicabile una sede più ampia che possa permettere una completa visione di tutto il materiale.
Ravenna, famosa per i suoi mosaici, per le basiliche bizantine e teodericiane, per la sua cinta muraria, per l'acqua del mare che giunge insospettatamente fino in città, possiede tanti altri piccoli grandi tesori che chiedono solo di essere scoperti e adeguatamente valorizzati a tutto beneficio della comunità e della cultura ravennate.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 18 [2014 - N.50]

"Selvatico. Tre" è un originale percorso sul tema del volto che fino a febbraio 2015 collega musei e spazi espositivi della Bassa Romagna

Massimiliano Fabbri - Curatore del progetto Selvatico

Le molte mostre attraverso cui si estende e articola il progetto, tutte ricondotte al volto, sono abbracciate dal titolo Una testa che guarda. Il volto è l'immagine che guida e governa una mappa che congiunge luoghi, storie, memorie e collezioni che caratterizzano e distinguono i nove paesi che insieme hanno contribuito al formarsi di questo episodio di Selvatico, geografia dell'arte che colloca il suo punto di osservazione in provincia, occupando uno spazio ai margini e facendo di questa sorta di isolamento il suo centro e forza propulsiva. Selvatico gioca a scoprire e svelare affinità e incastri tra mondi. E si nutre del contrasto per vedere meglio; per questo si sviluppa in percorsi plurali che si allargano e intrecciano, in continua oscillazione e alternanza, punti di vista differenti e molteplici.
Una testa che guarda, immagine doppia che rende esplicita la relazione che si instaura nell'atto del vedere e, contemporaneamente, dell'essere visti, è la terza tappa di questo progetto, che presenta molte novità rispetto alle edizioni passate, su tutte l'arco temporale che da novembre si estende sino a febbraio 2015, in un susseguirsi di mostre e appuntamenti che, pur se differenti per temperatura e tipologia di narrazione, si iscrivono tutte dentro al comune paesaggio costituito da questo composito volto plurale; una mostra di facce e volti e teste molte, una foresta di sguardi in cui perdersi e riconoscersi.
La vocazione al contemporaneo e alla costruzione di mondi di Selvatico, si rivela attraverso una mostra, Il buco dentro agli occhi o il punto dietro la testa, divisa in tre sezioni e musei, che coinvolge ventotto autori che indagano su cosa significhi oggi guardare ancora al volto e restituirlo attraverso la pratica della pittura e disegno. Mettendo una testa al centro della ricerca, e dandogli spazio. Del volto come paesaggio e scenario: da qui si parte per inseguire differenti modi di vedere che si misurano tutti con il tema per eccellenza, una testa, suo tradimento compreso.
Un volto impigliato sulla superficie come condensazione e residuo, scrittura del tempo che si deposita sulla pelle, rintracciabile nella conformazione ossea e forma esatta dell'occhio, nella linea delle labbra o nei sentieri circolari dell'orecchio. Volto affrontato come campo di battaglia, panorama mai del tutto raccontato pienamente, luogo familiare e sconosciuto; o ancora perimetro del già detto, anonimo e invadente fantasma che si ripresenta con ripetizioni e varianti, presenza ossessiva e tenace da assediare e forzare per tornare a vedere ancora. Immagine quasi inafferrabile, in bilico tra la percezione di trovarsi di fronte a una nuvola vaga e illimitata, e uno sguardo perduto nel dettaglio, incapace di ricomporre una visione d'insieme. Il volto è il luogo del contrasto, bellezza spesso violata, mistero vergine e genere al tempo stesso; simmetria perfetta e deformazione. Imparentato alla divinità, così potente e accusante per la sua capacità di guardare e vederci a sua volta. Maschera e strumento. Accademia e furia iconoclasta.
Il titolo che contiene e attraversa le tre sezioni della mostra, sembra aprire, da un lato a questa capacità attrattiva e catturante del volto, dall'altro quasi a voler spostare il centro dell'attenzione fuori da questo profilo e scatola, a favore di un punto imprecisato, esterno; potenziale condizione d'invisibilità, come se il guardare portasse con sé l'oblio e una sorta di accecamento temporaneo. Profondità interne che inghiottono come gorghi, sotto gli strati della pelle, giù, dentro la notte interna, attraverso l'imbuto dell'occhio, occhio soglia, membrana che apre e chiude al mondo. E qualcosa che sfugge e sembra non potersi iscrivere nella faccia, e si colloca dietro, fuori, di là, come se il volto solo non bastasse, oppure fosse troppo, troppo violento da sopportare e sostenere con lo sguardo, e occhio che scarta e si volge altrove.
Questa mostra riparte dallo sguardo che prova a riscrivere o ritrovare sul volto, tracce di questa babele di significati ed echi, con l'ingenua speranza, forse, di abbandonarli e dimenticarli a favore di una visione più forte e nuova, di esattezza primitiva. Un grande specchio infranto che ci restituisce più modi di vedere e riflessi di questo volto labirintico; ripartendo da alcuni nomi già visti nei precedenti episodi, richiamandoli in causa e innestando, su questa lista, una serie di artisti che per la prima volta espongono nei nostri musei, tutti a misurarsi con il problema del volto e della sua rappresentazione, bellezza capace di portarci via, ancora.
Cacciatori di teste è una chiamata che si concretizza in un fitto ed esteso museo temporaneo composto da una moltitudine di ritratti e teste provenienti da raccolte private; a partire da alcune tra le più interessanti collezioni presenti sul territorio, una quadreria capace di condensare il meglio del volto dipinto, ricercato, inseguito e raccolto dal collezionismo locale, da Luigi Varoli ai giorni nostri. Un vero e proprio mosaico di sguardi, uno specchio che non si limita a riflettere un punto di vista univoco o a rilanciare esclusivamente la narrazione sui più importanti autori romagnoli della prima parte del secolo scorso, ma che tiene conto di un arco cronologico più ampio, per rendere giustizia ai diversi sguardi e percorsi dei collezionisti coinvolti; raccontando curiosità, innamoramenti, ossessioni e traiettorie di chi ha effettivamente costruito negli anni queste preziose raccolte. Come un articolato museo immaginario che si apre e svela, schiudendo sorprese e visioni, museo arbitrario e imperfetto, effimero e incompiuto, non rispondente tanto a criteri scientifici ma piuttosto governato da suggestioni, sensibilità e affinità elettive. Eppure crediamo che questa mostra sia capace di integrare ed estendere la ricerca e lo studio sui luoghi, memorie e presenze, portata avanti dai nostri musei e istituzioni, creando una mappatura di ciò che è stato e continua a essere, e cresce, si accumula e stratifica.
Lo scudo di Perseo è un progetto che guarda al ritratto come pratica ancora potente per un discorso ininterrotto sulla condizione umana, non poteva non confrontarsi con quello che avviene nella ricerca fotografica. Ripartendo da quella che fu la prima mostra di Selvatico, nel 2006, è stato chiesto ai fotografi Daniele Casadio e Michele Buda di riprendere e ripensare quell'esperienza, non solo esponendo produzioni realizzate a partire dal tema della testa che guarda, ma di estendere e allargare l'invito chiamando altri autori che si collegano al discorso su sguardo e volto, tra cui Alex Majoli e il collettivo piacentino Cesura; tredici fotografi a cui si affianca una sezione video che vede il ritorno di David Loom, Carloni-Franceschetti e Mauro Santini.
Parallelamente a questo percorso sul contemporaneo, dove lo scudo che permette all'eroe di guardare il mostro e prendere la sua testa diventa, metaforicamente, il dispositivo e occhio-lente della macchina fotografica, si affianca una mostra sul volto di Pier Paolo Pasolini, sul suo stesso viso visto e rilanciato attraverso alcuni scatti catturati sul set o in momenti di vita privata, e poi locandine di film, scritti, articoli e altri materiali d'archivio provenienti dalla Cineteca di Bologna, a comporre questo feroce e dolcissimo volto in forma di rosa, quello che lo stesso Pasolini ha spesso messo in scena, ora narcisisticamente, talvolta a farne maschera o campo di battaglia, ora, anche ironicamente, quasi icona pop resistente e desiderante.
All'interno di una sezione tutta dedicata al disegno bambino, la mostra Elzbieta e i suoi compagni, ritratti e autoritratti di bambini del mondo nelle opere della collezione PInAC, porta a Selvatico la Pinacoteca Internazionale dell'Età Evolutiva "Aldo Cibaldi" di Rezzato. La mostra è un album di sguardi provenienti dal tempo e dallo spazio: il tempo in cui sono stati realizzati, dagli anni Sessanta ai giorni nostri, lo spazio che è il mondo intero; infatti, se il linguaggio pittorico è matrice comune alle opere esposte, le lingue degli autori rimandano alla Francia e al Perù, al Giappone come all'Australia, al Kenia e alla Polonia, alla Russia, all'Italia come alla Spagna, alla Romania o agli Usa.
Selvatico è realizzato dal Museo Civico Luigi Varoli di Cotignola insieme ai Comuni e ai musei dell'Unione dei Comuni della Bassa Romagna, in collaborazione con l'associazione Primola - Arena delle balle di paglia.
Per informazioni e dettagli su programma e appuntamenti: www.museovaroli.blogspot.it.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 18 [2014 - N.51]

Come trasformare un ufficio pubblico in uno spazio artistico: la collezione d'arte contemporanea di faenza nel Palazzo Comunale di via Zanelli

Ennio Nonni - Architetto-urbanista Comune di Faenza

Uno slogan, coniato opportunamente, per affermare che l'arte contemporanea può contaminare e arricchire qualunque spazio a qualunque uso sia adibito. Il progetto Lavorare in un museo è iniziato in modo sperimentale nel 1997 all'interno del Palazzo ottocentesco di via Zanelli a Faenza sede degli uffici comunali del Settore Territorio e consiste nella installazione permanente di opere d'arte contemporanea che in modo graduale e spontaneo fanno assumere agli spazi un naturale senso artistico e di innovazione. Il fine è quello di fare convivere artisticamente in un spazio di 1.500 mq sia i dipendenti comunali che gli utenti esterni e i visitatori temporanei, che a vari livelli interagiscono con la collezione contemporanea.
Il palazzo che ospita la raccolta è stato trasformato fra il Settecento e l'Ottocento (con la facciata del 1874) e si presenta, tanto nella tipologia interna che nell'articolazione spaziale, in uno stile neoclassico. L'edificio pesantemente manomesso in passato è stato interamente restaurato nei primi anni Novanta riportandolo alla sua configurazione originaria, tanto che ora costituisce sotto l'aspetto architettonico uno dei pochissimi esempi integri di come si presentava lo spazio interno nei palazzi neoclassici faentini.
L'idea nasce dall'intenzione di allestire ogni ambiente del palazzo con opere - site specific - prediligendo l'intervento sulle grandi volte bianche degli spazi interni; la ragione risiede nel fatto che fino ai primi decenni del Novecento, con l'esaltante momento artistico di Felice Giani della fine del Settecento, era consuetudine nella città di Faenza dipingere a tempera le volte interne dei rigorosi e (esternamente) sobri palazzi neoclassici, tanto che ora la ricchezza di questo patrimonio artistico non ha eguali in altre città vicine.
Nel 1997, anno del primo allestimento artistico, vennero definiti tre obiettivi da perseguire con coerenza: in primo luogo, un restauro conservativo volto principalmente alla sottrazione di elementi posticci voleva riportare, quasi a livello esemplificativo, nella sua integrità funzionale, un importante edificio neoclassico; in secondo luogo, confidando nella forza innovativa dell'arte contemporanea, ci si proponeva di recuperare quell'esaltante stagione neoclassica che ha consentito a Faenza di distinguersi per la quantità e la qualità degli affreschi interni ai palazzi; infine, l'aspetto più innovativo, arricchire la città di una nuova collezione (un piccolo museo) all'interno di un luogo di lavoro, creando una inusuale interazione fra utenti e visitatori delle opere. Uno spazio insolito in cui gli orari di apertura sono quelli del pubblico che accede ai servizi e il presidio è assicurato dal personale che ivi lavora e che offre informazioni al visitatore.
La collezione permanente è frutto di una rigorosa selezione di artisti che a vario titolo sono venuti a contatto con la città o gravitano sul territorio a cui si chiede di concepire un'opera per quel preciso ambiente. Oltre alla specificità delle installazioni contemporanee che non potrebbero vivere in un ambito diverso, la collezione mette in mostra tutte le tecniche artistiche (e non solo la ceramica) e raccoglie in uno spazio circoscritto gli artisti "faentini" che stanno caratterizzando in questi decenni la città delle ceramiche. Un'operazione volutamente in corso, sempre in divenire, un esempio imitabile in ogni edificio al fine di creare concretamente e con costi limitatissimi quel connubio tra arte e architettura da tutti auspicato. La vera novità consiste nel fare capire, con un esempio concreto da toccare con mano, come sia necessario evitare la rassegnazione che gli uffici pubblici (in ambienti ordinari) siano nel migliore dei casi luoghi anonimi, ma più frequentemente caotici, improvvisati, disordinati esteticamente, che offrono una percezione negativa dello stesso servizio che viene svolto.
Nel caso specifico l'opera degli artisti, fra cui Pablo Echaurren, Giosetta Fioroni, Franco Summa, Ito Fukuschi, Carlo Zauli e tanti altri, ha riguardato arredi, affreschi di grandi volte, installazioni che si integrano negli ambienti interni e negli spazi esterni.
Ma l'autentica direzione per il futuro riguarda non solo gli enti pubblici, bensì anche i luoghi di lavoro privati che possono aprirsi all'arte contemporanea rendendo più gratificante il lavoro dei dipendenti e promovendo allo stesso tempo la creatività e l'innovazione attraverso un collezionismo intelligente che sappia andare oltre agli aspetti dell'investimento o del possesso; l'auspicio è un riconoscimento artistico di nuova generazione che vada oltre i musei tradizionali.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 18 [2015 - N.52]

Live performance musicali animano con suoni e luci la volta stellata del Planetario di Ravenna

Angela Longo - Associazione Culturale Orthographe

live performance musicali in cui lo spazio del planetario si trasforma in un auditorium nel quale lo spettatore può abbandonarsi a un ascolto inconsueto, sprofondando con lo sguardo nel buio della volta celeste. Il planetario non è semplicemente lo spazio che accoglie la performance musicale, ma rende possibile una deriva dello sguardo che si fonde con i suoni della musica eseguita.
Dal 2011 l'Associazione Culturale Orthographe e l'editore musicale Presto!?, in collaborazione con Marco Garoni dell'A.R.A.R - Associazione Ravennate Astrofili Rheyta e il sostegno del Comune di Ravenna, organizzano la rassegna Paradoxes presso il Planetario ravennate che giunge quest'anno alla sua quarta stagione.
La serie di performance, iniziata a Ravenna nell'aprile del 2011 e arrivata al ventiduesimo evento, è nata dal desiderio di aprire uno spazio e un meccanismo, così particolari e specifici come il Planetario, al mondo della performance. Il Planetario nel corso degli anni è diventato sede privilegiata di incontro tra arte, musica, poesia e scienza, creando un pubblico eterogeneo di astrofili, appassionati di musica elettronica e di arti visive.
Un progetto di lunga durata che si avvale della collaborazione tra Alessandro Panzavolta, regista del gruppo teatrale Orthographe, Lorenzo Senni, musicista e fondatore dell'etichetta di musica elettronica Presto!? e Marco Garoni, direttore de facto del Planetario di Ravenna, lecturer di astronomia e astrofisica, e presidente della associazione A.R.A.R. a cui è affidata la gestione dell'istituzione ravennate.
Musicisti provenienti da tutta Europa si sono esibiti sotto la "nostra" volta stellata; ognuno di loro ha portato la sua idea di spazio e di infinito.
Durante gli spettacoli della rassegna Paradoxes lo spazio del Planetario si trasforma in un auditorium dalla forma circolare dove il pubblico assiste al sorgere e al tramontare di rumorosi astri e alla manifestazione di fenomeni celesti inconsueti: suoni provenienti da sfere superne lacerano la densa atmosfera di nebulose in espansione. Il movimento delle costellazioni, dei pianeti e dei diversi fenomeni astronomici, pilotato in tempo reale, prende forma dalla musica e dialoga con gli effetti visivi.
Il Planetario di Paradoxes non è semplicemente lo spazio che accoglie la performance musicale, ma in quanto dispositivo ottico manipolato oltre i limiti del suo uso ordinario, rende possibile una deriva dello sguardo che si fonde con i suoni della musica eseguita. Giochi di luce e laser si mescolano con le stelle; moti celesti impossibili e "paradossali" disorientano lo sguardo.
Il progetto Paradoxes ha riscosso interesse e riconoscimenti anche fuori dalla città di Ravenna. La performance del 22 marzo 2015 al Planetario "Ulrico Hoepli" di Milano (il planetario più grande d'Italia), organizzata in collaborazione con il Festival Terraforma, costituisce la seconda tappa in trasferta del formato Paradoxes che è stato presentato anche presso il Großeplanetarium di Berlino il 6 marzo 2014. In entrambe le occasioni le musiche sono state composte ed eseguite da Lorenzo Senni, figura emergente nel panorama internazionale della musica elettronica e curatore musicale della rassegna.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 18 [2015 - N.53]

Una sintesi dell'audizione tenuta al MiBACT dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna

Claudio Leombroni - Provincia di Ravenna

Lo scorso giugno il ministro Franceschini ha istituito la Commissione ministeriale per l'attivazione del Sistema Museale Nazionale (SMN), presieduta da Lorenzo Casini e composta per il MiBACT dal segretario generale Antonia Recchia e dal direttore generale dei Musei Ugo Soragni, con Daniele Jallà e Alberto Garlandini in rappresentanza di ICOM Italia.
Scopo della Commissione è l'elaborazione di proposte per la formulazione di linee guida per la costituzione del SMN e a tale proposito si è ritenuto utile ascoltare il punto di vista di chi si occupa a vario titolo di musei e di sistemi territoriali; all'audizione del 19 ottobre è stato invitato il sottoscritto in veste di responsabile del Sistema Museale della Provincia di Ravenna, forte di un'esperienza pluridecennale nell'ambito del Sistema Bibliotecario Nazionale.
E proprio considerando l'esperienza di SBN come termine di confronto, si è cercato di suggerire le possibili strategie per realizzare la collaborazione con musei e reti di musei non statali. Se il Sistema Museale Nazionale è oggi oggetto di 'istituzione', quale esito della recente riforma ministeriale, invece SBN si è caratterizzato per un processo di 'istituzionalizzazione', ovvero nacque a partire da un ampio coinvolgimento della comunità bibliotecaria sia statale che di enti locali, supportato da un'agenda politica contraddistinta dalla voce "autonomie locali". Elementi allora innestati su un framework disegnato con un approccio di tipo bottom-up e caratterizzato dalla diffusione dell'automazione e dal processo di regionalizzazione dello Stato. Tale complesso di fattori si tradusse dal punto di vista organizzativo in un network basato su relazioni paritetiche tra i nodi; non a caso l'acronimo SBN fu poi sciolto in Servizio bibliotecario nazionale anzichè Sistema bibliotecario nazionale. Insistere sulla centralità del servizio ha significato scegliere il modello organizzativo della 'rete' e non quello del 'sistema', ossia concepire la cooperazione tra istituzioni come una trama di relazioni non competitive che connette entità autonome in assenza di controllo e direzione unitaria.
In generale in Italia le migliori esperienze di cooperazione museale sono state soltanto incentivate dall'intervento normativo statale o delle autonomie locali. Secondo i principali studi in merito, l'istituzione e il successo di aggregazioni cooperative tra musei si deve sostanzialmente a tre determinanti: l'efficienza economica e organizzativa in termini di costi di produzione e di transazione; l'isomorfismo (condivisione di valori, obiettivi e startegie, ottemperanza a norme...); la complementarietà delle risorse. A queste si deve aggiungere secondo noi la "prospettiva utente" ovvero la soddisfazione delle aspettative degli utenti.
Tali determinanti non sembrerebbero essere anche alla base del SMN, a parte un certo grado di isomorfismo e una parziale adozione della prospettiva utente. Tuttavia il SMN può accreditarsi come ambiente cooperativo dei musei italiani a condizione che si adottino taluni profli delle reti inter-organizzative, nella consapevolezza che la dicotomia 'rete-sistema' nella realtà conosce svariate giustapposizioni.
In sintesi, gli elementi che ci sembrano prioritari sono i seguenti:
- il termine 'nazionale' non deve coincidere con 'statale' o 'ministeriale' ma con l'intero paese e, dove necessario, con l'intera filiera istituzionale, coinvolgendo cioè Regioni e Enti locali sulle strategie e sugli obiettivi di fondo;
- la cooperazione deve riguardare soprattutto gli istituti, salvaguardandone l'autonomia; il che significa per i musei statali eliminare la loro natura di "organi periferici" dello Stato;
- il SMN deve diventare una rete di reti, incentivando la costituzione di ambienti locali per i musei;
- il SMN deve erogare prioritariamente servizi ai sistemi locali;
- infine il SMN deve adottare la centralità della prospettiva utente, definendo poliecies che consentano agli utenti di riconoscere i servizi con brand SMN e con essi l'appartenenza di un istituto al SMN stesso.
La complessità del SMN impone naturalmente la definizione di standard di funzionamento, magari adeguando

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 18 [2015 - N.54]

Dal 23 aprile al MIC di Faenza una mostra itinerante mette in dialogo nove musei europei per raccontare una storia di popoli e nazioni

Claudia Casali - Direttrice MIC di Faenza

La ceramica da sempre racconta la storia dei popoli e delle sue civiltà; è lo specchio di ogni società e rappresenta lo stile di vita di ciascuna nazione. La mostra itinerante Stili di vita attraverso la ceramica, dal barocco ai giorni nostri, inserita nel programma europeo "Creative Europe" ha il merito di far dialogare attorno ad un tema comune nove realtà museali (Museo di Arti Applicate di Belgrado; Museo "Porzellanikon" di Selb; Museo Nazionale della ceramica "González Martí" di Valencia; MIC di Faenza; "Potteries Museum & Art Gallery" di Stoke on Trent; Museo di Arti Applicate e Design di Tallin; Museo di Arti Applicate di Riga; Museo di Arti decorative di Praga; Museo Nazionale di Ljubljana) con differenti culture e tradizioni ceramiche.
'Leggere' l'evoluzione dei manufatti in termini di forme, decorazioni, funzionalità significa comprendere il progresso, il miglioramento, la crescita di una Nazione.
Il periodo barocco significa soprattutto per l'Italia la diffusione dei "bianchi di Faenza", una rivoluzione in termini di forme, decori più sobri, ricerche sugli smalti divenendo riferimento unico per tutta l'Europa (tale per cui il termine "faïence" diviene sinonimo di maiolica). La tavola diventa magniloquente, i servizi si adattano a nuove funzionalità anche scenografiche, vengono introdotti nuovi codici stilistici a livello di arredo e gusto del convivio, a volte anche troppo fastoso. La prevalenza della pittura su piastrella caratterizza invece il barocco spagnolo: diffusa già in epoca medievale, tale tendenza trova nella produzione valenciana un grande centro di diffusione, recepito inevitabilmente dai territori italiani (come la Liguria). Ma la Spagna, già prima dell'epoca barocca, è un territorio ricco di contaminazioni, di assimilazione e diffusione in tutta Europa delle correnti provenienti dal nuovo mondo (l'America) e dal nord-Africa.
Il baricentro nel XVIII secolo si sposta in Germania dove l'altra vera rivoluzione è sicuramente la scoperta del segreto della porcellana dura, a Meissen (1708). La sua purezza, il suo senso diafano, l'eleganza delle forme applicate anche alla piccola plastica, sono innovazioni che rinnovano il gusto e rappresentano una svolta per l'ambito quotidiano, grazie all'inserimento di nuovi alimenti e bevande (tè, cioccolata, caffè) provenienti dalle "Americhe" e dalle colonie che portano alla realizzazione di nuovi oggetti per la tavola.
Il XIX secolo vive la diffusione del gusto storicistico e orientaleggiante. Le cineserie erano già presenti nella produzione europea nel XVII secolo; le giapponeserie si sviluppano come gusto dalla seconda metà del XIX secolo, con la presenza giapponese nelle Esposizioni Internazionali, dal 1862. Diffuse sono inoltre, soprattutto in Italia, le derivazioni stilistiche neo rinascimentali e il revival rococò nella produzione ceramica boema con ascendenze francesi. Nuovi materiali invadono la produzione di manufatti d'uso, come la terraglia, proveniente dalla Gran Bretagna, che si diffonde in tutta Europa abbellendo le tavole comuni.
La prima parte del XX secolo, grazie all'eco delle Esposizioni Internazionali, vede la presenza condivisa di stili "universalmente" riconosciuti, come il Liberty, che invade tutte le arti, e il gusto déco, diffusosi dopo l'Esposizione di Parigi del 1925. La ceramica diviene elemento di arredo anche per i rivestimenti parietali delle facciate delle architetture, dei sontuosi palazzi, dei mobili. Dagli anni '30 la ceramica diviene anche "scultura", con il coinvolgimento di grandi artisti, e si avviano i primi esempi di "design", grazie alle scuole di arti applicate (come il Bauhaus) e le grandi manifatture.
Nel secondo dopoguerra in Europa si diffonde largamente l'utilizzo della piastrella industriale per l'igiene della casa, nella cucina e nel bagno. Questa sarà una vera e propria rivoluzione che comporterà un livello più equo e salutare nelle nuove abitazioni, nei nuovi agglomerati residenziali dei grandi centri cittadini, ricostruiti dopo i bombardamenti della grande guerra.
Oggi la produzione ceramica coinvolge anche le ricerche biomedicali e l'applicazione in campo elettro-tecnico e meccanico. Le varie applicazioni mostrano la grande duttilità di questo linguaggio che da millenni partecipa della vita di ogni popolo, con la grande capacità di adattarsi alle esigenze e ai gusti che gli stili di vita impongono.
Aperta dal 23 aprile all'11 settembre, attraverso la ceramica, questa mostra intende raccontare una storia europea, una storia di popoli e di nazioni, in una dimensione socio-antropologico culturale.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 18 [2016 - N.55]

"L'Argine" racconta con gli occhi di un bambino grandi avvenimenti e microstorie accadute a Cotignola tra il 1944 e 1945

Massimiliano Fabbri - Museo Civico Luigi Varoli di Cotignola

Nell'autunno 2014 il Museo Civico Luigi Varoli di Cotignola ha proposto a Marina Girardi e Rocco Lombardi l'idea di un fumetto sulla rete dell'ospitalità cotignolese, straordinario e anomalo esempio di solidarietà che ha permesso di nascondere, proteggere e salvare quarantuno ebrei dalle persecuzioni e sterminio, ma anche di accogliere sfollati, rifugiati politici e chiunque fosse braccato o in difficoltà. E, parallelamente, anche su quei drammatici 145 giorni in cui il fronte e gli eserciti alleati stazionarono lungo le sponde del fiume Senio, dal novembre '44 fino all'ultima tragica offensiva del 9 aprile 1945, stallo che si concluse con l'entrata delle truppe britanniche e neozelandesi in una Cotignola spettrale, quasi totalmente rasa al suolo, cancellata dalle mappe dai ripetuti bombardamenti alleati.
Due storie intrecciate che hanno come sfondo comune il paese e la piccola comunità della bassa Romagna ravennate, e una sorta di coraggiosa e ostinata resistenza passiva messa in atto dai suoi abitanti in entrambe le circostanze: da una parte l'altruismo e l'efficace organizzazione collettiva di questa rete di protezione, dall'altra la scelta di non abbandonare il paese pur se assediato e progressivamente trasformato in un desolato paesaggio lunare.
Marina e Rocco hanno accettato la commissione, e il libro è il prodotto di questo incontro e percorso, dello studio e dei sopralluoghi molti, delle interviste e di un avvicinamento progressivo al cuore della storia fatto di tante matite e disegni, fantasmi e bozzetti, e di altrettanti storyboard e appunti sparsi rimasti nei cassetti; un progetto che in questo anno di lavoro ha subito revisioni, ripensamenti e cambi di direzione. E la sfida anche, ossia quella di realizzare una storia a quattro mani, disegni compresi; aspetto quest'ultimo tutto fuorché semplice o scontato, anche alla luce degli stili dei due disegnatori, quasi agli antipodi: morbido e pittorico, frastagliato e stenografato quello di Marina, quasi un non finito che conserva la freschezza vibrante del segno a innervare la leggerezza e mobilità dell'acquerello; notturno invece, tagliente, spigoloso ed esatto quello di Rocco, con disegno ottenuto con procedimento in negativo o per via di levare, scavando, graffiando e facendo emergere le immagini dalla tenebra che copre il foglio.
Il contrasto, alternanza e dialogo tra i due modi di disegnare esalta e amplifica queste differenze, che si completano trovando accordi e, in alcune tavole, una fusione efficace e sorprendente. Un equilibrio che è canto a due voci che accompagna e incalza il ritmo della narrazione, sottolineando con intelligenza e sensibilità temperature emotive, incontri e situazioni che ci vengono incontro tra le pagine; con colpi di scena e meccanismi circolari che ben descrivono il tempo (tutto si svolge, comprime e condensa in una notte) e i mutamenti di scena come attraversati in sogno, grazie a cambi d'atmosfera che diventano via via colore dominante e umore che governa i diversi capitoli.
Il fumetto descrive un arco temporale che abbraccia poco meno di due anni, dall'armistizio dell'8 settembre alla liberazione di Cotignola del 10 aprile 1945, con una narrazione in cui si intrecciano inevitabilmente i grandi avvenimenti e, soprattutto, le microstorie, quelle di un piccolo paese e dei suoi abitanti, capaci di mettere in piedi, a partire dal coraggio e altruismo del macellaio, mazziniano, antifascista e commissario prefettizio Vittorio Zanzi, una rete di accoglienza, ospitalità e protezione che coinvolse un'intera comunità, dall'amministrazione comunale alla curia, dai gruppi partigiani alle singole famiglie che misero a disposizione le loro abitazioni facendo del paese un vero e proprio approdo e rifugio di salvezza.
E, a tratti interconnessa alle storie dei perseguitati che qui convergono, o a tratti successiva di pochi mesi, l'altra reazione contraria dei cotignolesi che, a fronte di un paese ferito e mutilato dai prolungati colpi e bombardamenti, non sfollarono, ma restarono sul luogo nascondendosi in un serie di rifugi, per lo più sotterranei, costringendosi a una vita quasi da topi, per riemergere, ogni volta, dentro a un panorama sempre più irriconoscibile, fatto di cumuli di macerie, case sventrate e morte, reduci e spettri in una cittadina "seduta sulla bocca di un vulcano".
Marina e Rocco, compagni nella vita e autori con due distinti percorsi, si sono misurati con un lavoro a quattro mani in cui sguardi, scelte narrative e stilistiche, si intrecciano in un racconto che sfugge al rischio retorico o didascalico ricorrendo a un felice stratagemma ed espediente narrativo, onirico e poetico al tempo stesso, che abbandona i commenti fuori campo per affidare la descrizione degli eventi direttamente alla voce e ai gesti, ai pensieri e alle visioni di un bambino, in una sorta di sua, e contemporaneamente nostra, progressiva presa di coscienza degli accadimenti che, pur se calata in una cornice tragica e di estremo pericolo, mantiene anche tutte le caratteristiche vitali e rocambolesche dell'avventura bambinesca, dell'errare e della scoperta.
I bambini sono, loro malgrado, così come gli animali, al centro, spettatori inconsapevoli e protagonisti al tempo stesso delle vicende, e questo ci permette di vedere con i loro occhi, di accedere partecipi ed empatici ai fatti, senza mediazioni, con stupore a tratti ancora incosciente... paura di niente, questo il mantra ripetuto per farsi forza e superare la notte.
Talvolta, un po' magicamente, indossando le grandi maschere di cartapesta fatte da Varoli che, come tutte le maschere, fanno diventare altri, o narrando gli accadimenti attraverso continui flashback che, quasi come teatri della memoria, riportano a galla e richiamano episodi e ricordi dolorosi: ora, adesso, davanti a noi.
E così sfila e compare tra le tavole una galleria e processione di personaggi, e fatti che questi protagonisti portano con sé, con apparizioni quasi di lampo, pura visione, una specie di cinema muto, taglio di luce che illumina per un momento densi frammenti: dal già citato Vittorio Zanzi al pittore, scultore, musicista ed educatore Luigi Varoli, dal partigiano Luigi "Leno" Casadio a Don Stefano Casadio con la loro "Operazione bandiera bianca", gesto coraggioso e pure altamente simbolico che vede insieme, un partigiano comunista e un prete, attraversare, la mattina del 10 aprile, il fiume Senio, incuranti delle mine e del tiro alleato, con solo un lenzuolo bianco nel tentativo eroico e riuscito di impedire gli ultimi bombardamenti sulle persone e su quel che rimane del centro abitato; e poi la famiglia Ottolenghi e gli Oppenheim. O i "Martiri del Senio", così è conosciuto l'eccidio nazifascista, rappresaglia antipartigiana, di otto ragazzi, prima imprigionati e torturati nella Rocca di Lugo poi fucilati a ridosso di una golena del Senio in piena, dentro cui vengono gettati i corpi. Una strage che non è avvenuta propriamente nel tratto del fiume che costeggia Cotignola, ma che compare a tragico emblema e memento di queste vicende. E poi altre figure straordinarie, in quei giorni impegnate a Cotignola e che a malincuore sono rimaste fuori dal racconto come Giovanni de Lorenzo, futuro comandante generale dell'arma dei carabinieri e noto poi per il tentativo di golpe militare denominato "Piano Solo", all'epoca partigiano assai attivo che faceva la spola tra Roma e Cotignola in bicicletta, e l'etnologo Ernesto de Martino che scrisse parte del suo libro "Il mondo magico" sotto i bombardamenti, da rifugiato insieme alla moglie e due figlie, anch'egli attivo politicamente con il CLN.
E infine, l'altra vera grande protagonista di questa vicenda, ovvero l'intera comunità, schiacciata tra due eserciti, e resistente; e un territorio tutto, ferito a morte, con le sue case e campagne e alberi e bestie e persone e abitudini segnate in maniera indelebile dalla guerra.
Da qui il titolo del fumetto, L'argine, un argine fisico e tangibile, quello del Senio, piccolo fiume o torrente che nasce in Toscana e sfocia nel Reno, e attorno a cui si svolgono le vicende e su cui si ferma la guerra per un tempo che pare interminabile, a Cotignola come ad Alfonsine, e un argine metaforico e altrettanto concreto al tempo stesso, quello che affiora e si delinea dalla reazione corale della città e dei suoi abitanti.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 18 [2016 - N.56]

A pochi mesi dalla morte, un ricordo dello storico fiorentino, legato a Ravenna e alla Romagna da una lunga consuetudine di studi e di affetti

Alessandro Luparini - Direttore Fondazione Casa di Oriani

Mi scuso con i lettori di "Museo in-forma" se questo mio ricordo del prof. Luigi Lotti non avrà un profilo strettamente 'istituzionale' e s'intreccerà con la mia autobiografia, ma non potrebbe essere altrimenti, visto il rapporto che mi legava a lui.
Si possono scrivere molte cose di Luigi Lotti. La prima, doverosa, è che è stato un grande storico. Nonché, aggiungo, uno storico in anticipo sui suoi tempi. Il volume I repubblicani in Romagna dal 1894 al 1915, edito nel 1957 per i tipi faentini dei Fratelli Lega, rimane ancora adesso uno straordinario esempio di narrazione storiografica, nella quale una vicenda particolare dentro un contesto particolare, sia pure emblematica come quella del movimento repubblicano nella Romagna post-risorgimentale e giolittiana, diventa il tramite per raccontare un'intera epoca. Una ricostruzione puntuale, fondata sull'indagine rigorosa delle fonti, a partire dalla stampa del periodo, come non era ancora consuetudine ai tempi. C'è persino l'indice dei nomi, strumento utilissimo e, oggi come oggi, ineludibile, ma del tutto inconsueto in un libro di storia del 1957. Un metodo che Lotti avrebbe applicato con risultati egualmente ragguardevoli a La Settimana rossa, la monografia del 1965 per la quale è maggiormente ricordato (almeno insieme a I partiti della Repubblica del 1997). Affresco a tutto tondo di un momento di passaggio della storia d'Italia, cerniera tra la fine dell'età giolittiana e il precipizio della Grande Guerra, fino ad allora pressoché ignorato dalla storiografia. Un libro che non è solo un esempio di come si fa ricerca ma una grande opera di storia tout court; un classico nel vero senso del termine.
Ciò detto, mi piace però, soprattutto, ricordare Luigi Lotti come maestro. Perché ho avuto la fortuna e l'onore di averlo come insegnante al "Cesare Alfieri" di Firenze, di cui è stato preside dal 1974 al 1992, anno della mia laurea. Le sue appassionate lezioni hanno contribuito ad accrescere in me l'amore, già forte, per la storia. I suoi stessi esami, se trovava dinanzi a sé uno studente preparato e ricettivo, si trasformavano spesso e volentieri in altre lezioni, con digressioni e approfondimenti tra una domanda e l'altra. Ripenso con affetto e nostalgia ai due esami con lui sostenuti, Storia moderna e Storia contemporanea, durati forse un'ora e mezzo l'uno ma passati in un lampo, il piacere dell'ascolto potendo più dell'ansia per l'interrogazione. All'amore per le sue materie d'insegnamento Lotti univa un raro senso di umanità. Sempre affabile e disponibile, lontano anni luce dalla impenetrabilità "baronale" di tanti suoi colleghi, pur mantenendo sempre la dovuta distanza tra professore e allievo. A salutarlo, la mattina dell'11 marzo 2016 nelle piccola chiesa di San Remigio a Firenze, c'erano molti suoi ex studenti. Miglior riconoscimento, io credo, il professore, il preside del "Cesare Alfieri" non avrebbe potuto avere.
Dopo la laurea, avrei ritrovato Luigi Lotti al Seminario di Studi e Ricerche Parlamentari "S. Tosi", per il quale teneva l'insegnamento di storia contemporanea. Poi, molti anni più tardi, per una di quelle strane circostanze che rendono imprevedibile la vita, ci saremmo di nuovo incontrati a Ravenna, città cui egli era legato da una lunga consuetudine di affetti e divenuta, nel frattempo, la mia "terra di elezione". Lui presidente, io direttore della Fondazione Casa di Oriani. Un'esperienza che mi ha dato modo di riscoprire l'antico maestro e di scoprire un amico. Luigi Lotti, nato a Trieste da padre fiorentino e madre ravennate, amava profondamente la Romagna, cui aveva dedicato numerosi studi (dal 1979, tra l'altro, presiedeva la Società di Studi Romagnoli). Anche per questo aveva assunto con entusiasmo la presidenza della Fondazione Oriani, una delle più prestigiose istituzioni culturali romagnoli, offrendo soprattutto un contributo importante alle sue iniziative; ultima, il convegno del 28 marzo 2015 L'Italia fra neutralità e intervento. Politica e Governo di fronte alla Grande Guerra.
Da qualche mese Luigi Lotti non è più fra noi. Ci restano la sua opera e il suo insegnamento; a me resta anche il ricordo di un uomo e di un maestro che mi ha accompagnato in momenti decisivi della mia vita personale e professionale.

Personaggi - pag. 18 [2016 - N.57]

Il Testo Unico sui Beni culturali completa e riprende la normativa precedente in materia di alienabilità

Michele Giambarba - Studio Legale Giambarba di Ravenna

Nell’articolo apparso sullo scorso numero si è esaminata la disciplina relativa alla circolazione dei beni culturali e si è affermato che l’inalienabilità resta tuttora il principio vigente per i beni appartenenti allo Stato o ad altro ente territoriale. Esaminiamo oggi, più in particolare, la normativa relativa alle alienazioni dei beni immobili del demanio storico ed artistico. In tale materia, il testo unico sui beni culturali (d.l.t. 490/1999) ha ribadito (articoli 54 e 55) l’assoggettamento dei beni culturali appartenenti agli enti pubblici territoriali al regime proprio del demanio pubblico e ha sottoposto ad autorizzazione l’alienazione dei beni pubblici non costituenti demanio. Lo stesso Testo Unico ha tuttavia anche fatto salva la disciplina dettata da una precedente norma (art. 32 della legge 448/1998) che, nell’ambito della razionalizzazione della gestione dei beni del demanio storico artistico, prevede in taluni casi la deroga al principio di inalienabilità dei beni immobili di interesse storico artistico e culturale. Resta fermo, anche in questo caso, che l’alienazione, la concessione o l’utilizzazione dei beni culturali continua ad essere assoggettata ad autorizzazione, al fine di valutare se tali atti pregiudichino la conservazione, l’integrità e fruizione da parte della collettività ed altresì se la nuova destinazione sia compatibile con il carattere storico artistico della stessa. In attuazione della legge 448/1998 è stato emanata una norma regolamentare (il d.p.r. 283/2000) la quale, intervenuta successivamente alla legge 490/1999, consente a determinate condizioni e nell’ambito di specifiche procedure l’alienazione di beni demaniali. Detto regolamento, dopo aver ribadito il principio già espresso dal Testo Unico della inalienabilità dei beni del demanio storico artistico, salvo le previsioni in esso stabilite, individua in via preliminare le categorie di beni in nessun modo alienabili e cioè i monumenti nazionali riconosciuti con atto avente forza di legge, tutti i beni di interesse archeologico, i beni che hanno riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte e della cultura in genere nonché quelli che documentano l’identità e la storia delle istituzioni pubbliche, collettive, ecclesiastiche (trattasi, in quest’ultimo caso di una categoria sostanzialmente nuova rispetto a quelle tipizzate nel Testo Unico). Per gli altri beni devono essere intraprese le procedure che consentono la generale ricognizione dei beni costituenti il demanio, la verifica della sussistenza del loro interesse storico-artistico e le eventuali alienazioni. A tal fine le Regioni, le Province e i Comuni devono trasmettere al Soprintendente l’elenco degli immobili di loro proprietà di interesse storico artistico, nonché l’elenco di tutti gli altri immobili non demaniali di cui siano proprietari e la cui costruzione risalga ad almeno quarant’anni prima dell’entrata in vigore della legge. Tra tutti questi beni immobili inseriti nei due elenchi il Soprintendente individua i beni che non rivestono interesse storico-artistico e viceversa quelli che, pur non inseriti, rivestono tale carattere. Mentre i beni riconosciuti privi di interesse storico-artistico possono essere liberamente alienati, quelli per i quali detto interesse è stato riconosciuto possono quindi trasferiti previa autorizzazione del Soprintendente che presuppone l’accertamento che la vendita sia inserita in un programma di misure che garantiscano la conservazione e la pubblica fruizione e che destinino il bene ad usi compatibili sia con la sua integrità e il carattere storico artistico. L’identificazione delle misure di protezione e di fruizione è un requisito necessario per l’autorizzazione alla vendita, dovendo essere garantita la protezione del bene culturale, gli interventi migliorativi e di restauro nonché di pubblico godimento, come avverrebbe nel regime dei beni demaniali. È interessante notare come il regolamento qualifichi in modo particolare la nozione di menomazione del pubblico godimento, in quanto la previsione in esso contenuta degli usi incompatibili con il carattere artistico e storico del bene” implica la valutazione anche della qualità della fruizione, ossia che non sia in contrasto col significato culturale del bene, con il decoro e con i valori storici e artistici da questo tramandati. In tali casi, lo Stato, le Regioni, le Province e i Comuni potranno esercitare il diritto di prelazione. Anche lo Stato può procedere a vendita dei propri beni storici artistici nell’ambito dei processi di dismissione o di valorizzazione del proprio patrimonio. A tal fine le amministrazioni trasmettono gli elenchi degli immobili da sottoporre a dismissione e il Ministero individua gli immobili che non rivestono carattere storico artistico, la cui vendita è libera, e gli immobili la cui vendita è sottoposta ad autorizzazione e si applicheranno, sostanzialmente, le stesse procedure per i beni degli altri enti pubblici territoriali, salvo i necessari adattamenti dovuti al fatto che le amministrazioni statali presentano un solo elenco dei beni che intendono dismettere e che il diritto di prelazione potrà essere esercitato solo dalle Regioni, dalle Province e dai Comuni in quanto, a livello statale, le singole amministrazioni hanno la sola consegna del bene, essendone proprietario sempre lo Stato. La disciplina esaminata non si applica naturalmente ai trasferimenti tra Stato, Regioni, Province e Comuni che restano sempre liberi. Invero, la circostanza che in tali casi il regime giuridico del bene rimanga il medesimo anche dopo il trasferimento esclude la necessità di una previa valutazione della protezione assicurata al bene.

L'opinione del legale - pag. 19 [2002 - N.13]

I rapporti fra volontariato e pubblica amministrazione

Michele Giambarba - Studio Legale Giambarba di Ravenna

La Repubblica italiana riconosce il valore sociale e la funzione dell’attività di volontariato come espressione di partecipazione, solidarietà e pluralismo, ne promuove lo sviluppo salvaguardandone l’autonomia e ne favorisce l’apporto originale per il conseguimento delle finalità di carattere sociale, civile, e culturale individuate dallo Stato, dalle Regioni, dalle Province autonome di Trento e di Bolzano e dagli Enti locali. Questa è la prima parte dell’art. 1 della Legge Quadro sul volontariato (n. 266/1991) emanata per dare dignità giuridica e disciplina ad alcuni aspetti di una realtà che nel tempo ha assunto una dimensione e una importanza fondamentale in molteplici aspetti della vita sociale e culturale. Essa è particolarmente significativa poiché ha stabilito i principi cui le regioni e le province autonome devono attenersi nel disciplinare i rapporti fra le istituzioni pubbliche e le organizzazioni di volontariato nonché i criteri cui debbono uniformarsi le amministrazioni statali e gli enti locali nei medesimi rapporti, precisando le caratteristiche delle associazioni di volontariato e le modalità di esercizio delle proprie attività. Nell’ambito dei beni culturali in particolare è noto che viene specificamente previsto un continuo ricorso a forme di cooperazione strutturali e funzionali tra Stato, regioni ed enti locali, ossia tra gli enti titolari di funzioni in materia di beni culturali. Orbene una analoga previsione è contenuta nell’articolo 1 del decreto legislativo 20 ottobre 1998, n. 368, di istituzione del Ministero per i beni e le attività culturali, che prevede che il Ministero "favorisce la cooperazione con le regioni e gli enti locali, con le amministrazioni pubbliche, con i privati e con le organizzazioni di volontariato". La qualificazione delle organizzazioni di volontariato nel nostro sistema si connota per due essenziali caratteri di cui uno relativo al contenuto obiettivo dell’attività svolta in sé considerata e l’altro di natura soggettiva relativo alle persone fisiche ad essa aderenti, con riguardo al carattere determinante e prevalente delle prestazioni professionali, volontarie e gratuite. È considerata organizzazione di volontariato ogni organismo liberamente costituito che si avvalga in modo determinante e prevalente delle prestazioni personali volontarie e gratuite dei propri aderenti. Le organizzazioni possono assumere la forma giuridica che ritengono più adeguata al perseguimento dei loro fini, salvo il limite di compatibilità con lo scopo solidaristico e devono essere espressamente previsti, fra l’altro, l’assenza di fini di lucro, la democraticità della struttura, l’elettività e la gratuità delle cariche associative nonché la gratuità delle prestazioni fornite dagli aderenti. Per attività di volontariato deve intendersi quella prestata in modo personale, spontaneo e gratuito, tramite l’organizzazione di cui il volontario fa parte, senza fini di lucro anche indiretto ed esclusivamente per fini di solidarietà. L’attività del volontario non può quindi essere retribuita in alcun modo nemmeno dal beneficiario e al volontario possono essere soltanto rimborsate dall’organizzazione di appartenenza le spese effettivamente sostenute per l’attività prestata, peraltro entro i limiti preventivamente stabiliti dalle organizzazioni stesse ed è quindi incompatibile con qualsiasi forma di lavoro subordinato o autonomo e con ogni altro rapporto di contenuto patrimoniale con l’organizzazione di cui fa parte. Le organizzazioni svolgono le attività di volontariato mediante strutture proprie o, nelle forme e nei modi previsti dalla legge, nell’ambito di strutture pubbliche o con queste convenzionate. Lo Stato, le Regioni, le Province autonome, gli Enti locali e gli altri enti pubblici possono stipulare convenzioni con le organizzazioni di volontariato che dimostrino attitudine e capacità operativa e devono contenere disposizioni dirette a garantire l’esistenza delle condizioni necessarie a svolgere con continuità le attività oggetto della convenzione, nonché forme di verifica e di controllo. Nell’ambito di tale attività è stato istituito l’osservatorio nazionale per il volontariato, che svolge attività di studio e di consulenza, esamina progetti e promuove lo sviluppo e l’organizzazione del volontariato. In pochi anni dunque il volontariato ha conosciuto una notevole evoluzione che spesso è stata percepita e recepita da diversi provvedimenti normativi quali, ad esempio, la legge 266 del 1991, il decreto legislativo 460 del 1997 sulle Onlus, fino alla recente legge sull’associazionismo di promozione sociale e alla Legge quadro sull’Assistenza. Da più parti, tuttavia, si segnala oggi una nuova esigenza che è quella di ridefinire la fisionomia ormai molto complessa e articolata del volontariato e il suo rapporto con la Pubblica Amministrazione.

L'opinione del legale - pag. 19 [2002 - N.15]

Completato, dopo due anni, il restauro della Madonna in trono fra i Santi Benedetto, Paolo, Apollinare e Barbara di Luca Longhi

Nadia Ceroni

È durato due anni il restauro della Pala di Santa Barbara, un dipinto di Luca Longhi eseguito intorno al 1541. Raffigurante la Madonna in trono fra i Santi Benedetto, Paolo, Apollinare e Barbara, la tavola è stata restaurata presso il laboratorio imolese di Sandro Salemme che ha provveduto a recuperare anche parti originali che si ritenevano perdute. Nel corso dei lavori, infatti, le indagini all’ultravioletto hanno confermato che la tavola era quasi totalmente ridipinta ad eccezione del Bambino e dei volti della Vergine e della Santa. La prima ridipintura dovrebbe risalire addirittura al Seicento, mentre la seconda è riconducibile a quella eseguita da Venceslao Bigoni verso la fine dell’800. Il terzo intervento significativo è avvenuto all’inizio del Novecento per mano di Gualtiero De Bacci Venuti: le testimonianze dei lavori eseguiti da entrambi i restauratori sono state rintracciate negli Atti dell’Accademia di Belle Arti di Ravenna. Gli esami di laboratorio hanno inoltre rivelato come l’artista, nella preparazione a gesso del supporto ligneo, avesse adoperato anche filamenti di stoppa che hanno causato nel tempo distacchi e inevitabili cadute di colore. Le prove di pulitura del dipinto, hanno portato alla luce gran parte dei colori originali, mentre le ridipinture che ricoprivano la tavola sono state asportate con estrema cautela tramite bisturi. Il costo del restauro, pari a circa 40 milioni di vecchie lire, è stato sostenuto dall’istituzione museale. La direzione lavori è stata affidata a Marzia Faietti, Soprintendenza per il Patrimonio Storico, Artistico e Demoetnoantropologico di Bologna; Luisa Bitelli, Istituto Regionale per i Beni Culturali; Nadia Ceroni, Conservatore del Museo d’Arte della Città. La grande tavola - già nella chiesa di Santa Barbara e successivamente depositata nella sagrestia di San Vitale - è stata nuovamente collocata nella collezione antica della Pinacoteca ed esposta permanentemente al pubblico. Per l’occasione, il Museo d’Arte della Città, in collaborazione con l’Università degli Studi di Bologna - Sede di Ravenna, ha organizzato una conferenza pubblica, destinata in particolare agli studenti della Facoltà di Conservazione dei Beni Culturali, dell’Accademia di Belle Arti e delle Scuole artistiche della città. Lunedì 27 gennaio, alle ore 16, presso l’Aula Magna della Facoltà (Palazzo Corradini, via Mariani 5) il restauratore Sandro Salemme ha illustrato il complesso lavoro di recupero della tavola, tramite la proiezione di numerose diapositive.

La pagina del conservatore - pag. 19 [2003 - N.16]

Aspetti giuridici e legislazione nazionale e regionale in materia

Michele Giambarba - Studio Legale Giambarba di Ravenna

Sotto un profilo strettamente giuridico le biblioteche, intese ovviamente come raccolte librarie organicamente costituite e funzionanti e non meri depositi di libri, vengono classificate secondo la loro proprietà: Stato, enti pubblici territoriali, Enti morali, privati. A questa classificazione vanno aggiunte le abbazie dichiarate monumenti nazionali e sottoposte ad uno speciale regime secondo il quale appartengono allo Stato ma sono amministrate dalla comunità monastica. L’appartenenza della biblioteca ne determina il regime giuridico. Le biblioteche statali e quelle degli enti pubblici territoriali appartengono al demanio accidentale e sono quindi assoggettate alla relativa normativa. Le biblioteche statali vengono quindi classificate, secondo un profilo oggettivo in nazionali, universitarie, biblioteche aventi particolari compiti e funzioni, biblioteche relative a sezioni musicali. Sotto il profilo soggettivo di valutazione le biblioteche statali devono invece essere considerate come organi del Ministero, con la conseguenza che la biblioteca è sfornita di personalità giuridica ma ha una soggettività interna all’ordinamento particolare del Ministero. Le biblioteche degli enti pubblici territoriali, segnatamente quelle dei comuni e delle province, affiancano quelle dello Stato nel servizio di pubblica fruizione dei libri e la cui disciplina deriva in gran parte dalla regolamentazione propria di ciascun ente. Le biblioteche degli enti morali svolgono una funzione di pubblico servizio in quanto esse sono di uso pubblico. Sono disciplinate dallo statuto dell’ente, godono di autonomia gestionale e finanziaria ma sono regolate nella loro funzionalità dalle stesse norma che regolano le biblioteche degli enti locali. Nelle biblioteche appartenenti ai privati rientrano non solo quelle di privati cittadini ma anche quelle di diversi istituti di attività culturale, sociale, commerciale e rivolte a vari fini. Esse sono quindi di libera gestione e alienabilità in assenza di provvedimenti di vincolo che, se applicato, sottopone la biblioteca a tutti gli istituti vincolistici. La normativa in materia, come è noto, detta un’ampia serie di norma di varia natura sulle biblioteche dagli orari di apertura, alle modalità di consultazione dei beni in essa conservati, alle sanzioni penali per talune violazioni di legge, alla possibilità di richiedere copia dei libri e così via. Di recente si desidera segnalare in particolare la L.R. Emilia Romagna 24 marzo 2000, n. 18 e la delibera del consiglio regionale del 20-6-2001 n. 204 n. 112 del 1998 che si pongono nel solco delle innovazioni normative in ordine alla gestione e alla valorizzazione dei beni culturali e di promozione delle relative attività che prevedono il trasferimento alle Regioni e agli Enti locali di musei o altri beni culturali statali, individuati da una Commissione nazionale, e l’istituzione in ogni Regione a statuto ordinario di una Commissione per i beni e le attività culturali, incaricata di proporre piani di valorizzazione dei beni culturali e di promozione delle relative attività, perseguendo lo scopo di armonizzazione e coordinamento, nel territorio regionale, delle iniziative dello Stato, della Regione, degli Enti locali e di altri possibili soggetti pubblici e privati. Specifiche linee guida sono state peraltro assunte dal Consiglio d’Europa per la legislazione e le politiche in materia di biblioteche in Europa che ha espresso il ruolo essenziale e insostituibile della infrastruttura culturale educativa e informativa della società e il valore democratico del libero accesso alle informazioni, con l’invito agli stati di assicurare coerenza fra regole relative alla legislazione bibliotecaria e regole applicate in altri campi correlati, di estendere la portata dei provvedimenti tradizionali per le biblioteche, al fine di prendere in considerazione tutti i differenti aspetti rilevanti per la legislazione in materia di biblioteche, di creare un equilibrio fra gli interessi di tutti gli individui e degli enti coinvolti e quelli delle diverse categorie di professionisti del libro e dell’informazione.

L'opinione del legale - pag. 19 [2002 - N.14]

Le novità apportate dalla Legge 248/2000 mirano ad adeguare la legislazione italiana in materia alle nuove forme di utilizzazione economica dovute all'evoluzione tecnologica

Michele Giambarba - Studio Legale Giambarba di Ravenna

Il 19 settembre scorso è entrata in vigore la legge n. 248 del 28 agosto 2000 Nuove norme di tutela del diritto d'autore, che modifica in maniera sostanziale diversi articoli della L. 633/1941 sul diritto d'autore. Tale intervento, sulla scia di altri interventi degli ultimi anni, mira ad adeguare la legislazione in materia alle nuove forme di utilizzazione economica dovute all'evoluzione tecnologica. Inoltre il diffondersi della pirateria, favorita dai nuovi mezzi digitali di comunicazione, ha creato una forte reazione degli autori e delle multinazionali che hanno insistentemente richiesto strumenti più forti e adeguati per difendersi dalla violazione dei loro diritti. Tra le modifiche più significative annotiamo anzitutto la nuova stesura dell'art. 16 della L. 248/2000, relativo al diritto di diffondere a distanza mediante mezzi quali il telegrafo, il telefono, la radiodiffusione, la televisione ed altri mezzi analoghi. Per vero già la legislazione degli anni '90 aveva precisato il contenuto dei diritti degli autori con riferimento a quelle forme di utilizzazione economica che in anni recenti hanno radicalmente modificato il mercato di videogrammi e fonogrammi. La nuova formulazione dell'art. 16 toglie oggi ogni incertezza in merito al fatto che nel diritto esclusivo dell'autore di utilizzare economicamente l'opera sia ricompresa anche la trasmissione via cavo, nonché quella codificata con condizioni di accesso particolari (pay-tv). Una vera rivoluzione è stata invece realizzata per ciò che concerne l'attività di riproduzione delle opere mediante fotocopia, xerocopia o sistemi analoghi (ossia su supporto cartaceo) in quanto si è inteso tutelare in modo rigoroso il diritto esclusivo dell'autore alla riproduzione dell'opera. Pertanto, secondo l'attuale disciplina, resta libera la fotocopia di opere esistenti nelle biblioteche, se fatte per i servizi della biblioteca, e del pari rimane libera la riproduzione di singole opere o brani di opere per uso personale dei lettori se - si badi- effettuata (art. 68 L. 248/2000) "a mano con mezzi di riproduzione non idonei a spaccio o diffusione dell'opera in pubblico" (anche se è sempre più difficile individuare tale spazio di "libertà"). Al di fuori di dette ipotesi, per la riproduzione di opere, volumi o fascicoli effettuata per uso personale mediante fotocopia o xerocopia o analogo mezzo, viene imposto un limite del 15% dell'opera, esclusa la pubblicità, salvo opere rare fuori catalogo presso biblioteche pubbliche. Si precisa peraltro che per "pubblica" non si intende necessariamente una biblioteca di uso pubblico, ma piuttosto che appartiene allo Stato o a enti pubblici, indipendentemente dall'uso al quale sia destinata (aperta al pubblico o meno). Alla limitazione quantitativa si aggiunge l'obbligo per il responsabile del centro o punto di riproduzione, di corrispondere un compenso commisurato al numero delle pagine riprodotte o, nel caso di biblioteche pubbliche, determinato forfetariamente, riscossi e ripartiti dalla SIAE e determinati con accordo tra la SIAE e le associazioni delle categorie interessate o, in mancanza, con decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri. La nuova disciplina viene rafforzata da una più incisiva tutela per la violazione delle norme predette e dalla previsione della sospensione della attività di fotocopia, xerocopia o analogo sistema di riproduzione nonché di sanzioni amministrative pecuniarie che si aggiungono a quelle penali, aggravando così le conseguenze dell'illecito. Vengono quindi introdotte una serie di disposizioni che prevedono compiti di vigilanza per prevenire o accertare le violazioni alla normativa e altre norme che prevedono un controllo dell'esatto adempimento degli obblighi in materia di diritto d'autore. In particolare si prevede una funzione di certificazione mediante l'apposizione di un contrassegno su ogni supporto contenente programma per elaboratore o multimediali, nonché su ogni supporto contenente voci o immagini in movimento. Le novità apportate dalla L. 248/2000 sono quindi di sicuro rilievo. L'evoluzione legislativa del diritto d'autore è tuttavia destinata a proseguire ancora e in fretta. Nel momento in cui si scrive viene infatti discussa e votata in Parlamento Europeo una nuova direttiva il cui scopo è di assicurare un mercato interno in materia di diritto d'autore e di diritti connessi, con particolare riferimento ai prodotti e ai servizi della società dell'informazione.

L'opinione del legale - pag. 19 [2001 - N.10]

Alla stella di Sant'Apollinare è spuntata una lunghissima coda

Franco Gàbic - Capo Reparto delle Attività scientifiche e museali del Comune di Ravenna

Nella raffigurazione musiva della Adorazione dei Magi in Sant'Apollinare Nuovo a Ravenna si nota una curiosità astronomica molto interessante. In alto a destra, infatti, è ben visibile una stella a otto punte, che traduce il fenomeno astronomico descritto dall'evangelista Matteo: "Dov'è il re dei Giudei che è nato? Abbiamo visto sorgere la sua stella, e siamo venuti per adorarlo". Anche in due formelle della cattedra d'avorio di Massimiano, conservata al Museo Arcivescovile di Ravenna, è ben visibile la raffigurazione di una stella che richiama evidentemente il brano evangelico. A partire dal V-VI secolo, dunque, la raffigurazione del fenomeno di Natale (la cosiddetta "stella di Betlemme") si identifica con una stella, anche se il termine sottende una vasta gamma di fenomeni (stella, cometa, meteorite, fenomeno astronomico). La rappresentazione del fenomeno di Natale ha però subìto nel tempo una radicale trasformazione, come dimostrano due opere di Luca Longhi (Adorazione dei pastori) e di Andrea Barbiani (Adorazione del bambino) conservate nel Museo d'Arte della Città, dove è ben visibile la presenza di una "stella" con la coda. Che cosa ha indotto gli artisti ad aggiungere la "coda" alla tradizionale "stella" che figurava nelle rappresentazioni precedenti? Per trovare la ragione dobbiamo portarci all'inizio del Trecento, quando Giotto sta affrescando a Padova la Cappella degli Scrovegni. Giotto, nella sua Natività, inserisce sopra alla capanna una cometa e si tratta non di una rappresentazione simbolica del fenomeno celeste, ma di un'interpretazione realistica come si può dedurre confrontando la cometa di Giotto con immagini e foto di comete che sono realmente apparse nei nostri cieli. Ora, considerando che la cometa di Halley passò alla fine di ottobre del 1301 e che Giotto eseguì gli affreschi padovani probabilmente fra il 1304 e il 1305, si potrebbe affermare che la cometa di Giotto sia proprio quella di Halley anche se non è da escludere che l'artista possa essere stato influenzato anche dalla visione di altre comete che apparvero in quel periodo. Secondo uno studio dell'astronomo Paolo Maffei le comete che probabilmente influenzarono Giotto apparvero rispettivamente nel 1297, nel 1301 (oltre alla Halley se ne registrò un'altra) e nel 1305 e di queste la candidata più probabile è quella del 1297, che aveva una coda abbastanza lunga e che fu visibile per poche notti. In ogni caso, scrive Maffei, "se Giotto la vide, nel suo ricordo si dovette sovrapporre quello della cometa apparsa quattro anni dopo: più grande, più luminosa e che durò più a lungo. Questa fu appunto la cometa di Halley". Dobbiamo quindi concludere che la "stella di Betlemme" si trasformò in cometa da quando Giotto la raffigurò nella Cappella degli Scrovegni.

Ricerche e curiosità - pag. 19 [2003 - N.18]

Da marzo è in rete la nuova versione del sito del Sistema, che nei prossimi mesi vedrà una continua implementazione di notizie e servizi offerti ai visitatori telematici

Eloisa Gennaro - Responsabile U.O. Beni culturali della Provincia di Ravenna

Il 2004 è l'anno in cui il Sistema Museale non solo si presenta quantitativamente ampliato - con 15 ulteriori musei messi in rete - ma soprattutto mette in cantiere una serie di progetti finalizzati allo sviluppo di servizi tecnologici in ambito museale, di cui parleremo con maggior dettaglio nei prossimi numeri. Diamo qui invece notizia del nuovo sito del Sistema (www.sistemamusei.ra.it) che presenta sia un restyling grafico sia un rinnovato piano dei contenuti, che tiene conto delle diverse esigenze informative dei potenziali navigatori. Il nuovo sito si compone di numerose e distinte sezioni tra le quali risulta facile navigare. In particolare la sezione News promuove le iniziative organizzate dai musei del Sistema: tutte le novità sono in evidenza nella home page, altrimenti si può consultare l'archivio delle notizie. La sezione Museo inoforma presenta la versione elettronica della rivista mentre la sezione I musei del Sistema contiene le singole schede dei 35 musei, con presentazione delle collezioni permanenti, informazioni pratiche per organizzare una visita, riproduzioni fotografiche, link ai siti di musei e di altre istituzioni culturali collegate, contatti via mail con lo staff dei musei. Sufficiente spazio è dato anche ai musei non appartenenti al Sistema, che presentano una propria scheda informativa. La sezione A spasso per i musei è totalmente dedicata alle attività di didattica museale proposte agli studenti, alle famiglie e ai turisti: è possibile selezionare i percorsi per area geografica, per natura delle raccolte museali, per tipologia di attività e per fascia di età a cui si rivolgono. La Provincia di Ravenna si dota così di un rinnovato strumento di comunicazione del patrimonio museale del territorio, che nel corso dei prossimi mesi vedrà una costante implementazione di informazioni e servizi on line.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 19 [2004 - N.19]

L’11° corso di aggiornamento “Scuola e Museo” diventa un convegno dedicato al riconoscimento del patrimonio museale come punto di riferimento per la crescita personale e sociale

Eloisa Gennaro Alba Trombini - Eloisa Gennaro Alba Trombini

Il dialogo tra istituzioni museali e il mondo della scuola, avviato nel 1994 dal Settore Beni e Attività Culturali della Provincia di Ravenna col progetto “Scuola e Museo”, prosegue anche quest’anno con un evento particolare, pensato proprio in occasione del decennale. Rispetto alle precedenti edizioni, infatti, l’annuale corso di aggiornamento sulla didattica è organizzato in un’unica giornata di studio sul tema del riconoscimento del museo come fonte non soltanto di conoscenza, ma anche di stimolo e modello nei processi di crescita individuali e sociali. Il Convegno propone sia relazioni frontali sia importanti momenti di discussione e di riflessione collettiva tra specialisti del settore.
In una società come quella contemporanea che tende a omogeneizzare e massificare tanti aspetti della vita il museo può divenire un ottimo strumento per “ricordare” il valore della differenza e della sfumatura, per sottolineare l’importanza del sapere e poter declinare in tanti modi diversi il pensiero, la parola e il gesto. Il patrimonio museale del nostro paese è estremamente ricco di contenuti e linguaggi espressivi diversi, di segni e simboli che rispecchiano gradi differenti di complessità dell’essere umano: ecco allora che la ricchezza e la varietà del patrimonio museale possono essere utilizzate come punto di riferimento dalla persona nel suo percorso di crescita, fin dalla più giovane età.
Sono sempre più numerosi in Italia e all’estero i musei che, oltre ad assolvere la loro naturale funzione di custodi e trasmettitori di conoscenza, si propongono alla collettività come luoghi di riflessione e ricerca, di analisi e condivisione. Sono musei che lasciano spazio alla creatività individuale, al bisogno della persona di confrontarsi e di restituire la propria visione e il proprio pensiero, al di là dei limiti imposti dai condizionamenti sociali e dalle realtà educative formali, per natura inevitabilmente più rigide. Sono musei che sanno offrire alla singola persona e alla collettività la propria unicità e la propria ricchezza come esempio per crescere e maturare una visione più ampia della realtà.
Nel corso della giornata di studio si confronteranno studiosi ed esperti provenienti da vari ambiti disciplinari per affrontare il tema proposto da prospettive di ricerca differenti. Nella sessione mattutina, introdotta da Laura Carlini (IBACN), verrà analizzato l’argomento sotto il profilo metodologico della pedagogia, della psicologia e degli studi sociali. Interverranno Duccio Demetrio (preside del Corso di Laurea in Scienze dell’Educazione dell’Università degli Studi di Milano-Bicocca), Claudio Widmann (psicologo, psicoanalista e saggista) e Alessandro Bollo (Fondazione Fitzcarraldo di Torino). Nella sessione pomeridiana sentiremo invece il pensiero di chi opera nei musei seguendo tale impostazione educativa, di chi interpreta e vive la realtà museale non solo nella sua dimensione didattica, ma anche antropologica e filosofica: si rifletterà sul tema con Silvia Gramigna (storico dell’arte e ideatrice del metodo didattico Sentire l’arte), Giovanni Barberini (Assessore alla cultura del Comune di Lugo e responsabile di Casa Museo Monti di Alfonsine) e Mario Turci (direttore del Museo Etnografico di Santarcangelo di Romagna).
Il Convegno, che si svolge sotto il patrocinio dell’Istituto per i Beni Artistici Culturali e Naturali dell’Emilia Romagna, si terrà giovedì 28 ottobre 2004 presso la Sala Cavalcoli della Camera di Commercio di Ravenna (in Viale Farini, 14) con il seguente orario: dalle 9.30 alle 13.00 e dalle 14.00 alle 17.00. Destinatari dell’intervento formativo sono gli insegnanti di ogni ordine e grado della provincia, gli operatori culturali e museali della regione e gli studenti delle Facoltà di Lettere, Scienze della Educazione e Conservazione Beni Culturali. Nell’occasione verranno consegnati ai partecipanti materiali didattici prodotti dal Laboratorio Provinciale per la Didattica Museale di Ravenna.
Per iscrizioni e dettagli sul programma della giornata è possibile contattare dal mese di settembre la dott.ssa Eloisa Gennaro (0544.35142 – e.mail: sistemamusei@mail.provincia.ra.it) oppure visitare il sito del Sistema Museale all’indirizzo www.sistemamusei.ra.it

Esperienze di didattica museale - pag. 19 [2004 - N.20]

Si è svolta a Torino una Conferenza Internazionale sul tema dello story telling come possibile strumento pedagogico innovativo da utilizzare al museo

Alba Trombini - Consulente e docente di educazione museale

Può la narrazione divenire a pieno titolo strategia condivisa di didattica museale? In che modo? Con quali tecnologie di supporto? E soprattutto, con quali cautele e di quali competenze si deve attrezzare l’operatore museale – la voce narrante – per utilizzarla al meglio e con pubblici differenti?
Invitata a portare un contributo alla Conferenza Internazionale Raccontare i musei – organizzata a Torino il 4 e il 5 febbraio scorso da Fondazione Fitzcarraldo, Regione Piemonte e HoldenArt – per due giorni ho avuto l’opportunità assieme a colleghi provenienti da tutta Italia e da 28 paesi d’oltre confine di riflettere sul tema della narrazione (o story telling, secondo la definizione adottata in ambito europeo) come possibile strumento pedagogico innovativo da utilizzare al museo.
Per motivi di spazio non mi soffermerò sugli interventi più tecnici (analisi dello status europeo su formazione e competenze professionali di operatori museali), i cui abstract sono in visione sul sito della Fondazione Fitzcarraldo, ma proporrò soltanto un accenno a tre delle risposte più interessanti e provocatorie fornite dai relatori chiamati a condividere pensiero e ricerca sul campo.
Le relazioni sono cominciate con una serie di moniti precisi, a partire da quello del professor Francesco Antinucci (scienziato cognitivo dell’Istituto di Psicologia del CNR) che ha sottolineato con forza la necessità di non farsi intrappolare dalla moda emergente del museo-spettacolo in cui è soltanto il livello emotivo a essere sollecitato. Essenziale per poter definire un percorso educativo come tale, è l’accuratezza nel ristabilire la comunicazione intrinseca interrotta fra l’opera e chi osserva. Si tratta sì di una comunicazione spezzata – dal tempo e dalla perdita del contesto originario – ma sempre e comunque preesistente a tutte le nostre possibili interpretazioni; “tutto ciò che facciamo al di fuori di questo – afferma Antinucci – non è comunicazione, ma invenzione”. E il primo dovere di un allestimento “politicamente” corretto è quello di fornire al pubblico i codici d’accesso per ristabilire la vera comunicazione, non le elucubrazioni personali di curatori, educatori o direttori.
E sulle trappole insidiose quanto attraenti di un uso non corretto della pratica dell’interpretazione, ha messo in guardia anche Peter J. Howard (geografo e docente alla Bournemouth University, GB) sostenendo che il semplice fatto di essere vivace e stimolante non basta per definire un percorso museale come momento “culturalmente alto”. Howard considera il mettere in scena, il fare poesia, il togliere le didascalie… come performance, forma d’arte, e non altro. Per questo invita a ridurre al minimo non solo l’invadenza dell’interpretazione selvaggia, ma anche l’inevitabile selezione che questa pratica comporta nel momento in cui è obbligata a proporre una visione, una sola prospettiva, una singola storia.
Chi invece ha messo in luce gli aspetti positivi dell’utilizzo della narrazione come eccezionale metodologia educativa è stato Janusz Byszewski (curatore del Laboratorio di Educazione Creativa al Centro di Arte Contemporanea di Varsavia), educatore che inventa percorsi – con il supporto di artisti contemporanei – che pongono i singoli visitatori in uno stato di creatività pura. Ed è così che indipendentemente dal background culturale e sociale di provenienza il suo pubblico diviene co-creatore di cultura attiva in un contesto che l’autore definisce museo-forum. Per Byszewski il forum è un luogo museale in cui si raccolgono le storie, tutte; dove avviene l’intreccio fra storie personali e storie collettive.
Condivido nella loro essenza entrambi i punti di vista, solo in apparenza diametralmente opposti. Il problema forse non sta nello scegliere da che parte stare, ma nel riuscire a pensare al museo come un’entità capace di accogliere entrambe le prospettive e di esplicitare al pubblico la strategia scelta di volta in volta, con alto senso di responsabilità e altrettanta fiducia nella capacità dei destinatari di comprendere la diversa natura delle proposte educative offerte. Utilizzo spesso la tecnica del racconto di sé come tramite per rintracciare quel filo ideale che unisce i nostri musei personali e interiori ai musei veri e propri e cerco di farlo senza confondere le pertinenze e i confini degli uni e degli altri, stando bene attenta a condividere la filosofia che sta alla base della metodologia usata.

Appunti dai convegni - pag. 19 [2005 - N.22]

È stata organizzato dal Centro Internazionale di Documentazione sul Mosaico di Ravenna una giornata di studi sulla chiesa di S. Michele in Africisco, dedicata alla memoria di Giuseppe Bovini

Sara Andruccioli - Centro Internazionale di Documentazione sul Mosaico, M.A.R. di Ravenna

Il Centro Internazionale di Documentazione sul Mosaico, sezione del Museo d’Arte della città di Ravenna, ha organizzato nelle giornate del 21 e 22 aprile scorso presso la Sala dei Mosaici del Palazzo del Mutilato, un convegno di studi dedicato ad uno dei monumenti di epoca bizantina tra i più importanti del VI secolo: la chiesa di S. Michele in Africisco. Con questo convegno il Centro, che si propone di documentare,valorizzare, promuovere il mosaico in tutte le sue espressioni, senza limiti cronologici o geografici, ha voluto restituire alla città di Ravenna la conoscenza di un monumento che, anche se oggi non conserva il suo aspetto originale, rimane comunque importante testimonianza del glorioso passato della città.
La chiesa fu edificata durante il regno dell’Imperatore Giustiniano, pochi anni prima di S. Vitale e S. Apollinare in Classe, per volontà di Giuliano Argentario, funzionario della corte bizantina,come ex-voto per una grazia ricevuta dall’Arcangelo Michele. Fu aperta al pubblico nel 545 e consacrata nel 547 dall’Arcivescovo Massimiano.
L’edificio, di cui oggi rimangono solo alcune strutture murarie, era decorato al suo interno da mosaici parietali e pavimentali, ma per alterne vicissitudini subì molte trasformazioni e spoliazioni. Dopo la soppressione napoleonica del 1805 S. Michele fu acquistato da Andrea Cicognani che ne ricavò botteghe per venditori di pesce. Nel 1840 fu venduto all’antiquario Giuseppe Buffa, che volendo lo stabile come deposito di legna, protesse il mosaico dell’abside con un muro.
La chiesa fu visitata in quegli anni da un inviato di Federico Guglielmo IV di Prussia che ordinò l’acquisto del mosaico dell’abside. Si ottenne da Papa Gregorio XIII il permesso di portarlo a Berlino, ma per fare questo fu necessario staccare il mosaico dal supporto murario. Alessandro Cappi, segretario dell’Accademia di Belle Arti di Ravenna, rifiutò di collaborare, sostenuto dalla fiera opposizione allo stacco del mosaico di numerosi concittadini, fra i quali Enrico Pazzi. Vincenzo Pajaro antiquario di Venezia si occupò del distacco e del trasporto nella città lagunare.
Il restauro dell’opera musiva fu affidato a Giovanni Moro che lo eseguì tra il 1850 e il 1851 e lo fece spedire a Berlino. Per accontentare Federico Guglielmo di Prussica, il Moro rifece alcune parti del mosaico. Dei frammenti originali rimasti salvò alcune parti e le rivendette. A Berlino il mosaico fu montato nel 1904 in una delle sale di quello che attualmente è il Bode Museum. Degli altri elementi decorativi è rimasto ben poco. Il mosaico pavimentale a motivi geometrici, riscoperto nel 1930, una transenna e due capitelli sono conservati attualmente al Museo Nazionale di Ravenna; mentre altri frammenti si trovano al Museo di Torcello, al Victoria & Albert Museum di Londra e a San Pietroburgo. Il luogo in cui sorgeva la chiesa ospita oggi un negozio di Max Mara.
Si è ritenuto doveroso dedicare questo convegno, a trent’anni dalla sua scomparsa, a Giuseppe Bovini, professore di archeologia cristiana e fondatore dell’Istituto di Antichità ravennati e Bizantine di Ravenna (ora Dipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna), che con i suoi studi e le sue iniziative sull’arte bizantina ha contribuito in maniera sostanziale alla diffusione della conoscenza e alla valorizzazione del patrimonio musivo di Ravenna.
Alle due giornate di studi hanno partecipato i più eminenti studiosi del settore, che grazie ai loro contributi hanno cercato una risposta alle diverse problematiche della chiesa, analizzando nello specifico: le vicende storiche, l’architettura, la scultura, i frammenti dei mosaici parietali e pavimentali, il mosaico absidale del Bode Museum, i documenti d’archivio e i fondi storici, l’origine del nome, il motivo della dedicazione, i restauri. Le iniziative per approfondire la conoscenza di S. Michele in Africisco non finiscono qui. Nei prossimi mesi si prevede la pubblicazione degli atti del convegno e la realizzazione di un video multimediale con la ricostruzione della chiesa e delle sue decorazioni.

Appunti dai convegni - pag. 19 [2005 - N.23]

La presentazione della "Carta Nazionale delle Professioni museali" apre un nuovo capitolo per i musei, nel solco della cultura della qualità

Diego Galizzi - Conservatore del Centro Culturale "Le Cappuccine" Membro ICOM

La Carta Nazionale delle Professioni Museali, presentata il 25 ottobre scorso nella sede della Regione Lombardia a Milano, è destinata ad avere una certa risonanza fra gli addetti ai lavori e, si auspica, fra i soggetti che hanno responsabilità istituzionali e amministrative in materia poiché prefigura i ruoli, le responsabilità, i requisiti di accesso e le modalità di incarico delle principali figure necessarie al funzionamento di un museo. Nel testo sono delineate le figure del Direttore, Conservatore, Catalogatore, Registrar, Restauratore, Responsabile dei servizi educativi, Educatore museale, Coordinatore dei servizi di accoglienza e custodia, Operatore dei servizi di accoglienza e custodia, Responsabile del centro di documentazione, Bibliotecario, Responsabile amministrativo e finanziario, Responsabile della segreteria, Responsabile dell’ufficio stampa e fund raising, Responsabile del sito web, Responsabile delle strutture e dell’impiantistica, Responsabile della rete informatica, Responsabile della sicurezza, Progettista degli allestimenti.
A voler essere obiettivi, la sensazione di trovarci di fronte ad uno schema fin troppo articolato per le possibilità (e le necessità!) di molti dei nostri musei è quantomeno fondata, soprattutto quando incontriamo professionalità decisamente poco “tradizionali” come il registrar; d’altro canto, è probabile che in alcune grandi realtà le figure individuate non esauriscano totalmente la complessità della gestione di un museo. Attenzione, però, nelle premesse del documento Alberto Garlandini, consigliere nazionale ICOM e coordinatore del gruppo di lavoro a cui si deve la Carta, è piuttosto esplicito nel dichiarare che essa vuole essere uno schema flessibile, da adattare alle caratteristiche dimensionali e tipologiche dei musei e alle normative dei relativi Enti proprietari, anche se non c’è dubbio che vi siano figure da considerarsi prioritarie: direttore, conservatore e tre professionalità negli ambiti dei servizi al pubblico, dell’amministrazione / pubbliche relazioni e della sicurezza.
Ma al di là del contenuto, che può essere approfondito scaricando la Carta messa a disposizione nel sito internet di ICOM Italia (www.icom-italia.org), credo sia importante qui sottolineare lo spirito con il quale si è voluto metter mano a questo tema e le finalità che la Conferenza Permanente si è posta, nel breve e nel lungo periodo. L’obiettivo è quello di giungere ad un riconoscimento formale e sostanziale delle professionalità museali
e, in questo senso, la presentazione della Carta nazionale delle professioni museali non è un punto di arrivo, ma semplicemente l’inizio di una nuova sfida, un contributo offerto al legislatore (centrale e regionale) affinché si giunga al riconoscimento istituzionale di queste professioni.
Nel frattempo l’impegno di tutti deve essere quello si sottoporre fin da ora il documento all’attenzione della comunità museale, degli Enti proprietari, dei sindacati e delle Università, avviando così un processo di verifica dell’applicabilità dei contenuti, anche attraverso tavole rotonde promosse su tutto il territorio nazionale e forum on-line. È infatti prevista per il prossimo ottobre una nuova Conferenza Nazionale promossa da ICOM, che chiuderà una fase di verifica durata un anno per “battezzare” la versione definitiva della Carta.
La speranza è quella di giungere ad esiti simili a quelli raggiunti dagli Standard museali, che lentamente le Regioni stanno metabolizzando, con esiti certo diversi, nelle loro normative. L’unica nota stonata, al momento, è la mancata firma della Carta da parte della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane, che fin dall’inizio era stata coinvolta ai lavori di redazione. Data la rilevante importanza che l’individuazione di percorsi formativi adeguati riveste nella definizione delle figure professionali previste, è evidente che le eventuali divergenze con il mondo universitario devono essere ricomposte al più presto, e non sarà facile, se non si vuole che il frutto di un così grande sforzo da parte della comunità scientifica museale nasca con una lacuna che rischia di minarne l’efficacia sin dall’origine.

Appunti dai convegni - pag. 19 [2006 - N.25]

La Provincia di Ravenna dà appuntamento il 7 novembre con il 13° corso “Scuola e Museo”, per scoprire in un forum fra pubblico ed esperti nuove strategie di azione per i visitatori dei musei

Alba Trombini - Consulente museale

È ancora possibile sorprendere se stessi e gli altri, in un museo? È necessario affidarsi a effetti e allestimenti speciali per creare l’attenzione e l’apprendimento particolare che si genera solo nella sorpresa? Forse no; ogni volta che si supera un limite ritenuto invalicabile, ci si sorprende. Ogni volta che si va oltre le esperienze diffuse e consolidate, quando si sperimenta e ci si mette in gioco, c’è sorpresa. E succede anche quando si mescolano competenze e pratiche diverse e si dà vita a un nuovo pensiero, a un modo diverso di fare o vedere le stesse cose che si facevano o si vedevano prima.
Quando si fossilizzano nella sicurezza del risultato raggiunto, e più volte confermato, può capitare che anche le migliori e pluriennali esperienze e competenze, da risorse divengano limiti. Viceversa, una conoscenza in divenire che cerca altrove – anche in campi apparentemente lontani – spunti, tecniche e strategie creative, pone le basi per un’autentica evoluzione della disciplina cui appartiene.
Che cosa è cambiato – e tuttora sta cambiando – nelle norme, nel pensiero, nella ricerca e nella pratica educativa al museo? L’educazione museale più innovativa, frutto di ricerche e di sperimentazioni più che trentennali, sta ponendo sempre più al centro del proprio interesse non tanto la materia specifica di cui si occupa in ogni singolo museo, quanto l’impatto che le sue proposte avranno sul soggetto che riceverà l’offerta formativa. Gli studi sulle modalità di apprendimento e di percezione, che oggi sappiamo essere assolutamente individuali e differenziate, la consapevolezza della necessità di un coinvolgimento più maturo e responsabile di tutti i soggetti coinvolti nella relazione educativa, il sostegno di tecnologie sempre più sofisticate, e la nascita di un nuovo atteggiamento del pubblico verso l’idea di fruizione museale, stanno modificando profondamente sia l’azione per, sia la relazione con le persone in visita al museo.
Su questo tema il Settore Cultura della Provincia di Ravenna, nell’ambito della tredicesima edizione del corso “Scuola e Museo”, propone un’occasione di dialogo sulle nuove strategie di progettazione formativa in atto nelle sezioni didattiche di alcuni importanti musei italiani, e sulle modalità ritenute oggi più efficaci per la creazione di una relazione educativa sempre più costruttiva e stimolante.
Chiamati a condividere i risultati della propria sperimentazione sul campo, gli esperti – provenienti da istituzioni, enti e musei di diverse regioni italiane – illustreranno strategie e forniranno suggerimenti per quanti vogliano avvicinarsi con occhi nuovi e nuovi pensieri a tutto ciò che riguarda il campo della pratica educativa al museo, senza pre-giudizi, con il desiderio di sperimentare nuove interazioni disciplinari e con la capacità di mettersi in gioco di continuo.
Per continuare con le sorprese, invece dell’usuale formula della conferenza/convegno, viene proposta una sorta di forum, in cui parte del tempo a disposizione per ogni esperto invitato a dare il proprio contributo è adoperato per rispondere a riflessioni e quesiti posti dal pubblico. Una giornata di autentico dialogo, quindi, fra quanti si occupano di educazione museale nelle scuole, nei musei, nel campo della formazione permanente e dell’associazionismo culturale, e desiderano condividere conoscenze, esperienze, intuizioni e valutazioni.
L’organizzazione del forum prevede una sessione al mattino dedicata ai principi e alla “filosofia” dell’educazione museale, mentre nel pomeriggio si parlerà di pratiche, di casi di studio, di valutazioni su sperimentazioni innovative. Interverranno in qualità di esperti: Daniele Jallà (Piemonte), Aurora di Mauro (Veneto), Silvia Mascheroni (Lombardia), Filippo Guarini (Toscana), Alba Trombini e Cesare Melandri (Emilia Romagna), Margit Schweigkofler (Trentino Alto Adige) e Annalisa Trasatti (Marche). Concluderà i lavori Laura Carlini, responsabile del Servizio Musei dell’IBC.

Esperienze di didattica museale - pag. 19 [2006 - N.27]

È raro che il pubblico a cui è dedicata una giornata di studi sia presente in sala e partecipi attivamente. È quanto è successo in occasione del Convegno dedicato alla relazione fra giovani e musei.

Alba Trombini - Consulente Scientifico Convegno Musei Giovani

Ciò che più ha colpito gli intervenuti al Convegno Musei Giovani, proposto lo scorso 24 novembre dalla Provincia di Modena sul tema della complessità dei rapporti fra adolescenti e musei, è stata la qualità della partecipazione e dell'attenzione mostrata dagli oltre cento studenti di scuole superiori che hanno assistito alle relazioni della sessione mattutina.

A loro, a questi nostri adolescenti così spesso accusati di disinteresse nei confronti della cultura museale, dedico questi Appunti. Provenivano da città e da istituti diversi, così come differenti erano i motivi per cui si trovavano lì, ma ciascuno di questi ragazzi ha contribuito a creare un'atmosfera di allegra concentrazione e di autentico dialogo. Le battute non sono mancate (a un certo punto è partito anche un accenno di ola) e, nonostante fosse un po' mitigato dalla presenza in platea di quasi quattrocento persone, il tono dei loro interventi sul palco ha mantenuto intatto il sapore del loro universo, del loro linguaggio. Non erano obbligati a partecipare al Convegno, per alcuni era giornata di Assemblea generale, dunque di "festa". Altri, venendo da fuori, avevano dovuto prendere e pagarsi chi il treno, chi la corriera... Ma erano lì. Forse per vedere se era vero che sarebbero stati ascoltati, o forse per testare la nostra promessa di parlare di loro con loro.

Sapevano che avremmo parlato della loro esperienza, del loro mondo, ma come l'avremmo fatto? Saremmo stati onesti nelle nostre valutazioni? Sapevano che i loro elaborati prodotti lungo tutto l'anno precedente sarebbero stati messi in mostra, ma con quale esito? Si avvertiva che erano lì per qualche altro motivo, forse eravamo riusciti ad attivare anche la parte più sana del loro naturale desiderio di protagonismo. Al termine delle relazioni degli esperti, dunque dopo qualche ora di monologhi ascoltati con attenzione sorprendente, una decina di questi ragazzi - scelti dalle rispettive classi come voce di un pensiero condiviso - sono saliti sul palco per raccontare a tutti i presenti chi sono "realmente" gli adolescenti di oggi, perchè non sentono una particolare motivazione a frequentare i musei, di cosa hanno bisogno per cominciare a farlo.

Sono emerse alcune indicazioni interessanti. Il tema della morte, ad esempio. Per sua natura il museo lo evoca, ma noi addetti ai lavori lo affrontiamo sempre un po' frettolosamente, dandolo per scontato o sottovalutandone l'impatto sulle personalità in formazione. È vero che i nostri ragazzi vivono immersi nella rappresentazione della morte - in tv, sui giornali, nei videogiochi - ma in questa forma la morte rimane lontana, come se riguardasse sempre qualcun'altro. Al museo, invece, l'invisibile e la fissità coinvolgono inesorabilmente e direttamente: chi entra, a un qualche livello di coscienza, avverte all'istante il suo richiamo. E attorno ai sedici anni questo proprio non piace.

È poi emerso il tema dell'ascolto, del valore educativo di un museo che sappia anche ascoltare ciò che queste giovani menti hanno da dire in risposta a ciò che vedono, a ciò che sentono alla presenza delle espressioni altrui. E ancora, il tema della scelta del linguaggio museale, di una comunicazione capace di trasmettere tutta l'energia, l'entusiasmo e il travaglio emotivo e razionale che accompagna ogni atto creativo dell'uomo.

Adolescenti e musei... Per quanto noi adulti, educatori e specialisti di vari ambiti disciplinari, cerchiamo di entrare nel loro mondo e penetrare il loro pensiero, non possiamo e non riusciamo a farlo chiusi nel nostro sapere o convinti di aver solo da dare (conoscenza ed esperienza). Per più di un anno ho lavorato con molti di questi ragazzi in laboratori che avevano semplicemente lo scopo di iniziare a riflettere insieme sul senso dei musei per i giovani e ho avuto più volte la fortuna di stabilire un contatto, non senza una certa dose di fatica e frustrazione. E ho capito che c'è solo un modo per arrivare a quel risultato: autentica accoglienza, autentico ascolto.

Appunti dai convegni - pag. 19 [2007 - N.28]

Valentina Galloni - IBC Emilia-Romagna

Il 23 marzo, in occasione del Salone del Restauro 2007, l'IBC della Regione Emilia-Romagna ha organizzato un seminario dal titolo "Lavorare al museo. Profili professionali per i musei della Regione Emilia-Romagna".
L'incontro, a cui hanno partecipato Laura Carlini, Responsabile del Servizio Musei dell'IBC, Fabrizia Monti, Responsabile del Servizio Formazione Professionale della Regione Emilia-Romagna, Daniele Lupo Jalla, Presidente di ICOM Italia, Emilio Cabasino, Segretario Generale di ECCOM e Cristian Favarin, Responsabile Progettazione dello IAL Emilia Romagna, ha presentato il lavoro svolto dalla Regione per promuovere la qualificazione del personale museale e ha analizzato le prospettive che il nuovo quadro di riferimento può aprire ai vari attori coinvolti: musei, operatori del settore e mondo della formazione.

La Direttiva "Standard e obiettivi di qualità per biblioteche, archivi storici, musei e beni culturali ai sensi dell'art. 10 della L.R. 18/2000" approvata dalla Giunta Regionale il 3 marzo 2003, alla voce "Personale", ha previsto come requisito obbligatorio per i musei che vengano assicurate in modo adeguato e con continuità almeno quattro funzioni: direzione; conservazione e cura della collezioni; servizi educativi e didattici; sorveglianza e custodia. In base alle caratteristiche del museo, a ciascuna funzione può non corrispondere sempre una figura professionale (con la sola eccezione della direzione), bensì una stessa figura può garantire l'esercizio e il presidio di più funzioni. In altri casi, all'interno della stessa funzione, è possibile che siano previste più figure professionali.

Al fine di definire i profili professionali di riferimento delle quattro funzioni, è stato istituito un gruppo di lavoro, composto da alcuni rappresentanti dell'IBC e del Servizio Formazione Professionale della Regione Emilia-Romagna. Sono stati così descritti i profili del Direttore, del Curatore, del Tecnico dei servizi educativi museali e dell'Operatore dei servizi di custodia e accoglienza (Deliberazione del Consiglio Direttivo dell'IBACN Rep. n. 3/2007 del 13.03.2007). Si tratta di profili professionali di riferimento, che potremmo definire ideali, cui tendere nella qualificazione della struttura museale.

Nel momento in cui veniva svolto questo lavoro, si stavano delineando altre due importanti attività di definizione di profili/qualifiche professionali: la redazione della Carta nazionale delle professionalità museali di ICOM Italia e la revisione del Sistema Regionale delle Qualifiche in Emilia Romagna. Per quanto riguarda la Carta di ICOM Italia, il gruppo di lavoro ha, da un lato, partecipato ai lavori di definizione di alcuni profili in essa contenuti, dall'altro, ha utilizzato la Carta come elemento di confronto e verifica per quanto veniva sviluppato al proprio interno. Per quanto concerne il Sistema delle qualifiche, il gruppo ha mutuato il sistema descrittivo in esso utilizzato (unità di competenza, capacità, conoscenze); inoltre, rispetto a quanto originariamente previsto dall'impianto regionale, ha collaborato a ridefinire la qualifica del "Tecnico della valorizzazione dei beni/prodotti culturali" e ha portato a qualifica i due profili di "Tecnico dei servizi educativi museali" e "Operatore dei servizi di custodia e accoglienza museale" (Deliberazione Giunta Regionale n. 1719 del 04.12.2006).
L'inserimento di queste qualifiche nel sistema ha voluto rispondere alla necessità, avvertita da più parti, di riconoscere a pieno titolo l'esistenza di alcune figure professionali, siano essi dipendenti o collaboratori esterni, che operano negli istituti culturali e di sancirne le caratteristiche essenziali in un processo di progressiva qualificazione.

Il nuovo Sistema delle Qualifiche è stato infatti messo a punto dall'ente regionale per individuare standard di professionalità minimi omogenei su tutto il territorio e dispositivi di certificazione delle competenze, acquisite sia all'interno di percorsi di apprendimento formale (istruzione, formazione, ecc.), che non formale (esperienza). Le qualifiche sono quindi titoli formali che evidenziano e garantiscono il possesso da parte dei singoli di tutte le competenze proprie di una figura professionale e possono assumere un valore riconosciuto nel mercato del lavoro a livello regionale.

Appunti dai convegni - pag. 19 [2007 - N.29]

I piccoli musei territoriali e le sinergie di rete

Giuseppe Masetti - Direttore Museo Civico Le Cappuccine di Bagnacavallo

Il Sistema Museale compie formalmente 10 anni, ma l'attenzione e l'intervento dell'Amministrazione provinciale a sostegno della rete dei musei risalgono all'inizio degli anni '90. Sul piano istituzionale l'effetto della Legge 142 prima e della L.R. 20/90 fu quello di avviare, anche nella nostra provincia, un'indagine conoscitiva cui sarebbe seguito ben presto il Progetto STIMMA (Sistema Territoriale Integrato Musei Monumenti Archeologia).

Invece, sul piano della cultura professionale, ricordo ancora con ammirazione il convegno organizzato a Bologna nel 1989 da Andrea Emiliani; tre intense giornate dal titolo "Il museo parla al pubblico" durante il quale in molti tra gli operatori presenti cominciammo a capire l'importanza di quella che oggi chiamiamo mediazione culturale, che prima definivamo come attività didattica e di valorizzazione, e che altro non è che la capacità del museo di relazionarsi con il proprio pubblico e di farlo crescere, indipendentemente dal valore patrimoniale conservato. Fu per molti di noi una svolta epocale, che dava legittimazione al lavoro di ricerca svolto dai piccoli musei, anche nei settori scientifici, storici e demo-etno-antropologici che si sentivano figli di un dio minore rispetto alle grandi pinacoteche cittadine.

Venivamo da una stagione nella quale lo sforzo maggiore delle amministrazioni periferiche si era concentrato nella salvaguardia delle proprie tracce identitarie. Si erano costruiti con entusiasmo, negli anni '80, numerosi musei di interesse locale, in una regione che stava cambiando pelle rapidamente, con la preoccupazione di far riconoscere, alle stesse comunità locali, l'importanza della rappresentatività e del salvataggio di quei reperti, ancorché privi di valore artistico.

Le riflessioni sul concetto di bene culturale hanno camminato a lungo insieme all'evoluzione dei piccoli musei territoriali. Se solo si potessero vedere in uno scaffale aperto tutte le pubblicazioni che i musei ravennati hanno prodotto in questi ultimi 10 anni, le monografie di ricerca, i cataloghi delle mostre e le guide al patrimonio, si capirebbe che la funzione del museo è stata "vitale e non surrogabile" presso ogni comunità. Quanti artisti o personaggi illustri vivono oggi nella nostra conoscenza solo in virtù delle ricerche e acquisizioni prodotte dai musei locali, i quali hanno, come prima finalità, quella di dare valore e permanenza alla cultura espressa nel tempo dal territorio.

Ma se gli anniversari devono servire a progettare il futuro, più che a contemplare la strada percorsa, dobbiamo anche ammettere che quella stagione iniziale ha esaurito in gran parte la propria funzione. Una volta riconosciuto e apprezzato il valore dei contenuti museali minori si tratta ora di accreditare il costante lavoro di ricerca e di servizio destinato alla loro pubblica fruizione. Per far realmente dialogare il museo con un pubblico, nettamente più ampio che in passato, occorrono soluzioni, tecnologie e professionalità che non sono più quelle dell'esperto locale. Occorrono saperi interdisciplinari, accessi alle fonti per continuare la ricerca, piani di relazioni e di marketing per tradurre i linguaggi della specializzazione (tipici dei musei) in opportunità divulgative per le quali un tempo non si spendeva più di tanto.

È questo il livello che rende oggi indispensabile lavorare in rete. Un po' come nel nuovo mondo delle imprese o degli ospedali non si può pensare oggi di trattenere e risolvere tutti i processi necessari al proprio interno: servono collaborazioni ed architetture culturali più alte, di provata qualità ed efficacia. Le reti di coordinamento tematico, di area territoriale, di interazione con i servizi turistici sono in questo senso sempre più necessarie. Lo spazio d'intervento per il nostro sistema ravennate, pionieristico e meritevole per tanti aspetti, appare perciò sempre più ampio ed in continua evoluzione.

Nuovi scenari e nuove sfide tecnologiche offrono al Sistema Museale Provinciale obiettivi stimolanti ed impegnativi nel campo dei servizi e della valorizzazione, che possono produrre benefici trasversali per tutti i musei del territorio. Ma anche azioni decisive, come quella di affiancare la Regione nel difficile percorso di accreditamento dei musei esistenti rispetto ai nuovi standard, potranno portare la rete, e le amministrazioni che la compongono, verso quei risultati di qualità attesa che un distretto turistico ed un polo culturale come il nostro devono riuscire sapientemente a distribuire fra riviera, pianura e collina.

Speciale decennale del Sistema Museale Provinciale di Ravenna - pag. 19 [2007 - N.30]

In collaborazione con l'Università di Ferrara, il Museo d'Arte della Città di Ravenna è stato oggetto di due tesi di laurea dedicate al tema della conservazione e della comunicazione

Nadia Ceroni

"La vitalità di un istituto museale consiste nella capacità di fare cultura, di porsi in un rapporto di colloquio e di scambio con la cosiddetta società civile, cioè con la città in cui è sorto, col mondo degli studiosi ovunque ubicati che vi possono essere interessati, con l'insieme delle persone curiose ed intelligenti che vi possono trovare risposte alle loro domande o stimoli per la loro vita". Con queste premesse Liliana Pittarello (ne Il Museo. Rivista del Sistema Museale Italiano, 1992, n. 0, p. 34) accredita la funzione educativa del museo che rappresenta una delle caratteristiche fondanti dell'istituzione museale al pari degli altri ambiti di sua competenza - tutela, conservazione, valorizzazione, esposizione, documentazione - dovendo tener conto di un pubblico eterogeneo, a sua volta portatore di esigenze didattiche e culturali altrettanto diversificate.
Tra le diverse tipologie di visitatori che accedono al museo, il pubblico universitario rappresenta un target particolarmente interessato non solo alle raccolte artistiche permanenti e alle mostre temporanee, ma anche alle attività e all'organizzazione della vita del museo. Le tesi di laurea su argomenti museali diventano quindi, per gli studenti, un momento di conoscenza e di comunicazione del museo, mentre per il museo rappresentano un'ulteriore strumento di visibilità, un'occasione per consolidare le relazioni con il mondo scolastico, un'esperienza di collaborazione con l'Università destinata a costruire un partenariato educativo e culturale nel territorio.
In collaborazione con l'Università degli Studi di Ferrara, il Museo d'Arte della città di Ravenna è stato recentemente oggetto di due tesi di laurea, dedicate al tema della conservazione e della comunicazione.
Nara Stefanelli è la compilatrice della tesi di laurea specialistica in Conservazione e Diagnostica di Opere d'Arte Moderna e Contemporanea intitolata Casi di restauro al MAR di Ravenna (Facoltà di Scienze Matematiche, Fisiche e Naturali, a.a. 2006-07, relatrice Prof.ssa Ada Patrizia Fiorillo). Affrontando il tema della conservazione dell'arte contemporanea, vengono presi in esame tre casi di restauro (un nucleo di 21 cartoni a soggetto dantesco e le sculture di Mirko Basaldella e Sergio Monari) che il Museo ha potuto realizzare grazie al finanziamento dell'IBC della Regione Emilia-Romagna. La tesi si articola in un'iniziale parte teorica sul restauro e la conservazione dell'arte contemporanea seguita da approfondimenti storico-artistici sugli artisti, sulle opere e sui materiali che le costituiscono.
Ester Fenyves è invece autrice - per la Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di laurea in Operatore del Turismo Culturale - della tesi intitolata La trasformazione del Museo d'Arte della città di Ravenna: conservazione e promozione del patrimonio artistico-culturale (a.a. 2006-07, relatrice Prof.ssa Anna Maria Visser). Il lavoro prende in esame la politica culturale dell'istituzione, l'organizzazione delle mostre, la comunicazione e la promozione degli eventi culturali, documentando, anche tramite grafici e dati statistici, l'affluenza dei visitatori in occasione di due significative esposizioni temporanee dedicate a Roberto Longhi e Francesco Arcangeli.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 19 [2008 - N.33]

La nuova sede del Museo di San Pancrazio dà visibilità alle molteplici testimonianze locali

Luciano Minghetti - Associazione culturale La Grama

Il 21 marzo 2009 si è inaugurato il nuovo edificio che ospita il Museo della vita contadina in Romagna. Più ampi spazi hanno consentito la progettazione di nuovi allestimenti, con l'utilizzo di molti degli oggetti, già catalogati e fotografati, che da anni giacevano, sterili memorie, in magazzino per mancanza di spazio. Strutturato a due piani, per una superficie totale di circa 500 metri quadri, l'edificio è collocato di fronte all'area verde principale del paese, adiacente al parco della Scuola Elementare, circondato a nord e ad est da terreni agricoli coltivati a pescheti e a vite.
Al pianterreno, oltre la biglietteria, la libreria e l'ufficio del Museo, si trova la sala di proiezione da 50 posti, il laboratorio di conservazione e restauro e l'ampio laboratorio didattico. A destra si accede all'area espositiva attraverso un tendaggio di corde di canapa naturale sostenute da uno scenografico telaio di acciaio posto a soffitto.
Qui il progetto prevede una serie di "quadri" che esprimono il senso più ampio della vita contadina: un percorso che ci porta da un aratro di legno, simbolo forte, ricco di valenze non solo materiali, a una serie di falci poste a soffitto, a rappresentare le lune nel mondo contadino, fino alla bicicletta del bracciante: quale altro strumento meglio di questo per evidenziare la concretezza della vita contadina! In questo spazio, attraverso l'impiego di nuove e vecchie tecnologie elettroniche, è previsto l'inserimento non invasivo di effetti di luci, suoni ed immagini, al fine di creare un'atmosfera di rispettosa meditazione sulla storia dei nostri progenitori.
Tale area al momento è un cantiere aperto; altre scene si aggiungeranno, e sarà un lavoro lungo e complicato per il quale serviranno sempre più competenze artistiche, tecnologiche e della comunicazione. Una parte di questo spazio espositivo è destinato inoltre a ospitare mostre temporanee, fornendo l'occasione di venire a visitare il museo.
Al piano superiore, caratterizzato da un immenso soffitto a capriate di legno, è stato finalmente realizzato uno spazio per la consultazione della documentazione cartacea, audiovisiva e fotografica disponibile presso il Museo. L'idea di un centro di documentazione nasce in particolare dalla raccolta delle Fiabe di Romagna, pubblicate da Longo Editore in cinque volumi: un lavoro svolto a San Pancrazio di rilevanza internazionale, che deve il suo successo alla ricerca decennale condotta da Ermanno Silvestroni con la guida di Eraldo Baldini. Nel centro sono inoltre messi a disposizione materiali audiovisivi e fotografici derivati da una pluriennale attività di ricerca sul territorio che, attraverso fonti orali dirette, ha messo in luce aspetti importanti dell'economia di sussistenza della famiglia contadina e rurale della zona. Un'ulteriore ricerca è stata effettuata sulla cucina tradizionale: le antiche ricette della vita quotidiana e quelle dedicate alla caccia sono state pubblicate in due volumi. Grazie a questa ricerca furono individuati alcuni percorsi museali tematici tra cui canapa e tessitura, baco da seta, grano e pane, latte e formaggio ed altri, ai quali vennero abbinati i relativi laboratori didattici: un'offerta formativa rivolta alle scuole delle province di Ravenna e di Forlì-Cesena, che prosegue da anni.
Tali percorsi tematici, allestiti nella vecchia sede del museo, sono riproposti nella nuova sede. Accanto a questi troveranno posto nuovi percorsi realizzati con oggetti di legno, di ferro e di stoffa che saranno sottoposti a un trattamento antitarmico, un consolidamento strutturale e, ove indispensabile, un efficace restauro. In quest'area l'idea è anche quella di disporre alcuni oggetti secondo vecchi canoni espositivi, in modo da raccontare l'evoluzione dei vari allestimenti museali utilizzati in passato.
Con la nuova struttura si è rinvigorita la volontà di continuare a fare ricerca e progettare nuove iniziative culturali e didattiche. Così, questo piccolo museo territoriale rimane un anello fondamentale di congiunzione fra passato e presente e non solo un cimitero degli oggetti dimenticati e delle speranze perdute.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 19 [2009 - N.34]

Il Piano museale 2009 punta al traguardo del riconoscimento di musei grandi e piccoli

Eloisa Gennaro - Responsabile Ufficio Beni culturali della Provincia di Ravenna

Lo scorso 22 aprile la Giunta Provinciale ha approvato gli interventi del Piano museale per l'anno 2009: sono diciotto i musei ammessi - 7 dell'area ravennate, 5 dell'area lughese, 4 dell'area faentina - che beneficiano di un contributo complessivo pari a € 296.250, ripartito tra trasferimenti regionali (€ 176.250) e fondi provinciali (€ 120.000).
Si tratta del terzo e ultimo stralcio del Piano provinciale 2007-09 redatto in conformità delle linee guida poliennali regionali in materia. Volendo tracciare in estrema sintesi l'impatto che questo strumento di programmazione ha avuto sul territorio in questo triennio di vita, dobbiamo partire dai numeri: ben 57 progetti approvati, per una spesa complessiva di € 1.638.172 (di cui € 828.922 quali fondi a carico dei singoli musei, € 449.250 fondi regionali e € 360.000 fondi provinciali); inoltre, si contano 35 progetti presentati all'IBC per interventi di catalogazione e restauro.
I progetti sono stati presentati da 20 diversi musei, distribuiti in modo omogeneo su tutto il territorio, e che rappresentano i due terzi degli istituti aderenti alla rete provinciale: un numero che appare oggi a maggior ragione significativo, se consideriamo che, a differenza degli scorsi trienni, per poter accedere ai Piani è obbligatorio il rispetto di alcuni vincoli e in primis il possesso di precisi standard di qualità (il possesso dello statuto o regolamento, l'individuazione delle figure del direttore, del conservatore, del responsabile della didattica, dell'addetto alla sorveglianza e custodia, l'apertura di almeno 24 ore settimanali). Per quanto riguarda le diverse tipologie di investimenti previsti nei Piani negli anni 2007-09, gli interventi dei singoli musei sono stati rivolti prioritariamente all'adeguamento strutturale delle sedi (12 progetti), alla messa in sicurezza degli impianti (12 progetti), all'allestimento di sale espositive e laboratori didattici (18 progetti), agli interventi volti a migliorare l'informazione e l'accoglienza al pubblico (11 progetti), all'abbattimento di barriere architettoniche (4 progetti).
Non è un caso come le priorità siano rappresentate proprio dagli interventi sugli spazi destinati al pubblico, finalizzati a garantire una migliore accessibilità e fruibilità del patrimonio. Tra i tanti, ricordiamo il potenziamento dei percorsi espositivi del Museo del Castello di Bagnara e del Museo del Senio di Alfonsine; i rinnovati allestimenti del Museo della vita contadina in Romagna di S. Pancrazio e del Museo del Risorgimento e dell'Età contemporanea di Faenza; la creazione di moderni spazi educativi e d'accoglienza al Museo Natura di Sant'Alberto e al Museo del Paesaggio dell'Appennino faentino di Riolo Terme. Sono tutti musei di cui si dà conto tra l'altro sulle pagine di questo numero, quali esempi di istituti particolarmente vocati al territorio per ruolo e azione, attenti a proporsi alla comunità come servizio culturale, anche per provare a contrastare l'attuale tendenza alla perdita d'identità, all'indifferenza ai luoghi d'appartenenza, che spesso si traduce nell'abitudine a frequentare i non luoghi come i parchi tematici o i centri commerciali, di cui la Romagna non è certo sprovvista...
Tutte le azioni realizzate hanno contribuito, in definitiva, al perseguimento del miglioramento dei servizi erogati dai musei e al raggiungimento degli standard di qualità previsti dalla Regione, anche in funzione dell'importante percorso avviato quest'anno dall'IBC per il riconoscimento dei musei emiliano romagnoli. Sono difatti ben 18 i musei della provincia di Ravenna ad aver intrapreso l'iter per giungere al traguardo del riconoscimento regionale: si tratta evidentemente di un traguardo rilevante per il nostro territorio, che premia le realtà locali caratterizzate da maggior dinamismo e che hanno investito negli ultimi anni in progetti di qualità.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 19 [2009 - N.35]

Grazie a un accordo con RavennAntica riaprono la cripta Rasponi e i giardini del Palazzo della Provincia con una vetrina sui musei del Sistema

Eloisa Gennaro

Dal 12 settembre la cripta Rasponi, il giardino pensile e il parterre del Palazzo della Provincia sono nuovamente visitabili, in virtù del completamento di un grande e impegnativo cantiere di restauro voluto dall'Amministrazione provinciale con la precisa finalità di destinare le aree di maggior pregio storico-architettonico della propria Residenza alla fruizione pubblica, all'interno di un più ampio percorso urbano che interessa la "Zona dantesca".
Collocato accanto alla chiesa di San Francesco e alla tomba di Dante, il Palazzo della Provincia sorge sulle rovine del settecentesco Palazzo Rasponi, ricostruito dopo il devastante incendio del 1922 su progetto di Giulio Ulisse Arata, noto e versatile architetto piacentino che godeva della conoscenza e stima di Corrado Ricci. Arata realizza una struttura che non segue le consuete linee dell'architettura fascista, ma che piuttosto s'ispira alla tradizione architettonica locale, e che conserva importanti tracce ed elementi originari, tra cui la cripta Rasponi e i giardini.
Costruita probabilmente alla fine del Settecento, la cripta nasce come piccola cappella gentilizia dei Rasponi (anche se non fu mai destinata all'uso sepolcrale), composta originariamente da tre vani, a cui si vanno ad aggiungere, a metà Ottocento, una torre merlata circolare in stile neogotico e una serra. Degno di nota è soprattutto il terzo ambiente della cripta, un presbiterio caratterizzato da un pavimento in mosaico con motivi ornamentali e figure zoomorfe proveniente quasi certamente dalla chiesa di San Severo di Classe, risalente al VI secolo. Nonostante sia costituito dall'assemblaggio di diversi frammenti disposti in maniera casuale, questo pavimento presenta elementi di grande interesse e suggestione agli occhi dei visitatori, che possono attraversarlo in tutta la sua lunghezza grazie a una passerella in cristallo appositamente realizzata in fase di allestimento.
Ugualmente ricco di fascino è il giardino del Palazzo della Provincia, il cui restauro ha sapientemente conservato e esaltato la doppia 'anima' concepita da Arata: quella romantica della zona a ridosso della torretta neogotica, che riecheggia la tradizione paesaggistica inglese, e quella rinascimentale del parterre e dell'area della fontana monumentale, che si ispira al giardino all'italiana.
La visita ai giardini e alla cripta parte dall'atrio d'onore, allestito come punto di accoglienza e di prima informazione al pubblico: si tratta di un piccolo ma suggestivo ambiente che riecheggia le architetture paleocristiana e romanica, il cui ingresso si apre sul monumentale portico che corre sul lato sud della centralissima piazza San Francesco.
Per garantire una gestione qualificata e continuativa di questo patrimonio, la Provincia di Ravenna si avvale della Fondazione "RavennAntica" in virtù di una convenzione approvata dal Consiglio Provinciale con delibera n. 10 del 10 febbraio 2009. Obiettivo dichiarato è restituire la piena fruizione pubblica della cripta e dei giardini, inserendoli a pieno titolo nel circuito della Zona Dantesca nonchè dei rinomati siti archeologici della città, di cui appunto la Fondazione "RavennAntica" cura la promozione già da anni, e facendone un ulteriore tassello nel percorso di valorizzazione del patrimonio storico e artistico di Ravenna.
Sfruttando la forte capacità attrattiva di questi luoghi così ricchi di storia e di fascino, l'atrio d'onore del Palazzo della Provincia si presta a divenire anche un'importante vetrina per il Sistema Museale Provinciale: in particolare sarà possibile conoscere in maniera aggiornata e interattiva le mostre e gli eventi organizzati dai 37 musei aderenti alla rete. Si tratta di un'occasione finalizzata a promuovere in modo capillare il patrimonio museale locale sia nei confronti dei cittadini che dei turisti, contribuendo a incrementare i flussi di visitatori al di fuori delle rotte più tradizionali, attraverso percorsi guidati che attraversano tutto il territorio provinciale.
Dopo una prima apertura staordinaria che va dal 12 settembre al 1 novembre, la Cripta e i giardini riaprono in maniera continuativa a partire da febbraio 2010. Per informazioni: Fondazione "RavennAntica", tel.0544.36136, www.criptarasponi.com.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 19 [2009 - N.36]

Un'inedita narrazione inaugura le attività del Museo del Risorgimento faentino

Lavinia Bosi - Sala Ragazzi, Biblioteca Comunale di Faenza

Nella nuova sede del Museo del Risorgimento e dell'Età Contemporanea di Faenza si è tenuta una singolare esperienza didattica rivolta ai bambini dai sette ai dieci anni con la recita "Garibaldi... sei un mito!". Una narrazione inedita sulla vita di Garibaldi e di Anita presentata da Marco Bertarini, attore, formatore e cantastorie, già proposta lo scorso settembre al Festival della Filosofia di Modena; l'attore ha intrattenuto i giovani ospiti raccontando le vite parallele di Anita e dell'eroe dei due mondi fino al loro fatidico incontro. Al termine della narrazione è seguita una visita guidata al Museo, che ospita al momento una parte del suo ingente patrimonio, in attesa di acquisire nuovi spazi espositivi.
La manifestazione ha avuto luogo domenica 29 novembre e ha ottenuto un forte richiamo di bimbi, entusiasmando e divertendo anche i genitori. L'evento è stato organizzato dalla Sala ragazzi della Biblioteca Manfrediana di Faenza, che periodicamente propone iniziative che avvicinino i bambini alla lettura, anche attraverso percorsi didattici rivolti a scuole e famiglie e soprattutto con le iniziative collegate alla mostra bibliografica "Il Piacere di Leggere", in collaborazione con gli altri istituti culturali della città. "Garibaldi... sei un mito!" ha rappresentato l'occasione per inaugurare un'apposita saletta attrezzata a uso didattico riservata alle scolaresche in visita al Museo del Risorgimento. Nei mesi primaverili sono in programma altri piccoli incontri.

Esperienze di didattica museale - pag. 19 [2010 - N.37]

Patrimoni Plurali
Atti del XV corso "Scuola e Museo" a cura di Eloisa Gennaro, Provincia di Ravenna, 2009

Museo Civico di Russi
A cura di Marcella Domenicali, Provincia di Ravenna, 2010

Guidarello Guidarelli. Interventi Conservativi nuovi studi e ricerche
A cura di Nadia Ceroni, Alberto Fabbri, Claudio Spadoni, "pagine del mar" n. 3, Ravenna, 2009

La Fabbrica Ferniani
A cura di C. Ravanelli Guidotti, Silvana Editoriale, Bologna 2009


Informalibri - pag. 19 [2010 - N.37]

Quattro decenni di acquisizioni di opere musive al MAR di Ravenna

Sara Andruccioli - CIDM - Mar di Ravenna

Il Mar conserva, nel suo quadriportico, accanto agli spazi del Centro Internazionale di Documentazione sul Mosaico, una notevole collezione di mosaici contemporanei, le cui prime acquisizioni risalgono alla fine degli anni '50 del Novecento quando, su iniziativa di Giuseppe Bovini, fu realizzata la mostra Mosaici Moderni. Furono chiamati alcuni dei migliori artisti italiani e stranieri, fra cui ricordiamo Guttuso, Vedova, Birolli, Capogrossi, Chagall, ai quali venne chiesto di eseguire cartoni preparatori per l'esecuzione successiva di opere musive da parte del Gruppo Mosaicisti di Ravenna. Si conservava così la storica divisione dei ruoli tra il pictor imaginarius, l'ideatore del cartone, e il pictor musivarius, colui che crea l'opera in mosaico.
Questa rigida distinzione di ruoli si stemperò progressivamente, a partire dagli anni '70, a favore di una sempre maggior autonomia dell'opera musiva e della libertà espressiva del mosaicista. In questi ultimi decenni, al nucleo originario dei Mosaici Moderni, si sono aggiunte sia opere musive che si rifanno alla tradizione e ripropongono la distinzione dei ruoli tra l'ideatore e l'esecutore, sia opere musive autonome.
Tra le prime ricordiamo Tutto è cominciato qui, ma tutto finisce altrove: frammento di una poesia di Emilio Villa resa musivamente dagli allievi dell'Istituto d'Arte per il Mosaico; altri mosaici, invece, sono stati tratti da disegni e opere pittoriche. Fra questi: Los Musicos, da Raul Soldi, realizzato da Luciana Notturni; Albero bianco, da Helen McLean, tradotto nell'arte musiva da Alessandra Caprara; La casa di Giosetta, da Giosetta Fioroni e GaniMadeAuReoboro da Luigi Ontani, eseguiti dall'Accademia di Belle Arti. Tra le opere autonome possiamo citare Magic Horse di Jerry Carter, La bambola orientale di Marco Bravura, Della memoria di Marco De Luca.
Negli anni '90 alcuni mosaicisti ravennati portarono avanti una sperimentazione: utilizzarono la tecnica musiva per riprodurre fedelmente alcune opere pittoriche di importanti artisti. È il caso de La chambre turque di Balthus e di Le montagne incantate di Michelangelo Antonioni. Entrambi gli artisti hanno firmato il retro dei mosaici, concedendo loro una sorta di paternità.
Singolare è il caso del bozzetto di Vedova Senza titolo, realizzato su carta da scenografia con polvere e minuscoli frammenti di marmo bianco sopra colate di pigmento nero. In realtà si tratta di un tentativo non pienamente riuscito di rendere a mosaico un'opera che può essere ascritta alle forme dell'arte gestuale.
Questo pluralismo linguistico ha fatto in modo che, da allora fino ad oggi, artisti appartenenti alle più diverse tendenze si siano avvicinati al mosaico ed abbiano espresso, in piena libertà, la propria cifra stilistica. Ma non finisce qui. Infatti, in occasione del Primo Festival Internazionale dedicato al mosaico contemporaneo, che si è tenuto a Ravenna dal 10 ottobre al 20 novembre 2009, si è svolta al Mar un'esposizione di opere di artisti mosaicisti di fama internazionale, curata da Claudio Spadoni. Queste opere, donate dagli stessi artisti, sono venute ad aggiungersi alla già cospicua collezione: GARMR di Giuliano Babini, Unicorno di Dusciana Bravura, il Puttino assopito, soddisfatto e satollo di Francesca Fabbri, Kabuto di Felice Nittolo, Icaro di Paolo Racagni, Senza titolo di Marco Santi, Windstill di Almuth Schöps, la scultura Ravenna di Antonio Violetta.
A questi artisti mosaicisti si sono aggiunti due pittori che per la prima volta si sono confrontati con questa particolare forma d'arte: Eugenio Carmi, che ha dipinto un bozzetto preparatorio Come sarebbe bello il mondo realizzato in mosaico dagli studenti dell'Accademia di Belle Arti e Germano Sartelli, che ha sperimentato una composizione musiva di paste vitree su tela nell'opera Senza titolo.
Le opere rappresentano in pieno la scommessa degli artisti contemporanei: ricreare l'antico fascino del mosaico attraverso l'uso di nuovi materiali e nella più grande libertà tecnica ed espressiva.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 19 [2010 - N.38]

Il MIC ricorda Mauro Adrea con una mostra in programma dal 12 marzo al 1 maggio 2011

Franco Bertoni - Curatore della mostra

Con la prima mostra postuma, il Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza non intende solo omaggiare un artista che si è espresso anche con la ceramica ma offrire al pubblico una, se pur selezionata, visione dei suoi estesi campi di interesse e dei tanti mezzi utilizzati a fini artistici.

Mauro Andrea, nato a Faenza nel 1954, è prematuramente scomparso nel 2010. Aperto uno studio nel 1975 - dove si dedica ai primi lavori a china caratterizzati da una sorprendente meticolosità, a una ricerca pittorica in bilico tra pittura e segno e ai "graffiti" (opere su supporto materico) - Mauro Andrea inaugura, nel 1979, il capitolo dell'Arte Impura, sua definizione di un'arte aperta a contaminazioni concettuali e trasgressiva nei confronti delle più correnti e usuali definizioni.

Nel 1980 è invitato da Franco Solmi a partecipare alla sua prima importante mostra, "Il lavoro felice", e nel 1982 espone al Salon d'Automne a Parigi. Del 1981 sono i suoi "idoli" in terracotta e oro e, nel 1983, al 41° Concorso Internazionale della Ceramica d'Arte di Faenza copre in segno di dissenso la sua opera poiché la giuria ha ammesso solo una parte della composizione inviata. Questo episodio chiude le sue partecipazioni al Concorso di Faenza ma non i suoi interessi ceramici che, notati da Enrico Crispolti e da altri critici, lo porteranno ad accettare una collaborazione con la Cooperativa Ceramica di Imola, dove dal 1992 al 2000 riveste il ruolo di direttore del Reparto Artistico. Sotto la sua direzione lo storico reparto della cooperativa prende nuovo slancio con riedizioni di opere di Gio Ponti e con collaborazioni con importanti artisti quali Joe Tilson, Emilio Tadini, Igor Mitoraj, Alessandro Mendini, Allen Jones, Franco Summa e tanti altri.

Dal 1988 inizia a utilizzare, tra i primi, il computer Michelangelo per opere che vanno dal grande quadro al grattacielo. Del 1992 è la sua anticipatrice realizzazione di una grande piastrella in ceramica dipinta con il computer, mentre solo dal 2000 verrà messo in commercio il computer per ceramica Raffaello. Per l'azienda imolese, oltre a realizzare opere personali, progetta lavori per un grattacielo a Manhattan, una grande coppa per il Gran Premio di Formula Uno di San Marino e, nel 1999, vince il primo premio al concorso "The spirit of the millennium plate" promosso dalla National Italian American Foundation. Il suo piatto "Stella del Millennio" verrà donato al Presidente Bill Clinton. I premi e le segnalazioni aumentano e la critica, non solo nazionale, si interessa sempre più al suo lavoro.

Nel 2000 lascia la Cooperativa di Imola a causa di incomprensioni interne. Non si dedicherà più alla ceramica lasciando scritto: "Dopo quasi vent'anni abbandonai una disciplina da me amata. Ho subìto e incassato duri colpi dall'inizio alla fine, dopo aver cercato di portarla ai livelli dell'Arte Pura. Con ironia penso di poter dire: Cambiare la ceramica non è stato difficile, è stato inutile! Ecco perché con ironia dico: io odio la ceramica".

Dal 2000 al 2010, l'artista si dedica a opere pittoriche realizzate con la tecnologia del computer, al marmo, al bronzo e a opere su carta fatta a mano. Nel 2001 colloca una sua scultura in piazza Mirri a Imola. Escono numerose pubblicazioni sul suo lavoro e si infittiscono gli inviti a personali o collettive che ammontano rispettivamente a 150 e a 500. Nel 2008 fonda "Contatto Arte". Tra le personalità che si sono interessate al suo lavoro: Luciano Caramel, Enrico Crispolti, Giorgio Di Genova, Vittorio Fagone, Mario Luzi, Giancarlo Politi, Pierre Restany, Vittorio Sgarbi, Franco Solmi e Federico Zeri.

In mostra un'ampia rappresentanza di opere ceramiche dal 1981 al 2000 e una selezione di opere grafiche, pittoriche ed extrapittoriche. La mostra e il catalogo sono stati realizzati grazie al sostegno della Cooperativa di Abitazione CO.ABI.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 19 [2011 - N.40]

Il 15 ottobre inaugura una mostra al Museo Nazionale che ripercorre le intricate vicende di conservazione del Battistero Neoniano di Ravenna

Cetty Muscolino - Direttore Museo Nazionale di Ravenna

I mosaici parietali che ornano le chiese e i battisteri paleocristiani di Ravenna sono la testimonianza artistica più importante di un periodo storico particolarmente significativo per la città.
Sempre indagati e oggetto di studio per gli interrogativi che ancora suscitano e i molteplici significati che esprimono, continuano a fornire nuove suggestioni e indizi, oltre che della spiritualità e della situazione politica, anche della tecnica musiva fiorita fra il V e il VI secolo e che ha raggiunto a Ravenna esiti di assoluta eccellenza.
Il battistero cattolico, detto Neoniano, costruito dal vescovo Orso e rinnovato a partire dal 458 dal vescovo Neone, nonostante le molteplici trasformazioni ne abbiano alterato nel tempo le proporzioni e compromesso significativi brani della decorazione, costituisce un unicum nel panorama delle architetture tardoantiche.
La disadorna struttura muraria esterna, dotata di ampie finestre e lesene con archetti pensili, cela all'interno una superba decorazione culminante nella mirabile cupola che si eleva dall'alto ottagono delle pareti. L'ornamentazione, come ci si presenta ora nella quasi totale integrità del rivestimento musivo, assolutamente eccezionale e unica, colpisce per l'affascinante effetto scenico, la singolare decorazione a stucco e le superfici musive palpitanti di rigoglioso naturalismo che trasportano in una dimensione suggestiva e pervasa da efficace dinamismo.
L'edificio, fortemente alterato nelle proporzioni originali, perché attualmente interrato di circa tre metri per il noto fenomeno della subsidenza, presenta la pianta ottagonale tipica dei battisteri per la forte valenza simbolica conferita al numero otto, simbolo della rinascita e della vita eterna che il neofita consegue con l'immersione nel fonte battesimale. Ma l'attuale configurazione è il frutto di laboriosi e pazienti interventi di restauro effettuati nel tempo a partire dall'Ottocento, prima col Genio Civile e poi con la Soprintendenza di Ravenna, che hanno permesso di recuperare la facies originaria occultata dalle molteplici trasformazioni che avevano totalmente alterato la forma originaria, a vario titolo. In particolare, nell'ambito delle intense campagne di ricerche, scavi, progettazioni e lavori per la riesumazione dei monumenti storici di Ravenna, si segnala l'attività (fra il 1863 e il 1880) di Filippo Lanciani, ingegnere capo del Regio Corpo del Genio Civile di Ravenna che sosteneva la necessità e l'utilità di procedere al sollevamento dell'edificio mediante martinetti o torchi idraulici. Nella sua appassionante relazione del 1881 scrive perorando la sua causa: "Se l'Apollo del Belvedere, o il gladiatore combattente fossero sepolti entro terra fino a mezza vita, e vi fosse chi volesse estrarli e chi no, quale delle due sentenze sarebbe più accettabile, quella dei conservatori arrabbiati o quella degli intelligenti novatori? Il giudizio a chi spetta?". E prosegue affermando che il Battistero, seppellito per tre metri, ha perso ogni proporzione e che se non si prendono i provvedimenti giusti: "Sarà un povero amputato nelle gambe vestito a festa; ma lo splendore del vestito non toglierà mai di mezzo la deformità e il triste aspetto della amputazione". Il progettato sollevamento non fu mai compiuto per le forti polemiche e le preoccupazioni che un'operazione così complessa aveva suscitato.
È sempre in quegli anni di fervidi lavori che, dopo accesi dibattiti, si procedette all'eliminazione di parte degli stucchi che adornavano i lunettoni circoscritti dagli archi che sottendono la cupola, perché ritenuti "anacronismo dell'arte" e "una balorda raffazzonatura seicentesca".
Questi sono solo alcuni degli aspetti salienti che verranno toccati. Attraverso l'esposizione di cartoni pittorici, disegni e acquerelli per lo più inediti, sarà possibile ripercorrere le complesse e affascinanti vicende della conservazione del monumento, a partire dai primi studi fino ai nostri giorni, grazie anche agli esiti degli ultimi interventi di restauro che come sempre accade hanno portato nuove scoperte e nuovi indizi. La fine di ogni lavoro è solo l'inizio di una nuova ricerca.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 19 [2011 - N.41]

In programma il 6 dicembre al Teatro Alighieri di Ravenna la XVIII edizione del corso-convegno "Scuola e Museo"

Aldo De Poli - Facoltà di Architettura dell'Università di Parma

Anche nel 2011 il Settore Cultura della Provincia di Ravenna organizza l'annuale giornata di aggiornamento e formazione dedicata ai direttori e al personale scientifico dei musei, agli educatori e operatori culturali, agli insegnanti di scuola e agli studenti universitari. Il titolo del convegno Musei: narrare, allestire, comunicare pone subito l'accento sull'obiettivo della giornata: mettere a confronto idee, ricerche e opinioni di esperti di museologia e di museografia, porre in luce nuovi punti di vista sul futuro di una radicata istituzione culturale, al fine di suggerire le linee guida per l'allestimento, la gestione e la comunicazione del museo o di una collezione.

Gli allestimenti per le esposizioni temporanee, organizzate nell'ambito di importanti eventi culturali di divulgazione artistica e scientifica, e gli allestimenti permanenti, proposti in occasione di piccoli e grandi interventi di riordino di storiche collezioni museali, sono un tema di ricerca architettonica molto attuale. Sia per qualità sia per quantità, queste realizzazioni hanno assunto una consistenza e una diffusione degne di grande attenzione: erede del contributo di grandi maestri del Dopoguerra, tra tutti si ricordano Franco Albini e Carlo Scarpa, l'attuale ricerca italiana nel campo dell'allestimento museale rappresenta tuttora una posizione di eccellenza nel mondo.

Attraverso una stretta collaborazione tra il progetto museologico del curatore e il progetto museografico dell'allestitore, sono messe in atto specifiche e raffinate tecniche di allestimento, con il fine di promuovere un percorso narrativo ed emozionale, che, attraverso una moltitudine di soluzioni parziali, raggiunga l'obiettivo istituzionale di una comunicazione più avanzata. I materiali della collezione sono ricollocati in sequenza accattivante, in cui oggetti rari, documenti originali, pannelli illustrativi, simulazioni virtuali e ambienti tridimensionali unici, diventano i capisaldi spaziali di uno spazio avvolgente, continuo e policentrico, inteso come un unicum singolare.

L'attuale organizzazione dell'allestimento si basa su un nuovo percorso di visita che viene definito scenograficamente, non solo per informare ed educare, ma anche per provocare sorpresa e stupire. I capolavori vengono collocati alla conclusione del percorso; nessun fondo d'archivio è mostrato in modi rozzi e diretti; vengono invece organizzate piacevoli sequenze visive, dove l'attenzione vigile dello spettatore è variamente coinvolta in modo da procurare un senso di attesa e di progressiva scoperta, stimolando un coinvolgimento emotivo individuale in grado di procurare, alla fine, un'inconscia e ulteriore autorevolezza, tanto all'opera unica, quanto all'intera collezione.

Durante la giornata di studi, presentando molte realizzazioni recenti, sia di innovativi allestimenti per mostre, sia di progetti di riordino di sezioni di musei pubblici, saranno messe in evidenza le ricerche più attuali nell'ambito dell'allestimento architettonico e della comunicazione visiva e multimediale. Come raramente avviene, proprio partendo da esperienze concrete, la giornata si caratterizza per uno stretto confronto tra esperti, amministratori e progettisti di fama nazionale, mostrando sia progetti espositivi formali inseriti negli spazi interni dell'architettura storica, sia innovative installazioni inserite in nuove apposite architetture museali.

In particolare la sessione mattutina, moderata dal sottoscritto, sarà dedicata al tema "L'allestimento museale d'oggi: tendenze e prospettive", mentre quella pomeridiana sarà moderata da Laura Carlini e verterà sul tema "Musei, collezioni e allestimenti". Tra i relatori della giornata si ricordano Andrea Mandara, Massimo Venegoni, Rita Rava, Paolo Bolzani, Maria Amarante, Paolo Rosa e Anna Maria Visser. Il programma del convegno è consultabile all'indirizzo www.sistemamusei.ra.it.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 19 [2011 - N.42]

il 10 aprile 2012 inaugura una nuova sezione del Museo didicata a Varoli e Zanzi "Giusti tra le Nazioni"

Massimiliano Fabbri - Museo Civico Luigi Varoli di Cotignola

Tra l'autunno del '43 e la primavera del '45, con il protrarsi di un fronte che dal Senio sembra non volersi muovere più, all'assedio conclusivo che trasformerà Cotignola in uno scenario lunare o paese "blasted off the map", convergono e trovano qui rifugio alcuni ebrei in fuga dalle persecuzioni razziali. Giungono a Cotignola braccati, attraverso passaparola, parentele, collegamenti partigiani... Storie differenti, accomunate da un destino comune che le lega al paese: tutti scamperanno allo sterminio grazie a un sistema di protezione che si rivelerà quasi unico nel panorama italiano; anomalo perchè si regge su di un intreccio complesso, che coinvolge parti dell'amministrazione comunale.
Una rete dell'ospitalità e accoglienza che vede partecipe anche Luigi Varoli, figura carismatica del primo Novecento romagnolo. Varoli è personalità complessa, contraddittoria, impegnata su più fronti: nel corso della sua carriera attira su sé l'attenzione e stima di autori quali Depero e Moreni; dal suo orgoglioso isolamento in provincia, fa della sua casa spazio calamitante, di scambi e aperture. E in quest'opera coraggiosa di copertura e solidarietà diventa una delle figure chiave e più esposte: al suo impegno e amore testardo per il territorio e paesaggio umano in cui è calato, a questo combaciare perfetto di arte e vita, al radicamento che si rovescia in urgenza e desiderio traboccanti, risponde questo impegno civico durante gli anni della guerra. Non un controcanto, ma lo stesso sguardo sulle cose e il mondo, fatto di trasporto e disponibilità all'altro.
Ma limitarsi all'eroismo individuale non basta a rendere giustizia alla straordinarietà di questa vicenda, perchè quella di Cotignola è una vera e propria maglia organizzativa con vari protagonisti che contribuiscono al successo di questa opera collettiva di accoglienza (che non riguarda solo ebrei ma anche rifugiati politici e sfollati). Famiglie e case, la curia, il CNL e poi parti dell'amministrazione guidata dal commissario prefettizio Vittorio Zanzi: tutti contribuiscono a tessere una trama che risulterà efficiente, affidabile e sicura. E Zanzi è artefice e vertice di questa architettura segreta e resistente: oltre a occuparsi della logistica e spostamenti nelle varie abitazioni del centro e campagne circostanti, riesce a fornire falsi documenti d'identità ai perseguitati facendoli stampare da un dipendente della tipografia e poi compilare da funzionari dell'anagrafe. Quarantuno gli ebrei nascosti, tutti scampati al massacro.
Nel 2002 Vittorio e Serafina Zanzi, Luigi e Anna Varoli sono stati insigniti dallo stato di Israele della medaglia di "Giusti tra le Nazioni" e i loro nomi compaiono nel memoriale del Yad Vashem a Gerusalemme. Il Comune ha intrapreso un progetto per fare ulteriore luce su questa storia, che culminerà il 10 aprile 2012, quando si inaugureranno a Palazzo Sforza una mostra e una nuova sezione del museo. Museo non solo come luogo di conservazione, ma scenario per una memoria fertile e da coltivare: ambito di produzione, necessariamente mobile e bisognoso di altri punti di vista. Capace di custodire e cucire frammenti; microstorie. Del paese tutto, della sua gente e della distruzione avvenuta. E il museo è una specie di cuore pulsante o anima identitaria della comunità, luogo tragico e incerto, mai fissato definitivamente. Ferita. Ricordo che affiora, scagliato in avanti a rischiarare. Visione drammatica. Contenitore e contenuto che si allarga, stratifica e intreccia percorsi.
E così è la figura di Varoli a cui il museo è dedicato: a Palazzo Sforza l'artista, disegnatore felice, pittore infuocato, scultore animista; nella casa il maestro che raccoglie mirabilia-chincaglierie e nel cortile i reperti del quasi archeologo, e poi l'Arti e Mestieri e i bambini... Infine, la nuova proposta, con il Varoli "Giusto", narrazione che parte dal rapporto con Guido Ottolenghi sino ad arrivare alla vicenda del medico Marco Oppenheim che con la fuga del medico condotto sotto i primi bombardamenti, offrirà, fino a liberazione avvenuta, la sua assistenza sul fronte.
Salvare e continuare il racconto: con il documentario e interviste girate dal regista Fabrizio Varesco, proiettate in anteprima in questa occasione; e poi un diario per immagini fatto dal videoartista David Loom, un allestimento multimediale che partendo da alcune fotografie, libri e documenti costituirà un'opera labirintica, vorticosa e dal forte impatto emotivo, anch'essa prodotta e acquisita in via permanente. Un percorso complesso e ramificato che si snoda attraverso registri e stanze differenti, con pause e accelerazioni, perchè il museo sia ancora esperienza e scoperta, qualcosa che porta via e sperde. E fa venire fame.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 19 [2012 - N.43]

Il MIC festeggia 20 anni di sodalizio tra Mimmo Paladino e l'arte faentina

Federica Giacomini - Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza

Con la mostra dedicata alla scultura ceramica di Mimmo Paladino si conclude il ciclo di manifestazioni del MIC celebrative del Gruppo della Transavanguardia. L'evento è anche occasione per festeggiare un importante anniversario: sono passati ormai vent'anni da quando Paladino iniziò a realizzare le sue sculture ceramiche a Faenza, e in particolare alla Bottega Gatti, cui si deve il connubio felice e prolifico tra l'artista e la città. Qualunque riflessione su questa mostra non può infatti prescindere dall'importanza che l'artista ha avuto per Faenza: negli anni è nato un sodalizio che si è via via perfezionato fino a fare di Paladino il portabandiera di Faenza in un contesto artistico e culturale internazionale di massimo rilievo.
La mostra si snoda lungo tutto l'arco della produzione ceramica dell'artista campano, dai primi giovanili approcci con la terra fino al ciclo Suite Faenza realizzato appositamente per l'esposizione. La "stagione faentina" immortala uno spirito di grande sensibilità fatto di istinto e immediatezza e pone l'accento su temi ricorrenti della sua arte. Come l'iconografia dei dormienti, nuova e antica insieme, simbolo agiografico dell'attesa, che viene qui proposto sia come installazione che in forma di singole opere. O la rilettura, in apertura della mostra, dell'opera Meridiana esposta nella versione - fotografica - iniziale e nella presenza concreta modificata non dal tempo, ma dall'intervento diretto del'artista che sembra volerci ricordare che non vi è nulla di statico. Così l'imponente installazione del Treno invita a una riflessione sul passaggio da un tempo ad un altro. L'insieme dei simboli esistenziali raccolti su di esso sono il bagaglio di esseri le cui memorie viaggiano insieme alla fantasia del visitatore che ne può essere turbato o semplicemente incuriosito.
Il ciclo dei grandi Scudi anticipa ai visitatori quello che sarà la mostra: sorpresa e meraviglia per l'incontro con un'arte che è il frutto di un'interpretazione scultorea che sfida ogni forma di categorizzazione, in cui sembrano confondersi i confini tra natura, arte, e architettura. Di notevole impatto per forme e dimensioni, le opere appaiono uniche e irripetibili. In esse infatti confluiscono la maestria e l'indomita curiosità di un artista che della sperimentazione ha fatto la propria cifra stilistica.
Stat rosa pristina nomine, nomina nuda tenemus (la rosa primigenia esiste nel nome, noi possediamo - soltanto - nudi nomi). I numerosi Senza titolo inducono a pensare che la scultura di Paladino trascenda il presente: si pone al centro di epoche diverse e lascia lo spettatore libero di leggere nell'opera ciò che vede o vuole vedere. Il visitatore entra nella mostra e può farla propria interpretandola liberamente; si misura con un universo sensibile e profondo in cui perdersi non è paura ma fascinazione.
Il lessico di Paladino appare colmo di rimandi all'arte e alla letteratura classica, ispirato alle grandi civiltà del bacino del Mediterraneo: gli elmi, poggiati con apparente casualità, sembrano cantare il meritato riposo di antichi guerrieri dopo cruente battaglie, riportandone volti ed espressioni. Sono la memoria di eroi perduti i cui nomi ricorrono nei vasi della serie omerica quasi a celebrare le azioni di epici eroi, laddove il furor di'inclite gesta risuona muto nei simboli che trasfigurano l'epos in icona. Le sculture diventano supporto per oggetti che fissano l'attenzione sulla memoria degli esseri e dei mondi a cui sono appartenuti, come nelle Suite, in cui sembra enfatizzarsi il vagare lungo percorsi urbani alla ricerca di oggetti che celebrano la città per la quale sono stati creati. Il timbro poetico apparentemente scarno ed essenziale non prevale sul colore: semplicemente la materia ruvida e primitiva sublima nelle forme e nei toni ad essa più congeniali.
La mostra faentina è un tributo ad un'icona del nostro tempo, ad un artista dal talento indomito, animo mai sazio di esperienze, poco incline all'effimero, piuttosto rivolto all'universo materiale fatto di segni che diventano il timbro di un'arte pura come la terra con cui sono realizzate. L'evento è stato reso possibile grazie al contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna e di Banca di Romagna.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 19 [2012 - N.44]

Il Museo brisighellese si riorganizza per diventare un punto di riferimento non convenzionale

Franco Bertoni - Direttore artistico Museo "G. Ugonia" di Brisighella

Con la nomina di un direttore artistico e a seguito di ampie riflessioni dell'Amministrazione Comunale si può considerare definito in linea di massima il programma culturale del Museo Ugonia di Brisighella, finalizzato ad una sua ulteriore valorizzazione. Si è proceduto anche alla nomina di un comitato scientifico. Un comitato inteso come corpo consultivo composto da autorevoli personalità del mondo della cultura e in grado di sostenere il Museo nell'organizzazione degli eventi in programma. Hanno aderito: Andrea Emiliani, già Soprintendente, Direttore della Pinacoteca Nazionale di Bologna e storico dell'arte tra i più riconosciuti in ambito nazionale ed europeo; Sergio Baroni, conoscitore del Novecento italiano e collaboratore di importanti riviste del settore; Fabio Benzi, già Direttore del Chiostro del Bramante a Roma e storico d'arte moderna; Francois Burkhardt, già Direttore del Centre Pompidou di Parigi e della rivista "Domus"; Ferruccio Giromini, storico e critico di grafica contemporanea.
Con una riorganizzazione interna - scaglionata in tappe - si è inteso incrementare il numero delle opere esposte di Giuseppe Ugonia e contemporaneamente ricavare un'area per esposizioni temporanee. Esposizioni, queste ultime, da dedicare alla grafica, alla illustrazione, al disegno e all'incisione del Novecento romagnolo tra modernità e contemporaneità per mantenere viva l'attenzione nei confronti di Ugonia, per offrire occasioni culturali al pubblico non solo locale e per inserire la vita del Museo nel clima contemporaneo. Con il corollario, se l'attività sarà coerente e costante, di attirare nuove donazioni, dopo quella Morselli, da parte di artisti o di privati che nel Museo potrebbero intravedere una degna collocazione.
Le riflessioni sull'ambito di interesse degli eventi temporanei non potevano non partire da considerazioni sulla stessa figura di Ugonia e sulla specificità del suo lavoro svoltosi tra arte litografica, disegno e grafica. Inoltre era da tenere in conto la sua dedizione ai soggetti di un luogo e di un territorio eletti a unica sede di vita e di lavoro. Un'attenzione particolare verrà quindi dedicata agli artisti che gli sono stati più vicini nel tempo, al fine di meglio indagare il clima culturale che lo ha visto protagonista, non trascurando di mettere in luce le più recenti prove di artisti che, come lui, si siano dedicati e si stiano dedicando con successo a una grafica di stampo figurativo. Di conseguenza, si è voluto anche restringere il bacino artistico limitandolo alla Romagna. Un'area intesa non solo come entità geografica ma come un territorio culturale connotato da caratterizzanti idealità e identità artistiche come dimostrano le persistenti adesioni alla figurazione, al verismo e al naturalismo sviluppatesi in Romagna nel corso di tutto il Novecento e, con i dovuti aggiornamenti, giunte fino a noi sotto il segno di un rispetto per le tecniche e di un dialogo con gli alti esempi della grande tradizione italiana.
Il tentativo è, in fondo, quello di creare nel Museo Ugonia un punto di riferimento per proposte in controtendenza rispetto alle vulgate dominanti. Restrizioni volutamente ricercate e, a ben vedere, apparenti; anzi qualificanti. Ogni mostra troverà, in contemporanea, parziale accoglimento in uno spazio espositivo nel centro di Milano. La prima mostra, e non poteva essere altrimenti, è stata dedicata ad Ugonia stesso permettendo un significativo incremento espositivo delle sue opere che sono andate ad occupare entrambi i piani del Museo. La mostra, intitolata TuttUgonia, originariamente prevista per il periodo giugno-settembre 2012, visto l'interesse del pubblico è stata prorogata fino ai primi mesi del 2013. Attualmente sono esposte opere di Cesare Reggiani: un folto nucleo di disegni e pastelli creati per l'occasione che hanno per titolo Faenza-Marradi A/R. Un affermato illustratore contemporaneo, ripercorrendo il viaggio da Faenza a Marradi compiuto da Felice Giani nel 1794, riporta sulla carta il frutto di un confronto con gli stessi luoghi tra visione e sottile investigazione. La prossima mostra sarà dedicata a Nedo Merendi. L'artista, ben noto per gli oli e per le raffinate ceramiche, presenterà una serie di nature morte a pastello dotate di grande qualità esecutiva e di non comune carica poetica.
Omaggi alla contemporaneità ma anche al magistero di Ugonia sotto il segno di una comune concezione dell'arte come inscindibile, se pur misteriosa, unione di perfetta tecnica e di alto sentire.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 19 [2013 - N.46]

Il Planetario di Ravenna celebra i 200 anni del poema in prosa dedicato alla scienza del cielo

Franco Gàbici - già Direttore del Planetario di Ravenna

Il Planetario non poteva far passare sotto silenzio una ricorrenza che mescola mirabilmente cielo e poesia. Quest'anno, infatti, ricorrono i duecento anni della Storia dell'Astronomia (1813) scritta in sei mesi da un giovanissimo Giacomo Leopardi che in quel periodo, va ricordato, non è che se ne stesse con le mani in mano a contemplare il cielo e la luna, ma era totalmente immerso nello "studio matto e disperato" del greco, del latino e dell'ebraico.
Il padre Monaldo ricorda che suo figlio Giacomo, all'epoca quindicenne, scriveva i suoi appunti astronomici seduto a "un tavolino presso la finestra, con le spalle rivolte a levante" componendo una lunga e articolata storia dell'astronomia che si arrestava al 1811, un anno caratterizzato dall'apparizione nel cielo di Recanati di una cometa assai luminosa. Il titolo completo di questa opera giovanile del poeta è infatti Storia della Astronomia dalla sua origine sino all'anno 1811. L'opera, però, restò per molto tempo nel cassetto perché non convinse mai sino in fondo il suo giovane autore tant'è che sarebbe stata pubblicata postuma solamente nel 1880.
La Storia dell'Astronomia colpisce innanzitutto per la dovizia di citazioni e di note, un lavoro favorito sicuramente dall'avere a disposizione la fornitissima biblioteca del padre (circa 16 mila volumi), ma in questo paziente lavoro di raccolta e di elaborazione dei dati il giovane Leopardi ha messo sicuramente del suo, mostrando una straordinaria capacità di sintesi e soprattutto dimostrando di aver compreso l'importanza di certi passaggi.
Questo grande poema in prosa dedicato all'astronomia, una disciplina che Giacomo definisce all'inizio della sua trattazione "la più sublime, la più nobile tra le Fisiche scienze", è stato spesso criticato o quasi del tutto ignorato dalla critica perché considerato uno sterile esercizio di erudizione. Solo l'astronomo Pio Emanuelli prese in considerazione questa opera giovanile e definì Leopardi "storico dell'astronomia". Non mancano però le eccezioni e infatti il leopardista Rolando Damiani scrive che l'astronomia "delimitò lo spazio, tra la terra e il cielo, delle sue (di Leopardi, n.d.r.) prime idee sulla natura e sulla scienza, sulle cose fisiche e metafisiche" e parlando dello stretto rapporto che Leopardi ebbe sempre col cielo Damiani scrive ancora che "prima di interrogare i cieli" il giovane Leopardi "li ha esaminati con una attenzione quasi filologica, poiché il cielo era il solo libro della natura che sfogliasse quotidianamente, nell'esistenza astratta e desertica cui si votava".
Di queste pagine leopardiane colpisce anche la straordinaria modernità e il metodo con cui Leopardi affronta certi temi quali la pluralità dei mondi, la vita extraterrestre e quell'immensità dell'universo che sarebbe diventata uno dei temi della sua poetica. Molto interessanti anche le riflessioni sull'astrologia, che Leopardi definisce "parto infelice dell'umana ambizione e follia".
Il giovane Leopardi, inoltre, dimostra di aver compreso l'importanza di certe "svolte" del pensiero astronomico e lo dimostrano le considerazioni che dedica a Newton, il cui pensiero segna il definitivo passaggio dall'astronomia antica all'astronomia moderna, a Galilei e soprattutto al Seicento, il secolo delle grandi rivoluzioni scientifiche.
La Storia dell'Astronomia si ferma all'anno 1811 ma alcuni anni fa Margherita Hack ha voluto darle un seguito pubblicando Storia dell'astronomia. Dalle origini al Duemila e oltre, un segno di continuità e soprattutto un debito di riconoscenza verso il geniale studio di Leopardi. E il Planetario, che già nel 2005 dedicò a Leopardi uno studio, nel prossimo autunno darà spazio a questo evento per onorare la giovanile fatica del poeta che scrisse la storia dell'astronomia mosso dal "sì giusto rimprovero" di Plinio che "lamentossi un tempo della negligenza degli antichi nello scrivere la storia de' progressi dello spirito umano nella scienza degli astri".
La Storia dell'Astronomia di Leopardi è sicuramente un lavoro di erudizione scientifica ma resta pur sempre un'opera letteraria. Immergendoci nelle sue pagine tocchiamo con mano gli aspetti poetici dell'astronomia e dopo due secoli questo lavoro mostra ancora tutta la sua validità e continua a veicolare lo straordinario messaggio che la scienza non è una questione arida e fredda ma presenta anche un'anima poetica.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 19 [2013 - N.47]

Con il progetto "Mosaico di culture" Ravenna si avvicina al traguardo di Capitale Europea della Cultura 2019

Alberto Cassani - Coordinatore Ravenna 2019

Nella competizione nazionale per diventare "Capitale Europea della Cultura", titolo che nel 2019 toccherà a una città italiana e a una bulgara, Ravenna ha passato per così dire il "turno di qualificazione" entrando nel girone finale con Cagliari, Lecce, Matera, Perugia e Siena.
La selezione è gestita da una commissione internazionale di 13 esperti - sei italiani, nominati dal Governo italiano, e 7 stranieri, fra cui il presidente, espressi dalle istituzioni europee - che ha esaminato i dossier inviati dalle 21 candidate iniziali, e ha sentito per un'ora ciascuna le rispettive delegazioni.
Siccome l'esito della preselezione è stato comunicato il 15 novembre, le prossime tappe del percorso, scandite dal Regolamento europeo, sono le seguenti: entro un mese da quella data la Commissione comunica alle sei "finaliste" eventuali osservazioni e raccomandazioni rispetto ai progetti presentati; le candidate hanno poi nove mesi durante i quali aggiornare il dossier e presentare integrazioni, mentre i commissari potranno visitare le sei città per rendersi conto della stato di preparazione della candidatura.
Nell'autunno 2014 la Commissione tornerà a riunirsi, incontrerà di nuovo le delegazioni, e a inizio 2015 dovrebbe infine comunicare quale città propone per il titolo di "Capitale Europea della Cultura per il 2019" (tecnicamente si tratta di una raccomandazione al Governo: ma non è mai capitato che l'indicazione della giuria sia stata disattesa).
Ravenna e la Romagna hanno dunque tempo fino a settembre dell'anno prossimo per perfezionare il già ricco e apprezzato programma, costruito in anni di lavoro condiviso, seguendo un metodo - un pubblico appello (open call) a partecipare e proporre - rivelatosi molto produttivo (400 le idee progettuali uscite), oltre che senza uguali rispetto alle altre aspiranti. Comunque vada, quindi, Ravenna e le città che la sostengono possono già registrare un ottimo risultato: aver unito, per la prima volta, la Romagna in un processo di progettazione e pianificazione culturale, che almeno in parte si cercherà di realizzare anche se non verrà conferito il titolo del 2019.
Di sicuro Ravenna ha buone possibilità di spuntarla: innanzitutto va ribadito, perché non sembra ancora chiaro a tutti, che non si tratta di un "concorso di bellezza" per premiare l'esistente, ma di una gara di progettualità per favorire nuove iniziative e interventi straordinari - tant'è che fra le 15 aspiranti eliminate c'erano città come Venezia e Pisa, Urbino e Palermo. Poi va sottolineato come il progetto ravennate, intitolato "Mosaico di culture", sia molto coerente con lo spirito della manifestazione e con i suoi principali requisiti: coinvolgimento della popolazione, spirito europeista, carattere innovativo delle manifestazioni, valorizzazione delle diversità e degli aspetti comuni delle culture in Europa. 
E oltre a esser stata la prima città a ufficializzare l'interesse a candidarsi, nel 2007 quando si seppe che all'Italia sarebbe toccato esprimere la "Capitale" nel 2019, Ravenna ha un'altra primogenitura: aver coinvolto le altre aspiranti in momenti di confronto e condivisione, in una logica di leale competizione, convinta che il 2019 sia un'occasione importante per l'intero Paese, qualunque sarà la vincitrice.
In questa visione, nell'aprile 2012 il Comitato promotore ha organizzato un convegno invitando tutte le città che a quella data avevano manifestato l'intenzione di candidarsi; ha tenuto rapporti di amicizia con le più attive, aderendo al progetto "Italia 2019" che fa capo al Cidac (associazione delle Città d'Arte e Cultura), siglando patti di collaborazione (con Matera per esempio); ha organizzato nel dicembre 2013 un incontro fra le finaliste per stipulare una carta d'intenti.
Intanto negli ultimi due anni tutta la Romagna ha dato un esempio di quello che potrebbe essere il 2019, con una serie di iniziative e appuntamenti definito "Prove tecniche di 2019": un ricco e variegato cartellone declinato secondo le cinque tracce tematiche individuate per il dossier progettuale. Ma, come dice il titolo del video proiettato il 14 novembre davanti alla Commissione giudicatrice, "Il meglio deve ancora venire": per quanto articolate, le proposte di questi ultimi due anni sono appunto solo un assaggio di ciò che si farebbe ottenendo il titolo. Un progetto epocale - 400 milioni di investimenti infrastrutturali partendo da un budget operativo di 45 (l'80% dei quali da privati e altri enti ) che trasformerebbero la città e il suo territorio con grande beneficio per l'occupazione e l'economia, a favore delle future generazioni. Info: www.ravenna2019.eu

Ravenna 2019 - pag. 19 [2013 - N.48]

Il Museo Francesco Baracca di Lugo ha acquisito e digitalizzato una delle più ricche collezioni di cartoline italiane di propaganda della Prima guerra mondiale

Daniele Serafini - Direttore Museo F. Baracca di Lugo

Sabato 5 aprile, il Museo Baracca di Lugo ha dato l'avvio al calendario regionale di eventi previsti per il centenario della Grande Guerra presentando al pubblico il prezioso Fondo Baldini, una notevole collezione di cartoline italiane di propaganda della Prima Guerra Mondiale pubblicate dal periodo della neutralità all'immediato dopoguerra. In seguito alla sottoscrizione di un protocollo d'intesa nel 2013, infatti, l'IBC e il Comune di Lugo, dopo l'acquisizione del Fondo Baldini grazie alla L.R. 18/2000, hanno concordato una serie di iniziative congiunte da progettare e realizzare insieme fino al 2018.
La collezione, nata per iniziativa del fante Enrico Baldini (1898-1977), mutilato e decorato della Grande Guerra, poi continuata dal nipote Eraldo Baldini, noto scrittore e saggista ravennate, che vi ha dedicato decenni di ricerca e acquisizioni nei mercati internazionali, consta di 2.905 cartoline italiane, tutte in ottimo stato, in parte nuove e in parte viaggiate.
La catalogazione e schedatura scientifica, curate dalla ricercatrice Serena Sandri, che ha realizzato il lavoro di digitalizzazione, permetteranno a breve, grazie alla banca dati regionale Samira, la fruizione del materiale sia via internet, sia nella sede del Museo Baracca su schermo touch screen, allestendo percorsi tematici interni alla collezione, corredati da brevi testi esplicativi.
La collezione è divisa per argomenti e per autori. Il collezionista ha raggruppato le cartoline in grandi sezioni tematiche; dalla propaganda alla vita al fronte, dalla satira ai simboli della patria, dalla famiglia alla religiosità fino alla vittoria e alla ricostruzione.
Parti monografiche sono dedicate ai più prestigiosi illustratori dell'epoca: Bertiglia, Brunelleschi, Codognato, Golia (Enrico Colmo), Mastroianni, Rizzi, Mauzan, Mazzoni, Mussino, Rubino, Sacchetti, Zandrino, Cascella, Raemaekers (ed. italiana), mentre nelle sezioni per argomenti compaiono cartoline illustrate da Busi, Nanni, Paola Bologna, Titina Rota, Montedoro, Meschini. Ciò che dà un valore aggiunto alla collezione, che è una delle più vaste presenti in Italia, è il fatto di contenere le serie quasi sempre complete delle emissioni. Si tratta di un materiale raro e prezioso, che può essere usato per mostre tematiche, per studio e per attività didattiche con le scuole.
Come sottolineano gli storici Irene Guerrini e Marco Pluviano, che hanno presentato il Fondo assieme a Serena Sandri, nella raccolta sono ben rappresentate le varie forme iconografiche, partendo da quelle più tradizionali di stampo ottocentesco per arrivare a forme espressive di avanguardia, opera di illustratori che si muovono all'interno delle avanguardie artistiche europee, per quanto la loro opera sia sempre sottomessa a logiche propagandistiche e quindi alla preparazione di immagini e testi fruibili da un largo pubblico con livelli culturali assai differenziati. Inoltre, alcuni illustratori/artisti utilizzano nelle diverse produzioni registri espressivi differenti, sia per necessità di tipo propagandistico, sia per scelte di tipo artistico o commerciale.
Il contenuto delle immagini è quanto mai diversificato: satirico, drammatico, oleografico, allegorico (richiami alla romanità e al mondo dell'infanzia, immagini femminili e bambini che rappresentano le nazioni alleate, ecc.), agiografico, retorico. La stessa immagine è riproposta, in certi casi, in contesti differenti e può supportare messaggi propagandistici differenti (es. b/n e colori, immagine corredata di frasi diverse, ecc.).
Il presidente dell'IBC e il sindaco di Lugo hanno sottolineato l'importanza di questa acquisizione che andrà a beneficio di un museo "capace di valorizzare culturalmente il materiale e custodire la memoria dell'evento bellico".

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 19 [2014 - N.49]

Il Planetario di Ravenna festeggia trent'anni di vita trascorsi a raccontare le avventure, le storie e le vicissitudini del Cielo 

Marco Garoni - Direttore Planetario di Ravenna

Come distinta da minori e maggi / lumi biancheggia tra' poli del mondo / Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi; / sì costellati facean nel profondo / Marte quei raggi il venerabil segno / che fan giunture di quadranti in tondo.
(D. Alighieri, Commedia,
Paradiso XIV, 97-102)

Sembra di vederla lassù, come un fiume che si trascina dietro migliaia di stelle. Ma dov'è finita la Via Lattea? Dove sono finite le stelle?
Beh, nel 1985 si inaugurava nei Giardini pubblici di Ravenna una struttura proprio per loro, un contenitore nel quale custodirle e conservarle tutte.  Un museo per le stelle? Ancora oggi a dirlo sembra assurdo! Dopo trenta anni, quelle stelle sono ancora lì, visitate e cercate ogni anno da migliaia di persone, soprattutto bambini.
Certo non c'era, allora come oggi, la consapevolezza dell'importanza di avere ogni notte un meraviglioso firmamento sopra le teste di tutti. La Via Lattea si intuiva ancora da Ravenna e bastava allontanarsi di poco dalla città per ritrovare il Cielo. Sicuramente però non mancava, allora come oggi, l'idea che raccontando le avventure, le storie e le vicissitudini che il Cielo racchiude si poteva contribuire, in maniera fondamentale, alla formazione non solo scientifica ma culturale nell'accezione più ampia del termine. Poche discipline, come l'Astronomia, hanno questa capacità, questo pregio.
È proprio concentrandosi su questo aspetto che abbiamo costruito tutte le nostre attività, siano esse didattiche (da sempre le scuole sono un canale privilegiato con il quale interagire e sperimentare) che divulgative: il cielo per tutti! Sì, perché la curiosità di ognuno di noi è stimolata da tante diverse cose ma al fascino delle stelle in pochi resistono, tanto più se a guardarle sono i bambini, che degli astri avranno un ricordo sempre più "finto", legato a ciò che vedono in televisione, su internet, o che leggono (speriamo) sui libri, ma per i quali il "Cielo ad occhio nudo" non sarà più la quotidianità o un'esperienza diretta. Proprio per questo motivo è ancora più importante questo anniversario.
Avete mai pensato a cosa sarebbe il mausoleo di Galla Placidia di Ravenna senza la sua cupola di stelle d'oro? E se i mosaicisti del V secolo avessero avuto un cielo come il nostro sopra le loro teste, un cielo arancione con pochissime stelle che riescono ad attraversare la barriera dell'inquinamento luminoso? E se lo stesso fosse accaduto nel XIV secolo? Probabilmente non "biancheggerebbe" proprio nulla "tra' poli del mondo".
Questa, che può sembrare una denuncia, in realtà vuole essere una sorta di Manifesto, il nostro Manifesto, che continua a evolversi da trenta anni e che ci ha portati a proporre attività in cui l'Astronomia non è esclusivamente confinata alla scoperta di ciò che accade nello spazio, ma abbraccia e si mescola all'arte, alla musica, alla letteratura, alla storia ecc.
Dietro a ogni persona che viene a visitare il Planetario non necessariamente c'è un nuovo Galileo, ma forse c'è o ci sarà un nuovo Dante, un nuovo Rodari, un nuovo Van Gogh, un nuovo Mirò, un nuovo Bennato, un nuovo Puccini...
A tutti quanti hanno creduto e continuano a credere in questo progetto vanno i ringraziamenti per aver contribuito a costruire i nostri primi trent'anni di storia!


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 19 [2015 - N.52]

Un resoconto dello speciale incontro di Hugues de Varine con la comunità cervese

L'Ecomuseo del Sale e del Mare di Cervia, come momento finale e culminante del Corso di formazione per facilitatore volontario ecomuseale organizzato tra dicembre 2014 e maggio 2015, ha promosso una tre giorni dal titolo Ecomusei e paesaggi culturali, il cui ospite d'eccezione è stato Hugues de Varine. Il celebre archeologo, storico e museologo francese - considerato il padre fondatore degli ecomusei - si è trattenuto nella città romagnola per alcuni giorni, tenendo lezioni e laboratori che hanno offerto occasioni di riflessione e di progettualità.
In particolare, durante l'incontro dedicato all'ascolto attivo, de Varine ha richiamato alcuni principi fondamentali della dialettica fra territorio e comunità. In primo luogo il patrimonio è stato definito come bene comune delle persone e come capitale del territorio, che viene dal passato ma che si crea o modifica quotidianamente. Il patrimonio materiale può essere compreso pienamente solo per la sua dimensione immateriale e viceversa. Pertanto l'identificazione, la conservazione e l'uso del patrimonio sono responsabilità di tutti i membri della comunità che vi risiede.
Per comprendere a pieno il proprio territorio, esso va definito e mappato, attraverso analisi e diagnosi che prendano in considerazione tematiche, attori, stakeholder e utenti. Essendo la comunità caratterizzata da componenti autoctoni, antichi e nuovi, in essa emergerà una molteplicità di persone, di interessi e di strutture. Tra le persone, i proprietari e i fruitori del patrimonio deve sussistere un rapporto basato su fiducia e responsabilità, ed è qui che intervengono i leader e i facilitatori: per responsabilizzare i cittadini.
Il facilitatore in generale è qualcuno che aiuta un gruppo a comprendere gli obiettivi comuni e che contribuisce a creare un piano per la loro realizzazione senza prenderne parte. Egli utilizza strumenti che permettono al gruppo di raggiungere un consenso su divergenze preesistenti o derivanti dalla azione stessa.
Nello specifico il facilitatore ecomuseale trasmette gli obiettivi generali della conoscenza e della gestione del patrimonio: porta consenso sugli obiettivi specifici della struttura museale; lancia e gestisce il processo di inventariazione del patrimonio; supporta la programmazione, le decisioni e la realizzazione di attività concordate; propone strumenti e contribuisce al loro adattamento al contesto e ai mezzi; fornisce collegamenti e mediazioni con e tra le parti dell'ecomuseo.
Quello del facilitatore è un mestiere. Si tratta di una "levatrice" al servizio della comunità, che guarda, incontra, ascolta, mette in dubbio, analizza, sintetizza, redige, restituisce, accompagna l'azione, si rende conto, aiuta a valutare...
Il facilitatore può essere un volontario della comunità indipendente dai gruppi portatori di interessi particolari, che dispone dei tempi e delle reti locali e che accetta di formarsi. Il facilitatore può anche essere un salariato della comunità, sempre indipendente dai gruppi di interesse del territorio, motivato a lavorare per la comunità e lo sviluppo locale, e che accetti di formarsi a tale scopo. O ancora, può essere uno stipendiato assunto dall'esterno, già esperto in mediazione culturale o sociale e in maieutica, che accetti l'immersione nel territorio e un periodo di adattamento.
Essendo "un risvegliatore al servizio della comunità",  deve incoraggiare il dinamismo e il talento, dare fiducia, aumentare il capitale sociale, parlare la lingua di tutti, capitalizzare i successi e sfruttare gli insuccessi. Deve inoltre facilitare la mobilitazione e creare un ambiente favorevole: trasformare i consumatori-oggetti in protagonisti-soggetti; trovare degli attori disponibili a mettersi in gioco; cogliere le opportunità; utilizzare reti e opinion leader, riunire le risorse umane e materiali; mantenere mobilitate le persone.
Altro importante compito è facilitare l'inventariazione, per scoprire tutto il patrimonio ecomuseale. Passare dalla mappa all'inventario permanente, dal punto di vista metodologico, attraverso camminate, gruppi di lavoro, eventi tematici, osservazioni. Questo patrimonio di conoscenza va poi restituito alla comunità, accompagnando la collezione ecomuseale a ricerche complementari.
Altro punto focale è facilitare la programmazione e la realizzazione di progetti: la programmazione deve essere un'azione collettiva, partecipata, che sia di supporto all'iniziativa individuale o di gruppo, che intercetti i mezzi necessari, che responsabilizzi gli attori locali.
Facilitare l'azione significa che il facilitatore veste i panni di un 'ingegnere ecomuseale': partorisce l'idea, aiuta lo sviluppo del progetto, gestisce partnership e collaborazioni, partecipa anche concretamente alla realizzazione del progetto, ne conduce la valutazione e ne formula le conclusioni. Facilitare la valutazione è invece un action learning: il facilitatore non è un perito, bensì fornisce il metodo e garantisce il suo adattamento, giudica e fa giudicare la sua prestazione come facilitatore, formalizza i risultati e aiuta a prenderli nella dovuta considerazione.
L'ecomuseo è un processo di trasformazione di un territorio e di una comunità. Pertanto il facilitatore è un ruolo che cambia nel tempo: via via interviene meno, supporta maggiormente, (ri)diventa un membro della comunità o se ne va.
Soprattutto, non dimentica che l'ecomuseo è un processo che deve essere facilitato, ma non diretto.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 19 [2015 - N.53]

I pavimenti musivi della chiesa di San Martino in mostra al Museo del Sale fino a marzo 2016

Annalisa Canali - Direttrice del MUSA di Cervia

Sono tornati al luogo di origine  i mosaici della chiesa di San Martino che, esposti al Museo del sale di Cervia, hanno  già fatto innamorare tutti i cittadini e gli ospiti della località.
I mosaici pavimentali della chiesa sono stati rinvenuti nel 1989 in maniera casuale durante gli scavi realizzati per la costruzione di alcune vasche ittiche nell'area a margine delle saline conosciuta come Podere Mariona. Si tratta, è stato appurato, dei resti della chiesa di San Martino prope litus maris, edificio di VI secolo citato in varie mappe e documenti storici a partire dall'XI sec. Le dimensioni importanti della chiesa e la datazione storica ben si legano alla presenza sul territorio di una sede vescovile. Abbiamo infatti notizia della presenza del vescovo di Ficocle, Geronzio, al Sinodo di Roma nel 501. Suggestivo è inoltre il legame con papa Simmaco, il pontefice reggente del periodo, che introdusse il culto di san Martino a Roma facendo costruire, vicino al Foro di Traiano, una chiesa dedicata al santo.
I mosaici in mostra a Cervia hanno motivi decorativi raffinati e ben curati dal punto di vista compositivo e tecnico, con disegni diffusi soprattutto lungo la costa nord adriatica. Propongono stesure policrome a tessuto geometrico ripetitivo con annodamenti, grandi vasi ansati, motivi floreali e vegetali, cerchi e cornici. I colori variano dal rosa al bruno, propongono  varie sfumature di grigio, di verde, il nero e il bianco. Anche i materiali variano da differenti tipologie di marmo al sasso di fiume, al nero di lavagna e al calcare.
L'edificio si trovava in prossimità della antica linea di costa, come confermato dalle analisi stratigrafiche del terreno, e doveva essere di notevoli dimensioni: lungo circa 38 metri e largo circa 15. Edificio a croce latina e canonicamente orientato sull'asse Est-Ovest, presentava un'abside semicircolare all'interno e poligonale all'esterno. Era inoltre fiancheggiato su entrambi i lati da porticati esterni pavimentati in laterizio dell'ampiezza di circa 4 metri. Nel XVI sec. in cartografia l'edificio viene indicato come una struttura  diroccata e in rovina.  È probabile che il violento terremoto del 1484 lo avesse fortemente danneggiato e che la chiesa sia stata completamente demolita al momento del trasferimento di Cervia verso l'attuale sede, quindi fra il 1698 e i primi decenni del 1700.  Dalla ricostruzione in base ai rinvenimenti in situ la pianta della chiesa appare ornata da tappeti musivi, buona parte dei quali sono andati distrutti durante gli scavi per la realizzazione delle vasche, precedenti l'interessante scoperta. Una parte delle composizioni musive è giunta fino a noi sebbene con ampie aree lacunose: si tratta dei tappeti che si trovano ai lati di bema e solea e di frammenti nella zona della croce.
Fino ad oggi sono stati restaurati due tappeti musivi, dei quali uno curato dalla Fondazione Parco Archeologico di Classe - RavennAntica, già esposto nel 2007 nella mostra Felix Ravenna. La croce, la spada, la vela: l'alto Adriatico fra V e VI secolo allestita a Ravenna nel complesso di San Nicolò e un secondo, restaurato dalla Scuola per il Restauro del Mosaico di Ravenna, che per la prima volta viene esposto al pubblico, insieme anche ad altri due frammenti di pavimentazione di più modeste dimensioni. La mostra dal titolo Mosaici a MUSA, I pavimenti musivi della chiesa di San Martino prope litus maris al MUseo del SAle, inaugurata lo scorso 4 aprile, sarà visitabile fino al 27 marzo 2016, anche se l'amministrazione comunale ha già avviato le pratiche per ottenere dal Ministero il nulla osta per il deposito di queste importanti opere musive e si sta attivando per la ricomposizione degli altri tappeti rinvenuti durante gli scavi.  In mostra, oltre ai tappeti musivi anche frammenti marmorei che appartenevano probabilmente a decorazioni parietali e pavimentali.
L'esposizione costituisce per MUSA una nuova tappa in un importante percorso (intrapreso con il supporto della Soprintendenza Archeologia dell'Emilia-Romagna) di ricerca, recupero e valorizzazione della storia e della cultura del territorio cervese, iniziato con l'apertura della nuova sezione archeologica del museo, inaugurata nel 2013 e in costante ampliamento.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 19 [2015 - N.54]

Da Picasso a Duchamp, da De Chirico a Pistoletto, il Novecento in mostra al Mar per una domanda storiografica

Alberta Fabbri - Conservatrice Mar di Ravenna

Antico quanto? o, per raccogliere la domanda di Giorgio Agamben nella riflessione su cos'è il contemporaneo, "contemporaneo a chi?".
La questione è tutta storiografica ed entra nel vivo delle vicende artistiche del Novecento per fare il punto sul rapporto tra memoria e sperimentazione in un tempo in cui lo statuto dell'opera è continuamente mobile. La storia nel suo dispiegarsi è sotto i nostri occhi, ma rimarrebbe senza ragionevoli strumenti chi si attendesse dalle scienze storiche un supporto alla comprensione dei fatti su cui Claudio Spadoni ci invita a riflettere. Perché il percorso ha un punto di partenza, «Quel non so che di antico e moderno» che ci posiziona sul richiamo della tradizione avvertito da Carlo Carrà con l'esaurirsi dell'avventura futurista, e un punto di arrivo, la Venere degli stracci di Pistoletto, ma al suo interno procede per salti, torna indietro, opera per connessioni, verifica le declinazioni di un archetipo al variare dell'attitudine estetica. In una parola, indaga la vita delle forme.
Che la questione sia storiografica si comprende sin dalle considerazioni in esergo del curatore. A partire dal riferimento ad Harold Rosenberg che nel felice ossimoro della «tradizione del nuovo» indica il paradigma delle dinamiche che hanno caratterizzato il secolo scorso alla data del 1964.  L'imperativo del nuovo, secondo il critico americano, si impone come ossessione dell'innovazione permanente fino a sconfinare nel conformismo del "purché nuovo".
E allora questo rifluire del passato che non passa? Questo bussare della memoria per essere abitata ancora una volta? Sia essa la Venere di Milo che passa dalle mani alchemiche di Man Ray, Salvador Dalì, Yves Klein, o Pistoletto per la "trasmutazione". O la sua succedanea pittorica, la Venere di Botticelli che si riaffaccia nella stereotipia serigrafica di Andy Wharol. E che dire poi di Paolini, alle prese con il tema della mimesi, se il calco di Hermes diventa il riflesso dell'identico lungo il fascio visivo teso fra le estremità di due sponde temporali?
Ecco dunque prendere forma un altro tema, quello del tempo nel quale si dipana una contemporaneità diacronica che ci fa tornare a fatti accaduti non qui, non ora, ma di cui si avverte la necessità della sollecitazione.
È a questo tempo - il tempo della storia -, che la mostra fa riferimento chiamando in causa più che la nostalgia del classico come canone, la risacca della memoria per come si deposita.
Il percorso, articolato per sezioni, si apre con Il vecchio e il nuovo mondo, di Savinio, palinsesto per riabilitare il passato che i futuristi avevano condannato come impedimento alla gioiosa vertigine del nuovo. Con De Chirico l'allocuzione alla storia è la frontiera dell'avanguardia, la Metafisica che in "Valori Plastici" assume vocazione antifuturista. Per Carrà il richiamo del Trecento, e di una condizione aurorale, è concomitante all'uscita del Gusto dei Primitivi (1926) di Lionello Venturi. Che l'esperienza di Novecento, il gruppo raccolto intorno a Margherita Sarfatti, avesse fatto del rappel à l'ordre la propria bandiera è cosa nota.
Riabilitare la storia significava anche riabilitare linguaggi e sintassi. Ecco allora la seconda sezione con la ripresa dei generi, il paesaggio, la natura morta, il ritratto. A confrontarsi sono artisti di diversa estrazione, e generazioni diverse, in un crescendo che culmina nei ritratti, indimenticabili, di Picasso e Fontana.
E al Barocco guarda Fontana nella selezionatissima plastica per bozzetti di squisita rapidità, come Leoncillo, con la sua leggendaria Arpia, e non solo.
Non manca la riflessione intorno a mito e sacro, nella trasversalità del discorso simbolico, con Vedova, Dalì e Chia. Mentre alla sirena dell'archeologia non hanno saputo resistere artisti come Jodice e Christo, Adami, Schifano, Ceroli, Festa e Angeli, fino ai protagonisti della Transavanguardia, Paladino su tutti.
Imprescindibile poi il gesto di chi ha fatto del prelievo un'intenzione estetica per ribaltare il tavolo su cosa debba intendersi per arte. La Gioconda con i baffi di Duchamp, un punto di non ritorno. Intenso il compianto di Bill Viola d'après i testi cinquecenteschi. Vettor Pisani trasforma in operazione le citazioni di Moreau e Böcklin, ma la domanda è: cosa stiamo traghettando? Un'arca, verrebbe da dire, con il necessario viatico per guardare in faccia il futuro attrezzati di uno sguardo integrato di memoria e visione.
Ma un'altra connessione ci attende al termine, quella con le mostre dedicate a due delle voci più autorevoli della storia dell'arte italiana, Roberto Longhi e Francesco Arcangeli, e alla loro riflessione sul moderno. Nella continuità inscritta dentro la vita dell'arte.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 19 [2016 - N.55]

In mostra al MIC di Faenza fino all'8 gennaio il fascino del Giappone

Claudia Casali - Direttrice del MIC di Faenza

... Invidio ai giapponesi l'estrema chiarezza che tutto ha nella loro produzione. Non è mai noiosa e non sembra mai essere fatta con troppa fretta. È semplice come respirare, e con pochi colpi sicuri creano una figura con agio, quasi fosse facile come abbottonarsi il cappotto...
(V. Van Gogh, Lettera a Theo, 1888)

Vedute del Monte Fuji e beltà giapponesi si imposero all'attenzione del pubblico europeo in occasione dell'Esposizioni Internazionali del 1867 e del 1878, grazie all'apertura verso l'occidente dell'illuminato governo Meiji che supportò la diffusione della cultura nipponica in Occidente. In realtà le "esotiche" stampe arrivarono nel vecchio continente, in Olanda nello specifico, già con la Compagnia delle Indie. Lacche, ceramiche, metalli, bronzi, abiti, accessori incantarono gli spettatori per la loro essenzialità e con la loro estetica, imponendo nuovi codici stilistici poi adottati dagli stessi artisti europei e ben rappresentate sulle riviste dell'epoca. Un nuovo collezionismo si affacciò all'orizzonte, che coinvolse figure di spicco dell'arte europea e una nuova armonia divenne modus operandi per molti artisti tra cui Bonnard, Cézanne, Toulouse-Lautrec, Vallotton, Gauguin. Oltre alla bellezza essenziale della natura, gli artisti rimanevano affascinati dalle rappresentazioni di scene di vita quotidiana dal taglio istantaneo, "fotografico" e dalla gamma cromatica limitata. Van Gogh stesso rimase incantato dai fiori di ciliegio e dalle stampe giapponesi che riprese più volte nei suoi lavori (si pensi al ritratto di Père Tanguy seduto, attorniato da riproduzioni di stampe Ukiyo-e di Hokusai, Hiroshige, Futamaro), e Monet, soprattutto, che nel suo buen retiro di Giverny nel 1893 progettò, ispirandosi ad una stampa, il giardino giapponese con ponte e stagno di ninfee, divenuto poi icona del suo ultimo periodo artistico. Monet fu grande collezionista di grafica giapponese, acquisendo oltre 130 esemplari, che dispose in parte sulle pareti di casa (ancora oggi visibili nella sua casa-museo); il suo artista preferito era Hiroshige.
Per raccontare questo fascino che la cultura giapponese ebbe e, continua tuttora ad avere per l'Europa, il Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza presenta, fino all'8 gennaio, "Made in Japan": un centinaio di sculture in ceramica del '900, stampe giapponesi dell'800 e una selezione di fotografie della Tokyo contemporanea.
A Roma, nel 1930, venne dedicata una grande mostra all'arte giapponese che impose all'attenzione del pubblico una cultura dalle forme e dalle poetiche differenti, che avrebbe poi avuto una larga influenza su artisti e fotografi europei, fino ad oggi, dove manga e film d'animazione sono il corrispettivo estetico ed artistico di quelle stampe e di quella straordinaria cultura.
Il percorso ceramico artistico giapponese dal secondo dopoguerra ha invece avvertito molti cambiamenti poetici legati alle nuove esigenze espressive che la contemporaneità imponeva. Diverse anime convivono con percorsi autonomi legati a filoni conservativi e tradizionalisti, avanguardisti e di design, dove l'oggetto d'uso inizia ad avere una sua peculiarità stilistica legata alle forme e alle esigenze dell'attualità.
La mostra intende raccontare, attraverso opere ceramiche appartenenti alle collezioni del museo e attraverso una selezione di stampe giapponesi provenienti dalla Collezione della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna (in deposito presso il Museo di Palazzo Poggi), il fascino del Giappone per la cultura italiana nei 150 anni di relazione diplomatiche tra i nostri paesi. La ricca ed importante raccolta di scultura contemporanea giapponese, unica per estensione e la più importante extraterritoriale, giunge a Faenza grazie al Concorso Internazionale dell'Arte Ceramica dagli anni '60 ma manufatti nipponici sono presenti nelle Collezioni del MIC fin dalle sue origini (1908), grazie al lavoro di relazioni e di acquisizioni del primo direttore e fondatore del Museo, Gaetano Ballardini.
La mostra si chiude con uno sguardo fotografico sul Giappone oggi, attraverso la serie "Tokyo lost and found" dell'artista Tomoko Goto (1975). Scatti che raccontano la quotidianità della città giapponese attraverso i suoi abitanti, i suoi scorci, le sue incongruenze e le sue tanto assurde quanto piacevoli contraddizioni.
Attraverso le opere esposte, intendiamo raccontare un percorso legato ad una cultura dove tradizione, continua innovazione e sperimentazione procedono di pari passo in un perfetto equilibrio atemporale.
Un ringraziamento va rivolto al Consolato Generale del Giappone a Milano, alla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, al Museo di Palazzo Poggi e al Centro Studi d'Arte Estremo-Orientale di Bologna, all'artista Tomoko Goto. La mostra e gli eventi ad essa collegati sono resi possibili grazie al fondamentale contributo di Caviro.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 19 [2016 - N.57]

Studioso, storico dell'arte, insegnante di lettere e conferenziere apprezzato, fu un personaggio di spicco nella cultura romagnola di inizio Novecento
 

Giorgio Cicognani - Ispettore onorario Beni Culturali - Romagna

Membro della Deputazione di Storia e Patria per le Romagne e della Società Colombaria di Firenze, Messeri ebbe numerosi incarichi sia come storico e ricercatore sia come professore di lettere e storico dell'arte.
La sua più importante ricerca storica è Faenza nella storia e nell'arte, scritta con il pittore Achille Calzi: pubblicato nel 1909 dall'editore Edoardo Dal Pozzo, il poderoso volume di 646 pagine riccamente illustrato ebbe grande successo, tanto che tutte le famiglie faentine benestanti ne acquistarono copia, e costituisce ancor oggi una pietra miliare per studi di storia dell'arte e ricerche storico-letterarie che interessano non solo Faenza ma tutta Italia per le relazioni fra le vicende storico-artistiche della città romagnola e quelle dell'intero Paese.
Messeri nacque a Firenze il 5 maggio 1868. All'età di nove anni fu messo dal patrigno Ambrogio Grimaldi, direttore della Ditta Paravia di Firenze, nel collegio annesso al Seminario Vescovile di Colle Val d'Elsa (Siena) dove compì i suoi studi fino alla licenza conseguita presso il Regio Ginnasio di Siena. Dimostrò fin da giovane amore allo studio e ingegno non comune; aveva un carattere allegro, spiritoso, vivace e spiccate attitudini per la musica e la recitazione, tanto che, anche dopo la sua uscita di collegio, fu richiamato dai suoi insegnanti a far parte della compagnia drammatica dell'Istituto della quale era anima viva.
Frequentò il Regio Liceo Galilei di Firenze e di lì passò all'Istituto di Studi Superiori Pratici e di Perfezionamento, iscrivendosi alla sezione di Filosofia e Filologia. Ebbe come maestri Pasquale Villari, Adolfo Bartoli, il Trezza, il Paoli, il Del Vecchio, Pio Rajna, Augusto Conti e altri tutti valorosissimi, che lo amarono e lo stimarono. Si laureò dottore in Lettere il 30 maggio 1893: la sua tesi su Matteo Palmieri, cittadino di Firenze del sec. XV, memoria biografica con l'aiuto di nuovi documenti del Regio Archivio di Stato Fiorentino fu giudicata un buon contributo alla storia della Repubblica Fiorentina ed ebbe l'onore di essere desiderata e pubblicata nell'Archivio Storico Italiano (Serie V - tomo XXII, anno 1894) dal professore Cesare Paoli, direttore di quella importante rivista.
A partire dal 1892, non ancora laureato, Messeri fu insegnante in diversi ginnasi e licei, fino all'incarico nell'ottobre 1899 al Regio Liceo di Faenza, dove insegnò fino al 1912 e dove nel suo ultimo anno venne incaricato della Presidenza. Fu in seguito nominato Preside al Regio Liceo di Foggia e nell'agosto 1914 passò a Lecce con l'incarico di Provveditore agli studi; egli però lasciò tale ufficio che non si confaceva alla sua mente di studioso e tornò come Preside al Regio Liceo Alighieri di Ravenna, mantenendo la carica fino al 31 dicembre 1923, giorno in cui fu messo in pensione per ragioni di salute.
La sua carriera fu luminosa. Insegnò anche storia dell'arte prima al Liceo di Faenza (corso facoltativo) e per sette anni, fino al 1926, all'Accademia di Belle Arti di Ravenna; fu anche ispettore nelle Scuole Medie per il Circolo di Firenze negli anni scolastici 1911-12. Ebbe incarichi e missioni di vario genere e fu membro di commissioni e di concorsi ed esami; ovunque lavorò con capacità, amore e scrupolosa onestà e giustizia.
Fu conferenziere ricercato e dicitore di versi apprezzatissimo. Vittorio Fiorini, Accademico Italiano e Ispettore Centrale del Ministero della Pubblica Istruzione, ebbe per lui grande ammirazione e gli affidò lavori seri e di profonda cultura storica. Lo stesso Giosuè Carducci ebbe per lui stima e amicizia e giudicò "l'Enzo Re, il Galeotto Manfredi e il Ca-ira, tre esempi del suo concepire forte, ardito ed evidente e degna rappresentazione storica eligante moderna".
Oltre alle sue già citate opere, ricordiamo altri suoi studi quali: Il concetto fondamentale dei Promessi Sposi, Firenze 1890 (opuscolo); La Rivoluzione Francese e Vittorio Alfieri, Pistoia 1893; La Casa di Savoia nel Risorgimento Italiano, Garramone 1896. Morì nel 1933.

Personaggi - pag. 19 [2017 - N.59]

La rete dei Siti Unesco quale modello di sviluppo virtuoso per lo sviluppo del Sistema Museale Nazionale

Angela Maria Ferroni

Speciale Reti e sistemi museali - pag. 19 [2017 - N.60]

Università degli Studi di Udine
Facoltà di Lettere e Filosofia Corso di laurea in Conservazione dei beni culturali
Tesi di: Isabella Franco
Relatore: Prof. Raimondo Strassoldo Graffembergo
Correlatori: Dott. Gianfranco Casadio e Dott.ssa Linda Borean
Anno Accademico 2002-2003

Isabella Franco

Le basi di partenza per questa tesi sono le esperienze che, con successo, sono state adottate in varie parti d'Italia, a cominciare dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna, che è stato preso a modello per l'impostazione al lavoro. Prima di tutto si è considerata l'idea stessa di sistema museale e quindi la razionalizzazione degli aspetti organizzativi, che ha trasformato, in molte parti d'Italia, i progetti in realtà. Oggi si avverte la necessità di presentare al turista o al visitatore un'offerta integrata di quanto il territorio può offrire e ciò deve avvenire attraverso una comunicazione diretta e agevole: è proprio il territorio, con caratteristiche e peculiarità ben precise, l'osservatorio privilegiato dal quale prende le mosse la parte sostanziale del progetto che tiene in considerazione gli aspetti tecnici, e in qualche modo costanti, sui quali si basa un sistema museale. La Provincia di Gorizia ha un patrimonio museale fatto di beni mobili e immobili di prestigio. La proposta di costituzione di una rete museale che faccia capo alla Provincia si basa, come per Ravenna, su un criterio di tipo promozionale impostato sul marketing territoriale. Prima ancora che alla catalogazione comune, alla creazione di database e alla condivisione di risorse, si è pensato allo studio di un marchio e di un font per i 18 musei della provincia. Si tratta, come avviene in altre parti d'Italia - e in modo particolare nel Ravennate - di musei di natura eterogenea e dotati di diversi status giuridici, tipologici, di idoneità degli spazi ed accessibilità. La Città, la Regione e la Provincia, saranno in grado di pianificare e produrre uno sviluppo turistico, sociale ed economico duraturo, consapevole e sostenibile solo a patto che sappiano porsi con efficacia al cittadino residente e sappiano coinvolgerlo nei suoi valori.

Tesi e musei - pag. 20 [2004 - N.19]

Orizzonti diversi, relazioni di reciprocità e sinergie praticabili con i musei nazionali e internazionali.

Pier Domenico Laghi - Dirigente Settore Cultura - Provincia di Ravenna

Il Sistema Museale della Provincia di Ravenna nasce come rete territoriale per valorizzare il patrimonio culturale di un territorio definito e circoscritto; da subito anche due musei di grandi dimensioni, il Museo d'Arte della città di Ravenna e il Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza aderiscono alla rete. Nel Sistema provinciale, quindi, fin dall'inizio convivono piccoli musei e realtà che si pongono orizzonti nazionali e internazionali. La convivenza è proseguita nel corso degli anni a dimostrazione che dimensioni e aspettative diverse non sono confliggenti.

Questo è possibile a condizione che il Sistema si ponga l'obiettivo di valorizzare tutto il patrimonio culturale, in una prospettiva di qualificazione delle azioni e di integrazione delle risorse, considerando l'intero territorio/paesaggio come entità non solo geografica, ma anche storica, ovvero come siti diversi che vanno collocati in un insieme, come afferma Ezio Raimondi.

Il Sistema provinciale è, quindi, uno strumento di valorizzazione e governo, ma, come già considerato nell'articolo "Un sistema in evoluzione", è uno strumento di governo debole o, meglio, di indirizzo e di servizio: l'unica modalità possibile per la complessità della rete e la diversificazione dei musei che vi aderiscono. Tale strumento riesce a mettere in campo tre ordini di risorse: finanziamenti per investimenti, attraverso il Piano museale, risorse per servizi diretti, prevalentemente rivolte al sistema nel suo complesso e maggiormente vantaggiose per le piccole realtà, professionalità degli operatori.

È indubbio che un museo di grandi dimensioni e richiamo nazionale o internazionale necessiti di interventi e risorse superiori a quanto una rete territoriale possa mettere in campo, specie oggi con i vincoli posti alla finanza pubblica. Condividere azioni e progetti con un sistema territoriale porta, comunque, vantaggi sia per i piccoli che per i grandi musei, specie se la logica è quella della reciprocità. Il Sistema può funzionare utilmente se sviluppa un modello di rete che basa il proprio valore aggiunto su interrelazioni di reciprocità, con una sequenzialità bidirezionale tra le attività e le azioni. Proviamo allora a dimostrare, con alcuni esempi, questa modalità di funzionamento della rete basata su interrelazioni reciproche e sinergiche.

La partecipazione continua al Comitato Scientifico, al Comitato di redazione di "Museo in-forma", a gruppi di lavoro tematico (come quelli sperimentati sui temi delle audioguide, degli allestimenti, degli standard di qualità) permette di mettere a disposizione di tutto il Sistema le esperienze maturate in una rete più ampia, per elaborare progetti e risolvere problematiche che abbiano denominatori comuni. D'altra parte, qui la reciprocità, attraverso la rete delle relazioni del Sistema provinciale gli operatori dei grandi musei possono fruire della consulenza per l'elaborazione dei progetti da inserire nei Piani museali e dell'aggiornamento professionale condiviso con altri operatori.
Sul piano delle tecnologie troviamo altre conferme: il MAR e il MIC hanno contribuito alla sperimentazione di tecnologie informatiche per la catalogazione, ricevendo, come reciprocità, attrezzature informatiche ad integrazione della propria iniziale dotazione.

Ma la reciprocità può assumere anche una dimensione più ampia, di scambio tra singoli musei aderenti al Sistema. Di questo è dimostrazione la collaborazione scientifica tra il MIC, il MAR e la Pinacoteca di Faenza per la realizzazione delle mostre integrate delle opere di Domenico Baccarini.
In una prospettiva di sviluppo del Sistema Museale e dei sui servizi - dopo il giro di boa dei primi dieci anni - certamente queste reciprocità sono da sviluppare, integrare, sistematizzare. Un'area di sviluppo potrà sicuramente essere la didattica museale, considerato il potenziale che questa attività racchiude in sé. Le basi per relazioni di reciprocità e sinergie tra grandi musei e sistemi territoriali riteniamo che siano presenti e l'esperienza dimostra che la strada per ulteriori sviluppi è percorribile.

Speciale decennale del Sistema Museale Provinciale di Ravenna - pag. 20 [2007 - N.30]

La Provincia di Ravenna invita insegnanti, operatori culturali e studenti al dialogo sul tema dell'educazione al museo e al patrimonio in chiave interculturale

Silvia Mascheroni - Consulente scientifico del 15° corso "Scuola e Museo"

Il prossimo 28 ottobre, presso il Teatro Alighieri di Ravenna, avrà luogo la quindicesima edizione del corso di aggiornamento sulla didattica museale "Scuola e Museo", organizzato in un'unica giornata di studio come momento di riflessione sul tema dell'educazione al museo e al patrimonio in chiave interculturale, tema cruciale e complesso nella relazione educativa tra museo, scuola e le agenzie formative del territorio che si confrontano con le problematiche e le specificità della società contemporanea. Docenti ed esperti di politiche culturali, antropologi, storici, storici dell'arte e insegnanti, provenienti da diverse istituzioni italiane e impegnati da anni in questo ambito di ricerca e di operatività, si confronteranno in particolare sui seguenti argomenti:
 il quadro di riferimento concettuale e progettuale in Italia e in Europa;
 le acquisizioni normative più recenti e il loro rapporto con le "buone pratiche", che si declinano in contesti diversi: la scuola, il museo, il territorio;
 il contributo significativo che ogni sapere disciplinare può dare, se indagato secondo la prospettiva interculturale;
 i progetti esemplari che sono stati realizzati (il processo attuato, gli esiti raggiunti, gli elementi di criticità);
 la mediazione attuata dai nuovi interpreti del patrimonio culturale.
Apre la giornata di studi Silvia Mascheroni, coordinatrice della Commissione tematica "Educazione e mediazione" di Icom Italia, che farà da moderatrice dei due dialoghi previsti nella mattinata: quello tra Simona Bodo, ricercatrice in problematiche di diversità culturale e inclusione sociale nei musei e Margherita Sani dell'IBC, e quello tra Maria Camilla De Palma, direttrice del Castello D'Albertis Museo delle Culture del Mondo di Genova, ed Ernesto Perillo, dell'Associazione "Clio '92". Poiché la riflessione sull'altro, sulle altre culture è al centro della storia e dell'antropologia, queste sono state appunto individuate quali discipline "magistrali" per interrogare e comprendere la contemporaneità.
I progetti presentati nel pomeriggio vedono protagonisti la scuola, il museo, le agenzie del territorio, i cittadini in formazione e i "nuovi" cittadini, che diventano mediatori esperti e consapevoli del patrimonio. Vincenzo Simone, dirigente del Settore Educazione al Patrimonio culturale della Città di Torino, introduce e coordina la sessione pomeridiana, con le testimonianze di: Giovanna Brambilla Ranise, responsabile dei Servizi educativi della GAMeC di Bergamo, Anna Maria Pecci, del Centro Studi Africani di Torino, Emanuela Daffra, della Soprintendenza al patrimonio storico, artistico ed etnoantropologico di Milano e Francesca Togni, della Fondazione Sandretto Re Rebaudengo di Torino.
Concluderà la giornata l'intervento di Gianluca e Massimiliano De Serio, due giovani registi torinesi che da anni si dedicano al tema dell'interculturalità, con la proiezione di una selezione tratta dai cortometraggi da loro realizzati.
Il 15° corso "Scuola e Museo" si colloca tra le iniziative intraprese nell'ambito dell'Anno Europeo del Dialogo Interculturale (2008), proseguendo la riflessione condivisa con l'IBC che il 10 giugno ha presentato a Bologna il progetto MAP for ID - di cui si parla sulle stesse pagine di questo notiziario - e con la Regione Veneto, che il 22 settembre organizza presso la Pinacoteca dei Musei Civici di Vicenza la XII Giornata Regionale di Studio sulla Didattica Museale dal titolo Educare nella città cosmopolita.
Per maggiori informazioni: www.sistemamusei.ra.it, tel. 0544 258610-13.

Esperienze di didattica museale - pag. 20 [2008 - N.32]

Nasce a Bologna il DiPaSt, Centro Internazionale di Didattica della Storia e del Patrimonio

Beatrice Borghi e Rolando Dondarini - Facoltà di Scienze della Formazione Università di Bologna

Negli ultimi decenni presso molte sedi deputate alla conservazione e all'esposizione di beni di interesse storico, artistico e scientifico - archivi, musei, pinacoteche e collezioni - si sono promossi studi, ricerche, sperimentazioni e riconversioni che hanno mutato e arricchito le loro finalità, metodologie e strumenti nella comune prospettiva di non limitarsi alla tutela, all'allestimento ed all'esposizione dei materiali conservati, ma di avvalersene anche a scopi educativi, informativi e progettuali.
Accanto alle funzioni tradizionali si sono così sviluppate quelle didattiche e divulgative volte a favorirne una conoscenza efficace e duratura e un apprendimento attivo attraverso laboratori capaci di integrare le risorse e le opportunità conoscitive interne con quelle acquisibili all'esterno. I percorsi di "educazione" elaborati e sperimentati hanno indotto da un lato a revisioni e aggiornamenti nei ruoli e nelle competenze delle diverse sedi e dei loro operatori: ogni sede diviene così una componente attiva dell'attività educativa che non la rimpiazza, ma la integra e asseconda, mettendo a disposizione le proprie competenze scientifiche, l'attività di ricerca e documentazione e le proprie risorse educative in un costante impegno di consulenza e formazione per docenti e studenti.
Si è fatta strada l'esigenza di visioni d'insieme che, pur tenendo in considerazione e valorizzando le peculiarità delle diverse tipologie di materiali, implichino l'avvio e la cura di una serie di raccordi: primo fra tutti quello che lega in un unico quadro le risorse di diversa origine ereditate, salvate e prodotte dalle comunità umane; un quadro complessivo a cui si è attribuita la denominazione convenzionale di "patrimonio", con cui si intende l'eterogeneo e multiforme insieme di eredità e risorse nel quale confluiscono e si sedimentano i caratteri, i beni, i valori e i saperi ambientali, storico-artistici, scientifici e ideali raccolti e condivisi dalle comunità umane nei loro diversi ambiti territoriali. A queste spetta rilevarne, conoscerne, proteggerne e valorizzarne la presenza, rendendola nota, eloquente e fruibile nel più ampio quadro del patrimonio dell'Umanità.
Alla crescita di consapevolezza sulle potenzialità formative del "patrimonio" si è associato uno dei più incisivi e poderosi mutamenti mai registrati nel campo della comunicazione e della trasmissione della cultura, come conseguenza della diffusione di tecnologie innovative. L'emissione e la percezione di immagini e suoni attraverso gli strumenti multimediali e l'accesso alla rete e alle sue opportunità fanno parte della quotidianità di tutte le generazioni attuali e apportano nuove e irrinunciabili possibilità ed esigenze anche in tutte le fasi e funzioni della divulgazione culturale e scientifica.
In sintesi dalle ricerche e dalle esperienze condotte in numerosi contesti specifici si è potuto constatare come il "patrimonio" si riveli un approdo auspicabile ed uno sfondo integratore di rilevante valenza formativa, capace di proiettare in orizzonti più ampi le potenzialità delle specifiche didattiche dei beni culturali e di avvalersi degli strumenti più aggiornati della comunicazione. Esso diviene così un'occasione di acquisizione, costruzione e produzione del sapere che esige la confluenza di competenze e conoscenze in un intreccio interdisciplinare e che implica un uso sistematico di tutti gli strumenti della comunicazione e in particolare delle tecnologie telematiche e dei supporti multimediali utilizzabili in ogni progetto didattico e divulgativo.
In questa prospettiva ogni elaborazione e attività riferita a materiali e contesti specifici si inserisce nell'ambito molto più ampio e ormai ricco di esperienze significative di quel settore formativo che attraverso l'osservazione e l'attivazione di sensibilità ed emotività porta a considerare tutte le realtà attuali come patrimonio da fruire e rispettare e in cui vivere più consapevolmente. Tale propensione deve tener conto della compresenza e della pluralità di culture della loro contiguità e differenze, analizzarne le dinamiche di contatto ed interazione nell'attualità e nel passato, in un percorso di progressivo abbandono della narrazione unilaterale ed etnocentrica verso un processo di interculturalizzazione.
Nel solco della pluridecennale collaborazione condotta dalla Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università di Bologna con le realtà museali del territorio, ma anche nell'intento di valorizzare un ricco ed articolato patrimonio di esperienze si è costituito il Centro "DiPaSt", sorto in occasione del Convegno Internazionale Patrimoni culturali tra storia e futuro svoltosi il 14 e il 15 ottobre 2008 presso l'Archiginnasio di Bologna; nella realtà bolognese si è infatti sedimentato un "patrimonio dell'educazione al patrimonio" che è doveroso curare, preservare e salvaguardare per renderlo fruibile nel futuro in quanto risorsa costitutiva dell'ambiente nel quale viviamo.
Il Centro "DiPaSt", in collaborazione con il Laboratorio Multidisciplinare di Ricerca Storica (LMRS), intende diffondere le esperienze di didattica e di educazione al patrimonio, volgendo lo sguardo anche all'ambito regionale, nazionale e internazionale e a progressive focalizzazioni su specifiche e peculiari realtà che saranno oggetto di prossime pubblicazioni. Il Laboratorio Multidisciplinare di Ricerca Storica, ideatore e promotore della "Festa della Storia", ha tra i suoi principali obiettivi la promozione e l'attuazione di tutte le possibili iniziative di documentazione, ricerca, studio, valorizzazione e divulgazione di argomento storico, oggetto da molti decenni anche delle iniziative spesso pionieristiche intraprese dall'Istituto dei Beni Culturali della regione Emilia Romagna e delle attività di punta condotte con mostre e rinnovati allestimenti da alcuni dei maggiori musei bolognesi.
Compito principale del Centro "DiPaSt" è quello di favorire gli scambi e i confronti a carattere internazionale attraverso i quali rendere permanente un dialogo di proficua collaborazione e facilitare l'accesso a fondi europei: al riguardo è stato istituito per l'anno accademico 2008-2009 il primo Master in Comunicazione e Didattica del Patrimonio dell'Università di Bologna con sede di Ravenna, che ha tra i suoi obiettivi quello di offrire un insieme organico e integrato di conoscenze e competenze basilari e necessarie per progettare e svolgere attività di didattica, divulgazione e promozione del patrimonio, avvalendosi anche delle tecnologie informatiche e telematiche.

Contributi e riflessioni - pag. 20 [2008 - N.33]

Un viaggio interattivo e unitario alla scoperta delle case museo di sei poeti e scrittori di Romagna

Dante Bolognesi - Direttore Casa Oriani - Il Cardello di Casola Valsenio

É stato presentato nell'ottobre scorso il CD interattivo "La casa sa ch'io sono uno scrittore". Le case museo dei poeti e degli scrittori di Romagna, promosso dalla Fondazione Casa di Oriani e dalla Provincia di Ravenna, e curato da Dante Bolognesi, direttore di Casa Oriani, e Manuela Ricci, direttrice di Casa Moretti.
"Perché mai le case degli scrittori? Non bastano le opere?" - ci si potrebbe domandare. La risposta a questa improbabile domanda è semplice. La Romagna è quella che è per mille ragioni, come ogni altra parte d'Italia. Tra queste ragioni vi sono i suoi scrittori, che l'hanno cantata, interpretata, giudicata, anche severamente, talvolta. Si parla tanto di identità, da noi come altrove, al punto che ogni paese, a nord come a sud della via Emilia, ne rivendica legittimamente una propria. Può una terra come la nostra rinunciare ad aprire le dimore in cui i suoi figli più creativi hanno visto la luce, o sono vissuti, hanno scritto le loro opere, hanno chiuso per sempre gli occhi, magari vi sono sepolti? No, evidentemente, e non da oggi, anche se è vero che negli ultimi anni è venuto crescendo l'interesse per questi luoghi della memoria culturale, così carichi di suggestione e di valori simbolici.
Fino ad oggi le case museo della Romagna si sono presentate isolatamente, attente alla irripetibilità e alle specificità dell'esperienza che esse raccontano e testimoniano. Con la realizzazione di questo CD si è inteso proporre un percorso unitario fra le case museo dedicate ai poeti e scrittori di Romagna: Casa Vincenzo Monti ad Alfonsine, Casa Giovanni Pascoli a San Mauro Pascoli, Casa Alfredo Panzini a Bellaria, Casa Marino Moretti a Cesenatico, Casa Alfredo Oriani - Il Cardello a Casola Valsenio, Casa Aurelio Saffi a Forlì.
Il senso di questo strumento che le istituzioni titolari della proprietà delle dimore mettono a disposizione è tutto qui: contribuire a far conoscere questi specialissimi beni culturali, interessanti e belli di per sé, ma soprattutto intimamente intrecciati con la vita e con l'opera di chi li ha abitati. Il CD propone anche una mappa, un percorso letterario, che non si limita alla descrizione di luoghi ma presume anche di offrire un primo approccio, diciamo pure una chiave di lettura della personalità e dell'opera dei sei autori.
Perché solo di questi sei? Perché di questi, e soltanto di questi, esiste una casa-museo posseduta o gestita da un ente pubblico, quindi aperta ai visitatori (ma a dicembre si è aggiunta Casa Renato Serra a Cesena). È auspicabile che possa incrementare anche il turismo culturale, perché questo fenomeno, fortunatamente in via di rapido sviluppo, si configura a pieno titolo come un'attività culturale, appunto, e non come un qualsiasi consumo.
Il CD, acquistabile presso le singole case museo, propone due percorsi tra loro interrelati. Il primo concerne la vicenda biografica e intellettuale degli autori e si articola in quattro sezioni: la biografia, le opere, l'autore e il suo tempo, i luoghi della memoria. Il secondo concerne il museo e si articola in quattro sezioni: le vicende storiche della casa, la visita virtuale, le attività culturali, le informazioni generali per la visita. Nella sezione opere sono compresi brani tratte dagli scritti degli autori.
Con la realizzazione del CD, gli istituti culturali hanno avviato una collaborazione a cui si intende dare continuità. Si sta così operando per istituire un comitato di coordinamento che, in collaborazione con le istanze regionali e nel rispetto dell'autonomia dei singoli istituti, dovrebbe avere il compito di proporre iniziative comuni (portale delle case museo; programma coordinato di eventi musicali, seminariali, ecc.; pubblicazione di materiali rivolti agli operatori turistici ecc.).

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 20 [2009 - N.34]

Una mostra presenta le prime linee di ricerca su un pittore dimenticato

Diego Galizzi - Conservatore Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo

L'approfondimento e la ricerca sulle personalità che in campi diversi hanno dato lustro a Bagnacavallo, e dunque rappresentano la sua espressione più autentica e vitale, è da alcuni anni una delle linee prioritarie dell'attività del Museo Civico delle Cappuccine.
Più che occasioni celebrative sono momenti di valorizzazione di un territorio, che tradizionalmente trovano il loro contesto ideale all'interno della festa di San Michele, a fine settembre. La prossima edizione, dopo le rassegne degli scorsi anni dedicate a Leo Longanesi, Tommaso Garzoni e Pietro Bubani, sarà volta al recupero della figura del pittore Giuseppe Rambelli (1868-1954), artista di buon livello, figlio della scuola macchiaiola fiorentina, la cui conoscenza è colpevolmente rimasta in un oblìo quasi totale agli occhi della critica e del grande pubblico.
Nativo di Bagnacavallo, figlio del locale dirigente scolastico, Giuseppe Rambelli coltiva la passione artistica già dalla fanciullezza, passione che lo porterà a Firenze all'età di 17 anni per frequentare l'Accademia delle Belle Arti. Qui, oltre a ricevere una solida educazione al disegno (il suo rendimento accademico è sempre stato molto alto, conseguendo alcune medaglie ai concorsi annuali dedicati agli allievi), ha modo di confrontarsi con la grande scuola pittorica fiorentina dell'Ottocento, in particolare con la feconda stagione della pittura macchiaiola.
Per alcuni anni frequenta la Scuola Libera del Nudo sotto la guida di Giovanni Fattori, che senza dubbio, insieme a Silvestro Lega, rappresenta il modello artistico più influente della sua giovinezza. Verso lo scadere dell'800 e nei primissimi anni del '900 Rambelli, ormai definitivamente stabilitosi nel capoluogo toscano, principia una discreta attività espositiva che gli dà modo di farsi conoscere negli ambienti culturali fiorentini, anche in quelli più raffinati. Frequenti sono le sue partecipazioni alle Esposizioni annuali della Società Fiorentina delle Belle Arti, a partire da quella del 1901, dove il suo Ritratto di bimba suscitò notevole ammirazione, oppure quella del 1905, nel cui catalogo il suo dipinto Ritornerà? veniva significativamente valutato cifre ragguardevoli, paragonabili a quelle di opere di autori oggi molto più famosi, come Giovanni Fattori.
In questo periodo consolida le sue caratteristiche stilistiche, che connotano sempre più la sua pittura come tradizionalista, impermeabile alle nuove tendenze dell'arte del Novecento ma piuttosto volta alla riedizione di un intimo naturalismo e di tematiche care ai macchiaioli, come brevi appunti di vita quotidiana e, soprattutto, la ritrattistica. Proprio quest'ultima è certamente il terreno privilegiato della ricerca del Rambelli, sempre tesa ad una pregnante resa psicologica dei personaggi. Si veda, in merito, la straordinaria forza evocativa del Ritratto del Conte Gamberini (1900). La sua vivace vena ritrattistica si attirò ben presto le preferenze di una discreta cerchia di committenti di ceto aristocratico, interessati a farsi immortalare dalla sua mano preziosa e un po' retrò, o di un'esigente clientela di facoltosi viaggiatori che, transitando per Firenze, si servivano di artisti locali per farsi eseguire dei ritratti che poi si riportavano nel proprio Paese.
Nel corso dei suoi anni toscani Rambelli si avvicinò agli ambienti della Società Teosofica, la cui frequentazione gli diede modo di intessere amicizie con personaggi del calibro di Maksim Gorky e Edward Carpenter. Significativamente con l'avvento del fascismo il pittore bagnacavallese sembra invece distaccarsi progressivamente da qualsiasi attività pubblica, ritirandosi lentamente ad una vita schiva ed appartata. La deliberazione presa dalla Società Fiorentina delle Belle Arti di iscrivere "in massa" i propri membri al Sindacato fascista (1928), portò infatti al definitivo divorzio tra la Società stessa e l'artista, il quale, sempre meno interessato alle esposizioni di regime, decise di rientrare nella sua Romagna, precisamente nella sua Torre di Traversara, dove continuò a dipingere in serenità e lontano dalla pubblica ribalta, fino alla sua morte, avvenuta nel 1954.
Il catalogo della mostra commemorativa che venne organizzata per l'occasione a Bagnacavallo l'anno successivo, ci parla di una personalità che, dopo aver conosciuto a Firenze un periodo di fitte ed illustri frequentazioni, una volta ritiratosi nella sua Torre si abbandonò ad una esistenza quasi eremitica, tanto che quando sopraggiunse la morte era (già allora!) considerato un artista quasi dimenticato.
Oggi, la mostra presentata alle Cappuccine vuole riportare all'attenzione del pubblico un pittore che, nel suo tempo, ebbe grande considerazione e discreti riconoscimenti. Una mostra di ricerca non priva di difficoltà, a tratti condotta sul filo dell'indagine archeologica data l'esiguità delle notizie e delle fonti attualmente esistenti, e data la difficoltà a riunire le sue opere pittoriche, molte delle quali sono oggi sparse per l'Europa.
Questa operazione di recupero della personalità di Giuseppe Rambelli sarà anche l'occasione per affrontare un fenomeno di più ampia portata che coinvolge la geografia artistica romagnola tra Otto e Novecento, vale a dire l'evidente forza di attrazione che in questo periodo Firenze sembra aver avuto sui giovani artisti romagnoli. Passando infatti in rassegna le "immatricolazioni" all'Accademia di Belle Arti e alla Scuola Libera del Nudo, ma anche gli elenchi dei partecipanti alle esposizioni annuali della Società Fiorentina delle Belle Arti, si registra una ricorrenza di pittori provenienti dall'area ravennate-faentina tale da connotare come un evento non episodico la formazione e la conseguente attività artistica del Rambelli nella città toscana piuttosto che, ad esempio, nella più vicina Bologna.
La mostra, curata da Diego Galizzi e Orlando Piraccini, si terrà al Museo Civico delle Cappuccine dal 19 settembre al 29 novembre 2009. Per informazioni: tel. 0545-290911/13; email: centroculturale@comune.bagnacavallo.ra.it.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 20 [2009 - N.35]

Tante le iniziative in calendario per il centenario della morte di Alfredo Oriani

Dante Bolognesi - Direttore della Fondazione "Casa di Oriani"

È in un clima di rinnovato interesse verso gli scritti e la figura di Alfredo Oriani che la Fondazione Casa di Oriani ricorda lo scrittore romagnolo nel centenario della morte, avvenuta il 18 ottobre 1909 con una serie di iniziative culturali, in collaborazione con vari istituti e enti.
Non c'è dubbio che l'opera di Oriani in questi ultimi tempi sia diventata oggetto di rinnovate attenzioni e multiformi studi, a partire da quella storico-politica, quella, per intenderci, della Lotta politica (1892) e della Rivolta ideale (1908), con cui "il solitario del Cardello" si propose come interprete originale e controcorrente della storia italiana e del processo di unificazione del Paese. "Ogni volta che noi italiani siamo costretti a fare i conti, con maggiore e minore serietà, con la nostra storia, a reinterrogarci sulla nostra identità nazionale" - ha scritto Dirani - ecco che Oriani rientra in gioco, e ci ripropone nodi irrisolti, passaggi controversi, sguardi inconsueti sul nostro passato e, di riflesso, sul nostro presente, peraltro così solidamente intrecciati nelle sue riflessioni.
Si è parlato di una vera e propria renaissance di Oriani. Questa non si è limitata, come forse ci si sarebbe aspettato in questi decenni di perdurante crisi del sistema politico nazionale, all'Oriani storico e giornalista, ma ha abbracciato anche l'opera narrativa e drammaturgica. Basta scorrere l'annale della Fondazione Casa di Oriani ("I Quaderni del Cardello", pubblicati dal 1990) per avere testimonianza del fervore di ricerche, che in ambito accademico, ma non solo, si è acceso in questi ultimi venti anni e che ha prodotto infine un lavoro organico come quello recentissimo di Marco Debenedetti (Alfredo Oriani. Romanzi e teatro, Cesena, Il Ponte Vecchio, 2008). Anche la produzione teatrale, che si risolse allora in un nuovo insuccesso e rappresentò una ulteriore disillusione per l'autore, i romanzi maggiori, i racconti, persino le prime immature imprese, come Memorie inutili (1876) e le poesie di Monotonie (1878), hanno visto una ricca messe di ricerche. Per non parlare di uno dei romanzi della maturità, Vortice, che ha conosciuto nel giro di pochi anni ben tre edizioni (Milano, Garzanti, 2003; Bologna, Millennium, 2007; Avellino, Mephite, 2008).
Il primo evento in calendario si è svolto lo scorso 19 settembre, con il XXI Incontro al Cardello (la casa museo di Oriani a Casola Valsenio) dedicato al tema Oriani e l'alimentazione nella Romagna dell'Ottocento e l'inaugurazione della mostra Oriani, il letterato del villaggio, promossa dal Comune di Casola in collaborazione con la Fondazione Oriani.
Il 23 ottobre a Faenza e il 24 ottobre a Ravenna si svolge il convegno L'eredità di Alfredo Oriani. Cultura e politica nell'Italia del Novecento. La giornata faentina è dedicata alla riflessione sull'opera narrativa e storica dello scrittore faentino, visto oggi come un piccolo classico dell'800, presente nell'esercizio creativo dei maggiori letterati del '900. Intervengono Massimo Baioni (Università di Siena), Marino Biondi (Università di Firenze), Franco Farinelli (Università di Bologna), Eugenio Ragni (Università di Roma "La Sapienza), Ugo Perolino (Università di Chieti) con il coordinamento di Roberto Balzani. La giornata ravennate (Popolo, populismo, democrazia nelle culture politiche italiane del Novecento) proporrà il confronto su un tema centrale per Oriani e sempre attuale: il rapporto fra popolo e legittimazione della sovranità politica. Con il coordinamento di Ernesto Galli della Loggia (Università S. Raffaele di Milano) interverranno Dino Cofrancesco (Università di Genova), Angelo Panebianco, Carlo Galli, Roberto Balzani (Università di Bologna).
Infine il 28 novembre sarà organizzata a Ravenna una tavola rotonda su Le 'idee lunghe' del Risorgimento. Rappresentazioni e progetti per l'Italia unita. Anche questo è un tema tipicamente orianiano: studiosi di varie università italiane (fra cui Luigi Lotti, Sandro Rogari, Dino Mengozzi) si soffermeranno sulle principali correnti di pensiero nell'Italia contemporanea, dal liberalismo di Cavour al federalismo di Cattaneo, ancor oggi in grado di fornire spunti di riflessione sull'identità del Paese.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 20 [2009 - N.36]

I volti, gli ideali e la vita quotidiana al tramonto dell'Ottocento in mostra al Museo di Bagnacavallo

Diego Galizzi - Conservatore del Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo

Tra le finalità del Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo, come del resto di molti musei d'arte civici e territoriali, oltre al fondamentale ruolo di ricerca, studio e documentazione sulle proprie collezioni vi è certamente anche l'importante compito di promuovere ricerche sulla storia e sulla cultura locale, dando così impulso alla salvaguardia della memoria storica della città. Con questa convinzione, e con la consapevolezza di "insistere" su un territorio come quello bagnacavallese, a così alto interesse artistico e culturale, il Museo Civico ha da qualche anno intrapreso un programma di recupero e valorizzazione di alcune personalità artistiche native o che hanno operato a Bagnacavallo, sulle quali la ricerca storico-artistica non ha fin'ora focalizzato la sua attenzione. Dopo la fortunata esposizione antologica dedicata al pittore Giuseppe Rambelli, svoltasi nell'autunno 2009, non stupirà dunque se quest'anno il museo allestirà una nuova mostra dove verranno presentati i risultati delle ricerche condotte su un altro pittore bagnacavallese, di cui nelle collezioni del museo non è conservata alcuna opera, ma che rappresenta un'autentica espressione della tradizionale vocazione artistica della città: Edgardo Saporetti (1865-1909).
Figura fino ad oggi quasi sconosciuta quella del Saporetti, nonostante si possano ammirare pochi apprezzati frammenti della sua attività pittorica in alcuni musei italiani, dal Museo d'Arte della Città di Ravenna al Museo Civico Filangieri di Napoli. Eppure già dalle prime ricerche è emersa una personalità la cui portata ci sembra vada ben al di là della considerazione di cui attualmente gode nel panorama artistico italiano. Edgardo nacque a Bagnacavallo nel 1865, figlio di Pietro Saporetti, pittore e docente all'Accademia di Belle Arti di Ravenna. Figlio d'arte, dunque, e infatti la sua parabola artistica iniziò molto precocemente, prima sotto gli insegnamenti impartiti dal padre, poi con la brillante frequentazione dell'Accademia ravennate, dove ottenne premi e riconoscimenti.
Presumibilmente per impulso del padre, che certamente godeva di numerose amicizie negli ambienti artistici nazionali, Edgardo uscì ben presto dalla dimensione locale per esplorare con entusiasmo alcune delle scuole pittoriche più attive dell'epoca. Poco più che quindicenne lo ritroviamo a Roma, presso il pittore Cesare Mariani, già "pittore ufficiale" di Pio IX e direttore dell'Accademia di San Luca, poi a Napoli, dove avrà modo di frequentare in privato lo studio di Domenico Morelli, inserendosi a tutti gli effetti in quella schiera di pittori che aderirono agli insegnamenti del caposcuola della pittura napoletana del secondo Ottocento. Nella luminosità del golfo partenopeo Edgardo troverà una felice stagione artistica, che lo porterà a realizzare svariate scene di genere in chiave verista e diversi ritratti, anche per la più alta aristocrazia partenopea.
In seguito lo svolgersi della sua carriera si fa sempre più inquieto e burrascoso, ricco di frequentazioni ad alti livelli (sappiamo che ebbe modo di realizzare i ritratti di re Umberto I, della regina Margherita e dell'allora principe Vittorio Emanuele III), ma anche di fallimenti e di coinvolgimenti in affari e relazioni "pericolose" che lo indussero ben presto a lasciare il Paese per alcuni anni e tentare la fortuna a Londra. Passata la burrasca, al suo rientro in Italia ebbe l'incarico di professore aggiunto di pittura all'Accademia di Belle Arti di Firenze (1903) ed ebbe alcuni incarichi di prestigio: tra questi ricordo alcune realizzazioni per Vittorio Alinari, dalle illustrazioni della "Divina Commedia" edita nel 1903 ad uno splendido ciclo di Via Crucis. Saporetti morirà prematuramente a 44 anni, lasciando incompiute alcune opere ma soprattutto una carriera in parte ancora inespressa, che avrebbe certamente raggiunto altri pregevoli traguardi.
La mostra dedicata a Edgardo Saporetti è allestita al Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo dal 18 settembre al 28 novembre 2010.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 20 [2010 - N.38]

I preziosi reperti tessili dell'Egitto copto escono ciclicamente dal deposito per mostrarsi al Museo Nazionale

Federica Cavani - Museo Nazionale di Ravenna

A ormai quarant'anni dalla collocazione in deposito dei tessuti copti e a vent'anni dall'ultimazione dei complessi restauri dell'intera collezione tessile formata da oltre un centinaio di reperti estremamente diversi per tipologia, provenienza e datazione, sono riesposti ciclicamente al Museo Nazionale alcuni frammenti di stoffe.

Non molti anni dopo la fondazione del Museo ravennate (1885), Emile Guimet, industriale e collezionista francese, già direttore del museo parigino di arte asiatica, donò la sua raccolta di stoffe provenienti dalla necropoli di Antinoe ai maggiori musei francesi ed europei, come quelli di Berlino, del Vaticano e di Ravenna, quest'ultimo scelto probabilmente per il suo carattere archeologico e per l'interessamento di Corrado Ricci che, seppur lontano dalla sua città natale, fu sempre pronto a valorizzarla.

Nessuna traccia scritta di questa cospicua collezione, di una trentina di reperti, arricchita da successivi acquisti sul mercato antiquario egiziano e da ulteriori donazioni, sembra sopravvivere negli archivi della Soprintendenza di Ravenna. L'unico ricordo ci è trasmesso dal giornale locale Il Ravennate - Corriere di Romagna del 21 dicembre 1902 che scrive come "frammenti di abiti di tela di canape [...] coi colori ancora intatti, coi disegni e ricami svariatissimi, con le figurazioni di scene di caccia e di santi" fossero stati donati quale testimonianza di un'arte lontana "di tempo e di luogo", frutto di una produzione tessile risalente al periodo dell'Egitto cristiano, tra III e VII secolo, che si protrasse fino al XII secolo.

Il termine copto deriva dalla parola araba Qibt, forma abbreviata della parola greca Aigyptios, Egiziano. Gli Arabi, infatti, utilizzarono questo termine per indicare gli abitanti dell'Egitto in opposizione ai Rum, i Bizantini (Rhomaioi). Oltre che nella pittura, i copti furono abili nella decorazione dei tessuti che dall'epoca faraonica, attraverso i secoli, rimase costante nei materiali, nella lavorazione e nella tecnica di filatura. Accanto ai motivi geometrici (come stelle, esagoni, cerchi) e a quelli vegetali (fiori, boccioli di loto, foglie e rami che si intrecciano), compaiono decorazioni di animali (soprattutto uccelli, lepri, leoni, pesci) e figure umane, spesso di ispirazione classica e pagana, o volti lontani da ogni senso ritrattistico con funzione meramente decorativa.

Fin dal XVII secolo le stoffe copte furono portate in Europa come curiosità ed espressione di un mondo esotico e misterioso, suscitando l'interesse di collezionisti che ancora nel XIX secolo le recuperarono con scavi non sistematici, tagliandole spesso a pezzi al fine di soddisfare le varie committenze. In epoca copta fu proprio Antinoe uno dei maggior centri di produzione di ceramica e di stoffe, che si distinse per uno stile ben definito caratterizzato da elementi antico-egiziani e influenze orientali e sasanidi, nonché da un'ottima qualità tecnica dei prodotti.

I tessuti del Museo Nazionale di Ravenna sono stati rinvenuti in contesti tombali, a testimoniare il loro utilizzo come abiti o parti dell'abbigliamento del defunto o come lenzuoli e cuscini funebri ricavati da coperte e tende parietali d'uso domestico. Oltre a decorazioni intorno al collo e al bordo, nelle tuniche potevano comparire inserti di forma circolare o ovale, orbicula, e di forma quadrata, tabulae, che venivano tessuti o applicati sulla tunica all'altezza delle spalle e delle ginocchia.

Stoffe di lino écru o di lana colorata presentano svariate decorazioni ottenute dall'impiego di fili di diverso materiale e di diverso colore, da ricami a punto piatto o lanciato, a intreccio, a bouclé, dall'uso di spolette volanti, di stampe ottenute con la tecnica dell'imprimeés, coprendo con sostanze impermeabili come cera o argilla le parti che non si dovevano decorare. La vivacità dei colori dei tessuti copti era dovuta proprio all'uso della lana, che, più sensibile ai mordenti, assorbe meglio i colori.

Il procedimento di tessitura dei tessuti copti più utilizzato, per i motivi decorativi, era quello della tecnica ad arazzo, che consisteva nel passare i fili di trama in modo da coprire completamente i fili dell'ordito e da creare con colori diversi vari disegni. Altre erano le tecniche, come quella a tappezzeria o ad "armatura unita", che potevano essere impiegate da corporazioni, botteghe imperiali (soprattutto alessandrine), proprietari terrieri e monasteri, che con maestria e fantasia si dedicavano alla produzione di questi caratteristici tessuti.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 20 [2010 - N.39]

Una riflessione sull'insegnamento accademico di "Museologia", prospetando l'istituzione di una scuola nazionale di Museum Studies

Nadia Barrella - Docente di Museologia e Storia del collezionismo Seconda Università degli studi di Napoli

I grandi cambiamenti istituzionali cui abbiamo assistito a partire dal 1990 e il diffondersi dell'idea di museo come servizio pubblico hanno più volte spostato l'accento sulla necessità di chiarire meglio il quadro dei professionisti che operano nel museo suggerendo, tra l'altro, modalità e contenuti dei loro percorsi formativi.

ICOM Italia, in un recentissimo documento, ha inoltre posto l'accento sulla necessità di un iter che - "fornendo sia competenze generali [...] che specifiche [...] e accompagnandosi con una prolungata esperienza di tirocinio sul campo" - si realizzi soprattutto ad un livello "post lauream". Riallacciandosi alle importanti conclusioni della cosiddetta "Commissione Montella", ICOM ripropone l'istituzione "di una scuola nazionale di Museum Studies, nella quale convergano e cooperino, con diversi apporti, le Università, le Regioni, gli Enti territoriali, i Musei e le associazioni professionali".

È indubbio che, "per assicurare una diffusa ed omogenea qualità delle attività di valorizzazione in tutte le aree e in tutti gli istituti e luoghi della cultura del paese, non si possa rinunciare alla formazione di un corpus professionale di elevata ed omogenea qualità, capace di agire unitariamente - su base nazionale e indipendentemente dalle posizioni lavorative in organizzazione pubbliche e private" - ma è altrettanto vero che tale formazione è un obiettivo da raggiungere, non un risultato già ottenuto.

Quel che esiste, quel che per il momento determina le conoscenze di base della maggior parte dei nostri addetti al museo e costituisce, tra l'altro, il requisito più richiesto per l'accesso a molti dei possibili incarichi ("laurea in discipline attinenti alle specificità del museo") è il corso di laurea 3+2 in Lettere, Conservazione o denominazioni affini. È dunque su questi corsi di laurea triennale e magistrale che vorrei fare alcune considerazioni, partendo da una veloce analisi della più recente offerta formativa dei nostri Atenei e precisando che si tratta di un'indagine incompleta, che ha tenuto conto di quanto disponibile on-line per il 2010 e che si è soffermata sul solo insegnamento di "Museologia" nei suddetti corsi e non sul complesso degli insegnamenti che potrebbero rientrare nei Museum Studies, che avrebbero reso necessarie verifiche più ampie e, tra l'altro, quasi sempre relative ad altri corsi di laurea.

Un primo dato su cui riflettere e che rappresenta, secondo me, una notevole anomalia - considerando la quantità di musei, parchi archeologici e simili del nostro Paese - riguarda i percorsi formativi triennali per gli archeologi. Tranne poche eccezioni (tra l'altro molto interessanti perché particolarmente aperte al dibattito contemporaneo, alla comunicazione e al fondamentale rapporto con il territorio) quasi l'80% dei piani di studio verificati non prevede alcun tipo di riflessione sul museo. È una risposta logica a tale anomalia il fatto che al settore LART04 (Museologia, storia e critica del restauro) afferiscano per lo più "storici dell'arte", ma la "logicità" della risposta nulla ha a che fare con la ragionevolezza di una scelta che appare piuttosto miope e poco lungimirante. "Stiamo apparecchiando un banchetto avvelenato - scriveva Salvatore Settis qualche anno fa e la riflessione sembra estremamente adatta a questa situazione - stiamo autorizzando un crescente analfabetismo, figlio della retorica perversa dei beni culturali come un dominio separato, quasi che la specificità dovesse essere sinonimo di separatezza". Certo non ha aiutato a superare questi preoccupanti "paletti di settore" quello che è stato, fino a qualche anno fa, un andamento abbastanza evidente nei programmi di studio dell'esame di Museologia, molto orientati alla storia del collezionismo.

La consapevolezza che "occuparsi di museologia significa innanzitutto occuparsi di storia", comprendere il gesto collezionistico e le sue manifestazioni esteriori - unita a quella che fino a qualche anno fa era una reale carenza di testi adeguati a percorsi formativi di base - ha certamente indirizzato in tal senso i docenti che trovavano molto più vicina ai loro interessi e alle loro metodologie di studio la riflessione su antiche raccolte. La storia del collezionismo continua ad essere ancora molto presente nei programmi di studio dei percorsi triennali per la storia dell'arte.

Devo però osservare, confrontando le indagini da me svolte qualche anno fa con questa più recente valutazione, che è in costante aumento la scelta di comunicare ruolo e caratteristiche del museo contemporaneo. Sono finalmente diventati una significativa presenza, in molti programmi di studio del triennio per i futuri "conservatori/storici dell'arte": gli standard, la comunicazione, la riflessione sulla legislazione italiana e, in generale, il dibattito sul museo del XXI secolo. Peccato che non sempre l'insegnamento sia obbligatorio, che il numero di crediti sia talvolta molto ridotto e che sia spesso affidato a docenti a contratto.

La situazione non migliora affatto se si guarda all'offerta formativa delle Lauree magistrali. Restano prive di una qualsiasi forma di riflessione sul museo non solo la maggior parte delle lauree in archeologia ma anche molte di quelle in Storia dell'arte. Se le trasformazioni dei contenuti didattici triennali ai quali prima facevo riferimento lasciano ben sperare per gli anni a venire, la marcia indietro che oggi si osserva nei percorsi magistrali (e, bisognerebbe aggiungere, anche nelle scuole di specializzazione rimaste ancorate ai tradizionali iter curriculari) conferma che nel formare i conservatori, gli storici dell'arte e gli archeologi (ma anche - sia detto solo come inciso - i futuri docenti della scuola riformata) si rinuncia troppo spesso ad abituarli a comprendere l'unicità della tutela italiana mirata al "tessuto connettivo" e non al singolo oggetto e a educarli al museo che - meglio di ogni altro luogo della cultura - è in grado di mostrare tali connessioni.

È indubbio che la responsabilità di questa anomalia sia molto legata a scelte interne alle singole Facoltà e che quanti di noi insegnano Museologia e hanno un ruolo anche all'interno dei corsi di laurea devono avere la capacità di adoperarsi sempre più per una formazione di ottimo livello, permeabile ad altri linguaggi e saperi e attenta alle necessità del nuovo ruolo assunto dal museo. Determinante, dunque, un'attenta riflessione sulla opportunità di rivedere contenuti e articolazioni sia di raggruppamenti disciplinari che dei piani di studio di livello triennale e magistrale e delle scuole di specializzazione postmagistrale.

Diventa però sempre più necessaria una reale e diffusa volontà di collaborazione tra quanti - ai più diversi livelli - s'interessano al museo. È vero che esistono contesti in cui il dialogo tra musei, enti locali e università funziona e dà risultati, ma è altrettanto vero che continuano a rimanere ampi spazi di "resistenza" al confronto, enti territoriali chiusi a qualsiasi forma di dialogo, musei e altre istituzioni assolutamente indisponibili ad attività di collaborazione (stage, tirocini, ricerca sul campo ecc.) che possano davvero consentire, al mondo accademico, lo studio, la riflessione e dunque la trasmissione di una nuova idea di museo e di servizio pubblico. La necessità di un nuovo corpus professionale "consapevole appieno della necessaria destinazione pubblica del patrimonio e capace pertanto di una profonda innovazione dei contenuti e delle modalità di erogazione dell'offerta" non può emergere solo dalle attività di aggiornamento del personale interno al museo (sulle quali tra l'altro manca, a livello nazionale, un'attenta riflessione che ne valuti soprattutto l'effettiva capacità di "penetrazione") né basta pensare ai soli percorsi di alta formazione.

La formazione universitaria quinquennale non è solo la base per la successiva attività di perfezionamento delle figure direttive del museo ma è, più in generale, il sapere di moltissimi "addetti al patrimonio" che, anche solo per non averne mai sentito parlare, potrebbero interrompere o limitare l'azione stessa delle nostre istituzioni museali: "aperte" ma incapaci di farsi ascoltare da interlocutori non educati a leggerne - e dunque a sfruttarne pienamente - le potenzialità.


Contributi e riflessioni - pag. 20 [2011 - N.40]

Nell'ambito del Festival RavennaMosaico un concorso per gli under 35 per sperimentare le possibilità del linguaggio musivo di parlare in chiave contemporanea

Daniele Torcellini - Centro Internazionale di Documentazione sul Mosaico MAR di Ravenna

Se il mosaico a Ravenna appare come un ineluttabile terreno di confronto per chi si interessi, nei modi più vari, di arte e cultura - tanto la città ne è caratterizzata, anche se non univocamente - complesse e sfaccettate, talvolta inespresse, sono le forme e i modi in cui si declinano le esperienze dell'arte quando il linguaggio del mosaico incontra la contemporaneità.
Un incontro, questo, che trova ora un momento di felice sintesi in seno ad una naturale evoluzione delle vicende artistiche contemporanee. Le abilità della mano, i procedimenti controllati di lavorazione, la presa di distanza da espressioni di vorace istintività, i recuperi e le re-interpretazioni (non solo di forme, ma anche di modi del passato), sembrano essere punti chiave di numerose esperienze artistiche. E, d'altro canto, i concetti di frammentazione, aggregazione, creazione attraverso la giustapposizione, caratterizzano le più diverse pratiche artistiche: siano esse quelle dei rifiuti urbani di Vik Muniz o quelle della struttura a griglia di 8 x 8 pixel della compressione .jpeg di Thomas Ruff.
Le possibilità del linguaggio del mosaico di parlare in chiave contemporanea ci sono, al pari delle possibilità di qualunque altro medium scelto, accanto e parallelamente alle applicazioni più tradizionali di questa tecnica, in relazione con il rivestimento di spazi architettonici. A marcare la differenza con il passato è però ora una valenza concettuale che difficilmente può essere elusa.
Il Premio GAEM Giovani Artisti e Mosaico, bandito dal Centro Internazionale di Documentazione sul Mosaico del Museo d'Arte della Città di Ravenna, a cura di Linda Kniffitz, nasce per fare luce sulle forme e sui modi che l'espressività e la creatività artistica contemporanea assumono quando il mosaico diviene il bersaglio verso il quale mirare, o la scelta linguistica di riferimento. Il premio ha l'obiettivo di promuovere una riflessione sulla tecnica e sul concetto di mosaico, con una specifica attenzione, dichiarata fin dal titolo, sugli artisti.
Il Premio è infatti a tema libero, ma si richiede ai partecipanti di sviluppare una ricerca conforme alle logiche costitutive, formali e poetiche del linguaggio musivo, nella massima libertà espressiva e tecnica. Una ricerca nella quale i concetti chiave e le strutture del mosaico siano un riferimento, indipendentemente dalle tecniche scelte, partendo dal presupposto che, come è possibile realizzare opere che non sono mosaico utilizzando la tecnica e i materiali del mosaico, è anche possibile realizzare opere che sono mosaico, utilizzando qualunque tecnica o materiale.
Il Premio, rivolto a giovani di età non superiore ai 35 anni, è suddiviso in due categorie. La prima, Premio Mosaico Orsoni, mette in palio 2.000 euro in materiali musivi per opere eseguite con i materiali tradizionali del mosaico. La seconda, Premio Mosaico Banca Popolare di Ravenna, mette in palio 2000 euro per opere eseguite con qualsiasi materiale e tecnica. Se la prima categoria affronterà il linguaggio musivo nei suoi modi più tradizionali, la seconda vedrà il mosaico in un'ottica di sperimentazione.
La commissione giudicatrice è composta da Claudio Spadoni, Direttore del Mar di Ravenna, Maria Rita Bentini, Coordinatrice dell'Accademia di Belle Arti di Ravenna, Linda Kniffitz, Curatrice del CIDM, Gian Piero Brovedani, Direttore del Consorzio per la Scuola Mosaicisti del Friuli, Lucio Orsoni, titolare della ditta Orsoni Smalti Veneziani, Dusciana Bravura, artista. La giuria ha il compito di selezionare le opere finaliste, massimo dieci, che saranno esposte nelle sale del Museo d'Arte della Città durante il II Festival Internazionale del Mosaico Contemporaneo RavennaMosaico, dall'8 ottobre al 20 novembre 2011 e le due opere vincitrici, che verranno premiate alla fine del Festival. Il programma completo è consultabile all'indirizzo www.ravennamosaico.it

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 20 [2011 - N.41]

Al Museo Baracca di Lugo una mostra-omaggio a una sfida oggi difficile persino da immaginare

Daniele Serafini - Direttore Museo Francesco Baracca di Lugo

È aperta fino al 6 gennaio 2012 la mostra fotografica e documentaria L'altra metà del cielo. L'epopea delle donne volant", organizzata dal Museo Francesco Baracca e curata dagli studiosi di aeronautica Mauro Antonellini, Angelo Emiliani e Paolo Varriale.

La mostra e il catalogo bilingue (italiano e inglese) che l'accompagna documentano l'avventura di una cinquantina di aviatrici a partire dal 1913 fino ai giorni nostri, provenienti da numerosi paesi, dagli Stati Uniti all'Europa. Non mancano alcune celebrità, vere e proprie star come Amelia Earhart, forse la più nota tra le pioniere del volo al femminile, prima donna ad attraversare l'Atlantico, sulla quale di recente è uscito un film interpretato dall'attrice Premio Oscar Hilary Swank e da Richard Gere.

Al Museo è esposta, grazie al prestito da parte dell'Associazione Arma Aeronautica di Forlì, anche la combinazione di volo della contessa Aloisa Guarini, una delle prime donne romagnole a volare.

Come affermano i curatori, inizialmente le imprese delle aviatrici erano confinate in una sorta di classifica minore, riservata appunto alle donne e ai velivoli leggeri. Dalla seconda metà degli anni Trenta si fece invece strada il criterio che considerava opportuna la corsa ai primati solo in funzione di avanzamenti tecnici e scientifici di pratica utilità. I nuovi parametri non penalizzarono le aviatrici, anzi non di rado esse prevalsero superando i colleghi dell'altro sesso per capacità e intraprendenza. Provenienti dagli strati sociali e dai percorsi più diversi, per molte di loro fu chiara la volontà di affermarsi, di liberarsi da pregiudizi e consuetudini che le volevano subalterne.

Con l'avvento del "più pesante dell'aria" le ragazze furono in prima linea nella nuova avventura e fu proprio in Italia, a Torino, che una donna compì il primo volo: armata di una buona dose di coraggio, l'8 luglio 1908 Thérèse Peltier prese posto a bordo del Voisin pilotato dal pioniere Léon Delagrange. Prima invece a prendere i comandi fu il 22 ottobre dell'anno dopo Elise Deroche, cui l'Aeroclub di Francia rilasciò il brevetto di pilotaggio numero 36 l'8 marzo 1910. Il 3 gennaio 1913 a Vizzola, in Lombardia, era il turno della prima italiana, Rosina Ferrario, che decollava su di un monoplano Caproni ricevendo dall'Aeroclub d'Italia il brevetto numero 203.

A queste pioniere del volo - come sottolineano i curatori nell'introduzione al catalogo - andarono lodi, premi ed omaggi floreali, ma esse dovettero pure scontare una sorda ostilità che a volte non era neanche troppo latente. La Ferrario, dopo il brevetto, ricevette una lettera da un ufficiale pilota: dopo i complimenti le confessava che sarebbe stato più felice di "saperla più mamma che aviatrice", mentre il marito della Hewlett non condivideva per nulla la passione della moglie - i due si sarebbero separati nel 1914 - e diceva che le donne non avevano l'autocontrollo necessario. L'americana Bessie Coleman dovette invece andare in Francia a prendere il brevetto giacché nessuna scuola di volo statunitense volle accettare una donna, per giunta afroamericana. "Queen Bess" in realtà batté due primati, diventando pure la prima persona di colore a volare negli Stati Uniti.

L'esposizione, frutto di una approfondita e laboriosa ricerca, conferma la scelta dell'Amministrazione Comunale di valorizzare il Museo Baracca, potenziandone il lavoro di documentazione. Per un'istituzione impegnata a indagare la fase pionieristica dell'aviazione, questa mostra costituisce un'occasione straordinaria, e in gran parte inedita, per indagare il contributo offerto dalle donne alla storia dell'aviazione, attraverso una vera e propria sfida che si scontrò con diffidenze e pregiudizi sociali fortemente radicati, soprattutto nella prima metà del secolo scorso.

La mostra osserva gli orari del Museo: 10-12 / 16-18 con chiusura il lunedì.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 20 [2011 - N.42]

Un volume e una mostra dedicati a un monumento 'unico' nell'ambito dell'architettura tardo-antica

Emanuela Grimaldi - Museo Nazionale di Ravenna

"Il Battistero Neoniano. Uno sguardo attraverso i restauri" è il titolo della pubblicazione che la Soprintendenza per i Beni Architettonici e Paesaggistici per le province di Ravenna, Ferrara, Forlì-Cesena, Rimini ha dedicato a uno dei più interessanti e affascinanti tra i monumenti Unesco di Ravenna.
Il Battistero degli Ortodossi, conosciuto anche come Battistero Neoniano, per l'importante rinnovamento promosso dal vescovo Neone intorno alla metà del V secolo, costituisce un unicum nel panorama delle architetture tardo antiche nonostante le molteplici trasformazioni susseguitesi nel tempo ne abbiano alterato in modo significativo l'aspetto originario, compromettendone le proporzioni, la forma architettonica e importanti aspetti della decorazione.
Il volume, a cura di Cetty Muscolino, Claudia Tedeschi e Antonella Ranaldi, restituisce i risultati dei più recenti studi, delle scoperte e degli approfondimenti maturati nell'ambito delle campagne di restauro dirette dalla Soprintendenza di Ravenna, depositaria di un patrimonio di conoscenze storiche e tecniche sempre più approfondito e perfezionato perchè formatosi in oltre un secolo di interventi sui monumenti e sulle straordinarie decorazioni musive ravennati. Così la storia della Soprintendenza e quella del Battistero si sovrappongono ricordando come la "storia dei monumenti e storia del restauro sono ormai un'unità inscindibile" e come "cent'anni di storia del restauro, tra teoria e prassi, contribuiscono alla connotazione fisica degli edifici storici diventando gli interventi stessi effettuati parte integrante del processo conoscitivo".
La positiva collaborazione tra gli esperti delle diverse discipline, maturata nell'ambito del cantiere del Battistero della cattedrale durante gli ultimi lavori condotti dalla Soprintendenza tra il 2006 e il 2007, trova puntuale riscontro anche in questa nuova pubblicazione, dove i contributi specialistici dei singoli autori concorrono alla definizione di una lettura multidisciplinare. Certamente la scelta di un simile approccio è ancor più necessaria quando, come in questo caso, la conoscenza dell'oggetto d'indagine presenta ancora, nonostante gli innumerevoli studi e ricerche, discreti margini di incertezze oltre che aspetti ambigui.
La lettura della forma architettonica e costruttiva del Battistero proposta in apertura del volume cerca di restituire al lettore l'assetto originario dell'edificio, individuando gli elementi di novità riconducibili agli interventi del vescovo Neone e analizzando le diverse trasformazioni che coinvolsero pianta e alzato, dalle modificazioni al sistema degli ingressi a quelle della morfologia delle finestre. Largo spazio è dedicato al complesso e articolato apparato decorativo, realizzato con diverse tecniche esecutive, quali l'opus sectile, lo stucco e il mosaico, in stretta relazione con la scansione architettonica interna del Battistero. Di volta in volta i vari contributi ne affrontano gli aspetti iconografici, simbolico-interpretativi, ma anche tecnici e materici, proponendo inedite letture e fornendo nuovi significativi dati. Particolarmente interessante è anche la ricostruzione della storia dei restauri, dagli interventi ormai storicizzati ai più recenti, per i quali si prendono in considerazione questioni di ordine metodologico e operativo, particolari problemi conservativi e modalità di documentazione. Parte integrante della pubblicazione è il ricco apparato iconografico frutto di una capillare ricerca documentaria. Tale apparato offre un'accurata selezione di foto storiche, di foto scattate durante i più recenti cantieri e di riproduzioni di disegni, studi, progetti e documenti conservati in massima parte negli archivi della Soprintendenza di Ravenna.
Ideale prosecuzione della pubblicazione è la mostra "Il Battistero Neoniano. Uno sguardo attraverso i disegni e i materiali della Soprintendenza di Ravenna" allestita presso il Museo Nazionale di Ravenna fino al 24 giugno 2012. Attraverso l'esposizione di cartoni pittorici, disegni e acquerelli per lo più inediti, ripercorre le complesse e affascinanti vicende del monumento fornendo un'eccezionale testimonianza degli studi intrapresi, delle progettazioni e dei lavori condotti fra la fine dell'Ottocento e gli anni trenta del Novecento.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 20 [2012 - N.43]

Una nuova sezione permanente a TAMO racconta le due eccellenze ravennati

Paolo Racagni - Curatore della mostra TAMO di Ravenna

Ho scritto TAMO sulla sabbia... sono i versi di una canzone popolare di grande successo scritta da Franco IV e Franco I nel 1968 ... e il vento a poco a poco se l'è portato via.
Oggi TAMO è scritto all'esterno della facciata della Chiesa di San Nicolò ed è un acronimo indelebile di "Tutta l'Avventura del Mosaico". TAMO non è un semplice museo, è una cittadella del mosaico che raccoglie in un viaggio meraviglioso le testimonianze di questa nobile arte dalle origini ai giorni nostri. Una nuova sezione racconta delle due eccellenze ravennati: Dante e il Mosaico.
Dietro la biblioteca Classense, affacciato sui "prati di Classe", era il laboratorio della bottega del "gruppo Mosaicisti" dell'Accademia di Belle Arti di Ravenna, ed è qui, in questi spazi, corridoio e ampia sala, pavimentati con tavolato grezzo, che tredici mosaicisti, nel 1965, realizzarono ventuno mosaici a soggetto dantesco. In questa "bottega", lo storico gruppo mosaicisti - Renato Signorini, Giuseppe Salietti, Alberto Melano, Zelo Molducci, Romolo Papa, Libera Musiani, Ines Morigi Berti, Sergio Cicognani, Santo Spartà, Sergio Pezzi, Giuseppe Ventura, Nedo del Bene, Carlo Signorini - creò questi capolavori, meraviglie dell'arte musiva ravennate, traendoli da cartoni ideati da un gruppo di artisti di fama internazionale.
Tradurre la pittura in "mosaico" è operazione complessa che non richiede, come erroneamente si potrebbe pensare, la sola diligenza dei copisti. È atto creativo, non paziente lavoro, perché il mosaico ravennate non è come quello romano o veneziano, composto a rovescio, ove le tessere tendenzialmente uguali sono allineate in modo meccanico in una superficie piana. Qui, ogni tessera è trasformata in una pennellata, è unica e diversa dalle altre, vive di vita propria, autonoma ed al contempo in armonia con le altre. Ha forma diversa dalle altre, come le foglie sull'albero sono diverse dalle sorelle, inclinata ora verso l'alto ora verso il basso, ora a destra ora a sinistra, in un dialogo di rilucenti sentimenti.
Ogni tessera coglie la propria luce, luce interna al materiale che la costituisce ed esterna: ora naturale ora artificiale, ora intensa ora soffusa, in un gioco di irrequieto cinetismo. In questi mosaici vive la grande personalità artistica dei loro esecutori: ogni singolo mosaicista, pur nel rigoroso rispetto del disegno preparatorio creato dal "pictor imaginarius", vi ha dato una traduzione connotata da personale e singolare sensibilità creativa. Chi, con maggior puntiglio, è restato fedele alla pittura, chi ha fatto sfoggio di abilità artistiche nel dominio dei rapporti cromatici, chi nell'invenzione e ricchezza del taglio delle tessere, sia per diversità di forma che di dimensione. Chi ha composto la superficie musiva "animandola" con le variazioni armoniche degli andamenti, personalizzando l'atto esecutivo, facendosi al tempo traduttore e interprete.
Ed è dentro il dualismo di questi termini, tradurre o interpretare, che si è sviluppata la ricerca di questi maestri mosaicisti e che, tuttora viva, resta nella centralità del dibattito della cultura musiva. La "traduzione" va intesa proprio dall'origine etimologica del termine risalente al latino "traducere": trasportare, condurre al di là, portare altrove, ed è proprio nel consegnare la pittura al mosaico, che i mosaicisti traduttori ricercano, nel trasporre la materia della pittura in materia di vetro e pietra, di mantenere la maggior fedeltà possibile al modello. Ne risulterà un'evidente dipendenza del mosaico in debito con la pittura. Gli interpreti, pur percorrendo lo stesso cammino, si avvalgono di "libertà poetiche" che il modello non prevedeva. A volte veri e propri "capricci". Si avrà spesso, nel secondo caso, un risultato di piena autonomia del mosaico, un'esaltazione del linguaggio musivo nei suoi caratteri più autentici, di superficie discreta creata dalla ripetizione differente delle tessere.
Un efficace strumento didattico è offerto dal video proiettato nella saletta blu che illustra l'influenza storica della Comedia nelle arti e nella cultura fin dall'editio princeps, la primissima edizione stampata a Foligno nel 1472. Da Boccaccio a Orcagna, Giotto, Botticelli, Delacroix, Blake, Doré, ai più vicini Manzù o Dalì, fino ai contemporanei Ceccobelli o Paladino, i temi danteschi - soprattutto l'Inferno - non hanno mai smesso di affascinare, di lanciare sfide, di ispirare grandi artisti, dalla pittura alla danza, fino alla musica rock e al teatro.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 20 [2012 - N.44]

Pubblicato il primo volume di un importante strumento scientifico curato dall'Università di Bologna grazie al sostegno della Provincia di Ravenna

Andrea Augenti - Docente di Acheologia medievale - Università di Bologna

Ormai lo sappiamo bene: i nostri beni culturali sono molti, nonostante i crolli, i furti e le altre sciagure che continuano a susseguirsi; talmente tanti che la formula ideata da Andreina Ricci, "i mali dell'abbondanza", definisce perfettamente la situazione: l'abbondanza delle testimonianze del passato che abbiamo ricevuto in eredità ci ha quasi paralizzati, ha scoraggiato in molte maniere il ricorso alla dovuta attenzione nei loro confronti. Insomma: ci ha resi manchevoli. Ricordiamo almeno due tra le più importanti nostre manchevolezze, allora. Innanzitutto, la pretesa che i monumenti parlino da soli. Nelle città italiane - e ancora di più nelle campagne - capita molto raramente di trovare un edificio o un rudere spiegato da una sia pur piccola guida, aggiornata e redatta in maniera intelligente, e da adeguati pannelli esplicativi, magari corredati di ricostruzioni grafiche. E così il visitatore recepisce soltanto una minima parte del racconto storico che quella finestra aperta sul passato poteva offrirgli. In poche parole, si perdono in un colpo solo la complessità e la profondità della storia.

La seconda manchevolezza di cui siamo colpevoli è forse ancora più sostanziale. A 150 anni dalla nascita della nazione, siamo ancora privi di un catalogo completo dei beni culturali. I mali dell'abbondanza: gli elementi da catalogare sono troppi e di natura troppo diversa: dai quadri alle sculture, dalle ceramiche alle campane, dai ruderi ai monumenti ancora integri di età antica, medievale, barocca ed altro ancora. E allora, da tempo, lo Stato coordina i lavori, grazie all'Istituto del Catalogo (ICCD); e poi sono soprattutto le università, le istituzioni locali (musei), le articolazioni del Ministero sul territorio (prime tra tutte le Soprintendenze) a condurre il discorso di dettaglio, per zone: schedature, atlanti, carte archeologiche. E' però soprattutto a partire dagli anni '90 del secolo scorso che l'attitudine alla schedatura dei siti e alla realizzazione di atlanti archeologici ha cominciato ad raggiungere dimensioni più notevoli e risultati più significativi, grazie all'impiego degli strumenti informatici.

Perciò, dopo aver completato la Carta del Potenziale di Classe abbiamo iniziato a realizzare l'Atlante dei Beni Archeologici della Provincia di Ravenna. L'indagine è stata resa possibile dal sostegno dell'Assessorato alla Cultura della Provincia di Ravenna - che qui voglio ringraziare - e viene ovviamente svolta in collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici dell'Emilia-Romagna. L'obbiettivo è il censimento di tutte le testimonianze archeologiche rinvenute nel territorio, in tempi più e meno recenti. Questo volume, però, ad operazione conclusa risulterà diverso dagli altri che seguiranno. Partendo dai nostri interessi specifici, già un primo sguardo mette in luce una carenza notevole: qui, dove il Medioevo ha lasciato un segno davvero indelebile, mancava un censimento esaustivo - su base storica ed archeologica - dei molti monumenti medievali già noti.

Quindi, questi sono i motivi per cui il primo volume dell'Atlante dei Beni Archeologici della Provincia di Ravenna è così concepito: una sezione della schedatura dedicata alle fortificazioni, una alle pievi ed una ai monasteri. Sono i principali monumenti dell'area in età medievale; sono, in un certo senso, la spina dorsale del popolamento e dell'organizzazione territoriale, i punti di riferimento attorno ai quali si articola la vita delle campagne. Successivamente verranno gli altri volumi dell'Atlante, e il quadro potrà essere ricomposto in cartografie di insieme, con tutte le altre categorie di siti archeologici. Tutto questo, ovviamente risponde alle esigenze della ricerca: proprio la sistematicità diventa il primo stimolo per nuove indagini, per sottoporre a verifica determinati problemi di carattere storico. Ma non è tutto, non basta: accanto al tema della ricerca si affianca infatti quello della tutela, un'esigenza che deve essere sentita da tutte le istituzioni che operano sul territorio. Strumenti come questo, è evidente, sono il primo passo verso una tutela sempre più sistematica di monumenti già noti o ancora da identificare sul terreno, ed è anche a partire da questo pensiero che abbiamo iniziato e continueremo il nostro lavoro.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 20 [2012 - N.45]

La conoscenza e i fattori immateriali come maggiore fonte di valorizzazione del capitale

Michele Rosco - Consulente di marketing culturale

Territori e globalizzazione
I territori sono protagonisti di quella nuova economia che si sta delineando in questo inizio di millennio. Il protagonismo dei territori è coerente con lo sviluppo di quella fase dell'economia di mercato che viene definita "globalizzazione". Possiamo definire la globalizzazione (J.E. Stiglitz, La globalizzazione e i suoi oppositori, 2006) non solo come la piena estensione dell'economia di mercato in tutti i luoghi geografici, ma anche come l'affermazione della sua logica in contesti in cui essa era assente, prima di tutto nel settore della pubblica amministrazione e dello Stato, che assume al suo interno le logiche del controllo dei costi, dell'efficienza, della qualità dei servizi. Questa logica dell'efficienza, e della concorrenza, investe i territori. In un mondo in cui denaro, merci e persone - con diversi livelli di libertà - girano vorticosamente, in cui l'integrazione dei processi produttivi è tale per cui un prodotto è spesso composto da pezzi fabbricati in diversi angoli del pianeta, ci accorgiamo che la competizione tra le imprese diventa competizione tra sistemi di imprese. Prendiamo, ad esempio, il turismo: il viaggiatore sceglie una località da visitare tra tantissime offerte che la competizione globale gli propone con analoghe caratteristiche e con costi confrontabili. Gli operatori turistici di queste località finiscono per allearsi tra di loro per attrarre il turista globale, gli albergatori con i ristoratori, i gestori dei servizi di trasporto, e così via; la loro alleanza viene prima della loro concorrenza, che si attua solo dopo che il turista ha scelto la località da visitare. In tale competizione tra località, inoltre, entra in gioco anche il sistema di governo del territorio, perché solo così è possibile coordinare le attività di promozione con le politiche e gli investimenti necessari a rendere attrattivo il territorio stesso.
Che ruolo gioca la cultura in questo? Un ruolo/chiave, legato a un altro aspetto costitutivo della nuova economia: la centralità della conoscenza. La conoscenza e i fattori immateriali diventano la maggior fonte di produttività e dunque di valorizzazione del capitale. È la capacità di accedere a nuove conoscenze che porta a maggior efficienza produttiva. Tra i grandi cambiamenti causati da questa nuova dimensione della produttività c'è la riemersione dei territori e delle società che li abitano. "Oggi ci si rende sempre più conto che una parte sempre più importante delle conoscenze è localizzata, ossia legata ai luoghi in cui ha preso forma e in cui viene riprodotta e rinnovata nel corso del tempo" (E. Rullani, Sistemi territoriali e apprendimento localizzato, in L. Biggiero, A. Sammarra, Apprendimento, identità e marketing del territorio, 2002). La globalizzazione, coniugandosi con la centralità della conoscenza, ha riscoperto dunque i luoghi come catalizzatori di significati condivisi. La località, il territorio, diventano il luogo privilegiato dello scambio di conoscenze, che per sua natura ha un carattere anche di gratuità, perché si sottrae al mercato in senso stretto, considerato il suo diffondersi sociale tra la comunità di uno specifico luogo. La globalizzazione centrata sull'economia della conoscenza dà rilievo alle località, è questa una delle conseguenze più inattese in un mondo che si immaginava fosse segnato dalla omogeneizzazione. Sono i sistemi locali i nuovi protagonisti della competizione.
Ecco delineati i termini della riflessione: i territori assumono un ruolo nella competizione globale, perché diventano essi stessi soggetti di competizione, nella loro necessità di attrarre risorse che valorizzino il territorio stesso. Questa competizione crea dei sistemi locali di offerta, che coinvolgono non solo i soggetti privati e le imprese, ma anche quelli pubblici. Infine, tale competizione è segnata dalla centralità dei fattori immateriali, e della conoscenza in particolare, elemento che delinea in modo nuovo il territorio, non solo configurato in modo geografico o amministrativo, ma anche come luogo di sviluppo e di scambio delle conoscenze.

Il marketing territoriale
Il territorio divenuto luogo della competizione avrà bisogno di una serie di attività e processi che riescano a promuoverlo e a valorizzarlo e questo è il compito del marketing territoriale, disciplina che nasce dal marketing aziendale, ma presenta una serie di differenze che lo rendono originale. "Il marketing territoriale è l'analisi dei bisogni degli stakeholders e dei clienti/mercati, volta a costruire, mantenere e rafforzare rapporti di scambio vantaggiosi con gli stakeholders interni (marketing territoriale interno) e con i pubblici esterni di riferimento (marketing territoriale esterno), con lo scopo ultimo di aumentare il valore della risorsa territorio e l'attrattività della risorsa stessa, attivando un circolo virtuoso soddisfazione-attrattività-valore" (F. Ancarani, Il marketing territoriale: un nuovo approccio per la valorizzazione del territorio, 1996).

Questa definizione ci conferma come il ruolo dei portatori di interesse territoriali (cittadini, associazioni, scuole e università, imprese) è decisivo: la prima politica di marketing è rivolta a questi soggetti, perché la loro mobilitazione e il loro coinvolgimento non è scontato, ma va conquistato e mantenuto nel tempo. Il territorio esiste dal punto di vista della sua riconoscibilità, esiste se qualcuno lo identifica e lo distingue dagli altri luoghi; questo comporta la necessità che gli abitanti e i portatori di interessi in una località si riconoscano come appartenenti a quel territorio, che si identifichino nei suoi propri valori. È dalla cultura che parte il marketing territoriale, perché solo la cultura può definire le caratteristiche distintive del territorio. Ma la cultura, intesa come insieme di valori e di narrazioni su una località, è anche elemento di attrazione di visitatori, e quindi arriviamo al secondo elemento del marketing territoriale: i clienti/mercati. Non si visita una località che non sia definita chiaramente da un punto di vista culturale, che cioè non sia descrivibile e narrabile; la cultura come attrattore non è dunque da intendersi solo come patrimonio di beni artistici, naturali e paesaggistici, ma anche patrimonio di storie, leggende, personaggi, narrazioni, film, romanzi che parlano di un luogo: la cultura è momento primario di attrazione anche nella località (ne esistono in Italia?) completamente prive di "beni culturali" normalmente intesi.
La cultura infine rende piacevole una località, la rende più accogliente non solo per i visitatori occasionali, ma anche per i potenziali cittadini. Se è vero che una località si sviluppa secondo la sua capacità di attrarre talenti, e cioè cittadini dotati di qualità esclusive, la cultura raggiunge anche questo risultato.
Per compiere queste funzioni occorre lavorare per costituire reti e per inserirsi in reti esistenti. Reti corte innanzitutto; occorre cioè lavorare con modalità e obiettivi che coinvolgano gli stakeholders locali: è con gli altri operatori che si possono fare politiche di successo, è coinvolgendo, e facendosi coinvolgere, in attività di sistema locale che si può ottenere ruolo e visibilità. Ed è nella rete che si ottiene senso, è nella relazione che si individua la propria identità, non nella contemplazione del proprio passato e nella ricerca archeologica delle proprie radici. Questo è ancor più vero se si ragiona in termini di reti lunghe, le reti che mettono in comunicazione enti e organizzazioni che operano in diversi territori, in altri settori. Perché l'identità si costruisce nella contaminazione, l'identità è progetto, è proiezione nel futuro e per questo occorre lavorare in collaborazione con altri, occorre mettersi in discussione, aprirsi, perdere qualcosa per guadagnare molto. Ecco che l'identità è un obiettivo che una comunità si deve dare, e questa è una delle più importanti responsabilità di chi governa un territorio. È una sfida di marketing trovare un progetto su cui mobilitare una popolazione e tutti gli stakeholders. Serve un progetto perché l'identità non è un'operazione antiquaria, in cui occorre portare alla luce le radici e preservarle, in una visione tutta difensiva dell'identità. Solo un progetto, una prospettiva condivisa, un obiettivo da raggiungere segnano la ricerca identitaria e la legittimano. E serve il marketing per concepire l'operazione in ottica di competizione con altri territori, che lavorano sullo scenario globale per attrarre risorse anche grazie all'identità.


Contributi e riflessioni - pag. 20 [2013 - N.46]

La Biblioteca Manfrediana di Faenza conserva e espone piccoli tesori d'arte 

Giorgio Cicognani - Conservatore fondi antichi Biblioteca Comunale di Faenza

Nelle biblioteche comunali della nostra regione, molte delle quali nate dopo le soppressioni napoleoniche, non si conservano soltanto preziosi incunaboli, cinquecentine o rari manoscritti di

statuti o cronache cittadine, bensì altri tesori d'arte molto

 

spesso sconosciuti al pubblico. Piccoli musei che vivono all'ombra delle raccolte librarie come collezioni di monete, ritratti di personaggi, cimeli teatrali, collezioni di scatole di fiammiferi, manufatti vari sempre legati alla storia del territorio.

Uno dei casi più emblematici della Biblioteca faentina è quello della conservazione di due opere realizzate dal famoso cartografo Vincenzo Coronelli (1650-1718): una sfera celeste e una terrestre realizzati nel 1702 ca. Ancora un mistero nasconde la data in cui questi due rari pezzi sono giunti a Faenza. Nel primo inventario manoscritto del materiale librario presente in Biblioteca, redatto nel 1816, che descrive i beni provenienti dai patrimoni delle congregazioni religiose soppresse, destinati alla formazione pubblica delle biblioteche, non vengono menzionati. Si presume dunque che non fossero presenti al momento dell'apertura nel 1818. Tracce di una loro provenienza non sono state rinvenute né nell'archivio comunale né nell'archivio della biblioteca stessa o in archivio di famiglie storiche. La prima volta in cui sono ricordati nei carteggi comunali è una lettera del 4 febbraio 1833, indirizzata da Giovanni Battista Curoli al gonfaloniere di Faenza Ginnasi in cui chiede che, a beneficio degli studiosi, i due globi vengano spostati dalla Pinacoteca alla Biblioteca Comunale per una maggiore visibilità. Di lì a pochi giorni dalla richiesta, si effettuò il trasloco proposto. I due importanti pezzi, esposti nell'Aula Magna della Biblioteca, rimasero visibili al pubblico fino al tragico bombardamento del 1944 che distrusse tutto l'edificio con perdite notevoli di materiali. Dei due globi si salvò solo quello celeste, mentre, di quello terrestre, rimase solo la base ottagonale in legno di noce.

Nell'anno 2000 il prof. Nicolangelo Scianna restauratore e studioso delle opere realizzate da Coronelli, propose al Comune di Faenza di eseguire il restauro a titolo gratuito, essendo lui faentino di nascita. Il restauro, ultimato nel 2007, fornì preziose notizie sull'opera e sui lavori di Coronelli, grazie a una metodologia di indagine, la tomografia computerizzata con raggi X, più comunemente nota come TAC, impensabile fino a non molti anni fa. Nata per l'applicazione in campo medico, l'analisi tomografica si è ritagliata un ruolo di crescente importanza nel settore dei beni culturali: può venire in aiuto per conoscere la tecnica di costruzione o lo stato di conservazione di un manufatto, per impostare quindi un corretto restauro. L'indagine con raggi X sul globo faentino aveva il fine di mettere in evidenza l'esatta geometria della struttura interna e verificarne anche lo stato di conservazione, ma soprattutto di vedere com'era l'interno anche la struttura del suo gemello, distrutto dalla guerra. Dall'esito delle analisi nacque un progetto dal titolo "Rifare la terra", cioè ricostruire il mappamondo, seguendo l'antica tecnica del Coronelli, e per collocarlo in seguito sull'antico basamento fortunatamente custodito per anni nei vecchi depositi.

Il lavoro di ricostruzione è stato possibile grazie al concorso di diverse Associazioni culturali faentine, artisti faentini e non e privati cittadini che hanno offerto la loro disponibilità economica e professionale. La prima tappa è stata quella della costruzione, in una bottega artigiana faentina, della struttura lignea a forma di "palla", seguendo scrupolosamente i risultati ottenuti dalla TAC. Successivamente Nicolangelo Scianna, nel laboratorio di restauro, ha eseguito diverse complesse operazioni. La prima è stata quella di incollare una tela grezza sul supporto ligneo, sulla quale è stato poi applicato un leggero strato di gesso al fine di incollare i fogli a stampa. Infine si è provveduto alla operazione della coloritura ad acquerello, prendendo a modello esemplari originali conservati in altri musei o raccolte private.

Il 12 dicembre 2012 il globo terrestre ricostruito è tornato sull'antico basamento restaurato e collocato a fianco della sfera celeste originale all'ingresso dell'Aula Magna della Biblioteca. Si è così restituita all'Istituto l'antica immagine che è conservata in una preziosa cartolina del primo Novecento dove si vede la grande sala con le volte a vela, le sue splendide scaffalature e in fondo, vicino alle due preziose sfere il bibliotecario d'allora don Antonio Verna.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 20 [2013 - N.47]

Al MIC di Faenza in mostra fino al 30 marzo 2014 oltre 50 opere del celebre scultore trevisano

Federica Giacomini - Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza

Nella storia della scultura italiana ed europea del Novecento pochi artisti come Arturo Martini hanno saputo realizzare capolavori che sono diventati sublimi ed indelebili icone, non legate ad un'epoca ma ad intero ciclo artistico in grado di celebrare la poetica di chi li ha realizzati.
Frutto della felice sinergia tra la Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna, Genus Bononiae ed il MIC di Faenza, la mostra faentina pone l'accento sulla complessa eredità del più grande scultore italiano del secolo scorso con l'esposizione di 55 opere che accendono un faro sull'estetica dell'artista trevisano e sul suo ideale femminile, e svelano il legame artistico con la città di Faenza.
Consapevolmente geniale e ribelle, Martini seppe sfuggire ad ogni tipo di omologazione nonostante la particolarità dell'epoca in cui visse; grazie alla propria forza, e con il coraggio che hanno contraddistinto tutto il suo vissuto, egli seppe annullare il limite tra l'uso di diversi materiali (dall'argilla al legno, dal bronzo al marmo...) ed esito artistico, facendo della propria arte il frutto di esperienza di vita e capacità di sorprendere.
Soprattutto la sorpresa anima alcuni dei capolavori esposti e mette in luce l'innocenza ed il candore fanciullesco nella ideazione della fiaba e l'adulta consapevolezza della complessa dimensione poetica, in un ossimoro che si cela ed al tempo stesso si scioglie sopprimendo ogni orpello nel sintetismo di forme che contraddistingue questo geniale artista.
Parlare della mostra di Martini significa parlare di un "gigante" che ha saputo far proprio il passato senza mai banalizzarlo in pedissequa imitazione ma assimilandolo in opere che segnano il punto di partenza di un'arte che nasconde al suo interno un linguaggio fatto di gesti che hanno saputo sintetizzare nella materia l'impellenza dell'idea e l'ardire dell'azione. Come già sottolineato, per l'ultima volta nella scultura italiana ed europea, la forza del Mito, e si potrebbe dire delle "poesia", ha trovato un interprete degno dell'antico.
Le opere di Martini sono qui accessibili al grande pubblico non attraverso l'interpretazione critica e insondabile che ha caratterizzato molte precedenti esposizioni, ma con l'apparente semplicità di un allestimento suddiviso per blocchi tematici, che per un evento tanto complesso non è cosa da poco. L'esposizione sottopone le opere ad un continuo confronto, con studiata ed apparentemente facile libertà che testimonia l'evoluzione dell'arte di Martini attraverso l'esperienza nell'uso di materiali che ne hanno rivoluzionato il linguaggio e la rappresentazione artistica, in un personalissimo sintetismo delle linee e delle forme che costituisce la sua cifra stilistica.
L'arte di Martini nasce dalla gioia e dal dolore, dall'immediatezza e della complessità nello svelare le cose: mai uguale a se stesso, l'artista, parla al suo pubblico e con commovente pudicizia svela i propri segreti guidandolo nei meandri più oscuri dell'anima in una intima condivisione che rende il visitatore testimone del racconto di una vita.
A completare il percorso su Martini è fondamentale visitare la mostra delle grandi terrecotte allestita presso Palazzo Fava di Bologna in un doppio percorso che si annuncia come avvenimento unico ed irripetibile nel panorama espositivo nazionale.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 20 [2013 - N.48]

Al Museo Varoli persone ed emozioni nelle mostre di fotografia storica, avanguardia didattica e illustrazione

Massimiliano Fabbri - Museo Civico Luigi Varoli di Cotignola

La primavera del Museo Civico Luigi Varoli collega alcune delle vocazioni e percorsi che lo caratterizzano, in un calendario espositivo fatto di ramificazioni che si aprono e intrecciano in un disegno condensante molte delle storie che descrivono e abbracciano il paese tutto. Dopo le due proposte invernali, che si sono concentrate sull'arte contemporanea a partire da alcuni autori che avevano esposto negli episodi di "Selvatico" E Bianca / A Nera, offrendo così un approfondimento su alcune esperienze che ci avevano felicemente colpito, siamo ora a un racconto ancor più legato a memorie e nuovi sguardi che si posano su di esse. Se la prima parte di questa piccola costellazione di mostre teneva ben a mente l'ascendente del maestro cotignolese, capace di chiamare a sé molti dei pittori romagnoli della bassa ravennate, quasi a creare un cenacolo che aveva nella sua casa-studio il centro propulsore di questa rete, le due proposte di marzo-aprile, tengono invece conto, da una parte, della tradizione della cartapesta, materiale povero, magico e fortemente legato all'uso popolare, che Varoli riesce a nobilitare infondendo a questa tecnica un'imperfezione artistica che l'accende e scuote rendendo queste effimere sculture, urgenti e commoventi al tempo stesso, dall'altra, la seconda, insegue due storie distinte ma non troppo distanti nel tempo, entrambe legate al fascismo e agli anni più bui della nostra storia: il giornale scolastico E' Val e una collezione fotografica con scatti riguardanti la seconda guerra mondiale.
Quest'ultima, intitolata Persone, prende corpo da un ricco archivio fotografico costruito negli anni da Giovanni Bendandi, raccolta che ha la particolarità di non limitarsi alla situazione del fronte sul fiume Senio, ma che registra i momenti più salienti del conflitto, dalla Campagna d'Africa allo sbarco in Normandia, dal fronte russo alle battaglie nell'oceano Pacifico. Il taglio che ci ha aiutato a orientarci tra gli oltre mille scatti che compongono la raccolta, si è limitato alla Campagna d'Italia, nello specifico dallo sbarco di Anzio a Cassino; le immagini selezionate si fermano praticamente allo sfondamento della Linea Gustav, lasciando sullo sfondo l'aspetto bellico e tecnologico a favore di tutte quelle fotografie che catturano i corpi, i volti e gli sguardi, trattenendo le emozioni dei civili e dei soldati che componevano gli eserciti (un incontro di genti e popoli da tutto il mondo).
La seconda mostra parte invece dalla vicenda di E' Val, esperimento d'avanguardia didattica che, durante i primi anni del regime, da giornale scolastico locale arriva a essere diffuso in tutta la regione e divenire fenomeno nazionale. Il Vaglio è guidato da Luigi Varoli e da un gruppo di giovani maestri elementari che, a Cotignola, aderiscono con entusiasmo alle istanze della riforma scolastica Gentile e Lombardo-Radice, dando attenzione e giusta dignità al dialetto e al disegno infantile; il "disegno spontaneo", come veniva chiamato da Varoli, tra i primi ad ascoltare e incitare questo linguaggio espressivo come forma di crescita ed emancipazione individuale, è uno degli snodi di questa proposta che tiene insieme disegni d'epoca e contemporanei. Il cuore è, in sintesi, un tentativo di empatia, un giocare a mettersi nei panni dell'altro per lo spazio e il tempo di un disegno: per questo è stato chiesto ai bambini di oggi di ri-disegnare i disegni fatti da altri bambini nel 1925, o di re-interpretarli o, ancora, di scrivere un racconto a partire dagli stessi temi di allora.
Infine, a chiudere il cerchio, l'ultima mostra di questa stagione che aprirà in concomitanza con Saluti da Cotignyork (inizio giugno) e che si rituffa nel contemporaneo, calandolo in una situazione che potremmo definire educativa: si chiama Quasi storie, mostra sull'illustrazione pensata per bambini (molti degli autori che qui espongono terranno laboratori di disegno durante la settimana) e che gioca a mettere in discussione alcune consuetudini, come quella che vede sovente il disegno inseguire o commentare visivamente parole e flussi narrativi; qui chiederemo ad alcuni scrittori di capovolgere questa gerarchia scrivendo un inizio possibile di racconto a partire da immagini già esistenti, e farsi portare via dai disegni, funzionanti come inneschi.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 20 [2014 - N.49]

Gli incontri laboratoriali che a partire dal Museo Zauli hanno attivato collettivi artistici sempre più allargati

Cristina Casadei - Museo Carlo Zauli di Faenza

Ogni anno, fra aprile e maggio, il laboratorio del Museo si anima con il pensiero e la vivacità degli artisti contemporanei invitati, tutti lontani dalle tecniche ceramiche, ma curiosi di sfidarle e conoscerle. È proprio la vocazione fortemente sperimentale di questo luogo fin dai tempi di Carlo Zauli che caratterizza in maniera imprescindibile questi incontri, secondo modalità ogni volta nuove.
Il 2014 è stato contraddistinto dalla presenza di collettivi artistici, realtà oggi diffuse e basate su una crescente esigenza di fare rete e condividere esperienze che ha conquistato molti artisti, soprattutto delle nuove generazioni.
È con grande soddisfazione che si sono rafforzate le collaborazioni fra Museo Carlo Zauli e due istituzioni italiane che operano a sostegno dei giovani artisti, Fondazione Bevilacqua La Masa di Venezia e Viafarini DOCVA di Milano. Le due istituzioni hanno selezionato insieme al museo faentino alcuni giovani artisti a cui offrire un'intensa esperienza pratica nel campo della ceramica e la possibilità di entrare a far parte con le loro opere della collezione contemporanea del museo.
Le artiste di Anemoi, vincitrici del bando lanciato dal Museo Carlo Zauli esclusivamente per gli atelieristi di Fondazione Bevilacqua La Masa, hanno aperto la stagione di residenze interpretando perfettamente lo spirito di questa collaborazione, realizzando il loro progetto di un condensatore/risuonatore in ceramica sotto la guida e la supervisione attenta della nostra ceramista Aida Bertozzi.
La seconda esperienza è stata all'insegna della collaborazione con Viafarini DOCVA in una residenza-workshop, grazie alla quale un gruppo di cinque artisti italiani emergenti selezionati da Simone Frangi e Marco Tagliafierro è stato ospite del Museo per una settimana particolarmente intensa durante la quale approfondire collettivamente le tecniche ceramiche: Marco Basta, Alessandro Di Pietro, Michele Gabriele, Andrea Romano, Jonathan Vivacqua.
Anche questo workshop non intendeva essere esaustivo circa l'acquisizione delle competenze tecniche, ma voleva piuttosto trasmetterle per consentire ai partecipanti di sviluppare una visione d'insieme sull'uso del materiale e dei laboratori e un primo contatto con l'universo dell'artigianato ceramico, nell'ottica di fornire una pratica da custodire nel loro bagaglio professionale e declinare nei loro rispettivi percorsi produttivi.
L'ultimo dei tre progetti di residenza 2014 è stato dedicato a un'inedita coppia invitata a interagire in un progetto in ceramica ideato dall'incontro fra l'artista italiano ma residente a Berlino Patrick Tuttofuoco e la food designer Natascia Fenoglio, progetto basato sull'interpretazione dell'identità altrui. Uniti dal comune interesse per la ceramica e i suoi sviluppi contemporanei gli artisti sono stati affiancati dalla giovane ceramista svedese Eszter Imre, selezionata per questa particolare esperienza nel premio Open to Art indetto da Officine Saffi, e da un gruppo di studenti di ISIA e dell'Istituto Statale d'Arte G. Ballardini di Faenza.
Questa ultima residenza, così ampia e partecipativa, aveva tutte le caratteristiche per rientrare nel calendario What if Romagna, a supporto alla candidatura di Ravenna 2019, in cui viene dato particolare rilievo alla dimensione europea degli eventi e alle nuove produzioni, che avranno come obiettivo l'anticipazione di alcuni progetti più rilevanti inseriti nel dossier di candidatura.
Tutte le residenze sono state il momento centrale del Corso per Curatori, progetto formativo ideato nel 2011 da MCZ insieme a Guido Molinari, destinato a studenti dell'Accademia di Belle Arti di Bologna, che affiancano gli artisti dal momento dell'ideazione a quello dell'esposizione dei lavori, che avverrà a Faenza in occasione della Giornata del Contemporaneo, con inaugurazione il 2 ottobre 2014, presso il Museo Carlo Zauli.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 20 [2014 - N.50]

Il MCZ di Faenza 'colonizza' Palazzo Ferniani per promuovere il sostegno attivo dei privati per i beni culturali

Cristina Casadei - Museo Carlo Zauli di Faenza

Lo scorso 11 ottobre il Museo Carlo Zauli ha inaugurato una mostra a conclusione dei progetti di Residenza d'Artista 2014, all'interno della Settimana del Contemporaneo di Faenza. Ogni edizione rappresenta un'occasione per offrire uno sguardo sull'attualità dell'arte contemporanea nel nostro Paese, spesso ponendola a rapporto con le bellezze storiche del nostro territorio. Quest'anno abbiamo voluto spingerci ancora più oltre, di fatto "colonizzando" uno dei luoghi più significativi della città, Palazzo Ferniani, rendendolo così parte stessa del museo, grazie alla collaborazione straordinariamente illuminata di coloro i quali il palazzo possiedono, gestiscono o abitano.
Palazzo Ferniani fu costruito verso la metà del XVIII secolo dai Conti Ferniani su progetto del faentino Gian Battista Boschi, coadiuvato dal bolognese Alfonso Torreggiani, e ospitava, oltre a svariate ceramiche prodotte nei secoli dalla celebre manifattura di famiglia, anche una grande quadreria con autori italiani e stranieri dal XV al XVIII secolo.
Riteniamo che un paese così artisticamente ricco come l'Italia necessiti urgentemente della partecipazione dei privati nel sostegno e nello sviluppo dei beni culturali, così come è tradizione nei paesi anglosassoni già da moltissimi anni; in questo senso la colonizzazione di Palazzo Ferniani ne raffigura un breve ma significativo esempio. Ci piace sottolineare tale argomento perché il recente Art Bonus sulla defiscalizzazione delle erogazioni liberali a favore della cultura, pare un primo ma deciso passo in questa direzione.
Ogni anno i laboratori del Museo Zauli si animano con il pensiero e la vivacità degli artisti contemporanei invitati in residenza, tutti lontani dalle tecniche ceramiche, ma curiosi di sfidarle e conoscerle. È proprio la vocazione fortemente sperimentale, ereditata da Carlo Zauli, che caratterizza in maniera imprescindibile questi incontri, secondo modalità ogni volta nuove. Palazzo Ferniani diventa così luogo in cui osservare questa ricerca, questa energia sperimentale, in una meravigliosa cornice storica.
L'attuale Studio Missiroli ospita tre degli artisti più rappresentativi della nostra collezione contemporanea. I coriandoli in grès di Eva Marisaldi sono allestiti nella grande sala da ballo, da cui si accede alla piccola ed elaborata cappella con pavimento in formelle di ceramica decorate, dove ora è esposta l'imponente Madonna di Alberto Garutti, concepita dall'artista proprio per un luogo sacro. Completa la sezione Toothpick, lo stuzzicadenti in terracotta di Sislej Xhafa, artista kosovaro trapiantato negli USA.
Carlo Zauli è presente nel giardino d'inverno dalle grandi vetrate, in cui venivano ricoverate le piante, adiacente allo Studio Notarile Gargiulo, con una serie di vasi dagli anni '60 agli anni '70 e con una sfera del 1971 adagiata sul prato di un giardino interno.
Le opere realizzate nel corso dell'undicesima edizione di Residenza d'Artista 2014 sono visibili negli spazi annessi allo Studio Notarile. Il risuonatore in ceramica di Anemoi (vincitrici del premio in collaborazione con Fondazione Bevilacqua La Masa), il video di Marco Basta, Alessandro Di Pietro, Michele Gabriele, Andrea Romano, Jonathan Vivacqua (selezionati da Simone Frangi e Marco Tagliafierro per ViaFarini), le maschere in ceramica e tessuto di Natascia Fenoglio e Patrick Tuttofuoco e i piccoli visi di Eszter Imre, animano ciascuno una sala affrescata del palazzo.
Dopo la tappa di Faenza questi lavori saranno esposti nella mostra Marmo Vs Ceramica nelle sale del Museo Civico del Marmo di Carrara, a partire dal 20 dicembre 2014. Anche il ristorante Zingarò ospita simbolicamente il Museo, con una installazione fotografica dedicata ai laboratori ceramici e un menù dedicato.
Museo Carlo Zauli a Palazzo Ferniani resterà aperto fino al 28 novembre. La chiusura definitiva della sede verrà festeggiata con un finissage il 29 novembre.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 20 [2014 - N.51]

Una mostra a Bagnacavallo svela l'attività grafica del pittore bolognese scomparso nel 2010

Diego Galizzi - Conservatore Museo delle Cappuccine di Bagnacavallo

Sarà l'occasione per scoprire uno dei lati meno noti dell'attività artistica di Luciano Bertacchini (1913-2010) la mostra che verrà allestita al Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo dal 23 aprile al 28 giugno 2015. La mostra Luciano Bertacchini. La trama del segno, organizzata in collaborazione con la Fondazione Luciano Bertacchini, si focalizzerà infatti sulla produzione grafica del pittore e critico d'arte bolognese, portando all'attenzione del pubblico un interessante percorso composto da più di settanta opere realizzate all'acquaforte. A poco più di un secolo dalla sua nascita si rende così finalmente omaggio al Bertacchini incisore, così abile e meticoloso nel tradurre nel linguaggio grafico le sue più note realizzazioni in pittura, fatte per lo più di squisite nature morte e di ariose vedute paesaggistiche.
Luciano Bertacchini nasce nel 1913 a Bologna, dove compie la sua formazione artistica presso l'Accademia Regazzi, sotto l'insegnamento di Ferruccio Giacomelli, e successivamente (dal 1938) all'Accademia di Belle Arti, dove ha modo di seguire le lezioni di insegnanti del calibro di Giorgio Morandi e Virgilio Guidi. Come tutti i giovani artisti bolognesi della sua generazione, Bertacchini potè beneficiare (ma anche - in un certo senso - dovette confrontarsi) con un ambiente artistico-culturale di morandismo imperante. I drammatici eventi bellici degli anni successivi, che lo videro più volte richiamato alle armi, resero la sua formazione accademica piuttosto travagliata; solo nel 1946 poté conseguire il diploma e iniziare così una nuova fase della sua vicenda professionale.
Nel dibattito post-bellico tra realismo e astrattismo, Bertacchini formula una sua personale proposta che può dirsi di meditata equidistanza tra le due tendenze. Nella sua opera riesce a compiere una sorta di simbiosi tra l'aderenza di partenza al dato naturalistico, che sia un paesaggio campestre o una natura morta, e l'elevazione dello stesso a una visione astraente capace di caricarlo di un insospettabile lirismo. Negli stessi anni l'artista individua nel rapporto con Pio Semeghini e con il contesto artistico buranese una possibile "terza via" di ricerca, che si sviluppa in chiave di emancipazione tra le due importanti lezioni di Giorgio Morandi e di Virgilio Guidi. I registri tonali della sua pittura risentono sensibilmente dell'aura chiarista di Burano, declinata ovviamente in una personale visione che si può dire di naturalismo informale fortemente polarizzato verso la poesia. Come ebbe a dire Enrico Crispolti nel 1993, il naturalismo lirico di Luciano Bertacchini "sembra rispondere sinceramente ad un livello di vagheggiamento di memoria, interiormente idealizzato, di luoghi padanici, che risulta tipico di una determinata cultura d'immagine come controparte, di ininterrotta e rassicurante tradizione post-novecentesca, rispetto al radicalismo esistenziale informale della Padania di cui parlava Arcangeli".
Con gli anni Sessanta Bertacchini entra a far parte dei protagonisti dell'arte bolognese. Sempre più le sue composizioni procedono verso la sintesi, basandosi su impalcature spaziali fatte di segni marcati che convivono con modulazioni tonali finissime. Non a caso proprio in questo periodo decide di dedicarsi anche all'arte dell'incisione, linguaggio che peraltro ben conosceva avendolo incontrato e sperimentato già ai tempi dell'Accademia, sotto il magistero di Morandi. Col mezzo espressivo del segno grafico sembra trovare immediatamente una particolare confidenza e, soprattutto, comunità d'intenti con la parallela ricerca portata avanti in campo pittorico. Naturalmente la lezione morandiana è il principale punto di riferimento per queste annotazioni così veloci e incisive, che grazie alla tecnica dell'acquaforte e all'inchiostratura nera, assumono la forza di opere allo stesso tempo sintetiche e monumentali.
Per informazioni: www.museocivicobagnacavallo.it

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 20 [2015 - N.52]

Il Museo Francesco Baracca ha riaperto i battenti dopo importanti lavori di riallestimento delle raccolte e di adeguamento antisismico

Daniele Serafini - Direttore Museo F. Baracca di Lugo

Il Museo Baracca rappresenta il punto di partenza di un itinerario cittadino che comprende il Monumento all'Eroe, progettato e ultimato nel 1936 dallo scultore faentino Domenico Rambelli, giudicato una delle massime espressioni della scultura italiana del Novecento, e la Cappella sepolcrale, decorata dall'artista lughese Roberto Sella, collocata nel cimitero cittadino, al cui interno si può ammirare il maestoso sarcofago fuso col bronzo dei cannoni austriaci del Carso.
Il Museo, aperto nel 1926 in una Sala del Castello estense, con decorazioni a fresco di Lucio Benini intonate allo stile del Rinascimento e teche in legno realizzate dall'ebanista Antonio Turri, viene trasferito nel 1993 nella Casa natale dell'eroe, edificata tra fine '800 e inizi '900 in stile prevalentemente liberty. Riallestita nel 2015 con un intervento dell'artista riminese Claudio Ballestracci, che ama lavorare coi materiali poveri, vede la convivenza di tre stili: gli arredi di Turri, gli espositori in legno con mobili di alto design della fine degli anni '20, e le recenti strutture in ferro e lamiera zincata progettate da Ballestracci.

Di pregio le decorazioni della seconda metà dell'800 portate alla luce durante i lavori, che ne accentuano il carattere di dimora signorile.
Il piano terra è quasi interamente dedicato alla tecnica: l'aereo di Baracca è la grande attrazione del museo e uno dei momenti più alti della tecnologia dell'epoca. L'allestimento della sala intende evocare l'idea del volo con lo SPAD VII matricola S 2489 (ricordate la canzone di Francesco De Gregori?), costruito dalla ditta Blériot nel 1917, che ha prestato servizio nella 91ª Squadriglia fra la fine del 1917 e l'inizio del 1918. Al centro dell'atrio si alternano una vettura Ferrari, in prestito da Maranello, a ricordare il legame tra due grandi protagonisti del '900, uniti dal simbolo del Cavallino Rampante, e i resti del motore dell'aereo pilotato da Baracca quando fu abbattuto sulle pendici del Montello, messo a disposizione dall'Aeronautica Militare. Nel cortile un FIAT G91Y, costruito negli anni Settanta, indirizza il visitatore su una seconda fase dell'avventura nei cieli, mentre nel bookshop il motore di un aereo tedesco con sei cilindri in linea, in perfetto stato di conservazione, incute quasi timore, ricordando i rapidissimi progressi della tecnica nel corso del conflitto. Dalle pareti due frasi significative tratte dall'epistolario dell'Asso del 1912 sembrano staccarsi per librarsi in aria: una richiama la meraviglia del volo, l'altra profetizza l'avvenire radioso dell'aviazione. E, di fianco, un'originale libreria a forma di triplano, in ferro e lamiera zincata, disegnata da Ballestracci, ospita alcuni testi del Centro di Documentazione che ha sede presso la Biblioteca Comunale Trisi.
Il primo piano ha un'allure più evocativa: oltre a una ricostruzione del mito, all'esposizione del medagliere dell'eroe e alla camera da letto, dove una discendente di Baracca racconta in video la disposizione delle sale del palazzo negli anni '30, non potevano mancare le parole di Gabriele d'Annunzio pronunciate sul feretro di Baracca, qui affidate a una campana sonora che le propone ogni trenta minuti con la voce dell'attore Franco Costantini.
L'ultimo piano - di certo la maggiore novità del nuovo allestimento - è un autentico paesaggio variegato, dominato da una gamma cromatica che inclina al grigio dei materiali scelti, dove si intuisce la mano sapiente di Ballestracci, sia nelle teche da lui progettate, sia nell'intelligente allestimento della Sala delle cartoline di propaganda della Grande Guerra (la "Collezione Baldini"), un modo per gettare uno sguardo da quei cieli a volte troppo idealizzati alle vicende terrene del conflitto, di cui ricorre il centenario. Ma paesaggio è anche quello che ci propone il simulatore di volo, grazie alle foto aeree di guerra italiane e austro-ungariche, risultato del progetto europeo ALISTO (Ali sulla storia), che consente di vedere dall'alto sia il paesaggio degli anni 1915-18, sia quello di oggi, percependone i valori storici e le trasformazioni.
E se in una piccola saletta si può ammirare la riproduzione di una trincea con l'equipaggiamento in dotazione alla fanteria e all'artiglieria austriaca (elmetti, fucili, mitragliatrici, accessori, armi e proiettili), la stanza accanto è pensata a geometria variabile, per permettere l'allestimento di mostre temporanee. Tre schermi dislocati tra l'ingresso e l'ultimo piano completano il percorso espositivo, raccontando, per immagini, la vita di Baracca, la Grande Guerra e il Monumento all'Eroe di Domenico Rambelli.
In sintesi, storia, tecnica e mito possono dirsi le parole chiave che consentono di 'leggere' il rinnovato museo.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 20 [2015 - N.53]

Mattia Moreni e Nicola Samorì in chiasmo espositivo tra Museo Varoli di Cotignola e Fabbrica Arte Rimini

Massimiliano Fabbri - Curatore della mostra

La mostra Mattia Moreni - Nicola Samorì / La disciplina della carne mette in scena un corpo a corpo tra due autori che della fascinazione e ossessione per la materia hanno fatto, non solo un centro e snodo vitale della loro ricerca, ma anche un punto di partenza e approdo per una continua riflessione sulle possibilità e limiti della pittura stessa, così come, parallelamente, sulla irrinunciabile drammaticità della rappresentazione e sul rapporto amoroso e conflittuale con le immagini.
Un dialogo che mette in luce affinità e divergenze, contrasti nettissimi e sintonie profonde tra due artisti che, pur non essendosi mai incontrati, ci sono sembrati in molti modi e molteplici forme destinati a intrecciare per un momento i loro percorsi, a partire anche dalla tesi di Nicola Samorì su Mattia Moreni discussa all'Accademia di Belle Arti di Bologna nel 2003, antefatto che può essere considerato come il primo riconoscimento di somiglianza e tentativo di avvicinamento da parte dell'artista più giovane.
Il progetto, che finisce perciò per lambire anche la problematica e imprendibile relazione con il concetto di maestro (che Samorì trova nell'ingombrante figura di Moreni), si rivela in realtà, al di là di queste piste più o meno sotterranee o latenti, un complesso gioco di specchi e rimandi che permette di guardare a Mattia Moreni non tanto come a un profeta capace di anticipare correnti pittoriche e direzioni a venire, quanto a un artista estremamente sensibile, affamato e rapace, i cui dipinti non sembrano affatto scalfiti, segnati o invecchiati dalla patina del tempo trascorso. Che questi quadri sono immagini ancora brucianti, potenti e violente, una temperatura che ne denuncia e rivela la grande vitalità, energia e forza; ferita tuttora pulsante che offre a noi il fianco per costruire un percorso tutto al presente, in cui si affiancano e guardano due importanti artisti italiani che, nella sperimentazione e nella costante messa in discussione dello stile, senza per questo perdere in riconoscibilità, trovano uno dei principali punti di convergenza e al tempo stesso distanza, tanto che possiamo parlare di una ricerca che per entrambi, non solo si muove per cicli e periodi, ma che progredisce e muta per via di impercettibili spostamenti interni, intuizioni e casuali scoperte, slittamenti, terremoti e clamorose fratture infine. Scarti repentini incomprensibili se non alla luce di una capacità, nei due, di ascolto di quel che di più vitale preme e si affaccia nel panorama dell'arte. E, in questa sintesi di correnti e direzioni e forze contrastanti, di nervi all'erta e frementi, il furto diventa un luogo della sintonia, nella voracità e capacità di entrambi di tenere quel che si è visto e serve, dandogli spazio, e fagocitando tutto questo all'interno di nuove e altre geografie e pratiche pittoriche che dischiudono movimenti e traiettorie inesplorate in cui addentrarsi e ritrovarsi.
Tra le ragioni della mostra è opportuno così tenere conto, ancora, di questa duplicità messa in atto dal progetto, una duplicità di sguardo prima di tutto, quello dei due autori, ma anche, in seconda battuta, una duplicità di luoghi, luoghi che hanno pensato e coltivato l'idea di questo incontro: Cotignola e Rimini, insieme, a creare un percorso espositivo che si ramifica e sdoppia in due sedi e sezioni distinte, decisamente differenti tra loro, eppure capaci di restituire e chiudersi in un'organica unicità che abbraccia più compiutamente la complessità dei due artisti e la stratificazione di materie e significati e storie e interpretazioni.
Museo Varoli e FAR che in questa occasione si congiungono e completano a tracciare una possibile mappa sulla pittura oggi e su due autori, infine, non poi così distanti. E che, in questa carne e pasta pittorica sensuale, e nella disciplina del gesto e tecnica che prova ad addomesticare la belva, trovano più di un punto di contatto e sintesi, di convergenza intellettuale prima ancora che epidermica.
Mattia Moreni si è fermato, dopo vari spostamenti, in Romagna: un suo primo approdo in questi panorami lo vede proprio a Cotignola nel 1939, rifugiato in seguito al suo impegno politico, in un breve passaggio anche dall'artista Luigi Varoli (di questo rapporto di amicizia restano un paio di testimonianze nella casa del maestro cotignolese: una cartolina spedita da Moreni nel 1958 da Bruxelles e il pieghevole della sua mostra a Parigi del 1957). Poi, a partire dalla seconda metà degli anni '50, Moreni, com'è risaputo, tiene il suo studio, per quasi un decennio, nelle estati di Palazzo San Giacomo a Russi; in seguito verranno le Calbane Vecchie a Brisighella e Santa Sofia.
Non che qui lo si voglia sospingere ulteriormente in Romagna come si è forse involontariamente tentato a volte, ma incontestabile il fatto che questo paesaggio sia divenuto per Moreni luogo d'adozione, testimoniato anche da alcune importanti e preziose collezioni private presenti sul territorio, indispensabili al prendere forma e precisarsi di questo progetto.
Da questa geografia si muove la mostra, mettendo in rete due città che hanno rappresentato, in questi ultimi anni, due importanti centri di riferimento per il contemporaneo e le arti visive in Romagna: su tutte la Biennale del Disegno di Rimini e il progetto Selvatico, nato a Cotignola, cortocircuito tra collezioni museali, spazi non convenzionali e arte contemporanea che ha nelle sue corde e modalità operative, anche il coinvolgimento degli artisti attraverso uno sconfinamento di ambiti che comporta pluralità di sguardi e tentativi di congiunzione tra cose, luoghi e persone.
E questa mostra esiste perché da subito affianca a Mattia Moreni, quasi in una sfida e intuizione, un artista vivente, Nicola Samorì, tra i migliori pittori italiani del presente, coinvolgendolo anche come una sorta di co-curatore e compagno di strada con cui si sono qui condivisi studi, scoperte, appassionate ricerche e snodi progettuali ed espositivi con il chiaro intento di restituire un Moreni, se non inedito, probabilmente meno visto e conosciuto; che la scelta delle opere in mostra è qui frutto di una selezione decisamente partigiana e arbitraria, di modi di vedere che, man mano che si sono affinati e addentrati nel trasgressivo labirinto moreniano, hanno finito per tralasciare alcune cose a favore di altri periodi, fasi e singole soluzioni che invece si prestavano meglio alla narrazione che si andava tessendo e alla ricerca di incastri, risonanze ed echi con i fantasmi e le combustioni di Samorì.
Ecco allora l'epicità tragica delle angurie, i chiarori lunari e la mollezza opalina delle carni insieme al duro e polveroso bianco di ossa e marmi di Samorì, o le lumeggiature impazzite e taglienti come lame e rotaie, le incisioni, slabbrature e ferite, la lascivia decadenza invertebrata dei grandi corpi molluschi come spiaggiati, insieme ai resti accartocciati e schiacciati dalla gravità appartenenti all'altro artista; cera che scioglie e cola in un gialloverde malaticcio, cascami materici e luci livide violette, la pelle liscia levigata pallida e la dissoluzione e scorticazione inferta a questa candida superficie lattiginosa d'alabastro; o ancora la costruzione segnica, furiosa, gestuale e ortogonale delle baracche e legni e cartelli, insieme a teatri effimeri in cui si compongono precari frammenti, fragili architetture da niente fatte di reperti sparsi, rifiuti e accumuli; i notturni e le apparizioni potenti come incubi provenienti dal futuro, la battaglia e incendio dei bianchi e neri che convive sapientemente, e con certa sorpresa, con inattesi e struggenti passaggi tonali, e i grigi fangosi che dilagano a riprendersi il quadro, stringendo e coprendo sordamente l'immagine, seppellendola in ripensamenti e sconfitte pompeiane; e poi i marroni e i rosa, la carne, fino al volto come mappa e campo di battaglia...
Un Moreni guardato inevitabilmente con occhi contemporanei, non da storici dell'arte, ma da altri artisti, e qui risiede probabilmente la particolarità del punto di vista messo in campo da questa operazione, che è scontro di chimica e molecole, fusione e dispersione, appropriazione indebita e disobbediente: perciò anche un Moreni lacunoso, parziale, non esaustivo antologicamente (anche se il numero di dipinti in mostra è considerevole), forse meno battuto, certamente vitale, dirompente e sfolgorante, ancora capace di stupire, colpire e ammaliare, di rilanciare domande, anche in questa occasione di confronto e attrito fertile con i dipinti e le sculture di Samorì.
Moreni e Samorì è un incantamento, un rapimento violento, una doppia tensione che schiude pieghe dello spazio e del tempo in cui viaggiare e sperdersi, qualcosa di pericolosamente ambiguo che sta tra un tentativo disperato di restituzione, e un'immagine ferita a morte. Ovvero, qui almeno, e sempre in questi dipinti, vita.
Di Mattia Moreni a Cotignola già si è detto, ma non di una sua mostra, a cura di Aldo Savini, fatta nel 1991 a Palazzo Sforza a partire da un'articolata indagine su quella sorta di cenacolo e cuore pulsante per la Romagna ravennate che fu la casa e la figura eccentrica di Luigi Varoli; da questa mostra, anche idealmente, si intende qui ripartire offrendo non solo un approfondimento sui due artisti presi in esame, ma anche tracciando e aprendo possibili e nuovi sentieri nel fitto del bosco, nella lussureggiante e buia e sensuale foresta della pittura.
Per informazioni: museovaroli.blogspot.it

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 20 [2015 - N.54]

Una mostra su i diversi volti del sogno nelle incisioni del Gabinetto delle stampe di Bagnacavallo

Diego Galizzi - Conservatore Museo delle Cappuccine di Bagnacavallo

La dimensione del sogno, ovvero l'imperscrutabile viaggio della mente umana nei meandri dell'inconscio, è al centro della mostra L'onirica navigazione, aperta fino al 10 aprile a Bagnacavallo. La mostra, organizzata dal Museo Civico delle Cappuccine e curata da chi scrive, oltre ad essere l'ultimo tra gli appuntamenti culturali che hanno caratterizzato il calendario della I Biennale di incisione "Giuseppe Maestri", svoltasi tra Bagnacavallo e Ravenna, vuole essere un dichiarato omaggio allo scomparso incisore ravennate, maestro inimitabile e visionario che ha saputo dare forma e colore alla leggendaria memoria di Ravenna nella sua epoca aurea, quella bizantina; l'onirica navigazione era infatti il titolo dell'ultima mostra personale di Maestri, che si svolse proprio a Bagnacavallo nel 2008.
Ad accompagnare i visitatori per le strade dell'onirico sono circa sessanta opere grafiche, selezionate dall'importante collezione di incisioni del Gabinetto delle Stampe di Bagnacavallo. Si tratta dei lavori di alcuni grandi maestri del Novecento e dell'incisione contemporanea: André Beuchat, Francesco Casorati, Angela Colombo, Pietro Diana, Armando Donna, Mario Guadagnino, Nunzio Gulino, Mirando Haz, Lanfranco Lanari, Pierre H. Lindner, Swietlan Kraczyna, Elettra Metallinò, Claudio Olivotto, Albino Palma, Adolfo Wildt, Remo Wolf.
Come diceva Moravia, nella sfera sociale l'arte assume la stessa funzione che il sogno riveste nella sfera individuale: esprimere il represso. L'arte, dunque, è una sorta di grande sogno collettivo, creato nell'isolamento dello studio di un artista. Per rappresentarlo sono stati selezionati alcuni autori che più di altri hanno voluto e saputo percorrere gli immaginifici sentieri dell'onirico, alla ricerca di una rappresentazione del mondo e della vita che, seppur fondata sulla fantasia, è in fondo fatta della stessa materia della realtà.
A partire dai fondamentali studi di Freud sull'interpretazione dei sogni, anche gli artisti poterono avventurarsi ad esplorare l'inconscio, e lo fecero grazie ad un nuovo e straordinario elemento di indagine: il sogno. I meccanismi che caratterizzano il sogno - vale a dire la rottura della concatenazione logica degli eventi e degli usuali rapporti tra le cose - sono in fin dei conti gli stessi che governano la proposta artistica del Surrealismo. André Breton, autore del relativo Manifesto, sosteneva che il Surrealismo è un modo per esprimere il funzionamento del pensiero in assenza di controllo dettato dalla ragione e al di fuori di ogni preoccupazione di ordine estetico e morale. Salta dunque qualsiasi freno inibitore sociale, e questo avvicinerà molto la visione di questi artisti al pensiero infantile. Si tratta di un modo di intendere l'arte che sarebbe sbagliato rinchiudere tra i confini del movimento surrealista in senso stretto, ma si allunga straordinariamente fino a coinvolgere molti artisti successivi, fino ai giorni nostri. In un certo senso il Surrealismo ha aperto nuovi sentieri e nuovi orizzonti a una vasta schiera di futuri "navigatori" dell'immaginario.
È attraverso l'opera di alcuni di questi navigatori che il Museo delle Cappuccine vuole rappresentare la sfera dell'onirico e i suoi sfaccettati volti nell'arte. Si parte dalle silenziose visioni del grande bulinista Armando Donna, forse il più surrealista in senso stretto tra gli artisti in mostra, ci si abbandona nelle trasognate immagini di Pierre Lindner e Claudio Olivotto, si entra nelle atmosfere favolistiche di Angela Colombo, ci si imbatte nelle memorie e negli incubi di Elettra Metallinò e Mirando Haz, fino a giungere a sognare ad occhi aperti, con quello che è l'archetipo del sogno per eccellenza dell'uomo, il volo di Icaro, proposto da Swietlan Kraczyna.
Per informazioni: www.museocivicobagnacavallo.it

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 20 [2016 - N.55]

Un ricordo personalissimo del noto studioso italiano sulla Romagna, tra l'Appennino e Faenza, in occasione della mostra ospitata al Museo Ugonia

Andrea Emiliani - Presidente Accademia Clementina

Studiavo molto in questi tempi una Vie des Formes che, sul modello del codice insuperabile di Henri Focillon del 1934, mi conducesse alla conoscenza dei materiali e dei mondi espressivi da essi consentiti o esercitati: Focillon mi è sempre stato maestro, ammirevole ed amato. Credo che quel che conosco della forza del paesaggio, naturale o costruito che sia, derivi dalle sue letture. Come, inizialmente, le pagine molto giovanili di Marcel Proust, che facevano parte del volume Les Plaisir et les jours, dedicate a La Morte delle Cattedrali. Pagine bellissime sull'architettura delle grandi basiliche o delle piccoli pievi romanico-gotiche e delle strade in mezzo alle campagne che conducono a quelle improvvise masse coperte di muschio verde.
Poco dopo conobbi un grande, grandissimo fotografo delle forme storiche, cioè Paolo Monti. Monti, ossolano, guardava al paesaggio italiano con l'amore e la scienza di un grande classificatore, di un linguista come Gerhard Rohlfs oppure di un politico come Carlo Cattaneo. Ho avuto la fortuna di osservare buona parte di Faenza e di Cesena, di Forlì e di Bologna riflesse attraverso la sua pupilla, il suo occhio. Non esiste nulla di più educativo dell'attivare l'occhio, "fedele agente della memoria", come diceva Giacomo Leopardi. Ma occorre un grande traduttore, e Paolo Monti fu proprio questo per me. Facevo libri di immagini e "studiavo" lo spazio italiano.
Mi rivedo ogni volta, su qualche strada, mentre sullo sfondo si profila la cortina verde-azzurra degli Appennini. Chissà da dove arrivano alla via Emilia i romagnoli; hanno una faccia da contadini arguti, sembrano talora spensierati, anche se spesso privi di ottimismo (basta ricordare il grande Pantani). Che è una virtù della ponderazione, una dimensione sfuggita nel corso dei duri secoli passati da una società povera. Oggi poi, scomparse le osterie si vedono quelle stesse facce ma senza più un loro ambiente dove sostare. Stavano in piedi, un tempo e fino a trent'anni fa, nei bar fumosi, tenevano la caparèla sulle ginocchia oppure la saccona, e guardavano oltre le spalle di chi, seduto, giocava a maraffone sul vecchio tavolo dell'osteria. Qualche volta muovevano due dita da sotto il mantello smosso ed era una comunicazione. In realtà, attendevano in silenzio che venisse la primavera. Ora attendono di aprire la pompa di benzina, il negozio dove quattro granaglie le cercano solo i poveri. Un tempo erano veri empori dove la calciocianamide della Montecatini si mescolava al fosfato d'ammonio e al verderame per la vite. Mi piaceva molto il colore del verderame sui pali che ai margini della tornatura reggevano l'uva allargata a tettoia, fosse sangiovese o trebbiano biondo. O albana dolce da appassire, squisita. Quella del prete di Montericco, sopra a Imola, era, ricordo, incomparabile.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 20 [2016 - N.56]

Breve storia del Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo: un'eredità da tramandare al futuro

Diego Galizzi - Direttore Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo

Era l'estate del 1957, quando l'allora Soprintendente "alle gallerie ed alle opere d'arte medioevale e moderna" Cesare Gnudi scriveva al Sindaco di Bagnacavallo: "la decisione, che era stata presa da codesto Comune, di riunire in un costituendo Museo tutti i cimeli artistici della città, sembrava a questa Soprintendenza veramente lodevole, ed è lamentabile che l'iniziativa non abbia avuto finora seguito". In effetti la vicenda della volontà di dar vita a Bagnacavallo ad un museo civico doveva apparire, già allora, piuttosto travagliata. Era passato più di un decennio dalla fine della guerra, eppure la città aveva ancora molti conti in sospeso con il proprio patrimonio artistico e culturale, che usciva dal conflitto gravemente malandato. Si stava mettendo mano al recupero di numerosi edifici storici, tra i quali spiccava l'enorme questione della ricostruzione (o dell'abbattimento!) dell'ex convento di san Francesco, una struttura gigantesca e di grande importanza storico-artistica, ridotta purtroppo allo stato larvale. Non meno gravosa era la vicenda delle opere d'arte presenti in città, di proprietà comunale o di altre istituzioni come le Opere Pie Raggruppate. Nell'emergenza della ricostruzione post-bellica oltre alla presa d'atto delle molte opere bisognose di restauro, non mancarono casi di dispersione, il che rese sempre più urgente la necessità di costituire un museo cittadino in grado di raccogliere questi materiali, catalogarli, restaurarli e, ovviamente, esporli. La lettera di Gnudi si inseriva proprio in questo contesto. Per la verità già alla vigilia della Prima guerra mondiale si parlava della nascita di un museo civico, ma nella struttura, da poco acquisita, dell'ex chiesa dei Battuti Bianchi. Il sindaco di allora comunicava infatti con una lettera al Ministero della Pubblica Istruzione che in quel locale "così ripristinato, verranno raccolti numerosi quadri, cimeli e oggetti artistici di valore di proprietà del Comune, in conformità con gli intendimenti espressi da ogni ordine di cittadini". Ma poi venne la Grande Guerra e di quel progetto non se ne parlò più.
Tornando alla lettera di Gnudi, alle sue sollecitazioni fece seguito un pregevole programma di restauri finanziato sia dalla Soprintendenza sia dal Comune, finché nel 1967 il Consiglio Comunale istituì, con l'approvazione di un apposito regolamento, il "Museo Civico di Bagnacavallo", che tuttavia tale rimaneva solo sulla carta, poiché alla realtà dei fatti un museo non esisteva ancora, ma solo una disordinata esposizione di quadri appesi nei locali della Biblioteca comunale in Palazzo Vecchio. Finalmente nel 1970 il Comune di Bagnacavallo pervenne all'acquisto del complesso conventuale che le reverende suore Cappuccine avevano lasciato da poco, per destinarlo a varie attività culturali. Dopo diversi lavori di adattamento, in questo edificio il 25 settembre 1976 venne inaugurato il "Centro Culturale Polivalente" di Bagnacavallo, che oltre ad ospitare la Biblioteca e l'Archivio storico dava finalmente una casa alle collezioni comunale d'arte. Ma non solo. In quell'occasione le collezioni museali conobbero un notevole arricchimento in virtù dell'opportuna sistemazione dei reperti archeologici rinvenuti nel territorio durante la campagna di scavo del 1966 e del deposito di un importantissimo nucleo di opere d'arte antica provenienti dalle Opere Pie Raggruppate di Bagnacavallo. Nasceva insomma il Museo Civico delle Cappuccine, che nei decenni successivi, oltre al proliferare delle iniziative, raccolse altre significative opere d'arte grazie alle donazioni di artisti e di privati cittadini.
Oggi, a distanza di quarant'anni dalla sua fondazione, il Museo Civico delle Cappuccine si può dire sia uscito dalla sua fase "pioneristica", adeguandosi nel tempo ai vari standard museali ed avviandosi ad una fase più "matura", più attenta cioè alla qualità dei servizi e alla soddisfazione dei bisogni culturali e delle attese del pubblico. Significativo che per celebrare il 40° della fondazione si sia appena conclusa un'ambiziosa mostra dedicata alle "Anime morte" di Marc Chagall, un artista che ha fatto dell'amore per la propria terra il trampolino di un grande sogno artistico. Il coraggio visionario di chi ha pensato di istituire un museo civico a Bagnacavallo è dunque raccolto, e con il recente avvio dei lavori di riallestimento della sezione dedicata all'arte contemporanea, che sarà presentato ad inizio 2017, il museo si sta ancor più efficacemente attrezzando per tramandare al futuro questa preziosa eredità.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 20 [2016 - N.57]

In mostra fino al 20 agosto al Museo Nazionale di Ravenna le matrici xilografiche della prima Guida di Corrado Ricci

Emanuela Fiori - Direttrice Museo Nazionale di Ravenna

Giovedì 20 aprile è stata inaugurata la mostra intitolata Impronte. Le matrici della prima Guida di Corrado Ricci, che ha reso possibile fare conoscere al grande pubblico un piccolo fondo conservato da tempo presso il Museo Nazionale costituito dalle matrici xilografiche impiegate per la realizza-zione della prima guida di Ricci, edita dai fratelli David nel 1878.
Nel 1877 Corrado Ricci (1858-1934), allora diciannovenne, fu coinvolto dai fratelli Antonio e Giovanni David, cartolai ed editori ravennati col negozio "alla Minerva" situato lungo l'odierna via Cairoli, nella realizzazione di una nuova guida della città, un'opera che ebbe un grandissimo suc-cesso, al punto da godere, negli anni a venire, di altre cinque edizioni rivisitate e aggiornate. I fratel-li David ritennero necessario provvedere a questo investimento visto che le più aggiornate guide di Ravenna esistenti all'epoca risalivano ai primi dell'Ottocento e i numerosi visitatori chiedevano spesso un testo più aggiornato.
Il padre di Corrado, Luigi, era un disegnatore, scenografo teatrale e da qualche anno aveva introdot-to tra le sue attività anche quella di fotografo, prediligendo la riproduzione degli edifici monumen-tali e del paesaggio a quella di studio.
Amico fraterno e collega di Luigi era Odoardo Gardella, anch'egli legato al mondo teatrale nell'attività di scenografo e macchinista. Nato nel 1820, attorno al 1860 decise di dedicarsi quasi a tempo pieno allo studio della città di Ravenna. La sua era un'indagine capillare, basata sull'analisi autoptica e in palese polemica metodologica con l'attività degli storici locali contemporanei.
Sollecitata un'opinione a Gardella e ad Adolfo Borgognoni, frequentatori della cartoleria dei David, la scelta cadde sul giovane Corrado, da tempo frequentatore della famiglia Gardella e del cenacolo presso "la Minerva". All'epoca il giovane aveva appena terminato il liceo ginnasio sotto l'egida di Borgognoni, amico personale di Carducci.
La guida fu messa in vendita a fascicoli col titolo Ravenna e i suoi dintorni a partire dagli ultimi mesi del 1877; le uscite si protrassero fino al maggio 1878, a ridosso delle feste organizzate in ono-re di Luigi Carlo Farini, durante le quali sarebbe stata inaugurata la statua posta davanti alla stazio-ne ferroviaria, cui fu dedicata l'antiporta dell'operetta.
Come lo stesso Corrado precisa nell'introduzione e in vari luoghi del testo, un apporto fondamenta-le alla creazione della guida fu offerto da Gardella e dal padre Luigi. Il sostanziale aiuto fornito dai due mentori è ben chiaro all'analisi dell'apparato iconografico. Il volumetto contiene infatti 53 tavole incise raffiguranti interni ed esterni di edifici e monumenti e hanno come riferimento fotografie di Luigi o disegni di Gardella.
La raccolta oggetto della mostra è costituita dalla collezione quasi completa delle matrici xilografi-che utilizzate nella realizzazione della Guida, possedute dal Museo Nazionale, che, come si ricava dal testo di Ricci e dalle firme apposte su alcuni dei legni, furono realizzate dall'artista lughese Silvio Minardi. Grazie alle matrici possiamo ricostruire l'intero processo di ideazione e realizzazione dell'apparato iconografico della Ravenna e i suoi dintorni, partendo dalle immagini originali, costi-tuite, come si è detto, da fotografie di Luigi Ricci o da disegni di Odoardo Gardella, fino alle stampe presenti sul volume. Questo particolare aspetto è stato attentamente curato nella esposizione met-tendo a confronto le matrici originali con le incisioni presenti sulle guide e proponendo il confronto fra alcune immagini originali (foto o disegni) e la restituzione grafica risultato della elaborazione xilografica.
La mostra è completata dalla esposizione di alcune copie delle prime due edizioni della guida, le uniche intitolate Ravenna e i suoi dintorni, che furono rilegate con copertine rigide o economiche, a seconda delle possibilità dei possessori.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 20 [2017 - N.58]

Una mostra al MAR tra i principali eventi espositivi della biennale internazionale del mosaico di Ravenna

Alberta Fabbri - Conservatrice MAR di Ravenna

Con Ravenna Mosaico 2017, la rassegna biennale internazionale di mosaico contemporaneo giunta alla V edizione in formato 2.0, il Mar-Museo d'Arte della città di Ravenna ricontratta la progettualità declinando le linee di indirizzo del programma di mandato che mettono al centro della governance l'azione di solidale implicazione di patrimonio e valorizzazione.
Il primo appuntamento espositivo spetta al mosaico, sulla base della specificità del linguaggio che qualifica la riflessione artistica a Ravenna. Dal museo si irradia poi una costellazione di iniziative che coinvolgono le istituzioni partner, le realtà produttive, i mosaicisti con gli ateliers. Il programma si avvale di un ampio tavolo interistituzionale coordinato dal Comune di Ravenna sotto la guida dell'Assessorato alla Cultura nel ruolo di capofila non solo per la linea di credito dell'Amministrazione - vale a dire Mar, Biblioteca Classense e Accademia di Belle Arti con Fondazione RavennAntica - ma anche per la cabina di regia. Siedono al tavolo Polo Museale dell'Emilia-Romagna, Università di Bologna campus di Ravenna con la Scuola Superiore di Studi sulla Città e il Territorio, Mic-Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, AIMC-Associazione Internazionale Mosaicisti Contemporanei e CNA della provincia di Ravenna. Da segnalare infine la straordinaria presenza di Sicis, azienda leader per l'uso del mosaico industriale nell'interior's design, con un'antologia di interventi in mostra a palazzo Rasponi dalle Teste.
La progettualità tiene conto dell'esperienza di Ravenna capitale italiana della Cultura per il 2015 con il coinvolgimento di molti degli steakolders che nel settore hanno sviluppato competenze, interesse, carisma creativo e business concorrendo allo sviluppo della sensibilità, della cultura, dell'economia, e più in generale delle relazioni nelle tante, composite, articolazioni. Questo in parte spiega la mancanza di una direzione artistica, e di un comitato scientifico, come ci si attende da un'iniziativa di garanzia culturale. La specificità dell'evento va ricercata piuttosto nell'ascolto di quella che potremmo definire "pastorale ravennate" secondo un orientamento che si genera dalla vocazione politica alla messa in valore della pluralità delle energie espresse da una comunità. Partecipazione e coinvolgimento sono il presupposto per assumere la ricchezza della sapienza fabrile, di artieri e artefici, nel suo coniugarsi con esigenze conoscitive, di valorizzazione, di discussione critica intorno a un "sapere" ancora collettivo, e orientarla verso nuove frontiere, a Ravenna, nel mondo. A ben vedere si tratta di un approccio che intercetta la sollecitazione di ICOM a riflettere sul Paesaggio. L'ampiezza dell'offerta restituisce la varietà delle espressioni di alta specialità, mettendo in dialogo l'esperienza - estetica e conoscitiva - di valorizzazione con le opportunità di una kermesse. Se consultiamo i principi espressi dal Codice etico ICOM per i musei - "1. I musei assicurano la conservazione, l'interpretazione e la valorizzazione del patrimonio naturale e culturale dell'umanità; 2. I musei custodiscono le loro collezioni a beneficio della società e del suo sviluppo; 3. I musei custodiscono testimonianze primarie per creare e sviluppare la conoscenza; 4. I musei contribuiscono alla valorizzazione, alla conoscenza e alla gestione del patrimonio naturale e culturale; 5. Le risorse presenti nei musei forniscono opportunità ad altri istituti e servizi pubblici; 6. I musei operano in stretta collaborazione con le comunità da cui provengono le collezioni e con le comunità di riferimento; 7. I musei operano nella legalità; 8. I musei operano in modo professionale." - possiamo osservare come, nel caso della Biennale, la funzione di "interpretazione" sia posta in esaltazione rispetto a quelle, storicamente prevalenti, della conservazione e della valorizzazione. In questo senso il museo si fa luogo nel quale passato e presente convergono in una sola sequenza senza soluzione di continuità: la funzione concava della raccolta ai fini della conservazione e della valorizzazione diventa una cosa sola con l'estroflessione convessa dell'interpretazione nell'orizzonte aperto della visione. 
A favorire la modalità dinamica e collettiva dell'organizzazione progettuale ha concorso, inoltre, la delicata congiuntura dell'avvicendamento alla direzione del museo, nel quadro di una più ampia riorganizzazione strutturale della Cultura nelle sue diverse diramazioni. E, come spesso accade nelle stagioni di cambiamento, la forza dell'empiria precorre la riflessione sul metodo. Il metodo, in questo caso, é una certa visione del patrimonio, inteso nell'indistinta valenza di beni culturali e competenze, a ribadire, ancora una volta, la coralità di impulsi che nella valorizzazione trovano comunanza e convergenza. Un'impostazione sperimentale come questa, a responsabilità liquida, ha il non trascurabile vantaggio di assestamenti e ampliamenti. Nella cornice eteronoma della Biennale il museo assume la funzione propulsiva con una esposizione che parte dalla valorizzazione del patrimonio, si raccorda con la storia per proiettarsi nella città facendo del Mar un museo diffuso.
Ma, per venire alla mostra, la rassegna Montezuma, Fontana, Mirko. La scultura in mosaico dalle origini a oggi, per la cura di Alfonso Panzetta con la collaborazione di Daniele Torcellini, si propone come indagine intorno al dialogo tra scultura e mosaico a partire dagli anni Trenta del Novecento, quando alcuni scultori ampliano l'area semantica della "tessera" addizionandola di nuove implicazioni, materiali e concettuali. L'azione riformatrice di Gino Severini nell'aggiornare il linguaggio musivo, sia pur nel rispetto della funzione decorativa, pone le premesse allo sperimentalismo di Lucio Fontana e di Mirko Basaldella che per primi esplorano la possibilità di "mosaicare" la scultura.
Che ci fosse la suggestione di un antefatto antico, sull'onda del gusto dei primitivi, è l'ipotesi formulata dal curatore nella mostra di Montevarchi (2014), nella quale metteva in luce il nesso tra la ricerca di Fontana e Mirko con alcuni prodotti di cultura mesoamericana come possibile spunto allo slittamento della tessera dalla superficie planare a quella plastica. L'interesse crescente verso la cultura antica dell'America Latina fu del resto corroborato, nell'Italia degli anni Venti, dalla vasta opera di ricognizione che avrebbe trovato organizzazione formale nella mostra romana del 1933. Le ricerche di Fontana e Mirko ebbero i tratti geniali dell'avanguardia, ma anche la solitudine dei pionieri: per vedere riaffiorare quell'interesse sperimentale occorre infatti attendere la fine degli anni Settanta quando Nane Zavagno e Riccardo Licata delineano i due diversi indirizzi su cui si stabilizza la riflessione, nel primo caso con l'introduzione di materiali non convenzionali, nel secondo, con l'impiego di un codice tradizionale al servizio del linguaggio contemporaneo. Da questo momento la mostra entra nel vivo documentando la fenomenologia di genere tenendo conto dei diversi orientamenti, tra linea iconica e aniconica, poetica e narrativa, simbolica e concettuale. Proprio sulla fine degli anni Settanta si registra, infatti, un interesse crescente grazie alla ricerca artistica di Antonio Trotta, Athos Ongaro e dei protagonisti della Transavanguardia, Sandro Chia e Mimmo Paladino in particolare, ripetutamente alle prese con l'esplorazione delle possibilità offerte dalla tecnologia per svincolare l'ancoraggio della tessera dalla superficie planare superando i limiti delle malte cementizie. La performance dei materiali di sintesi attira anche designer come Alessandro Mendini e Ettore Sottsass che con le loro incursioni concorrono a legittimare lo statuto della scultura mosaicata aprendo di fatto la strada a esperienze di rilevanza internazionale come la tomba di Nureyev, a Parigi, realizzata a Ravenna.
Sul valico di Millennio la nozione di tessera evolve ancora assumendo connotazioni come l'accumulo, o la ricomposizione nucleare, o, ancora, la "poetica dell'oggetto", sulla spinta della ricerca avviata dal Nouveau Realisme francese e poi dalla Nuova Scultura Britannica, fino alle ultime novità tuttora in discussione.
La mostra gode del patrocinio di MiBACT e di Regione Emilia-Romagna, nonché del contributo di Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna, Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, Marcegaglia Carbon Steel, e sarà visitabile dal 7 ottobre 2017 al 7 gennaio 2018.

Per il programma completo degli eventi di Ravenna Mosaico 2017: http://www.ravennamosaico.it/ita/.



Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 20 [2017 - N.59]

La varietà di pubblicazioni curate dal Sistema rappresenta un'efficace azione di marketing per ampliare la visibilità dei musei e favorire il rilancio dall'uno all'altro.

Eloisa Gennaro

Il Sistema Museale si caratterizza per la vocazione divulgativa e comunicativa, e lo fa attraverso una costante e ampia produzione editoriale. Per la maggior parte delle pubblicazioni, i testi e le immagini sono fornite dagli stessi responsabili dei musei, fatto che assicura l'autonomia e la specificità di ognuno di loro, mentre alla Provincia spetta il compito di coordinamento redazionale, grafico e tipografico, a garanzia di un'immediata riconoscibilità dell'immagine dei propri prodotti (ricordiamo a tale proposito la creazione di un "logo" del Sistema, che lo identifica in tutte le sue attività).

Il primo numero di Museo in-forma esce nel novembre 1997, contemporaneamente alla nascita del Sistema. È il notiziario quadrimestrale dei musei aderenti alla rete, con molteplici rubriche fisse e un inserto monografico per ogni singolo numero; si rivolge in particolare agli addetti ai lavori, presentando articoli specialistici su temi inerenti il patrimonio culturale locale, ma anche contributi dell'IBC, del Sistema Museale della Provincia di Rimini e della Provincia di Modena, della Soprintendenza e dell'Università di Bologna. La rivista rappresenta in ogni modo una valida vetrina per pubblicizzare i musei e le loro iniziative presso i visitatori che la trovano in distribuzione gratuita nei book shop dei singoli musei, oltre che in rete sul sito del Sistema.

La collana di monografie sui musei è nata nel 1998 con l'obiettivo di offrire ai musei un importante strumento promozionale e divulgativo, creando così un valore aggiunto per i visitatori. Si caratterizza per un ricco apparato illustrativo e per testi agili, che descrivono la storia e le collezioni del museo e suggeriscono diversi percorsi di approfondimento.

I Quaderni di didattica museale documentano le iniziative realizzate annualmente dal Laboratorio Provinciale per la didattica museale (in particolare quelle nell'ambito del progetto "Scuola e Museo"), con l'obiettivo di offrire un supporto agli insegnanti nel lavoro di apprendimento con i beni museali.

I Quaderni del Laboratorio invece sono opuscoli ideati dal Laboratorio per offrire un sussidio alle attività didattiche proposte dai musei del Sistema ai bambini della scuola dell'obbligo. La collana, nata nel 2003, prevede l'uscita di due numeri annui.

Valorizza i musei in maniera più originale la collana a fumetti I misteri dei musei, pensata principalmente per il pubblico adolescenziale, ma anche per chi normalmente non è attratto dalle tradizionali forme di promozione culturale. Oltre alla storia disegnata, di genere mystery, i volumi presentano una sezione di approfondimento dedicata alla storia e cultura locale.

Infine il Sistema cura la pubblicazione di guide e opuscoli illustrativi per valorizzare il patrimonio museale provinciale nel suo complesso, grazie a notizie aggiornate sui servizi offerti e informazioni utili per programmare una visita. In particolare Andar per musei è l'opuscolo dedicato ai musei aderenti al Sistema, mentre A spasso per i musei è la guida alle attività didattiche proposte dai musei.

Ricordiamo anche i Quaderni del Progetto Beni Culturali della Provincia di Ravenna, nati nella fase antecedente la creazione del Sistema, che propongono una serie di 'viaggi' tematici alla scoperta di varie tipologie di beni culturali presenti sul territorio, per una loro più approfondita conoscenza.

Alcune di queste pubblicazioni sono disponibili on line nel sito del Sistema, mentre la versione cartacea si trova in genere in distribuzione solo presso i singoli musei. Se naturalmente ciò permette di ampliare la visibilità di tutto il patrimonio museale del territorio, favorendo il richiamo dei visitatori da un museo all'altro, resta forse in parte inespresso il raggiungimento di tutti i potenziali lettori.

L'obiettivo futuro è poter contare innanzitutto su una maggiore tiratura di copie: una più articolata diffusione sul territorio amplierebbe senza dubbio le potenzialità di comunicazione (a tale scopo sarebbe auspicabile individuare uno sponsor istituzionale del Sistema). Senza contare che un'eventuale distribuzione delle pubblicazioni nel normale canale di vendita - cosa che oggi avviene solo per la collana a fumetti e i "Quaderni del Progetto Beni Culturali" - permetterebbe una maggiore ricaduta d'immagine, anche oltre i confini provinciali. Ma questa è un'altra storia...

Speciale decennale del Sistema Museale Provinciale di Ravenna - pag. 21 [2007 - N.30]

La "Duna degli Orsetti" è un'occasione per promuovere le attività educative dei musei in riviera e nelle scuole

Eloisa Gennaro - Responsabile Ufficio Beni culturali Provincia di Ravenna

Il Sistema Museale partecipa all'edizione 2008 della Duna degli orsetti, la manifestazione culturale organizzata presso lo stabilimento balneare della "Duna degli Orsi" di Marina di Ravenna nelle giornate del 18 giugno, 2 e 16 luglio, 6 e 27 agosto, 3 settembre. Anche quest'anno la rassegna - attraverso molteplici attività rivolte a bambini dai 4 anni in su - si propone di portare il museo in un luogo inusuale, informando un pubblico che non è solito frequentare i luoghi della cultura e favorendo un nuovo modo di concepire il museo, non solo come spazio fisico ma anche come presidio culturale esistente al di là delle propria mura. In particolare sono undici diversi musei del Sistema che portano a turno nelle sei giornate di programmazione ben 26 laboratori tematici.
Il 2 luglio inoltre, sarà presente in spiaggia Gianni Sedioli - il noto disegnatore ravennate della Bonelli Editore che sta realizzando per il Sistema l'ultimo numero della collana a fumetti I misteri dei musei - con un laboratorio su come nasce e si disegna una storia a fumetti.
In occasione della Duna degli orsetti, il Sistema Museale ha pubblicato un nuovo prodotto editoriale da distribuire a tutti i partecipanti: si tratta di A spasso per i musei, guida orientativa ai percorsi didattici proposti dai musei per l'anno scolastico 2008/09, che uscirà a cadenza annuale e che sarà diffusa in tutte le scuole della provincia (e non solo) per agevolare la programmazione da parte dei docenti. La guida è infatti un agile strumento di consulazione, utile soprattutto per una prima informazione; i programmi dettagliati sulle singole attività si possono invece trovare nella versione on line della guida, consultabile sul sito del Sistema (www.sistemamusei.ra.it), con la possibilità di prenotare, di scaricare allegati, di effettuare diverse modalità di ricerca delle attività stesse.

Esperienze di didattica museale - pag. 21 [2008 - N.32]

Un percorso nelle collezioni d'arte e nei musei faentini per i ragazzi delle scuole conferma la collaborazione tra insegnanti e istituzioni culturali

Anna Rosa Gentilini

Dal 2 al 15 marzo 2008 si è tenuta a Faenza la XIV edizione de Il Piacere di leggere, rassegna di iniziative bibliografiche, espositive e di animazione dedicata alla lettura per bambini e ragazzi della scuola dell'obbligo: tema conduttore è stato l'arte e gli animali, concordato d'intesa con gli insegnanti della scuola elementare e media, con i quali, da molti anni ormai, prosegue una proficua collaborazione. Già nelle precedenti edizioni la promozione alla lettura giovanile si era coniugata con letture animate di storie e fiabe tenute nei musei cittadini, accompagnate da successive visite guidate a carattere divulgativo. Quest'anno la Biblioteca Comunale, in collaborazione con il MIC, la Pinacoteca Comunale e il Museo di Palazzo Milzetti, ha ideato un ciclo di incontri specificatamente dedicato agli insegnanti della scuola materna ed elementare dal titolo Animalarte: un percorso nelle collezioni d'arte e nei musei faentini. I partecipanti hanno seguito quattro lezioni in diverse istituzioni culturali, visionando direttamente le opere d'arte secondo un percorso che riportava immagini e iconografie di animali in vari contesti: così una selezione di incisioni, libri antichi, quadri, ceramiche e affreschi è stata illustrata e decodificata da Anna Rosa Gentilini, Claudio Casadio, Dario Valli e Chiara Magnani ed è divenuta un momento di approccio guidato per i docenti ed ha offerto uno stimolo a successive visite con gli alunni e per condurre nelle singole classi piccoli laboratori artistici; ne sono risultate creazioni fantastiche, con cui i bambini hanno trasmesso al pubblico le loro emozioni, suscitate dalle letture e dagli incontri con le opere d'arte, poi esposte nel Piacere di costruire, apposita sezione de Il Piacere di leggere

Esperienze di didattica museale - pag. 21 [2008 - N.32]

Avviato un percorso sulla conoscenza dei visitatori per migliorare la qualità dell'accoglienza al museo

Eloisa Gennaro - Responsabile Ufficio Beni Culturali della Provincia di Ravenna

In vista del percorso di riconoscimento per i musei emiliano-romagnoli, illustrato sulle pagine di questo stesso numero, Il Sistema Museale Provinciale ribadisce il proprio ruolo di coordinamento e di interfaccia rispetto alla Regione, mettendo in campo a beneficio dei musei della rete alcuni strumenti di supporto finalizzati al raggiungimento sia degli obiettivi a carattere strutturale, che di quelli che richiedono essenzialmente una collaborazione di tipo tecnico-scientifico. Se in relazione ai primi vengono utilizzati in modo prioritario gli investimenti previsti nei Piani museali, per quanto riguarda i requisiti non strutturali si sono organizzati gruppi di lavoro e seminari su specifici obiettivi (regolamenti, carte dei servizi, bilanci, piani didattici ecc.), in modo da mettere in condivisione le conoscenze e le buone pratiche.
È certo che la qualità dei servizi passa attraverso la conoscenza del pubblico, delle diverse tipologie da raggiungere, delle aspettative che il museo riesce a soddisfare e di quelle che richiedono invece nuove strategie di miglioramento. Grazie al coinvolgimento del visitatore, è possibile determinare una situazione di maggior controllo sui parametri di qualità (feedback) e, di conseguenza, standard tendenzialmente più elevati.
Per avere un quadro adeguato di conoscenza, occorrono anzitutto dati quantitativi in grado di fornire elementi essenziali sulla capacità attrattiva del museo. In tal senso, si è provveduto a dotare i musei del Sistema che non ne disponevano già di uno strumento attendibile di rilevazione del pubblico (che non a caso è uno dei requisiti obbligatori per ottenere il riconoscimento), un apparecchio dotato di un software in grado di leggere automaticamente i dati e fornire in modo immediato e accurato elaborazioni statistiche sull'affluenza nei diversi periodi della giornata e dell'anno; grazie a tale fornitura, i musei, anche quelli più piccoli, possono disporre di dati affidabili sui rispettivi visitatori.
Prospetti e grafici rappresentano il punto di partenza per ulteriori indagini di tipo qualitativo. Per valutare compiutamente l'operato di un museo, non basta conoscere le cifre sulle presenze; occorre "dare un volto" a tali cifre, identificare i diversi target di pubblico, reale e potenziale, in modo da poterne conoscere i bisogni, le esigenze, le aspettative, le motivazioni, ed essere dunque in grado di approntare i servizi a loro rivolti in maniera mirata e non casuale.
Facendo seguito alla stesura dello schema-tipo della carta dei servizi, la cui adozione da parte di tutti i musei del Sistema rappresenta un passaggio fondamentale - benché non ancora obbligatorio - per raggiungere un elevato standard di qualità nelle relazioni con il pubblico, la Provincia sta predisponendo tramite un gruppo di lavoro appositamente istituito nell'ambito del Comitato scientifico, uno specifico questionario di valutazione da allegare alla carta stessa e da somministrare ai visitatori. Il questionario deve facilitare l'acquisizione di ogni informazione utile, dal profilo socio-demografico del visitatore al livello di soddisfazione della visita, alla ricerca di spunti e indicazioni significative in merito alla qualità dell'offerta museale: a tal fine, lo stile utilizzato deve essere semplice e amichevole, tale cioè da indurre una buona percentuale a compilare la scheda.
Il questionario dovrà essere disponibile anche on line, unitamente agli altri strumenti di partecipazione messi a disposizione dal singolo museo e/o dal Sistema (modulo per inoltrare reclami, focus tematici ...). L'obiettivo è quello di interrogare anche il "non pubblico", vale a dire coloro che non vanno ai musei; in tale ottica si possono utilizzare, ad esempio, gli strumenti didattici destinati agli adolescenti, che potrebbero essere affiancati da forme ulteriori di "ascolto", come i focus group, concordate con il mondo delle scuole.
I dati raccolti nei vari musei saranno oggetto di analisi e di confronto, con il supporto del Servizio cultura della Provincia, sulla base di appositi indicatori definiti a livello di Sistema (benchmarking); l'indagine sarà messa a disposizione di tutti, studiosi e operatori, con uno spazio aperto alla discussione in sede di Comitato scientifico e sul portale dei musei. In tal modo, l'ente proprietario potrà avvalersi delle risultanze emerse per definire le opportune strategie di miglioramento, approntando nuovi allestimenti e/o nuovi strumenti promozionali.
I dati, inoltre, con riferimento a un campione di musei del Sistema rappresentativi sia delle diverse tipologie di raccolte che della loro dislocazione sul territorio, saranno elaborati dalla Provincia al fine di individuare le azioni di sistema più congrue da adottare nei prossimi anni; le scelte all'interno dei piani museali stessi saranno orientate a colmare le principali lacune emerse dall'indagine, uscendo dal guscio dell'autoreferenzialità.
Il Sistema museale dunque intende fornire alle istituzioni culturali del territorio gli strumenti più appropriati per conoscere meglio le esigenze dell'utenza, per migliorare il tasso di gradimento dei servizi e intercettare nuove tipologie di visitatori. In ultima analisi, si pongono le basi per definire una vera e propria politica del pubblico e, quindi, per una migliore programmazione delle politiche museali sul nostro territorio.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 21 [2009 - N.34]

Il nuovo sito punta al rafforzamento della qualità di informazioni e contenuti

Jadranka Bentini - Direttore MIC di Faenza

Nulla come la nascita dei primi elaboratori elettronici e, in tempi più recenti, del web ha avuto un effetto dirompente nella vita quotidiana dell'uomo, addirittura sovvertendo il nostro modo di comunicare e di conoscere e modificando al contempo la stessa natura del rapporto fra simili. Sempre più internet costituisce la base per l'ampliamento della conoscenza, attraverso il web i confini fra campi diversi del sapere si sono fatti più labili in ragione della sempre maggiore rapidità dei collegamenti delle tante fonti di informazione e delle varie tipologie di trasmissione (immagini, filmati, musica, ecc.). Il web ha consentito un cambiamento del modo di apprendere e ha trasformato il classico lettore - quello che chiamiamo l'utente - in indagatore mirato di contenuti portando a una interazione fra soggetti, nel nostro caso facilitando il rapporto con i beni culturali e l'accessibilità ai servizi connessi.
È nell'ottica della moderna conoscenza sempre più da diffondere che il Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza sta completando il rinnovamento del suo sito puntando attraverso di esso ad una maggiore incidenza sul pubblico e ad un rafforzamento della qualità delle informazioni e dei contenuti per un accrescimento delle potenzialità (e sono tante) del Museo come insieme di servizi, dalle raccolte permanenti alla conservazione, dalla didattica ai settori biblioteconomici e visivi della ceramica.
A giorni sarà disponibile infatti un nuovo sito web che sostituirà il precedente, sempre comunque puntualmente aggiornato nelle attività e consultato da una media annuale elevatissima che nel 2008 ha raggiunto più di 256.000 visitatori e complessivamente 2.623.000 contatti, un risultato eccellente che ha costituito proprio uno dei fattori di sollecitazione a fare ancora meglio iniziando dalla progettazione dell'interfaccia grafica e dalla scelta degli stili tipografici di impaginazione.
Miglior funzionalità interattiva dei mezzi di navigazione, montaggio della struttura del sito con scelta degli standard di programmazione e definizione delle tecnologie informatiche più idonee ai contenuti e alla struttura di navigazione sono i supporti delle sezioni attualmente rinnovate, cui seguiranno altre in via di completamento. A breve, con veste rinnovata, saranno consultabili i seguenti campi: Museo (raccolte permanenti e visita virtuale), Informazioni, Mostre temporanee, Biblioteca e centri visivi, Rivista "Faenza" e Pubblicazioni, Ceramiche Faenza News con una panoramica sulle maggiori attività del settore in Italia ed Europa, e infine un glossario tecnico di riferimento con il quale aiutarsi nella comprensione delle tipologie e dei processi produttivi della ceramica. Le pagine saranno bilingue, italiano e inglese. In corso avanzato di realizzazione, nell'ambito della rivista "Faenza" digitalizzata fin dal primo numero del 1913, la pubblicazione informatizzata di tutti i prossimi numeri con la possibilità di acquisto in rete delle pubblicazioni, inaugurando così il web come ambito per pubblicazione, interazione, lavoro e consumo dell'informazione specializzata.
Se è vero l'osservazione di Alessandro Longo (Internet, la generazione pennetta, in "La Repubblica" del 9/09/2009): "Ormai siamo un popolo di navigatori su Internet. Senza fili... Oltre 2,5 milioni di famiglie italiane, rispetto al milione del 2008, hanno la passione di essere connessi alla rete non solo da casa, ma anche in viaggio e in vacanza", allora possiamo sperare che il nostro lavoro dia i frutti sperati.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 21 [2009 - N.36]

A settembre una serie di eventi in occasione della apertura della sezione numismatica al Museo del Castello di Bagnara di Romagna

Vilma Dal Bosco - Direttrice del Museo del Castello di bagnara di Romagna

Nel cuore della Romagna di pianura, Bagnara di Romagna continua con vitalità e convinzione un percorso di sviluppo del territorio attraverso la valorizzazione dei beni archeologici, architettonici, artistici, storici e culturali. Dopo l'inaugurazione del giugno 2008, il Museo del Castello - collocato fra i 109 musei che hanno recentemente ottenuto il primo riconoscimento di Musei di Qualità della Regione Emilia Romagna - sta predisponendo l'apertura di una nuova sezione numismatica e ha colto con entusiasmo la sfida dell'incontro fra mondo dell'impresa e della cultura. Grazie all'impegno della dott.ssa Chiara Guarnieri della Soprintendenza per i beni archeologici dell'Emilia Romagna, con la collaborazione dell'Associazione Silvia Bagnaria, è stata allestita da aprile a giugno 2010, nella sede del CNA di Lugo, un'interessante esposizione dedicata a Bagnara e al suo territorio.
L'iniziativa è stata chiamata Il Filo della Storia: ville, villaggi e castelli nel territorio di Bagnara di Romagna. Si tratta infatti di una lettura cronologica del nostro territorio che, partendo dall'Età Romana (le ville), attraversa l'Alto Medioevo (il villaggio dei Prati di S. Andrea) per giungere infine all'Età Moderna (il castello). In questo viaggio nel tempo tre argomenti costituiscono altrettanti fili di Arianna. Il primo "filo" è quello della Storia, esemplificata dai rinvenimenti monetali, rinvenuti in grande numero nel territorio di Bagnara. Il secondo "filo" è quello dell'Archeologia, che illustra i più importanti rinvenimenti, taluni tuttora in corso, nel territorio di Bagnara. Il terzo "filo" è rappresentato dagli assetti e dai mutamenti dell'aspetto naturalistico e ambientale di questo territorio nel corso del tempo.
L'esposizione lughese ha in qualche modo anticipato l'apertura della sezione numismatica del Museo del Castello, che integra la prima sezione del percorso museale intitolata Il territorio di Bagnara e della bassa Romagna. Dal villaggio alla fortezza - collocato al piano primo della Rocca Sforzesca - e la cui inaugurazione è prevista per il 4 settembre 2010. L'allestimento, curato con gusto artistico e attenzione alla valorizzazione e divulgazione dei beni esposti dall'architetto Giuseppe Bartolini, vede la musealizzazione di monete che vanno dall'età imperiale fino all'Ottocento. Alla pannellistica esplicativa e alle didascalie, realizzate anche con la collaborazione del Gruppo Archeologico Silvia Bagnaria, con la direzione scientifica di Chiara Guarnieri, sono uniti effetti multimediali e interattivi con videoproiezione, a touch screen, dell'ingrandimento delle facciate delle monete e delle vicende storiche e umane che queste ci raccontano.
L'inaugurazione è inserita in un più ampio contesto della annuale Festa del Castello che, forte del successo di gradimento e di pubblico ottenuto lo scorso anno, si ripropone al pubblico il 4 e 5 settembre, approfondendo proprio il tema affascinante delle monete e dei mercanti fra Medioevo e Rinascimento. Alla realizzazione di questi importanti momenti è stato chiamato a lavorare il comitato scientifico del Museo del Castello, composto da rappresentanti della Soprintendenza per i beni archeologici dell'Emilia Romagna, dell'IBC, della Facoltà di Conservazione dei beni culturali dell'Università di Bologna, del Comune di Bagnara, nonchè della cooperativa "Il Mosaico".
Tale evento rappresenta il momento anche per inaugurare la nuova sala "Sapori e Saperi", collocata al pian terreno della Rocca sforzesca, sede del Museo e dedicata al connubio fra storia e archeologia, cultura artistica, letteraria e gastronomica locali. Nel contempo il pubblico potrà partecipare a una conferenza sul tema di mercanti e monete, in calendario il 4 settembre, assistere a rievocazioni storiche di mercati e combattimenti; gustare pietanze cucinate sulla base di ricette antiche, sorridere e restare con il fiato sospeso dinanzi a suggestivi numeri di giocoleria e mangiafuoco per le strade del borgo, visitare una interessante mostra sul commercio internazionale di spezie e sul loro utilizzo. Per informazioni: www.comune.bagnaradiromagna.ra.it.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 21 [2010 - N.38]

Il Piano Museale 2010 premia con oltre 300 mila euro i musei che puntano ad essere luoghi vissuti appieno dai cittadini

Eloisa Gennaro - Responsabile Ufficio Beni Culturali della Provincia di Ravenna

Il Consiglio Provinciale ha approvato con delibera n. 41 del 27 aprile 2010 le Linee programmatiche provinciali in materia di musei per il triennio 2010-2012 che - coerentemente al nuovo Programma regionale degli interventi - confermano le principali innovazioni adottate nello scorso triennio allo scopo di assicurare una maggiore continuità ed efficacia alle azioni promosse dagli Enti locali, a partire innanzitutto dall'introduzione graduale degli standard di qualità. Non a caso grande importanza rivestono la qualità progettuale, con riferimento alle strutture e ai servizi erogati, ma anche la tempestività nell'esecuzione degli interventi.

Le nuove linee guida dunque consentono alla Provincia di valutare al meglio i progetti da finanziare e di svolgere con razionalità il ruolo di ente di coordinamento, promotore dello sviluppo delle realtà culturali locali, dando risposta a richieste provenienti da tutto il territorio nell'ottica di una crescita omogenea del Sistema.

In particolare il Piano Museale per l'anno 2010, approvato contestualmente alle Linee programmatiche, tiene conto dei progetti presentati da 14 musei, dislocati su tutto il territorio provinciale: sei nell'area lughese, cinque nell'area faentina e tre nell'area ravennate. Gli investimenti previsti sul Piano ammontano complessivamente a € 734.000, di cui € 181.000 quale trasferimento regionale, € 120.000 quale fondo provinciale e i restanti € 433.000 quale quota a carico dei singoli musei relativamente ai progetti approvati.

Si tratta senza dubbio di una cifra considerevole, soprattutto considerato i tempi che corrono; ed è inoltre significativo che la stragrande maggioranza degli interventi approvati siano finalizzati a nuovi allestimenti, a incrementare lo spazio e i servizi al pubblico e la fruibilità delle collezioni, insomma a rendere il museo un luogo frequentato e vissuto appieno innanzitutto da chi abita il territorio che lo ospita. Ben 12 progetti su 14 infatti contemplano la realizzazione di nuove aule didattiche, sale di accoglienza o sale consultazione documenti, di nuove sezioni espositive o dell'ammodernamento dell'allestimento preesistente, fino al completo riallestimento del museo in una sede più consona alle esigenze della comunità, finalizzato a una gestione partecipata.

Ricordo in particolare due di questi progetti, con i quali il museo aspira a diventare un centro di produzione culturale, pienamente radicato sul territorio e in rete con il tessuto sociale, la biblioteca, le scuole.

Il Comune di Russi ha investito risorse consistenti in un progetto unitario di allestimento del Museo della vita contadina di San Pancrazio, teso a favorire il rinnovamento dei criteri museografici sia in termini di migliore definizione delle tematiche presenti, sia attraverso la selezione di nuovi contenuti orientati a valorizzare le donazioni pervenute e il patrimonio non ancora contestualizzato. Il progetto inoltre mira a potenziare la struttura museale come Centro per la raccolta, lo studio e la conservazione della Fiaba Popolare, valorizzando così la vocazione e l'eccellenza del paese che lo ospita, in cui è stata realizzata anni fa una delle più ampie e interessanti raccolte di fiabe popolari in Europa.

L'altro progetto riguarda l'ampliamento del percorso espositivo del Museo del sale di Cervia, finalizzato all'apertura della nuova sezione "La città: storia e memoria". Il nuovo assetto è caratterizzato dalla composizione in nuclei tematici posizionati sul piano pavimentale e approfondimenti documentali posizionati sulle pareti e in alzato. Vetrine, strutture e supporti sono caratterizzati dalla facilità di spostamento, per permettere la massima flessibilità d'uso dello spazio e soddisfare tutte le esigenze del pubblico.

Infine, come di consueto, nell'ambito del Piano Museale sono previsti alcuni interventi di sistema a beneficio della crescita complessiva e omogenea dei tanti, piccoli musei locali che caratterizzano il nostro territorio e che grazie all'apporto collaborativo di operatori e amministratori possono continuare ad operare, pur non disponendo di risorse adeguate.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 21 [2010 - N.39]

Una felice collaborazione tra Provincia e Accademia di Belle Arti il cui esito verrà presentato nella cornice di RavennaMosaico

Gabriele Gardini, Maria Rita Bentini - Provincia di Ravenna, Accademia Belle Arti di Ravenna

Il Sistema Museale della Provincia di Ravenna, sorto con l'intento di valorizzare il patrimonio culturale territoriale, consente di razionalizzare le attività promozionali e di programmare su scala provinciale l'attivazione degli standard di qualità, dei servizi offerti al pubblico, nonché degli strumenti di promozione e di comunicazione. Quindi uno strumento per il coordinamento della rete museale che si pone l'obiettivo di far crescere l'offerta culturale con forme di condivisione di risorse realizzate su base consensuale e di accrescere i servizi di sistema come la rivista, il sito internet e la distribuzione di attrezzature omogenee.
Nell'ambito del Piano museale 2010 è stata espressamente prevista una quota per specifiche iniziative miranti a potenziare il carattere comunicativo dei musei attraverso strumenti in grado di avvicinare il pubblico al patrimonio culturale locale, prevedendo in particolare una fornitura di espositori, necessari alla presentazione e distribuzione dei numerosi prodotti editoriali e promozionali (monografie, Andar per musei, cartoline, Museo In-forma) realizzati dal Sistema Museale e distribuiti attraverso i musei aderenti, da collocarsi nei bookshop e nelle sale accoglienza dei musei.
In sede di Comitato Scientifico del Sistema è emersa in particolare l'esigenza di acquisire un espositore studiato appositamente per rendere immediata l'adesione alla rete museale provinciale, dotato di una carta illustrata relativa alla distribuzione dei musei sul territorio per rendere ancora più immediato il gioco di rimando da un museo all'altro.
Inoltre collegandoci alla ricerca dell'identità culturale che avviene coltivando la conoscenza della nostra storia e delle nostre radici, valutando che simbolo consolidato nel tempo dell'identità di Ravenna è il mosaico, si è ritenuto opportuno chiedere la collaborazione dell'Accademia di Belle Arti di Ravenna per realizzare due totem in mosaico, incentivando le nuove ricerche sulla tecnica musiva.
Il progetto di espositore musivo è stato condotto dalla prof.ssa Dusciana Bravura, docente di Mosaico, con gli allievi del secondo anno del Biennio Specialistico di Mosaico. La produzione di un oggetto funzionale in cui la decorazione musiva si svolgesse col suo surplus di colore e di tessiture, ricreandolo completamente e trasformandolo in uno straordinario pezzo unico, è stato quest'anno un particolare versante della progettualità del Corso della docente nel quale si è collocata felicemente tale esperienza. Le fasi di lavoro sono state diverse, precedute dalla messa a punto strutturale di un espositore che, pur appartenendo alla serie, un poco se ne discostasse tenendo conto della specificità del mosaico, come la maggiore pesantezza dell'oggetto in virtù della decorazione musiva e la necessità di campi continui.
Gli allievi hanno visionato il progetto di espositore e sono stati invitati a formulare un bozzetto, affiancato dall'ipotesi progettuale di decorazione musiva. Una commissione, composta da Dusciana Bravura e da Maria Rita Bentini per l'Accademia di Belle Arti di Ravenna oltre che da Gabriele Gardini e da Eloisa Gennaro per la Provincia di Ravenna, ha esaminato i bozzetti selezionandone due. Considerando l'ex-aequo e la non estrema complessità di realizzazione dei bozzetti selezionati si è proposta la realizzazione di entrambi i progetti.
Il gruppo di allievi ha subito avviato il lavoro in comune partendo dalla trascrizione del bozzetto. Ma attenzione: benché il bozzetto sia un'opera da riferire a un preciso autore, il lavoro musivo è frutto di una equipe creativa, che condivide pratica e stile, pur non negando le individualità. Anche in questo caso si è fatto riferimento alla grande tradizione del mosaico tardoantico e bizantino, secondo la quale l'opera musiva è frutto dell' integrazione di competenze.
Il lavoro continua, per concludersi nell'autunno prossimo con la presentazione nella cornice del festival RavennaMosaico, alla ricerca di un risultato finale coloratissimo e ricco di seduzioni: siano esse materiali che cromatiche, oppure affidate agli andamenti delle tessere musive, che in tal modo moltiplicano il caleidoscopio della luce-colore che contrassegna il mosaico ravennate. Il nuovo mosaico dell'Accademia si muove in tal senso con assoluta libertà, e senza temere confronti con l'oggetto.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 21 [2011 - N.41]

Al Mar l'arte adempie pienamente al suo ruolo sociale, assumendo anche valore terapeutico

Sara Andruccioli - CIDM del Mar di Ravenna

Il museo è un'istituzione permanente, senza scopo di lucro, al servizio della società e del suo sviluppo, così l'ICOM definisce il museo, sottolineandone il fondamentale e irrinunciabile ruolo educativo e sociale.

L'obiettivo che molte istituzioni museali si sono prefisse in questi anni, è quello di coinvolgere ampie fasce di pubblico e rendere i musei accessibili a tutti, superando barriere culturali e fisiche. Diversi musei propongono percorsi formativi studiati specificatamente per i diversi tipi di disabilità fisica e psichica, ma si tratta, nella maggior parte dei casi, di esperienze di singole realtà e non di sistema. Interessante, invece, è il caso della Regione Piemonte che, nel 2010, ha coinvolto undici musei nel progetto Diversamente Musei, che si propone di rendere fruibile per tutti lo spazio museale. Un'ulteriore testimonianza di come l'arte sia un'esperienza di comunicazione ed espressione personale, ci viene dalle mostre che nascono dalla collaborazione tra musei e centri di riabilitazione: tra questi Mosaicamente, una rassegna di opere musive realizzate da adulti autistici che si tiene a Pordenone dal 2008 e la mostra di pittura Artista per un giorno, conclusasi a Roma lo scorso maggio, che ha testimoniato l'esperienza artistico-espressiva portata avanti da disabili fisici e psichici del Centro Diurno "La Bottega delle Idee". In questi casi, quindi, l'arte adempie pienamente al suo ruolo sociale, assumendo anche un valore terapeutico.

Anche il Museo d'Arte della Città di Ravenna, sensibile a queste tematiche, ha voluto concedere un suo spazio per l'allestimento della mostra Frattur-Arte, che si inscrive a pieno titolo tra gli eventi del II Festival Internazionale del Mosaico appena conclusosi. Si tratta dell'esposizione di otto opere musive realizzate da adulti portatori di handicap fisico e psichico che frequentano il Centro Diurno Socio Riabilitativo Don Oreste Benzi di San Tomaso di Cesena, appartenente alla Comunità Papa Giovanni XXIII.

Il Centro è nato nel 1998 con il preciso intento di creare un ambiente famigliare e accogliente, in cui persone con gravi handicap possano valorizzare la propria individualità ed esprimere le proprie potenzialità, spesso inespresse. Pertanto, si è studiato uno specifico percorso terapeutico che si basa sull'attivazione di vari laboratori: da quelli riabilitativi e ludico-motori (ippoterapia e acquaticità), a quelli di espressione teatrale e artistica. Dal 2006 presso il Centro è attivo un laboratorio di mosaico che attualmente è seguito da otto disabili, assistiti nel lavoro da quattro educatori e da un'artista esterna, presenza fondamentale, che li aiuta a far emergere la loro creatività e la loro espressività, consigliandoli anche sulla tecnica e sull'uso dei materiali. In questo contesto, l'arte musiva diventa vera e propria forma di riabilitazione, perché attraverso la realizzazione di opere artistiche, gli allievi si sentono liberi di esprimere il proprio mondo interiore, ritrovando così fiducia nelle proprie potenzialità. La tessera musiva, il frammento, si prestano perfettamente a esprimere la particolare condizione di chi si trova in una situazione di emarginazione e convive ogni giorno con la sofferenza, che spezza e frantuma la mente e la persona. Ma proprio dal "frammento di una vita scartata" si può dare vita ad una nuova espressività.

Frattur-Arte non è solo un momento espositivo, ma l'incontro fra due sensibilità: quella dell'autore, che disvela la propria umanità ferita e quella dello spettatore, che sperimenta la condivisione di una stessa condizione umana. I mosaici in mostra raccontano un mondo ai più sconosciuto, portandoci alla scoperta di storie personali, sogni e desideri. Possiamo così conoscere: i ricordi d'infanzia di Stefano, l'entusiasmo di Guido che, potendo usare solo i piedi, ci regali mondi fantastici, il carattere forte e istintivo di Roberto che si esprime nell'uso molto personale dei materiali. Tutto ciò nella convinzione che l'arte possa aiutare la costruzione di una nuova cultura basata sul dialogo, l'incontro e il rispetto delle diversità.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 21 [2011 - N.42]

Libri, documenti e cimeli di Stefano Borghesi donati agli istituti castellani

Valerio Brunetti - Responsabile Museo civico di Castel Bolognese

Stefano Borghesi era un fine ricercatore di memorie castellane. Studioso serio e attento delle vicende storiche del suo paese, insegnava storia e filosofia nelle scuole superiori e da poco aveva chiuso la sua carriera di docente al liceo di Faenza. Negli anni aveva raccolto tante testimonianze su Castel Bolognese e sulla Romagna. Era un amico del museo castellano. In alcune occasioni aveva fatto dono di oggetti legati alla storia locale tra i quali anche la bandiera dell'associazione dei garibaldini castellani.
Il prof. Borghesi è mancato lo scorso anno dopo una breve malattia e si deve all'attenzione e sensibilità dei fratelli Francesco e Santina se questo patrimonio di raccolte varie, libri, fotografie e oggetti non è stato disperso. Hanno interpretato quello che era sempre stato il suo desiderio: che questi ricordi fossero conservati a Castel Bolognese. Alcuni materiali, per le loro caratteristiche, sono stati inseriti nella locale Raccolta d'arte sacra, il suo archivio e i suoi libri, insieme con alcune incisioni a tema storico, sono stati collocati in una saletta a lui dedicata nella Biblioteca comunale mentre altre "cose" d'interesse storico, prevalentemente locale, sono pervenute al Museo civico: sono in gran parte documenti cartacei a stampa e alcuni oggetti, tra i quali degli autentici cimeli. Troviamo una raccolta di oltre venti manifesti, tra il XVII e lo XIX sec., relativi principalmente alle vicende della comunità: sono avvisi per feste e fiere locali, bandi per l'assegnazione di posti pubblici come quelli per le condotte medica e veterinaria o per l'insegnante della scuola comunale. Alcuni bandi riguardano le vicende della banda del Passatore in Romagna, nella quale erano coinvolti anche alcuni castellani, mentre altri trattano di eventi politici e religiosi della Romagna dell'Ottocento. Vi è inoltre una piccola raccolta di mappe originali relative al territorio, come "Romagna olim Flaminia" del Magini, d'inizio Seicento, la carta del "Territorio di Imola" realizzata dal Coronelli e dedicata al cartografo imolese Giuseppe Pighini morto a Roma nel 1708, la "Legazione della Romagna" dello Zatta, del 1783, e alcune dello "Stato della Chiesa", del XVII e XVIII sec.
Insieme con altre memorie cartacee anche un'incisione raffigurante il ritratto dell'architetto Giovanni Antonio Antolini di Castel Bolognese, realizzata su disegno di Maria Antolini, e un manifesto che celebra la vittoria italiana nella guerra contro i turchi del 1911-12, conosciuta come guerra di Libia.
Tra gli oggetti della donazione, una targa in ceramica policroma raffigurante la B.V dell'Olmo (o di Budrio), produzione romagnola del XVIII sec., proveniente da un edificio posto nelle vicinanze dell'antico forno della famiglia Borghesi, e un curioso busto di gesso, a grandezza naturale e realizzato con stilemi tardo ottocenteschi, raffigurante Euterpe, musa della musica. Vi sono poi alcuni cimeli del periodo risorgimentale tra cui un elmo della Guardia civica pontificia di Castel Bolognese, che Borghesi aveva avuto in dono da una famiglia castellana affinché fosse conservato, una fotografia autentica di Garibaldi e una medaglia commemorativa dell'eccidio dei fratelli Bandiera coniata dagli esuli italiani a Parigi. Questi ultimi oggetti si vanno ad aggiungere agli altri di questo periodo che il Museo conserva, alcuni dei quali donati proprio da Stefano Borghesi. Tutti i materiali di questa importante donazione alla Comunità castellana, insieme ai suoi studi e ricerche pubblicati, rimarranno a testimoniare l'attenzione e il profondo affetto che Borghesi ha sempre avuto per la propria terra e il proprio paese.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 21 [2012 - N.43]

In occasione del Settembre dantesco un nuovo percorso di comunicazione mette in rete sette musei di Ravenna

Francesca Masi - Servizio Turismo e Attività Culturali Comune di Ravenna

A conclusione del corso Comunicare il Museo* realizzato dall'IBC della Regione Emilia-Romagna in collaborazione con BAM, agenzia bolognese che si occupa di organizzazione culturale, finalizzato alle modalità innovative della comunicazione museale, è stato selezionato il project work "O Muse or m'aiutate" mediante il quale il Comune di Ravenna ha ideato un percorso di comunicazione di rete della propria eccellenza espositiva, mettendola in relazione con l'identità dantesca della propria cultura.
Il progetto è finalizzato alla restituzione della complessità dell'offerta museale attraverso un momento forte della vita cittadina quale le celebrazioni del settembre che vedono Ravenna al centro della cultura dantesca internazionale. La comunicazione e il coinvolgimento dei musei è progettata secondo un programma inclusivo di pubblici e istanze in una coniugazione al dettato dantesco della relazione con il territorio e con la comunità di ciascuna istituzione.
Obiettivo immediato è creare un metodo di lavoro, replicabile, che veda diverse realtà culturali collaborare nell'ambito delle azioni prioritarie al fine di contribuire ad un'offerta culturale ricca e partecipata, senza dispersioni. Una proposta declinata secondo diverse vocazioni, ma univoca, di forte impatto che coinvolga la comunità su un tema identitario. Il lavoro su Dante è finalizzato alle celebrazioni del 2021, pertanto costituisce occasione continuativa di condivisione, scambio e coinvolgimento. In questa prospettiva la programmazione vuole essere un invito a tutte le realtà culturali a una collaborazione sempre più estesa e al dialogo partecipativo verso un vero e proprio percorso di potenziamento delle relazioni e delle potenzialità in un comune senso di appartenenza ai valori fondativi espressi dall'aver fatto esperienza di cultura.
In considerazione della natura enciclopedica della Commedia si vuole valorizzare la multidisciplinareità dell'offerta museale mettendo in relazione con la medesima struttura di una summa medievale la missione di ciascuna istituzione.
La vocazione scientifica di NatuRa, dove verranno realizzati itinerari didattici dedicati agli uccelli e al paesaggio della Commedia e una serie di letture della versione romagnola della Commedia di Francesco Talanti messa in relazione con la recente lettura del testo originale integrale da parte di Ivano Marescotti.
La specializzazione astronomica del Planetario dove accanto a specifici laboratori dedicati alla cosmologia medievale verrà presentata un'incursione nella produzione musicale contemporanea da parte di Orthographe dedicata al cielo di Dante.
L'attenzione all'oralità e al teatro di figura della Casa delle Marionette mediante laboratori di gioco e di lettura ispirati al tema delle diavolerie.
La ricchezza del patrimonio del Museo Nazionale mediante approfondimenti sull'iconografia del Paradiso.
Il suggestivo allestimento dei mosaici danteschi di TAMO attraverso la rassegna di Histriodanza off ispirata ai temi del ferro e del fuoco dell'Inferno.
E soprattutto il centrale ruolo di trasmissione dantescadella Biblioteca Classense che affianca alla consistente opera di sostegno e coordinamento delle attività di promozione e valorizzazione l'apertura di un'innovativa saletta multimediale presso il Museo Dantesco, che costituirà il cuore della divulgazione permanente dell'opera del Poeta tramite tecnologia multimediale e nuove pratiche di comunicazione.
Inoltre, in collaborazione con l'Associazione Nati per Leggere, saranno organizzati reading danteschi per famiglie nei diversi musei del sistema cittadino, oltre al coinvolgimento nell'iniziativa di Casa Vincenzo Monti di Alfonsine per la presentazione di una pubblicazione specifica.
Il programma dettagliato è disponibile all'indirizzo www.classense.ra.it.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 21 [2012 - N.44]

Il 4 dicembre il Sistema Museale della Provincia di Ravenna organizza una giornata di aggiornamento sul tema strategico della comunicazione digitale nei musei

Eloisa Gennaro - Responsabile Sistema Museale - Provincia di Ravenna

Uno dei temi che all'interno del comitato scientifico del Sistema Museale Provinciale è più frequentemente sollevato e discusso è senza dubbio quello relativo alla capacità di comunicare i contenuti del museo a un'utenza sempre più ampia e differenziata. Non è un caso che la comunicazione, intesa in tutte le sue forme (scritta, per immagini, verbale...), sia stata nell'ultimo decennio al centro di svariati progetti di sistema finanziati dalla Provincia, che vanno - per citarne soltanto alcuni - dagli allestimenti multimediali e multisensoriali ai percorsi in 3D, dalla pannellistica e i cataloghi a fumetti a specifiche giornate di aggiornamento sulla psicologia cognitiva. E proprio a partire dal progetto già realizzato sulle audioguide territoriali, fornite ai musei aderenti alla rete, e da quello in via di realizzazione sulle app per bambini e famiglie, che è nata l'idea di organizzare una giornata formativa per gli operatori del Sistema (ma aperta a tutti gli interessati) sul tema della comunicazione digitale nei musei. Oggi che le tecnologie si evolvono così rapidamente e che sono sempre più diffusi strumenti come tablet e iPhone, sembra infatti particolarmente utile fornire ai professionisti dei musei le necessarie conoscenze e competenze per muoversi agevolmente in rete e per sfruttare al meglio tutte le opportunità offerte dalla comunicazione digitale e 2.0.

Partendo dalla considerazione fondamentale che occorre costruire un piano della comunicazione - sia tradizionale che social - condiviso con le istituzioni museali del territorio per aumentarne l'efficacia e abbassare i costi, secondo lo schema classico di networking, abbiamo dedicato l'intera sessione mattutina della giornata al tema dei musei e delle visite interattive. In particolare è illustrata la modalità completa di aggiornamento delle audioguide date in dotazione ai musei del Sistema, dalla realizzazione di un file in mp3 al suo inserimento nella scheda e al conseguente utilizzo di ascolto. Inoltre, viene presentato un nuovo sistema di visita basato sugli smartphone e il qr code, attraverso la visione di case hystories innovativi e con alcune esercitazioni pratiche in grado di evidenziare tutte le opportunità offerte da questi nuovi strumenti. Infine vengono presentati alcuni ulteriori utilizzi come il pickalike (qr code specifico per collegamento alla pagina facebook) o evoluzioni come la tecnologia NFC per smart poster o la realtà aumentata nelle visite museali.

La seconda sessione è dedicata a illustrare le specificità e le caratteristiche dei singoli social media, dai più noti quali facebook, flickr e youtube, a quelli di più recente generazione come foursquare, pinterest e instagram, per riuscire a creare una community d'interesse intorno al proprio museo postando, pinnando o twittando. Per moltiplicare gli effetti comunicativi e fidelizzare ampi target di pubblico, vengono anche mostrate le potenzialità che si generano grazie all'uso integrato di singoli canali.

L'ultima parte della sessione pomeridiana è dedicata al tema delle app come strumento essenziale di miglioramento della qualità dei servizi museali. A partire dall'analisi di alcune tra le app più di successo dei musei italiani, l'intervento si conclude con la presentazione del progetto di app per i musei del Sistema e un dibattito aperto sulle idee e i piani della futura rete museale romagnola.

La giornata è nata grazie alla spinta e al notevole coinvolgimento degli operatori museali locali. Ed è consolante che pure in questi tempi, condizionati da una bufera finanziaria che ha investito in pieno i luoghi della cultura, chi si occupa di gestire e di far crescere i propri musei consideri ancora in via prioritaria le azioni per migliorare la fruibilità del patrimonio.

Per ogni informazione in merito: www.sistemamusei.ra.it


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 21 [2012 - N.45]

Ravenna festeggia in luglio il suo patrono, martire e vescovo, con undici giorni di eventi anche nei musei

Nadia Ceroni - Conservatrice MAR Ravenna

Per la prima volta quest'anno la comunità ravennate si accinge a festeggiare il proprio santo patrono con un calendario ricco di eventi che inizieranno domenica 14 luglio per terminare mercoledì 24. Unidici giorni di spettacoli, concerti, visite guidate, laboratori per bambini e ragazzi, in città, nei lidi e nel forese, per celebrare Sant'Apollinare, primo vescovo di Ravenna a cui sono dedicate due basiliche Unesco: Sant'Apollinare in Classe e Sant'Apollinare Nuovo che nei rispettivi catini absidali contengono raffigurazioni musive del santo.
I festeggiamenti saranno l'occasione per condividere anche con Aquisgrana e Dusseldorf l'identità più autentica del santo, città che conserva le reliquie di Sant'Apollinare nella chiesa di  San Lamberto.
Tra le poche fonti scritte di cui disponiamo, la "Passio Sancti Apollinaris" collega Apollinare all'apostolo Pietro che, dopo averlo battezzato ad Antiochia, lo avrebbe mandato a evangelizzare Ravenna, città nella quale esercitò il suo apostolato per vari anni. Costretto ad allontanarsi a causa delle persecuzioni, vi fece successivamente ritorno rimanendovi fino a quando, su decreto di Vespasiano, venne processato e martirizzato. Sul luogo ove erano custodite le sue spoglie, fuori dalle mura della città di Classe, venne costruita la basilica a lui dedicata.
Le numerose iniziative mese in programma prevedono anche visite guidate al Museo Nazionale, al Museo Arcivescovile, al Duomo e al Museo d'Arte della Città di Ravenna, alla scoperta delle raffigurazioni del santo e degli attributi che lo contraddistinguono nella sua dignità vescovile: il pallio e la dalmatica, la mitria e il pastorale.
Numerosi infatti sono i quadri conservati nella Pinacoteca comunale del MAR - dipinti da Luca e Francesco Longhi, Matteo Ingoli e Arcangelo Resani - ai quali si aggiunge una scultura particolarmente significativa per il patrimonio della città: un busto in marmo di Sant'Apollinare, commissionato da monsignor Antonio Codronchi arcivescovo di Ravenna e scolpito nel 1822 dal grande artista danese Bertel Thorvaldsen che ci conferma la dimensione europea della vastissima diffusione del culto del santo fin dall'alto Medioevo.
Raffigurato anche sulle colonne veneziane di Piazza del Popolo, assieme a San Vitale - erette nel 1483 con basamento e gradoni scolpiti da Pietro Lombardo - Apollinare è ben presente anche nelle chiese della Diocesi di Ravenna ove sono conservate opere dipinte da Filippo Pasquali e Giuseppe Collignon (in Cattedrale), Giovanni Barbiani (nella chiesa delle Clarisse Cappuccine), Andrea Barbiani (nel Palazzo Arcivescovile e nelle chiese di Santa Maria Maddalena e Sant'Eufemia), Baldassarre Carrari (in Arcivescovado) e Domenico Capaci (in Sant'Apollinare Nuovo).
Anche nella pieve di Longana è presente una pala dipinta dal forlivese Baldassarre Carrari raffigurante "Sant'Apollinare in trono fra i santi Sebastiano e Rocco" che si ricollega a una tavola con analoga composizione prospettica e stilistica esposta al MAR.
I festeggiamenti avranno inizio il 14 luglio con un suggestivo corteo navale lungo il Canale Corsini che partendo da Marina di Ravenna approderà nella Darsena della Città, rievocando l'arrivo di Sant'Apollinare al porto di Classe.
Per informazioni: 0544 35755/35404; www.turismo.ravenna.it).


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 21 [2013 - N.47]

"Monumentale" è l'importante esposizione ospitata alla Pinacoteca Comunale di Faenza fino al 1° maggio

Claudio Casadio - Direttore Pinacoteca Comunale di Faenza

Domenico Rambelli è stato un giovane artista protagonista agli inizi del Novecento nel Cenacolo Baccariniano e uno degli scultori più riconosciuti fino agli anni Quaranta. Una grande mostra a lui dedicata negli anni '80, con uno splendido lavoro di ricerca curato da Orsola Ghetti Baldi, ne ha puntualizzato il percorso artistico. Successivamente si sono tenute altre mostre, tra cui in particolare quelle di Vicenza nel 2002 e di Matera e Teramo del 2009.
Una nuova proposta di riflessione sull'attività artistica di Domenico Rambelli ha avuto pronta adesione da parte di due storici dell'arte come Antonio Paolucci e Vittorio Sgarbi. Entrambi hanno dato disponibilità a partecipare a iniziative di studio sull'artista a cui è riconosciuta la paternità dei monumenti più significativi ai caduti della Prima Guerra Mondiale. E a partire dall'importanza di queste realizzazioni, ovvero dai monumenti al Fante che dorme di Brisighella, ai Caduti di Viareggio e a Francesco Baracca di Lugo, che è sembrato giusto dedicare a Domenico Rambelli un importante evento espositivo ospitato nella Pinacoteca di Faenza dal 7 dicembre al 1 maggio 2014.
L'intento è duplice. Da un lato si vuol riflettere e documentare come nella propria attività artistica Rambelli sia sempre stato attento alla monumentalità, intesa sia come realtà volta alla grande dimensione e al volume sia come richiamo alla memoria. Monumentalità, divenuta poetica monumentale, dai caratteri declinati sempre secondo un preciso stile, dove dimensione e volume diventano invenzioni di nuove forme, pulite nelle linee e ampliate, per contenere la forza della vita primordiale del mondo contadino. Nei suoi due monumenti ai Caduti della Prima Guerra Mondiale, quelli di Viareggio e Brisighella, Rambelli scrisse di aver "fatto una ricerca di forma larga e piena che tende ritrovare lo smarrito senso dello statuario monumentale che regga lo spazio".
Nato in una frazione di campagna, trasferito in città per vicende familiari, Rambelli nella presentazione alla Terza Quadriennale del 1939 si descrisse dicendo che da fanciullo fu libero per campagne e fiumi, formatosi nella scuola d'Arti e Mestieri di Faenza e poi andato in avventura a Firenze e Parigi. La sua idea d'arte, in quella autopresentazione, è esplicitata in modo chiaro. "Amo la statuaria monumentale: una statuaria che illustri la nostra vita di passione e di azione in una forma che regga lo spazio", scrive aggiungendo di cercare "che l'opera porti dentro un sentimento umano".
Con questo senso dell'arte, che privilegia l'importanza della linea e della forma per riempirla di contenuti vivi, Domenico Rambelli manifesta lo stesso segno e la stessa forza dei suoi monumenti anche nel disegno. Tutta l'arte di Rambelli assume dunque un senso rigoroso di monumentalità che caratterizza il fare artistico dello scultore faentino da ricordare, ed è questo il secondo obiettivo della mostra, anche per i suoi disegni. Un'arte, quella del disegno, appresa nello studio presso la scuola faentina ma poi sviluppata con modalità del tutto autonome e caratterizzante un intero percorso artistico. A rendere ancora più particolari e significative le qualità dei disegni di Domenico Rambelli è stata fatta anche una piccola ma qualificata scelta di caricature, disegnate a colori con i pastelli, che caratterizzano anche in questo campo l'artista faentino.
A documentare la tensione scultorea monumentale anche nella bella produzione ceramica di Rambelli saranno infine i rimandi alle opere esposte nelle sale del Novecento del MIC.
Occasioni importanti della mostra sono date anche dal ritrovamento di quattro belle opere finora inedite, databili al secondo decennio del Novecento, e al restauro di altre due opere della Pinacoteca Comunale eseguito, nel caso della scultura in gesso di Titti Papini, grazie alla iniziativa dell'IBC della Regione Emilia-Romagna e a seguito della donazione da parte della famiglia per quanto riguarda il busto del conte Carlo Zanelli Quarantini.
Per i visitatori della mostra sarà anche reso disponibile un nuovo sistema di audioguida. La presentazione delle opere oltre che con le audioguide a disposizione dei musei del sistema museale provinciale sarà possibile anche tramite smartphone e tablet con attivazione tramite lettura del codice qr. In questo modo saranno fruibili circa due ore di audio con schede di presentazione delle opere in mostra.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 21 [2013 - N.48]

Le nuove proposte del Museo per cinque anni di intensi lavori all'insegna della sostenibilità ambientale

Francesca Masi - Responsabile Museo Natura di Sant'Alberto

Il Palazzone di Sant'Alberto, sede di un'hostaria estense sulle rive del fiume Reno, ospita dal 2004 NatuRa. Antico luogo di ristoro ed alloggio per i commercianti che trasportavano le merci per via fluviale, è un chiaro esempio, ante litteram, di sostenibilità ambientale.
Il museo ha negli ultimi anni vissuto una fase di grande affermazione sia in relazione all'attività che al numero dei visitatori quasi decuplicato in meno di nove anni. Il felice connubio tra apparati museali, esperienze in natura e l'innovativa modalità gestionale sono la premessa su cui si innestano grandi novità.
È stato inaugurato nel 2013 il nuovo quinquennio di gestione, affidata a una ATI, di cui capofila è Atlantide, eccellenza nell'ambito della gestione di centri visite e nell'educazione ambientale; partecipano inoltre la Cooperativa Culturale Un Paese Vuole Conoscersi di Sant'Alberto e Agrisfera che garantiscono la stretta relazione con il territorio dal punto di vista gestionale e culturale e Antea e Aqua, che apportano una consolidata esperienza nel campo del turismo naturalistico.
Il nuovo progetto gestionale ha individuato per i prossimi anni un percorso tematico che coinvolge tutte le attività del Museo, dalla didattica alle iniziative dedicate ai cittadini. Attualmente è in corso un fitto calendario di appuntamenti dedicati all'archetipica relazione tra natura e letteratura, un'idea nata da una "passeggiata letteraria" in valle guidata da esperte guide naturalistiche e dal professor Luigi Canetti, insigne storico delle religioni ed esperto di simbologia zoomorfa. Seguiranno nei prossimi anni incursioni nei territori di confine tra natura, arte e musica.
Questo primo anno di gestione, intitolato NatuRa tra le pagine è dedicato al rapporto originario che lega il fare letterario all'immaginario di matrice naturalistica; simboli, immagini, metafore e artifici letterari accomunano la creazione letteraria all'atto creatore per eccellenza, così come si concretizza nel mondo naturale. Il programma annuale ha preso avvio con la mostra tematica Sulle ali della letteratura, un percorso tra citazioni letterarie e pezzi storici della collezione. Elemento caratteristico dell'esposizione è il carattere di continua evoluzione. Il percorso infatti può essere arricchito dai contributi dei visitatori, ai quali verrà data la possibilità di scrivere le citazioni suggerite dagli animali esposti nel Museo, con l'obiettivo di arrivare a un patrimonio di riferimenti letterari, frutto della partecipazione e condivisione degli utenti. Tali annotazioni arricchiranno la piccola guida, una sorta di vademecum letterario-naturalistico che accompagna la visita alla mostra.
Sulla scoperta delle suggestioni letteraria e naturalistica saranno NatuRa a Primavera (marzo-giugno) e NatuRa sotto le stelle (luglio-agosto), consuete rassegne che hanno visto negli anni un aumento costante dei partecipanti e del gradimento complessivo. Nel periodo primaverile, alle consuete escursioni guidate nel territorio del Delta, si affiancheranno cene letterarie, colazioni nel Museo, visite guidate alle collezioni, passeggiate al tramonto e speciali escursioni mattutine alla scoperta del risveglio della natura. Non mancheranno percorsi dedicati alla scoperta dei sapori e delle tradizioni come la Pedalata dei sapori del 27 aprile e la Pineta racconta dell'11 maggio.
Nell'ottica delle nuove tecnologie comunicative didattiche, la nuova gestione prevede per l'anno scolastico in corso l'istallazione all'interno del Museo di una Lavagna Interattiva Multimediale. Di grande supporto alla didattica, è certamente rivelatore delle nuove opportunità del digitale.
Dal punto di vista scientifico c'è un importante impegno nel completamento del processo di catalogazione, comprendente la fotografia digitale dei pezzi, già avviato nella precedente gestione e che si concluderà nei prossimi cinque anni, nel rispetto della normativa in vigore e secondo tempi e modi dettati dall'IBC, coordinatore dell'attività.
Il Museo ha inoltre avviato i contatti per procedere all'iscrizione dell'istituzione all'ICOM (International Council of Museum Italia) e ANMS (Associazione Nazionale Musei Scientifici), nell'ottica di costruire una rete di rapporti e scambi con altri musei scientifici per avere l'opportunità di partecipare a progetti e workshop promossi da queste due istituzioni.
La nuova programmazione e le tante novità previste dal Museo sono supportati da uno staff competente e stabile, costituito da sei laureati in materie scientifiche, con formazione specifica nel campo dei servizi museali e della catalogazione.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 21 [2014 - N.49]

Bagnacavallo crocevia di mondi nelle mostre di Giuseppe Maestri, Kiril Cholakov, Murat Palta

Diego Galizzi - Curatore Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo

La candidatura di Ravenna 2019 oltre a suscitare nuove riflessioni sulla città ha portato anche a ribadire il suo ruolo di anticamera del Vicino Oriente. Al ben noto legame a doppio filo con Costantinopoli si assomma in quest'occasione una sorta di corsa parallela con la Bulgaria, che nel 2019 esprimerà l'altra capitale europea della cultura.
Da qui nasce il progetto espositivo che il Museo Civico di Bagnacavallo porta in dote a questa impresa: un progetto che, parodiando la leggendaria rotta di navigazione tra Europa ed Estremo Oriente attraverso i ghiacci del nord, vuole avventurarsi per quell'altrettanto leggendario passaggio a sud-est che unisce (più che dividere) l'Europa con il continente asiatico, e lo fa spaziando tra Ravenna e l'Oriente ottomano, passando naturalmente per i Balcani.
A rappresentare le sponde di questo straordinario crocevia di mondi che è il passaggio sul Bosforo, sono stati chiamati due artisti molto diversi tra loro, il turco Murat Palta e il bulgaro Kiril Cholakov, i quali condivideranno gli spazi del Museo con due mostre personali in confronto tra loro, esattamente come per secoli si sono guardate, confrontate, scontrate e meticciate le rispettive culture.
Niente oggi più dell'ironica e sorprendente proposta del giovane illustratore Murat Palta, classe 1990, può raccontarci con quale sguardo un Paese dall'antica e solidissima tradizione come la Turchia si affacci al contemporaneo e al mondo che noi definiamo "occidentale". Nato nel 2012 come sviluppo della sua tesi di laurea presso la Dumlupinar University, il progetto di Murat di illustrare alcune tra le più famose scene del cinema hollywoodiano come fossero miniature ottomane del XVI secolo ha fatto letteralmente il giro del mondo, suscitando curiosità e interesse da parte di molte testate giornalistiche. Dalla sua volontà di "intrecciare globale con locale, Oriente e Occidente, tradizionale col contemporaneo, aggiungendo un pizzico di umorismo" è scaturita una suggestiva e preziosa serie di lavori che reinterpreta attraverso l'ottica - così diversa dalla nostra - di un miniatore del palazzo del Sultano, episodi tratti dalle più celebri pellicole e ormai passati nel nostro immaginario collettivo: Arancia Meccanica, Kill Bill, Alien, Shining, Il Padrino e altri ancora. La mostra, curata da chi scrive insieme a Fabrizio Lollini, docente di Storia della miniatura dell'Università degli Studi di Bologna, può essere un'occasione unica per scoprire un po' più da vicino il concetto stesso di arte e di illustrazione libraria presso gli ottomani.
Accanto alle invenzioni digitali così ricche di decorativismo e colore di Palta, la seconda mostra ospitata al Museo ci presenta i lavori del bulgaro (trapiantato da anni in Italia) Kiril Cholakov, un artista dalle grandi doti di sensibilità e lirismo reduce da una recente e apprezzatissima partecipazione alla Biennale del Disegno di Rimini. Al contrario di Palta, Cholakov punta a coinvolgerci emotivamente attraverso delicate visioni a monocromo costruite mediante flussi interminabili di parole che rivestono, come una nebbia, grandi tele bianche. I suoi sono frammenti di memoria che ritornano dopo anni di torpore, tracce di  esistenze solitarie ed epiche, immagini di una terra di mezzo dove il protrarsi e il ritrarsi di grandi Imperi ha sedimentato un paesaggio del ciò-che-rimane.
Il ricco cartellone del museo bagnacavallese si completa con l'esposizione all'interno di tre sale appena riaperte al pubblico di una nutrita selezione di incisioni della donazione Giuseppe Maestri, da poco acquisite nelle collezioni museali. L'opera del compianto artista di Sant'Alberto ci introduce in un mondo onirico e sospeso, che presentandoci la sua "Ravenna sognata" ci trasporta inevitabilmente, grazie alle onnipresenti navi immaginarie, in una dimensione dall'atmosfera vibrante di colori, decoratività e ritmi musicali. Un'atmosfera, insomma, orientale e costantinopolitana.
Le tre mostre del progetto "Passaggio a sud-est" si apriranno sabato 20 settembre e si chiuderanno il 16 novembre. Nell'occasione dell'inaugurazione è previsto un incontro con gli artisti Palta e Cholakov. A seguire un concerto nel chiostro a cura del Collegium Musicum Classense con musiche ispirate all'Oriente.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 21 [2014 - N.50]

Inaugurata una nuova sezione del MIC dedicata alla scultura internazionale del XX secolo

Claudia Casali - Direttrice Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza

Negli ultimi quattro anni il Museo Internazionale delle Ceramiche ha adottato una politica museale di ampliamento delle sezioni permanenti con l'obiettivo di portare alla pubblica fruizione il proprio patrimonio, una priorità importante che ha tralasciato quella dedicata agli eventi effimeri, ovvero le mostre temporanee. Quindi nuove opere inserite nel percorso di visita ma anche nuovi settori aperti al pubblico per indagare i rapporti, la storia, la cultura ceramica dei diversi popoli e delle diverse epoche. Partendo dal percorso sull'arte sacra (a completare la sezione di ceramica devozionale) a quello sulla ceramica dell'estremo oriente (Cina, Giappone, sud-est asiatico), dal completamento della parte precolombiana all'apertura di una sezione dedicata alla storia della piastrella e del rivestimento ceramico dal Medioevo al XX secolo, lo scorso settembre è stato inaugurato il corridoio dedicato alla scultura internazionale del XX secolo.
Sono oltre un centinaio le opere esposte, a documentare la straordinaria vivacità della scultura ceramica internazionale: opere giunte nelle Collezioni faentine grazie al prestigioso Premio Faenza (attivo dal 1938 e divenuto internazionale nel 1963) e alle tante donazioni di personalità (collezionisti, artisti, appassionati d'arte) che hanno visto nel MIC un punto di riferimento per la ceramica internazionale e hanno creduto nella scientificità e nella unicità delle raccolte faentine.
Dopo la visita alla parte relativa all'arte italiana del XX secolo, il visitatore ha la possibilità di ammirare un percorso internazionale dove si rintracciano modalità progettuali e poetiche molto simili e condivise. Ciascun Paese è rappresentato da autori di primaria importanza ed esprime peculiarità artistiche legate alla propria cultura ceramica. Se negli anni '50 l'attenzione era maggiormente focalizzata sulla tecnica e sull'oggetto ceramico di archetipica memoria (il piatto o il vaso), dagli anni '60 la ceramica diviene sempre più strumento di un linguaggio ceramico scultoreo. Gli esiti del Concorso faentino, vero sismografo delle tendenze artistiche delle varie epoche, lo dimostrano e sottolineano risultati espressivi e stilistici legati alle principali poetiche dell'arte contemporanea: informale, pop art, astrattismo, arte concettuale, e via dicendo, fino ai recenti esiti di unione di espressività differenti e legate maggiormente ai linguaggi attuali più installativi. Accanto ai noti vincitori del Premio faentino, si affiancano artisti di rilievo della storia dell'arte ceramica, tra cui spiccano Albert Diato, Betty Woodman, Sueharu Fukami, Carlos Carlè, Leo Tavella, Arman, Louis Cane, Tony Lattimer, Linde Burkhardt, Carmen Dyonise, Alfredo Sosabravo, Jindra Viková, Maria Teresa Kuczynska, Claudi Casanovas i Sarsanedas, Petra Weiss, e i giovani Shigeki Hayashi, Eri Dewa, Jun Nishida. Oltre venti le nazioni rappresentate in un dialogo artistico e culturale davvero affascinante, in una evoluzione strutturata per decadi fino alla contemporaneità (l'ultima opera presentata è di Paivi Ritaniemi, vincitrice del 58° Premio Faenza 2013).
Questa Raccolta sarà un work in progress poiché le opere verranno sostituite ed integrate soprattutto nella parte relativa agli ultimi anni, in relazione ai risultati dei vari Premi Faenza e per fornire al visitatore nuovi stimoli e suggestioni alla visita alle nostre Raccolte; sempre in quest'ottica, il 6 dicembre 2014 viene presentato il nuovo riallestimento della sezione islamica, con ampliamento di pezzi esposti e apparati didattici, unito alla presentazione della nuova guida didattica, agile strumento di lettura e di approfondimento.
Questa importante sezione espositiva è stata realizzata grazie al fondamentale contributo della Fondazione Banca del Monte e Cassa di Risparmio di Faenza, con il supporto della Regione Emilia-Romagna.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 21 [2014 - N.51]

Al Mar un avvincente itinerario attraverso il paesaggio italiano dal Risorgimento alla Grande Guerra

Alberta Fabbri - Copnservatrice Museo d'Arte della Città di Ravenna

Quale sarebbe la percezione dell'Italia senza lo sguardo d'Oltralpe? Le pagine di Goethe nel Viaggio in Italia (1786) riverberano di una luce meridiana che è già nostalgia per come il tramando dell'ideale classico si coniugava con l'insorgenza di nuove istanze, e nuovi stili, dando vita a quello speciale palinsesto che è il paesaggio italiano. Il viaggio procede tra mille difficoltà da una capitale all'altra: Venezia, poi Roma saltando Firenze, quindi Napoli, infine la Sicilia, ancora poco battuta dai viaggiatori. Eppure nelle impressioni di un tedesco trentasettenne la penisola offriva una singolare compenetrazione di natura e architettura che dava vita a "una seconda natura destinata alla pubblica utilità".
Pochi anni e sarà il francese Quatremère de Quincy a difendere l'integrità del tessuto italiano con un'appassionata requisitoria contro i danni delle spoliazioni napoleoniche per la mutilazione dell'identità.
Da qui parte la mostra Il Bel Paese. L'Italia dal Risorgimento alla Grande Guerra, dai Macchiaioli ai Futuristi, promossa dal Museo d'Arte della Città di Ravenna con Fondazione Cassa di Risparmio, per la cura di Claudio Spadoni. Dallo sguardo forestiero di un vedutista, l'olandese Tetar van Elven, impegnato per i Savoia in alcuni dipinti che dovevano rappresentare l'Unità d'Italia. Come La Veduta fantastica dei principali monumenti d'Italia (1858) dalle Raccolte Frugone di Genova, che con dovizia di flamand enumera i monumenti eccellenti ad alta intensità civica infilandoli nel teatro naturale che li ospita, tra catena alpina, dorsale appenninica e la marina. È il 1858: Ruskin torna in Italia per la terza volta, dopo il soggiorno veneziano che aveva ispirato le pagine di Stones of Venice, meditata riflessione sulla qualità dell'architettura veneziana che non aveva lasciato indifferenti i Preraffaelliti. Era come se il diaframma della catena montuosa consentisse, d'Oltralpe, di mettere a fuoco un'unità storico-culturale e paesaggistica che ancora non godeva di legittimazione politica. L'unità di un Paese pervaso da una misura che non conosceva la sproporzione della rivoluzione romantica.
Da vicino a prevalere sembrava invece la varietà dei regionalismi con i loro idiomi inossidabili, disponibili a dialogare solo nel racconto dell'insorgenza patriottica, che la mostra pone ad antefatto per una stagione che si voleva smarcata dall'antico - antico regime? - in nome dell'attualità e dei suoi cronisti. E se il britannico Thomas non esita a concedersi il décor tardo romantico di una passerella di giubbe, pennacchi e cappe per Garibaldi in assedio a Roma (1871), l'italiano Cammarano non risparmia il fragore nella Presa di Porta Pia, mentre Induno non fa sconti ai profughi, nuovi miserabili.
Fino a Silvestro Lega che incardina la vicenda risorgimentale nell'esperienza artistica. I Bersaglieri che conducono prigionieri austriaci (1861), sono finestra sul vero e preludio di pittura all'aria aperta. Ma anche preludio di macchia, prima che questa si estenui nel puntinismo divisionista. O nel filamento fiammante del tratto simbolista. Perché la narrazione risorgimentale si rigenera fino alle soglie del Novecento con le Manovre militari (1890) di Fattori e la Carica della cavalleria del Monferrato alla battaglia di San Martino (1900), del già simbolista Vittorio Guaccimanni.
Con l'irruzione della realtà la veduta, ancora celebrata da Caffi, diventa anacronistica e il paesaggio abbraccia l'orizzonte del quotidiano. Il fortunato panegirico dell'abate Antonio Stoppani, Il Bel Paese. Conversazioni sulle bellezze naturali, la geologia e la geografia fisica dell'Italia (1876), mutuava da Dante, e poi Petrarca, l'idea che la Bellezza fosse nel destino di questo Paese. Ma è con Robert de La Sizeranne, e il saggio Ruskin et la religion de la beauté uscito a Parigi nel 1897 e divulgato in Italia grazie a Ugo Ojetti per «Nuova Antologia», che il paesaggio diventa il "volto amato della Patria".
Il volto del quotidiano, gravido com'era di attese, si trasforma in paesaggio tout court. E se la Fanciulla sulla roccia a Sorrento (1871) di Palizzi ne è un anticipo, le Gabbrigiane (1885, 1888) di Lega, il traffico industrioso del Sobborgo di Porta Adriana a Ravenna (1875) di Signorini, o gli scorci maestosi di Fontanesi che nella pittura romantica inglese aveva intinto il pennello, sono i tanti volti di quel paesaggio che faceva dell'Italia il Bel Paese.
Un Paese che si affacciava sull'Europa, come attesta Bonzagni in uno sfrontato brano di vita del 1910 dall'aria secessionista ma con vertigini già espressioniste.
Il grande affresco dei regionalismi per la prima volta si compattava nel segno di un linguaggio nuovo, quello dei futuristi che aveva fatto abiura del passato. Il linguaggio della modernità si presentava anzitutto iconoclasta e teso a celebrare la potenza della macchina e la sua funzione demiurgica per un'estetica consegnata al rombo del motore nella prefigurazione di una nuova era. Quella stessa che molti della generazione di Boccioni, Balla, Russolo, Depero, non avrebbero conosciuto, interrotta come fu dalla guerra. De Chirico, Carrà, Sironi, Casorati i semi per una storia che dalle ceneri di una tragedia si sarebbe risollevata attingendo alla forza rigeneratrice della tradizione. E dell'antico.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 21 [2015 - N.52]

Rinnovati due allestimenti del museo faentino per esplorare al meglio la ceramica europea e quella italiana del Novecento

Claudia Casali - Direttrice MIC di Faenza

È stato inaugurato lo scorso 30 maggio il riallestimento della Sala Europa e dell'arte italiana del secondo dopoguerra, con l'esposizione di pezzi da decenni collocati nei depositi. Come ho più volte sottolineato l'obiettivo di ciascun Direttore di una Istituzione pubblica deve essere la tutela, la valorizzazione e la promozione del proprio patrimonio e delle proprie collezioni. Con questa priorità dal 2011 sono stati esposti alla pubblica fruizione circa 4000 manufatti in più rispetto a quelli già visibili (grazie all'apertura di nuove sezioni come Arte sacra, Arte orientale, tessuti precolombiani, piastrelle e rivestimenti ceramici, Arte internazionale del secondo dopoguerra).
È il caso ad esempio della "Sala Europa", che cambia veste espositiva con l'ampliamento dell'arco cronologico e dei centri produttivi in mostra. Le ceramiche scelte sono state suddivise in base al materiale (maiolica, grès, terraglia, porcellana) per agevolare il dialogo e il confronto tra nazioni, ciascuna rappresentata attraverso le proprie eccellenze e specificità. Un ampio excursus è dedicato alla maiolica europea con gli splendidi lustri spagnoli, le fantasiose "cineserie" in "bianco e blu" di Delft, gli ornati floreali "a piccolo fuoco" che nel corso del Settecento da Strasburgo e dai centri del sud-est della  Francia si diffusero in tutta Europa, fino alle sue propaggini orientali. Ma le vere innovazioni del XVIII secolo furono la porcellana e la terraglia. Ambita per secoli da sovrani e notabili attraverso il collezionismo dei pregiati vasellami cinesi e giapponesi, la porcellana fu la vera "regina di tutto il secolo". La scoperta della porcellana dura anche da parte dell'Europa, a opera dell'alchimista Johan Friedrich Böttger nel 1708 a Meissen, decretò la sua rapida diffusione presso le più importanti manifatture (per esempio Meissen, Fürstenberg, Berlino, Frankenthal, Ludwigsburg in Germania, ma anche Vienna, Sèvres, San Pietroburgo). Un analogo successo commerciale fu conseguito anche dalla terraglia, introdotta dai ceramisti inglesi dello Staffordshire già a partire dagli anni Venti-Quaranta del XVIII secolo. Meno costosa della porcellana, ma più fine della maiolica, la terraglia con la sua caratteristica tonalità avorio si rivelò il materiale ideale per incarnare l'elegante purezza del gusto neoclassico. La produzione europea in grès è brillantemente esemplificata da una selezione di boccali da birra dal tipico rivestimento a salatura, risalenti al XVI-XVII secolo, dei centri di Raeren, Colonia e la regione del Westerwald. Il XX secolo si caratterizza soprattutto nel primo ventennio per il raffinato stile liberty, diffuso e declinato nelle varie nazioni con personalissimi risultati. Uno spaccato particolare è fornito inoltre dalle ceramiche della Repubblica di Weimar. Chiude il percorso l'esperienza di Picasso a Vallauris, che anticipa concettualmente la sala attigua dedicata alla scultura internazionale del XX secolo.
Il secondo riallestimento riguarda proprio il XX secolo. A seguito della mostra "La ceramica che cambia", inaugurata lo scorso anno, si sono poste delle questioni critiche relative alla disposizione delle opere. Si è scelta la valorizzazione tematica del percorso in quanto il secondo dopoguerra non può, se non minimamente, essere affrontato da un punto di vista cronologico. L'obiettivo era quello di rendere fruibili le opere seguendo tematiche immediatamente riconoscibili dai visitatori: l'espressione figurativa e il picassismo, l'informale, il minimalismo e l'astrazione, i percorsi personali, le nuove promesse del XXI secolo, con i recenti premi Faenza (Andrea Salvatori, Giovanni Ruggiero, Nero, Silvia Celeste Calcagno). Il risultato è un percorso più dinamico e meglio leggibile con nuove opere esposte, nuovi protagonisti, nuove dialettiche poetiche che si aprono ai nostri sguardi.
Il riallestimento è stato reso possibile grazie al contributo di Banca di Romagna - Gruppo Cassa di Risparmio di Cesena.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 21 [2015 - N.53]

Esposte fino al 26 giugno le opere di Ugonia custodite nella Pinacoteca della sua città natale

Claudio Casadio - Direttore Pinacoteca comunale di Faenza

Giuseppe Ugonia è litografo riconosciuto a livello internazionale fin da quando, poco più che trentenne, fece parte dal 1912 al 1914 del gruppo artistico e letterario che pubblicava la rivista "Eroica", espose a Brighton invitato dal Senefelder Club, vinse la medaglia d'oro all'Esposizione Internazionale del libro e dell'Arte grafica di Lipsia, partecipò per la prima volta alla Biennale di Venezia.
Ugonia però è sempre stato legato al suo centro di adozione, quella Brisighella dove ha vissuto tutti gli anni lavorativi della sua vita e da cui non solo non si è mai allontanato ma che ha sempre preso come soggetto delle sue opere. Brisighella ha sempre ricambiato questa sua predilezione, ospitando dal 1985 nell'ottocentesco palazzo dell'ex pretura un museo a lui dedicato.
E a Brisighella, nello scorso dicembre, è stata presentata un'importante pubblicazione dedicata all'attività artistica di Giuseppe Ugonia: una vera e propria rassegna d'opera, come è affermato anche nel titolo, curata con un'attenta ricerca da Giovanni Bianchi. La pubblicazione raccoglie quaranta litografie maggiori, prodotte dal 1909 al 1939, quattro quadri a olio del 1909, anno del suo arrivo a Brisighella, sedici disegni e quarantuno acquerelli. Completano l'opera la stampa di trentacinque lavori definiti soggetti litografici rilevanti, la pubblicazione di quattordici xilografie, presentate da uno studio di Gian Ignazio Cerasoli, otto tavole che riportano il lavoro di affrescatore e di disegnatore per i ricami della Chiesa dell'Osservanza. Ultimo capitolo del libro è dedicato, con ben ventisette tavole, all'attività di grafico svolta per la ditta di inchiostri Diletti, attiva a Brisighella dalla seconda metà dell'Ottocento agli ultimi decenni del Novecento.
Tale opera, realizzata presso la storica Tipografia Valgimigli di origini brisighellesi, permette un importante passo nella documentazione dell'attività dell'artista romagnolo. Non si tratta ancora di quel lavoro che Franco Bertoni ha auspicato in occasione della mostra Tuttugonia tenutasi a Brisighella nel 2012, "un contributo monografico che finalmente dia conto della vastità della sua opera - tra litografie, incisioni, disegni, acquerelli, progetti per le arti decorative - e delle relazioni intessute con altri artisti o esponenti del mondo culturale dell'Italia tra le due guerre", ma è sicuramente un passaggio notevole, quasi conclusivo.
La pubblicazione di Giovanni Bianchi ha consentito, tra l'altro, un'altra significativa realizzazione. Durante le fasi di ricerca infatti, lo studio presso i fondi della Pinacoteca Comunale di Faenza ha permesso di aggiornare la conoscenza delle opere di Ugonia nelle collezioni faentine. Frutto di vari acquisti, compresi quelli fatti nel 1932 dalla mostra d'Arte della Settimana Faentina, e portati da donazioni come quelle del dottor Paolo Galli o della signora Maria Grazia Masironi che nel 1975 donò una raccolta molto significativa di opere di Ugonia, nelle raccolte della Pinacoteca sono conservate più di sessanta opere dell'artista faentino di nascita e brisighellese d'adozione.
In occasione della presentazione della pubblicazione è sembrato non solo giusto ma inevitabile organizzare una mostra dedicata a questo fondo faentino di opere di Ugonia. Per dare un valore alla mostra è sufficiente affermare che delle quaranta litografie inserite nel capitolo iniziale della pubblicazione di Giovanni Bianchi, ben trenta sono presenti nella collezione della Pinacoteca faentina. Altra bella documentazione in mostra è data da alcuni disegni preparatori delle litografie e da sei acquerelli. Vari anche i lavori pubblicati per la prima volta nello studio di Bianchi. Tra questi due disegni dedicati a Faenza, con il campanile di Santa Maria ad Nives e la Madonna di Piazza del campanile municipale realizzati nel 1941, che forniscono quindi anche l'ultima testimonianza artistica di due monumenti cittadini coinvolti nelle distruzioni della Seconda guerra mondiale. Questi disegni, inseriti in una serie di sei opere da cui avrebbero dovuto essere realizzate cartoline della città di Faenza, sono anche gli ultimi lavori noti di Ugonia che in questo modo, pur restando nella non lontana Brisighella, ha ricostruito il legame artistico con la sua città natale. Legame che Faenza ricambia con questa mostra che resterà aperta presso la Pinacoteca Comunale fino alla fine di giugno.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 21 [2016 - N.55]

Il riordino della Collezione Moderna e della Collezione Contemporanea del Museo d'Arte della Città di Ravenna

Alberta Fabbri - Conservatrice MAR di Ravenna

"Le liste pratiche rappresentano a loro modo una forma, perché conferiscono unità a un insieme di oggetti che, per quanto difformi tra loro, ubbidiscono ad una pressione contestuale, ovvero sono apparentati per [...] costituire il fine di un certo progetto."
Così Umberto Eco nella Vertigine della Lista (2009).
L'ordinamento di una collezione pubblica è di per sé enunciato, l'enunciato che riflette la forma della patrimonializzazione con gli snodi che marcano la ricontrattazione dell'identità nel patto del Museo con la comunità di riferimento. L'enunciato trova poi rispecchiamento in quella selezione di opere che è quanto resta dell'inventario una volta che il deposito - e non solo in via di metafora - si sia decantato lasciando affiorare le dinamiche del patrimonio nel suo divenire. Che a Ravenna si forma nel 1829, con la nascita della provinciale Accademia di Belle Arti, sull'onda lunga della Rivoluzione Francese che ha portato alla formazione delle grandi gallerie della Repubblica Cisalpina. E come per la gran parte delle raccolte civiche di area padana anche a Ravenna il patrimonio prende avvio dalla confluenza dei flussi provenienti in parte dalle corporazioni religiose soppresse e in parte dal collezionismo privato.
La compenetrazione dei due istituti determinava, poi, il confronto con le dinamiche dell'arte che sporgono sull'attualità. I primi segnali di novità, dopo decenni di perdurante accademismo neoclassico, si registrano nel 1870, con l'arrivo del fiorentino Arturo Moradei che si era formato al purismo di Ciseri ibridandosi poi, nelle frequentazioni di Caffè Michelangiolo, con la lezione dal "vero".
Il Catalogo dei Quadri Antichi e Moderni esistenti, a tutto il 1889, è il terminus a quo per registrare una prima formalizzata divisione fra "Quadri Antichi" e "Quadri Moderni": una raccolta chiusa la prima, in divenire la seconda. Si prepara per l'Accademia una nuova stagione. Nel 1896 Corrado Ricci licenzia il riordino della Galleria secondo un criterio che al bell'ordine di gusto neoclassico sostituisce un approccio conoscitivo di scienza positiva basato sull'enucleazione delle scuole tenendo conto dei nessi storici e dei rimandi tra i centri di produzione. La forbice tra lo spazio conoscitivo del Museo e il laboratorio creativo dell'Accademia, le cui funzioni erano state separate e chiarite con regio decreto 13 marzo 1882, n. 678, trova una prima organizzazione formale.
A Guaccimanni, allievo di Moradei, spetta il compito di aprire l'Accademia alle Arti Applicate affiancando artisti ed artieri per un percorso formativo da inscriversi nelle linee tracciate dall'Art & Crafts per estendere il dominio estetico allo spazio del quotidiano in virtù delle opportunità tecnologiche rese disponibili dalla rivoluzione industriale. In questo senso l'Esposizione del 1904 rappresenta l'aggiornamento della città alle Universali, sia pur in un'ottica tutta regionale, allo scopo di portare i contributi innovativi del territorio al servizio di una nazione di recente formazione.
Diversa, invece, la storia della Collezione Contemporanea. Dopo un primo, fallimentare, tentativo di Corrado Ricci per istituire una Galleria d'Arte Moderna e Contemporanea (1919), a partire da un nucleo di opere provenienti dalla Galleria Nazionale d'Arte Moderna di Roma, occorre attendere gli anni settanta per assistere a un rilancio dei due istituti. Il 1972 segna la nascita della Pinacoteca Comunale e il trasferimento presso la Loggetta Lombardesca. La nuova agenda insiste su un programma di mostre d'arte contemporanea. L'attività espositiva, in prevalenza orientata a cicli di antologiche in omaggio a riconosciute personalità della scena italiana, ma non solo, portò ad accessioni - per lo più acquisti - per qualificare Ravenna nel circuito dei musei a vocazione contemporanea.  Sono documentate le aree della Pop romana, gli orientamenti analitici espressi dal laboratorio milanese, alcune presenze di area torinese, e concettuale più che poverista, con la recente aggiunta dell'Informale di area emiliana.
Questi gli snodi, gli snodi soltanto, per una domanda, quella degli spazi e delle possibilità di espansione, a tutt'oggi aperta.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 21 [2016 - N.56]

L'indagine ICOM Italia su "musei e paesaggi culturali" premia il progetto dell'Ecomuseo delle Erbe Palustri

Luca Andreini - Ecomusei Erbe Palustri di Villanova di Bagnacavallo

In occasione della 24a Conferenza generale dell'ICOM, tenutasi a Milano dal 3 al 9 luglio scorsi, si è tenuta la premiazione delle migliori pratiche dell'Emilia Romagna che hanno partecipato all'indagine nazionale sul rapporto fra "musei e paesaggi culturali", promossa nel 2015 da ICOM Italia.
All'indagine hanno partecipato 200 musei italiani, i cui progetti sono stati selezionati prestando attenzione è stata posta alla capacità del museo di comunicare le proprie attività, all'originalità del rapporto tra museo e contesto, alla stabilità nel tempo dell'attività. Ne è emersa una lista di 35 progetti giudicati particolarmente meritevoli per la pertinenza con il tema, la congruenza tra obiettivi e azioni, le modalità di verifica del progetto. Si è infine considerato il ruolo del museo sul piano della tutela e/o studio e documentazione e/o educazione/mediazione sul paesaggio circostante e il coinvolgimento attivo del pubblico/cittadinanza nelle attività del museo, nella definizione del prodotto finale e/o nella definizione di politiche territoriali (nel caso di ecomusei).
Tra le realtà di casa nostra si è distinto l'Ecomuseo delle Erbe Palustri di Villanova di Bagnacavallo che con il progetto "Lamone Bene Comune", oltre ad essere stato incluso fra i dieci più significativi che si sono guadagnati la qualifica di "eccellente pratica nella relazione fra museo e paesaggio culturale", ha ottenuto anche una menzione speciale insieme al MAMbo di Bologna e al Museo della Marineria di Cesenatico.
Il progetto partecipato "Lamone Bene Comune" ha mosso i primi passi nel 2005 grazie a un finanziamento europeo per il recupero della sommità arginale del fiume Lamone con la realizzazione di un percorso ciclopedonale che coinvolge i Comuni di Bagnacavallo, Ravenna e Russi, crescendo negli anni e prendendo forma e continuità nel 2010, arrivando a coinvolgere altri Comuni ed enti, associazioni naturalistiche, di promozione sociale e culturale, strutture ricettive, aziende e centri di educazione ambientale. Tutti accomunati dalla volontà di valorizzare il fiume e i territori circostanti dal punto di vista ambientale e turistico, fornendo un'occasione di incontro nei tavoli di negoziazione. Il percorso è stato possibile anche grazie a contributi regionali ottenuti attraverso bandi per l'educazione alla sostenibilità e per progetti di partecipazione.
Numerosi i risultati raggiunti in questi anni: dalla pubblicazione annuale della guida Lòng e' fion (Lungo il fiume) alla definizione del marchio Terre del Lamone, dalla realizzazione del Quaderno della vita di fiume alla programmazione di iniziative di promozione territoriale come la Pedalêda cun la magnêda longa e i Lòm a Mêrz, da progetti didattici alla stesura del Manifesto delle Terre del Lamone e della Mappa delle Tipicità.
A presentare il progetto e ad assistere a questo importante riconoscimento è andata in trasferta una piccola delegazione bagnacavallese. Il presidente di Icom Italia, Daniele Jalla, al termine della presentazione, ha speso parole di grande apprezzamento per un progetto molto coinvolgente che ha saputo instaurare un rapporto intenso con le comunità di riferimento, e grazie a una modalità di lavoro spontanea e naturale è riuscito a farsi ben comprendere dalla comunità attiva delle Terre del Lamone.
Un riconoscimento che rende orgogliosi l'Ecomuseo, l'amministrazione comunale e tutti i partner che nel corso degli anni hanno collaborato e che continuano a portare avanti il progetto, consapevoli del ruolo importante che può svolgere se integrato e promosso all'interno di un contesto paesaggistico riqualificato, che per le varie comunità può rivelarsi una potenziale risorsa non solo economica ma soprattutto culturale.
In un presente sempre più globalizzato siamo convinti che sia di fondamentale importanza avere la consapevolezza delle proprie origini e del proprio territorio, e che soprattutto le giovani generazioni abbiano l'opportunità di riconoscersi nel luogo in cui vivono, di sentirsi parte di una realtà fatta di valori unici che sanno di poter trovare lì e solo lì.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 21 [2016 - N.57]

Un gusto internazionale raccontato attraverso la ceramica, ma anche grafiche, vetri e metalli dei protagonisti del Déco italiano

Claudia Casali - Direttrice MIC Faenza

Jazz, fox-trot, tango, identità tra maschile e femminile, emancipazione femminile, orientalismo, ritmo, velocità delle automobili, modernità della metropoli, innovazione e glamour: questi sono i tratti distintivi della moda che investì gli stili di vita della classe borghese internazionale tra gli anni Venti e Trenta del Novecento. Il Déco fu appunto uno stile di vita, un gusto, come ha più volte sottolineato la storica dell'arte Rossana Bossaglia, una moda che portò alla grande scoperta dell'alto artigianato artistico. Una strada già avviata dal Liberty che nel Déco vide l'abbandono delle linee sinuose per quelle astratte, più rigorose, zizzagate, attente alla produzione in serie, avviate dalle ricerche futuriste di Depero e Balla.
La mostra, in corso al MIC fino al 1° ottobre 2017, concentra la propria attenzione sulla produzione ceramica italiana e internazionale a partire proprio da quella faentina che, in quegli anni, fu fondamentale per lo sviluppo e l'affermazione del gusto Déco in Italia. Questo avvenne grazie a figure di spicco come Domenico Rambelli, Francesco Nonni, Pietro Melandri, Anselmo Bucci, Riccardo Gatti, Giovanni Guerrini, Ercole Drei, creativamente attivissimi grazie all'aggiornata "scena" stimolata dalla presenza del Museo Internazionale delle Ceramiche e dalla Regia Scuola Ceramica, fondati da Gaetano Ballardini rispettivamente nel 1908 e nel 1919. Autori poliedrici e politecnici, che si occuparono anche di grafica, ebanisteria, intarsio, moda, e che furono protagonisti - nella doppia veste di partecipanti e curatori - prima di tutte le Biennali Internazionali dedicate alle arti decorative organizzate da Guido Marangoni nella prestigiosa sede della Villa Reale di Monza (1923, 1925, 1927), e in seguito delle triennali (Monza 1930, Milano dal 1933).
Un ruolo di rilievo è dato alla figura di Francesco Nonni, di cui sono esposte diverse opere, tra le quali alcune pressoché inedite. Per la prima volta sarà visibile al pubblico il Corteo Orientale del 1925 - il MIC possiede una versione successiva, del 1927 - che vinse la medaglia d'oro all'Esposizione internazionale di arti decorative e industriali moderne di Parigi, evento che sancì la nascita ufficiale del termine "Art Déco". Di Nonni è anche la Danzatrice (1924), un'opera inedita.
Déco definisce il senso e il segno di un tempo che si mescola con le categorie di Ritorno all'ordine, Valori Plastici, Novecento, Astrazione e Realismo magico; esprime il gusto eclettico di un'epoca instabile, risultato e commistione di vari stimoli, che, nonostante le avversità economiche e politiche, prosegue il suo cammino fino alla metà degli anni Trenta. Gli autori selezionati hanno realizzato i pezzi più significativi del Déco italiano.
Le ceramiche in mostra sono poi affiancate da vetri, tessuti, legni e metalli di Guerrini, dalle xilografie di Nonni, dai mobili di Berdondini, dagli specchi dell'Ebanisteria Casalini, dai magnifici esemplari realizzati presso la Regia Scuola sotto la direzione artistica e tecnica rispettivamente di Domenico Rambelli e di Anselmo Bucci. Diversi i raffronti nazionali, con le splendide ceramiche di Gio Ponti e Giovanni Gariboldi per la Richard Ginori, le manifatture Lenci e Rometti, e internazionali, con le ceramiche tedesche della Repubblica di Weimar, la produzione austriaca della Wiener Werkstätte - che mostra i nuovi stilemi introdotti da Michael Powolny, Otto Prutscher, Dagobert Peche, Vally Wiseltier -, le ceramiche belghe - con le manifatture di Boch Frères e la Fabbrica Imperiale e Reale di Nimy -, le opere danesi delle manifatture Bing & Gröndhal di Copenhaghen, i cui pezzi, esposti a Monza alla Biennale del 1927, furono poi donati dall'allora direttore Paul Simonsen al Museo faentino per arricchire le collezioni internazionali.
La mostra si inserisce nell'ambizioso progetto Art Déco. Gli anni ruggenti in Italia dei Musei di San Domenico di Forlì, promosso dalla Fondazione Cassa dei Risparmi di Forlì, e fa parte di un circuito espositivo, anch'esso promosso dalla stessa Fondazione, in cui è compresa anche Magiche Atmosfere Déco, curata da Beatrice Sansavini e Paola Babini presso il Padiglione delle Feste e del Divertimento di Castrocaro Terme (dal 18 febbraio al 2 luglio 2017).


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 21 [2017 - N.58]

Il millenario del santo è l'occasione per riscoprire una delle figure religiose più importanti per la storia della chiesa.

Franco Gàbici

La ricorrenza del centenario della nascita di Pier Damiani (o Damiano) costituisce oggi una preziosa lente di convergenza per mettere a fuoco i contorni di una figura di straordinaria importanza per la storia della Chiesa, ancora poco conosciuta e legata a qualche vago ricordo liceale che lo associa alla famosa terzina del XXI canto del Paradiso di Dante che ha dato parecchio filo da torcere ai critici: "In quel loco fu' io Pietro Damiano,/e Pietro Peccator fu' nella casa/di Nostra Donna in sul lito adriano".

Nato a Ravenna nel 1007, i biografi scrivono che aggiunse al suo il nome Damiano come segno di riconoscenza verso il fratello che si prese cura di lui dopo essere rimasto orfano, ma la cosa non è sicura. È certo, invece, che studiò a Faenza e a Parma e che intorno al 1035 entrò nell'eremo di Fonte Avellana del quale divenne priore nel 1043. Uomo di idee e apprezzato consigliere dei papi, collaborò alla grande riforma della Chiesa promossa da Leone IX, che gli fu amico e che lo nominò priore del convento di Ocri, fondato nei pressi di Sarsina dallo stesso Pier Damiano.

La vita del santo si lega profondamente ai luoghi di Romagna, dove nacque e morì: oltre al monastero di Ocri, infatti, fondò il cenobio di San Gregorio a Morciano e fu a Faenza, dove morì ed ebbe sepoltura, nella chiesa di Santa Maria foris portam, che conserva l'intitolazione al santo di una cappella, posta vicino alla cella campanaria. Le sue spoglie furono traslate, nel 1898, in una cappella della navata sinistra del Duomo, decorata da Tomaso Dal Pozzo con dipinti che ripercorrono la vita del santo. Nel 1053, sempre nella diocesi di Faenza, fondò, in un luogo isolato e coperto da foreste di aceri, l'eremo di Gamogna, dove spesso amava risiedere, e, più a valle, il cenobio di S. Giovanni Battista, secondo i dettami camaldolesi della armonica compresenza di vita eremitica e cenobitica.

Nel 1057 papa Stefano IX lo nominò cardinale e vescovo di Ostia, incarico che accettò per evitare la scomunica, pur essendo più interessato alla vita conventuale. Come cardinale fu ambasciatore papale e "paciere" in alcune città italiane, ma, dopo una decina di anni, riuscì a rinunciare al cardinalato e a rientrare in convento per abbracciare quella vita alla quale si sentiva chiamato. Il silenzio e l'atmosfera del chiostro non lo distolsero dal suo lavoro di riformista, condotto fino alla morte, che lo colse il 22 febbraio del 1072.

A Ravenna, dove respirò i precetti romualdini messi in pratica nel monastero camaldolese, si conservano, presso la Biblioteca Classense, le opere principali del santo, tra le quali la biografia di San Romualdo, in svariate edizioni dal Cinquecento al Settecento, e due ritratti settecenteschi; più recente esempio di una venerazione non sopita è il ritratto realizzato dallo scultore Angelo Biancini per la chiesa parrocchiale di San Pier Damiano.

Pier Damiano fu sempre affascinato dalla vita contemplativa dell'eremo, una condizione alla quale tutti i monaci dovrebbero tendere. Avvertì fortissima l'esigenza di combattere i mali della Chiesa, che al suo tempo erano sintetizzati nella simonia, contro la quale scrisse il "Liber Gratissimus", e nel nicolaismo, che ammetteva il matrimonio dei sacerdoti. Damiano si scaglia con vigore contro quei chierici che vivono "velut iure matrimonii confoederentur uxoribus" e chiama "empie tigri" e "vipere furiose" le concubine. Tratterà anche il tema dell'omosessualità con il "Liber Gomorrhianus", un testo che è stato definito "l'asserzione medioevale più importante sul soggetto dell'omosessualità".

Pier Damiano, che Dante colloca nel "settimo cielo£ fra gli spiriti contemplanti, fu dunque "un autentico combattente, un pugnace assertore della vita cristiana, un aspro fustigatore della decadenza degli ecclesiastici e dei frati" (T. Di Salvo) e la riscoperta della sua voce a mille anni dalla nascita offrirà interessanti occasioni per scoprire una sorprendente attualità, un invito al silenzio e alla meditazione non disgiunti da una vita operosa e dall'impegno sociale.

Personaggi - pag. 22 [2007 - N.30]

Approvato dalla Giunta Provinciale il Piano museale 2008, finalizzato alla crescita continua della qualità

Eloisa Gennaro - Responsabile Ufficio Beni culturali Provincia di Ravenna

Il Piano museale rappresenta lo strumento principale con cui il Sistema Museale Provinciale svolge la sua funzione di coordinamento e di supporto alle istituzioni museali presenti sul territorio. Quest'anno, nel raccogliere ed esaminare le richieste di finanziamento presentate ai sensi della L.R. 18/2000, la Provincia di Ravenna ha tenuto conto delle linee guida triennali approvate dal Consiglio Provinciale, redatte in conformità al Programma degli interventi regionale per gli anni 2007-2009.
Tra le sostanziali innovazioni introdotte dal Programma regionale c'è sicuramente la graduale introduzione degli standard di qualità nell'ambito dei criteri di valutazione dei progetti da finanziare sul Piano museale, allo scopo di assicurare una maggiore continuità ed efficacia alle azioni promosse dagli Enti locali.
A tale proposito, nel 2008 è prevista obbligatoriamente la presenza del direttore e del regolamento del museo, da considerarsi dunque come i due standard minimi necessari per l'erogazione dei contributi. Va sottolineato come i musei del territorio si siano distinti nel conseguimento di tali requisiti, in tal modo creando le condizioni basilari per il graduale raggiungimento della totalità degli standard previsti dalla normativa.
Il Piano museale 2008 tiene conto dei progetti presentati da 15 enti pubblici o privati convenzionati e riguardanti 18 musei, dislocati in modo omogeneo su tutto il territorio provinciale (7 nell'area ravennate, 7 nell'area lughese, 4 nell'area faentina). L'importo finanziario ammonta complessivamente a € 576.622,00 così ripartito: € 120.000,00 fondi provinciali, di cui € 101.600,00 destinati ai singoli progetti e € 18.400,00 agli interventi diretti di sistema; € 138.000,00 trasferimenti regionali; € 320.622,00 come quota a carico dei singoli musei. In continuità con il 2007, gli interventi diretti della Provincia sono finalizzati sia a realizzare iniziative di comunicazione e promozione sia al potenziamento della strumentazione tecnologica e dei livelli di automazione dei musei.
Nel ripartire i fondi, il modello di autovalutazione che i musei hanno presentato necessariamente per accedere al Piano, si è rivelato un valido strumento per indirizzare gli interventi. La fotografia dello stato dei 18 musei ammessi al Piano ha posto in evidenza che le maggiori criticità sono la carenza di documentazione finanziaria, di registri di carico/scarico, di un piano annuale relativo alle attività educative, oltre a insufficienti azioni di conservazione preventiva delle collezioni. Poco più della metà dei musei possiede gli standard relativi ai rapporti con il pubblico, come l'apertura minima settimanale di 24 ore o la presenza di strumenti informativi diversificati, mentre molto alto è il numero dei musei che posseggono i requisiti di qualità nell'ambito della messa a norma della sede e del personale (laddove ben il 94% dei musei dichiara di adempiere alla normativa in materia di sicurezza e di garantire in modo continuativo le funzioni di direzione, conservazione, educazione e sorveglianza).
L'obiettivo della Provincia naturalmente è quello di far crescere attraverso il Piano tutti i musei del territorio, non solo quelli totalmente privi di requisiti di qualità né tanto meno quelli già eccellenti. Se con gli interventi di spesa corrente il Sistema si è adoperato per realizzare strumenti di informazione e promozione e l'aggiornamento del personale, le spese di investimento sono state indirizzate in larghissima maggioranza all'allestimento di sale espositive e d'accoglienza, di laboratori didattici e di depositi.
Tutte le azioni previste dal Piano 2008 mirano dunque al perseguimento del miglioramento dei servizi erogati dai musei e al raggiungimento degli standard di qualità previsti dalla Direttiva regionale, anche in funzione dell'importante percorso appena intrapreso dall'IBC per l'accreditamento dei musei emiliano romagnoli.
Il Piano 2008 e tutti i regolamenti approvati dai musei sono consultabili sul sito del Sistema Museale Provinciale.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 22 [2008 - N.32]

L'ultimo custode e 6x100: due nuove iniziative promosse dalla Provincia di Ravenna nel centenario del fumetto italiano

Massimo Marcucci - Ufficio Beni Culturali Provincia di Ravenna

In Francia, dove la bande dessinée, gode di ben altro credito rispetto all'Italia tanto da essersi guadagnata l'appellativo di "nona arte", non è un caso che nel 2005 il Museo del Louvre abbia coeditato assieme all'editore Futuropolis una collana a fumetti dedicata al celebre museo parigino pubblicando, fra gli altri, lo splendido volume Les sous-sols du Révolu di Marc-Antoine Mathieu, viaggio "de l'autre côté du miroir" alla scoperta della vita segreta e i dei luoghi più intimi di un museo il cui nome è il palese anagramma di Louvre.
È anche in iniziative come queste, pur con le dovute differenze, che trova sostegno l'attenzione che il Sistema Museale della Provincia di Ravenna sta da tempo riservando al rapporto museo-fumetti, a partire dalla mostra Nel mezzo del cammin di una vignetta... Dante a fumetti, organizzata nel 2004 in collaborazione con il Centro Dantesco dei Frati Minori Conventuali di Ravenna e il Cartoon Club di Rimini (mostra che dopo esser stata allestita a Ravenna e in varie città italiane, è giunta quest'anno all'Istituto Italiano di Cultura di Cracovia), nonché dal progetto Gulp! I fumetti al museo, nato per promuovere la ricca realtà museale locale presso il pubblico più giovane attraverso I misteri dei musei, collana di storie a fumetti di taglio giallo-esoterico.Dopo i primi volumi Ombre arcane e Il fuoco segreto, la collana sta per arricchirsi del terzo numero, di imminente pubblicazione, dal titolo L'ultimo custode la cui storia, scritta dall'estensore di queste note e sceneggiata da Gianni Barbieri, è stata disegnata da Gianni Sedioli, valente disegnatore ravennate che da anni fa parte dello staff di Zagor, la testata più longeva della casa editrice Bonelli dopo Tex.
Come nei precedenti due volumi, l'eccentrico cultore di storia locale Epaminonda Vallicelli si troverà coinvolto in un'inquietante vicenda che - dal 1849 ai giorni nostri - legherà re Salomone, Giuseppe Garibaldi, la Massoneria, una setta segreta, un antico grimorio, una ancor più antica testa in marmo raffigurante un essere bifronte e un taccuino segreto a cui molti danno la caccia. Coprotagonisti a tutti gli effetti della storia sono sette musei appartenenti al Sistema Museale della Provincia di Ravenna, ritratti fedelmente nelle vicende narrate con i propri contenitori, le proprie collezioni, persino il proprio personale, in una trama sospesa tra realtà e fiction che presta comunque particolare attenzione alla storia e alla cultura del territorio ravennate. Completano il volume, come oramai caratteristica della collana, una serie di schede informative sui musei presenti nella storia e una sorta di rubrica che racconta quanto c'è di vero e di falso nelle vicende narrate.
Per quanti volessero ammirare in anteprima le tavole de L'ultimo custode, corredate da sintetici ma esaustivi pannelli che illustreranno sia il progetto Gulp! I fumetti al museo che i sette musei del Sistema protagonisti della storia, lo potranno fare visitando uno dei due percorsi espositivi della mostra 6 x 100. Sei fumettisti ravennati nei 100 anni del fumetto italiano con la quale la Provincia di Ravenna ha inteso associarsi ai festeggiamenti per il centenario del fumetto italiano rendendo omaggio al mondo delle nuvole parlanti attraverso una ricca selezione di opere di sei fumettisti del territorio che, con tratti differenti e in tempi diversi, hanno arricchito il panorama nazionale e internazionale del fumetto nella convinzione che, come osservava già nel 1945 Giuseppe Trevisani sulle pagine de Il Politecnico di Elio Vittoriani, "è possibile raccontare (e raccontare bene) con qualsiasi mezzo: anche con le storielle a quadretti".


Esperienze di didattica museale - pag. 22 [2008 - N.33]

L'emozione di estrarre il sale nella suggestiva sezione all'aperto di MUSA a Cervia

Annalisa Canali - Direttore di Musa. Museo del sale di Cervia

Oggi il viaggio torna ad essere un percorso attraverso luoghi, ma anche attraverso cultura, tradizioni, valori ed esperienze. Si sta tornando alla curiosità e alla visione dei primi viaggiatori, che osservavano con occhi di bambino il territorio e annotavano scrupolosamente sui diari le emozioni che ambienti e persone suscitavano in loro nonché le particolarità, le caratteristiche dei luoghi e della natura. Sempre di più la vacanza è sentita come una opportunità per immergersi nella natura e nella cultura del territorio.
Questo concetto offre uno stimolo per vivere con tranquillità la località di vacanza andando a scoprire quanto di unico e particolare la caratterizza. Prendersi il tempo per scoprire i luoghi, assaporarli, odorarli, assaggiarli, comprenderne e viverne appieno l'atmosfera, è tipico della concezione di un modo nuovo, ma al tempo stesso antico di fare turismo. Questa filosofia di viaggio permette infatti di riscoprire interessi ed apprezzare piccole cose. A un popolo che vuole immergersi nell'atmosfera dei luoghi è giusto quindi offrire percorsi che possano soddisfare i suoi interessi e la voglia di sperimentare in prima persona. Si possono stimolare emozioni forti. A Cervia siamo fortunati perché grazie alla collaborazione del gruppo culturale Civiltà Salinara, è possibile immergersi molto efficacemente nel passato e nell'affascinante mondo della produzione del sale.
Si tratta di un percorso di nicchia, per piccoli numeri, che si è rivelato comunque un grande successo fin dal primissimo incontro. Dall'estate 2008 infatti il visitatore può, non solo partecipare alle visite guidate alla salina Camillone - salinetta a lavorazione artigianale, parte integrante di MUSA. Museo del sale - ma anche prendere parte al lavoro nella salina.
Come si possono provare emozioni autentiche se non attraverso l'esperienza diretta? Ecco quindi nascere l'iniziativa che i salinari hanno accolto con entusiasmo e che i turisti-viaggiatori hanno apprezzato tantissimo. Salinaro per un Giorno ha visto costantemente il tutto esaurito da luglio a settembre. Cinque persone ogni martedì estivo si sono cimentate nel duro mestiere del salinaro ed hanno provato l'emozione di estrarre il sale con le proprie mani (un limite quello del numero, che si è reso necessario per offrire ai partecipanti una corretta assistenza). I "maestri salinari", dopo una spiegazione iniziale mettono al lavoro i visitatori che sperimentano il metodo antico per estrarre il sale. Al lavoro ragazzi, insegnanti, madri di famiglia, ingegneri, insomma persone che nella vita svolgono mestieri fra i più disparati ed è sorprendente vederli scalzi sugli argini dei bacini, attenti alle attività e agli insegnamenti dei maestri Eros e Africo che li sollecitano ed educano alla magica arte di estrarre il sale.
Non di solo lavoro comunque è fatta la giornata dei salinari "in erba". Dopo la pratica fra vasche, attrezzi e mucchi di sale, uno spuntino di prodotti locali chiude una giornata di impegno ma anche di soddisfazione. Davanti ad un bicchiere di vino, a piadina e salumi, a tavola con i salinari c'è la possibilità di fare domande e di ascoltare episodi e aneddoti dalla viva voce di chi la salina l'ha vissuta davvero e l'ha sperimentata attraverso la propria avventura e i racconti di famiglia. Un attestato di partecipazione testimonia l'esperienza che solo a Cervia si può fare. Ma l'importante è viverla e viverla fino in fondo come hanno fatto e come continueranno a fare i viaggiatori che fanno tappa alla salina Camillone. Per informazioni: www.turismo.comunecervia.it.

Esperienze di didattica museale - pag. 22 [2009 - N.34]

A Fusignano un'esperienza di collaborazione attiva tra il Museo civico, il Laboratorio educativo comunale e la Scuola primaria

Paolo Trioschi - Ufficio Cultura del Comune di Fusignano

Il Museo Civico San Rocco di Fusignano, che custodisce l'importante Collezione Baroni di targhe devozionali popolari in ceramica datate dal XV al XX secolo, ha dedicato a tutte le mamme un momento davvero speciale: Le nostre Mamme: Targhe Affettive è il titolo di un'inedita mostra inaugurata il 10 maggio, in occasione della Festa della Mamma, e che è stata aperta per tutto il mese di giugno.
La particolarità di questo appuntamento è che ha esposto 50 opere realizzate dai ragazzi delle classi quinte della locale Scuola Elementare, all'interno dei laboratori artistici del centro educativo comunale "Il Cerchio", seguendo la stessa tecnica realizzativa delle targhe devozionali esposte permanentemente nel museo cittadino. Una metodologia antica ma ancora in uso, che ha permesso ai giovanissimi artisti di interpretare in queste particolari targhe affettive il volto delle loro madri, esposte accanto alle preziose e antiche opere devozionali. Un connubio sorprendente e di grande suggestione nato dalle visite dei ragazzi all'interno della struttura museale e sviluppatosi nei percorsi di arte creativa coordinati da Elisabetta Merendi e Laura Tramonti in collaborazione i docenti delle classi quinte dell'Istituto scolastico "Luigi Battaglia" di Fusignano.
La Collezione Baroni è una esposizione culturalmente ed artisticamente davvero preziosa, ma come succede molto spesso, si organizzano lunghi viaggi per visitare celebri e pubblicizzate mostre in tutta Italia ma non si conosce quello che il nostro territorio ci offre. È anche per questa ragione che le operatrici del laboratorio comunale hanno proposto un particolare percorso alle classi elementari quinte A, B e C.
La visita al Museo è avvenuta in compagnia di un "taccuino amico": un quadernetto personalizzato da ogni ragazzo su cui gli operatori culturali avevano riportato pochissime informazioni tecniche e storiche, ma comunque stimolanti la ricerca e l'osservazione di alcuni elementi tipici delle targhe devozionali (forma, cornice, decorazioni, colori). Al laboratorio del "Cerchio" i ragazzi hanno colorato e completato il taccuino ed elaborato una propria targa seguendo un percorso tecnico-ceramico simile a quello delle targhe devozionali: sfoglia in creta, ingobbio, incisione, ingobbi colorati, prima cottura, cristallina, seconda cottura.
Si è proposto ai ragazzi, come soggetto per il lavoro, la loro mamma, disegnata liberamente, senza problemi di pose, proporzioni, verosimiglianze. Il risultato è stato davvero sorprendente ed è stato esposto proprio al centro della prima sala che ospita la Collezione Baroni. Entrando, erano subito visibili le immagini di cinquanta bellissime mamme di oggi, che si potrebbero verosimilmente incontrare per Fusignano. Ai lati della sala, dentro le vetrinette, immagini di un'altra mamma: la Mamma che per secoli nella tradizione cristiana ha suscitato la devozione dei fedeli. Osservando con attenzione, si potevano rintracciare alcuni elementi formali che univano le une alle altre.
Le "targhe affettive", quelle delle nostre mamme, hanno lasciato il Museo per andare ognuna nella casa dove abitano il bambino che l'ha realizzata e la mamma che vi è raffigurata. Lì, appese ad una parete, rappresentano un elemento visivo e mnemonico con il quale questa esperienza e, in qualche modo, il Museo S. Rocco sono entrati in cinquanta famiglie...

Esperienze di didattica museale - pag. 22 [2009 - N.35]

Al Museo della Vita contadina si è tenuto un breve corso di formazione alla manutenzione, conservazione e restauro 

Simonetta Secchiari, Pietro Bernabè - Associazione culturale "La Grama", Restauratore

La nuova sede del Museo della Vita contadina di S. Pancrazio di Russi, più spaziosa ed accogliente della precedente, è ancora 'incompiuta' sotto il profilo degli allestimenti, che richiederanno tempo per essere completati. Uno dei motivi che rallenta la nuova esposizione è la difficile scelta tra i numerosissimi pezzi della collezione, immagazzinati da anni in un locale che non offriva condizioni ottimali di conservazione. È stato, dunque, necessario iniziare il recupero conservativo dei pezzi che si intende esporre. Per poter compiere al meglio questa fondamentale attività, si è svolto nei giorni 20 e 21 luglio 2009 un Corso di formazione alla manutenzione e restauro di oggetti etnografici, organizzato dall'Associazione culturale "La Grama", che gestisce l'attività del museo, e condotto da Pietro Barnabè, professionista del restauro che già nel 1998, assieme ad una collega, aveva tenuto un corso di restauro finanziato appositamente dall'IBC dell'Emilia Romagna. Il laboratorio si è avvalso di una singolare formula di iscrizione secondo cui la quota di partecipazione di 30 euro sarebbe stata restituita a fronte della prestazione volontaria di una decina di ore di lavoro, ovviamente su materiale da esporre. Si sono avuti venti partecipanti: 9 soci dell'Associazione e 11 persone provenienti da varie località della provincia di Ravenna e Bologna, tra cui alcune laureande presso la Facoltà di Conservazione dei Beni culturali di Ravenna, a dimostrazione del fatto che la manualità resta parte integrante del sapere. Organizzato in due giornate di sei ore ciascuna, il corso ha cercato di trasmettere, attraverso momenti di teoria ed esercitazioni pratiche, le nozioni indispensabili per una corretta manutenzione di una collezione etnografica gestita: si sono affrontate tematiche inerenti manutenzione straordinaria, ordinaria, conservazione e restauro, onde avere gli elementi base per decidere ogni volta l'approccio migliore nei confronti dell'opera. Si sono valutati anche i problemi connessi al microclima e al suo controllo e si è sottolineata l'importanza delle patine, il loro riconoscimento, la loro conservazione e ripristino ove lacunose. Si è trattato di tecniche di pulitura, di ripristino delle condizioni originarie, di trattamento protettivo, consentendo ai presenti di avere una serie di conoscenze di base per intraprendere nel migliore dei modi la cura e la conservazione delle collezioni di proprietà del Museo. Un'attenzione particolare è stata data alla schedatura degli interventi eseguiti, con la diagnosi dello stato dell'opera, la descrizione delle operazioni eseguite e l'individuazione delle attività necessarie per la sua conservazione, così da poter essere strumento di pianificazione degli interventi futuri. Due giornate full time durante le quali i partecipanti hanno appreso le nozioni di base della difficile arte del restauro, ma soprattutto hanno operato attivamente su alcuni manufatti scelti allo scopo. Le sale del Museo sono state invase da rumori insoliti... spazzole e stracci, aspirapolveri e pennelli, mani e voci... tutto e tutti all'opera, in un clima di convivialità e collaborazione che ha reso il corso anche un'occasione di svago. Al termine del corso non è mancato il rinfresco finale, la consegna dell'attestato di partecipazione da parte dell'Assessore alla Cultura del Comune di Russi Eraldo Baldini e l'omaggio della Autobiografia, un volume che raccoglie la sintesi fotografica di 15 anni di attività dell'Associazione. Il laboratorio di restauro rimane aperto nelle giornate di lunedì, mercoledì e venerdì dalle 8 alle 12 per chiunque voglia rendersi utile nell'opera di restauro degli oggetti del Museo.

Esperienze di didattica museale - pag. 22 [2009 - N.36]

La Rocca di Riolo Terme propone un nuovo percorso multisensoriale e fortemente interattivo dedicato alla "Leonessa delle Romagne"

Fabiana Succi - Responsabile Comunicazione Atlantide

All'interno della trecentesca Rocca di Riolo Terme, scendendo nella sala della pozzo ci si immerge nella vita di Caterina Sforza attraverso un nuovo filmato interattivo e multimediale, una installazione permanente che arricchisce in modo importante il percorso museale della Rocca. Innovativo come tecnologie e modalità di interazione con il visitatore, questo percorso rappresenta una ulteriore e più approfondita testimonianza sul personaggio storico di Caterina Sforza e si può considerare unico sul territorio a livello di prodotto museale.
Un filmato di grande impatto visivo, risultato del lavoro di uno staff di professionisti: la Tondini Production con il giovane regista Matteo Tondini per la produzione, la Cooperativa Atlantide, attuale gestore della Rocca, per il coordinamento generale e storico e l'Ing. Claudio Morara per la parte software di installazione e programmazione.
I misteri di Caterina racconta i momenti salienti della vita della "Leonessa delle Romagne", alcuni particolari spesso sconosciuti che presentano i suoi amori, l'essere una donna d'arme, la passione per le scienze, le sue importanti amicizie con grandi personaggi della storia e gli assedi e le congiure che hanno caratterizzato parte della sua tumultuosa vita. Il tutto è narrato cinematograficamente con l'uso di tecnologie all'avanguardia, in grado di lasciare con il fiato sospeso e trasportare i turisti in una realtà interattiva 'virtuale', dove si è più volte chiamati a interagire con la protagonista, sentendosi parte del cast e personaggi della storia.
In 3 momenti del filmato il visitatore viene chiamato a fare delle scelte, semplicemente portandosi con i piedi sopra alcune proiezioni sul pavimento. La prima volta deve aiutare un alchimista a preparare una delle tante ricette di Caterina, scegliendo le erbe giuste calpestando i contenitori che vede proiettati; in questo caso l'alchimista si rivolge proprio al visitatore chiedendo espressamente aiuto. In un secondo momento lo spettatore può decidere come continuare il filmato, scegliendo tra 3 episodi della vita di Caterina: Caterina e Cesare Borgia detto il Valentino, L'incontro fra Caterina e Leonardo da Vinci e Caterina e Giovanni dalle bande nere. Per finire in modo spettacolare alla difesa del castro di Riollo, nella battaglia del 1504 contro il Cagnaccio, il visitatore sarà chiamato ad interagire e a posizionare sulla mappa che appare sul pavimento le truppe di armigeri e arcieri in difesa della Rocca di Riolo.
L'epilogo è ricco di magia e suggestione e con musica e immagini, alcune mai viste durante il filmato, lascia un ricordo speciale di questa mezz'ora trascorsa nella sala del pozzo della Rocca di Riolo Terme.
Oltre al percorso dedicato a Caterina, la Rocca ospita al suo interno il Museo del paesaggio dell'Appennino faentino e offre al visitatore un percorso museale su vari livelli che è un connubio tra storia e paesaggio, due tematiche indissolubilmente legate, in particolare per un territorio come quello faentino. Dai sotterranei ai piani alti ci si può calare nelle avventure dei cavalieri medievali indossando e impugnando gli strumenti utilizzati in battaglia, scoprire il funzionamento delle macchine da guerra e apprendere le tecniche costruttive utilizzate nel Medioevo. Nel Mastio la sezione archeologica ospita reperti databili dall'età del ferro all'epoca romana. Nella sezione dedicata al paesaggio i pannelli esplicativi, i binocoli e un visore 3D permettono un'ampia visione del territorio circostante.
La Rocca si può vivere più intensamente con le visite guidate, in cui si viene accompagnati da Caterina Sforza in persona a scoprire gli angoli nascosti e particolari del museo. Il viaggio all'insegna del passato e dei suoi segreti si completa in modo magico fermandosi ad ammirare il panorama delle colline circostanti sul cammino di Ronda, dove il Torrino Wine Bar offre la possibilità di terminare la giornata e riassaporare i momenti trascorsi in Rocca.
Per informazioni: tel 0546 71025, roccadiriolo@atlantide.net, www.atlantide.net/roccadiriolo.

Esperienze di didattica museale - pag. 22 [2010 - N.38]

L'acqua come occasione di incontro tra la scuola e il Museo NatuRa

Francesca Masi - Responsabile del Museo NatuRa - Comune di Ravenna

Nell'ambito del progetto regionale "Scienze e Tecnologia" - presentato dall'IBC nelle pagine di questo stesso giornale - Natura. Museo Ravennate di Storia Naturale "Alfredo Brandolini"di Sant'Alberto e l'I.T.C. Ginanni di Ravenna hanno realizzato un progetto relativo alla conoscenza della risorsa idrica, finalizzato alla creazione di una relazione forte tra il mondo della scuola e le opportunità formative offerte dal Museo. Il progetto ha preso in considerazione l'acqua come risorsa, indispensabile per la sopravvivenza dell'uomo e di tutti gli organismi animali e vegetali, il cui accesso rappresenta un diritto umano e sociale, universale e inalienabile, ma sempre più difficile da gestire correttamente al fine di mantenere gli equilibri ecologici e ambientali del pianeta.

L'approccio educativo che ha caratterizzato il progetto è la metodologia "hands-on" (toccare con le mani, conoscere attraverso il fare) della didattica informale, condivisa dai moderni musei scientifici, perseguita da Natura, attraverso le molteplici esperienze didattiche in corso, e affinata soprattutto negli ultimi anni, caratterizzati da esperienze pilota e progetti innovativi. Questa metodologia ha consentito di presentare in modo interattivo il complesso tema della risorsa idrica, per affiancare i docenti nel loro lavoro e rendere più stimolante l'insegnamento delle scienze naturali, tradizionalmente considerate complesse e poco accattivanti. Si è cercato un dialogo con il passato, il presente e il futuro degli approcci alla questione idrica, dove il mondo della scuola è stato protagonista, e per esteso, ha offerto alla comunità, attraverso la realizzazione di supporti didattici dalle molteplici possibilità di fruizione, una significativa risorsa, mediante lo sviluppo di esperienze educative rilevanti.

La formazione è stata una delle attività principali del progetto ed è stata finalizzata a potenziare la professionalità degli insegnanti nella didattica della scienza. Nel metodo di Natura l'insegnante è visto come facilitatore dell'apprendimento dei ragazzi e non come esecutore acritico di programmi. Il percorso formativo ha prestato attenzione alla complessità e alla diversità dei processi di apprendimento, permettendo agli insegnanti di sviluppare la propria abilità professionale, in equilibrio fra l'acquisizione di nuove conoscenze, la conservazione dell'appreso e il riconoscimento di esperienze personali. La metodologia adottata per la realizzazione degli obiettivi formativi ha enfatizzato l'esperienza diretta delle attività in natura, attraverso i campionamenti, di laboratorio, nella fase delle analisi, di comunicazione dei dati, attraverso la realizzazione di modelli espositivi, e soprattutto la costruzione di un sistema di relazione tra l'attività di studio e l'individuazione di buone pratiche per un consumo responsabile dell'acqua.

In questo percorso il gioco, l'utilizzo di tecnologie di comunicazione multimediale e l'attribuzione di specifici ruoli di ricerca e di responsabilità agli studenti sono stati importanti fattori di coinvolgimento e di stimolo all'apprendimento. La riflessione permanente sull'esperienza svolta è stata finalizzata ad individuare i processi cognitivi di apprendimento dei ragazzi e a "tradurre" l'esperienza degli insegnanti in metodologie educative. In tutto questo, la ricerca-azione e la documentazione hanno svolto un ruolo importante, non soltanto per lo sviluppo professionale degli insegnanti, ma anche per l'appropriazione di una nuova prospettiva di conoscenza e per il monitoraggio in itinere del progetto stesso.

L'esito finale del progetto si è concretizzato in un kit didattico che è stato messo a disposizione sia della scuola che del Museo. Già per la programmazione 2010-2011 Natura offre tra le tante proposte didattiche il percorso "Goccia a goccia". Si tratta di un risultato di grande rilevanza, la cui consapevolezza è essa stessa percorso di educazione - i ragazzi che hanno partecipato al progetto erano infatti consapevoli di realizzare un format educativo da proporre a loro coetanei - infatti la possibilità di dare una continuità al progetto educativo costituisce per gli insegnanti un'importante opportunità formativa e per Natura l'occasione di arricchimento del proprio patrimonio museale, intendendo con questo non solo l'insieme delle collezioni, ma il complesso sistema di relazione tra fondi museali e le relative potenzialità di significato e di lascito identitario.


Esperienze di didattica museale - pag. 22 [2010 - N.39]

Tra occhio e mano: bambini alla scoperta e conquista di Cotignola

Massimiliano Fabbri - Responsabile Museo Civico "Luigi Varoli"

Cosa succede se un museo, legato alla carismatica figura di Luigi Varoli, insieme all'Arti e Mestieri, qualcosa in più e di diverso rispetto ad una sezione didattica, si accordano per ridisegnare un paese amico e a misura di bambino? Come possono cambiare un luogo e i modi in cui viviamo ed usiamo i suoi spazi, se uno sguardo plurale e "quasi da artista" si mette di traverso e gioca a capovolgere i punti di vista, mettendo in discussione alcune abitudini dei grandi, anche se solo per qualche giorno? E se, grazie a questi lievi disagi e stupori, i bambini, riescono ad educare, ossia a tirare fuori la parte migliore di noi adulti, e stanarci?

Una risposta possibile, forse, è dentro a ciò che succederà a Cotignola dal 6 al 12 giugno, una settimana densa di appuntamenti, che si apre all'invasione pacifica dei bambini: un'occupazione felice e laboriosa del centro storico, una rivoluzione gentile. Allora un paese si può come svelare e svegliare, divenire luogo fertile, reattivo e sorprendente, una sorta di museo allargato che bagna le cose rendendole luccicanti. Una Cotignola vivace, più bella ed accogliente. Invitante ed attirante.

Una fioritura, perché tutto quello che si è fatto durante l'anno, al museo, in classe, in biblioteca, alla scuola d'arte o in quella di musica, si rivela, esce in strada, si offre, impiglia sguardi e ascolti in cortili, allestisce mostre e laboratori con artisti, favorisce incontri, ed è un po' come se i muri di alcuni edifici diventassero trasparenti liberando le storie racchiuse, e così anche per i corpi, per le loro emozioni e pensieri. Una scuola dei sentimenti allora, una specie di sogno ad occhi aperti, incantato, una festa anche: prima per i bambini, e che i grandi si adeguino, che facciano anche fatica per abbassarsi e passare sotto una ragnatela-nido intessuta in strada da ragnetti uccellini, o perché costretti a dormire in tenda accampati fuori dalla scuola, trascinati in una serata vorticosa e intensa dove si va alla casa dell'artista, con la sola luce di torce a illuminare maschere di cartapesta, fantasmi e bestiari; dove si mangia in strada, dove si ascoltano racconti notturni, o dove si disegna alla mattina, appena svegli. O ancora dove azioni di pittura offrono ai passanti una processione di coloratissime immagini, strabordanti come la fantasia quando innescata.

Un ritrovarsi stupito. Desiderante. E l'arte è l'arma, lo strumento in grado di collegare le cose, di tessere trame e tendere fili, di intrecciare significati e fare mondi; che altri mondi sono possibili, a partire proprio da quegli spazi un po' sonnambuli in cui si vive. E potrà pure sembrare un'ovvietà, ma l'urgenza che muove l'artista, non solo è veramente vicina a quella dei bambini, ma è compagna che offre loro ulteriori sguardi, alimenta curiosità, indirizza e amplifica energie. Che l'arte è possibilità concreta di emancipazione, valorizzazione di abilità e intelligenze differenti.

E poi, dentro la settimana, niente tv. Non un divieto, piuttosto un suggerimento: che essa ruba e sottrae tempo alle nostre vite e relazioni. La tv ci inaridisce ed imbruttisce, non ci rende più intelligenti, ma più poveri di esperienze. Ci fa stanchi e, banalmente, tutti un po' più uguali. L'invito è a spegnerla, almeno per un po'; ecco allora dispiegarsi un tempo più ampio, ricco di promesse e possibilità, che "colmeremo" suggerendo percorsi e piccole meraviglie: facendo uscire i pupazzi dalla scuola, a creare un teatro immobile e muto nel parco, con spettacoli dove i bambini delle elementari, e le loro maestre, animano i burattini costruiti nei laboratori, nuovi abitanti del paese, così come avviene per i mascheroni, sempre di cartapesta, che chi frequenta la scuola al pomeriggio fa e poi indossa in una rumorosa e anarchica parata notturna al sabato sera. E ancora, al giovedì, una strada ricoperta di erba, sabbia, paglia, legumi, farine, stoffe e altri materiali, su cui camminare scalzi, lentamente, per sentire e non perdersi tutte le sensazioni belle. E un forno in piazza in cui cuocere il pane e la pizza, che in questa occasione, sono i bambini a preparare il cibo per i grandi.

L'immaginazione è qualcosa di fragile e prezioso: proteggerla, custodirla e coltivarla è dovere e compito di noi adulti, qualcosa che dobbiamo ai nostri figli: questo è il tentativo messo in atto dagli appuntamenti in programma. L'iniziativa prevede quindi di uscire "coraggiosamente" in strada e di vivere il paese con i sensi all'erta, riappropriandosene, come se si trattasse di un'unica grande casa o di un giardino comune.

Per informazioni: www.aem-selvatica.org.


Esperienze di didattica museale - pag. 22 [2011 - N.40]

Ritorna la Festa Bimba mia Bimbo mio con spettacoli, narrazioni, letture, workshop e molteplici laboratori dei musei e delle biblioteche della provincia

Roberta Colombo - Teatro del Drago - La Casa delle Marionette di Ravenna

Domenica 9 ottobre 2011 presso il Pala De André di Ravenna si svolgerà la seconda edizione della "Festa Grande dei Bambini e delle Famiglie", parte importante e integrante del progetto omonimo a scopo benefico promosso quest'anno dalla Fondazione "Dopo di Noi" in collaborazione con la CNA Provinciale di Ravenna. Il progetto comprende anche una mostra collettiva di pittura intitolata "Magici Mondi", curata da Ilaria Siboni, un convegno sulle problematiche e sulle necessità legate alle patologie invalidanti dell'Infanzia, una maxi lotteria su scala provinciale, uno spettacolo musicale e un'asta, tutte azioni a scopo benefico.
La Festa si svolgerà dalle 10 del mattino fino al calar del sole sia nell'area esterna che interna del Pala De Andrè. È una manifestazione culturale che unisce il mondo della Cultura e del Professionismo a quello della Solidarietà e del Volontariato, in un binomio interessante, tutto da scoprire. Il mondo della cultura eticamente è molto vicino al mondo del volontariato e della solidarietà, con un'unica profonda differenza, l'aspetto professionale. In Italia, purtroppo viene fatta molta confusione, e ciò danneggia entrambi i settori.
Il caso di "Bimba Mia" invece è un ottimo esempio di come questi due aspetti fondamentali di una società civile si possano sposare consensualmente credendo nello stesso rito, ma mantenendo intatta la propria identità e diverse caratteristiche. Da ciò emerge uno spaccato di alta civiltà e soprattutto di elevata qualità nelle proposte artistiche tutte presentate da professionisti affermati.
Nell'arco della giornata si susseguiranno spettacoli, narrazioni, letture, workshop, laboratori, incontri per bambini e genitori e così come nel 2010, si offrirà alle famiglie un'intensa giornata dove sperimentare che l'arte e la cultura sono linguaggi alla portata di tutti senza alcuna differenza di età, sesso o religione.
Protagonisti di questo evento saranno gli operatori culturali e gli atelieristi dei musei del Sistema Museale della Provincia di Ravenna e delle biblioteche della Rete Bibliotecaria di Romagna che oltre ad allestire un proprio spazio metteranno a disposizione del pubblico le loro competenze laboratoriali e didattiche; attori e musicisti, danzatori e pittori scelti non solo nel nostro territorio ma anche a livello nazionale.
Il programma in via di definizione vedrà la partecipazione anche del Progetto RigenerArte- Writing urbano in Romagna con un evento che metterà in relazione la generazione dei giovani writers con i più piccoli mostrando loro le tecniche e le abilità di un arte di strada attarverso un testimonial d'eccezione: Fagiolino Fanfan.
Tuti gli eventi in programmazione saranno ad ingresso gratuito e molti di essi per garantirne la qualità di fruizione saranno su prenotazione (che si effettuerà il giorno stesso presso il punto informazioni che verrà allestito all'ingresso).
La direzione artistica e il coordinamento dell'intera manifestazione è affidato al Teatro del Drago, che in trentadue anni di attività ha dimostrato una vocazione alla promozione della cultura del teatro e dello spettacolo dal vivo, e che già in precedenti manifestazioni (come ad esempio la "Duna degli Orsetti" a Marina di Ravenna nelle estati 2006/2007/2008) ha dimostrato l'importanza delle sinergie fra patrimonio culturale e spettacolo dal vivo. Il programma completo sarà disponibile sul sito www.teatrodeldrago.it. Per informazioni: tel. 0544 48341

Esperienze di didattica museale - pag. 22 [2011 - N.41]

Cina, Giappone, Sud-est asiatico: al MIC di Faenza una nuova sezione permanente dedicata all'Estremo Oriente

Roberto Ciarla - Museo Nazionale d'Arte Orientale "Giuseppe Tucci" di Roma

La riapertura di uno spazio espositivo dedicato alla produzione delle ceramiche invetriate dell'Estremo Oriente rappresenta per il MIC il traguardo di un progetto museale e didattico raggiunto grazie alla pluriennale collaborazione con il Museo Nazionale d'Arte Orientale "Giuseppe Tucci" di Roma. Nella nuova sezione saranno esposti circa 400 manufatti rappresentativi dei principali centri di produzione ceramica dell'Asia estrema, quelli, per intenderci, che hanno fatto la storia del commercio internazionale della porcellana dai tempi di Marco Polo fino all'epoca delle Compagnie delle Indie Orientali, grazie alle quali l'Europa conobbe, apprezzò e imitò la genialità tecnica e artistica dei vasai della Cina e del Giappone, nonché della Tailandia e del Vietnam.

Attraverso le opere esposte, il visitatore può godere, come lo fecero i nostri antenati, delle meravigliose merci arrivate in Europa attraverso la "Via della Porcellana". Dai forni del principale centro manifatturiero dell'Asia, Jingdezhen nella provincia cinese del Jiangxi, provengono i primi esempi di vasellame in pasta di caolino con vetrina acroma, del XI secolo, mentre il vasellame di gres rivestito dalle spesse, quasi untuose, vetrine verdi - che in Europa chiamiamo céladon - è rappresentato da alcuni esempi databili tra il V e il X secolo fino agli splendidi manufatti dei secoli XIII-XV prodotti nelle rinomate fornaci di Longquan.

Particolarmente rappresentativa è la raccolta di porcellane con decoro all'ossido di cobalto dipinto sotto la vetrina acroma - i famosi vasi "bianco e blu" - dove figurano splendide stoviglie prodotte a Jingdezhen sia per il raffinato mercato cinese nel periodo delle due ultime dinastie - Ming (1368-1644) e Qing (1644-1911) - sia per l'esportazione verso l'Occidente (i famosi "bianchi e blu" kraak e Swatow particolarmente imitati a Delft, ma non solo) tra il 1550 e il 1650, il periodo di più stretto monopolio del commercio olandese con le Indie orientali. A queste si affiancano non meno eccellenti piatti dello stesso genere "bianco e blu" fatti in Giappone dalle fornaci di Arita, principale centro di produzione dell'arcipelago che, particolarmente nel Sei e Settecento, seppe competere, in termini di qualità e quantità, con quelli prodotti in Cina. E ancora di fattura giapponese, di Arita, sono le porcellane Imari sulle quali ai decori "bianco e blu" si aggiunge lo smalto rosso e l'oro. In questo caso, furono i vasai cinesi che dovettero imitare e competere, come si può vedere nella vetrina dedicata al tipo detto 'Imari cinese', per soddisfare la domanda del ricco mercato europeo.

Nella sezione dedicata alla produzione delle fornaci giapponesi figurano i gres di uso quotidiano, ma di straordinaria raffinatezza, fatti per la maggior parte nelle fornaci di Seto, località dell'isola di Kyushu, annoverata tra i "sette antichi forni" del Giappone, attivi almeno dal XII secolo. Non mancano numerosi esempi dei gres con coperte di diverso stile (tra cui tazze a coperta rossa o nera nel ben noto stile dei Raku) usati nella "Cerimonia del tè" o quelli, molto meno formali, usati per conservare e consumare un'altra tradizionale bevanda giapponese, il sakè. Segnaliamo poi la presenza di due eccezionali esempi delle porcellane ottocentesche Bencharong e Lai Nam Thong, prodotte a Jingdezhen, in Cina, per l'uso esclusivo della Corte del Re del Siam (oggi Tailandia), splendidamente decorate a smalti policromi con scene di ispirazione buddhista.

Si è aperta poi una piccola finestra sul mondo dell'Oriente Estremo, per contestualizzare in qualche modo l'oggetto principale della nuova sala, attraverso l'esposizione di opere a soggetto religioso (splendida la divinità stante di porcellana blanc de Chine) anche in materiali diversi dalla ceramica, come l'eccezionale statua di bronzo raffigurante il Re Celeste Duo Wen Tianwang ("Colui che tutto ode") che accoglie i visitatori all'ingresso del nuovo spazio espositivo, dove trova posto anche una vetrina che abbiamo voluto chiamare "della memoria" in quanto vi sono collocate opere recuperate tra quelle distrutte dal bombardamento alleato del 1943 che causò irreparabili danni alle collezioni del Museo.

La scelta e lo studio delle opere esposte - acquisite per la maggior parte attraverso il generoso contributo di diversi donatori - è stato coordinato dal sottoscritto, che si è avvalso della collaborazione di Fiorella Rispoli, dell'Istituto Italiano per l'Africa e l'Oriente, di Chiara Molinari, una giovane studiosa che collabora con il MIC, e, naturalmente, del personale del Museo stesso.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 22 [2011 - N.42]

Al MIC un nuovo tassello si è aggiunto al percorso espositivo per comprendere appieno i diversi aspetti della ceramica

Dario Valli - Sezione Didattica MIC di Faenza

Il 16 dicembre scorso è stato inaugurato lo spazio espositivo della Sezione Didattica del MIC di Faenza, a cura di Anna Maria Lega e Dario Valli, col coordinamento di Claudia Casali.
I principali contenuti "didattici" liberamente accessibili al pubblico (più di conoscitori della materia e specialisti) erano costituiti, fino alle distruzioni belliche del 1944, dalle collezioni dei frammenti. Per i reperti faentini, riesposti in parte con la ricostruzione, furono riordinate nel '72 le Sale XIII e XIV, visibili fino al 2000. Per il largo pubblico invece, nei primi anni '80 si istituirono le tre essenziali vetrine dedicate alla "maiolica", all'"ingobbiata" e alle "tecniche", secondo la tradizionale classificazione di Korach ed Emiliani. Tutto il resto si limitava, dagli anni '50, a didascalie e a qualche pannello esplicativo di puro testo. La prima grande innovazione si ebbe nell'allestimento della Sezione Precolombiana del 1990, con le illustrazioni elaborate da Cesare Reggiani. Da quella data le sale del museo si sono progressivamente arricchite di immagini e testi, postazioni video o multimediali, in corrispondenza di eventi e l'inaugurazione o il rinnovamento di sezioni permanenti. Questo insieme di materiali - non sempre puntualmente aggiornati o aggiornabili, comunque disomogenei - necessitava di un momento di raccordo, di un punto di vista, discutibile ma oggettivo, "aperto" e anche piacevole. A risarcimento e compensazione di quei difetti o gap comunque presenti in una sede museale così estesa e che, per almeno venticinque anni, era stata in continua fisica trasformazione ed era passata da una gestione direttamente comunale a quella di una Fondazione Onlus.
Nella storia del MIC la didattica museale in senso lato non poteva prescindere (a partire dal 1978/1979) dal laboratorio giocare con l'Arte, il quale ha coperto, finché possibile (e necessario), tutti i ruoli. Poi, dall'anno scolastico 2003/2004, si è sperimentato un più articolato Servizio Didattico - o "Sezione Didattica" che dir si voglia - su impulso di alcuni dipendenti e collaboratori esterni. È nel 2011, con l'insediamento della nuova Direzione, che tutti gli operatori riescono a offrire, in modo coordinato, un'ampia scelta di attività, calibrate sulle diverse necessità e fasce di pubblico. L'unico tassello mancante era proprio la "Sala Didattica".
Questa sala è propedeutica alla visita delle collezioni. Le tecniche della ceramica sono raccontate al pubblico attraverso tre momenti, che delineano l'iter produttivo, i prodotti ceramici e le tecniche decorative osservando, ma soprattutto manipolando, gli esempi (68 mattonelle con il logo MIC, eseguite da Marco Malavolti) che riproducono le terrecotte, le faenze, le terraglie, i grès e le porcellane, con accanto gli originali del Museo, a diretto confronto. In un percorso che si affianca a sei splendidi modellini di forni, che esemplificano le tecniche di cottura dalla protostoria fino al XX secolo, a legna o combustibili fossili. Inoltre, attraverso un agile prodotto multimediale (realizzato da Andrea Pedna, che sarà ampliato e aggiornato costantemente), il pubblico può "navigare" tra i tanti e diversi aspetti della ceramica, per una visione il più possibile esaustiva e comprensibile.
Ma la sala offre altri stimoli: c'è una zona dedicata all'infanzia, arredata per disegnare, leggere e sfogliare liberamente, che è arricchita da un punto gioco; in previsione di spazi ludici estesi a tutto il Museo (grazie alla disponibilità del "Sogno del Bambino" di Lugo). Una parete invece è dedicata alla mostra degli elaborati fatti dai bambini nel laboratorio giocare con l'Arte di Bruno Munari. E troviamo infine una postazione di lavoro, per dimostrazioni pratiche (su prenotazione o per eventi) del fare ceramica: tecniche di foggiatura; smaltatura e decorazione della maiolica; ingobbiatura e graffito o applicazioni decorative a "terzo fuoco", eccetera.
Queste particolari opzioni "attive", così come la manipolazione degli esempi, sono motivo di orgoglio e senza dubbio denotano un punto di vista originale, scelta sperimentale e coraggiosa da parte della Fondazione MIC.
Il buon esito del progetto - elaborato graficamente dallo studio Pixel Planet di Cesena - è stato possibile grazie al contributo del Liceo Artistico Ballardini e del ceramista Gino Geminiani di Faenza e grazie al sostegno fondamentale del Sistema Museale Provinciale.


Esperienze di didattica museale - pag. 22 [2012 - N.43]

In mostra al MAR opere in micromosaico legate al pubblico del Grand Tour

Linda Kniffitz - Responsabile CIDM MAR di Ravenna

Dal 30 giugno al 16 settembre 2012 il Museo d'Arte della città di Ravenna ospita la mostra Ricordi in micromosaico. Vedute e paesaggi per i viaggiatori del Grand Tour, a cura di Chiara Stefani e Claudio Spadoni, proveniente dal Museo Mario Praz di Roma. Sarà possibile ammirare diverse tipologie di opere in mosaico minuto, in gran parte inedite. Si tratta di parure di gioielli, tabacchiere, placchette, realizzate tra il XVIII e il XIX secolo e provenienti da importanti collezioni private italiane e francesi, dal Museo Napoleonico e dai Musei Vaticani.
La produzione di questi oggetti è strettamente legata al pubblico del Grand Tour. A partire dal Settecento, grazie anche alla ripresa degli studi sulla cultura classica e a importanti ritrovamenti archeologici, viaggiatori e giovani aristocratici europei compiono quello che viene comunemente definito il Grand Tour, una sorta di pellegrinaggio o viaggio di formazione nei luoghi in cui si trovavano vive testimonianze dell'antichità.
L'Italia, per la sua storia e per le sue bellezze artistiche e paesaggistiche, diventa una delle mete preferite dai viaggiatori. Per venire incontro alle esigenze di questo particolare pubblico, desideroso di portare in patria un ricordo dei luoghi visitati, si sviluppa a Roma, tra la seconda metà del Settecento e l'inizio dell'Ottocento, la tecnica del mosaico minuto o micromosaico. L'invenzione di questa tecnica si deve a Giacomo Raffaelli, mosaicista e fornitore di smalti per la Munizione dello Studio Vaticano che, nel 1775, elabora un particolare procedimento per creare mosaico filato, o micromosaico. Sottopone a nuova fusione, a circa 800 gradi, frammenti di pizze di smalto, ottenendo una massa incandescente e malleabile, successivamente modellata e "filata", grazie a speciali pinze, in lunghi bastoncini, detti bacchette. Da queste si ricavano tessere di dimensioni assai ridotte, anche inferiori al millimetro.
Antonio Aguatti aggiorna ancora la tecnica inventando i malmischiati: bacchette in smalto filato, nelle quali si mescolano più toni di colore, permettendo una gradualità di sfumature. L'ampia diffusione del micromosaico a Roma è strettamente legata ad un momento critico per lo Studio Vaticano: con il completamento dei lavori per la decorazione musiva della Basilica di S. Pietro, i mosaicisti romani si trovano quasi privi di occupazione. La nuova tecnica, inizialmente applicata alla realizzazione delle copie musive delle pale della Basilica, lascia intravedere anche nuove potenzialità commerciali e nuovi sbocchi professionali.
I mosaicisti, attraverso l'uso di queste tessere di dimensioni piccolissime, realizzano miniature perfette dei soggetti più ricercati dai viaggiatori stranieri, da inserire su mobili o su oggetti di piccolo formato, quali spille, monili, scatole. I soggetti più ricorrenti sono le vedute con rovine, le raffigurazioni di monumenti antichi quali il Colosseo, i Fori Imperiali, i templi di Paestum, che saranno affiancate successivamente da paesaggi di gusto romantico e dalla raffigurazione di costumi pittoreschi locali. In tutta Roma, soprattutto nella celebre zona di Piazza di Spagna, fioriscono botteghe e atelier privati destinati alla produzione e alla vendita del micromosaico. Tra gli artisti più famosi si ricordano Giacomo Raffaelli, Antonio Aguatti e Michelangelo Barberi.
L'intento della mostra, non è solo quello di esporre splendidi oggetti d'arte e di gioielleria, ma di evidenziare come il micromosaico abbia inciso anche nella storia del gusto e della percezione del paesaggio italiano. L'esposizione è realizzata in collaborazione con la Galleria Nazionale d'Arte Moderna e il Museo Mario Praz di Roma e grazie al fondamentale sostegno della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna. In occasione della mostra sarà allestita una sala con opere in micromosaico realizzate dagli studenti dell'Accademia di Belle Arti di Ravenna.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 22 [2012 - N.44]

Una mostra racconta il noto ceramista forlivese a 40 anni dalla scomparsa

Giorgio Cicognani - Conservatore fondi antichi - Biblioteca Manfrediana di Faenza

In questi ultimi mesi la Biblioteca Comunale di Faenza si è arricchita di un'importante donazione costituita da disegni, studi e stampe che facevano parte dell'archivio di Umberto Zimelli. Grazie alla sensibilità della nipote Anna Maria, si è potuto così ricordare il 40° anniversario della scomparsa dell'artista.
Umberto Zimelli, uno dei più noti ceramisti del secolo scorso, forlivese di nascita, visse gran parte della sua vita a Milano, dove si spense nel 1972. Dopo aver iniziato i corsi della Scuola d'Arte "Umberto I" a Forlì, frequentò l'Accademia di Belle Arti di Ravenna e in quel periodo fu allievo di Giovanni Guerrini. Nel 1920 fu tra i fondatori del "Cenacolo forlivese", al quale aderivano diversi artisti locali. Nel 1921 la prima notorietà gli derivò dalla pittura, con una personale di oli, tempere e disegni al "Lyceum" di Milano. L'artista, dopo questa prima esposizione, soggiornò a lungo nell'Isola Bella dove fondò la "Fabbrica di Ceramiche Artistiche", che fu un esempio illuminante di una vastissima attività artigianale nel campo delle arti decorative. I suoi interessi spaziarono poi fino alle arti grafiche, alla pubblicità più vasta, al teatro, con la realizzazione di importanti scenografie. Scrisse un libro sul ferro battuto, per una collana edita dai Fratelli Fabbri. Eseguì pure numerosissime illustrazioni e copertine per diverse case editoriali come Vallardi, Treves, Bestelli, Tuminelli, Zanichelli, Mondadori, Touring Club Italiano, per citarne solo alcune, edizioni ormai introvabili anche sul mercato antiquario. Come cartellonista, più sensibile alla modernità, e grafico pubblicitario, lavorò per ENIT - Roma e illustrò carte gastronomiche, carte dei vini, monumenti d'Italia e costumi regionali. Lavorò anche per la pubblicità di Roche Medicinali e, collaborando con la loro rivista, ne allestì alcune mostre. Fece lo stesso per altre importanti Società come Snia-Viscosa, Pibigas Milano, Pavesi-Biscotti e così via.
Il suo curriculum vitae è impressionante, sia per la vastità dei lavori sia per l'apporto di numerose idee e realizzazioni in diverse arti applicate, ma la sua principale vocazione rimase la ceramica. Ugo Nebbia, nella rivista "La Ceramica" nel 1954, ha parole elogiative sull'Artista e traccia un profilo perfetto della sua bravura e del suo estro. Zimelli trasforma le sue ceramiche in "gioielli" e quindi la semplice materia può assurgere a raffinatezze tecniche, formali e stilistiche. Le sue opere, qualche volta, si direbbero fatte solo d'oro e di gemme, a volte presentano richiami copti, bizantini o romanici. È sempre la stessa ceramica che, con abile creatività e intelligenza, con smalti, manipolazioni, cotture, diventa sogno e splendore. Zimelli si può ben definire un innovatore per l'arte ceramica, grazie anche alla conoscenza di altri materiali, come ad esempio il vetro e i metalli. L'artista, pur avendo vissuto a Milano, rimase legato, non solo alla sua città natale, ma anche alla Romagna, come dimostrano le quarantadue copertine xilografiche eseguite per la prestigiosa rivista "La Piè", quasi tutte con riferimenti alle nostre tradizioni e ai nostri principali monumenti. A Faenza lo lega la tradizione e la storia della ceramica; infatti la prima copertina de La Piè è dedicata all'antica decorazione di un boccale quattrocentesco e anche l'ultima, eseguita nell'ottobre del 1972, rappresenta un torniante seduto alla ruota intento a forgiare un vaso. A tale proposito lo stesso Zimelli scriveva ad Aldo Spallicci: "... sto incidendo un vasetto al tornio per ornare il cartoncino d'invito alla mia seconda mostra personale che inaugurerò a Forlì" e aggiungeva "... potrei adattarlo per il numero di Natale de "La Piè".
Al Museo Internazionale delle Ceramiche donò, nel corso degli anni numerose ceramiche popolari, raccolte in diverse regioni italiane nel corso di molti anni, tuttora esposte nell'omonima sezione del Museo. Giuseppe Liverani, suo grande amico, lo definì "... il romagnolo innamorato della sua terra, il pittore dalla sintesi rapida, se pur reale, non tormentato da cerebralismi, uno schietto, immediato, sincero...".
Nel 1999 la città di Forlì lo ricordò con una mostra allestita a palazzo Albertini e illustrata da un ricco catalogo con testi di Pietro Lenzini e Rosanna Ricci. Il materiale donato alla Biblioteca faentina arricchisce il fondo del "Novecento Italiano" dove sono presenti opere e testimonianze di nomi illustri come: Domenico Rambelli, Francesco Nonni, Ercole Drei, Giovanni Guerrini, Leonardo Castellani. Le varie sfaccettature, in particolare la parte grafica e illustrativa dell'attività di Umberto Zimelli, potranno così essere disponibili per creare un corpus completo del suo importante lavoro di oltre mezzo secolo.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 22 [2012 - N.45]

Il Planetario di Ravenna dedica il mese di aprile a celebrare l'astronautica

Marco Garoni - Direttore Planetario di Ravenna

Wikipedia definisce la "Didattica" come "la teoria e la pratica dell'insegnare. La didattica è la scienza della comunicazione e della relazione educativa. L'oggetto specifico della didattica è lo studio della pratica d'insegnamento, quindi un progetto mirato, razionale: è un vero e proprio 'congegno sociale' mirato e strutturato in un progetto educativo".
Una definizione che di certo si adatta ai molti musei della nostra provincia e che al Planetario trova una sua espressione molto particolare, non tanto per gli argomenti in sé (le stelle, il cielo, lo spazio...) ma piuttosto per il modo in cui abbiamo deciso di trasmetterli, modo che si può riassumere in due parole: Fare Astronomia. Dove "Fare" ha un significato diretto e pratico, come pratica era l'astronomia antica e diretta era la sua applicazione nella vita quotidiana.
Il museo Planetario non ha nessuna collezione da mostrare, nessuna sala espositiva ma possiede una sorta di finestra sempre aperta sull'universo. Per noi Universo ha un senso molto ampio. L'astronomia comprende mille discipline, mille racconti, mille errori e mille conquiste. "La teoria e la pratica dell'insegnare" hanno quindi il senso dell'impedire che si spezzi quella catena di conoscenza che ci ha portati dalla Terra piatta all'esplorazione spaziale, dalla "Dea Madre" al Big Bang. Un pesante fardello da portare!
Ecco che quindi, se da una parte i programmi scolastici tendono a dare sempre meno spazio all'astronomia, dall'altra però le scuole continuano a visitare numerose il Planetario. Perché? Certamente per il fascino ancestrale che le stelle hanno su di noi ma anche per questa sua capacità di stimolare i collegamenti tra le diverse discipline, per il contributo che può dare alla Storia, alla Geografia, alla Matematica, alla Letteratura, all'Arte e quindi non solo alla comprensione del significato di "metodo scientifico". Un esempio di questo modo di concepire la didattica dell'astronomia è diventato da qualche anno uno degli appuntamenti più importanti della nostra programmazione primaverile. Nell'aprile del 1961 Yuri Gagarin divenne il primo uomo a volare nello spazio. Per ricordare questo storico evento abbiamo "costruito" un laboratorio didattico, dedicato ai bambini dagli 8 anni, strutturato in tre diversi momenti: il sogno del volo, il funzionamento dei razzi, i problemi dell'astronauta. Possiamo tradurre questi momenti in un altro modo: Principio di Azione e Reazione, Forza di Gravità, Velocità di fuga, Pressione ma anche Icaro, Ariosto, Galileo Galilei, Leonardo da Vinci, Jules Verne, etc.
Con l'ausilio di un teatrino kamishibai (una sorta di racconto per immagini di origine giapponese) i ragazzi assistono a una piccola lezione dedicata alla storia del volo e dell'astronautica. Subito dopo si passa alla costruzione di un razzo vero e proprio, fatto di cartoncino (il cui carburante è acqua e aspirina effervescente) e che poi testeranno all'aperto. Infine, sotto la cupola del planetario, immancabile la volta celeste con le migliaia di stelle che hanno ispirato questo viaggio. Il pomeriggio culmina con alcuni spettacolari lanci di un missile ad acqua. In questa avventura ci accompagnano l'associazione SOFOS e l'INAF di Bologna che allestiscono un set fotografico nel quale ognuno può fotografarsi travestito da astronauta. Quest'anno tutto il mese di aprile sarà dedicato all'esplorazione spaziale. Dagli antichi viaggi immaginari fino alle ultime scoperte, passando per un ricordo dell'astronauta Neil Armstrong, primo uomo sulla Luna e scomparso nell'agosto 2012. La giornata dedicata ai bambini sarà domenica 14 aprile, alle 15.30. Abbiamo deciso di riservare molto spazio a questo aspetto della storia umana. È infatti attorno alle vicende della conquista dello spazio che nasce il primo nucleo di appassionati che, nel febbraio del 1973, fonda l'Associazione Ravennate Astrofili Rheyta (ARAR) che da quarant'anni racconta il Cielo e le sue meraviglie. Chissà se tra quel centinaio di bambini che verranno a trovarci ci saranno i futuri cittadini dello spazio?

Esperienze di didattica museale - pag. 22 [2013 - N.46]

I percorsi didattici del MAR di Ravenna alla scoperta dell'arte dei "folli"

Filippo Farneti - Responsabile Servizi educativi MAR di Ravenna

Tutti i bambini sono degli artisti, il difficile è rimanere artisti quando si cresce (Picasso).
È vero che i bambini sono artisti? O sarà che gli artisti sono tutti un po' bambini? Sicuramente artisti e bambini hanno molte cose in comune nel modo di comportarsi nei confronti della realtà e probabilmente è proprio per questo che Picasso affermava con convinzione che i bambini sono tutti artisti. Bambini e artisti hanno in comune la curiosità verso il mondo che li circonda e la curiosità è la scintilla che accende la fiamma dell'arte perchè innesca il desiderio di ricerca che a sua volta porta alla scoperta di cose nuove, alla sperimentazione e alla trasformazione della realtà. Il bambino sperimenta per dare un significato alle cose che scopre, l'artista per modificare il significato delle cose che conosce, per trovare nuove direzioni e diversi punti di vista. Nell'attività creativa dei bambini convergono esigenze ed esperienze molto diverse: curiosità, scoperta, sentimenti intensi che diventano forme, suoni, movimento; è l'arte il mezzo privilegiato per esprimere liberamente se stessi e le proprie emozioni. Durante la crescita dell'individuo il contatto con i linguaggi artistici continua a influenzare la creatività e l'interazione con il mondo esterno agevolando l'espressione di sé e la comunicazione con gli altri.
Come guidare il bambino verso la materializzazione delle proprie intuizioni? I percorsi didattici proposti dal MAR si fondano su una metodologia che concepisce l'educazione all'arte come uno stimolo allo sviluppo della sensibilità, alla comprensione della propria identità, della realtà che ci circonda e all'apertura verso l'universo delle idee e delle possibilità. L'arte, infatti, "serve a moltiplicare i punti di vista", come diceva Picasso, a "creare cortocircuiti cognitivi", secondo Duchamp, aiutandoci a "riconoscere nella banalità tratti di grandiosità", come pensava Andy Warhol. Molti artisti, nel corso del Novecento, hanno scoperto nell'arte infantile e nell'immaginario di autori folli e autodidatti una nuova linfa a cui attingere per superare limiti e confini posti loro dalle nozioni tecniche e teoriche dell'arte ufficiale. È stato Jean Dubuffet il primo a riconoscere dignità e valore artistico alle opere degli alienati e degli autodidatti, collezionandole e teorizzando nei suoi scritti una nuova corrente artistica: l'Art Brut. La mostra BORDERLINE, artisti tra normalità e follia ha presentato al pubblico i più importanti protagonisti dell'Art Brut, messi a confronto con artisti ufficiali che all'arte outsider hanno guardato per trovare nuove idee e stimoli creativi.
In occasione dell'esposizione è stato interessante coinvolgere i bambini e i ragazzi nei percorsi e nei laboratori didattici proposti per tutte le fasce di età, a partire dalla scuola dell'infanzia. Per i bambini è stata un'occasione per scoprirsi simili agli artisti e per inventare mondi fantastici dove fantasia e realtà si sono prese per mano, attraverso la realizzazione di speciali cartoline visionarie, maschere per rivelare la propria identità segreta e speciali diorami con cui dare una forma tridimensionale alle creazioni della propria immaginazione. Per i più piccoli è stato realizzato per l'occasione un grande libro illustrato per raccontare i dipinti degli artisti più noti trasformando la mostra in un'itinerante favola speciale.
È stato come un viaggio ai confini dell'arte, confini che abbiamo attraversato insieme con curiosità e meraviglia. Come ulteriore ausilio alla partecipazione dei bambini è stato pubblicato un quaderno didattico con ampi spazi dove mettersi alla prova disegnando e colorando alla maniera di artisti ufficiali e 'artisti brut'.

Esperienze di didattica museale - pag. 22 [2013 - N.47]

Il Museo delle Cappuccine prolunga fino al 23 febbraio una delle molteplici iniziative che hanno animato Bagnacavallo #2013

Diego Galizzi - Conservatore Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo

Dal 19 ottobre fino all'ultima domenica di febbraio 2014, il Museo Civico delle Cappuccine ospita  la mostra "L'incisione in Italia oggi. Linguaggi, poetiche, tendenze", una vasta panoramica sugli attuali orientamenti di quest'arte nel nostro Paese, che offre un percorso espositivo ricco di 120 opere di altrettanti maestri dell'incisione contemporanea, presenti nel VI Repertorio degli Incisori Italiani.
L'evento è stato inaugurato lo scorso ottobre, quando per tre giorni Bagnacavallo è stata animata da una kermesse culturale molto particolare e che non trova al momento paralleli in Italia: il 1° Festival Nazionale dell'Incisione Contemporanea. Sono state giornate intense e fitte di eventi, e il seguito di appassionati, artisti e operatori del settore è stato tale che senza dubbio si può dire che per quei giorni Bagnacavallo ha rivestito il ruolo di centro nazionale della grafica contemporanea.
L'idea di dar vita ad un festival dedicato a un particolare linguaggio artistico come l'incisione è nata con lo scopo di contribuire a rilanciare e a far conoscere questo tipo di espressione artistica al di là dei confini di quella nicchia fatta di specialisti e di intenditori nella quale oggi pare essere purtroppo relegata. E la risposta in termini di partecipanti è stata a tal punto convincente da indurre gli organizzatori (il Comune di Bagnacavallo su tutti, con il contributo della Fondazione Cassa di Risparmio di Ravenna e il patrocinio di svariati enti tra i quali l'Istituto Nazionale per la Grafica) a prevedere un seguito a questa esperienza.
L'evento espositivo di punta della manifestazione è stata "Anatomie dell'effimero. Sette visioni di transitorietà", un'interessante indagine sul concetto della vanitas espressa attraverso la visione di sette protagonisti della grafica d'arte: Laura Bisotti, Elisabetta Diamanti, Erico Kito, Elena Molena, Lanfranco Quadrio, Nicola Samorì e Giorgia Severi. La mostra, ospitata negli evocativi ambienti dell'ex convento di san Francesco, ha riscosso grandi apprezzamenti ed è stata visitata da più di 3.000 persone nell'arco di un mese e mezzo di apertura. Accanto all'inaugurazione della mostra "L'incisione in Italia oggi", sabato 19 ottobre al Museo delle Cappuccine è stato presentato al pubblico il VI Repertorio degli Incisori Italiani, pubblicazione curata dal Gabinetto delle Stampe del Comune di Bagnacavallo.
Il Forum nazionale della grafica è stato probabilmente il momento culminante di questo Festival. Si è trattato di una giornata di incontri e confronti nel teatro comunale "Carlo Goldoni" per discutere dei "nuovi confini" della grafica d'arte. Tema centrale del forum sono state essenzialmente queste domande: il dialogo tra una tecnica dalla tradizione secolare come l'incisione e le tendenze dell'arte contemporanea è possibile? Il rispetto delle regole dell'originalità può incontrare le esigenze espressive delle nuove ricerche? A condurre questo interessante dibattito, che ha coinvolto artisti ed operatori provenienti da tutta Italia, sono stati Chiara Gatti, critica d'arte e giornalista de La Repubblica, Paolo Bellini, direttore della rivista Grafica d'Arte, Lorenza Salamon, gallerista e saggista, il collezionista Enrico Sesana e Michele Tavola, critico d'arte e curatore di eventi espositivi.
A fare da contorno a questi appuntamenti principali sono state diverse iniziative, anche a carattere di intrattenimento, come un memorabile concerto per voce e clavicembalo sullo scalone monumentale di san Francesco curato dal Collegium Musicum Classense, e soprattutto diverse opportunità didattico-laboratoriali rivolte a grandi e bambini. Il Festival si è infine chiuso con un prezioso workshop dedicato alla tecnica del bulino condotto da Jurgen Czaschka, certamente uno dei più virtuosi maestri attualmente in circolazione in questo campo.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 22 [2013 - N.48]

Laboratori, degustazioni, tisane, confetture, piante velenose e una vera e propria festa!

Sauro Biffi - Responsabile Giardino delle Erbe di Casola Valsenio

Il Giardino delle Erbe, a 76 anni dalla sua creazione, ha sempre svolto un'importante attività didattica nell'ambito della conservazione, conoscenza, ricerca e divulgazione delle piante officinali. Il Giardino è stato visitato negli ultimi 40 anni da centinaia di migliaia di persone italiane e straniere, studenti delle scuole di ogni ordine e grado, ricercatori, studiosi, hobbisti, appassionati del mondo delle erbe officinali. Ha sempre svolto corsi per erboristi, farmacisti, medici, agronomi, biologi, agricoltori, oltre a un'importante attività di consulenza sulla coltivazione, riconoscimento e commercializzazione delle erbe.
La recettività della struttura è stata notevolmente migliorata e ampliata aggiornandola alle nuove esigenze del pubblico. Anche la collaborazione con numerose Università, la messa a disposizione delle specie coltivate, delle attrezzature, nonché del personale operante all'interno del Giardino, ha permesso di svolgere numerose ricerche nell'ambito agronomico, meccanico, fitopatologico, estrattivo, medico.
Grazie all'interesse e all'impegno di chi lo ha condotto - prima l'ARFER poi la Società di Area e ora il Comune di Casola Valsenio con incarico per la conduzione alla Montana Valle del Senio soc. coop. - il Giardino è sempre stato in questi 40 anni di vita nella nuova sede oggetto di grande interesse e attenzione per le attività svolte e proposte da parte di un pubblico di esperti, ricercatori e appassionati non solo della nostra regione ma di tutta Italia e di molti altri stati del mondo.
È grazie al Giardino delle Erbe che molti imprenditori agricoli dell'Emilia-Romagna e di altre Regioni italiane hanno ricevuto i primi rudimenti, semi selezionati e il materiale vegetale per iniziare le coltivazioni e la commercializzazione delle erbe officinali. Alcuni sono diventate aziende affermate a livello nazionale. Da diversi anni fa parte del Sistema museale della Provincia di Ravenna e rientra nel circuito delle fattorie didattiche. Recentemente il Giardino è entrato a far parte della SIROE soc. che fa capo al Ministero e che studia gli oli essenziali dal campo agronomico a quello farmaceutico, medico e veterinario. Inoltre da oltre 15 anni è socio FIPPO (Federazione Italiana Produttori Piante Officinali), e riferimento e consulente per suo conto per coloro che hanno bisogno di consulenze e informazioni sul settore officinale delle Regioni Emilia Romagna, Veneto, Toscana.
Questa primavera sono in programma diversi itinerari didattici per bambini, adulti e studenti. Nelle domeniche e nei fine settimana dal 6 aprile al 29 giugno sono  proposte giornate didattiche, convegni, laboratori aperti a chiunque sia interessato agli argomenti trattati. Si va dalle passeggiate con riconoscimento di erbe spontanee e raccolta delle erbe eduli alla preparazione di confetture con l'impiego di erbe e fiori di stagione raccolte dai partecipanti. Analogamente la preparazione e degustazione di tisane è preceduta da passeggiate con riconoscimento e raccolta delle parti di pianta adatte e da un laboratorio di estrazione dei principi attivi mediante macerazione in acqua da piante fresche e secche, infusione e decozione. A partire da alcune visite guidate dentro e fuori il Giardino, si impara a riconoscere erbe e fiori di stagione con le loro relative proprietà, ma c'è anche spazio per piante tossiche e velenose, sia spontanee sia coltivate, col riconoscimento dei loro rischi e dei metodi di convivenza. Non potevano mancare le erbe spontanee di stagione commestibili, che nel corso delle passeggiate sono riconosciute e raccolte per poi preparare e degustare deliziose insalate.
Da non dimenticare la grande Festa di Erbe in fiore, che si terrà negli ultimi due weekend di giugno e sarà anticipata da una ricchissima anteprima il 25 maggio: un mercatino di prodotti con i fiori officinali per la cucina e l'erboristeria, visite guidate e laboratori per bambini, incontri sulle erbe officinali con nutrizionisti, medici e farmacisti, escursioni guidate fra le erbe spontanee della Vena del Gesso Romagnola, per finire con la preparazione di aperitivi con fiori ed erbe officinali e un laboratorio didattico di degustazione. Per il programma dettagliato consultare il sito www.ilgiardinodelleerbe.it.


Esperienze di didattica museale - pag. 22 [2014 - N.49]

Il Museo Natura e la Scuola S. P. Damiano di Ravenna tra i vincitori del concorso "Io amo i beni culturali" con un progetto che lega arte e ambiente

Francesca Masi - Responsabile Museo NatuRa di Sant'Alberto

Il concorso di idee "Io amo i beni culturali", promosso dall'Istituto Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna e rivolto a musei, archivi e scuole secondarie del territorio regionale, ha lo scopo di coinvolgere direttamente gli studenti in un progetto che valorizzi nel territorio un bene culturale, per realizzare nuove forme di comunicazione e valorizzazione innovativa, sviluppando al tempo stesso competenze personali, sociali e civiche.
La terza edizione di questo concorso, nell'anno scolastico ormai concluso, ha visto tra i vincitori due realtà ravennati. "Tessere d'Europa", del Museo NatuRa di Sant'Alberto e della Scuola secondaria di I grado S. P. Damiano di Ravenna, è infatti uno dei progetti selezionati, insieme a "Gli Europeenses e l'Opera dei Pupi" del Museo La Casa delle Marionette di Ravenna e l'Istituto G. Pascoli di Riolo Terme - Scuola media A. Oriani di Casola Valsenio. I due progetti sono stati premiati nell'ambito della categoria speciale CEC, Cradles of European Culture, progetto finanziato dalla Comunità Europea che intende indagare le radici dell'idea di Europa.
Ambiente e cultura sono strettamente legati nel progetto "Tessere d'Europa", che ha visto gli studenti osservare flora e fauna del territorio attraverso i mosaici e gli elementi scultorei e architettonici visibili nella Basilica di San Vitale e in alcune sezioni del Museo Nazionale di Ravenna. Due gli obiettivi principali: valorizzare il ruolo delle arti plastiche e musive in un contesto europeo; far vivere e sperimentare questi tesori anche a chi non ne ha la possibilità, ipovedenti e non vedenti.
Attraverso un ampio e articolato percorso gli studenti sono stati coinvolti in sopralluoghi tra arte e natura della loro città, in analisi storiche e naturalistiche dei numerosi dati raccolti e in momenti di incontro e di scambio con referenti dell'Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti di Ravenna.
Atto conclusivo del progetto è stata la realizzazione da parte degli studenti di un percorso tattile permanente all'interno del Museo NatuRa, composto dalle riproduzioni tridimensionali raffiguranti le specie di flora e fauna studiate. A corollario di ciò è stata inaugurata l'8 giugno un'esposizione, visitabile gratuitamente fino al 30 settembre negli orari di apertura del Museo, arricchita da reperti, schede con spunti naturalistici e riferimenti storici e allegorici di tutte le specie analizzate e etichette in codice Braille, che accompagnano ogni riproduzione, realizzate dall'Unione Italiana Ciechi e Ipovedenti di Ravenna.
Oltre al percorso tattile realizzato all'interno del Museo NatuRa, i ragazzi hanno progettato un kit didattico da proporre su scala europea per replicare un analogo percorso espositivo, che sarà inviato a una scuola di Chartes (Francia), città gemellata con Ravenna, e a una scuola di Aachen (Germania), città scelta per il forte legame tra la Cappella Palatina e la Basilica di San Vitale.

Esperienze di didattica museale - pag. 22 [2014 - N.50]

Si è concluso il progetto vincitore del Concorso "Io amo i Beni Culturali" - "Craddles of European Community"

Roberta Colombo - Direttrice Museo la Casa delle marionette di Ravenna

Un percorso avvincente, quello realizzato nell'anno scolastico 2013-14, dalla Scuola Media "A. Oriani" di Casola Valsenio, dalla Famiglia d'Arte Monticelli - Teatro del Drago e dal Museo La Casa delle Marionette di Ravenna. Lo spunto da cui è nata l'idea progettuale riguarda una parte della Collezione Monticelli acquisita da una delle Famiglie di Pupari più famose al mondo: la Famiglia Cuticchio.
L'Opera dei Pupi - riconosciuta dall'UNESCO Patrimonio dell'Umanità - è sembrata un modo concreto e al tempo stesso divertente per parlare ai ragazzi della Media Francia, argomento principe del progetto europeo CEC - Craddles of European Community.
Con i ragazzi si è lavorato su due linee processuali, la prima più teorico-formativa, la seconda più pratico-laboratoriale.
A inizio anno si sono svolte alcune lezioni teoriche: la vita di Carlo Magno, il suo impero, le sue conquiste; L'Orlando innamorato di Boiardo e L'Orlando Furioso di Ariosto; la storia dell'Opera dei Pupi e delle Famiglie Pupare. Gli argomenti sono stati approfonditi con differenti strumenti: dai documentari, alle colonne sonore, ai testi letterari, ai video di spettacoli teatrali. Parallelamente si è cominciato a lavorare su impostazione vocale, dizione, fonetica e tecniche di respirazione.
Successivamente è partito il lavoro laboratoriale che ha intrecciato i settori museale e teatrale. Il percorso ha visto i ragazzi impegnati nell'ideazione e creazione dei laboratori sui Pupi, dal disegno alla costruzione dei manufatti, oltre alla scrittura del testo, o meglio del canovaccio su cui improvvisare la visita guidata al Museo La Casa delle Marionette. Parallelamente si è lavorato su testo e scenografie dello spettacolo vero e proprio.
I ragazzi divisi in gruppi hanno messo in pratica quanto acquisito sperimentando i ruoli sia di atelieristi che di guide del Museo con classi delle Scuole Primaria e Materna. Questa esperienza ha rilevato aspetti formativi interessanti come una particolare cura da parte dei 'grandi' nei confronti dei più piccoli, demolendo dinamiche fasulle e atteggiamenti da 'bulli' che tanto destabilizzano l'armonia delle classi. La responsabilità loro data e la fiducia nelle loro capacità é stata sufficiente per aiutarli a uscire da quella sfera di insicurezza tipica dell'età adolescenziale.
La seconda parte del lavoro è quella che ha coinvolto maggiormente i ragazzi, sia perché lo spettacolo dal vivo è oggettivamente affascinante sia perchè è uno strumento che, trovando nella differenza un suo punto di forza, riesce a migliorare il dialogo tra adulti e giovani, tra maschi e femmine. Il Teatro di figura, in più, con le sue molteplici tecniche e linguaggi offre una gamma variegata di possibilità permettendo a tutti di sentirsi protagonisti, ciascuno secondo le proprie abilità: la tecnica di teatro d'ombre per i timidi, il teatro di burattini per chi desidera esprimersi a parole senza comparire, il Teatro dei Pupi per chi vuole animare ma non parlare. Per i più coraggiosi c'è stata la possibilità di recitare, cantare o fare rap.
La II A della Scuola Oriani coinvolta nel progetto ha offerto un bell'esempio di lavoro collettivo, superando divisioni e pregiudizi, imparando a collaborare tutti insieme: grassi e magri, belli e brutti, secchioni e ripetenti, e soprattutto maschi e femmine. Così il 5 giugno 2014 presso il Cine Teatro Senio di Casola Valsenio è andata in scena la prima dello spettacolo "I Pupi Casolani", scritto e interpretato dai ragazzi della II A: in scena attori, burattini, pupi, ombre accompagnati da musica dal vivo, canzoni, suoni. Un esperimento gratificante che al di là del risultato meramente artistico ha visto i ragazzi impegnarsi a fondo sia nell'imparare l'argomento storico che nelle varie tecniche di animazione del Teatro di Figura.
Il progetto è stato possibile grazie all'impegno degli insegnanti della Scuola Oriani, in particolare della prof.ssa Fulvia Martini, che insieme a chi scrive ha guidato i ragazzi in questo sentiero spericolato e pieno di sorprese. Prezioso l'aiuto di Angelo Sintini, insegnante di Musica, di Mauro Monticelli per le scenografie, di Andrea Monticelli per il teatro d'ombre, dei genitori che hanno aiutato i ragazzi nel confezionare i costumi. Il lavoro è stato documentato da Sarah Bonomi, Beatrice Bologna, Alessandro Lanzoni e Massimo Bacchi. Fondamentale infine la collaborazione del Comune di Casola Valsenio.
Quello che resta di questo progetto, diverso da tutti quelli praticati dal Museo finora, è un insieme di buone pratiche che speriamo di poter condividere in futuro con altre scuole e altri musei.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 22 [2014 - N.51]

Il MCZ promuove una serie di eventi primaverili da ART CITY di Bologna alla GNAM di Roma, passando per Umbria e Toscana, fino a tornare a Faenza
È con grande piacere che il museo faentino si accinge ad affrontare un anno denso di appuntamenti espositivi dedicati a Carlo Zauli, origine e fonte di ispirazione di tutte le attività museali.
Fino al 6 aprile è visibile al Museo Civico Medievale di Bologna la mostra Carlo Zauli. Le Zolle, curata da Matteo Zauli e nata sia dal desiderio di essere parte di ART CITY, uno dei progetti di arte contemporanea più interessanti in Italia, che di far tornare l'artista a Bologna, a cui era molto legato e dove i grandi lavori per l'Università lo affermarono quale scultore.
In questo inedito progetto, le collezioni del Museo sono entrate in dialogo con 14 opere del maestro, realizzate dai primi anni Settanta fino al 1984. Queste opere costituiscono un nucleo sintetico, ma esaustivo, di una delle tematiche fondanti della ricerca artistica dello scultore romagnolo: la Terra nella sua forma più naturale, ovvero l'elemento primigenio e costituente della "zolla d'argilla".
Scrisse Claudio Spadoni nel 1975: "Zauli tende allora a naturalizzare il suo intervento tecnico attraverso superfici grumose, rotture, squarci, fuoriuscite di magma materico: per contro la naturalità, quando si presenti in un'interezza e una pregnanza corporea assolutamente "vera" (come ad esempio una sezione di zolla che non assolve quindi a una funzione mimetica ma rimane appunto zolla) subisce un intervento tecnico mentale purificatore che può essere una struttura architettonica o semplicemente un bagno di smalto che produca un effetto di fissità straniante".
Particolarmente stimolante è stata la sfida di includere le opere di Carlo Zauli negli allestimenti già esistenti, scegliendo di lavorare in senso mimetico. L'illuminazione inserita è dello stesso tipo di quella museale; i lavori sono stati collocati su basamenti colorati, come i blocchi di selenite che costituiscono la parte più antica del palazzo e, all'interno delle vetrine che custodiscono preziosi oggetti, sono state installate due opere realizzate in argento e ceramica smaltata in oro.
In contemporanea, e fino al 29 marzo, Carlo Zauli è anche presente nella straordinaria collettiva dedicata ad Alberto Burri, nell'anno del centenario della sua nascita, Fuoco nero: materia e struttura attorno e dopo Burri curata da Arturo Carlo Quintavalle, presso il Salone delle Scuderie del Palazzo della Pilotta di Parma e fino all'8 marzo nella mostra Arte dal Vero, dedicata alla vicenda delle arti figurative in Romagna dal primo Novecento a oggi, curata da Franco Bertoni.
Seguiremo poi i lavori di Carlo Zauli a Roma, dall'11 marzo presso la Galleria Nazionale di Arte Moderna, con La scultura ceramica contemporanea in Italia, collettiva a cura di Nino Caruso e Mariastella Margozzi. La GNAM vuole per la prima volta presentare la scultura in ceramica italiana dagli anni Cinquanta a oggi, prendendo in considerazione sessanta artisti, suddivisi in tre "generazioni", che si sono dedicati esclusivamente al medium della ceramica, arricchendo la loro ricerca di continue sperimentazioni tecniche e formali.
Le ultime due personali sulla figura del maestro scultore ci vedranno impegnati in Umbria e Toscana. Dall'11 aprile sarà la Pinacoteca di Città di Castello il luogo espositivo per una selezione di lavori dal titolo I Bianchi, curata da Monica Zauli, architetto e figlia dell'artista. Concluderà questo viaggio la mostra Omaggio a Carlo Zauli. Opere dal Museo Zauli nel suggestivo spazio dell'Oratorio della Nobile Contrada del Nicchio di Siena, dal 15 maggio.
Ma anche la sua città, Faenza, gli ha appena reso un nuovo omaggio. La grande stele realizzata da Zauli nel 1986 in memoria dell'imprenditore Roberto Bucci è entrata a far pare del Museo all'aperto cittadino. Collocata originariamente nell'omonimo parco e vittima di gravi deterioramenti dovuti agli agenti atmosferici è tornata all'iniziale splendore, dopo un restauro, sotto il loggiato del Teatro Masini.
Per informazioni e dettagli sulle mostre e sugli altri eventi in programma: www.museozauli.it

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 22 [2015 - N.52]

Un originale esempio di sinergia fra due musei ravennati per cimentarsi nella ricerca storica a partire dai copioni manoscritti
della Famiglia Monticelli

Roberta Colombo, Giovanni Fanti - La Casa delle Marionette di Ravenna; Fondazione Museo del Risorgimento di Ravenna

Ci sono progetti che nascono e trovano il loro perfezionamento grazie all'incontro tra realtà e discipline che potrebbero sembrare distanti. È dal confronto e dalla riflessione su comuni denominatori che è nata quest'anno la collaborazione tra due realtà culturali ravennati: La Casa delle Marionette e la Fondazione Museo del Risorgimento. L'incontro ha fatto leva su un metodo di lavoro che le ha viste interessate scientificamente e ha portato alla nascita dell'ambizioso progetto Marionette e Risorgimento.
Grazie a tale progetto, finanziato dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna, a partire dallo scorso settembre i due musei, nelle figure dei due responsabili della formazione e della ricerca Roberta Colombo e Giovanni Fanti, hanno intrapreso un percorso che, dopo un primo periodo di conoscenza della reciproca didattica e modalità di espressione museale, hanno concordato di studiare e tutelare alcuni copioni manoscritti del fondo archivistico della Casa delle Marionette.
La Casa delle Marionette si trova a Ravenna, nel centro storico della città, inaugurata nel dicembre 2005, ospita la Collezione della Famiglia Monticelli, una delle più antiche formazioni di spettacolo dal vivo nel settore delle marionette e dei burattini, ancora attiva ai giorni nostri. Il museo è gestito dal Teatro del Drago, una compagnia teatrale diretta erede della Famiglia Monticelli: gli attuali direttori artistici, Andrea e Mauro Monticelli, appartengono alla quinta generazione che ininterrottamente porta avanti l'attività; il capostipite fu Ariodante, nato a Cremona nel 1822. Il museo non è solo un luogo dove gli oggetti vengono conservati e mostrati: queste testimonianze continuano a vivere, parlare e a raccontarci il loro tempo. La collezione Monticelli è composta da 63 marionette, 135 burattini, 132 scenografie e 130 copioni manoscritti.
Proprio i copioni manoscritti si sono rivelati una fonte storica di grande interesse che ha visto l'interazione tra La Casa delle Marionette e Fondazione Museo del Risorgimento. Sui copioni si è portata l'attenzione per la loro natura di fonte vergine di prima mano, che analizzata dallo storico e dallo studioso di teatro può dare origine a un pensiero critico nuovo: è come guardare lo stesso oggetto da due prospettive diverse. Quello che ne esce è un ritratto dell'oggetto molto più completo, soprattutto perché le informazioni non vengono a sommarsi, ma a completarsi vicendevolmente.
I copioni più antichi risalgono alla prima metà dell'Ottocento e sono opera del capostipite Ariodante, fino a giungere ai più recenti degli anni Sessanta-Settanta del XX secolo scritti da William. Dato che la Famiglia Monticelli è stata marionettista fino agli anni Venti-Trenta dello scorso secolo, i copioni antecedenti questo periodo sono tutti scritti per il teatro di marionette, mentre i più recenti furono scritti per il teatro di burattini.
La collaborazione prevista dal progetto è stata sperimentata su cinque copioni: La battaglia di Legnano, I Fratelli Bandiera (sia il copione del 1907 sia quello per burattini del 1937); La spedizione dei Mille, Lo sbarco dei Mille, Stefano Pelloni (composto a Ostiglia). I copioni sono stati interessati da un rilievo fotografico digitale che ha permesso la fruibilità dei manoscritti oltre a documentarne lo status quo. La caratteristica principe dei copioni per il teatro di marionette, scritti da Ariodante, riguarda la presenza della maschera di Famiola (costume piemontese, molto vicina al Gianduia torinese).
Il 20 marzo scorso a Grugliasco, presso l'Istituto per i Beni Marionettistici di Torino, all'interno della giornata di studi organizzata in occasione della Giornata Mondiale della Marionetta, si è conclusa, con una comunicazione scientifica, la prima tappa di un itinerario segnato dalla collaborazione fra i due musei ravennati. Un lavoro che nasce e si inserisce nel contesto di un altro progetto più ampio e di respiro nazionale promosso da UNIMA (Unione Internazionale delle Marionette - Sezione Italia) che da due anni si é posta il traguardo di far riconoscere nel Registro della Memoria degli Archivi UNESCO, le collezioni dei copioni manoscritti di 9 musei italiani, fra i quali quelli della Casa delle Marionette di Ravenna. I risultati di questo percorso per il Registro della Memoria sono resi pubblici da luglio 2015.
Questa esperienza, appena nata, continuerà nei prossimi anni perché tale è la potenzialità scientifica di quanto sperimentato che sarebbe molto sciocco desistere per esclusive cause economiche.

Esperienze di didattica museale - pag. 22 [2015 - N.53]

L'app "Scoprirete Musei" si è arricchita di percorsi ludici per scoprire giocando i musei del Sistema Museale della Provincia di Ravenna

Eloisa Gennaro - Responsabile Ufficio MAB Provincia di Ravenna

Chiunque si occupi di didattica museale e mastichi teoria dell'educazione sa che il segreto per far divertire e imparare i giovani visitatori di un museo sta in due parole: narrazione e interazione. E senza dubbio l'approccio maggiormente capace di legare l'apprendimento al piacere - due delle fondamentali finalità del museo - è dato dal gioco.
Così, nonostante negli ultimi anni si sia moltiplicata l'offerta di contenuti interattivi per ragazzi attraverso l'uso di smartphone, tablet e device vari, l'app "ScoprireteMusei" - lanciata un anno fa per promuovere in modo integrato la conoscenza dei 42 musei aderenti al Sistema museale della Provincia di Ravenna - si è implementata con la sezione "Percorsi ludici" pensata per i bambini d'età compresa tra i 7 e i 12 anni.
Il gioco proposto è un quiz con domande a risposta multipla, attivabile dalla scheda di ogni singolo museo tramite il bottone gioca con me contraddistinto dall'immagine di un buffo investigatore che guida il bambino nello svolgimento del gioco. In pratica bisogna rispondere correttamente a nove domande, scegliendo la risposta fra le tre presentate. A ogni risposta giusta si conquista un pezzo di puzzle, costituito da un'immagine del museo o di un'opera esposta, e si passa alla domanda successiva. Al completamento delle risposte, il giocatore dovrà cimentarsi con la ricomposizione del puzzle, che potrà anche condividere con gli amici via mail o tramite social network.
La valenza di edutainment di questa applicazione sta nel fatto che per arrivare a comporre il puzzle i piccoli visitatori sono invogliati a scoprire il museo mettendosi in gioco, per l'appunto: per rispondere alle domande è infatti fondamentale impossessarsi degli ambienti e interagire con le opere presenti. Non a caso la sequenza delle domande è stata pensata per accompagnarli in modo divertente e coinvolgente lungo un preciso percorso di visita, alla scoperta dei significati e delle storie racchiusi negli oggetti e negli spazi museali.
I percorsi ludici di "ScoprireteMusei" rappresentano per i musei un'occasione non solo per incrementare l'offerta per il turismo familiare ma anche per personalizzare di volta in volta il gioco nell'ambito di eventi speciali.
L'app è un prezioso alleato anche per il pubblico adulto in visita ai musei del sistema provinciale, in grado di far scoprire un territorio ricco di storia, arte e cultura in maniera più approfondita e accattivante. Grazie alla 'realtà aumentata' storia e curiosità sono presentate in modo immediato: basta puntare il proprio smartphone o tablet verso un luogo che compaiono sullo schermo i musei con tutti i contenuti multimediali collegati. Tante sono le informazioni utili per conoscere il territorio: notizie storico-culturali, orari d'apertura e prezzi, parcheggi, accessibilità, visita con dettagli di sale, sezioni e singole opere, immagini, video, audioguide, news ed eventi in tempo reale. I musei naturalmente sono geolocalizzati sulla mappa, per una facile e immediata localizzazione rispetto al punto in cui si trova il visitatore. L'app suggerisce inoltre alcuni percorsi tematici, itinerari che toccano sul territorio più musei e luoghi d'interesse legati da un tema comune (artistico, storico, archeologico, naturalistico). Infine si possono condividere le informazioni e gli eventi di interesse con i propri amici sui social network e registrare sulla propria agenda gli appuntamenti a cui partecipare.
"ScoprireteMusei" è scaricabile gratuitamente dagli store Google Play e Apple Store, nella versione per iOS e Android.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 22 [2015 - N.54]

Laboratori manipolativi e storytelling della memoria storica e civile del territorio con le luci di fine inverno

Roberta Colombo, Sabina Ghinassi - La Casa delle Marionette e RavennArte

La tradizione di accendere la sera del 9 febbraio dei lumini e di porli sui davanzali delle finestre per tutta la notte è nata il 9 febbraio 1849 per festeggiare la nascita della Repubblica Romana a seguito dei moti insurrezionali del 1848. La Repubblica Romana ebbe vita breve (5 mesi) ma fu un'esperienza significativa nella storia dell'unificazione italiana perché divenne il banco di prova di nuove idee democratiche, ispirate principalmente al mazzinianesimo, che sarebbero diventate realtà in Europa solo un secolo dopo: il suffragio universale maschile (quello femminile, pur non vietato dalla Costituzione, non fu attuato per consuetudine), l'abolizione della pena di morte e la libertà di culto.
Quella dei Lumini è una tradizione profondamente radicata in Romagna e si riannoda con forza a tutta la storia del Risorgimento italiano: innestati sulle "feste del fuoco" di fine inverno, presenti in Europa da diversi secoli, i Lumini si diffusero con forza nel territorio, diventando nel corso degli anni un'abitudine che segnava l'adesione profonda ed etica alla visione democratica e repubblicana del Risorgimento. L'accensione delle piccole lanterne (spesso rosse, bianche e verdi) era accompagnata da cene patriottiche che rievocavano l'abitudine di condividere il pasto tra patrioti di diverse estrazioni sociali uniti dagli ideali comuni: l'aristocratico sedeva vicino al contadino, l'avvocato accanto al pastore, lo studente al professore. Dalla prima metà del Novecento il pranzo patriottico fu accompagnato da grandi feste che si svolgevano nei cameroni (o cameraccie) del Partito Repubblicano dei paesi della campagna ravennate e forlivese. La più importante, sino alla fine degli anni '60 del secolo scorso, era quella del Circolo Repubblicano Giuseppe Mazzini di S. Stefano, una frazione a sud di Ravenna, che raccoglieva abitanti da tutta la provincia ravennate, cervese e forlivese. Era diventata una festa famosa, per la quale l'intero paese era decorato con bellissime luminarie artigianali in ferro battuto. Arrivavano amici dalla città e dalla campagna, arrivavano parenti da lontano, chi in bicicletta, chi in side-car, chi in motocicletta e, portandosi l'abito da festa nella borsa, si cambiavano nei casolari e poi correvano al camerone a ballare sino a notte fonda. Si facevano cene nelle case. Era diventato un evento: il più importante e seguito del territorio.
Di questa tradizione resta il ricordo fortissimo in tutti quelli che hanno condiviso tale momento sino a qualche decennio fa. Per recuperare e raccontare alle generazioni più giovani questa memoria e la radice etica e culturale di questa festa laica, l'Associazione Culturale RavennArte, il Teatro del Drago e il Museo La casa delle Marionette con il sostegno della Fondazione Museo del Risorgimento e di Casa Matha di Ravenna, hanno organizzato, dal mese di gennaio sino al 9 febbraio 2016, nelle Scuole primarie Mordani, Ricci Muratori, Garibaldi di Ravenna e Senza Zaino di Classe I Lumini di Romagna e le feste delle Luci di Fine inverno, una serie di laboratori e narrazioni durante le quali nove classi hanno incontrato la storia dei Lumini di Romagna attraverso un approccio narrativo tra mito, storia e leggenda e costruito le lanterne da esporre la notte del 9 febbraio, con candele e barattoli di vetro riciclato. Nell'ambito del progetto, il 9 febbraio anche lo spazio del Museo La Casa delle Marionette si è aperto a tutti coloro che hanno scelto di ascoltare e condividere questa bellissima storia, creando insieme i Lumini da porre sui davanzali per illuminare la notte laica che ricorda la lotta per la libertà e l'alba della Costituzione.
La narrazione, condotta da Roberta Colombo su script di Sabina Ghinassi, è il primo passo nella costruzione di un progetto di più ampio respiro che prevede una pubblicazione che raccoglie documentazioni fotografiche, testimonianze e la creazione di uno spettacolo teatrale per bambini e preadolescenti. La ricerca condivisa è stata condotta attraverso una metodologia transgenerazionale e multidisciplinare e si muove da un'indagine partita dalle feste del fuoco di origine celtica, latina e cristiana e arrivata alla Festa dei Lumini, alle sue radici civiche e culturali, saldamente innestate nell'immaginario collettivo del tempo, costruendo una sorta di "fabula" che unisce la dimensione etica e morale a quella fiabesca. Un approccio che ha coinvolto e affascinato i bambini e le bambine e ha permesso un primo, affascinante incontro con i valori della Costituzione italiana nelle scuole primarie del territorio.

Esperienze di didattica museale - pag. 22 [2016 - N.55]

Il progetto di alternanza scuola-lavoro del Museo Carlo Zauli di Faenza raccontato da un liceale

Leonardo Bandini - Studente Classe IB Liceo Classico Torricelli

Lo scopo di ogni progetto di alternanza scuola-lavoro, di fronte al quale si trovano per la prima volta gli studenti al terzo anno di scuola superiore, dovrebbe essere quello di insegnare in modo attivo argomenti di carattere più pratico o comunque diverso da quelli trattati nelle ore scolastiche. In questo è senza dubbio riuscita la collaborazione tra il Museo Carlo Zauli e le classi IIIAL, IIIBL e IBC dei licei linguistico e classico di Faenza. Il museo, dedicato al lavoro dello scultore e ceramista di Faenza, ha infatti dato ai ragazzi la possibilità di mettersi in gioco in prima persona e soprattutto in modo diverso rispetto a molte altre opportunità di lavoro offerte, dove gli "stagisti" non rappresentano altro che un paio di mani che aiutano nel lavoro di fatica.
Queste possibilità sono distribuite su svariati progetti, a partire dal percorso urbano, la cui realizzazione è stata interamente affidata ai ragazzi del liceo classico: dopo avere schedato tutte le opere targate Carlo Zauli distribuite sul territorio faentino (possedute da privati come da esercizi o luoghi pubblici), gli studenti hanno progettato un itinerario basato su queste, indirizzato a tutti coloro che siano interessati ad ammirare anche fuori dal Museo le opere dell'autore faentino.
Altro compito affidato alle classi è quello di far scoprire e rendere il più accessibile ed interessante possibile il patrimonio artistico offerto dal Museo alle fasce d'età solitamente meno attratte da questo tipo di luoghi culturali. Gli studenti realizzeranno questo, in primo luogo, attraverso la redazione di nuove didascalie indirizzate ai giovani per le opere di Zauli, in modo da renderle più interessanti in un linguaggio più "attraente", poi organizzando una serata al Museo per far scoprire alla fascia giovane della città un luogo da molti giovani ignorato o sottovalutato. Dagli stessi ragazzi verranno gestiti, come in occasione della passata Cena Itinerante, profili social sui quali restare aggiornati riguardo alle novità del museo: oltre alla pagina già presente su Facebook, un profilo Snapchat sarà attivato insieme ai già presenti hashtag #liceumatwork e #liceomuseo, che porta il nome del progetto stesso.
A un altro e ancora differente target è rivolto anche il lavoro delle classi del liceo linguistico, che dall'anno prossimo presenteranno ed esporranno le opere del Museo in lingua, per ampliare il raggio di interesse ad un'ulteriore fascia. Comunque le visite guidate saranno tenute anche in italiano dai ragazzi del liceo classico, che per tutti i martedì di luglio saranno presenti al Museo in corrispondenza del consueto ritrovo settimanale faentino del periodo estivo.
Ed è proprio nella stretta collaborazione che si crea tra gli studenti e il Museo che nascono questi progetti, dove siamo proprio noi ragazzi a impersonificarci nella gestione di questo luogo, pensando per esempio a cosa interessa ai nostri coetanei e a come realizzarlo in prima persona.

Esperienze di didattica museale - pag. 22 [2016 - N.56]

La mostra "La casa di Nostra Donna" al Mar per una riflessione su quel che resta dopo il bombardamento

Alessandro Volpe - Curatore della mostra

Il 5 novembre 1944 alle porte di Ravenna una chiesa gotica e i suoi preziosi affreschi trecenteschi furono distrutti dal bombardamento mirato dei Flying Skulls, uno squadrone di Thunderbolt americani; il campanile svettava oltre le linee tedesche e avrebbe potuto essere un punto di osservazione sulle truppe alleate che dovevano liberare Ravenna. Nove persone si erano rifugiate nel possente torrione e otto di loro morirono quel giorno.
Dalla chiesa modernamente ricostruita, i pochi affreschi che erano sopravvissuti al disastro furono rubati negli anni '90. L'annientamento fisico del monumento rimane al centro di qualsiasi riflessione su Santa Maria in Porto Fuori, anche nel produrne l'immagine digitale, apparentemente abitabile e diversamente solida: si tratta di una forma che ha la stessa concretezza di una stringa numerica seppure ambisca a occupare il vuoto lasciato dalla scomparsa della basilica.
La Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna sostenne il progetto di ricerca presso il Dipartimento di Beni Culturali dell'Università di Bologna per la ricostruzione virtuale della chiesa e si è poi disposto in piena collaborazione per la progettazione di una mostra sulle immagini che dall'Ottocento a oggi hanno risposto agli sguardi che sulla superficie di quei muri si sono interrogati per rispondere alle più diverse necessità culturali.
Si tratta di una mostra costruita per mantenere in evidenza polarità irriducibili. Gli altissimi standard qualitativi della pittura riminese del Trecento, mostrati da preziose opere originali, sono accostati a riproduzioni a grandezza naturale dei dipinti di Santa Maria in Porto Fuori; le fotografie scattate sulle macerie si avvicinano alle foto ricordo, ai frammenti di vita degli scatti amatoriali e alle cartoline; i disegni di Felice Giani, noto pittore neoclassico, che nel chiuso del proprio studio traduce le figure giottesche nel proprio luminoso linguaggio anticheggiante, si contrappongono agli appunti con cui Giovanni Battista Cavalcaselle trascrisse le proprie osservazioni sui dipinti, per supportare una memoria prodigiosa e segnalando durante la visita nella chiesa (intorno al 1860!) l'intuizione che riconsegnava il ciclo di affreschi alla cultura riminese.
Gli scatti fotografici che fra Otto e Novecento registrarono numerosissimi sguardi sulla basilica sono esposti in continuità con l'elaborazione di quelle stesse immagini, la ricostruzione digitale che ogni visitatore può esplorare con la particolare sensazione di avere a disposizione la chiesa e il suo alto spazio figurato.
Il Mar di Ravenna si è dotato, grazie al decisivo contributo della Regione con il finanziamento dell'asse 6 POR FESR, di attrezzature tecnologiche adatte a rispondere alle necessità di esposizioni che si affideranno sempre più a elaborazioni d'immagini accostate a oggetti originali; le attenzioni portate in questo senso dalla direttrice, Maria Grazia Marini, hanno consentito anche l'istallazione di due ambienti che agli estremi della mostra rappresentano sguardi apparentemente incompatibili nelle due opere video in cui Fabrizio Varesco ha registrato il ricordo dei cittadini di Porto Fuori che avevano vissuto la chiesa e la sua distruzione, mentre Stefano Massari ha registrato il proprio poetico sguardo nella chiesa digitale, fornendone una versione autoriale di grave intensità.
Il ricordo dei viventi cittadini di Porto Fuori viene salvato per compensare il fatto che la futura memoria del monumento è probabilmente destinata a essere rappresentata dalla sua ricostruzione virtuale (http://patrimonioculturale.unibo.it/portofuori/tour/SMPFwebdoc.html) accessibile in rete e duratura, almeno quanto il server che la ospita. In questo spazio on line si trovano i contenuti della mostra, mentre una riflessione più articolata si troverà edita in un volumetto approntato per l'occasione, una raccolta di contributi illuminato da differenti interessi disciplinari su queste stesse vicende. Nella pubblicazione si troverà la particolareggiata descrizione del procedimento attraverso cui Fr@me Lab è giunto a rendere la sensazione di solida credibilità del monumento digitale, mostrandone la reale inconsistenza "numerica"; ma anche la riflessione storico artistica ed estetica sul fatto che una certa natura delle immagini dipinte nel secolo di Dante e di Giotto appare incompatibile con questa elaborazione. La storia bellica di Ravenna si arricchisce con la pubblicazione dei diari giornalieri di volo in cui il bombardamento della chiesa appare nella sua fredda certificazione burocratica, mentre il ricordo ancora vivo negli anziani abitanti di Porto Fuori illumina le stesse vicende da una posizione di differente realismo.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 22 [2016 - N.57]

Dal 29 aprile al 23 luglio a Bagnacavallo una mostra ripercorre l'immaginario creativo dell'artista marchigiano

Diego Galizzi - Direttore Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo

Disegni, incisioni, dipinti, schizzi, bozzetti per scenografie. In un percorso di più di settanta opere la mostra Tullio Pericoli. Storie di volti e di terre, allestita al Museo Civico delle Cappuccine racconta l'immaginario creativo dell'artista marchigiano, non solo uno dei più amati disegnatori italiani, ma soprattutto artista a tutto tondo, in grado di spaziare con disinvoltura tra tematiche e linguaggi diversi, dalla caricatura alla pittura di paesaggio, dall'illustrazione alla scenografia, dalla ritrattistica alla regia teatrale.
Nato a Colli del Tronto nel 1936 e trasferitosi a Milano nel 1961, Tullio Pericoli si afferma come pittore e disegnatore soprattutto a partire dagli anni '70, quando inizia importanti collaborazioni con riviste e quotidiani nazionali e internazionali come Il Corriere della Sera, La Repubblica, Linus, L'Espresso e Harper's Magazine. Parallelamente a questa attività, espone in tutto il mondo dipinti, disegni e opere grafiche, e pubblica numerose raccolte della sua produzione artistica. Tra i suoi soggetti preferiti emergono soprattutto i ritratti e i paesaggi, che Pericoli indaga con profonda sensibilità e infinite variazioni. Fondamentale nella carriera artistica di Pericoli è l'attività in campo teatrale, che lo ha visto impegnato a disegnare scene e costumi per L'elisir d'amore di Donizetti, Il turco in Italia di Rossini e Le sedie di Ionesco, di cui ha curato anche la regia.
Seguire il percorso espositivo della mostra bagnacavallese vuol soprattutto dire ripercorrere la storia di una doppia e irrinunciabile attrazione, quella dell'autore per la forza evocativa e narrativa del paesaggio e del volto umano. I volti e i paesaggi così come ce li restituisce Tullio Pericoli sembrano rispondere a una stessa geografia, a un comune principio ordinatore, che è quello del trascorrere della vita, i cui segni lenti e stratificati svelano l'anima più profonda delle cose, il loro carattere, la loro etica.
Il paesaggio, tematica spesso al centro dell'impegno artistico di Pericoli, è raccontato attraverso una singolarissima cifra stilistica, fondata di frequente su raffinate trame grafiche e sottili registri tonali in grado di conservare la memoria storica di quei territori, evocarne le origini, registrarne le trasformazioni. Sebbene sia quasi impossibile ravvisarvi presenze umane, in queste vedute aperte in lontananza a perdita d'occhio si scorgono i segni tangibili della frequentazione dell'uomo, tracce di attraversamenti e di secolari coltivazioni. Sono paesaggi che si rivelano come volti, il volto in questo caso della terra marchigiana, dove lo sguardo di Pericoli sa muoversi con estrema confidenza, ma più in generale valgono anche come rappresentazione materiale più autentica del nostro paese. Come ha evidenziato Salvatore Settis, nei suoi preziosi lavori è possibile individuare una sorta di paysage moralisé, portatore non solamente di valori estetici e contemplativi, ma anche etici: ci ricordano chi siamo e chi siamo stati, ci invitano a riflettere su chi vogliamo essere. Sia che si tratti di incisioni o disegni o tele dipinte, la tecnica esecutiva di Pericoli rivela sempre una sensibilità marcatamente grafica, tutta giocata su inquieti tocchi che a volte costruiscono l'impalcatura essenziale delle composizioni, altre volte entrano in relazione con la materia pastosa delle campiture di colore, frangendole in infinite trame che danno spessore al dipinto e ne fanno vibrare la superficie.
La stessa sensibilità - potremmo dire la stessa topografia - si riscontra nei ritratti più intensi di Pericoli, dove i volti sfumano in paesaggio e il segno ripercorre tracce biografiche altrimenti segrete. Come il volto di Samuel Beckett, che appare come un terreno accidentato, o quello di Eugenio Montale, dal profilo possente e immobile come un promontorio.
La mostra, organizzata dal Museo delle Cappuccine in collaborazione con la Galleria Ceribelli di Bergamo, è aperta al pubblico nei seguenti orari: martedì e mercoledì 15-18; giovedì 10-12 e 15-18; venerdì, sabato e domenica 10-12 e 15-19. Ingresso gratuito. Info: www.museocivicobagnacavallo.it


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 22 [2017 - N.58]

Aperta la nuova Sezione d'arte contemporanea alle Cappuccine

Diego Galizzi - Direttore Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo

Nell'ambito di un programma pluriennale di rinnovamento degli spazi espositivi del Museo Civico delle Cappuccine, avviato già nel 2011 con il riallestimento della Sezione d'arte antica, nel giugno scorso è stato presentato al pubblico un nuovo, consistente intervento sulle collezioni museali, che ha avuto stavolta come oggetto la sezione dedicata all'arte del Novecento e dell'età contemporanea.
Il progetto di riallestimento, iniziato nel 2016 in occasione del 40° anniversario della fondazione del museo e realizzato grazie al contributo dell'IBACN (Piano Museale 2016 - L.R. 18/2000), è frutto di un radicale ripensamento del percorso espositivo, finalizzato a restituire a rinnovata dignità le collezioni artistiche più recenti, nell'ottica di valorizzare la collezione e di creare un contesto espositivo che consenta un'adeguata fruizione delle opere così come una più chiara comprensione dei momenti salienti della tradizione pittorica locale (e non solo), di cui il museo conserva testimonianza.
I lavori da poco conclusi hanno riguardato un'area di circa la metà dell'attuale superficie espositiva del museo, all'interno della quale trovano ora spazio più di 70 dipinti e una ventina di sculture. Nell'impaginazione degli spazi si è ricercata prioritariamente la sobrietà e la pulizia estetica delle sale e degli apparati didascalici, lasciando che a parlare fossero il più possibile le opere. Il percorso risulta piuttosto articolato, e gioca sulle caratteristiche stesse dell'ex spazio conventuale dove oggi è ospitato il museo. Alla base vi è l'idea che il museo possa in un certo senso farsi portatore, trasmettendolo ai visitatori, dello spirito del luogo, degli stati d'animo e delle sensazioni che hanno animato la struttura architettonica stessa attraverso i secoli. Di qui l'idea di suggerire qualcosa del senso di intimità, di chiusura e di segretezza proprie della vita di clausura che conducevano le suore Cappuccine fino agli anni Settanta, epoca in cui hanno abbandonato definitivamente la struttura. Così quelle che erano le cellette delle suore sono ora spazi espositivi di piccole dimensioni, dall'atmosfera raccolta e riflessiva, dove vengono raccontati alcuni fenomeni artistici locali di rilievo, dal primo Novecento dei bagnacavallesi Edgardo Saporetti e Giuseppe Rambelli, all'attenzione al "vero" della pittura del secondo dopoguerra in Bassa Romagna, ovvero a quel particolare sentimento della natura che caratterizza così bene l'arte e la letteratura romagnola. In altre salette si dà invece conto dell'importante stratificazione di opere d'arte contemporanea che negli anni si è andata depositando nelle collezioni museali, soprattutto grazie alle donazioni degli stessi artisti in seguito agli eventi espositivi organizzati dal museo nel corso di quarant'anni di attività. Di particolare interesse, da questo punto di vista, sono i nuclei di opere di artisti romagnoli come Giuseppe Bartoli, Sonia Micela, Mario Bocchini e Velda Ponti, a cui si aggiungono preziose testimonianze di maestri di più vasta notorietà come Remo Brindisi, Virgilio Guidi ed Ernesto Treccani.
Parallelamente, nei corridoi che sfilano accanto alle sale sono state ricavate delle vere e proprie quinte sceniche, in grado di valorizzare emblematicamente alcuni pezzi di particolare pregio estetico, soprattutto alcune delle splendide sculture della collezione Vittorio Dal Borgo, come la Fanciulla di Tullio Figini, e la delicata scultura ricoperta in foglia d'argento Absconditus di Nicola Samorì, una delle novità del nuovo allestimento. Da evidenziare è l'importanza che si è voluta dare proprio alle sculture della collezione Dal Borgo, restaurate grazie al contributo del Lions Club di Bagnacavallo, che ora sono dislocate anche nelle varie sale a creare liriche suggestioni nella loro relazione con le opere pittoriche.
Altra novità del nuovo percorso è l'inedita esposizione di due selezioni tematiche di incisioni provenienti dal Gabinetto delle Stampe, a testimonianza dell'importante ruolo assunto dal Museo del settore della grafica d'arte. La fitta esposizione di incisioni, una vera e propria "nuvola" composta da più di sessanta opere in cui il visitatore è invitato a immergersi e a perdersi, vuole solo suggerire la straordinarietà, per quantità e qualità, della collezione grafica del Museo Civico delle Cappuccine.
Storie e suggestioni sono quindi il filo conduttore della nuova sezione d'arte moderna e contemporanea del museo bagnacavallese, un museo che ripensa se stesso mettendo ancora più a fuoco la propria identità. Un museo che si apre al futuro ricercando un dialogo con il visitatore ancora più ampio ed eloquente.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 22 [2017 - N.59]

Un nuovo strumento conoscitivo per il Gabinetto delle Stampe di Bagnacavallo

Diego Galizzi

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 22 [2017 - N.60]

La nuova stagione espositiva del MAR promuove l'arte dei giovani e dei centenari.

Nadia Ceroni - Conservatore del Museo d'Arte della Città

La possibilità di disporre di grandi spazi espositivi consente oggi al Museo d'arte della città di proporre, sia contemporaneamente che in rapida successione, vari eventi culturali. Se la stagione estiva si è appena conclusa con le mostre dedicate a Baccarini e Casorati, quella autunnale si apre con un ricco calendario di appuntamenti.

La nuova stagione ha preso il via il 22 settembre con un omaggio a Dante, in occasione delle manifestazioni che ogni anno la città dedica al sommo Poeta. "La Commedia dipinta" è il titolo dell'esposizione che, allestita fino al 30 settembre, mette in mostra i primi dodici cartoni a soggetto dantesco (già restaurati) facenti parte di un nucleo di 21 opere, eseguite nel 1965 da artisti di fama, per essere tradotte a mosaico. Voluti da Giuseppe Bovini nel 1965, in occasione del VII centenario della nascita di Dante, i cartoni erano rimasti custoditi nei depositi del Museo in attesa di essere risanati e valorizzati. Molto eterogenei tra loro per tecnica, dimensioni e supporti, grazie al contributo dell'IBC saranno tutti restaurati entro la fine dell'anno.

Il programma prosegue con Critica in Arte, un progetto che propone una serie di eventi dedicati a giovani artisti scelti da giovani curatori. Allestiti al piano terra della Loggetta Lombardesca, sono previsti quattro appuntamenti con cadenza mensile, con l'intento di far luce sulle nuove identità della critica attualmente attiva in Italia e dedita particolarmente alle espressioni artistiche delle ultime generazioni. Il calendario è così articolato: il 5 ottobre Daniela Lotta presenta David Casini; il 3 novembre il lavoro di Silvia Camporesi è presentato da Claudia Casali; il 6 dicembre è la volta di Sara Rossi presentata da Chiara Pilati, mentre il 12 gennaio 2008 Andrea Bruciati chiude il ciclo con la presentazione di Ivan Malerba. Ciascun evento è accompagnato da piccole monografie che verranno successivamente raccolte in cofanetto.

In occasione del quinto centenario della nascita di Luca Longhi (1507-1580), il 13 ottobre è stata inaugurata la mostra "Luca Longhi. Una bottega del '500 a Ravenna", evento con il quale il Mar vuole ricordare e celebrare l'artista ravennate e la sua bottega. Il progetto espositivo si propone di collegare le numerose testimonianze pittoriche di Luca e dei figli Francesco e Barbara attraverso un percorso nella città che riunisce le opere conservate nelle chiese di Sant'Agata, Santa Maria Maggiore, nel Palazzo Arcivescovile, presso la Biblioteca Classense, le istituzioni culturali e le raccolte pubbliche e private romagnole.

Al secondo piano della Loggetta sono esposti i quadri più significativi, richiesti in prestito per l'occasione, che il visitatore potrà collegare alle 21 opere dei Longhi già presenti nella collezione antica della Pinacoteca. Una guida a stampa, inoltre, suggerisce al pubblico altri percorsi sul territorio, destinati alla scoperta e alla conoscenza della produzione artistica dei Longhi; la mostra resta aperta fino al 6 gennaio 2008.

Il nuovo anno vede il Mar impegnato nell'allestimento di una grande rassegna dedicata a Corrado Ricci (1858-1934), in occasione dei 150 anni dalla nascita, intitolata "Omaggio a Corrado Ricci", in programma dal 23 febbraio al 29 giugno 2008. Figura di grande rilievo per la museologia e la tutela dei beni culturali, la sua attività di studioso e legislatore contribuì al riordino del sistema museale nazionale. Nella mostra saranno esposte opere dei grandi protagonisti dell'arte italiana fra '400 e '600, provenienti dai maggiori musei dove Ricci svolse la sua attività. Un'ampia sezione è dedicata al Paesaggio tra la fine dell'800 e i primi del '900 con i maggiori nomi della pittura italiana del tempo.

Da segnalare infine un'esposizione, ospitata dal 20 ottobre al 9 dicembre 2007, dal titolo "Arte per l'umanità. Arte e artisti in 120 anni di Cooperazione£. Organizzata da Legacoop Ravenna e dalla Federazione delle Cooperative della Provincia di Ravenna, promossa dalla Lega Nazionale delle Cooperative nell'ambito della celebrazione del centoventesimo anniversario della sua fondazione, la mostra consente al visitatore di percorrere un lungo tratto di storia italiana sulla base del rapporto instauratosi dal 1886 ai giorni nostri tra il mondo dell'arte e quello della cooperazione.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 23 [2007 - N.30]

Micha'el. Presenze e immagini di San Michele in Romagna
Testi di Fabrizio Lollini, Vittorio Pranzini e Patrizia Carroli, catalogo di mostra, Edit Faenza, 60 pp.
Il culto di San Michele ha accompagnato lo sviluppo storico della città di Bagnacavallo fin dal XIII secolo, dando vita ad una delle feste patronali più antiche della Romagna. La mostra curata dal Museo Civico delle Cappuccine, propone attraverso documenti d'epoca, immagini devozionali e opere d'arte provenienti dal territorio romagnolo il forte radicamento popolare di questa tradizione ed i principali riferimenti iconografici della rappresentazione dell'Arcangelo armato.

Faenza
Anno XCIII, fasc. IV-VI, 2007, 350 pp.
Il numero della rivista del MIC uscito nel settembre 2008 è dedicato agli atti del Convegno svoltosi alla Wallace Collection di Londra il 23-24 marzo 2007 in occasione della mostra "Xanto: Pottery-painter, Poet, Man of the Italian Renaissance", prima mostra dedicata a un unico pittore di maioliche del Rinascimento italiano. Grazie soprattutto alla ricchezza dei musei di Londra e di altre località britanniche, è stato possibile esplorare le realizzazioni artistiche di Xanto e gli aspetti della personalità di uno dei più interessanti pittori di maioliche del tempo. Il volume contiene i contributi dei maggiori studiosi della maiolica italiana.

Domus dei Tappeti di Pietra di Ravenna
Testi a cura di Giovanna Montevecchi, Provincia di Ravenna, 80 pp.
Il ventitreesimo numero delle monografie dedicate ai musei del Sistema Museale della Provincia di Ravenna è dedicato al singolare sito archeologico, scoperto durante uno scavo nel centro a Ravenna, che espone una vasta estensione di pavimenti a mosaico policromi e marmi. La guida presenta le diverse fasi storiche del sito, illustrando nel dettaglio il percorso museale dell'invaso interrato, con le sue ampie pavimentazioni, anche figurate, di eccezionale livello artistico e qualitativo, da cui si accede passando dalla settecentesca chiesa di Sant'Eeufemia.


Mattia Moreni
Testi di Claudio Spadoni, a cura di di franco e Roberta Calarota, Silvana Editoriale, 183 pp.
Il volume, edito in occasione di due mostre ospitate al Museo delle Cappuccine di Bagnacavallo, ai Magazzini del Sale di Cervia e al Kunsthaus di Amburgo, indaga i due periodi meno noti del pittore, quello dei primi e degli ultimi dieci anni di attività. Formatosi nell'ambiente torinese del dopoguerra, Moreni esordisce con l'espressionismo e l'astrattismo: è questo il primo periodo presentato, cha va dal 1941 al 1953. Il secondo momento è quello che va dal 1985 al 1998, anno della morte, in cui esprime una strenua difesa dei valori della natura e del corpo, contro l'aggressione della civiltà computerizzata. Le opere, presentate in due sezioni distinte, sono introdotte ciascuna da un testo critico.


Informalibri - pag. 23 [2008 - N.33]

Luigi Varoli (1889 - 1958): un maestro nel Novecento
Testi di Federica Francesconi, Orlando Piraccini, Aldo Savini, 2008.
Catalogo della mostra, pubblicato nella collana editoriale "Immagini e Documenti" dell'IBC, comprendente saggi di Federica Francesconi, Orlando Piraccini, Aldo Savini, Raffaella Zama, schede ed illustrazioni delle opere esposte. La pubblicazione comprende, inoltre, un primo regesto del "catalogo generale" delle opere di Luigi Varoli tuttora in fase di compilazione.


L'ultimo custode
Soggetto di Massimo Marcucci, sceneggiatura di Gianni Barbieri, disegni di Gianni Sedioli, Provincia di Ravenna / Fernandel,  2008.
Terzo volume della collana a fumetti "I misteri dei musei", che attraverso storie di taglio noir-esoterico promuove i musei del sistema. ancora una volta è in azione Epaminonda Vallicelli, l'eccentrico studioso di storia locale, che muovendosi tra musei, biblioteche e archivi del territorio, ma anche tra bar e osterie, cerca di risolvere una misteriosa storia che lega - con un sottile filo rosso sangue - re Salomone, Garibaldi, la Massoneria, un antico grimorio, un enigmatico taccuino proveniente dal 1849 e un'inquietante testa bifronte. Completano il volume le schede dei musei e la rubrica che racconta quanto c'è di vero o falso nella storia.


Museo del Castello di Bagnara di Romagna
Testi a cura di Fiamma Lenzi, Chiara Guarnieri, Andrea Augenti, Provincia di Ravenna, 2008
Il nuovo numero della collana sui musei del Sistema Museale è dedicato al Museo del Castello di Bagnara, aperto dal 2008 nei locali della Rocca sforzesca, completamente recuperata a fini culturali. Il volume illustra i due principali percorsi: quello nelle sale del primo piano, dedicato alla storia di Bagnara e del suo territorio, e quello del mastio, che documenta le vicende del Castello di Bagnara e il fenomeno dell'incastellamento nella bassa Romagna. Un museo che è anche luogo di cultura, punto di riferimento per convegni e studi in materia; un'occasione per ricostruire la memoria storica cittadina, che rivive nelle sale del museo ma anche nel circostante spazio urbano.


Bertozzi & Casoni. Nulla è come appare. Forse
Testi a cura di Franco Bertoni, Allemandi, Torino 2008
Giampaolo Bertozzi e Stefano Dal Monte Casoni hanno fondato, nel 1980, una società a nome collettivo e da quella data operano congiuntamente a opere ceramiche che per inossidabile perfezione esecutiva e capacità di affondo nell'immaginario collettivo sono diventate vere e proprie icone dell'arte contemporanea, internazionalmente riconosciute. Il volume è il catalogo della mostra tenutasi a Milano, al Castello Sforzesco (5 luglio - 2 settembre 2008) e a Faenza, al Museo Internazionale delle Ceramiche (20 settembre 2008 - 11 gennaio 2009).


Informalibri - pag. 23 [2009 - N.34]

Museo Civico Luigi Varoli di Cotignola
Testi a cura di G. Montevecchi, Provincia di Ravenna, 2009
Il Museo si sviluppa in tre sedi espositive. A Palazzo Sforza, l'antica casa degli Attendoli-Sforza, il visitatore, con l'ausilio del volume, rivive secoli di storia locale tramite la lettura delle epigrafi romane e delle stele di Caio Vario e di Massimo. La suggestione delle anfore tardo antiche e delle ceramiche medievali e moderne lasciano poi il posto all'arte del poliedrico ed eclettico Luigi Varoli, importante artista cotignolese del '900. Nella sezione a lui dedicata sono conservate le sue opere di pittura, scultura, ceramica e cartapesta; in quella che fu la sua dimora sono testimoniate le sue memorie di artista e di insegnante e le sue multiformi raccolte di cultore delle arti e della storia locale. Il passaggio alla casa che era dell'artista Arialdo Magnani, allievo di Varoli, risulta naturale in una connessione fisico-urbanistica, intellettuale e spirituale fra discepolo e maestro.

Belle di giorno, belle di notte
Testi a cura di Jadranka Bentini, Allemandi, Torino 2009
Linde Burkhardt si è occupata di pittura, architettura, design. Nel 1995 esce una sua collezione di oggetti in ceramica per Driade cui seguirà, nel 1999, una collaborazione con Alessi con oggetti in acciaio e ceramica. I suoi interessi ceramici la conducono a frequentare centri e botteghe ceramiche dove realizza oggetti unici fortemente personali che espone in numerose mostre in Italia e in Germania. La mostra ospitata al MIC nell'estate 2009 presenta una serie di grandi steli realizzate a Nove in cui echi postmoderni di una riscoperta presenza monumentale delle forme semplici convivono felicemente con ricerche decorative che affondano nell'humus più fertile e fertilizzante di una grande tradizione novecentesca, soprattutto mitteleuropea.

Franco Gentilini
Testi a cura di Giuseppe Appella e Claudio Casadio, Faenza, 2009
Gentilini è stato un grande artista del '900. Sue opere sono in decine di musei e la sola collezione d'Arte Religiosa Moderna dei Musei Vaticani conserva sette suoi capolavori. L'artista è nato a Faenza nel 1909 e la sua formazione è stata completamente legata alla città fino alla definitiva partenza per Roma nel 1932. Proprio per documentare il periodo di formazione di Gentili, la Pinacoteca Comunale di Faenza e Banca di Romagna hanno organizzato una mostra in occasione dei cento anni della sua nascita. Della settantina di opere esposte, tutte realizzate tra il 1925 e il 1932, il catalogo riproduce tutti i dipinti, alcuni bei disegni e due opere in ceramica. Completano la pubblicazione una nota biografica, alcune fotografie e l'introduzione di Giuseppe Appella, curatore del catalogo generale dei dipinti di Franco Gentilini.


L'artista viaggiatore
Testi a cura di Claudio Spadoni e Tulliola Sparagni, Silvana Editoriale, 2009
La mostra presenta i percorsi di alcuni dei più significativi artisti che hanno viaggiato e vissuto fuori dall'Europa, ma anche come i quattro continenti extraeuropei furono vissuti e visti dagli artisti "occidentali", a cavallo tra l'orientalismo ottocentesco e le avanguardie, che hanno rielaborato in termini stilistici le suggestioni esotiche. La mostra ripercorre le singole esperienze biografiche e creative di Klee, Macke e Moilliet. I luoghi diventano i veri protagonisti del progetto: la Tahiti di Gauguin e Matisse, il Siam di Chini, la Nuova Guinea di Nolde e Pechstein. Una sezione è dedicata a vario materiale etnografico ed artistico di quei luoghi, proveniente dal Museo Nazionale Pigorini di Roma. Il catalogo presenta saggi di Gualtiero Harrison, Tulliola Sparagni, Claudio Spadoni, Marco Antonio Bazzocchi, Norbert Nobis, Anita Beloubeck-Hammer, Jorg Zutter.


Informalibri - pag. 23 [2009 - N.35]

Il museo, la città e gli uomini
Atti del XIV corso "Scuola e Museo", a cura di Eloisa Gennaro, Provincia di Ravenna, 2009
Per avvicinare al punto di vista comparativo e critico della prospettiva antropologica, per esplorare i concetti di identità e cultura in relazione ai contesti museali etnografici e per comprendere la funzione e le potenzialità educative dell'ecomuseo urbano e del museo diffuso, la Provincia di Ravenna ha organizzato una giornata di studi dedicata a una riflessione sulle caratteristiche delle complesse relazioni che si instaurano fra uomini, città e musei e all'analisi del panorama museale demo-etno-antropologico italiano. Il volume contiene gli atti della giornata, in cui alcuni fra i maggiori esperti italiani in materia illustrano principi, metodi e risultati raggiunti dagli studi più recenti.


Ceramiche d'Arte. I luoghi della ricerca di Ugo La Pietra
Giornale di Mostra, a cura di Franco Bertoni, MIC, Faenza, 2009
Il Mic di Faenza dedica una mostra a Ugo La Pietra, architetto, designer, art director e disegnatore, il cui lavoro di ricerca si caratterizza per l'incontro tra la cultura del progetto con la produzione artigianale e con la produzione industriale. La pubblicazione presenta una ricca gallerie di immagini delle opere ceramiche più signicative dell'artista, che si distinguono per il segno della decorazione, il confronto con materiali e culture diverse, la scelta di intervenire e ridisegnare archetipi di diverse culture regionali, l'uso di un ironico linguaggio di progettazione caratterizzato da mutazioni di scala e gusto all'azzardo.


Giuseppe Rambelli. Un pittore ritrovato tra Romagna e Toscana
Catalogo di mostra, a cura di Diego Galizzi e Orlando Piraccini, Bagnacavallo, 2009
Il Museo Civico Le Cappuccine di Bagnacavallo dedica una mostra antologica a Giuseppe Rambelli, che svela una personalità artistica di grande interesse, la cui vicenda è rimasta finora quasi sconosciuta alla critica e al pubblico. Il catalogo presenta una selezione di dipinti e disegni che documentano la formazione e l'evoluzione stilistica, dalle prove d'accademia ai grandi ritratti della nobiltà fiorentina. Dalla intensa attività svolta in Toscana al suo rientro nella natia Bagnacavallo, l'opera di Rambelli, e la ritrattistica in particolare, si distingue per un tocco tradizionalista, impermeabile alle nuove tendenze dell'arte del Novecento, volta alla riedizione di un intimo naturalismo e di tematiche care ai macchiaioli, come brevi appunti di vita quotidiana.


Eugenio Carmi. Armonie dell'invisibile. La bellezza immaginaria
Testi a cura di Claudio Cerritelli, Silvana Editoriale, 2009
La mostra ospitata al Museo d'Arte della città di Ravenna documenta il percorso creativo di uno dei più sensibili interpreti dell'astrattismo contemporaneo, che ha sempre amato definirsi "fabbricante di immagini". La storia prende avvio dai paesaggi e dai ritratti della fine degli anni quaranta per arrivare al recente periodo in cui l'astrattismo lirico di Carmi gioca con i temi costruttivi del suo stile inconfondibile, dallo sdoppiamento dell'immagine ai piani inclinati, dalla forza irradiante del cerchio agli sconfinamenti dalla superficie, territori d'emozione ancora possibili che l'esercizio quotidiano della pittura comunica nel suo divenire spaziale.


Informalibri - pag. 23 [2009 - N.36]

La maiolica italiana di stile compendiario. I bianchi
Catalogo di mostra a cura di V. de Pompeis
U. Allemandi & C., 2010

Ascoli Piceno, Faenza e Roma sono le tappe della mostra che vede le ceramiche di stile compendiario attraversare l'Italia per esporre 160 pezzi provenienti dai maggiori musei del mondo e da collezioni private. La superficie bianca, corposa e coprente offre la luminosità adatta per risaltare le pennellate veloci di giallo e turchino sulle ceramiche, che, tra il Cinque e Secicento, cercavano di rifarsi alle pitture romane della fine del I secolo d.C. Faenza grazie al questo catalogo si arricchisce di uno studio che si misura con le varie territorialità dei bianchi, allargando al contempo il tema a terreni scientifici e di costume storico inediti.

I fiori dell'anima. Il linguaggio dei fiori nei paramenti sacri dei domenicani
Catalogo di mostra a cura di A. Dari, M.G. Moranti, F. Pozzi
Forlì, 2010

Il catalogo della mostra, promossa dalla Pinacoteca Comunale di Faenza, riprende i vari temi delle opere esposte. La parte principale è dedicata ai paramenti sacri dei domenicani faentini, con una schedatura scientifica delle belle vesti liturgiche e un apparato per il riconoscimento dei fiori riprodotti, con un glossario dei paramenti e un piccolo lessico floreale. Altri saggi sono stati dedicati alla locale ceramica settecentesca con decoro floreale, ai pittori floreali che a Faenza diedero sviluppo tra Sette-Ottocento a un vero e proprio genere caratteristico e alle tre più importanti pubblicazioni botaniche tra Seicento e Ottocento: il De Florum cultura di Ferrari, l'Hortus Romanus di Bonelli e la Pomona di Gallesio, capolavoro dell'arte tipografica neoclassica.

I Preraffaelliti. Il sogno del '400 italiano da Beato Angelico a Perugino da Rossetti a Burne-Jones
Catalogo di mostra a cura di C. Harrison, C. Newall, C. Spadoni
Silvana Editoriale, 2010

La sconda metà dell'800 vede una corrente formata da Rossetti, Hunt, Burnes-Jones, solo per citarne alcuni, spingersi contro l'ordinario stile delle accademie che imponevano immagini convenzionali. L'arte spontanea ispirata alla natura rinnova il rapporto ormai perduto dell'Italia con l'arte e i paesaggi grazie ad artisti britannici che seguirono un percorso colto legato alla letterartura del '300 e in particolar modo alla figura di Dante. Il Mar di Ravenna ha realizzato una mostra che espone soggetti propriamenti danteschi, legati sia alla vita che agli scritti del "Divino" poeta, ma anche scorci di paesaggi e vita quotidiana, portando i Preraffaelliti a livelli artistici altissimi.

Jürgen Czaschka. Biffando l'assoluto. I bulini
Catalogo di mostra a cura di U. Giovannini
Vaca Edizioni, 2009

La copertina del catalogo introduce al lavoro di Czazchka, il quale unisce rigore intellettuale a una calda e ironica humanitas. L'intervista che apre il volume anticipa, tramite le parole, la profondità dell'animo dell'artista ribadita, poi, nella totale razionalità esecutiva dei suoi bulini che convivono con il caos proibitivo del vissuto. Rifacendosi al classicismo razionale di Dürer segna un percorso solcato dalla coscienza contemporanea grazie alle lezioni surrealista ed espressionista. Il Gabinetto delle stampe di Bagnacavallo, a cui l'artista ha donato l'intero corpus incisorio da lui creato, riflette la foresta di segni piegata dall'ordine dell'arte, della storia civile e dai colpi di una biografia retta dall'amore per Renate.


Informalibri - pag. 23 [2010 - N.38]

Edgardo Saporetti. Sguardo sul tramonto dell'Ottocento

Catalogo di mostra a cura di D. Galizzi, Comune di Bagnacavallo, 2010

L'esposizione realizzata al Museo delle Cappuccine ne mostra ancora una volta la valenza di centro di ricerca e di divulgazione artistica, impegnato nel recupero e valorizzazione di alcune personalità artistiche native o operanti nel territorio. Il catalogo, oltre a fornire un cospicuo apparato iconografico (più di 50 opere in mostra, provenienti da tutta Italia e dall'estero) offre spunti di riflessione sul percorso lungo una vita di Saporetti. Il volume è così l'occasione per riscoprire uno dei tanti artisti "smarriti" dalla storia dell'arte del '900, dotato di un notevole talento artistico, ma anche di una personalità complessa e inquieta, che lo ha portato a una continua ricerca di stimoli e progetti nuovi, senza esimerlo da fallimenti e relazioni "pericolose".

Museo del Risorgimento e dell'Età Contemporanea di Faenza

Testi di P. Casta e G. Cicognani, Provincia di Ravenna, 2010

Il nuovo numero della collana di monografie sui musei del Sistema Museale è dedicato al Museo del Risorgimento e dell'Età Contemporanea di Faenza, situato nel piano nobile di Palazzo Laderchi. Il volume illustra la storia della sede e dell'istituto museale, nato nel 1904 in un locale annesso alla Pinacoteca Comunale (con l'allestimento di una mostra sul contributo dei Faentini al Risorgimento Italiano), i restauri succedutisi e l'attuale percorso espositivo che si snoda in quattro sezioni, di cui una allestita nel prestigioso Salone delle Feste, decorato da Felice Giani nel 1794. Infine, un'appendice sui protagonisti del Risorgimento faentino, le cui imprese sottolineano la rilevanza non soltanto locale delle relative testimonianze custodite nel Museo.

Musei e paesaggio Da tema di ricerca a prospettiva di impegno

Atti del XVI Convegno "Scuola e Museo", a cura di E. Gennaro, Provincia di Ravenna, 2010

Il volume raccoglie i contributi dei numerosi relatori intervenuti nell'edizione 2009 del Convegno "Scuola e Museo", promosso annualmente dalla Provincia di Ravenna. Il Convegno, organizzato in due giornate, ha visto l'avvicendarsi di rappresentanti di diverse realtà istituzionali, docenti universitari e membri di ICOM Italia, che nella prima parte hanno discusso sulla concezione di paesaggio e sulle sue trasformazioni, più o meno riflesse nella relativa legislazione e azione di tutela; nella seconda parte della pubblicazione si ritrovano invece i contributi sul tema dell'educazione al paesaggio, con la presentazione di progetti e iniziative mirate alla conservazione e interpretazione del patrimonio paesaggistico locale.

Bagnara di Romagna - Una storia di monete

Testi di S. Conti, Comune di Bagnara di Romagna, 2010

Un'agevole pubblicazione che si propone di contestualizzare e illustrare le monete ritrovate nel territorio bagnarese, oggi esposte nella sezione numismatica del Museo del Castello.

La molteplicità funzionale connaturata alle monete - non solo strumenti di pagamento, ma anche di unificazione politica, di comunicazione pubblica, di propaganda e di trasmissione culturale - rende tali rinvenimenti una fonte storica privilegiata per la ricostruizione delle vicende economiche, politiche e sociali di Bagnara e del suo territorio, dagli arbori del dominio romano fino all'Unità d'Italia.


Informalibri - pag. 23 [2010 - N.39]

Critica in arte 10: 3 critici per 3 artisti

Catalogo di mostra composto da tre monografie, Comune di Ravenna, 2010

Giunta ormai alla quarta edizione è proseguita con grande successo, coordinata da Claudio Spadoni, la manifestazione Critica in arte, che ha lo scopo di mettere in gioco nuovo curatori che organizzino esposizioni di nuovi talenti. Ciascuna esposizione - personale di Chiara Lecca a cura di Claudia Casali, Alterazioni Video a cura di Camilla Boemio, personale di Ettore Favini a cura di Lorenzo Giusti - è stata corredata da una monografia, in seguito riunite in un unico catalogo. Per parlare non solo dei diversi linguaggi attraverso i quali gli artisti dell'ultima generazione si esprimono, ma anche di propensioni, attitudini e modalità con cui la critica d'oggi si confronta con le vicende dell'arte.

Enzo Cucchi. Ceramica

Catalogo di mostra a cura di F. Bertoni, Allemandi, 2010

La mostra che il Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza ha dedicato a Enzo Cucchi, uno dei protagonisti della scena artistica contemporanea, è la prima che raccoglie esclusivamente l'opera ceramica dell'artista. Cani, galli, cipressi, colline, grotte, nuvole, teschi, cimiteri di campagna, campane, croci, pecore, case e tori: ecco gran parte dei temi iconografici prediletti dall'artista in dimensione scultorea che, nella versione ceramica, trovano possibilità particolarmente consone e adeguate. Il catalogo ripercorre la vicenda ceramica di Cucchi, presentando le opere in mostra al MIC, alcuni lavori pittorici con inserti o addizioni in ceramica e oltre quaranta sculture in terracotta smaltata o dipinta a freddo, di medie e grandi dimensioni, in cui i riferimenti figurativi si deformano e si estremizzano in consonanza con le urgenze interiori dell'artista.

Artias. L'indomito

Catalogo di mostra a cura di G. Masetti e R. Rava, 2010

Alla storia, alle emozioni e alle suggestioni di Philippe Artias, grande esponente francese dell'arte europea del '900, sono state dedicate due mostre - al MUSA di Cervia e all'ex Convento di San Francesco di Bagnacavallo, con la collaborazione del Museo delle Cappuccine - nell'ambito di un unico progetto espositivo. La prima sede ha visto protagonista la cosidetta "pittura piatta" degli anni '70, periodo in cui l'artista si interessa alla tradizione della pittura e dell'architettura del nostro Paese, mentre nella seconda sono state esposte altre opere della stagione italiana, insieme a due cicli simbolo dell'insofferenza del potere assoluto. Un catalogo ricco di contributi di vari autori, che vuole essere occasione di studio e di proposta di un talento coloristico potente e fuori dall'ordinario.

A nera. Una lezione di tenebra

Catalogo di mostra a cura di M. Fabbri, Cotignola, 2010A nera. Una lezione di tenebra è il complesso progetto che ha coinvolto i comuni di Bagnacavallo, Cotignola, Lugo e Fusignano, i rispettivi spazi espositivi e musei, proponendo una fertile commistione tra raccolte, identità dei luoghi, sguardi e opere contemporanee. L'importante e corposo catalogo ricalca il percorso e le sezioni in cui si è articolata la mostra: Ombre e fantasmi con l'intervento critico di S. Foschini; Maschere. Specchi. Immagini con lo scritto di A. Giovannardi; Mappe e Labirinti con un testo di R. Bertozzi; Cenere. Polvere. Frammenti con il contributo di M.R. Bentini. Il volume si avvale inoltre di un'appendice con altri cinque saggi su arte, arte e donne, filosofia, fumetto e teatro, per affrontare il tema del nero superando e oltrepassando le opere esposte, collegandosi anche ad altre discipline e linguaggi.


Informalibri - pag. 23 [2011 - N.40]

Museo d'Arte della Città di Ravenna
Testi di A. Fabbri, Provincia di Ravenna, 2011
Il nuovo numero della collana di monografie sui musei del Sistema Museale è dedicato al MAR di Ravenna, situato nella canonica della Abbazia di Porto che dalla loggia sui giardini prende il nome di Loggetta Lombardesca. Tra le pieghe di una storia gloriosa di cui rimane come una eco nella perfezione formale dell'edificio, le collezioni parlano di intrecci complessi e stratificati che affondano le loro radici nella genesi dei musei civici per saldarsi a un nome del destino, quello di Corrado Ricci che da Ravenna scala i vertici del Ministero per mettere in forma un moderno sistema di tutela post-unitaria. Le prime testimonianze datano all'arrivo dei collaboratori di Giotto a Ravenna e si spingono fino ai giorni nostri facendo del museo ravennate un unicum nello straordinario panorama nazionale. Grazie anche a una rara raccolta di opere musive contemporanee.

Sandro Chia. Ceramica vs Disegno 1:0
Catalogo di mostra a cura di F. Bertoni, Allemandi, 2011
Nato a Firenze nel 1946, Sandro Chia è uno degli artisti italiani più conosciuti e apprezzati a livello internazionale. Nel 1980 viene invitato per la prima volta alla Biennale di Venezia dove si inaugura la felice stagione della Transavanguardia di cui è uno dei protagonisti. Da allora l'artista opera su un ampio ventaglio di stili, dai riferimenti antichi e moderni, sempre sostenuto da una perizia tecnica e da un'idea dell'arte che cerca dentro di sé i motivi della propria esistenza. Il catalogo della mostra tenutasi al MIC illustra le opere in ceramica appositamente realizzate per l'occasione presso la Bottega Gatti di Faenza - molte delle quali coniugate con disegni, tempere e acquarelli - e una selezione di opere pittoriche, anch'esse recenti.

Tamo. Tutta l'avventura del mosaico
A cura di C. Bertelli, G. Montevecchi, Skira, 2011
Il volume è dedicato all'ultimo ingresso nel Sistema Museale, il nuovo grande centro espositivo permanente dedicato al mosaico nel prestigioso Complesso di San Nicolò a Ravenna. Con l'apporto originale di importanti studiosi viene ripercorsa la storia secolare del mosaico per celebrare come si conviene la nascita di "Tamo" e tornare ad appassionare tanti, soprattutto i più giovani, ad un'arte antica. I contributi dei due curatori, di P. Racagni, G. Bucci, C. Guarnieri, C. Rizzardi, M. Landi e G. Gardini guidano un'articolata riflessione sull'arte musiva tra antico e moderno: dall'opus musivum al XIX secolo, dai mosaici pavimentali a quelli parietali, dall'età romana alla Venezia bizantina, dalla cultura artistica alle tecniche, dalle copie, i calchi e le fornaci di ieri fino ai prodotti e alle botteghe di oggi.

L'Italia s'è desta. Arte in Italia nel secondo dopoguerra 1945-1953
Catalogo della mostra a cura di C. Spadoni, Allemandi, 2011
La mostra ospitata dal MAR di Ravenna intende indagare i movimenti artistici (Realismo, Fronte Nuovo delle Arti, Forma 1, Gruppo Origine, MAC, Gruppo degli Otto, Concretismo fiorentino, Cronache) nati in Italia nell'immediato dopoguerra e attivi fino alla grande mostra di Picasso a Roma e Milano (1953), che segna uno spartiacque con la seconda parte degli anni '50, ormai caratterizzati da linee artistiche fondamentali come l'Informale, il realismo impegnato, le diverse inclinazioni dell'astrattismo. Il corposo catalogo raccoglie i contributi del curatore, di L. Caramel, C. Casali, M.A. Bazzocchi, F. Poli, L. Somaini, A.G. Cassani e R. Nepoti, oltre a un consistente apparato iconografico relativo all'ottantina di artisti in mostra, per restituire uno spaccato sfaccettato ma rappresentativo del multiforme panorama dell'arte italiana del tempo.


Informalibri - pag. 23 [2011 - N.41]

Un viaggio nell'archeologia dell'Emilia-Romagna

Romina Pirraglia - Sistema Museale della Provincia di Ravenna

Archeavventura è un progetto promosso per il secondo anno consecutivo dall'Unione di Prodotto Città d'Arte della Regione Emilia-Romagna ed ha come capofila la Provincia di Ravenna. Obiettivo principale del progetto è quello di promuovere un circuito di eccellenze archeologiche dei territori che fanno capo alla Regione e ad oggi le Province coinvolte sono quelle di Ravenna, Rimini, Forlì-Cesena, Modena, Bologna e Ferrara.

Il progetto ha lo scopo di avvicinare all'archeologia il pubblico generico, riservando però un'attenzione particolare ai più giovani, cercando di coinvolgerli attraverso l'"attualizzazione" nei social network e video-sharing websites più frequentati (Facebook, Twitter, Youtube) di realtà per loro intrinseca natura άρχαιαι.

Così, il tradizionale strumento cartaceo dell'opuscolo divulgativo - in cui sono raccolte, in lingua italiana e inglese, le descrizioni dei siti archeologici e le proposte commerciali a carattere stagionale - è affiancato da un sito web pensato per accompagnare cittadini e turisti alla scoperta delle ricchezze archeologiche della nostra regione - con l'aggiornamento su eventi a tema e pacchetti turistici creati ad hoc dagli operatori aderenti - nonché per diventare luogo di incontro e scambio di opinioni e di suggerimenti tra gli "archeoavventurieri".

Il progetto coinvolge, oltre alla Cripta Rasponi e ai Giardini pensili di proprietà della Provincia, ben quattro dei musei aderenti al Sistema Museale Provinciale (a Ravenna la Domus dei Tappeti di Pietra e Tamo-Tutta l'Avventura del Mosaico, a Bagnara di Romagna il Museo del Castello e a Russi il Museo Civico) rafforzando così la politica del "fare rete" e il gioco di rimandi tra i diversi musei che da sempre sono tra le ragioni d'essere del Sistema stesso.

Cliccando sulla nostra come su una qualsiasi delle province coinvolte, si viene così rimandati alla lista completa (ciascuna corredata da una scheda con le immagini relative e tutti i dati logistici) dei musei, delle principali emergenze archeologiche e dei centri studio presenti al suo interno, in un'ottica sinergica di respiro regionale.

Da segnalare, la novità di quest'anno: all'interno del sito web Archeoavventura è presente una ricca sezione didattica, in cui è anche possibile effettuare una ricerca avanzata (per parole chiave, luogo e/o argomento) tra le numerose proposte laboratoriali dei vari musei e siti archeologici segnalati. Dal villaggio neolitico all'ambulatorio del chirurgo, dalla villa romana al castello sforzesco, tra suppellettili e utensili di uso quotidiano, l'esperienza dell'antico è alla portata di tutti.

Anche questa seconda edizione del progetto gode di un'intensa campagna di comunicazione on-line con annunci sul motore di ricerca Google, banner sui siti web delle riviste specializzate Archeologia Viva e Archeo, e inserzioni sulle riviste Qui Touring e Bell'Italia.

Un viaggio avventuroso anche per chi abita già qui, in Emilia-Romagna? Sì, perché "il vero viaggio di scoperta non consiste nel cercare nuove terre, ma nell'avere nuovi occhi" (Marcel Proust). Inoltre i motivi per cogliere le variegate proposte di tanti piccoli viaggi, ricchi di suggestione e di fascino, sono numerosi. Non ultimo il concorso "Vinci la tua Archeoavventura 2011", pensato per coinvolgere cittadini e turisti nella narrazione delle meraviglie del patrimonio antico emiliano-romagnolo. Per partecipare al contest è sufficiente inviare una dedica o un pensiero su un "viaggio nell'archeologia" svolto in una delle mete coinvolte. Una giuria di esperti sceglierà il testo vincitore, e l'autrice/autore sarà premiato con un soggiorno per due persone in una delle località proposte dal progetto.

E se "ricordare il passato serve per il futuro" suona ormai come un luogo comune - senza che purtroppo sia mai stato davvero recepito - possiamo renderlo più avventuroso completandolo con le parole di Groucho Marx: "...così non ripeterai gli stessi errori: ne inventerai di nuovi"!

Per info e approfondimenti: www.archeoavventura.it;

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 23 [2011 - N.42]

Palazzo Milzetti di Faenza
Testi di Anna Colombi Ferretti, Provincia di Ravenna, 2012
L'ultimo numero della collana di monografie dei musei del Sistema Museale Provinciale è dedicato a Palazzo Milzetti di Faenza, una testimonianza rara e preziosa dell'arte neoclassica: le architetture di Pistocchi e Antolini, gli stucchi del Trentanove e dei Ballanti Graziani e, soprattutto, le pitture di Giani hanno creato un luogo di grande fascino. E il tempo non ne ha alterato l'aspetto: i conti Milzetti non vi hanno mai veramente abitato e i proprietari successivi non ne hanno alterato la fisionomia. La facciata sobria non lascia indovinare quali meraviglie riveli l'interno: ambienti riccamente decorati, in cui scene mitologiche ed episodi di storia antica si intrecciano con magistrale eleganza a elementi naturalistici e fantastici. Lo Stato Italiano ha acquistato questo luogo straordinario e l'ha trasformato nel 2001 in Museo Nazionale dell'Età Neoclassica in Romagna, rendendo così accessibile al pubblico le sue meraglie.

Guidarello Guidarelli. Tra storia e leggenda
A cura di N. Ceroni, A. Fabbri, C. Spadoni, Mar, 2011
Come si è venuta svolgendo la fortuna di Guidarello e della sua lastra sepolcrale? A questa domanda rispondono alcuni studiosi, non solo storici dell'arte. Adriana Augusti ha condotto una ricognizione sulle tracce dei Lombardo a Ravenna. Mario Scalini ci propone la lettura del corredo del cavaliere imperiale nel quadro dei coevi Gisants secondo i modelli funerari diffusi in Europa. Corinna Giudici affronta la fortuna dell'opera attraverso la lente della fotografia, tra documento e interpretazione. A proporci una riflessione sullo stereotipo del condottiero romagnolo è Roberto Balzani, mentre Marco A. Bazzocchi offre un viaggio trasversale alla scoperta delle implicazioni del monumento tra visibile e invisibile, in dialogo tra l'aldiqua e l'aldilà. Il movente della morte per via di una camicia "a la spagnola belissima de' lavori d'oro" non poteva non accostare il tema del guardaroba, ampiamente svolto da Paola Goretti. Infine Graziella Magherini ci conduce, tra arte e psicoanalisi, nei misteriosi labirinti che suscitano la sindrome di Pigmalione. Perché ci si innamora di una statua?

Le frecce spezzate. Seicento anni di devozione della Madonna delle Grazie di Faenza
Catalogo della mostra a cura di C Casadio et al., Faenza, 2011
La mostra ospitata alla Pinacoteca Comunale di Faenza da novembre 2011 a maggio 2012, è stata organizzata dalla Pinacoteca e dal Museo Diocesano di Faenza e Modigliana in occasione del VI centenario del culto della Beata Vergine delle Grazie. La mostra offre un'interessante panoramica di opere d'arte e documenti storici che testimoniano come la devozione alla Madonna delle Grazie, nella caratteristica immagine con le frecce spezzate nelle mani, si sia diffusa non solo per un ampio periodo temporale ma anche in un esteso territorio, oltre i confini della stessa diocesi. Il catalogo illustra il materiale più significativo in mostra: da dipinti a disegni, tra cui uno inedito di Jacopone da Todi, da pale d'altare a macchine processionali, da stampe a targhe devozionali ed ex-voto, senza dimenticare oggetti liturgici prodotti da una valente tradizione artigianale.

Lo spazio della ceramica. Il Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza fotografato da Gabriele Basilico
A cura di J. Bentini e C. Piersanti, Allemandi, 2011
Il MIC di Faenza, il luogo che ospita la più importante raccolta di ceramiche antiche e contemporanee al mondo, è il protagonista del volume a cura di Jadranka Bentini, già direttore del MIC, e Claudio Piersanti l'architetto che con Rita Rava ne ha realizzato il progetto di ristrutturazione. Gabriele Basilico lo ha fotografato a lavori ultimati e lo descrive con occhio abile e attento. Le sequenze creano il museo mentre lo raccontano, sottolineano dettagli che ai più appaiono invisibili: illustrano un museo nel museo. Il libro si sviluppa quindi come narrazione per immagini di un viaggio ideale all'interno di un'architettura idealizzata. L'esito, indagato con acribia da Basilico, suggerisce una successione di livelli conservativi, espositivi o ad essi funzionali, esaltati da splendide riproduzioni che si sostituiscono al progetto architettonico divenendo esse progetto, e testimoniano la complessità del fare architettura e la cultura che questo fare richiede.


Informalibri - pag. 23 [2012 - N.43]

Inaugurato a Lugo Il Museo Oratorio S.Onofrio, che entra a far parte del sistema Museale della Provincia di Ravenna

Sonia Muzzarelli - Responsabile delle collezioni artistiche AUSL Ravenna

Il Museo Oratorio S. Onofrio fa parte di quel patrimonio stratificatosi nel tempo e rientrato a pieno titolo nell'Ausl di Ravenna con il Decreto Legislativo 30.12.1992 n. 502. L'Ospitale e l'Oratorio sorsero a Lugo di Romagna nell'area denominata Policaro Nuovo per volere del testatore Clemente Galanotti, facoltoso commerciante di panni lughese, con atto testamentario rogato il 19 giugno 1674. I lavori iniziarono subito dopo la sua morte avvenuta il 14 agosto 1674 e il primo intervento fu di adattare l'abitazione del Galanotti alla sua nuova funzione, ricavando due ambienti distinti denominati scaldatoi. Seguirono i lavori dell'Oratorio, iniziati nel 1675 e terminati nel 1679. Le disposizioni testamentarie, puntuali nei particolari, stabilivano inoltre l'istituzione della Confraternita dedicata a S. Onofrio.
Dall'anno della sua fondazione l'Oratorio e l'area che lo accoglie hanno subito notevoli cambiamenti. Ad oggi l'edificio si può segnalare come unico superstite dell'area denominata S. Antonio, abbattuta nel 1019, oltre a unico portatore della memoria sociale e sanitaria del territorio di Lugo.
Per molti anni l'Oratorio si era trasformato un sommesso narratore di se stesso e, quasi con certezza, mi sento di affermare che poche persone, se non accompagnate, erano in grado di ricondurre le scenette monocrome, inserite negli ovali eseguiti da Ignazio Stern, alle opere di carità e pietà elargite dalla confraternita.
Il destino ha voluto che l'Oratorio ritrovasse la voce per raccontare la propria storia; la storia religiosa, sanitaria e sociale di un territorio. Tutto questo è stato possibile grazie all'accordo siglato nel 2008 tra Azienda Sanitaria di Ravenna, Parrocchia di SS Francesco ed Ilaro, Confraternita di S. Onofrio e Comune di Lugo; tale atto ha dato l'avvio a un progetto impegnativo che ha portato al consolidamento dell'edificio, al restauro degli altari e del cenotafio e, infine, all'allestimento definitivo della Sacrestia con la ricollocazione dei manufatti conservati dal 1998 presso l'ex Ospedale Maccabelli di Russi.
L'inaugurazione avvenuta il 17 maggio 2012 ha dato l'opportunità di ammirare nuovamente la grande tela di Ernst van Schayck eseguita per l'Ospitale S. Rocco nel 1600, ricollocata nella sua cornice; la Madonna della scaletta attribuita a Benedetto Buglioni, il ritratto di Luigi Lotti eseguito dal pittore lughese Benedetto Dal Buono e molti altri pezzi di pregevole fattura. Ma, vorrei sottolineare, l'atto di generosità dell'avvocato Corelli Grappadelli che, in ricordo della figlia Benedetta, ha dato l'opportunità di aprire le porte del Museo Oratorio con il crocifisso ligneo del XVIII secolo completamente restaurato.
È sottinteso che le diverse Istituzioni coinvolte si impegneranno a favorire la fruizione e la valorizzazione di questo patrimonio reso nuovamente disponibile, rinnovato nella sua veste di Museo. A tale proposito ci sarà una costante collaborazione che sfocerà in una programmazione concordata e condivisa di visite guidate, servizi educativi e didattici, allestimenti temporanei ed eventi culturali che dialogando tra loro, utilizzeranno questo piccolo gioiello come luogo di produzione e comunicazione culturale.
Un primo tentativo è già stato fatto il 26 maggio dai ragazzi dell'Istituto Comprensivo Gherardi di Lugo, proponendo una visita guidata alternata a momenti musicali. I ragazzi, formati per l'iniziativa dalla sottoscritta, si sono trasformati per un giorno in giovani guide che, con la loro freschezza, hanno descritto ai visitatori i manufatti, messaggi di carità e pietà custoditi nelle cartellette monocrome del ciclo pittorico eseguito da Ignazio Stern, i restauri e molto altro ancora; ma la loro esperienza non si è limitata al semplice ruolo di guida per adulti: al termine della mattinata, chiuse le porte ai visitatori adulti, sono state aperte per due classi delle elementari e, le giovani guide si sono confrontate con un pubblico attento e curioso. I bambini hanno insegnato ai bambini.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 23 [2012 - N.44]

Il Museo Internazionale delle Ceramiche dedica una mostra antologica a un artista vulcanico e controcorrente

Federica Giacomini - MIC di Faenza

Da sempre nel mondo dell'arte ci sono state figure di uomini, donne: artisti in grado di cavalcarne la fenomenologia e appropriarsene attraverso l'elaborazione di una connotazione linguistica ad essi unicamente assimilabile, come nel caso di Guerrino Tramonti.

Personaggio definito malinconico e schivo, si era formato alla Scuola Regia per la Ceramica di Faenza allievo di Anselmo Bucci e Domenico Rambelli. La vicinanza con Ercole Drei e Libero Andreotti ne influenza la poetica coeva, già tuttavia connotata dal culto dell'armonia e della bellezza costanti nella sua intera opera. L'ammirazione e la vicinanza a maestri quali Martini e De Pisis indirizza la sua adesione alla purezza dell'arte plastica e pittorica, consentendogli di mitigare nuove forme e cromatismi attraverso un talento che in seguito non avrebbe resistito al fascino della sensuale mediterraneità picassiana o di Leger, che Tramonti conobbe a Vallauris nel 1952. Il frutto di tali esperienze confluirà verso una chiave di lettura espressamente grafica grazie alla collaborazione Franco Gentilini.

Artista unico nel panorama nazionale, nonostante le immediate attestazioni di merito, fu spesso sottovalutato, per non dire snobbato, dai suoi stessi concittadini. Poco avvezzo al potere, ribelle ad ogni forma di omologazione, si servì spesso del mezzo ceramico per esprimere posizioni controcorrente dalle quali sembra emergere una personalità vulcanica e passionale, che non indulge in facili contaminazioni, pronta a cogliere i segnali forti di un cambiamento epocale contribuendo, a suo modo, a connotarlo. I segni che compongono i suoi rebus assumono l'aspetto di microcosmi perfetti. Sublimità di simboli e purezza di forme che tornano semplici e possenti ad un tempo. Figure zoomorfe, grossi gatti al'apparenza innocui e sornioni ma sembrano celare dietro lo sguardo fisso ed apparentemente vuoto il primigenio mistero che da sempre li accompagna.

Ortaggi, bottiglie, nature morte che vivono entro la purezza della luce che le scopre nel loro nitore chiaro ed essenziale nei simboli e nelle forme. La continua ricerca sulle potenzialità della ceramica, la sperimentazione nella cottura ad alte temperature, l'utilizzo di vetrine a grosso spessore...gli hanno permesso di ottenere effetti che l'abusato termine "decorativo" potrebbe quasi sminuire. L'ottenimento di piani sfalsati su di un'unica superficie, per di più su un oggetto comune come un piatto, una ciotola o quant'altro, hanno fatto dell'arte di Tramonti una cifra ben identificabile nella storia della ceramica del nostro secolo.

L'eloquente gamma cromatica, il continuo alternarsi di lunghe pennellate e frammentate ma decise geometrie rievocano talvolta immagini ironiche: ma se di ironia si tratta essa è sempre accompagnata da una chiave di lettura colta e delicata, in una sorta di rebus dove è impossibile distinguere l'inizio dalla fine. La ruvida grammatica che dalle parole si fonde sublime in forme, figure umane che, laddove presenti, appaiono nella loro totale assenza di prospettiva una moderna citazione delle imperatrici bizantine, la cui consistenza musiva sembra trovare la più viva corrispondenza nelle corpose e spesse cristalline attraverso cui Tramonti ha creato dei veri giochi di specchi su falsi piani.

Nella sua arte ironia, gioco e realtà sembrano confondersi, o addirittura fondersi in un insieme in cui il reale e l'astratto si muovono su labili confini. E l'artefatta naturalezza delle forme e dei gesti di Tramonti sembra il mezzo scelto per affrontare il quotidiano. La mostra ha una chiave di lettura intimista che offre al visitatore un quadro completo dell'opera dell'artista. Sembra svelare l'anima di un artista che ha saputo far convivere i contrasti armonizzandoli in un linguaggio unico ed inconfondibile. Ogni tanto è necessario essere infelici per poter essere naturali, scrive ancora Fernando Pessoa.

A vent'anni dalla morte e dopo i recenti e meritatissimi tributi nipponici, il MIC celebra l'artista faentino con una mostra antologica, aperta fino al 6 gennaio 2013, offrendo la collocazione ideale per esaltare il naturale dialogo delle superfici "tramontiane" con la luce che, pura, filtra attraverso le architetture avvolgendole.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 23 [2012 - N.45]

Biblioteche musei archivi: quali sinergie?
Atti del XVII Convegno "Scuola e Museo", a cura di E. Gennaro, Provincia di Ravenna, 2013

Il volume raccoglie gli interventi dell'edizione 2010 del Convegno "Scuola e Museo", promosso dalla Provincia di Ravenna. La giornata ha visto l'avvicendarsi di rappresentanti di diverse realtà istituzionali, di docenti universitari e di professionisti culturali, per discutere sul tema della convergenza tra biblioteche, archivi e musei. Durante la sessione mattutina sono stati presentati i diversi punti di vista degli operatori del settore sulle sinergie reali e possibili, mentre nella sessione pomeridiana hanno trovato spazio alcune esperienze concrete, per dimostrare come il tema della convergenza possa essere innanzitutto una risorsa - oltre che un'esigenza gestionale per conseguire economie di scala - per il territorio e la cultura locale.

Borderline. Artisti tra normalità e follia
Catalogo di mostra a cura di G. Bedoni, G. Mazzotta C. Spadoni,, Mazzotta, 2013

La mostra ospitata dal Museo d'Arte della città di Ravenna - che mette a confronto decine di artisti, da Bosch all'Art Brut, da Ligabue a Basquiat - si pone l'obiettivo di superare i confini che fino ad oggi hanno racchiuso "l'arte dei folli" in un recinto, isolandone gli esponenti da quelli che la critica e il mercato ha eletto artisti "ufficiali". Il catalogo si propone di rendere decifrabile una doppia chiave di lettura del messaggio artistico, esplorando gli incerti confini della creatività al di là delle categorie stabilite nel corso del Novecento, per dare spazio anche all'espressione di artisti ritenuti "alienati", tra paradossi, infantilismi e metafore ossessive. Il volume affianca ai testi degli autorevoli studiosi coinvolti una completa e ricca documentazione iconografica che ricalca la stessa scansione in sezioni dell'esposizione.

Sandro Martini. Bianco di San Giovanni in 6 movimenti
Catalogo a cura di P. Bellasi, L. Sansone, Bagnacavallo, 2012

Il tradizionale appuntamento con l'arte contemporanea che il Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo propone in occasione della Festa di S. Michele ha visto nel 2012 come protagonista Sandro Martini. I grandi dipinti, gli affreschi di notevoli dimensioni, vele colorate trasversali, sculture in plexiglass, libri d'artista incisi presso il laboratorio di Giorgio Upiglio e un'enorme nuvola bianca, come il soffitto di una cattedrale ancora da affrescare: sono queste le opere che compongono Bianco di San Giovanni in 6 movimenti, un grande omaggio di Sandro Martini all'architettura che si respira nell'antico convento di S. Francesco che ha ospitato la mostra. Il catalogo propone alcuni approfondimenti sulle tecniche pittoriche e i materiali con i quali l'eclettico artista livornese realizza le opere in mostra.

Pizzi Cannella
Catalogo a cura di C. Casali, MIC, Faenza, 2013

Il MIC di Faenza dedica un'antologica a Pizzi Cannella: in mostra 70 pezzi prodotti negli ultimi cinque anni, tra ceramica, dipinti e grandi disegni dell'artista romano, legato a un ambito strettamente pittorico dagli anni Ottanta, con il gruppo di giovani del Pastificio Cerere. In queste opere Pizzi Cannella trasferisce la propria poetica che pone grande attenzione ai temi dell'umano, del viaggio antropologico, del sogno, supportati da una ideale vibrante cromia di toni caldi accostati a profondi neri. Questi elementi si ritrovano nella produzione ceramica, ideata nel 2008, a seguito della mostra "Chinatown" e realizzata dal 2009 grazie al supporto tecnico della Bottega Gatti di Faenza, ed esposta per la prima volta al MIC. "Grandi vasi dalle ampie forme diventano supporto per il gesto pittorico che si misura con le difficoltà della forma tridimensionale e diventano stimolo per varcare preconcetti e sperimentare nuove modalità di approccio alla materia", afferma la curatrice Claudia Casali.



Informalibri - pag. 23 [2013 - N.46]

Il XXV Incontro al Cardello ha indagato il rapporto tra la letteratura otto-novecentesca italiana ed europea e i due grandi musicisti

Alessandro Luparini - Responsabile attività culturali Fondazione Casa di Oriani

Si è tenuto lo scorso 21 settembre a Casola Valsenio, nella splendida e sempre suggestiva cornice del Cardello (facente parte del Coordinamento delle Case Museo dei poeti e degli scrittori di Romagna), il XXV incontro al Cardello, tradizionale appuntamento autunnale promosso e organizzato dalla Fondazione Casa di Oriani di Ravenna in quella che fu la residenza del "grande solitario" Alfredo Oriani, una delle figure più singolari e innovative della cultura italiana a cavallo fa Otto e Novecento.
Quest'anno, bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi e di Richard Wagner, l'incontro ha avuto per tema il rapporto tra l'opera letteraria e saggistica di Oriani e i due grandi musicisti, sviluppato in una più ampia prospettiva di letteratura comparata. Relatore, applauditissimo, il prof. Michele Borsatti, docente di materie letterarie al liceo classico Dante Alighieri di Ravenna, nonché esperto musicologo. La conferenza, intitolata 1813: l'Oltrepossente e il Dispari. Oriani e altri letterati all'ascolto di Wagner e Verdi, ha ripercorso dunque le tracce dell'influenza esercitata dalle musiche di Verdi e di Wagner non soltanto su Oriani ma su alcuni fra i maggiori esponenti della letteratura italiana ed europea otto-novecentesca, da Giosuè Carducci a Gabriele D'Annunzio, da Franz Werfel a Thomas Mann, fino a Eugenio Montale e Alberto Savinio. Evocativo il titolo, dove l'Oltrepossente - ha spiegato in apertura Borsatti, sollecitato dalla curiosità del pubblico- è Wagner, in un immaginifico neologismo di D'Annunzio (fra tutti, l'autore che forse più subì il fascino di entrambi i compositori), mentre il Dispari è il suo degno rivale italiano, in una non proprio benevola definizione datane da Oriani, il quale lo definì appunto un "ingegno dispari", ovvero un compositore dotato di notevole talento ma troppo discontinuo nei suoi esiti.
Verdi rivale di Wagner, quindi, e viceversa, in un'accesa contrapposizione, nata in vita e sopravvissuta alla morte degli stessi protagonisti, alimentata dagli opposti partiti dei "verdiani" e dei "wagneriani", di cui ancora oggi sopravvivono strascichi, come ha dimostrato il caso delle polemiche sollevate dal "partito verdiano" contro la decisione del Teatro della Scala d'inaugurare la stagione 2012-2013 con un'opera del maestro di Lipsia, nella fattispecie il Lohengrin. Una rivalità che ha finito per proiettarsi nella sfera dei simboli, facendo di Giuseppe Verdi e di Richard Wagner quasi degli archetipi (con le inevitabili semplificazioni), interpreti non solo di due diversi modi di pensare e di fare musica (l'"aristocratico" tedesco, sperimentatore di ardite soluzioni sonore, il "popolare" italiano, alfiere del melodramma), ma di due antitetiche visioni dell'arte e della vita. Portando numerosi esempi, alternando letture all'ascolto mirato di piccoli estratti musicali (dal Lohengrin, dal Tristano e Isotta, dall'Aida), Borsatti ha così guidato i presenti in un breve ma affascinante viaggio tra letteratura e musica; a partire dal burbero "padrone di casa", Alfredo Oriani, i cui scritti sono disseminati di suggestioni verdiane e wagneriane, per arrivare a pagine di Mann e di D'Annunzio direttamente ispirate, anche nelle tecniche di scrittura, a brani dei due maestri.
Al termine della conferenza, come da tradizione, la Fondazione Casa di Oriani ha offerto ai numerosi intervenuti una merenda coi prodotti tipici della tenuta del Cardello; occasione per socializzare, scambiarsi opinioni e vivere in rilassatezza l'atmosfera dei luoghi. Sul prossimo numero de "I Quaderni del Cardello", l'annale di studi romagnoli della Fondazione Casa di Oriani, il prof. Borsatti riprenderà ed amplierà, in un saggio apposito, le tematiche del suo intervento.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 23 [2013 - N.48]

Ecomuseo delle Erbe palustri di Villanova di Bagnacavallo
Testi di G. Masetti
Provincia di Ravenna, 2014

Situato in un moderno edifico appositamente ristrutturato, l'Ecomuseo detiene una delle principali raccolte nazionali di manufatti in fibre naturali, di origine paludosa, datati tra il 1870 e il 1970. In quegli anni tale originale forma di artigianato locale conobbe la più ampia diffusione sui mercati, anche esteri, e coinvolse tutta la frazione di Villanova, specialmente le donne, che grazie al lavoro a domicilio videro riconosciuta una rilevanza economica e sociale d'avanguardia. Il volume - 34° numero della collana del Sistema Museale Provinciale - illustra l'interessante percorso espositivo che si sviluppa fra proiezioni multimediali e spazi laboratoriali a testimonianza di saperi e abilità ormai scomparse. Alle centinaia di reperti e strumenti esposti si affianca una rappresentazione della storia idraulica del territorio, del ciclo di raccolta e trattamento delle erbe e un parco circostante con le ricostruzioni a grandezza naturale dei tipici capanni romagnoli in canna palustre.

Caveja Cantarena. Insegne e ritualità nella famiglia contadina
Catalogo di mostra a cura di V. Budini
Museo Etnografico "Sgurì" di Savarna, 2013

Il volume propone il catalogo e la ricerca storico-sociale connessi alla mostra di oltre 150 caveje organizzata presso il Museo Etnografico "Sgurì". Nata come umile strumento di lavoro contadino attestato almeno dalla seconda metà del XVI secolo, nel tempo la caveja è diventata simbolo di distinzione sociale e di superstizione. Le opere in mostra, grazie alla sensibilità di diversi proprietari privati, sono state salvate dalla dispersione e dall'incuria del tempo, e oggi rappresentano uno degli emblemi della Romagna. Oltre alle riproduzioni fotografiche, il volume illustra la funzione della caveja nonché le sue virtù apotropaiche e divinatorie, si addentra nelle vicende di "stirpi" contadine ricostruite attraverso documenti d'archivio parrocchiali, conduce nelle officine di fabbri e maniscalchi che custodivano i segreti della lavorazione dei metalli, esamina i motivi figurativi e simbolici che contraddistinguevano questi oggetti sonori.

Mario Morelli. Scienza e arte della ceramica
Catalogo di mostra a cura di A. Mingotti
Museo Civico di Castel Bolognese, 2013

Il catalogo illustra l'esposizione di un artista castellano che ha scritto pagine importanti nella storia della ceramica moderna. Mario Morelli, formatosi nella grande fucina ceramica faentina, ha lavorato a Faenza, in Piemonte e in Lombardia insieme ai principali artisti italiani attivi tra le due guerre. La mostra, a partire da alcune opere custodite nel Museo Civico di Castel Bolognese, si è arricchita di prestiti privati esponendo il lavoro di un ceramista ben noto agli specialisti del settore soprattutto per le sue sperimentazioni sugli smalti, dei quali fu un autentico innovatore. L'evento espositivo si è inserito nel percorso già intrapreso dal Museo con lo scultore Angelo Biancini, che ha l'obiettivo di far conoscere alle nuove generazioni del territorio il lavoro di artisti universalmente conosciuti ma poco noti tra le "mura di casa".

Erme e antichità del Museo Nazionale di Ravenna
A cura di A. Ranaldi
Silvana Editoriale, 2014

A cento anni dal trasferimento del Museo Nazionale nel complesso di San Vitale, viene presentata in questo libro la nuova sala delle Erme e Antichità e con essa un capillare programma di rinnovamento del Museo. Il primo chiostro e le collezioni lapidarie di arte antica, arricchite da preziose opere scultoree di produzione romana, riacquistano la loro rilevanza all'inizio del percorso di visita in nuovi spazi ricavati nell'abbazia benedettina. Ripescate dal mare, estratte dalla terra, recuperate dai depositi dove erano conservate in seguito a riordini e riallestimenti, le sculture esposte illustrano principalmente il perpetuarsi del repertorio greco-ellenistico nel mondo romano imperiale. La sala si configura come un prezioso piccolo museo di antichità con esemplari di ritrattistica romana, soggetti di genere, divinità ed erme di cui si propongono nuove identificazioni, datazioni, confronti.



Informalibri - pag. 23 [2014 - N.49]

Casa Museo Raffaele Bendandi di Faenza
Testi di P. Pescerelli Lagorio
Provincia di Ravenna, 2014

Nel centro di Faenza sorge la casa in cui visse e studiò il sismologo autodidatta Raffaele Bendandi (1893-1979) nella quale aveva allestito un Osservatorio artigianale con strumentazioni per la segnalazione di movimenti tellurici, ancora oggi funzionanti. Alla sua morte fu trasformata in una Casa Museo che ne testimonia, attraverso una serie di volumi, articoli, documenti, oggetti personali, fotografie e cimeli vari, la vita e l'intensa attività. Il volume - 35° numero della collana di monografie del Sistema Museale Provinciale - mostra come questa Casa Museo conservi le tracce di chi l'ha abitata, della cultura e della società dell'epoca. Un luogo che è anche Casa della Memoria perchè racconta storie personali e sociali attraverso un linguaggio quotidiano e perchè fortemente radicato nella città, divenendo una cerniera tra il personaggio che ancora lo permea e il mondo esterno.


'incanto dell'affresco. Capolavori strappati
Catalogo di mostra  a cura di L. Ciancabilla  e C. Spadoni
Silvana Editoriale, 2014

Pubblicato in occasione della mostra organizzata dal Mar di Ravenna, questo catalogo in due volumi rappresenta il più approfondito punto di riflessione e ricerca storica sul tema dello stacco delle pitture murarie. Mentre il primo dei due tomi documenta l'esposizione ravennate con i testi dei due curatori, le immagini delle opere esposte con le relative schede e una ricca bibliografia - forse la più completa mai raccolta sull'argomento - il secondo volume raccoglie quindici saggi di alcuni tra i più accreditati studiosi della materia, rappresentanti dei più prestigiosi centri di restauro italiani, che approfondiscono la storia delle varie scuole estrattiste e offrono una lettura quanto mai esaustiva delle problematiche e del dibattito suscitati dall'applicazione di questa tecnica e dall'utilizzo di questa metodologia per la conservazione del patrimonio artistico.


In forma di ceramica. Arte contemporanea dal Museo Carlo Zauli
Catalogo di mostra a cura di S. Coletto e M. Zauli
Museo Carlo Zauli e Fondazione Bevilacqua La Masa, 2014

Il volume propone il catalogo della mostra che per la prima volta ha portato fuori dalle sale del Museo Carlo Zauli una sezione della preziosa collezione di ceramica contemporanea per essere ospitata temporaneamente a Venezia, presso la Fondazione Bevilacqua La Masa. La collaborazione è nata tra due istituzioni flessibili che, occupandosi della formazione dei giovani artisti, cercano di offrire nuove opportunità  in linea con il vivace mondo dell'arte contemporanea attuale. Entrambe le realtà inoltre si pongono come indirizzi complementari utilizzando le modalità delle residenze nei propri spazi specifici. Il titolo della mostra e del catalogo - In forma di ceramica - rimanda alle tensioni prodotte sempre nell'esperienza artistica tra ingegno e pressione sulla materia, tra istanza progettuale e azione tecnica su  un conglomerato plastico specifico.


Nel segno del Tricolore
Catalogo di mostra  a cura di L. Bortolotti
IBC, 2014

Nella pubblicazione sono presentati i materiali del Museo del Risorgimento e dell'Età Contemporanea di Faenza restaurati grazie a un importante intervento realizzato dall'IBC. Dopo una breve introduzione storica del Museo, seguono le schede dedicate a un approfondimento delle opere e nello specifico alle operazioni di restauro che le hanno interessate. Nel dettaglio, si tratta di una cornice e dieci dipinti della seconda metà del XIX secolo (ritratti, autoritratti e raffigurazioni di eventi risorgimentali), di un consistente nucleo di materiali cartacei d'età napoleonica e risorgimentale (bandi, proclami, avvisi, notificazioni, stampe con ritratti di personaggi risorgimentali, provvedimenti, mappe, locandine e incisioni), di quattro uniformi militari e di una importante poltrona in legno intagliato appartenuta al primo sindaco post unitario della città.


Informalibri - pag. 23 [2014 - N.50]

Murat Palta. Cult Hollywood movies as Ottoman miniatures

Kiril Cholakov. Diario minimo balcanico

Cataloghi di mostre a cura di D. Galizzi
Comune di Bagnacavallo, 2014

Le due mostre ospitate al Museo delle Cappuccine, sono inserite nel percorso intrapreso dal Museo verso la divulgazione dell'arte contemporanea, non solo locale ma anche internazionale. L'artista bulgaro Cholakov, attraverso la sua personalissima indagine della memoria, regala raffinati racconti fatti per immagini, a loro volta costituite dal fitto intrecciarsi della parola scritta. Il catalogo ospita i contributi, di E. De Cecco e I. Koralova. Il giovane turco Murat Palta invece fonde lo stile delle antiche miniature ottomane con le più famose pellicole di Hollywood, mischiando e fondendo mondi tradizionalmente lontani. Il catalogo ospita i contributi, oltre che del curatore, di F. Lollini e G. Manzoli. Il progetto nel suo complesso unisce l'Europa con il continente asiatico, e lo fa spaziando tra Ravenna e l'Oriente, passando naturalmente per i Balcani.


Exempla Virtutis. Un Pantheon a Ravenna per le Arti

A cura di N. Ceroni, A. Fabbri, C. Spadoni
Bononia University Press, 2013

Il volume è il quinto numero della collana "Pagine del Mar" e accompagna la restituzione a una visibilità, per lungo tempo quasi negata, di una dozzina di busti in marmo sette-ottocenteschi, riferibili a uomini illustri del nobilato ravennate. A questo "pantheon" si affianca uno studio storicamente fondato, finora del tutto mancante, sui personaggi coinvolti e sulla costituzione stessa dell'Accademia di Belle Arti di Ravenna. Oltre al catalogo dei busti, all'illustrazione degli interventi restaurativi da essi subiti, e alle biografie dei personaggi ritratti, infatti, il volume ospita le interessanti sezioni "Storia e fortuna di un genere" con saggi di R. Balzani, M. Bettini e V. Curzi, e "I promotori delle Arti", con i contributi delle due curatrici. Un libro che, nella contestualizzazione storica di opere e forme di potere e di tutela, è anche una riflessione sulla critica e la storia dell'arte, nonché sulla moderna museologia.


La ceramica che cambia. La scultura ceramica in Italia dal secondo dopoguerra

Catalogo di mostra a cura di C. Casali
Gli Ori, 2014

La mostra "La scultura ceramica italiana del secondo dopoguerra" ripercorre le principali tappe della nostra storia scultorica ceramica attraverso protagonisti che ne hanno cambiato le prospettive. Il catalogo documenta per la prima volta un percorso di innovazione estetica e di novità linguistica, evidenziando con uno sguardo sovranazionale un dialogo tra generazioni che pone al centro la ceramica, declinata nelle tante poetiche che hanno interessato il XX secolo: da Melotti, Leoncillo, Fontana, Valentini a Ontani, Paladino, Bertozzi&Casoni, sono analizzati i temi di neocubismo, informale, pop art, minimalismo, arte concettuale, figurazione. Oltre al testo del curatore, C. Casali, sono presenti contributi in italiano e inglese di C. Chilosi, F. Gualdoni e N.  Stringa. Seguono schede approfondite su oltre ottanta artisti.

Eccentrico musivo. Young artists and mosaic

Catalogo di mostra a cura di L. Kniffitz e D. Torcellini
MAR di Ravenna, 2014

La mostra è stata ospitata al MAR per un'edizione speciale di RavennaMosaico, il primo Festival internazionale, inaugurato nel 2009, dedicato al mosaico contemporaneo. Vuole essere uno sguardo allargato a forme e modi musivi che si aprono a mutazioni e sperimentazioni, dando vita a un insieme volutamente "fuori dal centro", eppure ricomposto al centro della tradizione. Sono ventisei le opere di artisti europei under 40, appositamente selezionate da una Commissione scientifica, con l'obiettivo di stimolare le ricerche giovanili intorno alle logiche costituitive, formali e poetiche del linguaggio musivo. Oltre alle loro riproduzioni fotografiche e alle biografie degli artisti, il catalogo raccoglie i contributi, in italiano e inglese, dei curatori e dei docenti M.R. Bentini e di L. Pivi. Il progetto si qualifica pertanto come un osservatorio ideale dell'estetica musiva, che nella cultura visiva contemporanea continua a giocare un ruolo significativo.


Informalibri - pag. 23 [2014 - N.51]

Il Bel Paese. L'Italia dal Risorgimento alla Grande Guerra, dai Macchiaioli ai Futuristi

Catalogo di mostra
a cura di C. Spadoni
Sagep, 2015

Il catalogo della mostra tenutasi al MAR di Ravenna restituisce l'intreccio dei fermenti culturali e sociali che hanno caratterizzato dense pagine di storia nazionale. I saggi di M.A. Bazzocchi, R. Balzani, C. Cavatorta, S. Parmiggiani, A. Patuelli, C. Spadoni e C. Stefani restituiscono come, nei pochi decenni che separano gli eventi del Risorgimento dall'ingresso dell'Italia nella Prima guerra mondiale, il "Bel Paese" abbia preso faticosamente forma dal superamento e dalla riunificazione di piccole patrie molto eterogenee. La seconda parte del volume spazia nel repertorio delle opere esposte affidando alla suggestione delle immagini l'inedita rappresentazione dei cambiamenti sociali e di costume legati a un periodo cruciale della storia italiana, riservando una speciale attenzione al paesaggio nella sua dialettica tra scenario naturale e sedimento antropizzato.


Le faenze di Lucio Fontana

I. Biolchini, MIC, 2015

Il volume esamina la tarda produzione di Lucio Fontana, le sue collaborazioni e le committenze private, attraverso il caso della Tomba Melandri che fu costruita nel Cimitero di Faenza su committenza dell'imprenditore Antonio Melandri.
Biolchini ha recuperato dagli archivi del catasto del Comune di Faenza un documento inedito che insieme a una serie di interviste a personaggi chiave della vicenda, ha permesso di ridatare l'opera al 1960 e di ricostruire la rete di collaboratori che Fontana selezionò per realizzarla.
L'opera era rimasta pressoché sconosciuta all'interno della produzione di Lucio Fontana fino al 2006, quando finalmente è stata inserita nell'ultima edizione del catalogo generale dell'artista riportando dati ora rivisti. L'artista aveva già avuto relazioni con Faenza e con la ceramica nel 1952, quando vinse il premio Enapi al Concorso Internazionale della Ceramica Contemporanea del MIC con il Crocifisso nero e oro esposto ora nelle collezioni del Museo.


1974. Diario riservato
di un viaggio in Giappone

A cura di B. Corà
Museo Carlo Zauli, Magonza, 2014

Il libro nasce da un progetto di Monica Zauli, che ha riscoperto e selezionato materiali emersi durante la catalogazione di una serie di vecchi documenti. Tra di essi un taccuino su cui Carlo Zauli tracciò gli schizzi di nove opere successivamente realizzate, e annotò una serie di riflessioni su artisti giapponesi, appuntate dopo le sue visite ai rispettivi studi. Oltre alla riproduzione integrale del taccuino, il volumetto comprende un testo dattiloscritto in cui Zauli si rivolge agli artisti giapponesi presenti alla lecture tenutasi a Kyoto nel 1974. La riproduzione è anticipata da uno scritto di M. Zauli, a cui segue un testo di B. Corà. Vi sono inoltre due estratti dai testi critici di Y. Inui, testimonianze di M. Shibatsuji, T. Tanioka e di M. Vallora. Ai testi si alternano fotografie inedite di Carlo Zauli scattate durante il suo viaggio in Giappone del 1974 e durante la realizzazione delle opere nel suo studio.


IMPERIITURO.
Renovatio imperii. Ravenna nell'Europa ottoniana

Catalogo di mostra
a cura di M.P. Guermandi
e S. Urbini, IBC, 2014

Il catalogo è dedicato alla mostra didattica tenutasi  presso la Biblioteca Classense e il museo TAMO di Ravenna a conclusione del progetto europeo CEC - Cradles of European Culture. L'edizione italiana della mostra internazionale, curata da IBC, è incentrata sulla Renovatio imperii attraverso il patrimonio culturale di Ravenna. La prima parte ospita, oltre ai contributi delle curatrici, quelli di G. Brizzi, C. Bertelli, C. Franzoni e S. Verde. A seguire le schede del catalogo ricalcano le sezioni in cui si articolava la mostra. A TAMO Carlo Magno e l'Italia; Gli Ottoni, l'Italia e Ravenna; Il ruolo della tradizione classica e la circolazione dei modelli in epoca ottoniana. Alla Biblioteca Classense, invece, importanti documenti della politica degli Ottoni a Ravenna, oltre alle prime testimonianze storiografiche ravennati e alle immagini di Vincenzo Coronelli.


Informalibri - pag. 23 [2015 - N.53]

Anábasis. Agostino Arrivabene

Catalogo di mostra a cura di D. Galizzi
Museo Civico delle Cappuccine di Bagnacavallo, 2015

Il catalogo è dedicato alla mostra da poco conclusasi alle Cappuccine di Bagnacavallo, che ha esposto opere di Agostino Arrivabene, artista cremonese formatosi all'Accademia di Brera e attivo a livello nazionale e internazionale da diversi decenni.
L'apparato iconografico del volume restituisce la forte carica visionaria e simbolica della sua produzione artistica, spesso arricchita dall'utilizzo di materiali preziosi preparati artigianalmente. Alcune immagini, tratte dall'allestimento bagnacavallese, restituiscono l'affinità ideale che le opere, dense di rimandi storici e citazioni colte, hanno trovato con gli ambienti dell'antico convento di San Francesco. Il volume contiene, oltre a una scheda con le principali mostre personali dell'artista, anche tre testi critici del curatore Diego Galizzi, di Monica Centanni e di Alberto Zanchetta.

Ravenna Musiva. Preservation and restoration of architectural decoration, mosaics and frescoes

Atti del Convegno Internazionale a cura di L. Kniffitz e E. Carbonara
Mar di Ravenna, 2015

Il volume riunisce gli Atti del convegno sulla conservazione e il restauro delle superfici decorate, organizzato in tre giornate del maggio 2014 dal Centro Internazionale di Documentazione sul Mosaico del Mar. La corposa pubblicazione, in inglese, ricalca le sezioni in cui si è articolato il convegno, che si proponeva di instaurare un confronto tra le diverse metodologie in uso per la conservazione degli apparati decorativi murali. Si tratta di più di 40 contributi, firmati dai maggiori specialisti del settore e incentrati sul recupero della policromia originale degli edifici, con particolare riferimento a mosaici e affreschi, secondo le prassi più aggiornate. Tra i molti temi toccati vi sono le procedure di strappo e trasporto, la corretta analisi conoscitiva e le metodologie di conservazione dei siti archeologici.

Jonathan Monk. Claymation

Catalogo a cura di G. Molinari
Museo Carlo Zauli di Faenza, 2015

Il volume è realizzato in occasione della XII edizione di Residenza d'Artista del MCZ, che ha visto protagonista Jonathan Monk, il quale ha deciso di confrontarsi con oggetti e processi tipici del fare ceramica, seguendo la prospettiva della propria ricerca che attinge al percorso storicizzato dell'arte concettuale. Il processo di produzione delle tre opere, in cui Monk è stato assistito dalla ceramista Aida Bertozzi già assistente di Carlo Zauli, è testimoniato e commentato da ampie gallerie fotografiche e dai testi del curatore Guido Molinari e del direttore del museo e ideatore del progetto, Matteo Zauli. Il catalogo presenta le foto dei nuovi lavori in ceramica nell'allestimento scelto proprio dall'artista all'interno dei laboratori del museo, oltre alle immagini dell'opening, per ribadire il forte legame fra oggetti prodotti e luogo di produzione. Completa il volume una ampia sezione di immagini di opere precedenti dell'artista, a testimonianza della trasversalità nei linguaggi e nella poetica di Jonathan Monk.

59° Premio Faenza

Catalogo di mostra a cura di C. Casali
SilvanaEditoriale, 2015

Il volume è dedicato all'ultima edizione del Concorso Internazionale della Ceramica d'Arte Contemporanea: un appuntamento longevo e in continua espansione, che quest'anno ha richiamato la partecipazione di oltre 1300 opere di 618 artisti provenienti da 57 nazioni, rendendo particolarmente arduo il lavoro della giuria. All'illustrazione delle selezioni della giuria è dedicata anche una parte del volume, corredato delle riproduzioni fotografiche delle opere ammesse, suddivise nelle due sezioni Over 40 e Under 40, che hanno affiancato maestri indiscussi e giovani emergenti. Nel segno dell'innovazione sono state selezionate opere interattive, smart, realizzate con stampanti 3D, che forniscono uno spaccato sui nuovi percorsi della ceramica attuale. A ciascun artista vincitore è dedicata una scheda biografica in cui vengono riportate anche le motivazioni della giuria, che ha valorizzato estetiche e poetiche contemporanee.


Informalibri - pag. 23 [2015 - N.54]

Guidarello e i gioielli della storia patria a Roma per "la felicità
universale della Repubblica"

Alberta Fabbri - Conservatrice MAR di Ravenna

Accadeva duecento anni fa. Antonio Canova, ambasciatore dello stato pontificio al Congresso di Vienna trattò, per conto di Pio VII Chiaramonti, il recupero dei capolavori artistici e archeologici requisiti da Napoleone per l'allestimento del Louvre, il museo universale che a Roma doveva contendere il primato di capitale internazionale delle arti.
Il successo diplomatico di Canova ebbe effetti su molte amministrazioni che rivendicarono i tesori confiscati dal governo napoleonico. Come è noto, infatti, l'evento fu accompagnato dal recupero di centinaia di dipinti prelevati dalle corporazioni religiose soppresse e inviati, fra il 1796 e il 1814, a Parigi o a Milano dove il Louvre aveva succursale in Brera. Al loro rientro per la prima volta si avviò una riflessione sul destino di opere nate per ornare altari e sagrestie e accumulate poi, a seguito del déracinement, nelle residenze municipali in depositi di fortuna. Il dibattito intorno alla disponibilità massiccia di opere d'arte accese i riflettori sulla dignità pubblica del patrimonio artistico aprendo di fatto la strada alla nascita dei musei, a tutt'oggi tra le realtà più sorprendenti del Paese.
Una grande mostra alle Scuderie del Quirinale, "Il Museo universale. Dal sogno di Napoleone a Canova", ideata da Valter Curzi, Carolina Brook e Claudio Parisi Presicce ripercorre le tappe di una vicenda, e di un processo culturale, che investì la funzione simbolica dell'opera d'arte aprendo alla visione del patrimonio inteso come strumento di educazione del cittadino e, altresì, presidio di una possibile identità europea.
La storia di Ravenna è ricomposta, anche nella sua valenza paradigmatica, nella sala che mette a tema i primitivi tra mercato e tutela sondando quella congiuntura che vide, accanto alla dispersione di una quantità considerevole di fondi oro prelevati dai conventi e immessi nel mercato antiquario, l'entusiasmo nel salvataggio di dipinti per la prima volta osservati come documenti di "storia patria". Ambasciatori di Ravenna sono quattro testimoni dell'impianto originario del più antico museo pubblico della città, la Galleria dell'Accademia, che nelle ambizioni di chi la ideò aveva il compito di formare alla lezione della storia.
Una tribuna scarlatta e ottagona ruota intorno a Guidarello, il monumento sepolcrale di Tullio Lombardo che il vicelegato Lavinio de' Medici Spada volle (1827) per dotare la nascente Accademia di Belle Arti di una raccolta esemplare con esplicito intendimento di concorrere al "decoro della Patria". Gli fanno da quinta la tavola di Nicolò Rondinelli depositata dalla Congregazione di Carità, la Madonna con il Bambino in trono fra i santi Tommaso d'Aquino, Maria Maddalena, Caterina d'Alessandria e Giovanni Battista, con i sontuosi smalti riportati per l'occasione a nuova leggibilità, e le due tavolette dell'Annunciazione di Taddeo di Bartolo, un tempo tesoro del Museo di Classe. Si tratta di un nucleo di straordinario pregio intorno al quale si organizza l'alba del patrimonio ravennate attraverso quell'istituto di prim'ordine che fu l'Accademia di Belle Arti esemplata sulla modellistica napoleonica per assolvere alle funzioni non solo di formazione ma anche di tutela.
Il prestito, del tutto eccezionale, è stato possibile grazie anche alla concomitanza del riconoscimento di un contributo regionale (Piano Museale 2016 - L.R. 18/2000) per il progetto di riallestimento della galleria Guidarello in collezione antica per il 2017.
L'ultima volta per Guidarello fu nel 1935 quando sfilò in mostra a Parigi, al Petit Palais, per una altisonante parata sull'Arte italiana che aveva l'ambizione di esportare il genio italico nel mondo. L'assenza, si sa, è un corroborante che agisce azionando la leva della mozione degli affetti. Sulle corde pizzicate del distacco si vivificano così i valori immateriali del simbolo. E nuove visioni prendono forma. All'ingresso della mostra, sulla soglia del patrimonio, per una vicenda appassionante srotolata con l'intelligenza ineccepibile del metodo.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 23 [2016 - N.57]

Un progetto fortemente condiviso dalla comunità politica e scientifica per ricordare l'opera di Rambelli

Claudio Casadio - Direttore Pinacoteca Comunale di Faenza

In una delle mostre dedicate a Rambelli tenutesi in tre diversi sedi nel marzo e aprile scorsi, è stato affermato che l'ultima opera realizzata dall'artista faentino - ovvero il monumento ad Alfredo Oriani - è merito della tenace volontà di Vittorio Sgarbi e Dino Gavina. Di tenace volontà si potrebbe parlare anche per la realizzazione del progetto che ha riunito i Comuni di Brisighella, Faenza e Lugo come capofila, per studiare e ricordare i tre monumenti realizzati da Domenico Rambelli per le tre città.
In realtà più che frutto di tenace volontà il progetto ha avuto una genesi quasi naturale e una evoluzione che, pur non priva di difficoltà, è stata positivamente sempre in crescita. Fin dai primi atti il percorso progettuale denominato Romagna Monumentale, con il collegamento ai tre principali monumenti realizzati da Rambelli nelle città romagnole, ha incontrato consensi senza grandi difficoltà. Il rapporto politico e organizzativo tra i tre Comuni interessati è stato regolato in modo quasi spontaneo e con una veloce approvazione sul piano politico. La parte tecnico-scientifica ha avuto immediato sostegno da parte di Antonio Paolucci e il gruppo di lavoro è stato supportato da vari studiosi, a partire da Orsola Ghetti Baldi che, già quaranta anni fa, avviò ricerche sul lavoro artistico di Rambelli che ancora oggi rimangono fondamentali fonti di documentazione.
Il momento di preparazione della pubblicazione e delle mostre, durato circa un anno, è stato quello che forse ha segnato in modo più significativo l'intero progetto. Per la prima volta tre diverse strutture comunali, abituate a organizzare mostre con specifiche caratteristiche e modalità organizzative, si sono confrontate non solo sul piano scientifico ma anche sugli aspetti concreti legati alla realizzazione dell'evento, dall'allestimento alla promozione, fornendo ognuna il proprio fondamentale contributo.
A rendere possibile questa prima realizzazione sono state fondamentali le indicazioni contenute nelle linee di programma del Piano museale 2016 previste dall'IBC della Regione Emilia-Romagna. Se, precedentemente, esposizioni che hanno coinvolto più Comuni si sono basate principalmente sullo scambio di opere e su un coordinamento della promozione - come avvenne nel 2007 per le celebrazioni dei cento anni dalla morte di Domenico Baccarini con mostre coordinate tra il MAR di Ravenna, il MIC e la Pinacoteca di Faenza, o come è avvenuto in questi ultimi mesi per le mostre sul Decó organizzate ai Musei di San Domenico a Forlì e al MIC di Faenza - in questo caso la collaborazione tra i Comuni è stata piena per tutte le fasi del progetto. Lo dimostrano l'esistenza di materiale promozionale sempre unificato e le soluzioni espositive comuni adottate nelle diverse sedi.
Il risultato è stata una iniziativa che ha ottenuto non solo generali consensi ma soprattutto che ha permesso di esporre una grande quantità di opere di Rambelli, organizzando ben sei diverse mostre, con un uso molto attento dei mezzi organizzativi e con costi contenuti grazie alla collaborazione e all'integrazione dei sistemi che hanno consentito un migliore utilizzo delle risorse e un contenimento delle spese complessive.
Altro importante esito è stato quello di valorizzare il territorio in una dimensione ampia e articolata. Partendo dalla presenza di importanti e specifiche opere si è infatti cercato di esaminare le caratteristiche di ognuna di esse per poi inserirle nel contesto storico-artistico complessivo. Si è così creato un vero e proprio percorso che, se da un lato ha al centro quanto è stato studiato ed esposto - in questo caso il materiale relativo ai tre monumenti di Domenico Rambelli realizzati per Lugo, Faenza e Brisighella -, in realtà è stato costituito da un sistema di reti e relazioni capace di portare altri risultati. Non solo sono stati forniti elementi di documentazione e valutazione più articolati di quanto si sarebbe potuto realizzare dando attenzione a una sola specifica opera, ma è stato possibile fornire elementi per una lettura più generale del periodo storico.
L'augurio, dunque, è che questa prima iniziativa di stretta e piena collaborazione tra Comuni per realizzare importanti eventi culturali non rimanga episodica ma sappia essere trascinatrice di altri progetti.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 23 [2017 - N.58]

Un nuovo percorso arricchisce l'allestimento del Museo del Senio

Antonietta Di Carluccio - Direttrice Museo della battaglia del Senio di Alfonsine

Il Museo della battaglia del Senio è una realtà museale inaugurata il 10 aprile 1981 nei locali del Centro Culturale polivalente di Alfonsine. Il Museo è il luogo della Memoria, per la comunità alfonsinese e per la più ampia realtà della Valle del Senio, delle vicende relative alla Seconda guerra Mondiale e al permanere del fronte sulla linea del Senio per i lunghi mesi da dicembre 1944 ad aprile 1945. Dalla sua fondazione narra l'intreccio strettissimo fra fatti d'armi, cambiamenti del territorio, vita dei civili sotto occupazione ed esperienza resistenziale. Le sue collezioni comprendono sia militaria (armi, uniformi, equipaggiamenti) che oggetti bellici riciclati a uso dei civili; ha inoltre una vasta e interessante fototeca ed è impreziosito da immagini d'epoca.
Molte delle sue raccolte nascono dal desiderio di privati che donano oggetti cari demandando al Museo il compito di conservare, tutelare e valorizzare le memorie. L'esposizione dà conto delle presenza nel territorio, in momenti diversi, degli uomini di cinque continenti; ci sono interessanti focus sulla brigata ebraica, sull'apporto del nuovo esercito italiano, su aspetti di approfondimento dell'esperienza resistenziale in pianura.
Dalla scorsa primavera ha avuto inizio un significativo progetto di riallestimento: numerosi lavori si rendevano necessari e sono stati possibili grazie al contributo della Regione Emilia-Romagna e attraverso lo strumento prezioso dell'Art Bonus, con cui CANON Italia ha deciso si sostenere il Museo.
La prima parte del progetto prevedeva di rinnovare la Saletta dei partigiani, nella quale rimangono intatti il plastico che narra la battaglia delle valli, a testimoniare l'attenzione alla ingenua ma efficace tecnologia di inizio anni '80 con il tentativo, ancora vivo e incisivo, capace di incantare piccoli (e grandi) visitatori con il racconto di una barchetta in movimento verso coraggio e immaginazione.
Intatta rimane pure la vetrina curata dallo scenografo Gino Pellegrini che, con maestria, ricostruì per il Museo il rifugio clandestino della pedalina a stampa. La vetrina racconta una pagina caratteristica del nostro territorio: la stampa clandestina. E lo fa anche grazie alla collaborazione preziosa dell'ANPI di Conselice che, con dedizione e passione, ha curato la ripristinata funzionalità della pedalina a stampa.
Con il nuovo allestimento la Saletta dei partigiani si arricchisce, dunque, di immagini e documenti, aggiungendo le risorse della multimedialità e la possibilità di approfondimento.
La sala presenta, inoltre, una nuova vetrina che ospita un oggetto che è nel contempo simbolico ed evocativo: un tavolo da lavoro, che faceva parte dell'officina meccanica del riparatore di biciclette Giuseppe Bezzi a Ravenna, e al cui interno, attraverso un meccanismo difficile da individuare, era celato un cassetto che consentiva di nascondere piccoli oggetti. Questo cassetto risultò utilissimo per conservare i numerosi volantini di stampa clandestina che venivano fatti circolare in gran segreto all'interno dei circuiti della resistenza antifascista. L'officina di Bezzi divenne un punto di riferimento per i partigiani e gli antifascisti locali e, nonostante le numerose perquisizioni, l'ingegnoso nascondiglio non venne mai individuato. In esso trovarono posto anche mappe, messaggi, piccole armi leggere e munizioni, celate sia nel sottofondo segreto che sotto il pavimento in appositi pertugi.
Con il riallestimento di questa primavera il Museo si è arricchito anche di una nuova sala permanente: il Rifugio. L'intento è quello di creare un'efficace comunicazione e una continua innovazione della didattica rivolta alle scuole, ma l'esperienza si è rivelata interessante ed efficace per tutte la fasce di pubblico. La didattica è da sempre la principale fra le attività del Museo, che riceve annualmente numerosissime scolaresche di ogni ordine e grado e si propone di offrire a tutti una proposta adeguata in termini di linguaggio e livello di approfondimento. La nuova sala il Rifugio racconta, in maniera immersiva ed emozionale, l'esperienza dei civili durante il momento più temuto della guerra: il bombardamento. Avremmo potuto cercare emozioni diverse, ma volevamo che i ragazzi comprendessero che la guerra travolge non soli i soldati, ma anche i civili inermi.
Nella primavera 2018 il Museo continuerà nel progetto di riallestimento sulla Sala degli Alleati. L'obiettivo è quello di utilizzare nuovi linguaggi e strumenti per raccontare oggi, con efficacia, gli eventi del secolo scorso. L'intento è che dai documenti, dalle immagini fotografiche e in movimento, dalle voci dei protagonisti, dai materiali di repertorio, dalla multimedialità scaturisca un racconto corale attento tanto alle vicende militari quanto al territorio. Per fare sì che il nostro sia un museo che racconta la guerra per educare alla Pace.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 23 [2017 - N.59]

Da dicembre a marzo 2018 un progetto nazionale dedicato alla grafica d'arte unisce Bagnacavallo e Ravenna

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 23 [2017 - N.60]

La stagione autunnale ha il respiro della contemporaneità al MIC di Faenza, con una dose di europeismo nell'inverno 2008.

Jadranka Bentini - Direttrice Museo Internazionale delle Ceramiche

Dal 29 settembre il Museo Internazionale delle Ceramiche espone una personale di Giosetta Fioroni, ben nota al pubblico, artista che dalla pittura ha traslocato dal 1983 alla ceramica, portandosi da Roma a Faenza per realizzare le sue opere nella storica Bottega Gatti. "Viaggio a Faenza" è appunto il titolo della mostra che comprende opere in ceramica cui si affiancano dipinti, a testimoniare l'ampiezza degli interessi dell'artista.

Figlia d'arte (il padre era un noto scultore), con questa sua ultima produzione Giosetta evidenzia il raggiungimento di risultati espressivi sempre più compiuti e raffinati, imperniati su quell'universo poetico e fantastico che è il fondamento del suo essere artista.

Anima sperimentatrice - di lei si ricorda a titolo di esempio la ormai famosa Spia ottica, del 1968, preannuncio dei Teatrini - su suggestione di Guido Cernetti, dedica da quindici anni la sua attività alla ceramica, la materia che più duttilmente risponde alla sua sensibilità ricchissima di riflessi letterari e poetici. "La ceramica è un trionfo di espressioni e offre un senso di totale compiacimento": sono parole della Fioroni che attestano la sua personale vocazione alla ceramica come mezzo formidabile di espressione artistica.

Se la presenza della Fioroni evidenzia l'attenzione del MIC verso l'arte contemporanea nella sua accezione di libera indagine su canovaccio materico, ben presto sarà Ambrogio Pozzi, il grande maestro del design italiano, a fornire dal novembre prossimo una straordinaria campionatura delle sue invenzioni. Intenzione del Museo, attraverso un programma triennale di appuntamenti, è infatti quello di sviluppare un progetto teso ad incentivare le relazioni con i più autorevoli rappresentanti del mondo del design italiano che nel loro percorso creativo abbiano utilizzato la ceramica.
A rappresentare questa progettualità tutta particolare che dalla memoria della forma e dall'esperienze delle tecniche si fa sempre più concettualità disciplinata nella direzione di dare spazio alle funzioni e potere al nesso economia-praticità, è chiamato dapprima Ambrogio Pozzi, il cui nome non ha bisogno di presentazioni, seguito da Ugo la Pietra e da Pino Castagna rispettivamente protagonisti delle future edizioni del 2008 e del 2009.

Pozzi, figlio d'arte anch'esso, ha un lungo e determinante rapporto con Faenza, amata da giovane (era l'epoca d'oro della città manfreda) quando lavoravano Zauli e Biancini, ma si affermarono anche Valentini, Diato, Leoni e Tramonti. Il MIC esporrà una sua selezione di opere monotematiche sul tema del volto degli ultimi dieci anni, un percorso che è un omaggio alla sua lucidità sperimentale e al suo gusto essenziale, ma anche una proposta, una traccia metodologica per il design di oggi.

Utenza privilegiata sarà la scuola, ISIA in testa, e dunque i giovani, gli educatori, e direttamente i ceramisti che del maestro potranno ascoltare in conferenze specifiche i modi e gli sviluppi della sua preziosa avventura di ideatore di oggetti entro cui la ceramica non ha mai perso la sua anima.

In chiusura del 2008 infine la mostra conclusiva del progetto transfrontaliero adriatico di cui il Museo è partner leader: saranno le ceramiche di area adriatica a comparire accanto ai campioni eccellenti e significativi delle raccolte dei Musei Nazionali di Belgrado, Zagabria e Grottaglie, compartecipi del progetto.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 24 [2007 - N.30]

Intervista alla titolarr del Piccolo Museo insignito nel 2011 dell'ambito riconoscimento regionale

Nel cuore della città di Ravenna, a quattro passi dalla piazza Kennedy al n. 4 di via Fantuzzi, si trova l'ingresso del Piccolo Museo di Bambole e altri balocchi. È segnalato da una targa in marmo sotto la quale da pochi mesi è affisso un nuovo logo che indica che il museo ha raggiunto il riconoscimento di "Museo di qualità".

Entriamo in quelli che erano i magazzini del Palazzo Rasponi - Murat. È un luogo luminoso dagli arredi e tappezzerie di una soffice color grigio-perla, voluto per esaltare i colori brillanti e vivaci dei giocattoli esposti. I colori dell'infanzia, si sa, sono luminosi e squillanti anche se su questi oggetti si è posato il velo della polvere del tempo. Intervistiamo la titolare del museo: Graziella Gardini Pasini.

Da quanto tempo è stato aperto al pubblico questo museo?

A dicembre spegne le sue prime 5 candeline!

Come è nata l'idea di trasformare la sua collezione privata in una esposizione aperta al pubblico?

Ho visitato molti musei di bambole specialmente quelli del Nord Europa ammirandone la professionalità e la ricchezza degli oggetti. Successivamente, guardandomi attorno, mi è parso di avere materiale sufficiente per allestire a mia volta un museo. Un'altra molla che mi ha spinta a tuffarmi in questa avventura è stato il piacere di mostrare e condividere ciò che negli anni avevo raccolto.

Gli oggetti esposti in quali periodi sono stati costruiti?

Bambole, mobiletti, automobiline, carrozzine sono stati costruiti tra il 1850 e 1950 e sono tutti esposti in ordine cronologico.

Il museo è frequentato da molti visitatori?

I visitatori sono soprattutto stranieri: tedeschi, austriaci, inglesi, francesi, ma anche giapponesi, russi e americani.

In questi cinque anni il museo ha subito delle modifiche?

Non sono state modifiche vere e proprie, ma posso affermare che il materiale è praticamente raddoppiato. Innanzitutto si è arricchito di una biblioteca di 400 libri di letteratura per l'infanzia disponibili per la consultazione, poi si sono colmate alcune lacune di pezzi mancanti, infine sono stati inserite donazioni fatte generosamente da privati.

All'ingresso spicca un logo nuovo. Di che cosa si tratta?

Con orgoglio dico che nel mese di luglio, con una cerimonia ufficiale, mi è stato consegnato il "Riconoscimento di museo qualità" dalla Regione Emilia Romagna. Il logotipo è rappresentato da una stilizzazione di un profilo greco e da una Q realizzata da nove pallini. Nove quante sono le province della regione e nove quante sono le Muse. Il simbolo delle Muse non poteva mancare poiché è la parola che ha dato origine al termine "museo".

Cosa significa essere un museo di qualità?

Quando ho pensato di aprire al pubblico la mia collezione privata, fin dalle primissime fasi di progettazione mi sono documentata e confrontata con la normativa in materia di qualità, ma non solo, affinchè il Museo avesse tutti i requisiti essenziali, dalla fruizione delle collezioni alla loro conservazione, dalla sicurezza alla didattica ecc. Il Museo fa così ora parte di un elenco d musei regionali, una sorta di comunità virtuosa che si caratterizza appunto per la qualità dei servizi offerti.

Quando è possibile visitare il Museo?

Fin dalla sua nascita il Museo è aperto ai visitatori mattino e pomeriggio tutti i giorni della settimana, compresi i festivi, escluso il lunedì. Ma quest'anno a partire dal mese di ottobre, su prenotazione, ogni lunedì pomeriggio il Museo è aperto gratuitamente agli insegnanti perché possano valutarne il valore storico didattico e la possibilità di inserire nel loro piano di insegnamento una visita con gli allievi.

Altre iniziative in corso?

Per tutto il mese di novembre è allestita una mostra dal titolo "Lenci e dintorni", in cui sono esposte ceramiche raffiguranti bambini, giovinette e piccoli animali fabbricati tra il 1930 e 1950.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 24 [2011 - N.42]

Il Museo Civico delle Cappuccine rende omaggio all'opera di un'artista originale e solitaria

Diego Galizzi - Conservatore Museo delle Cappuccine di Bagnacavallo

A conclusione della stagione estiva, che per il Museo Civico delle Cappuccine non è stata solo un'occasione per una breve pausa ma anche di alcuni importanti lavori di abbattimento delle barriere architettoniche, si apre a Bagnacavallo un intenso periodo di appuntamenti culturali culminanti in corrispondenza della tradizionale Festa di San Michele. Come sempre anche il Museo Civico si inserisce nel ricco cartellone bagnacavallese, organizzando un evento espositivo che quest'anno si focalizza sull'attività di un'artista "nostrana" di notevole interesse: Sonia Micela.
Pittrice dalla tempra originale e solitaria, Sonia Micela (al secolo Norina Tambone) nacque a Bagnacavallo nel 1924. Non sono molti tuttavia quelli che nella cittadina romagnola si ricordano di lei; la sua vicenda biografica infatti prese ben presto strade che la portarono altrove. Dopo gli studi al Liceo Artistico di Ravenna frequentò a Milano l'Accademia di Brera, dove fu allieva di Carlo Carrà e dello scultore Ivo Soli, per poi approdare, dopo una breve parentesi bagnacavallese nell'immediato dopoguerra, a Bologna. In seguito ebbe una lunga ed artisticamente feconda permanenza a Riolo Terme, all'incirca tra il 1956 e il 1970, dopodiché si trasferì a Modena, dove operò a contatto con gli ambienti artistici nazionali e internazionali fino al 1988, anno della sua morte.
Queste poche notizie biografiche meritano tuttavia di essere arricchite con un aspetto particolarmente significativo per la messa a fuoco della personalità della pittrice, ossia la sua convinta adesione alla Resistenza, durante la quale fu staffetta partigiana di collegamento con i locali gruppi antifascisti. Si intreccia a doppio filo con questa sua militanza, anzi ne fu certamente uno dei fattori scatenanti, un tremendo fatto di sangue avvenuto nel 1924 nell'attuale Piazza della Libertà di Bagnacavallo, cioè l'aggressione fascista nei confronti di suo nonno Paolo Panzavolta, in cui fu coinvolta anche la madre Domenica, allora incinta, che era accorsa ad aiutarlo. Morirono entrambi, e mentre si spense Domenica diede alla luce la piccola Norina.
È nel fervente clima del dopoguerra che Sonia Micela ebbe a debuttare artisticamente, partecipando a svariate mostre e premi pittorici, tra cui la Mostra delle Arti Figurative sui temi della Resistenza del 1956 a Bologna. Sempre nel capoluogo emiliano si registra la sua prima personale nel 1955, replicata l'anno successivo a Roma e seguita da un'altra ancora nel 1959 alla galleria "La Colonna" di Milano. Fin da subito la sua opera si fa apprezzare per una grande qualità pittorica e per l'esuberanza emotiva che attraverso di essa riesce a comunicare. Stupisce soprattutto l'uso che fa del colore, spesso materico, istintivo, frutto di una tavolozza ricchissima e schietta, che conferisce ai suoi quadri una luce impastata e nitida. La sua personale ricerca, defilata rispetto alle principali correnti artistiche del secondo dopoguerra e restìa agli intellettualismi, l'ha portata a sperimentare i temi del paesaggio, delle nature morte e del ritratto con un linguaggio limpido, fatto di rigore stilistico e forza di colore. Un'esistenza travagliata la sua, in cui non sono mancate esperienze dolorose ma anche gioie intense, sulle quali ha costruito un mondo pittorico dove vengono proiettati ora il poetico ricordo dei paesaggi di Riolo, ora gli affetti più intimi, come quello per i figli, spesso rappresentati con autentica passione. È una pittura, quella della Micela, coinvolgente ed evocativa, che punta d'istinto verso l'essenza delle cose. La realtà si spoglia così di ogni elemento accessorio, si depura della scoria aneddotica per sintetizzarsi in immagini di pura poesia, dove ritmo e toni si alternano fin quasi a dar la sensazione di melodie musicali.
La mostra antologica dedicata a Sonia Micela sarà allestita alle Cappuccine a partire da sabato 22 settembre, grazie al supporto dell'Istituto Beni Culturali della Regione Emilia-Romagna. L'esposizione nasce anche come momento di presentazione al pubblico della cospicua donazione fatta dagli eredi della pittrice al museo bagnacavallese, donazione che conta più di un centinaio di dipinti rappresentativi di tutta la sua carriera e un interessante archivio d'arte. Le tappe biografiche, i documenti, le opere e la rilettura critica del lavoro della pittrice sono contenuti nel catalogo della mostra, curato da Diego Galizzi e Orlando Piraccini, per i tipi di Editrice Compositori.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 24 [2012 - N.44]

Una fotografia dei musei pubblici del Sistema Museale della Provincia di Ravenna

Emanuela Guarnieri - Architetto, diplomata MuSeC

Oggi, alla luce della forte crisi economico-finanziaria, con i tagli dei finanziamenti pubblici alla cultura, e della recente legge sulla spending review che implica la riorganizzazione delle province italiane, un sistema museale provinciale organizzato come quello ravennate può essere ancora efficace? Anche per tentare di rispondere a questa domanda, è stata predisposta una scheda di rilevazione dati sulle attività dei musei (con riferimento all'anno 2011), strutturata nelle seguenti sezioni:
- assetto istituzionale del museo, con l'indicazione della natura giuridica e dell'assetto proprietario, nonché della tipologia di museo e del tipo di gestione, permettendo così di conoscere la governance del museo e di cogliere il suo grado di autonomia;
- assetto finanziario del museo, con una rendicontazione semplificata dei principali movimenti finanziari distinguendo tra entrate e uscite in conto capitale e in conto esercizio. Più precisamente, le entrate da finanziamenti sono state distinte in base alla natura pubblica o privata del soggetto finanziatore, mentre le entrate che scaturiscono dall'attività gestionale sono state classificate per fonte di origine, distinguendo quelle che derivano da attività gestionali ordinarie da quelle che provengono da attività gestionali accessorie. Le uscite in conto capitale sono tutte riferibili a investimenti patrimoniali. Per le uscite in conto esercizio è stata effettuata una classificazione per materiali di consumo e acquisizioni di servizi, personale dipendente e collaborazioni, uscite per utenze, spese relative alla valorizzazione e spese per manutenzione ordinaria dell'edificio e delle attrezzature.
- performance del museo, sezione che contiene informazioni selezionate capaci di descrivere le principali manifestazioni dell'attività museale ed evidenzia alcuni aspetti che concorrono a qualificare la performance del museo, quali: personale, struttura, collezioni, attività realizzate e rapporti col pubblico.

La scheda è stata inviata ai direttori dei musei pubblici provinciali, 23 musei, aggiungendo anche il MIC di Faenza (in realtà Fondazione) per un totale di 24 musei interpellati. Di questi 3 non hanno restituito la scheda (2 dei quali attualmente chiusi), e delle 21 schede ricevute 5 sono risultate mancanti o incomplete nella sezione riguardante l'assetto finanziario. Riportiamo di seguito le statistiche derivanti dai dati complessivi.

Per quanto riguarda la gestione, 6 dei 21 musei considerati (29%) attuano un tipo di gestione diretta, ovvero con le figure professionali necessarie in organico all'ente proprietario del museo, i restanti 15 (71%) invece adottano una gestione "mista", dove il direttore del museo (quasi sempre in organico) si avvale del supporto professionale esterno fornito tramite incarico, appalto o concessione, di uno o più segmenti operativi (custodia, servizi didattici...) o dell'ausilio di personale volontario. I servizi maggiormente esternalizzati dai musei a gestione mista sono quelli di: guardiania e custodia, vigilanza, pulizie, bookshop, visite guidate e attività didattiche.

Per quanto riguarda l'assetto finanziario, la metà dei musei che hanno compilato la sezione in modo completo (8 su 16) hanno rilevato entrate in conto capitale e tutte provengono da contributi di soggetti pubblici: fondi provinciali, fondi da trasferimenti regionali e fondi propri dei comuni. Solo per un museo, il MAR di Ravenna, si segnala un contributo derivante da un progetto europeo. Gli investimenti patrimoniali sono risultati così distribuiti: quasi il 50% per nuovi allestimenti e installazioni, ampliamento del museo e sistemazione della sede museale, il 26% per manutenzione straordinaria dell'edificio del museo, e il resto equamente suddiviso in investimenti per incremento e sviluppo delle collezioni e investimenti per adeguamento e potenziamento delle strutture e infrastrutture tecnologiche.

Il sistema delle entrate in conto esercizio di un museo può essere suddiviso schematicamente in 3 grandi aree: entrate da contributi pubblici, entrate da fundraising e ricavi commerciali (bookshop, merchandising, concessione spazi e proventi da affitti...) ed entrate da biglietteria. Complessivamente nel 2011 le entrate dei musei provengono quasi totalmente da contributi pubblici, con una bassissima percentuale da fundraising e ricavi commerciali, ma anche da entrate di biglietteria. Ciò è abbastanza naturale se si pensa che la maggior parte dei musei è di piccole dimensioni, di proprietà dell'ente comunale e spesso è a ingresso gratuito. Si allontano un po' da queste percentuali complessive: il MAR di Ravenna che presenta una ripartizione percentuale 72-21-7 contributi pubblici - fundraising e commerciale - biglietteria, il MIC di Faenza con una ripartizione 75-17-8, e il Planetario di Ravenna con una ripartizione 80-0-20.

Il sistema delle uscite in conto esercizio di un museo invece può essere suddiviso schematicamente in: uscite per il personale, uscite per acquisizione di servizi (comprese utenze e spese di valorizzazione), uscite per materiali di consumo, e altro (manutenzione ordinaria dell'edificio, premi assicurativi...). Globalmente la metà delle spese dei musei considerati è riconducibile al costo del personale, circa un 40% alle uscite per acquisizione di servizi, una piccolissima percentuale alle uscite per materiali di consumo e un 10% al resto.

Per quanto riguarda il personale tutti i 21 musei sono dotati di figure responsabili negli ambiti principali (direzione, conservazione, servizi educativi, custodia e sorveglianza, sicurezza). Questo perché a volte più figure professionali sono "incarnate" nella stessa persona (ad esempio il direttore del museo è anche responsabile della conservazione o dei servizi educativi, o il responsabile della conservazione lo è anche per i servizi educativi), e il responsabile della sicurezza è quasi sempre un dipendente comunale (spesso responsabile anche per tutte le altre strutture di proprietà). Le figure non sempre presenti invece sono quelle del responsabile dei servizi educativi (manca in 4 casi su 21) e del responsabile della custodia e della sorveglianza (manca in 7 casi su 21). Inoltre la dotazione complessiva del personale riferita all'anno 2011 può essere suddivisa in: un 46% di personale dipendente, un 29% di personale non dipendente che lavora tramite incarico esterno, appalto o concessione e servizio civile, e un 25% di volontari con un minimo rimborso spese o a titolo gratuito. Per quanto riguarda i dipendenti solamente un 20% di essi dedicano al museo tutta la loro attività lavorativa, la maggioranza invece svolge anche altre funzioni e incarichi all'interno dell'ente proprietario comunale.

Concludiamo le nostre statistiche dando conto delle attività realizzate dai 21 musei considerati. C'è da rilevare che nessuno è stato senza far nulla: si va da una decina di attività per i musei più piccoli (tra esposizioni temporanee, conferenze, convegni, visite guidate e laboratori didattici, pubblicazioni...) alle circa 500 del MAR di Ravenna e del MIC di Faenza. In tutti i casi, in proporzione, i numeri di attività che spiccano ben oltre sopra gli altri sono quelli che si riferiscono alle visite guidate e ai laboratori didattici, mentre è stata praticamente assente l'attività di ricerca.

Infine, un ultimo dato significativo può essere quello relativo all'apertura al pubblico dei musei: su 21 musei, 10 musei hanno un'apertura garantita ordinaria superiore alle 24 ore settimanali, 9 musei inferiore alle 24 ore settimanali, e 2 sono aperti solo su richiesta.

In conclusione, diventa fondamentale un'analisi e una politica dei costi dei musei a livello di sistema, che permetta di fare scelte gestionali e organizzative in un'ottica di efficienza economica e di valorizzare meglio le risorse già presenti, ma soprattutto una politica dei ricavi, perché non è solo con il recupero dell'efficienza e l'eliminazione di eventuali sprechi che si possono fronteggiare i tagli ai contributi pubblici, ma lavorando sulla capacità di ottenere in modo autonomo risorse alternative. Inoltre, alla luce di quanto emerso, in una prospettiva di sviluppo economico incentrato sulle risorse culturali, appare chiaro che la sfida decisiva per i musei e le altre istituzioni culturali è quella di mettere a frutto le proprie ampie e diversificate potenzialità per attivare significative connessioni con gli altri protagonisti del contesto socio-economico territoriale. La valorizzazione di un territorio attraverso il suo patrimonio culturale messo in rete può dare frutti migliori solo se esiste un progetto di rilancio del territorio stesso più complesso ed esteso, che porti alla costituzione di un sistema culturale territoriale, ovvero alla sinergia fra differenti istituzioni (culturali, di servizio, turistiche, industriali, ecc.). In questa direzione potranno concentrare per il futuro gli sforzi di ricerca e di supporto alle amministrazioni locali che vogliano rilanciare il proprio territorio attraverso la dotazione di risorse culturali.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 24 [2012 - N.45]

Inaugurata la nuova Sala delle Erme e Antichità del Museo Nazionale 

Antonella Ranaldi, Elisa Emaldi - Museo Nazionale di Ravenna

La Sala delle Erme e Antichità del Museo Nazionale di Ravenna, recentemente aperta e allestita dal soprintendente Antonella Ranaldi, rappresenta per certi versi un "ritorno al passato". Riportato nell'aprile del 2013 l'ingresso alla sua posizione originaria dal portichetto che prospetta sui giardini di San Vitale, i visitatori del Museo nel percorrere i chiostri dell'antico monastero benedettino secondo il circuito concepito agli inizi del secolo scorso, trovano in questa sala il punto di inizio del percorso di visita alle collezioni lapidarie di antichità romane del I chiostro.
Autentici capolavori di produzione romana, molti dei reperti esposti sono stati recuperati dai depositi. Provengono dalle antiche collezioni dei monasteri cittadini di Classe in città e di San Vitale o dalle collezioni di illustri concittadini del passato con aggiunte derivate da scoperte e scavi archeologici. In questo nuovo contesto si ritrovano le sculture già esposte al primo piano, tra queste il gruppo di cinque erme del II secolo d.C. riscoperte a Roma nel XVI secolo. Destinate alla biblioteca del duca Alfonso II nel Castello estense di Ferrara, esse non giunsero mai a destinazione perché naufragate in mare, recuperate solo nel secolo scorso alla foce del fiume Reno.
Recentemente restaurati, i cinque gloriosi ospiti, tra cui il celeberrimo Milziade con doppia iscrizione in greco e latino, sono valorizzati dal moderno allestimento. Si accompagnano al gruppo altre due erme, l'Hermes Propylaios, di ignota provenienza, e l'erma itifallica e acefala della collezione del conte Ferdinando Rasponi, proveniente da San Zaccaria. Anche il pregevole rilievo raffigurante i personaggi mitologici Anfione e Zeto e la piccola statua di Bambino che scherza con il cane provengono dalla collezione Rasponi.
Accanto a questi sta il busto di provenienza ignota di Zeus Serapide, di ottima fattura, dono di Enrico Pazzi, primo direttore del Museo Nazionale di Ravenna. Altre raffigurazioni di divinità si ammirano nelle pregevoli teste di piccolo formato di impronta classicista e in quelle di maggiore imponenza, come l'Apollo con tripode serpente e grifone, la notissima Tyche proveniente dagli scavi di Classe, lo squisito Altorilievo di divinità femminile, forse Afrodite, e il raffinato Sileno ebbro e giacente, opere da collocarsi tutte entro il II secolo d.C.
Notevoli anche gli esempi di ritrattistica romana, già esposte, la Testa-ritratto virile in calcare, la Testa di giovane, la Testa femminile e la Testa di fanciulla con pettinatura a melone, forse ritratti imperiali. Al loro "debutto" sono i frammenti di statue femminile e maschile provenienti dagli scavi del 1909 di via Agnello a Ravenna, nel luogo di una probabile domus romana, conservate nei depositi del Museo dall'epoca del rinvenimento. Della statua femminile se ne propone l'inedita identificazione con la musa Polimnia. Merita un cenno anche la bella coppia di capitelli con puttini e ghirlande che, come il bassorilievo dell'Apoteosi di Augusto (nel I chiostro) e il sarcofago della Traditio legis (nel II chiostro), provengono dalla collezione lapidaria benedettina: anticamente conservati presso il vestibolo della sacrestia di San Vitale, al momento dell'apertura del Museo nel 1921 erano collocati nella sala di Port'Aurea. Allo stesso ambito cronologico dei capitelli (III-IV sec. d.C.) appartiene il Sarcofago di fanciullo proveniente da Roma.
Ripescate dal mare, estratte dalla terra, recuperate dai depositi dove erano finite in seguito ai riordini del dopoguerra e ai riallestimenti degli anni Settanta, queste opere rappresentano principalmente raffigurazioni di divinità o statue di genere e replicano originali greci molto più antichi, testimoniandoci il perpetuarsi di un repertorio ellenistico decorativo molto apprezzato nel mondo romano imperiale, ove trovava collocazione all'interno di domus, ville e giardini.
All'apertura della nuova sala si accompagna il volume Erme e antichità del Museo Nazionale di Ravenna, a cura di Antonella Ranaldi, Milano 2013.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 24 [2013 - N.48]

Guido Guidi. Veramente
Catalogo di mostra
MACK, 2014

La mostra itinerante su un indiscusso maestro della fotografia contemporanea è approdata al MAR di Ravenna, sugellando un simbolico ritorno a casa dell'artista. L'evento, in collaborazione con Fondation Henri Cartier-Bresson di Parigi e Huis Marseille di Amsterdam, ha ripercorso i quarant'anni della carriera di Guido Guidi, i cui maestri sono stati da una lato i pittori italiani del Rinascimento, dall'altro i fotografi americani del Novecento.
Nel catalogo si ritrovano, accompagnati dai testi critici di M. Dahò e A. Sire, gli esperimenti in bianco e nero degli anni Settanta, le serie a colori come quella semplice e misteriosa realizzata nel 1983 all'interno di una stanza vuota nel paese trevigiano di Preganziol, l'itinerario fotografico realizzato a metà degli anni Novanta lungo l'antico asse viario tra la Russia e Santiago de Compostela, i paesaggi ordinari della Sardegna contemporanea. Nella sede ravennate Guidi ha eccezionalmente esposto anche una selezione di fotografie omaggio alla città.


MIC. Guida alla Sezione islamica
A cura di G. Manna,
U. Bongianino, A. Fusaro
Ediemme, 2014

A completamento del nuovo allestimento della raccolta islamica del Museo Internazionale delle Ceramiche in Faenza, è stata pubblicata una apposita guida di sezione. La narrazione agile accompagna la visita, tra gli splendidi lustri persiani di epoca selgiuchide, la ricchezza decorativa dell'Egitto fatimide e la produzione siro-egiziana di epoca ayyùbide e mamelucca, fino alle fantasiose composizioni delle ceramiche di Iznik e allo stile moresco del vasellame spagnolo. Approfondimenti sono dedicati alle tipologie di materiali (i filtri delle "idroceramiche", i bacini ceramici) e alle produzioni (le ceramiche copte, le vivaci mattonelle qallaline). Il forte impatto artistico e tecnologico di questi manufatti è documentato da rimandi a esemplari delle altre raccolte del Museo (le porcellane "bianco e blu" di epoca Ming, i lustri rinascimentali della maiolica italiana), ad attestare la grande eco della ceramica islamica sulle altre culture.


Museo Nazionale di Ravenna. Porta Aurea, Palladio e il monastero benedettino di San Vitale
A cura di A. Ranaldi
Silvana Editoriale, 2015

La monografia propone un nuovo punto di vista sul Museo Nazionale e su Ravenna, un ponte tra i diversi periodi storici, l'antico e la rinascenza, uniti programmaticamente in un luogo simbolico, denso di memorie, suscitate dalle opere esposte e dall'architettura del monastero di San Vitale, sede del museo.
Da Porta Aurea all'Apoteosi di Augusto - dono della magnificenza imperiale di Claudio per questa città dell'Alto Adriatico -, dall'Ercole Orario alle Stele funerarie, si trova qui il meglio delle antichità di Ravenna, per eccellenza di fattura e importanza storica. Entrata negli itinerari degli architetti del XVI secolo - Falconetto, forse anche Bramante, i Sangallo, Vasari, Palladio e Ligorio -  Ravenna non è più solo la città dei mosaici e delle chiese paleocristiane bizantine. Nel volume si esaminano i contributi di questi importanti architetti, offrendo nuove e straordinarie presenze e un inedito Palladio.


Selvatico.TRE. Una testa che guarda
Catalogo a cura di M. Fabbri

Museo Civico "L. Varoli", 2014

Il volume tiene le fila del percorso espositivo che ha collegato musei, luoghi, storie, memorie e collezioni della Bassa Romagna nella terza edizione del progetto Selvatico, dedicata a indagare cosa significhi oggi guardare al volto, soggetto per eccellenza, nel tentativo di restituirlo attraverso la pratica artistica. Il catalogo è diviso per sezioni che ricalcano le varie iniziative del progetto. Si ritrovano le opere in mostra nei musei civici di Bagnacavallo, Fusignano e Cotignola per Il buco dentro agli occhi o il punto dietro la testa; le fotografie di Lo scudo di Perseo e il volto di Pasolini in Un volto in forma di rosa esposti a Massa Lombarda; il percorso di street art Paesaggio di campagna di Conselice; la quadreria lughese Cacciatori di teste; la mostra didattica Elzbieta e i suoi compagni ad Alfonsine; infine, i contributi del convegno Storie del volto dipinto ospitato a Bagnara di Romagna. Anche attraverso il catalogo, Selvatico gioca a scoprire e svelare affinità e incastri tra mondi.


Informalibri - pag. 24 [2015 - N.52]

Al Museo Carlo Zauli di Faenza si è concluso Museomix, una maratona creativa difficile da dimenticare

Simona Parisini

"People make Museums".
Prima di iniziare la maratona di Museomix queste rimanevano parole misteriose, non si riusciva a immaginare come un gruppo di una ventina di creativi potesse "invadere" il museo per tre interi giorni e quali esiti concreti ci si dovesse aspettare. Vero è che il Carlo Zauli è una realtà singolare, tanto da risultare stretta la stessa denominazione di museo. Rispecchiando quella che era l'attitudine dell'artista faentino, proiettato verso la continua sperimentazione e alla rilettura del proprio linguaggio espressivo, nasce e si sviluppa come un luogo aperto, alla contemporaneità e alla contaminazione. Nonostante questo, Museomix rappresentava un'avventura del tutto nuova e, come tale, carica di irresponsabile entusiasmo.
Anche se la sensazione di essere impreparati imperversava tra lo staff, il tempo non ha avuto clemenza e venerdì 11 novembre è arrivato più in fretta del dovuto. Poco prima delle 8.30 del mattino, il giardino del museo si era già popolato di volti nuovi, espressioni interrogative, ma anche impazienti, si è così incontrato il gruppo dei "mixers" selezionati: diciotto persone di genere, età, professione, provenienza diversa, temerari pronti ad affrontare la sfida di "remixare" insieme il museo o, per usare la semantica zauliana, "sconvolgerlo".
Fin dalle prime battute Museomix si è rivelato un catalizzatore di idee, energie ed entusiasmo travolgente, che ha invaso gli spazi del museo e destabilizzato la sua dimensione narrativa e la stessa identità. Alla base dell'intensissima attività dei tre gruppi di lavoro formati, nuove visioni e inedite prospettive per allestimento e percorsi di conoscenza delle opere e dell'artista, passando attraverso l'uso di soluzioni digitali e tecnologiche.
Attorno ai partecipanti ruotava un team organizzativo formato dallo staff del museo, per l'occasione arricchito di un folto ed eterogeneo gruppo di volontari, impegnato nelle più svariate missioni operative: documentare con foto e video l'avanzamento delle giornate, garantire la visibilità dell'evento sui social network, tenere le relazioni con la comunità Museomix, ma anche organizzare i pasti - coinvolgendo ristoratori cittadini, ma anche mamme, nonne, amiche -, soddisfare le richieste di materiali - dalle lampadine alle zolle di terra -, stimolare, supportare, criticare (costruttivamente) le équipe e ricordare che ad una certa si deve anche mangiare. Sì perché neanche paella e lasagne riuscivano a fermare il lavoro frenetico e nella sala destinata ai pasti e al relax il flusso delle idee continuava a scorrere, inarrestabile quanto la macchina del caffè.
Il caos vitale e creativo che si è vissuto in quei tre giorni sfidava anche l'immaginario futurista: movimenti veloci tra stanze, giardino e scale, vocío continuo, rumore di stampanti 3D e attrezzi, luci aliene degli onnipresenti schermi di pc, cellulari e macchine fotografiche. Un dinamismo che sembrava avere naturali risonanze nelle spaccature e nelle sinuosità delle opere zauliane. Se l'ansia delle scadenze giornaliere dettava il tempo, l'unicità di questa esperienza dilatava il museo nello spazio delle relazioni e del processo creativo.
Progetti che si sviluppavano focalizzandosi su precise direzioni: facilitare l'esperienza del visitatore solitario, rievocare una presenza più emozionale e intima di Carlo Zauli all'interno e fuori degli spazi del museo, rafforzare la sinergia tra artigianato tradizionale e digitale. I risultati di questo impegno, di questa stimolante collaborazione e condivisione di saperi, sono stati concreti prototipi, che il pubblico ha potuto testare domenica pomeriggio: applicazioni web, sistemi di modellazione digitale, nuove grafiche, contenuti audiovisivi, in grado di offrire nuove esperienze museali, soluzioni libere di essere adottate e sviluppate.
Ciò che è stato Museomix è un'esperienza di comunità, un networking creativo che ha investito il museo, aprendolo a prospettive del tutto nuove e creando connessioni e sinergie penetrate nel suo tessuto connettivo, dando un significato concreto a "People make Museums".

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 24 [2016 - N.57]

Il nuovo fumetto di Martoz ha animato il festival Cotignyork

Massimiliano Fabbri - Museo Civico Luigi Varoli di Cotignola

Dopo il successo de L'Argine, il fumetto di Marina Girardi e Rocco Lombardi incentrato sulla vicenda della rete dell'ospitalità cotignolese, operazione clandestina e solidale che durante la Seconda Guerra Mondiale ha permesso, grazie al coinvolgimento di un'intera comunità, di ospitare, proteggere e mettere in salvo quarantuno ebrei (il libro è pubblicato nel 2016), il Museo Varoli prosegue nel desiderio e volontà di raccontare le storie attraverso le immagini, caratterizzandosi al contempo come luogo di produzione capace di attivare collaborazioni e scambi fertili con realtà affini, siano queste musei e istituzioni, associazioni culturali e singoli autori capaci di esplorare e ripensare, con mezzi e linguaggi sempre diversi, le narrazioni del museo, guardando a esse da altri punti di vista, integrandole e rilanciandole.
Lo fa ora grazie a una nuova avventura che si è concretizzata ne La Mela Mascherata, il nuovo fumetto di Martoz, giovane astro nascente del fumetto italiano, che inaugura la neonata collana per bambini "Dino Buzzati" dei bolognesi Canicola e che, proprio mentre stiamo scrivendo questo articolo, rappresenta uno degli eventi e appuntamenti della Children Book Fair di Bologna e del progetto parallelo Boom. Crescere nei libri, geografia dell'illustrazione internazionale che invade pacificamente Bologna con una sequenza di incontri, presentazioni e mostre diffuse.
La presentazione in anteprima de La Mela mascherata è avvenuta lunedì 3 aprile all'Accademia di Belle Arti di Bologna e la mostra con le tavole originali si è aperta il giorno seguente presso la galleria Adiacenze insieme a una piccola selezione di maschere in cartapesta provenienti dalla scuola Arti e Mestieri di Cotignola. Il tutto, Martoz compreso, si è spostato a Cotignola dal 5 al 11 giugno all'interno del festival Saluti da Cotignyork, dentro al quale Martoz è stato il protagonista di una serie di appuntamenti che lo hanno visto impegnato in laboratori per bambini e ragazzi, nella presentazione del libro e della mostra a esso collegata, e anche di un muro dipinto sulla facciata della Scuola Arti e Mestieri, muro che si inserisce all'interno del progetto più ampio Dal museo al paesaggio, mappa di storie e dipinti che il Museo cotignolese ha inaugurato qualche anno fa e in cui street artist riflettono sul patrimonio materiale e immateriale della città, portando il museo fuori, sui muri e nelle strade, fino a congiungerlo idealmente con il fiume Senio, elemento identitario del paesaggio, delle storie e memorie locali.
La Mela mascherata è una specie di western rinascimentale ad alto tasso di profumatissime mele cotogne, ispirato a personaggi reali della storia cotignolese, protagonisti che si muovono, tramano e resistono in una specie di super tempo o tempo fantastico e fiabesco, frullato ed esploso, in cui convivono allegramente, non senza colpi di scena, più secoli; sfilano così, all'interno di una storia scoppiettante, avventurosa e molto ironica, che gioca e ribalta i generi consolidati del fumetto: il capostipite della famiglia degli Sforza Muzio Attendolo e la sua compagna Lucia (la vera protagonista ed eroina del libro), i grandi pittori rinascimentali Bernardino e Francesco Zaganelli, l'artista Luigi Varoli, Vittorio Zanzi artefice e vertice della rete della solidarietà, la Segavecchia e le maschere di cartapesta che i bambini e i ragazzi, ispirandosi alle collezioni del museo, continuano a costruire, il misterioso popolo dei "canapini", la Torre D'Acuto e Palazzo Sforza (palazzo storico e sede del Museo), il fiume Senio e il Teatro Binario (un teatro ricavato da vagoni dismessi e da uno stabile appartenente alle FS che il Comune ha ristrutturato e riqualificato) e gatti quasi giganti che si muovono e popolano la contea di Cotignyork, un posto davvero bello stretto tra le grinfie malefiche di una strega affascinante e canterina, e i diabolici propositi del malvagio Passatore.
Riusciranno i nostri eroi (cow-boy, o cat-boy visto che cavalcano gatti) a liberare Muzio imprigionato nelle segrete del castello evitando nel frattempo il pericolosissimo (e gustoso) lancio dei tortelli e altri incantesimi disseminati e sparsi?
Il fumetto, uscito nelle librerie all'inizio di aprile, è realizzato in collaborazione con Canicola bambini, un progetto che prevede attività pedagogiche e divulgative sul fumetto, libri a fumetti, mostre di autori, esposizioni e quaderni frutto dei laboratori con i bambini.
Info. www.canicola.net e www.museovaroli.it

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 24 [2017 - N.58]

Due artisti milanesi under 35 a Faenza sperimentano la ceramica da maggio a novembre 2017
Valentina Ornaghi (1986) e Claudio Prestinari (1984) sono gli artisti vincitori del Bando MCZ Residenza d'artista Faenza 2017 promosso da Museo Carlo Zauli e Museo Internazionale delle Ceramiche di Faenza, con il sostegno di SIAE|Sillumina - Copia privata per i giovani, per la cultura.
Nati a Milano, lavorano dal 2009, e fino ad ora non si sono mai confrontati con la ceramica. Nel 2015 sono arrivati finalisti al Talent Prize del Museo Pietro Canonica a Villa Borghese di Roma, recentemente hanno esposto a Grigio Lieve a Casa Morandi di Bologna (2017), alla Casa Italiana Zerilli-Marimò dell'Università di New York (2016), alla Galleria Continua di San Gimignano (2014) e alla Biblioteca Ariostea di Ferrara (2013) nell'ambito di Paragona: un percorso a Ferrara dopo il terremoto.
I due giovani artisti hanno iniziato a maggio la residenza che durerà sei mesi, affiancati da un maestro ceramista che permette loro di sperimentare al MCZ le tecniche ceramiche tradizionali (formatura, foggiatura, tornio) e con i FabLab le tecniche più innovative (stampa 3D). In questi primi mesi hanno visitato diverse botteghe artigiane, manifatture, atelier di artisti, in un percorso di conoscenza delle possibilità produttive e creative del territorio, oltre a condividere la vita del museo nei suoi eventi e dell'intera città.
Inoltre Prestinari e Ornaghi hanno avuto l'opportunità di approfondire al MIC le tecniche e la storia della ceramica. Non a caso la direttrice Claudia Casali ha messo loro a disposizione le collezioni, gli archivi e i depositi museali per aiutarli ad avvicinarsi alla ceramica, un materiale antico come la storia dell'umanità, che in questo periodo sta avendo una grossa riscoperta da parte del mondo dell'arte contemporanea, la cui lavorazione richiede una grossa preparazione ed esperienza tecnica.
"L'occasione unica di imparare con la guida di un maestro e di artigiani del territorio - ha commentato Valentina Ornaghi - all'interno di un contesto prestigioso come quello di Faenza che ha un forte legame con la storia dell'arte italiana, è davvero importante per l'arricchimento della mia ricerca. Inoltre la possibilità concreta di strutturare un progetto espositivo all'interno del MIC mi permette di confrontarmi anche con uno spazio fisico e con il pubblico".
"L'interdisciplinarità maturata nel corso della mia esperienza formativa, il mio interesse per la storia dell'arte e per il disegno industriale - continua Claudio Prestinari - sono entrati a far parte della mia ricerca diventando un metodo conoscitivo che lascia sconfinare ogni progetto in un territorio ibrido in cui diverse discipline si incontrano. Sono particolarmente interessato ai processi tecnici, da quelli più antichi e tradizionali a quelli più innovativi e tecnologici".
Per Matteo Zauli, direttore del MCZ, il lavoro di Claudio Prestinari e Valentina Ornaghi si inserisce perfettamente all'interno della visione che ha portato alla collezione contemporanea: valore concettuale dell'opera, nitore ed estrema cura formale, profondità di pensiero sono infatti le caratteristiche dei due artisti milanesi con i quali il Museo condivide questa esperienza di residenza e produzione. Condivisione che abbraccia oltre al MCZ moltissimi attori della città di Faenza.
A ottobre i due giovani artisti incontreranno il pubblico per raccontare l'esperienza faentina, anticipando anche la mostra che, al termine della residenza, mostrerà le opere al MIC, istituzione di riferimento internazionale per la ceramica.
La residenza funge anche da stimolo per attivare molteplici e diverse collaborazioni sul territorio, tra cui anche l'ISIA, l'Università del Design di Faenza.
Alla residenza, come ogni anno, è inoltre collegato il Corso per Curatori MCZ, percorso formativo sul campo destinato a studenti selezionati dell'Accademia di Belle Arti di Bologna e Ravenna.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 24 [2017 - N.59]

In mostra a Faenza le opere di tre artisti romagnoli che raccontano il dramma della Grande Guerra

Claudio Casadio

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 24 [2017 - N.60]

Bagnacavallo presenta l'Inventario on-line del suo fondo moderno, di primaria importanza per l'incisione contemporanea in Italia.

Diego Galizzi - Conservatore del Gabinetto delle stampe del Centro Le Cappuccine di Bagnacavallo

Anche se i numeri non sono quelli di grandi Istituzioni come il Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi o la Raccolta "Angelo Davoli" della Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia, per una realtà provinciale come Bagnacavallo la raccolta di incisioni contemporanee conservate nel locale Gabinetto delle Stampe ha assunto dimensioni veramente sorprendenti, sia dal punto di vista quantitativo che qualitativo.

Un giacimento di quasi 8000 stampe rappresentative di circa 1300 autori contemporanei, frutto di un lavoro paziente che, nel corso di poco più di 15 anni di attività, non solo ha consentito di fare di questo centro una tra le più vivaci realtà in Italia per lo studio e la valorizzazione delle arti incisorie, ma ha anche saputo instaurare un duraturo rapporto di fiducia con gli autori stessi, che periodicamente lasciano a questo istituto i fogli che meglio testimoniano la loro attività artistica.

Si prevede, inoltre, in virtù dell'imminente pubblicazione della nuova edizione del Repertorio degli Incisori Italiani, un accrescimento ulteriore della raccolta di circa 7-800 pezzi. Per far fronte alla gestione di questi beni, da alcuni anni il Gabinetto si è dotato di un sistema informatico di inventariazione che è stato pensato in previsione della messa on-line di tutte le schede inventariali e dei relativi corredi fotografici, tenendo fede in questo modo al proposito di rendere fruibili al più vasto pubblico possibile questo immenso patrimonio artistico e tutte le informazioni che lo riguardano.

Oggi questo percorso si può dire completato con la presentazione pubblica dell'Inventario on-line del Gabinetto delle Stampe, avvenuta lo scorso 29 settembre a Bagnacavallo in occasione della mostra-mercato dell'incisione Carte in Fiera. Il database, consultabile nel sito www.centrolecappuccine.it/gabinettostampe, si presenta come strumento molto intuitivo in grado di compiere ricerche per autore, soggetto, tecnica ed anno, nonché di visualizzare le singole schede e le immagini delle opere. I dati attualmente disponibili rappresentano di fatto il 100% del patrimonio, grazie alla possibilità di schedare i fogli acquisiti in tempo reale e di aggiornare con molta velocità i dati messi a disposizione su internet. La priorità è stata infatti quella di disporre di uno strumento agile che potesse gestire una raccolta in costante e rapido accrescimento, pur senza rinunciare all'esaustività delle informazioni, ed avere così un quadro preciso della sua consistenza.

Un Gabinetto delle Stampe aperto a tutti, dunque, e che, con questo progetto, rilancia la scommessa fatta anni or sono di monitorare e far conoscere costantemente il panorama dell'incisione contemporanea in Italia attraverso la pubblicazione periodica del Repertorio. Le finalità di questa nuova banca-dati sono in realtà molteplici e dettate dalle esigenze che abbiamo raccolto dagli stessi "addetti ai lavori". Si tratta in prima battuta di un importante strumento conoscitivo che consentirà agli studiosi la consultazione in remoto di un bacino di informazioni tale da rendere non più indispensabili difficoltose ricerche tra istituti preposti alla conservazione, gallerie e studi di artisti. Questo anche grazie all'integrazione dei dati con il nostro archivio e la nostra biblioteca specializzata. Per le gallerie e per il mercato dell'arte sarà certamente supporto utile di ricerca, di confronto e di controllo di autenticità. È bene inoltre ricordare che la mission del nostro istituto prevede la massima disponibilità a far circolare e a prestare le opere originali in occasione di eventi espositivi. Da oggi qualunque ente interessato alla promozione del linguaggio incisorio potrà dunque verificare la consistenza dei nostri fondi ed, eventualmente, inoltrare richiesta di prestito.

Prossimo obiettivo sarà l'integrazione della nostra banca-dati con IMAGO, il catalogo collettivo di opere grafiche di Biblioteche, Archivi e Musei della Regione Emilia-Romagna, per il quale stiamo già compiendo le prime verifiche tecniche. Si tratta di un passaggio obbligato, una naturale evoluzione verso quella condivisione delle conoscenze che è l'obiettivo primario del nostro lavoro.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 25 [2007 - N.30]

Dalla postazione di volo di Baracca al percorso neoclassico faentino: il Piano Museale Provinciale 2011 finanzia tredici progetti

Eloisa Gennaro - Responsabile Ufficio beni culturali Provincia di Ravenna

Non era affatto scontato che per l'anno in corso si potessero finanziare così tanti progetti. Il Piano Museale per l'anno 2011 approvato lo scorso 27 aprile dalla Giunta Provinciale tiene conto dei progetti presentati dal Sistema Museale Provinciale e da dodici musei dislocati su tutto il territorio: sette nell'area lughese, tre nell'area faentina e due nell'area ravennate. Gli investimenti realtivi ai tredici interventi ammontano in totale a € 593.000, di cui € 120.000 sono fondi provinciali, € 90.000 sono trasferimenti della Regione, e i restanti € 333.000 sono la quota a carico dei singoli musei.

Visti i tempi che corrono, è confortante che ben dodici amministrazioni comunali su diciotto, abbiano deciso di investire le loro risicatissime risorse per realizzare progetti che mirano a potenziare e qualificare i servizi erogati dai musei. E in continuità con gli scorsi anni, anche nel 2011 le priorità sono rappresentate da interventi sugli spazi destinati al pubblico, finalizzati a garantire una migliore accessibilità e fruibilità del patrimonio: dal rinnovo degli allestimenti al Musa di Cervia e al Museo del Castello di Bagnara di Romagna, alla realizzazione di aule didattiche al Museo S. Rocco di Fusignano e al MIC di Faenza, dall'abbattimento delle barriere architettoniche alle Cappuccine di Bagnacavallo, alla progettazione di nuovi percorsi espositivi al Museo del Risorgimento di Faenza e all'Ecomuseo di Villanova.

Tra i tanti, due progetti meritano particolare attenzione.

Il Comune di Lugo ha investito ulteriori risorse - dopo il restyling del primo piano - per rinnovare l'allestimento dell'ultimo piano del Museo Francesco Baracca, realizzando un percorso di visita narrativo ed emozionale, che attraverso allestimenti tradizionali e multimediali metta a disposizione dei visitatori una considerevole quantità di apparati iconografici sull'aviazione degli albori della prima guerra mondiale (provenienti anche dagli archivi di alcune istituzioni culturali del Friuli e della Slovenia), puntando così a fare del Museo non solo il luogo dove si narrano le imprese dell'Eroe ma anche un contenitore che narra la Grande Guerra dalla parte delle trinceee. Anche grazie a questo intervento, il Museo Baracca è entrato a far parte del progetto europeo "Ali sulla storia" che prevede l'istallazione di una postazione di volo che, attraverso l'immissione di centinaia di immagini, dati e carte geografiche, consentirà di fare un viaggio nel tempo, 'volando' attraverso luoghi e paesaggi di un secolo fa.

Il viaggio nel tempo prosegue con l'intervento proposto dalla rete dei musei faentini, finanziato interamente dal Sistema Museale Provinciale di Ravenna quale progetto di sistema, e che si pone come virtuale continuazione del progetto 'audioguide'. Il progetto è incentrato su un percorso di visita interattivo che si snoda tra le più significative testimonianze e luoghi neoclassici di Faenza, città che tra la fine del Settecento e l'inizio dell'Otto raggiunse un impareggiabile livello nel campo dell'architettura, pittura, scultura e delle diverse arti applicate. Grazie alla moderne tecnologie, il visitatore potrà vivere in maniera coinvolgente la stagione neoclassica faentina, passando dalla fruizione delle singole opere d'arte conservate nei musei cittadini ai laboratori degli artisti, dai progetti e documenti di architetti e studiosi alle stanze e cortili dei tantissimi palazzi cittadini. Un progetto finalizzato dunque a mettere in relazione le diverse testimonianze del passato per valorizzare al meglio la specificità e l'identità del territorio.

Ricordiamo che il Piano Museale 2011 è interamente consultabile sul portale del Sistema Museale Provinciale nella sezione "servizi ai musei"(www.sistemamusei.ra.it).


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 25 [2011 - N.42]

E' nata da poco l'Associazione per la Promozione del Museo Baracca, attiva nel settore che risulta un tallone d'Achille dei piccoli musei

Daniele Serafini - Direttore Museo Francesco Baracca di Lugo

Le condizioni che si sono determinate nel mondo occidentale in seguito alla crisi e alla recessione impongono un ripensamento generale anche nell'ambito delle istituzioni culturali, suggerendo scelte e soluzioni innovative.
Agenda 26, un rapporto recente dell'Istituzione dei Musei Olandesi proiettata nel 2026, ci offre uno scenario inquietante, che possiamo assumere quale punto di riferimento quanto meno in termini di confronto. Secondo tale proiezione, un numero elevato di piccoli musei sembra destinato a chiudere i battenti, lasciando in vita quelli dotati di particolari specificità, in altri termini di un profilo e un'identità tali da consentire loro di stare dentro un segmento di mercato, magari di nicchia, e comunque capace di continuare ad attrarre visitatori, beneficiando in tal modo di entrate apprezzabili.
Naturalmente sono consigliabili strategie di rete e di networking, creando sistemi subregionali e provinciali sulla base di analoghe tipologie delle collezioni: nel caso della nostra realtà e del settore che mi riguarda più da vicino, penso ai musei storici dell'aviazione con tre realtà ben definite in campo interprovinciale: il Parco tematico dell'aviazione con sede a Rimini, quello della RAF (Romagna Air Finders) in procinto di trasferirsi da Fusignano a Bagnacavallo e il Museo Baracca di Lugo.
Ma tutto questo rischia di non essere sufficiente se non si affronta in modo innovativo il problema della gestione. E qui la realtà del volontariato assume una rilevanza strategica.
A Lugo l'Amministrazione Comunale ha favorito la costituzione di un'associazione che avrà il compito di affiancare la direzione del Museo e il suo Comitato Scientifico nella promozione e nella gestione di alcuni settori, in particolare quello commerciale. Composta inizialmente da sei volontari (tre esperti di storia e aviazione, un fiscalista, un'interprete e una guida), l'associazione, che è un APS (Associazione di Promozione Sociale), denominata La Squadriglia del Grifo - Associazione per la Promozione del Museo Baracca, interverrà soprattutto in quello che da sempre risulta essere un tallone d'Achille dei musei, almeno quelli medio-piccoli. Partendo da uno start up iniziale del Comune, ovvero da un contributo una tantum, l'associazione avrà quale obiettivo prioritario il ripensamento e il riallestimento del bookshop, con prodotti e gadget destinati a incrementare le entrate. Quella del merchandising è una risorsa non sempre sfruttata adeguatamente nel nostro paese, tanto più che i margini di manovra delle istituzioni culturali pubbliche sono davvero problematiche a causa di una legislazione e di una normativa poco flessibili.
L'autonomia gestionale del bookshop sarà di primaria importanza, considerato che gli introiti saranno reinvestiti per incrementare l'offerta: non sono pochi i visitatori, infatti, interessati a conservare un ricordo della loro visita e, nel nostro caso, non mancano motivi di forte suggestione, dal mito dei pionieri del volo alla storia del Cavallino Rampante di Baracca, facilmente associabile a quello della Ferrari.
L'associazione, tuttavia, non sarà solo uno strumento, per quanto importante, di marketing: proporrà e condurrà visite guidate, iniziative didattiche, lavorerà a contatto con le agenzie di viaggio, e avrà anche il non facile compito di trovare risorse finanziarie per le attività e le mostre temporanee ideate dal Museo, oltre a favorire donazioni di cimeli e materiali di interesse.
Sempre in ambito di volontariato, a parte l'apporto fondamentale di AUSER nella custodia degli spazi espositivi, abbiamo individuato una serie di testimonal che abbiamo chiamato Ambasciatrici e Ambasciatori del Museo: avranno il compito di fare conoscere la realtà del Museo Baracca in Italia e all'estero, cercando di farne conoscere le potenzialità e la ricchezza della collezioni. Il tutto su basi volontarie, naturalmente...


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 25 [2012 - N.44]

A Cotignola un triplo appuntamento anticipa un nuovo ciclo espositivo che si svilupperà per tutto il 2014 

Massimiliano Fabbri - Curatore Museo Civico Luigi Varoli di Cotignola

Sabato 14 dicembre riprende l'attività espositiva del Museo Civico Luigi Varoli di Cotignola con un appuntamento che collega i tre principali luoghi varoliani: la scuola, la casa e il museo.
Si parte dalla Scuola Arti e Mestieri con la presentazione di Edel, manifesto-rivista di arte e letteratura contemporanee, a cura della poetessa Roberta Bertozzi; in questo numero zero, oltre a un nutrito corpo di scritti a opera di critici, artisti e poeti, impreziosisce il foglio un'opera realizzata dallo scultore Francesco Bocchini con la tecnica del monotipo.
Ci si sposta poi al Museo per l'apertura di una doppia mostra, visitabile fino al .. gennaio 2014.
A Palazzo Sforza inaugura Lingua madre dove i dipinti e i disegni di Lucia Baldini e Luca Rotondi dialogano con i temi e i generi tradizionali del paesaggio e natura morta, che sono restituiti attraverso disegni e dipinti che ancora si misurano con due generi che sempre mettono, al centro della scena, un vuoto, l'assenza della persona. Il silenzio di spazi e cose, uno sguardo incantato che si posa in una terra quasi desolata, in cerca di appigli, approdi e bellezze intermittenti, provvisori nidi, piccoli stupori a far esplodere per un istante lo scorrere del tempo; una specie di umore quasi esotico che fa capolino dove non te l'aspetti, una vegetazione lussureggiante cresciuta ai margini di un campo e catturata con precisione fiamminga, o sferzata da ventosità orientali, o romantiche quinte che invitano a entrare e farsi piccoli, e poi relitti e abbandoni da cortile d'inverno, uno slargo improvviso di paesaggio che si apre in orizzonti e cieli e nuvole e alberi in fiore, e luce che inonda di colori che si espandono come per effetto di allagamento, o gigantesca carta assorbente. Le cose come risvegliate e tremanti dopo una pioggia violenta, un respiro del mondo. E sempre, la traccia dell'uomo, quasi mai una ferita, piuttosto mano che ha contribuito al crearsi unico di questi paesaggi, frutto di un dialogo tra la natura e chi l'ha abitata e presa in cura, trasformata e tutelata nella sua diversità, anche produttiva. Un abbraccio che oggi svendiamo per due soldi. Allora forse il disegnare e dipingere tentano qui una specie di restituzione. La pittura come finestra-ancora. Soglia; teatro su cui proiettare memorie. Esercizio e pratica e disciplina di guarigione.
Collegandosi all'esperienza di Selvatico, percorso che ha coinvolto artisti visivi non solo intorno al loro lavoro ma pure nella fase progettuale, chiedendo talvolta agli autori un impegno anche in veste di curatori, Lingua Madre ospita e accoglie al suo interno una piccola ma significativa apertura invitando due artisti a realizzare una micromostra in una stanza di Palazzo Sforza, quasi un controcanto: Simone Luschi invitato da Lucia Baldini, Michela Mazzoli chiamata da Luca Rotondi.
Contestualmente a Casa Varoli inaugura Pause, un percorso nella wunderkammer di Luigi Varoli dentro la quale sono disseminati, in felice dialogo, le carte di Marco Nascosi, anche qui nature morte e paesaggi, con il disegno a farla da padrone, ora appunto e schizzo veloce per catturare cose viste luoghi, ora illustrazione che si fa distillato estraniante su finestre-mondi. Taccuini di viaggio alla maniera di un gran tour disordinato, quaderni colmi di appunti, progetti, collage e altri piccoli reperti schizofrenici per accedere, un giorno, a sepolti scomparti della memoria. Oggetti che ci parlano in mancanza del proprietario, un animismo in bilico tra sguardo da antropologo e da pubblicitario, quasi slogan; feticci o talismani o giocattoli o altre magie giapponesi come nella serie dei portachiavi, o nelle toilette, colorato archivio di bagni sempre deserti illuminati, dove chi guarda è un intruso che mette in atto un innocente furto vojeuristico portando via con sé un'immagine luccicante, attirante, curiosa e vagamente psicologica.
Questi appuntamenti rappresentano l'anticipazione di un nuovo percorso che si svilupperà per tutto il 2014 attraverso un ciclo espositivo che proporrà approfondimenti su alcuni autori che hanno partecipato al progetto Selvatico, 9 episodi e mostre che si sono tenute a Cotignola, e non solo, tra il 2008 e il 2013. La prossima mostra in programma, che inaugurerà l'1 febbraio 2014, è di Giuliano Guatta e Giovanni Lanzoni.
Per informazioni: tel. 0545908879; www.pinterest.com/museovaroli; www.aem-selvatica.org.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 25 [2013 - N.48]

Alla Pinacoteca di Faenza fino a marzo 2017 la donazione Castellani, in mostra con oltre 100 opere a testimonianza di 60 anni di attività artistica

Claudio Casadio - Direttore Pinacoteca Comunale di Faenza

A completare legami antichi tra Leonardo Castellani e la sua città natale sono arrivate importanti donazioni fatte dai figli Silvestro, Paolo e Claudio al Museo Internazionale delle Ceramiche e alla Pinacoteca Comunale. Entrambe queste donazioni sono ora documentate con una pubblicazione e con una collegata iniziativa espositiva in Pinacoteca, che inaugurata il 28 novembre si protrarrà fino al 26 marzo 2017. Si tratta di donazioni importanti perché se da un lato documentano con nove disegni l'attività ceramica di Leonardo Castellani, come descritto da Claudia Casali nell'introduzione alla donazione fatta al MIC, dall'altro lato documentano attentamente l'intero percorso artistico, dalla scultura alla pittura con il prevalere assoluto dell'incisione.
Le oltre cento opere donate comprendono lavori realizzati in più di sessanta anni di attività e produzione artistica. Si parte dalle sculture del 1919, il ritratto alla madre e il suonatore di violino documentato nel diario personale dell'artista e si arriva alle nature morte incise nel 1983. Nelle incisioni prevalgono, come del resto nella produzione artistica di Castellani, i paesaggi delle colline urbinati e i motivi si ripetono dando origine ad un "lungo colloquio fuori da ogni altro interesse". La continuità del lavoro artistico, con linearità e condotta insistente senza sbalzi eccessivi durata per più di cinquanta anni, come rivendicato dello stesso Castellani nel presentare il proprio lavoro per la mostra faentina del 1978, risulta evidente anche in questa bella selezione generosamente offerta dai tre figli. Grazie al loro atto non si è solo resa più ricca e documentata la raccolta novecentesca della Pinacoteca, ma è anche possibile comprendere l'intero percorso artistico di un grande incisore del Novecento quale è stato Leonardo Castellani.
Definito in un primo momento "virtuoso" del bulino, poi artista, Castellani può essere dichiarato vero poeta dell'incisione quando conquista uno stile proprio, quando con quel veloce segno a spiovente caratterizza le sue lastre e le rende uniche e riconoscibilissime.
La sua personalità artistica può essere definita multiforme ed ereditata dalla tradizione del fare artigianale, tipico della cultura faentina. Castellani pratica la ceramica, la pittura, l'incisione e ha perfino una spiccata vena poetico-letteraria. Inizia ad incidere alla fine degli anni venti del Novecento e l'acquaforte è stata in seguito, una sua specifica prerogativa. Nelle sue prime prove risalenti al 1930/1936, i rimandi sono alla grande tradizione grafica in cui il segno, raffinatissimo e molto fitto di incroci, traduce effetti pittorici d'intensa vibrazione e crea immagini, siano marionette galanti del Settecento o nature morte, bloccate nella fissità e nella sospensione temporale.
Come ha scritto Pietro Lenzini nella introduzione al catalogo edito in questa occasione dalla Pinacoteca Comunale, nel procedere degli anni la pratica calcografica, assunta come esclusivo linguaggio dell'artista, si succede con l'affinamento di una trama segnica sempre più depurata. Certi effettismi lasciano spazio ad una rigorosa rarefazione e il bianco della carta trasmette, attraverso zone prive di segno, il diffuso distendersi della luce meridiana.
Nei fogli stampati dopo la metà degli anni Sessanta, il segno trova una inconfondibile cifra con segmenti paralleli e distanziati. La sintesi grafica sottolinea delle trame velate quasi trasparenti; i valori luministici vengono esaltati nel brulicante addentrarsi delle ombre e delle masse arboree che sottolineano una scalare e nitidissima successione dei piani. C'è il dilatarsi della luce che permea lo spazio. Il dolce paesaggio urbinate nei profili delle colline e delle quinte di vegetazione, avvolto dalla luce, rimanda ad una meridianità pierfrancescana. Castellani ha meditato senz'altro su quei valori di spazio-luce perseguendo una continua depurazione del segno.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 25 [2016 - N.57]

Uno strumento concreto realizzato da ICOM Italia e MiBACT per realizzare un sondaggio presso i musei italiani

Gruppo di ricerca Digital Cultural Heritage di ICOM Italia (Sarah Dominique Orlandi, coordinatrice; Gianfranco Calandra; Vincenza Ferrara; Anna Maria Marras; Sara Radice) e DGmusei MiBACT (Valentino Nizzo)

Quali sono le scelte e le priorità del museo rispetto al web? Qual è la web strategy e che caratteristiche ha? Vengono coinvolti pubblici diversi? In che modo?
Per aiutare a rispondere a queste domande ICOM Italia e MiBACT hanno deciso di sostenere i musei con uno strumento concreto: uno schema, realizzato dal Gruppo di ricerca Digital Cultural Heritage di ICOM Italia, che è insieme uno strumento di monitoraggio, di aggiornamento e un sostegno alla progettazione. È composto da cinque sezioni e diciassette parametri, e va compilato online, per permettere una fruizione semplice e per realizzare un sondaggio a livello nazionale. Presentiamo sinteticamente i temi delle cinque sezioni:
1. Struttura dei contenuti
Nel primo livello entriamo nel vivo della strategia web dell'istituzione museale. L'analisi e la scelta dei menu, dei link interni ed esterni, della gerarchia dei contenuti, sono il cuore pulsante di ogni progetto dedicato al web. L'architettura delle informazioni integra funzioni e processi destinati alla fruizione delle pagine. Strumenti tecnici che permettono di comprendere la navigazione e di mettere in relazione gli utenti con i contenuti seguendo una struttura logica e web di tipo semantico.
2. Strategia dei contenuti
Pianificare una strategia di comunicazione museale online significa individuare il pubblico (adulti, general public, famiglie, scuole, operatori specializzati) a cui ci si rivolge, modulando i linguaggi e anche i contenuti che identificano l'immagine del museo, coerenti rispetto alla mission e usabili secondo gli standard internazionali e nazionali (W3C, AGID). Nella scelta dei contenuti, della loro qualità e accessibilità è necessario individuare e creare un racconto che conduca il visitatore sia alla scoperta di storie sia alla possibilità di interagire con il Museo.
3. Interfaccia web
Un'interfaccia efficace facilita la navigazione all'interno del sito web grazie a un uso corretto degli strumenti della comunicazione non verbale - quali elementi grafici e tipografici - che influenzano il modo in cui gli utenti interagiscono nell'ambiente digitale. Il progetto dell'interfaccia parte dal concetto di usabilità in un'ottica di user-centered design, per rendere riconoscibili le funzioni dei diversi elementi delle pagine del sito, indipendentemente dal dispositivo con il quale viene visualizzato. Inoltre, attraverso un uso corretto degli elementi grafici, l'interfaccia web può contribuire a comunicare l'identità visiva del brand museale.
4. Creazione di comunità
Nel sistema comunicativo contemporaneo abbiamo assistito all'emergere di pubblici sempre più attivi nella fruizione culturale. Questo livello focalizza l'attenzione sulla possibilità per le istituzioni culturali di favorire la creazione di comunità virtuali, utilizzando alcuni strumenti del web partecipativo che facilitano le connessioni tra gli utenti e tra gli utenti e il museo: social network e altri strumenti di condivisione e dialogo, come per esempio blog istituzionali o progetti come "Ask a curator" e piattaforme regionali, nazionali e internazionali di pubblicazione di contenuti digitali, come Google Art Project o Europeana.
5. Grado di interazione
Non solo la creazione di comunità ma anche misurare il grado di condivisione dei contenuti per la loro personalizzazione e il loro riuso è un nodo fondamentale della web strategy museale. Permettere l'editing dei contenuti con tool di annotazione o altri strumenti social aiuta la promozione, la valorizzazione, l'incremento di contenuti e la fidelizzazione degli utenti, che si sentono coinvolti nelle attività. L'uso di licenze aperte, tipo Creative Commons, è un requisito indispensabile per avere il maggior riuso dei contenuti.
Lo schema di monitoraggio nasce dunque con un duplice scopo: informare i responsabili della comunicazione digitale sulle strategie più efficaci e monitorare lo stato dell'arte su queste tematiche. Un aspetto, quest'ultimo, che ha reso necessaria una profilazione accurata dei compilatori del form, attraverso la quale auspichiamo sia possibile orientare le politiche di formazione e implementare le piattaforme web dedicate alla valorizzazione digitale del nostro patrimonio. Un cammino che il MiBACT ha avviato da alcuni anni, consapevole del ritardo accumulato in questo settore e delle esigenze che un implemento della fruizione e della partecipazione culturale possono generare sul fronte digitale. L'invito è dunque quello di incentivare il più possibile la diffusione del form per renderlo uno strumento valido ed efficace di monitoraggio statistico e di progettazione delle politiche culturali nazionali in campo digitale.

Compila lo schema online: https://goo.gl/X0DEQu
Contatti: digital.cultural.IcomItalia@gmail.com
Vai alla pagina dedicata ICOM Italia:
http://www.icom-italia.org/index.php?option=com_phocadownload&view=category&id=129:gruppo-lavoro-digital-heritage&Itemid=103
Vai alla pagina dedicata del MiBACT:
http://musei.beniculturali.it/notizie/notifiche/strategia-web-dei-musei-convenzione-tra-icom-e-la-direzione-generale-musei


Nuovi progetti - pag. 25 [2017 - N.58]

Una lunga mostra itinerante racconta la storia della maiolica italiana

Stefania Mazzotti - MIC Faenza

Con l'obiettivo di fare conoscere in Oriente la tradizione tutta italiana della maiolica, la mostra L'eredità di mille anni di ceramica italiana è un importante progetto itinerante, curato da Claudia Casali e Valentina Mazzotti, che si muove in Cina in cinque importanti musei: l'Henan Museum, il Zhejiang Provincial museum, il Liaoning Provincial museum, lo Shanxi Museum e il Shenzhen Museum. Con 150 pezzi - tutti provenienti dalla collezione del MIC di Faenza e dai suoi depositi - racconta la storia della maiolica italiana dal Medioevo fino a oggi.
Partita a dicembre 2016, l'esposizione, che terminerà il suo percorso il 25 marzo 2018, sta ricevendo un successo di pubblico straordinario. È stata visitata da oltre 600.000 persone, un numero impensabile in Italia, e che dimostra la grande fascinazione che la ceramica del nostro Paese incontra nel gusto cinese.
Come spiega la direttrice Claudia Casali, si tratta di un risultato importantissimo in termini di visibilità per il nostro Museo, per Faenza e per la ceramica italiana. L'Italia per i cinesi è un punto di riferimento culturale significativo; per loro i due poli di riferimento internazionali per la ceramica sono considerati la Cina per la porcellana, l'Italia per la maiolica. Nessun altro Paese ha una varietà produttiva e decorativa come l'Italia: è su questo elemento che è stato pensato il progetto espositivo.
Oltre ad alcuni esempi di maiolica arcaica del Medioevo, con i suoi caratteristici decori a motivi geometrici, sono esposte maioliche delle più eccellenti manifatture italiane. In mostra anche meravigliosi esemplari "istoriati" di epoca rinascimentale, quando le iconografie comuni alla pittura venivano trasportate su piatti, vasi e ciotole, ed esempi della tendenza opposta, i bianchi di Faenza, che dettarono moda in tutta Europa, fino al XVII secolo. Questo stile venne ideato, a partire dalla metà del Cinquecento, come reazione al tutto pieno dell'"istoriato", e si contraddistingue per una decorazione semplificata e l'utilizzo di pochi colori: oltre al bianco, il blu più o meno diluito, il giallo chiaro e l'arancio.
Viene poi raccontato come nel Settecento anche l'Italia comincia a confrontarsi con la produzione della porcellana di tradizione estremo orientale (Cina, Corea, Giappone) e, in parallelo, si inizia a lavorare in larga scala in tutta la Penisola la terraglia - introdotta in Inghilterra già dal 1740.
L'ultima parte dell'esposizione è dedicata al Novecento, quando la ceramica si eleva a materia plastica adatta alla scultura e al design ed è influenzata dalla storia dell'arte e dalle sue correnti: prima il Liberty e il Déco, poi la figurazione del secondo dopoguerra, l'Informale, il Picassismo fino agli echi pop degli anni '70 e '90. Il Museo faentino possiede diverse opere di Picasso: l'artista è stato determinante per eleggere la ceramica a materia scultorea, ma è stato, al contempo, molto importante anche per il MIC stesso. Gaetano Ballardini, fondatore del Museo, contatta Picasso a Madoura con una lettera commovente e davvero toccante dopo che l'istituzione viene bombardata durante la Seconda guerra mondiale. Ed è così che Picasso dona, nel 1950, il primo piatto ovale raffigurante la Colomba della Pace, memento contro ogni guerra, espressamente dedicato al Museo di Faenza e al tragico destino della sua collezione.
Eugenio Emiliani, presidente della Fondazione MIC, sottolinea infine come da questo progetto, frutto di relazioni internazionali e abilità organizzative, emerga la rilevanza del nostro Museo quale polo culturale ceramico del territorio, 'espressione dell'arte ceramica nel mondo', fortemente attivo nella comunicazione della tradizione ceramica, propulsore di progetti di alto livello a sostegno anche dell'artigianato locale, portavoce di una tradizione unica che ha dato il nome alla maiolica: per tutto il mondo: Faïence.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 25 [2017 - N.59]

Il Consiglio Provinciale ha approvato il Piano Museale 2007, focalizzato su interventi di adeguamento agli standard di qualità.

Eloisa Gennaro

Quest'anno, nel raccogliere ed esaminare le richieste di finanziamento da parte dei musei, la Provincia ha tenuto conto del nuovo Programma degli interventi per gli anni 2007-09 emanato dalla Regione. Seppure in relazione di continuità con i precedenti programmi, la direttiva regionale prevede alcune importanti innovazioni, tra cui è significativa la graduale introduzione degli standard di qualità nell'ambito dei criteri di valutazione dei progetti da finanziare. Ciò consente di finalizzare le risorse disponibili a obiettivi di effettivo miglioramento, premiando le azioni più virtuose sulla base dei criteri individuati dal Programma.

Inoltre le nuove linee guida ribadiscono la volontà di far collaborare i musei del territorio: mettersi in rete, fare sistema, realizzare interventi concertati tra le diverse realtà culturali, in modo da utilizzare al meglio le risorse finanziarie, evitando la frammentazione e privilegiando le azioni più urgenti e rilevanti (manco a dirlo, quelle che perseguono il raggiungimento degli standard).

Il Piano museale consente alla Provincia di svolgere con razionalità il suo ruolo di soggetto coordinatore e promotore dello sviluppo delle realtà culturali locali, un ruolo che può dispiegarsi con particolare forza in un territorio come il nostro, caratterizzato dalla presenza di un numero elevato di musei e da una buona propensione alla cooperazione tra gli enti proprietari. La Provincia, grazie anche alla gestione consolidata di una rete di musei, può assumere il compito di una corretta valutazione delle esigenze presenti sul territorio e di un'adeguata pesatura dei vari progetti.

L'importo finanziario del Piano prevede € 120.000 stanziati dalla Provincia - destinati in parte ai singoli progetti presentati dai musei e in parte agli interventi diretti di sistema - ai quali si aggiungono i trasferimenti regionali che ammontano a € 135.000 (oltre a € 456.000 quale quota a carico dei singoli musei). Attraverso il Piano inoltre si finanziano interventi di catalogazione e di conservazione, di diretta competenza dell'IBC. I fondi provinciali e regionali resi disponibili per il 2007 consentono di corrispondere ad un numero ampio di richieste, ferma restando la crescente complessità degli obiettivi da raggiungere e, quindi, la difficoltà di reperire le risorse necessarie.

In particolare sono stati presentati progetti da parte di 15 enti, riguardanti 21 musei omogeneamente dislocati su tutto il territorio provinciale: 6 nell'area faentina, 7 nell'area ravennate e 8 nell'area lughese. Coerentemente alle azioni prioritarie indicate nel Piano stesso, i musei si sono attivati per realizzare - da un lato - interventi sugli spazi destinati al pubblico, per garantire una migliore accessibilità e fruibilità del patrimonio, dall'altro interventi di miglioramento delle strutture, degli allestimenti e di messa a norma gli impianti, nelle sedi ma anche nei depositi.

In continuità con gli anni precedenti, gli interventi di sistema promossi dalla Provincia puntano sul potenziamento sia della strumentazione tecnologica e dei livelli di automazione dei musei sia delle azioni di marketing. In merito a queste ultime, è previsto per ogni museo l'acquisto di totem espositivi, dove raccogliere il materiale divulgativo e promozionale con riferimento ai musei del Sistema, offrendo così ai visitatori l'opportunità di conoscere i molteplici percorsi culturali sul territorio. Sarà inoltre acquisita e data in dotazione a livello sperimentale ai musei di medio-piccole dimensioni, ad ingresso gratuito, un'apposita strumentazione di rilevazione automatizzata del pubblico, al fine di garantire un sistema utile alle rilevazioni statistiche.

Si tratta di un obiettivo di sistema particolarmente significativo, nel quadro di un progressivo rafforzamento delle attività di misurazione della qualità dei servizi pubblici e di rendicontazione sociale dei risultati raggiunti rispetto agli obiettivi programmati.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 26 [2007 - N.30]

Chicchi di Suono è una mostra-gioco itinerante dedicata alla creatività musicale dei bambini

Arianna Sedioli e Roberta Colombo - Artesonoraperibambini e Teatro del drago

I piccoli visitatori intraprendono un viaggio meraviglioso alla scoperta di paesaggi uditivi reali e immaginari, ricreati attraverso installazioni d'arte ludica da toccare e da suonare. In loro compagnia il coniglietto Teo, un cucciolo dolce e simpatico dalle orecchie lunghe e curiose, al quale piace ascoltare tutti i suoni.

Il percorso espositivo è fatto di stanze e isole interattive: nella Casa di Teo si gioca a indovinare i suoni ascoltando registrazioni che restituiscono fedelmente rumori domestici o che appartengono alla città e alla natura, così le orecchie diventano attente e sensibili, pronte ad acchiappare altre magie sonore. Subito dopo si raggiunge una Tana percorrendo gattoni una stradina fatta di foglie crepitanti e profumate. All'interno del morbido rifugio si può cogliere il tepore del silenzio, intercalato da scricchiolii e guizzi di campanelli. Poi Armadi ricolmi di sorprese musicanti, dagli oggetti della cucina utilizzati come percussioni agli strumenti "raccolti" in giro per il mondo, dal guardaroba tintinnante alle filastrocche custodite in pagine speciali. Animali Chiacchieroni invece s'ispira agli albi illustrati di Leo Lionni e alle poesie di Toti Scialoja e si possono ricreare le voci cinguettanti degli uccelli, il gracidare ritmico delle rane, il parlottare ovattato e rarefatto dei pesci, il tintinnio metallico dei denti di una tigre... Dopo i giochi con il mondo sonoro degli animali si entra in una galleria di Quadri sorprendenti, da ascoltare con il fonendoscopio per catturare il cuore del suono. Il viaggio si conclude nel Mare a dondolo dove sette scenografiche onde messe in movimento dai bambini riecheggiano il paesaggio naturale della risacca.

La mostra è uno spazio suggestivo, abitato da silenzi, suoni, rumori, ritmi e musiche che i bambini ascoltano e inventano, condividendo curiosità e stupore con Teo, un personaggio straordinario animato sapientemente da attori e atelieristi. La narrazione è, infatti, il canale comunicativo privilegiato per dare vita alle installazioni che, da immobili e mute, si trasformano per incanto in un teatro delle meraviglie. Ma Chicchi di suono diviene anche luogo in cui l'idea dell'arte e quella della conoscenza svelano le loro profonde intersezioni, perché invita a scoprire e a praticare un percorso di co-costruzione di ciò che sommessamente suggerisce, del suo senso, degli alfabeti visivi e sonori attraverso i quali vedere e rappresentare.

Chicchi di suono, ideata e prodotta da Artesonoraperibambini nel 2006, è stata presentata lo scorso anno al Museo d'Arte della Città di Ravenna in una nuova edizione nata dalla collaborazione con la Compagnia Teatro del Drago, riscuotendo un grosso successo di pubblico e gradimento. Le installazioni si sono impreziosite grazie agli straordinari scenari e agli oggetti d'arte della Compagnia e della Collezione Monticelli. Dal 5 al 22 novembre la mostra è allestita ai Magazzini del Sale di Cervia, con visite animate per nidi, scuole dell'infanzia e famiglie.

Dopo Cervia il coniglietto Teo aspetta i bambini di altre città per condurli in paesaggi sonori affascinanti e unici, sempre in bilico fra realtà e fantasia. Chicchi di suono infatti è una mostra-gioco itinerante che può essere allestita presso musei, biblioteche, teatri e spazi espositivi. Ha ottenuto l'accreditamento di "Nati per la Musica". Per informazioni: Artesonoraperibambini - Teatro del Drago 392.6664211, www.artesonoraperibambini.com, www.teatrodeldrago.it.


Esperienze di didattica museale - pag. 26 [2011 - N.42]

Nell'anno scolastico 2012 - 2013 i bambini saranno protagonisti della valorizzazione del patrimonio della propria città

Filippo Farneti - Responsabile Sezione Didattica MAR di Ravenna

La Sezione Didattica del Museo d'Arte della città di Ravenna si è sempre contraddistinta per un impegno costante nel proporre percorsi e attività che aiutino il pubblico ad avvicinarsi al mondo dell'arte. In particolare si propone come importante strumento di dialogo culturale tra la Città, la Scuola e il Museo. I percorsi e i laboratori didattici hanno permesso a migliaia di bambini e ragazzi di ogni età di vivere la visita al Museo in maniera mai banale, grazie alla possibilità di sperimentare in prima persona le tecniche e i concetti dell'arte, 'giocando' con la cultura e la creatività.
È proprio in questa direzione che si muove il progetto messo a punto dalla Sezione Didattica del MAR insieme alla Scuola San Vincenzo dè Paoli che prenderà il via nell'anno scolastico 2012-13.
Grazie al nostro desiderio di sperimentare nuove strade della didattica dell'arte e all'entusiasmo della Direttrice e delle insegnanti della Scuola abbiamo ideato un percorso che vuole essere un punto di partenza per esplorare nuove possibilità di relazione tra Scuola e Museo. Si tratta di una proposta originale e innovativa per coinvolgere i giovani studenti nel ruolo attivo di promotori del patrimonio artistico e culturale; saranno, infatti, loro stessi ad individuare tra le opere esposte al MAR le più interessanti e coinvolgenti per farle divenire protagoniste di un progetto di comunicazione museale. Il percorso avrà inizio con un appuntamento al Museo; i bambini saranno guidati alla scoperta delle sue Collezioni e della sua storia anche in rapporto alla storia della Città. Successivamente sarà il Museo che si sposterà nella scuola dove, attraverso un brainstorming, i bambini ci diranno cosa li affascina del Museo, quali sono secondo loro gli aspetti più interessanti da valorizzare, quali possono attrarre ed emozionare maggiormente i loro coetanei, i loro concittadini e il pubblico. Si tratta di una sfida importante, una scommessa sulla capacità critica e creativa dei bambini, un modo per capire il loro punto di vista, i loro interessi e le loro necessità, in maniera che il Museo possa essere da loro trasformato e plasmato sulle loro esigenze. Il passo successivo sarà scoprire insieme che cosè la pubblicità, ne analizzeremo il ruolo che ha nella vita di tutti i giorni e come influenza la nostra quotidianità. A questo punto vedremo come 'pubblicizzare' un bene culturale. Insieme all'Ufficio relazioni esterne e promozione del MAR scopriremo quali sono le strategie per realizzare una campagna informativa, i bambini diventeranno così protagonisti della vita del Museo e non semplici spettatori passivi. Grazie all'utilizzo delle lavagne multimediali LIM il personale del Museo terrà una lezione sulle più semplici funzioni di un programma di grafica (manipolazione e impaginazione di immagini e testi) perché saranno proprio i bambini, con l'aiuto degli esperti, a impostare un progetto grafico per descrivere il MAR visto con i loro occhi e raccontato attraverso le loro parole. Non meno importante sarà la scelta dei mezzi di comunicazione (manifesti, locandine, pieghevoli, pagine pubblicitarie sui giornali, etc.) che verrà valutata in collaborazione con l'Ufficio relazioni esterne e promozione. Per raggiungere gli obiettivi prefissati occorrerà suddividere la classe partecipante al progetto in gruppi di lavoro, stimolando e coinvolgendo attivamente ogni singolo studente. Alcuni si occuperanno delle immagini, altri saranno invece impegnati nella realizzazione dei testi e dell'impaginazione grafica degli elaborati. A questo punto saremo pronti per mandare in stampa il materiale realizzato e dare inizio alla campagna pubblicitaria che sarà presentata alla Città e saranno proprio i bambini a illustrare il lavoro svolto. Si tratta di un progetto teso a favorire la piena accessibilità del patrimonio museale per renderne la fruizione nuova e stimolante per tutti.
La partecipazione dei bambini come attivi protagonisti nel cuore pulsante della vita del Museo parte dalla convinzione dell'importanza del dialogo e della collaborazione tra le istituzioni e dall'effetto positivo di questo scambio culturale non solo su entrambe le realtà, ma sulla Città e l'intera collettività.

Esperienze di didattica museale - pag. 26 [2012 - N.44]

La nuova stagione didattica del MIC di Faenza per bambini e adulti

Ilaria Piazza - Sezione didattica MIC di Faenza

Con il nuovo anno scolastico torna al MIC il Laboratorio Giocare con l'arte, fondato nel 1979 da Bruno Munari, dove i bambini manipolano la ceramica in modo non convenzionale, attraverso il filtro del gioco e delle sue regole. Utilizzando tutte le tecniche artigianali e industriali disponibili, i partecipanti scoprono che "l'interesse e il piacere della sperimentazione sono molto più importanti del risultato finale". L'esperienza ormai più che trentennale del laboratorio conferma pienamente l'ipotesi sempre attuale di Munari: "...un bambino creativo è un bambino felice...".

Inoltre il MIC da diversi anni ha ampliato la propria offerta didattica, con l'obiettivo di fornire nuove chiavi di lettura del proprio patrimonio ceramico, grazie a una serie di percorsi pensati per andare incontro alle molteplici esigenze delle scuole di ogni ordine e grado. Le attività proposte sono riconducibili a due filoni principali: da un lato i percorsi storici e dall'altro quelli tematici. I primi conducono i bambini e i ragazzi alla scoperta della storia dell'uomo, delle civiltà e delle culture che nei secoli hanno prodotto e utilizzato il materiale ceramico. I vasi con le loro forme e funzioni rivelano la vita quotidiana nelle diverse epoche: le abitudini alimentari, la cura dell'igiene personale, l'illuminazione. Raccontano di scambi commerciali e culturali: la ceramica è uno dei prodotti interculturali per eccellenza. Con il Novecento le opere del museo offrono un percorso significativo di tutte le principali esperienze artistiche del secolo scorso dal Liberty, al Futurismo, fino ai grandi maestri dell'arte europea del XX secolo: Picasso, Matisse, Chagall. I percorsi storici sono dedicati alle antiche civiltà, dalla Mesopotamia, ai greci e ai romani per la scuola primaria; alla storia della tavola dal Medioevo al Settecento per la secondaria di secondo grado; all'arte del Novecento e ai rapporti tra il mondo occidentale, l'Estremo Oriente e la Civiltà Islamica per la secondaria di secondo grado.

I percorsi tematici hanno, invece, come destinatari privilegiati le scuole primarie allo scopo di far conoscere il museo con un approccio creativo che possa stimolare la curiosità e l'immaginazione dei bambini. Sono, infatti, moltissime le storie raccontate dalle ceramiche del MIC, non solo dalle loro forme ma anche dalle decorazioni; un universo di immagini da scoprire, seguendo il filo rosso dei temi proposti: dagli animali agli strumenti musicali. Infine, la ceramica diventa anche la storia di una città, Faenza, che ha legato la propria identità cultura a questa secolare tradizione: un percorso particolarmente adatto alle scuole del territorio, ma non solo. Alla scelta accurata dei temi, corrisponde anche una particolare attenzione alla progettazione didattica. Tutte le visite sono infatti animate da laboratori, narrazioni e attività creative, allo scopo di stimolare il coinvolgimento e la partecipazione attiva degli studenti. La sezione didattica del MIC realizza, inoltre, percorsi personalizzati in base alle richieste e alle necessità dei singoli insegnanti.

Ma le novità non sono finite. Con l'open day per la giornata UNESCO del 7 ottobre scorso, il MIC ha inaugurato anche la didattica per il fine settimana, che continuerà fino a maggio 2013. Un calendario ricco di appuntamenti pensati per tutti i tipi di pubblico e tutte le fasce d'età. Il primo sabato mattina di ogni mese, il museo ospiterà una novità assoluta: laboratori progettati appositamente per bambini dai 3 a 6 anni. Tutte le domeniche pomeriggio sono invece dedicate alle famiglie, che potranno scegliere tra una ricca offerta di proposte. Non potevano mancare le domeniche ceramiche, che quest'anno si sdoppiano in due date mensili. Ritornano anche i laboratori creativi per conoscere il museo in modo divertente e sperimentare tanti materiali diversi. Inoltre, le domeniche tessili che presentano una serie di workshop unici nel panorama della didattica museale.

Infine, il MIC ha pensato anche agli adulti: tutte le domeniche mattina singoli visitatori o piccoli gruppi possono, su prenotazione, partecipare a una visita guidata. Un'opportunità non solo per i forestieri, ma anche per chiunque voglia trascorrere una mattinata passeggiando tra i capolavori del museo.


Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 26 [2012 - N.45]

Un percorso didattico a Palazzo Milzetti ha fatto rivivere il suo splendore a centinaia di partecipanti

Elisabetta Bellini, Chiara Magnani, Girolamo Sorrentino - Servizi Educativi Palazzo Milzetti di Faenza

La manifestazione "La comunicazione attraverso il colore. La Festa delle Arti" ha mantenuto le attese annunciate nel suo titolo: è stato un sorprendente percorso di didattica museale. Rappresentato dai ragazzi delle classi IV-V delle Scuole Primarie degli Istituti scolastici di Faenza, Brisighella e Modigliana per un totale di ben 225 partecipanti, in collaborazione con varie Associazioni faentine e coordinato dai Servizi educativi del Museo, ha fatto rivivere momenti della raffinata vita a Palazzo ai tempi del suo splendore neoclassico, con curate rappresentazioni in costume, danza, musica dal vivo e letture.
Un protocollo di intese tra una rete di istituzioni culturali faentine, coordinate da S. Drei e dal Prof. M. Orlando, ha reso possibile il progetto di collaborazione didattica fra l'Istituto Comprensivo Statale Europa, il Museo Nazionale di Palazzo Milzetti, il Teatro comunale Masini, la Scuola comunale di musica Sarti, l'Associazione acquerellisti faentini e l'Associazione Società di Danza, Circolo di Romagna. Si è sviluppata una collaborazione progettuale e operativa che ha previsto molti incontri per poter realizzare un'azione educativa articolata e continuativa dove il ruolo del Museo ha potuto integrarsi a quello della scuola per una didattica originale ed efficace.
Il progetto ha avuto varie fasi: al corso di pittura presso le varie classi, progettato e diretto dal pittore S. Drei, si sono affiancate visite guidate e laboratori a Palazzo Milzetti, a cura dei Servizi Educativi del Museo, da parte di tutte le 11 classi coinvolte nel progetto, con percorsi introduttivi e tematici mirati.
Ad essi si sono affiancati momenti formativi laboratoriali e una serie di iniziative didattiche diversificate in ambito artistico-espressivo-musicale, rivolte anche a genitori e alle associazioni coinvolte, per approfondire e ricreare la conoscenza del patrimonio culturale della città, di cui Palazzo Milzetti rappresenta un'eccellenza.
Gli elaborati prodotti dagli scolari, ispirati alla scenografia dell'opera verdiana "Aida" (in occasione del bicentenario della nascita del musicista) esposti nelle aule didattiche del Museo fino al 18 giugno 2013, sono stati presentati lo scorso 4 giugno nella grande Festa delle Arti, rappresentazione finale e momento culminante del progetto, con percorsi guidati itineranti, animati con figuranti in costume d'epoca e scene rappresentative di antichi mestieri della Faenza sette-ottocentesca. In giardino ha sostato la carrozza coi cavalli e hanno trovato posto le postazioni del colombofilo e del ciabattino che erudivano i ragazzi sui loro mestieri. Il notaio e il calligrafo aspettavano gli ospiti in biblioteca; in una stanza attigua, sarte e ricamatrici svolgevano i loro lavori mentre nelle antiche cucine il panettiere mostrava tutti i diversi tipi di pane. Al piano nobile, la "contessa Giacinta" e varie dame in splendidi costumi erano intente alle loro letture, alla pittura o a conversazioni a tema.
Sempre al piano nobile, l'Ensemble d'Archi "G. Sarti", diretta dal M.P. Zinzani, con brani di Bach e Vivaldi e le danze ottocentesche dei 18 ragazzi che si sono esibiti sotto la guida di B. Bertini, Presidente della Società di Danza, ci hanno riportato nell'atmosfera della vita nobiliare che qui si svolgeva.
Come ogni Museo, Palazzo Milzetti dedica ai ragazzi percorsi didattici specifici, ma stavolta c'è stato qualcosa in più: il Museo è diventato l'ispiratore di un evento non passivo ma creativo, partecipato e modulato dai ragazzi e dai loro insegnanti. Il percorso si è dipanato in itinerari specifici e differenziati, consentendo un'esplorazione attiva e giocosa del Palazzo che ha ampliato la funzione educativa.
Al termine dell'apprezzatissima manifestazione, che ha visto ben 650 partecipanti e il particolare impegno di tutto il personale del museo in costume d'epoca, i saluti del direttore di Palazzo Milzetti, A. Colombi Ferretti, della dirigente scolastica S.P. Scerra e delle autorità.

Esperienze di didattica museale - pag. 26 [2013 - N.48]

Un progetto sul teatro dei luoghi, nella storia, nella musica e nell'arte tra i vincitori di "Io amo i Beni Culturali"

Roberta Colombo - Direttrice Museo la Casa delle Marionette di Ravenna

Il Museo La casa delle Marionette di Ravenna, insieme all'Istituto Pascoli di Riolo Terme, ha partecipato alla VI edizione del concorso regionale "Io amo i Beni Culturali" con il progetto L'Oro del Senio. L'idea di unire un argomento didattico inserito nel POF della Scuola secondaria di I grado quale "La Canzone dei Nibelunghi", a un museo di teatro come quello ravennate, creando un progetto da sviluppare nel territorio sia dove sorge la scuola, e su cui insistono anche la Casa Museo Alfredo Oriani - Parco del Cardello, l'Abbazia di Valsenio, il Giardino delle Erbe, la Rocca di Riolo, il Parco della Vena del Gesso, sia dove sorge il Museo La casa delle Marionette, ma anche il Mausoleo di Teodorico, é risultata vincente.
L'Oro del Senio nasce per il desiderio di mettere in sinergia diverse realtà museali, enti pubblici e associazioni private, cercando di dare il senso il più ampio possibile alla parola "valorizzazione": dare valore alla Collezione Monticelli della Casa delle Marionette, alla conoscenza dell'epica medievale, a un territorio, ma soprattutto dare il giusto valore ai ragazzi che saranno coinvolti in questo percorso ludico-didattico-culturale di spettacolo dal vivo.
Il progetto è incentrato proprio sulla produzione di un'opera teatrale itinerante che tocca vari luoghi della storia e del paesaggio della Valle del Senio. Sono previste numerose azioni con diverse classi, dalla materna alla scuola secondaria di I grado, ognuna delle quali avrà compiti differenti: in alcuni casi si tratterà una materia trasversale lungo tutto l'arco dell'anno scolastico, in altri casi i ragazzi saranno coinvolti in un piccolo o medio step del processo (una ricerca, una scena, un momento di confronto). Seguendo una metodologia che il Teatro del Drago sperimenta da anni, i ragazzi, guidati da professionisti, saranno in grado di produrre uno spettacolo dal vivo di Teatro di figura contemporaneo, dove la marionetta-pupazzo-burattino convive nello stesso spazio scenico dell'attore-animatore.
La Canzone dei Nibelunghi, poema epico germanico della metà del XIII secolo, é uno dei filoni dell'epica medievale meno conosciuti ma fra i più complessi e veritieri e ha un legame profondo con il mondo del teatro, delle marionette e della musica. L'argomento delle saghe epiche - nel nostro caso la storia e la morte di Sigfrido alla corte dei Burgundi e la vendetta di sua moglie Crimilde - è molto vicino al mondo irrequieto e in parte scollegato con la realtà del quotidiano dei ragazzi e soprattutto dei teenagers. La Canzone dei Nibelunghi presenta un mondo avventuroso, anche crudele, che rispecchia la necessità degli adolescenti di confrontarsi con la realtà senza falsi filtri.
Il progetto è diviso in varie sezioni: l'acquisizione del contenuto letterario attraverso lezioni teoriche, video, filmati; il sopralluogo nei vari luoghi-contenitori che ospiteranno lo spettacolo; la conoscenza del museo ravennate, attraverso un percorso specifico e laboratori di costruzione di marionette; il lavoro di scrittura drammaturgica del testo da mettere in scena; i laboratori di costruzione scenotecnica e di partitura musicale; la messa in scena di teatro di figura. Tutto il lavoro verrà documentato da professionisti e dagli stessi ragazzi con i loro smartphone e tablet, senza dimenticare un rigoroso lavoro di scrittura manuale, perchè fondamentale per la conoscenza è la memoria individuale e collettiva.
Per far emergere le diverse abilità di ogni singolo ragazzo/a saranno adottate diverse tecniche: teatro di burattini, di marionette, delle ombre, con pupazzi mossi a vista, canto e recitazione. Lo spettacolo si svilupperà in diversi luoghi del territorio e in momenti diversi del giorno e della sera, creando una mobilità spaziale e temporale.
I ragazzi, oltre a conoscere a fondo il bene museale, diventano fruitori attivi e consapevoli del nostro patrimonio culturale a 360 gradi: l'idea è quella di creare un doppio livello di scambio fra i ragazzi di Ravenna e quelli di Casola Valsenio e di Riolo Terme. Tra gli obiettivi dell'Oro del Senio c'è anche la volontà di indagare e conoscere le diversità fra culture, permettendo ai ragazzi di superare le barriere ideologiche che nascono dalla non-conoscenza dell'altro.
Nel progetto sono coinvolti oltre agli studenti dell'Istituto Comprensivo Pascoli di Riolo Terme - Casola Valsenio, la Scuola Primaria di Casola Valsenio, la Scuola per l'infanzia di Casola Valsenio, l'Istituto Guido Novello di Ravenna, e infine i 'rifugiati' ospiti del Comune di Casola Valsenio.
L'idea é quella di un viaggio culturale che supera le barriere delle pareti del museo e lo fa uscire e muovere su un intero territorio, incontrando altri musei, grazie alla forza vivifica e stimolante delle nuove generazioni, che oggi più che mai sembrano così lontane dai luoghi istituzionali della Cultura. Ma solo in apparenza...

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 26 [2016 - N.57]

A Tamo una installazione didattica per scoprire Ravenna in età antica attraverso le nuove tecnologie
Il 21 marzo 2017 si è inaugurata Ravenna da Augusto a Giustiniano. Ricostruzioni digitali per comprendere la città, un'installazione didattica permanente realizzata attraverso un percorso di ricerca e di attività laboratoriale dall'Accademia di Belle Arti di Ravenna in collaborazione con la Fondazione RavennAntica.
Tutto è nato dalla proposta risultata vincitrice nell'ambito di una selezione nazionale indetta dal MIUR per la quale l'Accademia ravennate ha ricevuto un finanziamento per la realizzazione del progetto in mostra. Così, dopo oltre un anno di lavoro e di ricerca, il Museo Tamo si avvale di un nuovo sistema di apparati e strumentazioni digitali che amplificano in maniera accattivante e rendono più versatili le capacità didattiche del museo stesso.
Il progetto, curato dai professori Maurizio Nicosia e Pier Carlo Ricci dell'Accademia di Belle Arti, da Fabrizio Corbara, coordinatore dei progetti della Fondazione RavennAntica, e dall'archeologa Giovanna Montevecchi, prevede l'esposizione di alcuni modelli plastici degli ambienti da cui provengono i mosaici in mostra nel Museo, per favorire una più facile comprensione del loro contesto originario. Dai modelli plastici il visitatore, con il proprio smartphone o altro dispositivo, può collegarsi tramite un codice a barre al sito internet appositamente realizzato (http://tamoravenna.info/) per avviare un'esplorazione di Ravenna in epoca antica. Il sito web, pensato per una consultazione a diversi livelli di approfondimento, si prefigge di dare informazioni dall'epoca di Augusto a quella di Giustiniano attraverso schede di approfondimento, mappe navigabili e ricostruzioni in 3D della città.
L'innovazione del progetto risiede non solo nelle tecnologie e nelle professionalità impiegate, ma anche nel metodo di lavoro seguito. I dati e le fonti scientifiche disponibili sono stati costantemente messi in relazione tra loro e l'incrocio di tutte le informazioni ha generato nuove prospettive e riflessioni sul contesto storico e urbano di Ravenna in età romana.
I modelli plastici sono stati realizzati dagli studenti dell'Accademia di Belle Arti nel laboratorio di modellistica 3D che, grazie ai fondi del Ministero, è stato arricchito di nuove strumentazioni, come una stampante a resina e uno scanner a luce strutturata. Il rapporto tra l'utilizzo di nuove tecnologie e la finitura dei manufatti attraverso le abilità artistiche e artigianali costituisce il valore aggiunto di questo progetto, che evidenzia la capacità di rielaborare le competenze maturate nelle istituzioni formative del territorio.
La realizzazione degli apparati e delle risorse multimediali è stata pensata fin da subito per favorire la più ampia e facile consultazione, agevolando la navigazione e l'esplorazione dei contenuti, ma soprattutto utilizzando un approccio vicino alle dimensione scolastica. Utilizzare un sito internet come gestore di contenuti che, ovviamente, può essere consultato in qualsiasi luogo e in qualsiasi momento, è stata una scelta importante anche da un punto di vista promozionale. Nei fatti favorisce la promozione non soltanto di Tamo, primo beneficiario dell'iniziativa, ma anche del patrimonio storico archeologico della città, dato che le informazioni in esso contenute riguardano il più ampio contesto urbano. Non ultime le grandi potenzialità didattiche che il sistema può mettere in campo. In particolare si possono sviluppare nuove modalità di fruizione del Museo dando, per esempio, la possibilità alle scolaresche di programmare percorsi di approfondimento con strumenti e esplorazioni visive vicine alla loro sensibilità.
L'iniziativa di promozione verso le scuole, promossa congiuntamente dal Comune di Ravenna, dall'Accademia di Belle Arti di Ravenna e da RavennAntica, sarà inserita nel piano dell'offerta formativa del territorio.

Esperienze di didattica museale - pag. 26 [2017 - N.58]

Un nuovo allestimento per la restaurata croce del Pereo e la sua reinterpretazione contemporanea al Museo Nazionale di Ravenna

Emanuela Fiori - Direttrice Museo Nazionale di Ravenna

Il monastero di Sant'Adalberto in Pereo, situato nel "desertum" che a nord di Ravenna si estendeva fino a raggiungere il fiume Po, oggi Reno, è la più nota fondazione imperiale di età ottoniana dell'area Padana orientale. Distrutto in età moderna, di esso restano solo alcuni frammenti decorativi conservati presso il Museo Nazionale di Ravenna.
Il pezzo più significativo è costituito da una croce composta da cinque formelle di laterizio decorate con racemi che si intrecciano a formare una serie di spazi circolari, entro i quali sono collocati grossi fiori stilizzati a quattro petali. All'incrocio dei bracci della croce lo spazio contiene l'immagine della dextera Domini affiancata dalla mezza luna e dal sole.
Dallo stesso contesto provengono altri frammenti in cotto conservati presso il Museo Nazionale, in particolare alcuni brani di laterizi che in origine formavano delle fasce nastriformi decorate con racemi vegetali popolati, ovvero contenenti figure di volatili e animali, una formella con sommità cuspidata raffigurante un grifone e due frammenti pertinenti verosimilmente a un'altra croce decorata con un racemo vegetale popolato includente, all'incrocio dei bracci, l'Agnus Dei.
I cotti del Museo ravennate si avvicinano in modo sorprendente a quelli della facciata dell'atrio della chiesa abbaziale di Pomposa (Fe), che formano un apparato decorativo molto complesso costituito da due croci affiancate, contenenti le immagini simboliche della Mano divina benedicente e dall'Agnello mistico, formelle raffiguranti animali fantastici e da una serie di motivi a fascia includenti racemi popolati.
I frammenti appartenevano probabilmente all'apparato decorativo realizzato al momento della fondazione, sull'isola del Pereo, del complesso dedicato al martire Adalberto, costruito su impulso dell'imperatore Ottone III nei primissimi anni dell'XI secolo.
La celebre croce in cotto è stata restaurata e restituita al suo primitivo aspetto. Motivi conservativi ne impediscono l'esposizione nel luogo in cui è stata collocata per anni accanto ai frammenti pertinenti allo stesso apparato. Pertanto si è deciso di destinarla a un luogo più protetto ma non troppo distante dal Secondo chiostro e di rispettarne l'esposizione storica occupando il vuoto sulla parete del chiostro con un richiamo alla originaria presenza, affidando l'incarico di reinterpretare la croce ottoniana in chiave moderna all'artista Luigi Berardi.
Luigi Berardi (1951) da più di venti anni lavora fondendo le arti visive a una profonda ricerca sul territorio attraverso la quale riesce a estrapolare dai luoghi l'anima del territorio. Il paesaggio, il suono vengono colti, riletti ed espressi attraverso l'opera d'arte.
Il territorio che ha prodotto la croce di S. Alberto, con le sue terre "grasse" come le definiva Corrado Ricci, è stata la fonte di ispirazione cui l'artista si è rivolto nel momento in cui il Museo ravennate ha pensato di coinvolgerlo in questo innovativo progetto: creare un alter ego della croce medievale riletta a mille anni di distanza da un artista dell'argilla.
La prima ispirazione per Berardi è stata quella di andare a ritrovare nel terreno le vecchie vene di argilla nelle campagne santalbertesi, forse quelle cui avevano attinto nell'anno Mille gli artigiani che avevano realizzato le decorazioni per il monastero ottoniano. Ma cercando la vena d'argilla, l'autore è andato oltre e ha percorso una suggestione che già nel passato lo aveva colpito, vale a dire il legno che il terreno ha "mangiato". Il nuovo allestimento sarà inaugurato al Museo Nazionale di Ravenna il 23 settembre 2017.

Notizie dal Sistema Museale della Provincia di Ravenna - pag. 26 [2017 - N.59]

Carlo Zauli, Terra che rivive

A cura di Flaminio Gualdoni
Danilo Montanari Editore, 2011

Terra che rivive racconta l'opera di Carlo Zauli, considerato indiscutibilmente uno dei ceramisti scultori più importanti del novecento, attraverso due mostre in luoghi prestigiosi della sua terra d'origine: la Romagna, che non è mai per l'artista mero luogo di nascita, ma vero e proprio principio ispiratore di gran parte della propria ricerca. La mostra è stata l'occasione per la pubblicazione di questa ampia monografia - con traduzione a fronte in inglese - che narra in modo esauriente la ricerca scultorea dell'artista sia in termini cronologici che espressivi. Oltre a ripercorrere la divisione e le relative sezioni dell'esposizione negli spazi dei Magazzini del Sale di Cervia e dell'ex convento di S. Francesco a Bagnacavallo, i contributi e i vari apparati conducono al centro dell'opera scultorea dell'artista, tra archetipi ceramici e scultura, tra ordine geometrico e dirompente e sensuale naturalità.


57° Premio Faenza. Concorso Internazionale della Ceramica d'Arte Contemporanea
A cura di Claudia Casali et al.
SilvanaEditoriale, 2011

Indetto per la prima volta nel 1938, il Concorso ha segnato la storia culturale di Faenza del XX secolo e rinnovato la propria scommessa culturale: i protagonisti della 57^ edizione del Premio Faenza sono per la terza volta gli artisti under 40, con l'obiettivo di far emergere le più innovative proposte nel campo dell'arte ceramica e di offrire questo evento al pubblico. La provenienza da 42 nazioni delle opere selezionate e da 22 nella scelta finale offre un panorama di linguaggi estremamente vario. Il catalogo inoltre restituisce almeno in parte l'immane lavoro svolto dalla Giuria, che a partire da 537 opere di 248 artisti, ha individuato qualità tecniche ed estetiche e soluzioni innovative che spiccano nel panorama di una produzione, quella degli ultimi dieci anni, abbastanza standardizzata.


Conversazioni sul Mosaico. Architettura e Mosaico
Atti della Giornata di studi
a cura di Linda Kniffitz, Mar-Cidm
Grafiche Morandi, 2011

Atti della Giornata di studi
a cura di Linda Kniffitz, Mar-Cidm
Grafiche Morandi, 2011

Il volume raccoglie gli Atti della Giornata di studi, tenutasi il 9 ottobre 2010 al Mar, che ha preso in esame il complesso rapporto tra progetto architettonico e arte musiva nella cultura contemporanea, con particolare attenzione all'esperienza ravennate del XX secolo. Si va dall'analisi storica del rapporto tra architettura e mosaico di Tosi e Kniffitz, agli interventi di Ranaldi, Casavecchia, Bianchini che hanno focalizzato casi studio su diverse realtà ravennati (Galla Placidia, S.Vitale, Parco della Pace), fino alle relazioni di Coretti e La Pietra che hanno analizzato il rapporto tra mosaico e design. Seguono poi gli interventi di architetti ed esperti del settore che hanno partecipato ad una tavola rotonda dedicata alle possibilità attuali e future del mosaico, apportando interessanti spunti per favorire il dialogo tra cultura architettonica e decorazione musiva.


San Francesco...oltre il convento. Testimonianze di arte e storia tra soppressioni e ricostruzioni
Catalogo della mostra a cura di Patrizia Carroli, Diego Galizzi, Carlo Polgrossi
Comune di Bagnacavallo, 2011 

Catalogo della mostra a cura di Patrizia Carroli, Diego Galizzi, Carlo Polgrossi
Comune di Bagnacavallo, 2011 

Il catalogo della mostra, tenutasi al Museo Civico delle Cappuccine, propone un interessante approfondimento sulle vicende storiche, artistiche e sociali dell'antico convento di San Francesco di Bagnacavallo, il complesso architettonico storicamente più importante della città. L'esposizione ripercorre in particolare il periodo più travagliato per la vita della comunità monastica, un arco temporale lungo circa un secolo a cavallo tra Sette e Ottocento, che va dalle prime soppressioni napoleoniche fino alle "leggi eversive" post-unitarie. Il volume illustra il ricco materiale in mostra quali mappe e documenti d'archivio, e alcuni pregevoli cicli di affreschi strappati riferibili a questo periodo storico che solitamente sono conservati nei depositi del museo e che per la prima volta sono stati mostrati al pubblico.


Informalibri - pag. 27 [2011 - N.42]

TAMO. Tamo tutta l'Avventura del Mosaico di Ravenna
A cura di G. Montevecchi, P. Racagni, Provincia di Ravenna, 2012
Il 30° numero della collana di guide ai musei del Sistema Museale Provinciale è dedicato a TAMO, un percorso nel mosaico, inteso sia come teoria che pratica, attraverso un excursus dalle origini fino all'epoca contemporanea. I mosaici provenienti da siti archeologici di rilievo e le copie dall'antico offrono una panoramica delle tecniche e delle tipologie storiche del mosaico pavimentale; le opere di artisti contemporanei testimoniano lo studio di materiali e superfici in funzione del loro rapporto con la luce, tipico del mosaico parietale. Accanto ai mosaici trovano spazio i cartoni, i calchi, le riproduzioni fotografiche e digitali: strumenti fondamentali per il lavoro di mosaicisti e restauratori. Gli esemplari esposti documentano restauri di rilevanza storica, travalicano la loro funzione e si fanno ammirare quali opere d'arte.


Testori e la grande pittura europea
Catalogo a cura di C. Spadoni, Silvana Editoriale, 2012
A Giovanni Testori, pittore, drammaturgo, giornalista e storico e critico d'arte, protagonista della critica militante del Novecento italiano, ha reso omaggio la mostra Miseria e splendori della carne. Il catalogo propone un percorso fra i vari periodi della storia dell'arte studiati dal critico milanese e gli artisti da lui amati, a partire dai primi scritti su Manzù, passando dalle riscoperte sulla linea della pittura di realtà in Lombardia del '500 e '600, i "manieristi" lombardo-piemontesi accompagnati da Caravaggio, sua grande passione, passando attraverso figure della Nuova Oggettività e dei Nuovi Ordinatori ad artisti come Bacon, Giacometti, Sutherland - per citare alcuni nomi - per giungere fino a Cucchi e Paladino in una ricostruzione di almeno cinque secoli di vicende artistiche attraverso le opere che furono oggetto di particolare studio da parte del grande critico.

Francesco Giuliari. L'opera incisa
Catalogo a cura di D. Galizzi, Comune di Bagnacavallo, 2012
Francesco Giuliari, pittore e incisore di origine veneta, ma forlivese di adozione, scomparso nel 2010 dopo una lunga carriera nel campo della pittura e dell'incisione: alla sua attività grafica è dedicata la mostra antologica da poco conclusasi al Museo Civico delle Cappuccine. Il catalogo documenta l'intera produzione incisoria dell'autore, realizzata con le tecniche dell'acquaforte e dell'acquatinta, dai delicati paesaggi veneti degli anni '70 fino alle opere più mature, e certamente più originali, ricche di allusioni simboliche, di allegorie e di raffinate citazioni dalla storia dell'arte. A colpire è sicuramente la sua disinvolta abilità tecnica, ma anche il potere suggestivo delle sue composizioni, il cui segreto sta nel complesso retroterra culturale che presiede la concezione di ogni sua opera e nella cura maniacale del dettaglio, del singolo oggetto.

La Collezione Bianchedi Bettoli/Vallunga alla Pinacoteca di Faenza
Catalogo a cura di Claudio C. Bologna, 2012
Il catalogo della importante collezione d'arte contemporenea Bianchedi Bettoli / Vallunga, acquisita dalla Pinacoteca di Faenza nel 2010, è stato pubblicato nella collana "ER Musei e Territorio Cataloghi" dell'IBC, che ha sostenuto l'iniziativa con i fondi della LR 18/2000. Nella pubblicazione sono presenti le schede di 30 opere esposte nelle sale della Pinacoteca, alcuni testi a ricordo di Augusto Vallunga, le schede biografiche degli artisti scritte da Elisabetta Severino, un saggio introduttivo di Claudio Casadio, direttore della Pinacoteca, oltre alle premesse di Giovanni Malpezzi, Sindaco di Faenza, di Massimo Isola, Vice Sindaco e Assessore alla cultura e di Laura Carlini, responsabile Servizio Musei e Beni Culturali dell'IBC. Venticinque esperti e studiosi di storia dell'arte hanno inoltre collaborato al catalogo.


Informalibri - pag. 27 [2012 - N.44]

La Casa delle Marionette di Ravenna
Testi a cura di R. Colombo e M. Monticelli, Provincia di Ravenna, 2012

L'ultimo numero della collana di monografie del Sistema Museale è dedicato al piccolo museo della Casa delle Marionette, la cui importante collezione testimonia - da metà Ottocento ai giorni nostri - il passaggio dall'originaria compagnia marionettistica fondata da Ariodante Monticelli al teatro dei burattini, per arrivare all'attuale compagnia "Teatro del Drago". La singolarità del patrimonio della famiglia Monticelli sta proprio nell'essere un insieme di materiali "vivi", realizzati, usati e tramandati da ben cinque generazioni, che hanno intrecciato tra l'altro il proprio percorso artistico con quello di altre compagnie storiche.Il volume illustra, con testi agili e puntuali riferimenti storici, corredati da un ricco apparato iconografico, le collezioni e la storia artistica lunga quasi due secoli della famiglia d'Arte Monticelli.

Itinerari Danteschi
A cura di Dante in Rete, Comune di Ravenna, 2012

Il volume si configura come una sorta di viaggio guidato dal lascito poetico di Dante e dal suo intreccio con la realtà di Ravenna, alla ricerca della storia, delle case, delle piazze, delle chiese della città, attraversando anche il Museo Dantesco, aderente al Sistema Museale Provinciale. La pubblicazione è inserita nell'ambito del progetto "Dante in Rete", finalizzato a restituire la ricchezza del messaggio dantesco alla vita quotidiana di Ravenna e dei suoi visitatori; il progetto, a partire dalla sua nascita nell'anno scolastico 2003/04, ha coinvolto migliaia di studenti e molti insegnanti di varie scuole italiane, dimostrando non solo l'attualità della poetica dantesca, ma anche il fascino che essa, con il suo desiderio di "stelle", continua incessantemente ad esercitare.

Paladino Ceramiche
Catalogo a cura di C. Casali, Gli Ori, 2012

La mostra dedicata alla scultura ceramica di di Mimmo Paladino ha concluso il ciclo di eventi con cui il MIC di Faenza ha celebrato il movimento della Transavanguardia a partire dal 2010. Il catalogo, attraverso un ricchissimo apparato illustrativo, ripercorre l'intero versante della produzione ceramica dell'artista il quale, dai primi esiti giovanili fino ad arrivare ai cicli realizzati appositamente per la mostra, dimostra ancora una volta la sua forza e voracità nell'addentrarsi in una nuova materia e in un nuovo linguaggio.
L'esposizione, assieme a questo volume, ha rappresentato anche l'occasione per festeggiare i vent'anni dalla prima esperienza di Paladino con la terra di Faenza; dunque un ulteriore contributo a consolidare e diffondere l'immagine della città come importante luogo di sperimentazione e produzione d'arte.

Sonia Micela. Pittrice del Novecento
Catalogo a cura di D. Galizzi e di O. Piraccini, Editrice Compositori, 2012

Il volume dedicato a Sonia Micela nasce dello specifico obiettivo di documentare e far conoscere al grande pubblico la donazione di più di 120 dipinti della pittrice alla pinacoteca del suo paese natio, Bagnacavallo. Assieme ai dipinti, anche alcune opere di artisti sodali e al suo personale "archivio" di appunti manoscritti, testimonianze documentali e fotografiche, opuscoli e corrispondenze epistolari.
A maggior ragione dunque non un tradizionale catalogo monografico che pretenda di offrire un compiuto ritratto d'artista, bensì la presentazione di un ricco patrimonio di materiali (quadri e memorie, sia storiche che private), che possa essere da stimolo e giovamento per i prossimi studi; essi avranno il compito di riscoprire i giusti contorni di questa figura di donna e di pittrice nel difficile spazio artistico del secondo Novecento.


Informalibri - pag. 27 [2012 - N.45]

Piccolo Museo di Bambole e altri Balocchi di Ravenna

A cura di Graziella Gardini Pasini
Provincia di Ravenna, 2013

Il centro storico di Ravenna custodisce un piccolo museo ricco di sorprese. E' il Piccolo Museo di Bambole e altri Balocchi che raccoglie ed espone la collezione privata di bambole e balocchi raccolta con grande passione da Graziella Gardini Pasini, che nel maggio 2006 ha inteso aprirla a grandi e piccini, esperti e curiosi, per mostrare da vicino  il mondo e la storia del giocattolo più famoso: la bambola. Della raccolta fanno parte bambole costruite tra il 1850 e il 1950, tra cui è debito segnalare pezzi di marche importanti come Jumeau, Armand Marseille, Lenci, Kathe Kruse, Furga, Tartaruga, Minerva che hanno fatto la storia del giocattolo. Inoltre, nelle pagine della monografia è possibile cogliere la ricca varietà di corredi, mobili e suppellettili di ogni genere che ricreano con dovizia graziosi ambienti in miniatura ove le bambole trovano la giusta cornice espositiva. La monografia dà inoltre conto delle altre raccolte di giocattoli di latta e di legno, di abbigliamento infantile e del mondo della scuola, di bambole dal mondo e della piccola biblioteca di letteratura dell'infanzia.


Museo Carlo Venturini di Massa Lombarda

Testi di Ivo Scarpetti
Provincia di Ravenna, 2013

La monografia illustra genesi e storia del Museo Carlo Venturini di Massa Lombarda, collocato dal 2007 nel Centro Culturale omonimo, e ne descrive la preziosa raccolta che il medico-diplomatico massese  donò al Comune di Massa Lombarda alla fine dell'Ottocento. La figura di Carlo Venturini (1809-1886) riveste un ruolo fondamentale per la storia e la cultura massese e la sua collezione rappresenta un esemplare spaccato dei criteri e delle motivazioni che animarono il collezionismo antiquario ottocentesco. La ricca collezione, presentata nelle pagine della monografia, rivela così al lettore caratteristiche di grande varietà ed eterogeneità derivanti dall'unificazione di nuclei omogenei, quali quelli archeologici e naturalistici, a oggetti strani e curiosi.


Anatomie dell'effimero / sette visioni di transitorietà

Catalogo di mostra a cura di Diego Galizzi
Comune di Bagnacavallo / Museo delle Cappuccine, 2013

Per Jim Denevan, un land artist specializzato nel tracciare disegni geometrici su spiagge e superfici ghiacciate, "l'arte è effimera come l'esistenza". Nel  saggio introduttivo Diego Galizzi, curatore della mostra di San Francesco dal 20 settembre al 3 novembre 2013, ribadisce che la mostra è nata proprio dalla consapevolezza cosciente che "dall'incontro degli artisti con il senso della transitorietà delle cose possa emergere un'esperienza unica e preziosa, una riflessione che vale la pena fermare, per un attimo, nelle immagini delle loro opere". Il catalogo, corredato da puntuali testi sugli autori coinvolti, raccoglie un centinaio di opere di incisione attraverso le quali prendono forma gli impalpabili concetti di provvisorietà e di trasformazione.


Jorri Tornquist e la luce eterna del colore

Catalogo di mostra a cura di Giovanni Granzotto e Antonella Ranaldi
Roma, Il Cigno GG Edizioni, 2013

Il catalogo della mostra allestita dal 27 ottobre 2013 al 9 marzo 2014 presso il Museo Nazionale di Ravenna, attraverso le sue pagine ricche di cromatismi riprende il percorso espositivo presentando una nutrita e complessa rassegna delle opere dell'artista austriaco, stabilitosi in maniera continuativa nel nostro Paese nel 1964, a partire da quelle degli anni Sessanta del secolo scorso, fino a quelle più recenti per un totale di sessantotto opere. Grazie alle immagini e ad alcuni significativi approfondimenti è possibile ripercorrere la personale ricerca di Tornquist sul colore e la luce di cui sperimenta le modalità di percezione e le possibilità espressive attraverso l'uso dei materiali più vari quali acquerelli, acrilici, olii, stoffe. E in quesa sua ricerca - scrive Alberto Pasini - Tornquist è alchimista, biologo, designer, fisico, professore e anche un po' artista...


Informalibri - pag. 27 [2013 - N.48]

Cripta Rasponi e Giardini Pensili della Provincia di Ravenna

V. Lacchini, S. Quattrini, P. Raccagni
Provincia di Ravenna, 2016

Nel cuore di Ravenna, a pochi passi dalla Tomba di Dante, tesori d'arte e natura si fondono dando vita a un meraviglioso luogo. Al centro del giardino si erge una torretta neogotica con la cripta, il nucleo più antico conservatosi del complesso di Palazzo Rasponi, dimora gentilizia del XVIII secolo, distrutta nel 1922 e riedificata come Palazzo della Provincia su progetto di Giulio Arata. La cripta conserva splendidi pavimenti a mosaico provenienti dalla Basilica di San Severo a Classe (VI secolo). La visita prosegue nei suggestivi giardini pensili e al belvedere.
La guida - numero speciale della collana delle monografie del Sistema Museale Provinciale - racconta la storia di questo luogo e delle sue trasformazioni fino alla recente musealizzazione. Nella sezione finale Paolo Raccagni illustra il progetto da lui curato Mosaici Contemporanei in Antichi Contesti, che ha visto otto maestri mosaicisti ravennati e stranieri creare opere ed installazioni contemporanee in dialogo con il mosaico antico.

Il villaggio di Chagall. Cento incisioni da 'Le anime morte'

Catalogo di mostra a cura di D. Galizzi e M. Tavola
Museo delle Cappuccine di Bagnacavallo, 2016

La mostra "Il villaggio di Chagal" si inserisce nell'ambito di uno storico e profondo impegno nella promozione dell'arte incisoria portato avanti dal Gabinetto delle Stampe Antiche e Moderne del museo bagnacavallese. Il catalogo della mostra illustra le 96 tavole fuori testo realizzate da Marc Chagall tra il 1923 e il 1926, dopo che l'editore francese Ambroise Vollard gli affidò la realizzazione del primo dei suoi grandi cicli ad incisione, quello dedicato all'illustrazione del testo di Gogol' Le anime morte. Tirate nel 1927 dal maestro calcografo Louis Fort, le opere sono realizzate con la tecnica dell'acquaforte, della puntasecca e, sporadicamente, dell'acquatinta, e restituiscono appieno la carica immaginativa e onirica di Chagall. Non solo, in esse risiede un incontro del tutto speciale: quello tra il genio creativo dell'uomo che ci ha fatto scoprire come si raccontano le cose con gli occhi di un bambino e la verve narrativa, a tratti caricaturale, della penna di Gogol'.

Mosaici dipinti. I cartoni pittorici di Libera Musiani

Testi di Linda Kniffitz, Chiara Pausini
Ravenna, MAR, 2016

Il catalogo illustra la collezione di 121 disegni su carta da lucido realizzati dall'artista-mosaicista Libera Musiani, tra il 1933 e il 1964, conservati nell'Archivio del Centro Internazionale di Documentazione sul mosaico del Mar. Nella pubblicazione si ricostruisce il contesto storico nel quale si inserisce la produzione di questi manufatti, testimonianza di un esercizio che diviene disciplina, di una scuola che recupera e poi tramanda una tradizione, di un contatto stretto e solido tra passato e presente. La possibilità di attingere a documenti e fonti d'archivio ha permesso di indagare in maniera più puntuale la natura di questi "cartoni", termine che a Ravenna designa, non solo i disegni preparatori legati alle pitture murali, ma soprattutto i rilievi su carta da lucido delle estese decorazioni musive paleocristiane e bizantine. Nati come strumento propedeutico alle campagne di restauro, quale utile ausilio per la registrazione dello stato di conservazione degli antichi lacerti, i cartoni furono ben presto impiegati per fini didattici e commerciali. La ricca collezione firmata da Libera Musiani ha permesso inoltre di ricostruire il percorso professionale di quest'artista, protagonista indiscussa di un periodo di riscoperta e rinascita del mosaico ravennate.


Lacrime

G. Gardini, R. Balzani, M. Fabbri
Ravenna, Longo Editore, 2016

Questo volume accompagna un progetto di Lucia Nanni che si è concluso in un percorso espositivo articolato su quattro sedi: tre a Ravenna, Museo Nazionale, Museo Arcivescovile e Palazzo Rasponi, e una a Cotignola presso il Museo civico Luigi Varoli. Non è solo il catalogo di una mostra, ma anche una sorta di diario di viaggio, un viaggio compiuto da Lucia Nanni nel regno delle ombre a partire dall'Ossario comune del Cimitero monumentale di Ravenna: qui l'autrice ha interrogato i volti presenti, spesso anonimi, ridisegnando e ricamando con il filo e la macchina da cucire, su grandi tessuti di canapa, questi volti, quasi a restituire, attraverso la cura degli sguardi e del disegno, un racconto sommerso, commosso e antropologico di una città tutta tra otto e primi del Novecento. Chiude il libro una galleria di testimoni, una serie di fotografie di Luca Gambi in cui Lucia Nanni ha fatto incontrare questi fantasmi del passato con facce e corpi e storie del presente.


Informalibri - pag. 27 [2016 - N.57]

Il segno che resta. Nuove donazioni Castellani a Faenza

Catalogo di mostra
Faenza, 2016

Leonardo Castellani, faentino di nascita e di formazione artistica, è stato a lungo insegnante a Urbino dove ha sviluppato la scuola del libro d'arte, ed è riconosciuto non solo tra i grandi incisori del Novecento italiano ma anche per la sua attività di pittore, scultore e scrittore. Due recenti donazioni a Faenza delle sue opere, volute dai figli Paolo, Silvestro e Claudio, fatte rispettivamente alla Pinacoteca Comunale e al Museo Internazionale delle Ceramiche, documentano l'intera attività dell'artista. Come è riportato nella pubblicazione, edita in occasione della mostra sulla donazione tenuta presso la Pinacoteca Comunale, sono state infatti donate due sculture, quattro dipinti a olio, una decina di disegni per ceramiche e più di centodieci incisioni, dalle prime degli anni Venti fino alle ultime del 1983. Completano la pubblicazione scritti di Claudio Casadio, Claudia Casali e Pietro Lenzini.

Critica in Arte 2016

Catalogo di mostra
Ravenna, 2016

L'iniziativa Critica in Arte ha caratterizzato il programma espositivo autunnale del MAR - Museo d'Arte della città di Ravenna per nove anni, proponendo mostre di giovani artisti under 40 presentati da curatori altrettanto giovani ed emergenti sulla scena artistica nazionale e internazionale. Dell'edizione 2016, in cui sono stati protagonisti Cristiano Tassinari a cura di Roberta Pagani, Enrico Tealdi a cura di Davide Caroli e il collettivo CaCO3 a cura di Daniele Torcellini, rimane ora traccia e documentazione nel cofanetto che come ogni anno racchiude i tre cataloghi che sono stati realizzati per raccontare e approfondire il percorso artistico presentato in mostra. Tre tipologie di lavori e poetiche molto diverse tra di loro che ci permettono però una campionatura delle direzioni verso cui la giovane critica d'arte e i giovani artisti stanno indirizzando la loro attenzione.

Romagna Monumentale. Domenico Rambelli, un maestro dell'espressionismo italiano

A cura di E. Baldini, C. Casadio, D. Serafini
Ravenna, 2017

Il volume ha accompagnato le tre mostre che Lugo, Faenza e Brisighella hanno voluto dedicare a Domenico Rambelli e alle sue opere monumentali, ovvero il Monumento a Francesco Baracca a Lugo, l'Alfredo Oriani a Faenza e il Fante che dorme a Brisighella. Ricco di documentazione, con un centinaio di disegni, fotografie e documenti, contiene anche otto saggi tra cui un'introduzione di Antonio Paolucci dove il Fante di Brisighella viene definito "capolavoro assoluto di primaria ancestrale fisicità e insieme di sospesa trattenuta energia" e il Monumento a Baracca è riconosciuto come "opera sua più emblematica". Completano il volume uno scritto introduttivo di Orsola Ghetti Baldi, un saggio di Massimo Baioni, immagini fotografiche di Luca Nostri e studi specifici sui tre monumenti curati da Franco Bertoni, Elisa Baldini, Claudio Casadio e Silvia Fanti. La biografia di Rambelli è firmata da Stefano Dirani.

Donne nascoste di Pietro Melandri e Francesco Nonni

Catalogo di mostra
Faenza, 2017

Giovani artisti già attivi nei primi anni del Novecento insieme a Domenico Baccarini, Pietro Melandri e Francesco Nonni hanno operato fino alla fine degli anni Sessanta. Con una attenta selezione di sessanta opere, esposte alla Pinacoteca Comunale di Faenza e pubblicate nel relativo catalogo con il sostegno del Lioness Club di Faenza, viene fornita una completa visione della loro intera e varia produzione artistica mettendo a fuoco un unico tema, quello della rappresentazione della figura femminile. Centrale è il momento di collaborazione tra i due artisti, negli anni Venti, con la produzione di opere plasticate da Nonni e decorate da Melandri. Nell'evoluzione della figurazione si passa dallo stile liberty di Nonni alla personalizzazione di temi mitologici da parte di Melandri. Le opere della selezione provengono in gran parte da collezioni private e sono pubblicate per la prima volta.


Informalibri - pag. 27 [2017 - N.58]

La divulgazione astronomica al Festival delle Culture di Ravenna

Paolo Morini - Associazione Ravennate Astrofili Rheyta

Il Planetario di Ravenna, fin dalla sua fondazione, ha organizzato molte attività all'insegna dell'eclettismo e della contaminazione culturale: sotto al cielo stellato della cupola del Planetario, negli anni, accanto ai relatori esperti di astronomia si sono succeduti poeti, cantanti, musicisti, scrittori e letterati delle più varie estrazioni e tradizioni.
Questa modalità di fare divulgazione astronomica ha mantenuto la sua vitalità anche nei successivi passaggi generazionali e organizzativi e continua ancora oggi a caratterizzare molte iniziative.
Dall'edizione del 2014 l'ARAR e il Planetario siedono al tavolo di progettazione partecipata del Festival delle Culture, organizzato dal centro interculturale "Casa delle Culture", gestito dal Comune di Ravenna, e nato con lo scopo di superare gli aspetti di prima accoglienza, spesso improntati all'emergenza, e di occuparsi dell'integrazione e dei diritti di cittadinanza dei migranti.
Abbiamo voluto portare l'astronomia al Festival delle Culture perché nulla è più uguale per tutti gli uomini del cielo stellato che li sovrasta, e questo cielo ci è parso un elemento unificatore e di dialogo di inestimabile valore. Inoltre la globalizzazione è un fenomeno che ha investito l'astronomia da almeno quattro secoli: la necessità di creare un linguaggio comune fra gli scienziati ha portato all'unificazione, oltre che dei metodi di indagine scientifica, della terminologia stessa dell'astronomia.
Dai nomi delle stelle, a quelli delle costellazioni, nulla poteva sfuggire a questa necessità di catalogazione e di sistematizzazione, necessaria all'impresa collettiva del progresso della conoscenza scientifica. Un grande e unico cielo è necessario per la condivisione delle conoscenze, ma nello stesso cielo molti popoli hanno scritto su di esso le proprie storie, moltiplicandolo in ragione delle culture che sotto di esso si sono sviluppate: questo è il cielo della cosiddetta Astronomia Popolare.
Tanti cieli, quindi, ma in fondo non così diversi fra loro: ogni cultura tradizionale ha associato agli elementi cosmici un ruolo mitologico, e i corpi celesti sono diventati protagonisti di riti religiosi, di leggende e di racconti. Le stesse relazioni umane e sociali si sono riflesse nei rapporti cosmici: il ciclo dei moti celesti è sempre associato al ciclo della vita e della morte, e agli astri, umanizzati, vengono attribuite caratteristiche a volte maschili e a volte femminili.
La partecipazione del Planetario al Festival delle Culture si articola secondo due ordini di iniziative. Da un lato conferenze e conversazioni dedicate alle astronomie popolari, durante le quali viene presentato, accanto al cielo della scienza moderna, il cielo dei Cinesi, dei Boscimani, dei Tuaregh, dei Navahos, dei Maya, dei Dogon o dei Maori.
Dall'altro lato, viene organizzato un punto di osservazione, attrezzato con telescopi astronomici, per permettere a tutte le persone presenti di avvicinarsi a uno strumento e osservare le stelle e la Luna, e i pianeti Marte, Venere, Giove e Saturno, con la possibilità di cogliere, con "la certezza data dagli occhi" tanto cara a Galileo Galilei, una visione diretta e non mediata dell'affascinante Universo che ci circonda.
Una visione che è scienza ma che allo stesso tempo è sogno, favola, racconto, speranza.

Esperienze di educazione museale - pag. 27 [2017 - N.59]

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